Da Cavo a Porto Azzurro
LUNGHEZZA: 18,8 km
DISLIVELLO: SALITA 931 m DISCESA 930 m
DIFFICOLTÀ: E / tratti EE
FONDO: 95% STERRATO 5% ASFALTO
Mezzi di trasporto
CAVO: Aliscafo Toremar e traghetti Moby da Piombino a Cavo o a Portoferraio (porto principale dell’isola con servizio effettuato tutto l’anno), www.toremar.it, www.moby.it, app MOBY. Da Portoferraio a Cavo Autolinee
Toscane, autobus linea 117 Portoferraio(Capoliveri)-Porto Azzurro-Cavo, tel. 80014.24.24, www.at-bus.it, app at bus.
RIO NELL’ELBA, PORTO AZZURRO: Autolinee
Toscane, autobus linea 117 Portoferraio(Capoliveri)-Porto Azzurro-Rio nell’ElbaCavo, tel. 800-14.24.24, www.at-bus.it, app at bus.
Servizi
PORTOFERRAIO: Infopoint, via Vittorio Emanuele II 2, tel. 0565-19.33.589, www.visitaportoferraio.com.
Infopark, viale Elba 2, tel. 0565-90.82.31, www.parcoarcipelago.info.
Presenti tutti i servizi
CAVO: Presenti tutti i servizi.
PORTO AZZURRO: Presenti tutti i servizi.
Dove dormire
PORTOFERRAIO: B&B Al 28, viale Carducci 28,
tel. 339-64.88.763, www.al28.it, 12 posti, €€-€€€, uso cucina, cani ammessi con prenotazione. Aperto tutto l’anno. Albergo Ape Elbana, salita Cosimo de’ Medici 2, tel. 0565-91.42.45, www. ape-elbana.it, €€-€€€, possibilità di mezza pensione, cani ammessi con prenotazione, sconto agli escursionisti Gte presentando questa guida. Aperto tutto l’anno.
Hotel Villa Ombrosa, via De Gasperi 9, tel. 0565-91.43.63, www.villaombrosa.it, €€-€€€, possibilità di mezza pensione, cani ammessi con supplemento, sconto 10% agli escursionisti Gte presentando questa guida. Aperto tutto l’anno.
CAVO: Hotel Maristella, lungomare Kennedy 4, tel. 0565-94.98.59, www. hotelmaristella.com, 50 posti, €€, cani ammessi. Sconto 5 € soci Cai e Gte. Aperto 24 aprile-metà settembre.
Hotel Levante, lungomare Kennedy 1, tel. 348-39.63.873 / 330-91.36.49, www. levantehotelelba.it, €€-€€€, possibilità di mezza pensione. Aperto marzo-novembre. Elbadoc Camping Village, Valle Baccetti 10 (a 1,3 km dalla partenza), tel. 056594.99.66 / 329-22.62.698, www.elbadoc-campingvillage.it, €, cani ammessi con supplemento. Sconto 5% soci Cai e Gte. Aperto Pasqua-ottobre.
B&B Capo Pero, loc. Capo Pero, largo Rio Albano 34 (a 2,7 km dalla partenza),
tel. 0565-92.50.23 / 328-41.43.494, www. capopero.com, 12 posti, €€, cena 30 €, servizio navetta, cani ammessi con supplemento. Aperto Pasqua-ottobre.
SANTO STEFANO: Hotel Santo Stefano, loc. Magazzini, via Santo Stefano 6 (fuori percorso, a 2,9 km da [1.7]), tel. 056593.31.61, www.elbahotelelba.com, 50 posti, €€, cena 20-25 €, cani ammessi. Sconto soci Cai. Aperto maggio-metà ottobre.
PORTO AZZURRO: Agriturismo Del MontePodere Galletti, loc. Monte 1 (250 m a sinistra dal km 17,5), tel. 347-46.92.525, www.poderegalletti.com, 8 posti, €€ colazione inclusa, cena comunitaria 25 €, possibilità di panini per pranzo al sacco, cani ammessi. Aperto marzo-ottobre. Hotel Villa Italia, viale Italia 41, tel. 056595.119, www.villaitaliaelba.com, 30 posti, €€, cani ammessi. Aperto marzo-ottobre.
La Gte parte dalla spiaggia della località turistica di Cavo; chi arriva con il traghetto a Portoferraio può valutare l’ipotesi di aggiungere un giorno per visitare la cittadina, anche utilizzabile come base fissa a cui fare ritorno dopo ogni tappa. La prima tappa percorre la dorsale orientale dell’isola, con panorami che spaziano dalla costa toscana, all’arcipelago, al resto dell’Elba. Dal bosco di lecci si passa a una bassa macchia mediterranea, con un saliscendi piuttosto impegnativo, specie per le caratteristiche del terreno. La fatica è comunque ripagata dal primo approccio alla varietà dei paesaggi e della vegetazione dell’isola e alla sua storia dall’antichità al Novecento.
Scesi dall’aliscafo o dall’autobus e preso un caffè in uno dei bar del paese (qualcuno è aperto tutto l’anno), ci incamminiamo sul lungomare in direzione nord, quindi con il mare sulla destra superiamo l’ingresso di villa Bellariva, riconoscibile dall’aspetto simile a un castello, e poco dopo, all’altezza di uno slargo del marciapiede in cui troneggia un masso scuro su cui è scolpita una conchiglia, troviamo una traversa sulla sinistra [1.1] con il primo segnavia bianco-rosso: è la partenza della Gte (chi volesse percorrere la variante per capo Vita, descritta a fine testo, qui proseguirà dritto). Percorriamo fino in fondo la salita asfaltata, poi, all’incrocio a T, sulla destra si intravede l’inizio di un ampio sterrato, con le frecce del Cai, che si inoltra in una pineta. Cominciamo a salire i larghi tornanti; dopo circa 200 m, sulla destra vediamo che si stacca un’altra strada sterrata. Se percorriamo questa deviazione per un paio di centinaia di metri, scorgeremo un’abitazione, che costeggiamo tenendoci sulla strada in lieve discesa alla sua destra. Quando saremo all’altezza della casa, alla nostra sinistra, vedremo che i muri hanno alla base una peculiare struttura in opus reticolatum, tipica delle costruzioni romane, con pietre bianche e scure a sezione quadrata: si tratta infatti dei resti di una delle cisterne che rifornivano d’acqua la villa di capo Castello.
Riprendiamo il tracciato della Gte, sempre lungo una larga pista all’ombra prima dei pini, introdotti dall’uomo, poi dei lecci, alberi spontanei tipici del bacino del Mediterraneo che in questa zona formano un magnifico bosco. In pochi minuti si arriva all’area di sosta [1.2] dove la
sottosezione elbana del Cai e il Parco Nazionale Arcipelago Toscano hanno posizionato nuovi tavoli per gli escursionisti (qui si ricollega la variante per capo Vita). Una brevissima deviazione sulla destra porta al MAUSOLEO TONIETTI
Visitata la suggestiva costruzione, continuiamo in direzione opposta: la Gte si restringe girando in senso antiorario attorno al monte Lentisco fino a sfociare in un tratto asfaltato che serve alcune abitazioni della zona e che percorriamo a sinistra in salita. Se più avanti troviamo chiuso il cancello carrabile, possiamo aggirarlo sulla sinistra. L’asfalto termina in prossimità dell’agriturismo Amandolo, che ci lasciamo sulla destra proseguendo fino ad arrivare davanti a un gruppo di case: qui svoltiamo a sinistra per imboccare il sentiero che sale verso monte Grosso [1.3], e al bivio successivo andiamo a destra. Il sentiero si innesta su una strada sterrata allo scoperto: procediamo verso destra, godendo del panorama prima sulla costa, con il promontorio di Piombino e gli isolotti dei Topi, di Palmaiola e di Cerboli, poi, man mano che si passa sull’altro versante, su Gorgona, Capraia, il massiccio del monte Capanne e la rada di Portoferraio. Il semaforo, a cui porta la vecchia strada militare che percorriamo, era una postazione di avvistamento e segnalazione utilizzata già dall’epoca granducale e poi negli anni della Seconda guerra mondiale, oggi ristrutturata in abitazione. Il sentiero lo costeggia: in questo tratto panoramico sono state posizionate anche due panche in pietra.
La discesa da monte Grosso è sassosa, scoscesa e impegnativa, specie nel primo tratto, e richiede attenzione e cautela (se preferissimo evitarla – cosa da valutare, soprattutto se è piovuto, dato che le pietre bagnate diventano scivolose – possiamo tornare indietro, percorrere tutta la strada bianca in discesa fino all’asfalto della SP 33, poi un tratto di questa verso sud fino a Case Colli, dove ci ricongiungiamo al percorso).
Scendiamo fino a sfiorare la SP 33, strada della Parata: assai poco trafficata, congiunge Rio nell’Elba a Cavo passando nell’interno. La imbocchiamo a destra per pochissimi metri fino alle indicazioni con le frecce e il cartello Case Colli [1.4]. Qui tralasciamo il sentiero 265 sulla destra, che attraversando il bosco ci porterebbe alla solitaria spiaggia dei Mangani (da tenere presente nei periodi di caos vacanziero), e proseguiamo dritto, seguendo inizialmente i pali della luce. La Gte sale piano fra lecceta e macchia mediterranea alta fino ad arrivare in località Aia di Cacio [1.5], dove si incrociano, oltre alla strada che da Rio nell’Elba porta alle spiagge di Nisporto e Nisportino, diversi sentieri, tra i quali il 202 che conduce al monte Serra, utilizzato dagli ornitologi per osservare i rapaci in migrazione tra cui i falchi di palude, i pecchiaioli e gli sparvieri; tra i rapaci presenti tutto l’anno è possibile ammirare lungo l’intera Gte il gheppio, il falco pellegrino e la poiana. Da qui è possibile fare una deviazione per visitare l’EREMO
DI SANTA CATERINA , con il suo orto dei Semplici, imboccando l’asfalto verso sinistra e, dopo pochi tornanti, il sentiero 203 (tra andata e ritorno sono circa 2,6 km).
Per proseguire lungo la Gte attraversiamo invece la strada. Il monte Strega visto da sotto può suscitare qualche impressione nonostante la modesta altezza (m 426): la salita è in effetti ripida e si percorre con una certa fatica affondando nella ghiaia che contraddistingue questi saliscendi; siamo infatti entrati nel regno del diaspro, che caratterizza il piano di calpestio fino alla fine della tappa. Si tratta di una roccia sedimentaria rossastra sottilmente stratificata e fittamente fratturata formatisi 180 milioni di anni fa a seguito del deposito sul fondale dei gusci silicei di microscopici organismi marini.
Ci troviamo sulla dorsale orientale, esposti al sole e al vento. Davanti a noi comincia a intravedersi la FORTEZZA DEL VOLTERRAIO , la cui vista ci accompagnerà per buona parte della tappa. Il sentiero si discosta talvolta dal crinale, tenendosi più a destra: bisogna fare attenzione nel seguire la traccia principale, specie nei pressi della seconda cima, dove si può arrivare con una breve deviazione, ben visibile, per ammirare il panorama sulle isole dell’arcipelago; la Gte è però parecchi metri più in basso.
Scendiamo in una sella, incrociamo il sentiero 253 – svoltando a sinistra si andrebbe a RIO NELL’ELBA – e risaliamo verso il monte Capannello con le sue antenne. Anche qui, discesa e risalita sono rese più difficili dalla ghiaia. All’altezza del laghetto antincendio svoltiamo a sinistra per scendere lungo la strada sterrata, in mezzo a una pineta di reimpianto, fino all’area di sosta Le Panche [1.6], lungo la strada del Volterraio che congiunge Rio con la zona di Portoferraio.
Attraversiamo la strada e cominciamo a salire verso Cima del Monte (m 515), la più alta della parte orientale dell’isola, lasciandoci sulla destra il sentiero 254 che porta al Volterraio. Lo sterrato è eroso dalla pioggia e le antenne sulla sommità sono il prezzo che si paga per la tecnologia, ma da qui in poi la tappa è tutta in discesa.
La villa romana di capo Castello
In epoca repubblicana, Roma sfruttava l’Elba per le miniere: con l’impero, l’isola divenne, come le consorelle dell’arcipelago, luogo di otium per i maggiorenti. Rimangono tracce di tre grandi edifici: la villa della Linguella, all’estremità di Portoferraio, oggi inclusa nell’area museale; la dirimpettaia villa delle Grotte, presso San Giovanni (ma indagini recenti mettono in dubbio che fosse un’abitazione privata); la villa di capo Castello, che si estendeva, a più livelli digradanti, sul capo che sporge verso est al termine di Cavo, mentre capo Mattea, l’altro capo più piccolo, ospitava ambienti di servizio. Perimetro e ruderi della villa di capo Castello erano ben visibili ancora a inizio Novecento, ma senza tutele l’area è stata estesamente costruita e oggi non rimane che qualche muro in proprietà private. La villa si approvvigionava con un piccolo acquedotto da due cisterne qualche centinaio di metri più a ovest e poco più in alto, che a loro volta raccoglievano l’acqua delle sorgenti della zona; sul monte Lentisco sono stati ritrovati frammenti di tubi d’argilla. Reperti della villa e altre antichità elbane sono conservati al museo Archeologico di Rio e, con quelli delle altre ville, al museo di Portoferraio (www.museiarcipelago.it).
Dopo circa 1 km dalla sommità, il sentiero si allarga in una strada carrozzabile che prosegue poi in un pianoro contornato da pini: qui, sulla sinistra, si trova il sentiero 205, che scende verso Porto Azzurro con brevi tratti attrezzati, richiede attenzione ed è adatto a escursionisti esperti. Per quanto il panorama sia mozzafiato, la difficoltà è soprattutto in discesa, in quanto il diaspro che lo caratterizza presenta alcuni sensibili tratti esposti ed è molto scivoloso in caso di pioggia (la discesa è un poco più semplice se, percorso il primo tratto di 205, si imboccano i più agevoli sentieri 218 e 225). Dalla Gte si può invece fare una breve e facile deviazione andata e ritorno, non segnalata ma evidente, per la brulla cima di monte Castello, da dove si spazia sulla vallata sottostante, il paese, la grande croce in ferro che lo sormonta e il mare; la sommità è utilizzata come punto geodetico, indicato da una placca. Solamente in quest’area di pochi chilometri quadrati, e in nessun’altra parte del mondo, si può osservare il fiordaliso dell’Elba (Centaurea aethaliae) endemismo ristretto dai caratteristici capolini globosi con i fiori viola.
La carrozzabile arriva, dopo poco più di 1 km, all’agriturismo Terra e Cuore e all’incrocio con il sentiero 210 [1.7]. Qui, avendo percorso 16 km dalla partenza, abbandoniamo il tracciato della Gte per terminare la tappa scendendo a sinistra verso PORTO AZZURRO dal sentiero 210.
In alternativa si può invece scendere a destra verso Santo Stefano e Magazzini lungo un tratto non segnalato, oppure continuare sulla Gte verso monte Fabbrello, o la SP 26 Portoferraio-Porto Azzurro (3,5 km) dove si trova la fermata dell’autobus.
Il primo tratto del sentiero 210 è su una mulattiera del Regio Esercito di inizio Novecento, che congiunge Magazzini a Porto Azzurro e che nel 1926 fu percorsa da Paul Klee alla ricerca di vedute da dipingere. In origine lastricata e affiancata da una cunetta in pietra, sul versante
meridionale è purtroppo molto erosa: i canaloni e le vecchie soglie, a volte svariate decine di centimetri più alte del piano di calpestio attuale, danno un’idea dell’azione dell’acqua (e delle moto). In basso il sentiero passa fra le vigne arrivando al campo sportivo alla periferia di Porto Azzurro: dalla Gte al lungomare sono in tutto 2,8 km.
È anche possibile seguire un percorso alternativo appena più lungo, ma suggestivo e che evita il traffico dell’ultimo tratto (possiamo anche scegliere oggi uno dei due percorsi e fare l’altro il giorno successivo, per tornare da Porto Azzurro sulla Gte). In questo caso, una volta giunti, dopo circa 1,2 km, all’incrocio fra 210 e 209 [1.8], bisogna prendere quest’ultimo e poi, quando ci si innesta sul sentiero 227, continuare su questo, verso destra. Siamo su un poggio dal quale si gode di meravigliosi scorci sul golfo e sul paese. Dopo 400 m di asfalto, vediamo sulla sinistra una casa vacanze ben ristrutturata... con due garitte nel giardino: è una ex polveriera, probabilmente di fine Settecento. Le strutture simili a contrafforti sui fianchi sono quanto rimane dei parafulmini a forma di obelisco. Altri 400 m e lasciamo l’asfalto seguendo le indicazioni a sinistra: la bella scalinata di San Giovanni porta diretta a una fontana e al centro del paese.
Variante per capo Vita (+3,2 km) All’inizio della Gte, non prendiamo subito la salita sulla sinistra, ma proseguiamo sul lungomare Kennedy, poi sempre dritto, seguendo via Procchi, superiamo un parcheggio e alcune ville, per 400 m, fino a una pineta con un parcheggio e un chioschetto in località Capo Castello, nei pressi della spiaggia omonima. In effetti la Gte originaria di Ferrari e Giombini partiva proprio da qui: lo sterrato sulla sinistra, oggi sentiero 260, percorre con ampi tornanti il capo più settentrionale dell’isola regalando scorci sul mare aperto e le isole e attraversando una variegata macchia di lentisco, leccio, ginestra, ginepro, mirto e profumatissimi rosmarini. Ci si ricongiunge con la Gte all’altezza dell’area di sosta vicino al mausoleo Tonietti [1.2]
Da vedere
Portoferraio È l’approdo più utilizzato da chi arriva all’Elba con il traghetto, ed è anche un’ottima base di partenza per chi volesse percorrere la Gte fermandosi a dormire in un’unica località. La cittadina costituisce il capoluogo de facto dell’isola e l’abitato più popoloso, dove si concentrano la maggior parte dei servizi, il porto principale, il capolinea degli autobus (accanto agli approdi dei traghetti) e l’ospedale, ed è anche l’unico luogo dove le attività e gli esercizi commerciali sono aperti di solito anche al di fuori dell’alta stagione. Il centro storico, racchiuso dalle mura, è a dieci-quindici minuti a piedi dai traghetti.
Il sito fu intensamente frequentato in epoca romana (anche se niente testimonia che si chiamasse davvero Fabricia come da tradizione spuria): reperti e strutture sono emersi copiosi dal sottosuolo di tutta la città vecchia, e alla sua estremità, vicino alla torre del
Martello, era situata una villa patrizia. Poco si sa del piccolo comune di Ferraia nel Medioevo, ma le acque calme della grande rada continuarono a fornire riparo ad amici e nemici, soprattutto i temuti pirati turchi. Nel 1547 la zona, ormai spopolata per le scorrerie, fu assegnata dall’imperatore Carlo V al duca di Toscana Cosimo de’ Medici perché vi costruisse una città fortificata per resistere agli attacchi turchi e fare da base per la lotta contro i pirati: nacque Cosmopoli (nome in realtà quasi mai usato nella pratica neanche all’epoca), con gli imponenti forti Falcone, Stella e della Linguella, collegati da mura e bastioni che contraddistinguono ancora oggi l’aspetto della città e che nei secoli hanno resistito a tutti gli assedi.
Capitale dell’isola durante il breve principato di Napoleone, importante centro siderurgico nella prima metà del Novecento, oggi Portoferraio è un po’ trascurata dai turisti a favore delle mete più spiccatamente balneari, tuttavia è invece piacevole girare i suoi vicoli e le sue scalinate, visitare il museo Archeologico, la pinacoteca Foresiana e la villa napoleonica dei Mulini, e soprattutto ammirare la rada dall’alto dei bastioni, sui quali si può fare un lungo giro. La splendida spiaggia delle Ghiaie è subito in città, sotto i bastioni di nordovest; le altre iconiche spiagge di ciottoli bianchi si raggiungono a piedi con qualche decina di minuti di saliscendi.
Mausoleo Tonietti Concessionari delle miniere elbane (e proprietari della neogotica villa Bellariva che abbiamo visto sul lungomare), i Tonietti commissionarono questo monumento funerario all’architetto fiorentino Adolfo Coppedè, collega e fratello del più famoso Luigi; la realizzazione fu completata intorno al 1900, ma in realtà non si ottennero mai i permessi per utilizzarlo per le sepolture e l’edificio fu lasciato all’abbandono quando le fortune economiche della famiglia vennero meno. La costruzione spunta come un faro dalla macchia – la somiglianza è voluta – ed è visione familiare dal traghetto PiombinoPortoferraio; purtroppo è oggi in grave degrado e, per problemi di finanziamenti e di competenze, non c’è nessun restauro in prospettiva. Su una base che sarebbe riduttivo definire solo “stile liberty” si mescolano ecletticamente temi ispirati a varie epoche a formare un insieme assai avveniristico per il suo tempo. All’interno, una scala in pietra porta al primo ordine, mentre è in rovina e pericolosa la scala a chiocciola in metallo. Altre opere del Coppedè all’Elba sono una villa, oggi albergo, vicino alla residenza napoleonica di San Martino; a Portoferraio un palazzo, anch’esso in rovina, sul porto all’altezza del molo 1; la tomba della famiglia Del Buono nel cimitero dei Neri; è invece scomparso sotto i bombardamenti della Seconda guerra mondiale il bel palazzo dei Merli sulla calata.
Eremo di Santa Caterina L’edificio attuale è del XVII o XVIII secolo, ma sorge in un luogo già frequentato da lungo tempo e, secondo la tradizione, sede di apparizioni e miracoli della Santa. Restaurato dopo
un lungo abbandono, è utilizzato per mostre e spettacoli. Nel prato antistante convergevano gli abitanti di Rio nell’Elba e Rio Marina per la scampagnata del lunedì di Pasqua (con frequenti risse ad alto tenore alcolico fra Castello e Piaggia); oggi vi si tiene la sagra della sportella, dolce pasquale di forma allusiva che le ragazze solevano regalare ai fidanzati, i quali contraccambiavano con un dolce di forma fallica denominato cerimito. Dietro l’eremo c’è l’ORTO DEI SEMPLICI , piccolo giardino botanico diviso in sezioni tematiche, che raccoglie e conserva le varietà locali, sia spontanee sia coltivate, ed è punteggiato da opere d’arte. Splendido soprattutto quando gli alberi da frutto sono in fiore, anch’esso ospita spesso ritrovi, spettacoli e concerti, e quando è aperto è anche un gradito punto di rifornimento acqua (per gli orari di apertura: tel. 376-00.21.746, ortodeisemplicielbano@gmail.com).
Rio nell’Elba Il paese, detto anche Rio Castello per distinguerlo da Rio Marina, è di impianto medievale. Sorto sul fianco del monte Capannello, baciato dal sole della mattina, è caratterizzato da vicoli e scalinate; le case, addossate l’una all’altra, costituivano una sorta di cinta fortificata, e la stessa CHIESA DI SAN GIACOMO , con i bastioni agli angoli, fungeva da fortezza e da ultimo rifugio. La maggior parte degli abitanti lavorava nelle miniere; con il declino del settore il paese, fuori dagli itinerari del turismo balneare, si è andato purtroppo spopolando.
Nella parte bassa troviamo la FONTE DEI CANALI , e, accanto, la casa del Parco Franco Franchini. La fonte, un tempo più copiosa, rifornisce i grandi lavatoi pubblici subito sotto; avendo ormai perso la funzione originaria il suggestivo edificio – caratterizzato da un ambiente chiuso ma luminoso, con ampie capriate in legno e finestroni – viene oggi utilizzato come location per eventi e set fotografici. La fonte dà anche
origine al “rio” dal quale il borgo prende nome. Il ruscello che qui nasce alimentava, nel percorso fino a Rio Marina, ventidue mulini, ognuno con la sua vasca di alimentazione e i canali di ingresso e di uscita dell’acqua: se ne vedono le vestigia, in vario stato di conservazione o riutilizzo, scendendo lungo quella che è detta appunto “valle dei Mulini”. Il paese ospita il piccolo ma interessante MUSEO ARCHEOLOGICO DEL DISTRETTO MINERARIO presso la struttura del Barcocaio.
Fortezza del Volterraio Il sito, che domina la rada di Portoferraio, fu frequentato già in epoca etrusca e potrebbe aver preso il nome appunto da fondatori provenienti da Volterra. La fortificazione, utilizzata forse già dai bizantini, accresciuta fra Due e Trecento dai pisani che affidarono i lavori all’architetto Vanni di Gherardo Rau, è famosa per aver sempre resistito a tutte le invasioni e gli attacchi all’isola (anche se in realtà fu brevemente occupata da pirati tunisini nel 1442): una volta percorsa la salita per arrivarvi, non è difficile capire perché. La torre è verosimilmente la struttura più antica; il castello fu più volte modificato e rimaneggiato nei secoli, poi abbandonato in epoca napoleonica, fino a cadere in rovina. Nel 1999 è stato acquisito dal Parco Nazionale Arcipelago Toscano, che ne ha curato un esteso restauro, terminato nel 2017. Poco prima di arrivare al castello si incontrano i resti di una cinta muraria esterna, la chiesetta di San Leonardo e un grande vecchio olivo selvatico. All’interno della fortezza si accede con visita guidata (per informazioni: www.parcoarcipelago.info).
Porto Azzurro Sebbene la sua comoda e profonda insenatura fosse già riportata come Portus Longe nella Tabula Peutingeriana, una sorta di “carta stradale” di epoca romana giuntaci in una copia medievale, il paese di Longone non era che un villaggio di pescatori fino a che nel 1603 i reali di Spagna decisero di esercitare la prerogativa di potersi riservare una fortificazione all’Elba e avviarono i lavori di costruzione dell’imponente forte San Giacomo sul colle soprastante, conclusi nel 1605. Da allora le sorti del paese sono sempre state legate a quelle del forte (al quale nel 1678 fu aggiunto il gemello forte Focardo, dall’altra parte del golfo), compresi i suoi assedi. Dall’Ottocento il forte è utilizzato come carcere; nel 1947 il paese ha cambiato nome nel più turistico Porto Azzurro, svincolandosi così dal riferimento carcerario.
Se si percorre tutto il lungomare, dopo piazza Matteotti e gli ultimi locali inizia la passeggiata Carmignani, breve percorso panoramico, particolarmente suggestivo in notturna, che costeggia il forte fino alla spiaggia di Barbarossa, così chiamata dal pirata ottomano che devastò le coste del Mediterraneo e dell’Elba nel Cinquecento. Dietro la spiaggia ci sono diversi campeggi; un paio di chilometri verso l’interno, prima un grande pino monumentale, poi il seicentesco e spagnoleggiante piccolo santuario della Madonna di Monserrato. Porto Azzurro, caotica d’estate, mantiene una certa vivacità per tutto l’anno.
Metallurgia antica e medievale all’Elba
Già gli etruschi, abili metallurghi, sfruttarono il minerale elbano, estratto nei territori delle future Rio, Capoliveri e Porto Azzurro, ma l’attività estrattiva assunse proporzioni industriali sotto la dominazione romana. Il metodo per ricavare il ferro dai minerali rimase pressoché invariato nei secoli, fino a che in Età Moderna non si iniziò a usare il carbon fossile: con il carbone di legna non si raggiungevano infatti le temperature necessarie alla fusione, per cui il ferro veniva ricavato per riduzione. In forni costruiti per essere usati una sola volta, in cui veniva insufflata aria con mantici, si mescolavano carbone e minerale a pezzi. Dopo una lunga combustione, si otteneva una massa di ferro detta bluma, mentre sul fondo colavano le scorie. Queste, solidificate, prendevano un aspetto simile a spugne, per l’aria e i frammenti di carbone che inglobavano: all’Elba erano dette schiumoli (altrove, rosticci). La bluma veniva portata ai fabbri, che la riscaldavano di nuovo sul fuoco e la battevano a più riprese per ripulire il ferro dalle impurità.
Il processo richiedeva una grande quantità di carbone, molto maggiore rispetto al minerale da ridurre, e per ricavare il carbone erano necessarie quantità ancor più grandi di legna: disboscata man mano la parte orientale, era più facile portare il minerale a ridurre a ovest, nelle aree ancora boscose, piuttosto che portare il carbone a est. Ecco perché si trovano scorie ferrose in tutta l’Elba, anche molto lontano dalle miniere. Tendenzialmente, in epoca romana gli impianti si situavano lungo le coste, mentre nel Medioevo i fabri stagionali che venivano da Pisa lavoravano nell’entroterra; ma la distinzione non è assoluta, e in assenza di altri manufatti, come frammenti di ceramica, è difficile datare i depositi attribuendoli all’uno o all’altro periodo. Di solito la lavorazione avveniva vicino ai fossi: spesso troviamo schiumoli in spiaggia, trascinati dalle piene, come a Lacona.
Il processo era poco efficiente, tanto che anche le scorie contenevano un 40-50% di ferro; inoltre, soprattutto in epoca romana, alcuni depositi raggiunsero proporzioni enormi, con accumuli di tonnellate, stratificati per metri. Questo ha fatto sì che nel secolo scorso molte scorie siano state recuperate per essere di nuovo fuse nei moderni altiforni: ad esempio, sul molo di Sant’Andrea c’erano binari per i carrelli che trasportavano il materiale all’imbarco, mentre nella valle di Rimercoio, presso Poggio, fu costruita una strada apposita per il passaggio dei camion.
Dopo molti secoli di estrazione (ma già in età medicea la riduzione avveniva sul continente), le miniere elbane, non più convenienti, hanno cessato l’attività negli anni Ottanta del Novecento: nelle viscere della terra rimane però molto minerale, riserva strategica che sarebbe possibile tornare a utilizzare in caso di emergenza. Le miniere (moderne) di Rio e Capoliveri sono visitabili con escursioni guidate (per informazioni: www.parcominelba.it, www.minieredicalamita.it).