Le monografie del Gal “Sila Greca Basso Jonio Cosentino”
S. MARIA AD GRUTTAM un gioiello tutto da scoprire
Piccola guida a cura di Stefania Rossi Docente di Storia dell’Arte
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La località Pizzuti
Percorrendo la strada provinciale SP250, che si inerpica tortuosa tra campi e uliveti, ma che ripaga per il godimento di una natura selvaggia e poco addomesticata dall’uomo, si giunge in località Pizzuti (Fig.1), al confine tra i centri abitati di Paludi e Cropalati. Da qui un breve tratto di strada comunale porta a S. Maria ad Gruttam (Comune di Cropalati) che, incastonata tra le verdi alture che costeggiano l’ampio letto del Trionto, appare una rivelazione.
Figura 1
La magia del luogo incanta e lo sguardo corre lungo i crinali e spazia in basso sull’orizzonte vasto del mare (Fig.2). Lontana dai circuiti turistici più battuti e sconosciuta ai più, la piccola chiesetta svela, nella sua apparente semplicità, un passato antico e ancora tutto da scoprire e le sue pietre suggeriscono storie tra il vero e il leggendario. Infatti la tradizione popolare tramanda un’apparizione della Vergine ad un pastorello, mentre è la quiete del silenzio a suggerire un vissuto ascetico di meditazione e preghiera comune del luogo. Figura 2
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La chiesa
Il nucleo originario si fa risalire al XII sec., quando sul sito venne edificato, da alcuni monaci eremiti, un monastero. L’evenienza sarebbe comprovata da porzioni di muratura, risalenti per fattura al periodo medioevale e da grotte, appartenenti ad un antico cenobio, (“κοινόβιον” vita in comune), rinvenute non lontane dalla chiesa (Fig.3) durante i lavori di sistemazione dell’area. Un ulteriore approfondimento, supportato da ricerche archeologiche e da indagini Figura 3 stratigrafiche sulle pitture che insistono sulle pareti interne della chiesa, potrebbe sicuramente fare maggiore chiarezza sulla datazione delle varie parti e sulle frequentazioni del sito. L’esterno Con il tempo le antiche strutture, celle e cripta, sono state inglobate in un edificio a navate realizzato nel XVII secolo con facciata a capanna. Questa, sistemata nel 1976, presenta due ingressi, con stipiti in pietra squadrata, sormontati da due aperture a sesto acuto incorniciate da ghiere di mattoni. Al centro, sul colmo del tetto, un piccolo campanile custodisce una campana bronzea che reca incisa la data del 1476, mentre al di sotto, murata nella facciata, si nota una lastra di pietra con al centro uno scudo a testa di cavallo (Fig.4), una delle fogge araldiche più antiche d’Italia. Non lontano dalla chiesa si trova una struttura in mattoni e pietre, su una parete della quale si apre una monofora ad arco acuto, oggi murata. E’ possibile pensare che essa sia stata Figura 4 un magazzino, posto nel recinto abbaziale e destinato al lavoro agricolo e al deposito di foraggi e cereali, sistema che garantiva al monastero una propria autosufficienza economica. Il lavoro manuale nei monasteri greci era parte integrante dell’osservanza della “regola” e i monaci con la loro opera contribuivano al dissodamento dei terreni e all’impianto di nuove colture.
L’interno
All’interno la chiesa è divisa in due navate. Quella di sinistra, più lunga e più ampia, è utilizzata per l’ufficio delle funzioni religiose. 3
Figura 6
Sulla destra dell’ingresso, si trova murata un’acquasantiera in pietra con bordo a toro e decoro a punta di diamante (Fig. 5). Tracce policrome fanno presupporre un’originaria dipintura. Curiosa è la presenza di un fossile di conchiglia intrappolato in una pietra sistemata, non a caso, appena sopra il bacile. È nota la simbologia cristiana della valva della capasanta che rimanda a significati di rinascita, purificazione e quindi all’acqua benedetta. Dalla navata destra si accede al nucleo più antico della chiesa e dell’ex monastero. Scavata nella roccia tenera, una grotta circolare con volta anulare e grande colonna centrale, che si raccorda in alto a fungo, accoglie il visitatore (Fig. 6). In basso, lungo le Figura 5 pareti, corre un sedile continuo in pietra e mattoni. Su di un lato, un cunicolo collega la “grotta ipogea”, a varie cellette scavate nella profondità della roccia. Di queste solo una è visitabile. Le altre, visibili dall’esterno della chiesa, risultano interrate e coperte da vegetazione (Fig.7). Figura 7
Nella grotta, su una parete in mattoni, campeggia un altare in pietra sovrastato da un bell’affresco di Madonna con Bambino, dai caratteri e volumi quattrocenteschi. L’immagine (Fig.8) è incorniciata da lesene laterali con fusto a “candelabra” e capitello composito, dal gusto classicheggiante. Le lesene sorreggono un architrave aggettante con cornice a ovuli. Nella parte liscia una frase in latino, “SOLA 4
VIRGO MARIA LACTABAT UBERE DE COELO PLOENO” (Solo la Vergine Maria poté allattare dal suo seno celestialmente ricolmo) (Fig.9) e una data, 1624, danno indicazioni sulla realizzazione. Cropalati, a quella data, faceva parte del feudo di Olimpia Aldobrandini, ma gli stemmi rinvenuti nella chiesa non appartengono a tale famiglia. Molto probabilmente, invece, lo stemma, che è scolpito in basso a sinistra dell’altare, appartiene ai Badolato, baroni di Cosenza, i quali possedevano una stemma a tre torri (Fig.10), ora della città di Badolato. Da ciò si può avanzare l’ipotesi che l’altare, commissionato da questo casato che governò per un periodo su Cropalati, fu poi Figura 9 portato a termine sotto gli Aldobrandini. Il tipo di iscrizione sull’altare fa supporre la presenza, nel ‘600, in abbazia di una comunità di domenicani, in quanto la frase è citata in genere nei sermoni dei padri mendicanti e spiegata dallo stesso san Tommaso D’Aquino, anch’egli domenicano, in un suo libro, Symbolum Apostolorum, quale antifona della liturgia dell’ordine. E’ certo, quindi, che chi ha voluto quella scritta fosse un domenicano poiché conosceva bene la frase, che non è reperibile nel messale romano ma solo in quello dell’Ordine dei Predicatori.
Un po’ di storia
Figura 10
I Normanni, durante la loro dominazione in Calabria, sostenuti dalla Chiesa Romana, favorirono, con cospicui lasciti, il sorgere di monasteri latini, ma, per opportunità politica e scongiurato ormai il pericolo bizantino, tollerarono anche la fioritura, in tutto il territorio, di nuove comunità di rito greco. Santa Maria ad Gruttam è uno dei tanti monasteri che, insieme a San Giovanni Battista o “Santo Janni”, San Biagio di Vale, Santa Maria Nuova, Santa Maria Roconiate, Santa Maria Nuova Odigitria o Patìrion e a numerose “laure” ed “eremi”, per secoli, popolarono l’ “Άγιον Όρος”, la “Montagna 5
Santa” della bizantina Rossano, ossia la zona ascetica fra le più importanti dell’Italia Meridionale. Similmente ai monasteri greci, sorti prima dell’XI secolo,1 anche quello di Santa Maria della Grotta di Cropalati ha un impianto modesto. I monaci lo sistemarono sfruttando la natura calcarea del terreno, facile a scavarsi e a modellarsi nel minor tempo possibile, adattandolo al rigore di una vita monastica dedita al lavoro, penitenza e preghiera. I monasteri italo-greci, anche nella conduzione cenobitica, non sottostavano ad un’organizzazione centrale, come quelli latini, e non avevano nessun vincolo tra loro all’infuori di una unione spirituale e fraterna. Comune rimaneva l’ideale ascetico. Gli igumeni non facevano capo ad una autorità superiore o coordinatrice, ma erano indipendenti tra loro e guidavano i monasteri con norme individuali basate sulle proprie esperienze o sulle vite dei Santi Padri. Le prime notizie documentate su S.Maria ad Gruttam, (De Cripta), come è chiamata nelle fonti, risalgono al XVI sec, quando il 28 agosto 1504, in seguito alla morte di Raimondo Pressano, venne assegnata ad Antonio Inglese di Campana, arciprete del paese2. Nel 1584 il beneficio venne concesso al romano Flaminio Parisio3. Nel 1655 la chiesa venne 1 Tra l’VIII e il IX secolo, il dominio reale di Bisanzio nell’Italia meridionale si riduceva ai ducati di Calabria e
di Otranto. Probabilmente la maggior parte di questi insediamenti monastici era stato promosso tra il 960 e 970 da un clima politico-religioso più propizio, auspicato da Niceforo II Foca con il nuovo assetto amministrativo ed ecclesiastico della provincia bizantina dell’Italia meridionale. Il basileus vi istituì il catepanato e, sul piano ecclesiastico, autorizzò il patriarca di Costantinopoli, Polieucto, a costituire una nuova provincia ecclesiastica greca tra i temi Longobardi e Lucani. A partire dal X secolo, quindi, il Governo bizantino, dopo aver imposto il rito greco e il passaggio dei vescovi alle dirette dipendenze del Patriarca di Costantinopoli (secolo VIII), diede all’Italia meridionale una nuova struttura amministrativa con la istituzione dei «temi» sotto l’autorità del Katepano: tema della Longobardia, compresi i territori campani e pugliesi, con capitale Bari; tema della Lucania, con capitale Tursia; tema della Calabria, con capitale Reggio Calabria. Ogni tema aveva un cartoulario responsabile del catasto, dell’amministrazione finanziaria, ed altri funzionari. Ogni tema era diviso in «turme» aventi come capi i turmarchi. Il tema della Lucania comprendeva tre turme: Lagonegro, Latiniano, Mercurion, confinanti gli uni con gli altri. Il tema della Calabria pur si divideva in turme di cui solo due possono essere localizzate. La prima turma era quella di Saline che comprendeva la città di Oppido, Scidro, Sinopoli, Sant’Eufemia, Seminara, Taurione; la seconda, menzionata alla fine del X secolo in alcune agiografie, aveva il suo centro in Aieta e si estendeva sicuramente a nord fino al Noce, che costituiva la frontiera del tema di Calabria, ed ad ovest fino alla turma del Mercurion, che apparteneva al tema lucano: cfr. P. Dalena, Istituzioni religiose e quadri ambientali nel mezzogiorno medievale, Cosenza, Due Emme, 1996, pp. 18-20. 2 «Episcopo Cariatem. et Abbati monasterii S. Angeli Malitini, et Archipresbytero ecclesiae S. Maria de Scala, Rossanem. et Cariaten. dioc., mandat ut Antonio Inglisio, phro terrae Campanae, Rossanen. dioc., provideant de parochiali ecclesia, archipresbyteratu nuncupatu, terrae Cropalati, de ecclesia S. Mariae de la Cripta, extra muros dictae terrae Cropalati, Rossanen. dioc., vac, per ab. Raimundi Pressano, ex. R. C. def. Dat. Rome, apud Sanctp., an. Inc.nis d. mnce MDIIII, V Kal. Septembris an I (28 agosto 1504)»: cfr. Russo, Regesto Vaticano, cit., vol. III, p. 181 nr. 14688. 3 «Flaminio Parisio, publici Gymnasii Romani Professori, providetur de novem beneficiis, videl. S. Mariae de Lista de Amendolara, Anglonen. dioc., et S. Mariae de la Grotta in Paludis seu Cropalato, Rossanen. dioc., et S. Mariae de Mare Piccolo et S. Mariae de Pastino in Vingianello et S. Spiritus de Morano et S. Marae Campi Thenesii et S. Iacobi et S. Zacariae, Cassanem. dioc., vac. per ob. Bernardini Calà, de mense Iulii ex.Ro. Cu. def. Dat. Rome, apud S. Marcum, an. Inc.nis d.mnce MDLXXXIIII, VI kal. octrobis, an. XIII (26 settembre 1584)»: Russo, Regesto per la Calabria, cit., vol. V, p. 111 nr. 23698.
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affidata al sacerdote di Rossano Onofrio Rogani4. Nel resoconto della visita pastorale del 16785 si legge che la chiesa era insignita del titolo di abbazia della quale era ancora beneficiario Onofrio Rogani proprio in qualità di abate. Non vi si celebravano messe per i fedeli, ma la chiesa era destinata solo all’ufficio liturgico degli eremiti, che abitavano in «cellulae», alle quali si accedeva dall’interno della chiesa. Tutto il complesso, chiesa e celle, era poi circondato da un muro di cinta. Sebbene l’ideale supremo del monachesimo italo-greco fosse la contemplazione solitaria condotta nella tranquillità del silenzio lontano dal cenobio, questo ideale poteva ugualmente essere perseguito, all’interno della laura, con la povertà e l’obbedienza all’igumeno6. I monaci vivevano in comune tanto da cenobiti, con incontri domenicali per le celebrazioni liturgiche, quanto da eremiti, non diversamente dall’ecumene bizantino, perché non vi era un distacco netto tra la vita cenobitica e quella eremitica, l’una essendo derivazione dell’altra. Le laure rupestri generalmente erano prive di scriptoria e il livello culturale dei monaci non doveva 4
«Vicario generali archiep.i Rossanen. mandat ut Hinophrio Rogani, clerico Rossanen. dioc., provideat de ecclesia seu cappella S. Mariae della Grotta, in territorio Cropalati, eiusdem dioc., cuius fructus 4 duc., vac, per ob. Lucae Ant. De Marchis, familiaris Dominici Card.lis Cecchini, a biennio et ultra ex. Ro. Cu. def. Dat. Rome, apud S. Petrum, an. MDCLV, III cal. Ianuarii, an. I (30 dicembre 1655)»: Russo, Regesto per la Calabria, cit., vol. VII, p. 377 nr. 37722. 5 cfr. «Visita Pastorale del Mons. G. Ursaia, 1678», cit., fol. 84 . 6 L’ordinamento cenobitico è incarnato nella figura dell’igumeno al quale ogni monaco ubbidisce. Egli è il responsabile della morale e della disciplina e non può accogliere monaci di altri cenobi. Cura la manutenzione delle lampade che devono bruciare giorno e notte davanti alle reliquie e alle icone sante, e la crescita bibliografica del monastero. Il singolo monaco ha facoltà di condurre vita anacoretica od esicastica dopo un periodo di iniziazione vissuto in comunità. L’ordinamento monastico, proponendo le diverse forme eremitiche ed esicastiche come complementari ed integrative di quel regime, è sufficientemente duttile per consentire all’individuo la pratica delle esperienze ascetico-mistiche più rigorose. L’esperienza personale dei padri fondatori del monachesimo calabro-greco si richiama al modello anacoretico ed esicastico; non pochi però hanno già svolto un adeguato tirocinio spirituale all’ombra dei monaci siculo-greci. Quasi tutti si accostano poi a forme di vita cenobitica per vigilare sui rispettivi discepoli. In effetti, l’aggregazione di più individui attorno ad un asceta solitario dalle virtù esemplari segna l’avvio di un processo spontaneo di organizzazione all’interno del nascente nucleo monastico e di transizione verso forme tendenzialmente cenobitiche. Il principio base e legale che determina il trapasso dal sistema eremitico o esicastico a quello monastico non è tanto il numero dei monaci quanto la costituzione di un’autorità unica liberamente scelta e accettata; e ciò perchè quei due o tre o più monaci che sono diventati a loro volta degli esicasti seguono l’esempio di un anacoreta, eleggono a loro guida spirituale o lo stesso anacoreta o uno di loro pur continuando ad abitare le proprie grotte o celle. Quando poi il monastero si dà una regola sua particolare, che prevede l’assoluta comunanza di vita e di beni, allora il monastero si trasforma in cenobio, che esige anche un tetto comune, cioè un impianto organico e razionale, sia pure di carattere speleotico. La forma cenobitica non esclude il ritorno alla vita anacoretica esicastica purchè però sia sotto l’autorità del cenobiarca o egumeno: cfr. F. Burgarella, Aspetti del monachesimo greco nella Calabria bizantina, in Convegno per una idea di Calabria, «Atti del Convegno per una idea di Calabria, Cosenza 27-28 novembre 1981», Cosenza 1982, pp. 59-60; Dalena, Istituzioni religiose e quadri ambientali nel mezzogiorno medievale, cit., pp. 21-23.sua particolare, che prevede l’assoluta comunanza di vita e di beni, allora il monastero si trasforma in cenobio, che esige anche un tetto comune, cioè un impianto organico e razionale, sia pure di carattere speleotico. La forma cenobitica non esclude il ritorno alla vita anacoretica esicastica purchè però sia sotto l’autorità del cenobiarca o egumeno: cfr. F. Burgarella, Aspetti del monachesimo greco nella Calabria bizantina, in Convegno per una idea di Calabria, «Atti del Convegno per una idea di Calabria, Cosenza 27-28 novembre 1981», Cosenza 1982, pp. 59-60; Dalena, Istituzioni religiose e quadri ambientali nel mezzogiorno medievale, cit., pp. 21-23.
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essere elevato. In esse non vi erano regole precise e le consuetudini variavano da luogo a luogo. Solo l’idea di perfezione era comune a tutti i monaci: essa veniva perseguita prevalentemente nel cenobio attraverso l’esercizio della vita attiva (βίος πρаχτιχός) e di quella contemplativa (βίος θεωρητιχός), secondo gli insegnamenti di San Basilio di Cesarea e di Teodoro Studita, che costituirono la base dei typικά7 dei cenobi italo-greci dell’Italia meridionale8.
Come arrivare
Itinerario 1. Lasciare la litorale jonica SS 106 all’altezza della c.da Amica di Rossano, imboccando la SP 191; raggiunto e oltrepassato il centro urbano di Paludi raggiungere località Pizzuti percorrendo la SP 250. Itinerario 2. Lasciare la litorale jonica SS 106 all’altezza di Mirto Crosia, imboccando la SS 531; raggiunto e oltrepassato il centro urbano di Cropalati, proseguire sulla SP250 alla volta di località Pizzuti.
MAPPA DELLE “TERRE JONICOSILANE” NELLA SILA GRECA
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Per prenotare una visita
S. Maria ad Gruttam è affidata alla Parrocchia di Cropalati che si può contattare per telefono al numero 349-2329664 o per e-mail su: parrocchiacropalati@libero.it.
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La vita cenobitica era quella che si conduceva nel cenobio. Ogni cenobio è autonomo e raccoglie le sue regole nel tιpικón o libro che contiene l’atto della sua fondazione, l’elenco dei suoi beni, le regole liturgiche e di vita pratica che lo doveva regolare: cfr. Ferrante, Santi Italo-greci in Calabria, cit., p. 57. 8 Dalena, Istituzioni religiose e quadri ambientali nel mezzogiorno medievale, cit., p. 23.
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Stab. Tip. De Rose (CS)
Iniziativa realizzata con il finanziamento della Programmazione Comunitaria 2007-2013. Approccio Leader, a valere sulla Misura 413.313 Azione 2 del PSR Calabria Psl GAL “Sila Greca Basso Jonio Cosentino”