Intro (con sottofondo Aida)
Orale
Aida (Rino Gaetano)
Musica
Raccordo
Orale
Italia contadina
Lettura
Raccordo
Orale
1968
Lettura
Raccordo
Orale
Non crederò
Musica
Raccordo
Orale
Gladio
Lettura
Raccordo
Orale
Potere nuovo
Lettura
Raccordo
Orale
Aida è adesso grande
Musica
Raccordo
Orale
Nasce il Gruppo
Lettura
Raccordo
Orale
Spartizione
Lettura
Raccordo
Orale
Ancora qua
Musica
Raccordo
Orale
Il giornalismo d'inchiesta
Lettura
Raccordo
Orale
Ilaria
Musica
Raccordo
Orale
Brutta influenza d'ottobre
Lettura
Raccordo
Orale
Ulisse aspetta Godot
Musica
Raccordo (con distribuzione poesia)
Orale
40 anni (modena city ramblers)
Musica
Raccordo
Orale
Capaci
Lettura
Via d'Amelio
Lettura
Raccordo
Orale
Diario di Caterina
Lettura
Raccordo
Orale
Il testamento di Johnny
Musica
Raccordo
Orale
Post epilogo
Lettura
E' già sera, tutto è finito
Musica
Baci&Abbracci
Orale
L'Italia ai tempi di Antonio spettacolo di parole e note di Tersite Rossi, Milo Brugnara e Andrea Robol ispirato al romanzo “È già sera, tutto è finito” di Tersite Rossi con Tersite Rossi (parole) Milo Brugnara e Andrea Robol (note)
Intro Provate a immaginare una sera d'estate: 2 scrittori con in tasca il loro primo romanzo, e 1 cantautore che ha tra le dita l'arte di far sognare. Ora immaginate che i 2 scrittori e il cantautore si incontrino per caso, o per destino, e scoprano di aver cercato, con un libro e con le canzoni, di raccontare una storia. La stessa, identica, storia. La storia dell'Italia degli ultimi 60 anni. Un'Italia popolata da eroi, al potere, e da antieroi, disprezzati dal potere. Immaginate, poi, che i 2 scrittori e il cantautore si innamorino di questi ultimi, degli antieroi, degli eterni sconfitti, e che attraverso i loro occhi abbiano deciso di intraprendere un viaggio, di musica e parole. Un viaggio che, oggi, vogliamo fare assieme a voi. Un viaggio che comincia in un piccolo borgo del meridione, negli anni '50, con un bambino di nome Antonio, figlio di contadini, che un bel giorno scopre cosa significa diventare grande. E un viaggio, che prosegue sulla note di un Paese, che molti si ostinano a chiamare Italia, ma che forse sarebbe pi첫 opportuno chiamare Aida.
RACCORDO dopo Aida (canzone) Questa storia comincia con la nascita dell'Italia repubblicana, l'Aida cantata da Rino Gaetano. E con Aida nasce anche Antonio Castellani, figlio di contadini in un sud premoderno, dove la vita o la morte di un animale può significare la vita o la morte di un'intera famiglia. Antonio ha soli dieci anni quando una notte il destino decide che deve diventare grande. E ai tempi della giovane Aida, può capitare di diventare grandi anche per la nascita di un vitello, o per la corsa notturna attraverso il bosco, o per l'addio ad un nonno che ci chiede di non dimenticare le nostre origini.
L'Italia contadina Cutoli, settembre 1956 «Sei grande, Antonio. Hai dieci anni, ormai sei un ometto» gli disse il nonno dopo averlo chiamato a sé, dal letto in cui giaceva da oltre un mese. «Io sto per morire…» Antonio versò subito la prima lacrima, «…e tu devi farmi una promessa». Nonno Vittorio tossì forte, poi proseguì: «Prometti a tuo nonno che non abbandonerai mai la terra». Antonio aveva smesso di guardarlo. Ora guardava il pavimento, chiazzato dalle sue lacrime. «La terra dà da mangiare, agli animali e alle persone. Ricordatelo sempre, Antonio. La terra ci dà il pane. Il resto sono chiacchiere. È sempre stato così, non credere ad altro». Antonio ormai singhiozzava forte. «Non piangere, Antonio, non piangere e guardami». Antonio provò a calmarsi, alzò gli occhi e guardò il nonno: sorrideva, e il suo volto era sereno. «Prometti?». E Antonio, che era già grande, si asciugò le lacrime e promise.
RACCORDO dopo Italia contadina (lettura)
Antonio Castellani ha promesso ed è diventato grande. E quella promessa non la dimenticherà mai, nemmeno quando si ritrova lontano da casa, a Roma, a studiare all’università. Lui, figlio di contadini, ha la possibilità di riscattare la sua famiglia e dimostrare che anche i cosiddetti cafoni hanno talento. Quando arriva all’università, Roma è in subbuglio. Gli studenti occupano le facoltà, sfidano l’autorità, sognano la rivoluzione. Quando Antonio Castellani arriva a Roma, c’è il ’68 ad aspettarlo e non perde l’occasione. Occupa, sfida e sogna anche lui. E con lui un grande amico, Carlo, e un grande amore, Silvia. Ma anche i sogni migliori possono infrangersi, soprattutto se ci si accorge che la rivoluzione è tradita dagli stessi rivoluzionari.
1968 Roma, estate 1968 - Devi piantarla di fare il prete, Antonio. La tua morale è disfattista. Stiamo facendo la rivoluzione, mica giocando a dama! Antonio rimase in silenzio. Guardò fisso davanti a sé, mentre il dito indice faceva disegni a caso sulla sabbia. Il mare di Ostia era una tavola d’olio, quella mattina del giugno ‘68. - Hai presente Gianni Romedio, il maoista? - Sì, ha finito da qualche settimana, se non sbaglio. - Esatto. Ha passato, in una sola sessione, una decina di esami, a colpi di “voto politico”. E poi si è laureato. Era parcheggiato a Lettere da sei anni. Adesso fa l’assistente del professore… Rimasero entrambi in silenzio, per qualche secondo, guardando il mare. - È questa la nostra rivoluzione, Carlo? Carlo non rispose. Si alzò e andò a tuffarsi in acqua. Era fredda. “Abolite il dettaglio, utilizzate l’orgasmo”. Era un altro slogan di quel periodo. A Silvia, manco a dirlo, piaceva un mondo. - … capisci quello che intendo dire, Silvia? Tutto questo settarismo non ha senso! Nasconde una chiusura mentale che fa a botte con l’apertura che noi studenti diciamo di voler portare nella società… Silvia continuò ad armeggiare coi suoi dischi, senza rispondere. - Pensa che oggi, fuori dalla Facoltà, mi si è avvicinato un tizio, che non avevo mai visto, e mi ha chiesto da accendere. Poco dopo, è venuto da me Franco Malerba - hai presente? quello di Potere Operaio - che ci mancava poco che mi prendesse a schiaffi! “Ma non lo sai che quello parla coi fasci?”, mi ha domandato furioso. “Che cazzo ti viene in mente di dargli da accendere? A quelli sì che bisogna dargli fuoco, ma in un altro senso…”. Ti rendi conto, a che punto siamo arrivati, Silvia? Lei lo aveva a mala pena ascoltato. Annuì distrattamente, mentre metteva nel giradischi “Satisfaction” degli Stones. Antonio sapeva benissimo cosa voleva Silvia quando metteva su quel disco. “Abolite il dettaglio, utilizzate l’orgasmo”. Quel pomeriggio, mentre ci stava arrivando, all’orgasmo, Antonio dubitò che forse, con Silvia, aveva abolito qualche dettaglio di troppo. Ma poi l’orgasmo arrivò, e si portò via il dubbio. Solo un dettaglio, pure quello.
RACCORDO dopo 1968 (lettura)
Antonio, quando si accorge di aver perso di vista qualche dettaglio di troppo, scopre di non credere più a molte cose. Non crede più all’amicizia. Non crede più alla rivoluzione. Non crede più nemmeno all’amore. Quando alla fine degli anni Settanta Aida è pronta a lanciarsi verso il grande riflusso, Antonio lascia Roma per andare nella Milano da bere a fare l’avvocato, sempre sul crinale tra il lecito e l’illecito. E in quel momento smette di pensare e comincia a non credere più a nulla.
RACCORDO dopo Non crederò (canzone)
Gli anni Ottanta corrono veloci, senza freni, senza pudori. E Antonio corre con loro. Poi, quando la caduta di un muro sta per cambiare la storia, un urlo del passato lo richiama a Roma, ancora una volta. E lì, il dolore lo costringe a recuperare i dettagli. Lascia il lavoro da avvocato, rinnega il suo recente passato, per svolgere finalmente la professione che ha sempre amato: il giornalista. Scrive per un settimanale d’inchiesta e tocca a lui, per fortuna o per dannazione, il compito di fare luce sui marciumi della vecchia Aida, sulle tangenti, sui rapporti tra mafia e servizi segreti, sulle stragi di Stato. E tutto comincia grazie ad un fascista. E al suo desiderio di vendetta. Tutto comincia con Pierluigi Ravasio.
Gladio Cremona, 30 ottobre 1989 - Quello che le dirò glielo dico perché ne ho piene le palle. Ravasio lasciò perdere i convenevoli ed arrivò subito al dunque. - Mi hanno rotto i coglioni. Nessuno di quelli che siedono in Parlamento, oggi in Italia, può dirsi di destra senza raccontare una gran stronzata. Il Movimento Sociale è una caricatura del passato. Pensano solo alla poltrona, pure loro. Adesso mi hanno proprio rotto i coglioni! Un fascista. Ravasio era un fascista duro e puro. - Per tradizione familiare. Mio padre è stato un repubblichino ed un carabiniere paracadutista. E io ne ho seguito le orme. Con orgoglio. Insomma, cosa voleva da lui un fascista? - Voglio togliermi qualche sassolino dalla scarpa. Voglio sputtanare quelle mezze seghe dei servizi segreti. Pensavo che almeno da loro si potesse lavorare senza condizionamenti. E invece anche lì era un continuo “questo non si può fare”, “bisogna avere pazienza”, “il tempo dell’azione arriverà”, e cazzate simili. Ho aspettato per anni di entrare in azione, e intanto i rossi e i preti si prendevano l’Italia. Che merda. Cominciò a pensare di aver fatto un viaggio a vuoto. Quell’uomo non gli sembrava altro che un pazzo mitomane. Quando Ravasio gli chiese di seguirlo a casa sua, poiché quello era un luogo troppo affollato per parlare, Antonio si rifiutò. Non c’era motivo di spostarsi, gli disse. Che gli raccontasse lì, in pubblico, quello che aveva da raccontare. Ma poi cambiò subito idea, non tanto per lo sguardo minaccioso di Ravasio, quanto per la pistola che l’uomo gli fece intravedere da sotto il cappotto.
RACCORDO dopo Gladio (lettura)
Mentre Antonio Castellani cerca di svelare i retroscena drammatici della storia della vecchia Aida, qualcuno ‐ nell’ombra ‐ ha deciso che è tempo che nasca una nuova Aida. Il caos deve emergere per riportare un nuovo ordine. E’ ormai tempo ‐ per qualcuno ‐ che il vecchio potere venga spazzato via, per lasciare finalmente spazio a quello nuovo.
Potere nuovo Località sconosciuta, metà maggio 1992 Il mare calmo aveva avuto il solito effetto ipnotico su di lui. Lo stava fissando ormai da più di un’ora, attraverso la vetrata. Immobile, nel suo studio, seduto di spalle alla scrivania. Igor accucciato per terra, al suo fianco. Razza fedele, il dobermann. Razza superiore. Frutto di un’accurata selezione, effettuata circa un secolo prima in Germania, per arrivare ad ottenere un esemplare in cui spiccassero qualità, coraggio e resistenza. Peccato che non si potesse farlo anche con gli uomini. Lo accarezzò sul manto morbido, senza staccare gli occhi dall’acqua. Quando era calmo, piatto come una tavola da biliardo, il mare aveva il potere di rilassarlo totalmente. Gli ricordava l’ordine. E lui amava l’ordine. Più di ogni altra cosa. Ma sapeva pure che non sempre era possibile mantenerlo. Il potere non si poteva sempre spartire. Un po’ a te, un po’ a me: tutti contenti, tutto in ordine. Ci aveva provato. Ma non gli era andata bene. Il vecchio potere era troppo logoro per resistere ancora. Stava per essere travolto, i segnali già si vedevano, da più parti. Tangentopoli l'avrebbe presto spazzato via. Era un malato terminale. Inutile provare ancora a tenerlo in vita. Bisognava accettarlo: il vuoto di potere era arrivato. All’ordine doveva ora seguire, per forza di cose, il disordine. Perché un nuovo potere emergesse, e l’ordine potesse ritornare, ancora una volta.
RACCORDO dopo Potere nuovo (lettura)
All’inizio degli anni Novanta, la vecchia Aida è logora e ferita a morte. Qualcuno – nell’ombra – ha deciso che è tempo di cambiare. Servono nuovi volti, nuovi slogan, nuovi leader. Tutto deve mutare, affinché non muti nulla. Aida, ormai, è diventata grande.
RACCORDO dopo Aida adesso è grande (canzone)
Il 17 febbraio 1992 a Milano viene arrestato il socialista Mario Chiesa ed esplode la rivoluzione di Tangentopoli. Mentre in tutta Italia si attende con trepidazione il cambiamento, mentre Antonio Castellani sta indagando sui misteri di Aida, nel piccolo paese di Gazzolino, due amici – Simone e Roberto – si illudono che anche lì, in Trentino, la storia possa cambiare. Il 17 febbario 1992, Simone e Roberto, danno avvio all’avventura del Gruppo, un’associazione giovanile che ha l’opportunità di lasciare il segno. Sempre che le rigide ideologie e i vecchi poteri lo permettano.
Nasce il Gruppo - Lunedì 17 febbraio 1992. Ricordatevela bene questa data. Da oggi la nostra vita cambierà. Da oggi certe abitudini dovranno per forza mutare e non ci sarà più la possibilità di dire “non lo sapevamo”. Da oggi la scena sociale del nostro paese verrà travolta da un vento nuovo, un vento di libertà e trasformazione. Un vento che scuoterà le nostre coscienze e spazzerà via il vecchiume di certe abitudini consolidate, nelle quali regnavano solo il silenzio e la conservazione dell’esistente. Oggi si apre un sogno e a noi, proprio a noi, viene concessa la possibilità di avere uno spazio nuovo nel quale possa manifestarsi la nostra sete di cambiamento e la nostra forza di radicamento sociale e comunitario. In questa realtà non vi sarà posto per l’egoismo solipsistico degli interessi privati e del tornaconto dei soliti noti. Oggi ci appropriamo di uno spazio pubblico che noi trasformeremo in modo collettivo in bene pubblico. E’ finita un’epoca. Se ne apre un’altra. E noi ne siamo, e ne saremo, i soli, veri, originari protagonisti. La solita incomprensibile retorica comunista, pensò Simone, schiacciando al suolo un sorriso ironico per non farsi vedere dall’amico. Anzi, dal “compagno” Roberto, che rosso in volto vicino a lui stava arringando una folla di una cinquantina di giovani dagli sguardi smarriti e perplessi. Era la prima volta, da decenni, che un discreto numero di ragazzi e ragazze di Gazzolino si ritrovava insieme per parlare e progettare in comune la gestione di uno spazio tutto loro. Una data importante, senza dubbio, quel 17 febbraio. E molto lo si doveva a lui, Simone Galassi, 23 anni, panettiere. Lo sapevano quei ragazzi, scamiciati nonostante la stagione, che la novità passava per la voce e la volontà di Simone il panettiere, di quel giovane dalla barba di due giorni e dai capelli scuri che si attorcigliavano sulla fronte, rincorrendosi in scomposti riccioli ribelli. Era stato lui a farsi portavoce delle loro istanze presso l’intero Consiglio Comunale. E non era stato affatto facile. La politica era una bestia difficile da domare. Ma lui sembrava avercela fatta. Ora, i ricordi del passato frullavano scomposti nella sua mente, mentre un centinaio di occhi aspettava l'intervento finale. La bocca era secca e avrebbe pagato qualsiasi cifra per un sorso d’acqua. Si alzò in piedi, ringraziò tutti per la partecipazione e comunicò i membri nominati nel direttivo della neonata associazione giovanile “Il gruppo”, che su concessione del Comune avrebbe potuto riunirsi regolarmente presso uno stabile abbandonato, a fianco della caserma dei carabinieri.
RACCORDO dopo Nasce il Gruppo (lettura)
Strana combinazione. Un giorno Simone legge un articolo di un giornalista ‐ un certo Antonio Castellani – che denuncia la spartizione d’Italia tra la mafia e il potere nuovo. Strana combinazione. Ma a Simone quell’articolo fa sorgere un sospetto. Che anche il suo Gruppo sia vittima di una spartizione. Che non sia davvero libero di cambiare la vecchia logica dominante nel paese di Gazzolino. E’ giunto il momento, per Simone e gli altri membri del Gruppo, di aprire gli occhi.
Spartizione Gazzolino, 23 marzo 1992 - Ma non capite? Non vi dice nulla la parola “spartizione”? Lo scrive chiaramente… come si chiama?… il giornalista… Antonio Castellani! Lo ha detto senza mezzi termini: tutti spartiscono, vecchie volpi e giovani rampanti, politici del nord e mafiosi del sud. Capite? La Lega, cazzo, la Lega vuole vendere mezza Italia alla mafia! - Dai, Simone, lo dice quel tipo lì! Che ne sai tu? - Aspetta, ragioniamo un attimo. Non so se tutto quello che dice questo Castellani è vero. Fatto sta che in Italia non si muove nulla senza il consenso dei partiti e degli amici degli amici… Gli altri rimasero in attesa per vedere dove volesse andare a parare. - … e quelli che comandano sono tutti, o quasi, “amici”. […] La torta è grande e una fetta non si nega a nessuno. Avete presente gli animali? Se c’è cibo per tutti non si scannano, si accordano. Così hanno fatto i partiti tra loro. Così vuol fare la Lega con la mafia, secondo Castellani. Così fanno tutti, compresi i “nostri”. Era venuto per Simone il momento di svelare le carte. - Guardiamoci in faccia! Ognuno è qui, in questo direttivo, perché qualcun altro ha voluto che ci fosse. Sulle sedie qualcuno cominciò ad agitarsi. Simone modulò la voce e continuò: - Qualcuno ha trasformato la nostra associazione in una bella torta e ha proceduto con la spartizione, come sempre. […] Noi siamo soltanto gli inconsapevoli rappresentanti degli “amici”. Loro ci usano, per dimostrare che in paese non si può far nulla senza il loro consenso. […] Appena c’è qualcosa, scatta la spartizione. Così tutti sono contenti e nessuno rompe. Perché a fare la spartizione sono sempre loro, i soliti noti. E li trovi ovunque. Dalla commissione edilizia alla società sportiva, dalla banda musicale al nostro gruppo. - Ma questa è mafia! Cazzo, Simone, li stai accusando di essere mafiosi! - In un certo senso… Diciamo che sono mafiosi senza lupara. Dei mafiosi a parole…
RACCORDO dopo Spartizione (lettura)
I ragazzi del Gruppo avrebbero potuto mollare. Avrebbero potuto decidere di lasciar perdere, di non sfidare i poteri di Gazzolino. E invece decidono di andare controcorrente. Di non rinunciare. In modo da poter dire “noi ci siamo”. Noi siamo ancora qua.
RACCORDO dopo Ancora qua (canzone)
Per resistere, i ragazzi del Gruppo hanno bisogno di esempi. Non di eroi. Di anti‐eroi, in caso. Come Maurizio Pedotti. Un giornalista che, al culmine di una malattia che lo sta uccidendo, scrive una lettera che sembra proprio rivolta a loro.
Giornalismo d'inchiesta Sono un giornalista. Ho guardato il mondo con gli occhi di un giornalista e ho cercato di descriverlo. Ho visto l’Italia del ’68 e quella delle stragi. Ho visto l’Italia in mano ai furbi e ai leccapiedi, ai saltimbanco e ai mafiosi. Per questo ho sempre amato la provincia. Perché credevo che questi loschi individui, da noi, non ci fossero. Perché ho sempre creduto che qui la vita lenta della campagna e dei boschi facesse bene alla mente e la tenesse sgombera da quegli spettri. Mi sbagliavo. In provincia quegli spettri ci sono, forse più opachi, meno vistosi, ma ci sono. La gente che incontro per la strada è convinta di condividere la stessa vita. Si sbaglia. Perché c’è un’altra vita, un altro mondo. Un livello superiore, anche se l’immagine non mi piace. E’ un mondo popolato da uomini che sotto, nella vita nostra, si camuffa, si traveste per celare il proprio vero volto. Che è quello del potere. Il potere non è qualcosa di metafisico. Il potere è la gestione privata degli affari di tutti, è la possibilità di sapere ciò che gli altri non sanno, è il privilegio di cadere sempre in piedi qualunque terremoto arrivi, è l’opportunità di decidere secondo regole che chiunque sia fuori ignora e non capirà mai. E chi vive in questo mondo parallelo non ha colore che lo distingua dagli altri. Il potere non ha colore. I colori servono per noi che viviamo sotto, nella vita “normale”. Sopra, non esistono. Capisci, Alfredo, perché adesso che sento che la vita mi sta abbandonando compiango la mia sconfitta? Troppe volte ho finto che la vita fosse uguale, per tutti. Mi illudevo, sbagliavo, dimenticavo. Si commettono tanti errori nel corso della propria esistenza e sarebbe imperdonabile arrivare in fondo senza ammetterlo e cercare un qualche rimedio. Ci provo. Mi hai sempre detto con ammirazione che sono un cane sciolto perché mordo il potere e non devo rendere conto a nessuno. Troppo buono, non me lo merito. Sono consapevole, invece, di quanto avrei potuto fare di più se solo fossi stato fino in fondo un cane sciolto. Sai, a volte manca il coraggio, purtroppo. Tuttavia, in questi giorni o mesi che ancora mi restano ho solo una speranza. Che qualcuno si svegli prima di me e abbia la forza che mi è mancata. Per costruire qualcosa di originale, che non nasconda secondi fini, che scuota le persone, oltre le spartizioni. Per mostrare anche al nostro paese che nessuno ha diritto di dire “non sono affari tuoi”. Il potere vive sul silenzio. E chi tace, ha torto. Sempre.
RACCORDO dopo Giornalismo d’inchiesta (lettura)
Maurizio Pedotti sapeva fare il suo mestiere. Come tanti altri giornalisti, che spesso hanno pagato con la vita la loro sete di giustizia. Come ci ha insegnato Ilaria Alpi.
RACCORDO dopo Ilaria (canzone)
Il Gruppo dei ragazzi di Gazzolino ha molte anime. Una di loro, Massimo, è l’esempio di chi sta cercando una direzione, per non soffocare nell’ipocrisia di una società ricca e apatica. Massimo siamo tutti noi, quando ci guardiamo allo specchio e chi chiediamo chi siamo. E per capirlo, può servire anche un’influenza. D’ottobre.
Influenza d’ottobre Il nostro cane non mi riconosce più… Venditti. Ricordi di infanzia. In bocca quel gusto inconfondibile di latte con i frollini sbriciolati. I Rigoli del Mulino Bianco, quelli al miele. La lingua di Massimo, nonostante la patina bianca della convalescenza, si inumidì assaporando un gusto antico, che da troppo tempo mancava. Ricordi di un’infanzia spensierata, quando la madre, prima di mandarlo a scuola, gli preparava il latte nel piatto, quello fondo di nonna decorato d’azzurro, e gli faceva ascoltare la solita cassetta: Sotto la pioggia di Venditti. Che per lui divenne la colonna sonora del latte e biscotti. Cerco le chiavi di casa, questa non è casa mia, più mia… Sarebbe rimasto in quella casa per sempre? A volte si ritrovava a pensare che da lì non se ne sarebbe più andato. Se non con un colpo da maestro. Quello che però gli era sempre mancato. Scrollò il capo. Si alzò dal letto, nonostante la testa gli girasse leggermente. Brutta influenza. Di ottobre, poi. Se fosse stato per lui sarebbe rimasto fuori in mezzo ai profumi d’autunno a farsela passare, ma il medico gli aveva intimato di rimanere chiuso, al caldo. E così si era ridotto a vagabondare per una camera invasa dai libri di Fisica 1. Sì, brutta influenza, di ottobre. …i libri, quelli li ho portati via… Buona sessione di esami, a settembre. Eppure i successi universitari non lo gratificavano molto. Se li lasciava piovere addosso, con un sorriso come si conviene, e nulla più. Sarebbe stato un ottimo… ma cosa? Tutti intorno a dirgli “bravo” perché lui el tàse e laòra, tace e lavora, nel pieno rispetto della tradizione trentina. Affanculo anche il Trentino e quella terra di straccioni vestiti a festa. Ipocriti. Il sangue della sua terra gli scorreva impetuoso nelle vene e proprio per questo suo straordinario attaccamento ad ogni singola foglia, buccia o goccia, si sentiva in diritto di provare un vago disprezzo per quell’umanità che l’abitava. Gente che aveva perso l’umiltà degli antichi e che non aveva ancora raggiunto l’apertura mentale dei moderni. Gente di mezzo, insomma, vigliacca come la servitù tirolese e infida come i papponi veneziani. Si chinò per raccogliere un foglio caduto per terra. Brutta influenza, di ottobre. …scopare bene, scopare bene, questa è la prima cosa… Donne. Ma con quella tipa, alla fine, c’era andato o no? Perché lui, di quella sera in riva al mare, ricordava solo le solite canzoni suonate con la chitarra e poi… poi un braccio intorno alle spalle ed un viso che gli si era accoccolato in grembo, al ritmo delle onde. Veloce riavvolgimento del nastro. Nessuna speranza che la musica prosegua all’infinito. Una cassetta arriva sempre in fondo, al “clac” che ti fa alzare perché ovviamente ti sei dimenticato di mettere l’auto-reverse. Ci si dimentica sempre qualcosa. Segno che non si è scopato bene. Sì, brutta influenza, di ottobre.
RACCORDO dopo Influenza d’ottobre (lettura)
Massimo è alla ricerca di un senso. E’ in attesa di una risposta, dell'arrivo di qualcuno. E ricorda molto un viaggiatore che sogna di fermarsi per sempre in un porto, ma che non smette di navigare. Massimo ricorda molto Ulisse, in attesa di Godot.
RACCORDO dopo Ulisse aspetta Godot (canzone)
La musica per i ragazzi del Gruppo è fondamentale. Aiuta ad esprimere quelle emozioni che altrimenti rimarrebbero imprigionate nel profondo dell’anima. E magari aiuta anche a raccontare la storia dei primi quarant’anni del proprio Paese. Come accadde nel maggio del 1992, quando una band sconosciuta si trovò per caso a suonare in mezzo ai ragazzi di Gazzolino. Quella band si chiamava Modena City Ramblers e da quel 1992 avrebbe fatto poi molta strada. Fino a condividere, sul palco, voce e melodia con Milo Brugnara. [poi scende a distribuire la poesia]
RACCORDO dopo 40 anni (canzone)
La vecchia Aida era corrosa dal male delle stragi e della corruzione. La giovane Aida ne ripercorre fedelmente i passi. A cominciare dalla Sicilia, dove l’esplosivo toglie di mezzo chi non sa proprio farsi gli affari suoi. Come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Capaci Gazzolino, 23 maggio 1992 In sede era calato un silenzio spettrale. Tutti gli occhi erano puntati sul vecchio Telefunken portato da Roberto. La storia scorreva nelle immagini del telegiornale, in diretta da Palermo. Un quantitativo enorme di esplosivo. Un’autostrada divelta. Tre Croma saltate in aria. Sangue. Morti. Il giudice Giovanni Falcone e sua moglie. Gli agenti della scorta. Una strage. Il Telefunken trasmetteva impietoso quell’eccidio. Nessuno sapeva cosa dire. Nessuno era in grado di realizzare che cosa fosse successo. Anche se avevano capito che la mafia si era sbarazzata di un giudice scomodo. Forse il più scomodo. Ma che cosa si nascondesse dietro quella mattanza, che cosa significasse questo per il Paese in cui vivevano, loro non riuscivano ad immaginarlo. Cinque volti vitrei. Simone, Chiara, Massimo, Diego, Roberto. Cinque sguardi attoniti. Fuori dalla sede venne affisso un cartello con scritto “chiuso per lutto”. Massimo aveva recuperato da casa un vecchio lenzuolo e con gli altri aveva scritto “Il Gruppo non dimentica. Ora e sempre contro la mafia”. Poi insieme l’avevano appeso alla parete esterna della sede, sul lato più visibile dalla strada. Era il minimo che potessero fare.
Via D’Amelio Gazzolino, 19 luglio 1992 “…un’autobomba è esplosa poco prima delle 17 in via D’Amelio a Palermo…”. Tutti si zittirono improvvisamente e si girarono di scatto verso [il vecchio Telefunken], che proseguiva nella fredda cronaca. “…ci sono diverse vittime tra cui, a quanto pare, il noto magistrato Paolo Borsellino, amico e collega del giudice Giovanni Falcone, anche lui rimasto vittima poco meno di due mesi fa di un terribile attentato nei pressi dell’uscita autostradale di Capaci. Per ora non siamo in grado di darvi ulteriori informazioni…”. Silenzio. Nessuno aveva più voglia di parlare. Dopo Falcone, era toccato a Borsellino. I due magistrati simbolo della lotta alla mafia erano stati polverizzati dall’esplosivo, uno dopo l’altro, in meno di due mesi. Caterina scoppiò a piangere. Elisa cercò di consolarla, ma anche a lei gli occhi brillavano di lacrime. Nemmeno Roberto era in grado di esprimere il suo dolore. Riuscì solo a soffiare a denti stretti: - Bastardi… La sede rimase illuminata fin dopo le 22, quella sera. Si decise di dare un altro segnale, esponendo un nuovo striscione vicino a quello già appeso dopo la strage di Capaci. Era un lenzuolo giallo sul quale, in caratteri rossi, venne impressa un’unica parola, sintesi inequivocabile di quel giorno drammatico: “Resistenza!”.
RACCORDO dopo Capaci (lettura) Il 1992 è un anno di sangue. Ma il peggio deve ancora arrivare. Il 1993 è l’anno delle stragi di Firenze, Roma e Milano. 10 morti, molti feriti e tanta paura. Come quella raccontata al suo diario da Caterina, la più giovane ragazzina del Gruppo, che non riesce a capire cosa stia accadendo. Capisce solo che il potere sta in piedi sul sangue. Anche quello di Nadia, una bambina di soli 9 anni, che abitava in via dei Georgofili.
Firenze Gazzolino, 2 giugno 1993 Caro diario, Pochi giorni fa è successo qualcosa che mi ha tolto il fiato. A Firenze, in via dei Georgofili, è scoppiata una bomba. Dicono che l’abbia messa la mafia. Ha distrutto palazzi e opere d’arte preziosissime e, soprattutto, ha ucciso cinque persone. Perché la mafia lo abbia fatto non lo capisco. Non ho mai letto così tanti giornali come in questi giorni, ma ancora non riesco a capire. Ho chiesto alla mamma e al papà ma anche loro non hanno saputo che dirmi. Sono spaventati, mi dicono che è un brutto periodo questo. Ma perché? Ho letto su un libro una frase stupenda: “il futuro è dei puri di cuore con le mani sporche di terra”. E' un’immagine bellissima. Anch’io voglio essere pura di cuore con le mani sporche di terra. E di polvere e di tutto quello che c’è in questo mondo. Perché io voglio cambiarlo questo mondo. Perché non posso più pensare che continuino a morire persone innocenti solo perché alcuni hanno deciso che il potere deve stare in piedi sul sangue. Non posso più scrivere, caro diario. Non piangere, l’ho già fatto io tante volte, anche per te. Non posso più scrivere perché le parole mi sembrano foglie nel vento in questi momenti. Ho bisogno di impegnarmi, di sporcarmi le mani di terra e di polvere. Il Gruppo mi aiuterà a cambiare il mondo. Lo so. Non so quando lo faremo, ma un giorno accadrà. E allora tornerò a scriverti. Per dirti che ce l’abbiamo fatta. Prima di salutarci, però, voglio lasciarti un regalo, come si fa con gli amici. E’ una poesia. L’ha scritta una delle bambine morte nella strage di Firenze, Nadia, anche se aveva solo nove anni. Si intitola “Il tramonto”. Il pomeriggio se ne va il tramonto si avvicina, un momento stupendo. Il sole sta andando via (a letto). E’ già sera, tutto è finito. Nadia aveva il cuore puro e magari anche le mani sporche di terra. Ed io? Caro diario non ti abbandono, perché so che ci rivedremo di nuovo. Nel bene o nel male, dipende. Ma ci rivedremo. Un abbraccio, Cate
RACCORDO dopo Diario Cate (lettura) Il potere nuovo è arrivato. Nessuno osa metterlo in discussione. Antonio Castellani si ferma. Smette di inseguire i misteri d'Italia, sconfitto da chi trama nell’ombra. Anche i ragazzi del Gruppo si perdono per strada, disillusi. Il secolo volge al termine. Sempre più sbiadito. Finché nel luglio del 2001, capita a tutti loro una nuova occasione. Antonio, Simone, Roberto, Caterina e tanti altri recuperano la speranza. Quella speranza la condividono a Genova, con milioni di persone arrivate lì per gridare ai capi di Stato del G8 che un altro mondo è possibile. Che la democrazia, quella vera, non si chiude dentro una zona rossa protetta dall’esercito. Nel luglio del 2001 quelle persone sperano in una nuova Resistenza. E se tra loro ci fosse stato un vecchio partigiano, avrebbe ricordato il suo sacrificio per liberare l'Italia. E queste – probabilmente – sarebbero state le sue parole.
RACCORDO dopo Il testamento di Johnny (canzone) Il 22 luglio del 2001, il G8 è già finito. Il 22 luglio del 2001, chi ha creduto in una nuova resistenza è già tornato a casa. Oppure è in galera. O all’ospedale. Uno è all’obitorio. Il 22 luglio del 2001 chissà dove si trovano Antonio e i ragazzi del Gruppo. E chissà se si ricordano le parole della poesia di Nadia. Il 22 luglio del 2001, se qualcuno dall’alto avesse osservato Genova, avrebbe capito solo che il sole era tramontato. Per tutto il resto non c’era più tempo.
Post epilogo Genova, 22 luglio 2001, tarda sera Vista dall’alto, Genova sembra riposare in una luce sinistra. Un rossore la pervade tutta, come se la sua naturale pudicizia si fosse un poco offesa. I rumori, le grida, gli spari sono echi lontani. Rimasti, al più, nei volti insanguinati o nei nastri registrati. Ma anche quelli non ci sono più. Distanti. La città è ancora bella dall’alto, nonostante tutto. Il fumo, diradandosi, lascia agli sguardi innocenti le fioche luci dei lampioni, appena accesi. Sembra un animale ferito che orgogliosamente si pone su un fianco, per rivedere le stelle e lasciarsi accarezzare, ancora una volta. E poi per sempre chiude gli occhi nella serenità eterna. Il mare lenisce il suo dolore, sfiorando le sponde antiche, memori di navigatori e guerrieri. Allora, come oggi. E come se nulla fosse successo le correnti spingono gocce, miliardi di gocce trasparenti, verso la vecchia lanterna, per giocare a rimpiattino le une con le altre. La zona rossa se la porteranno via il tempo e le braccia dei netturbini. Il resto rimarrà, in quella luce sinistra del tramonto avanzato, per coprirsi nuovamente di aria e di cielo. Accompagnando i rumori alla porta, come si fa con gli ospiti molesti. Perché la città comincia ad avere sonno e le palpebre si fanno sempre più pesanti. Il vecchio animale si è addormentato. Non sembra più così ferito. Lo sguardo severo si addolcisce lentamente e le membra si sciolgono nell’abbraccio corroborante dell’estate. Gli alberi troneggiano nell’ombra con le loro chiome. Degli uomini, delle azioni, delle idee, poco importa ormai. Granelli di polvere agitati in disegni e parabole multiformi. E destinati a scivolare via. Come sempre. Genova, dall’alto. Che cosa avrebbe pensato Nadia, vedendola? “È già sera, tutto è finito”.
Baci & abbracci Giunti in fondo a questo viaggio, desideriamo ricordare chi ci ha tenuto compagnia A partire da Antonio, Simone, Roberto, Massimo, Caterina e tutti i loro amici, usciti dal romanzo “E’ già sera, tutto è finito”, che ha ispirato questo spettacolo. Per proseguire con Rino Gaetano e i Modena City Ramblers, che ci hanno regalato due loro canzoni. E, soprattutto, concludere con: la fisarmonica di Andrea Robol la voce, la chitarra, l'armonica e la creatività di Milo Brugnara le parole e i testi di Marco Niro e Mattia Maistri, alias Tersite Rossi Desideriamo dedicare questo spettacolo a tutti gli antieroi che vivono in modo quasi clandestino e non sono ancora stanchi di cercare una nuova alba. E per ricordarlo vi dedichiamo un'ultima canzone. Grazie a tutti voi e buona strada