L'Italia ai tempi di Antonio

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Intro (con sottofondo Aida)

Orale

Aida (Rino Gaetano)

Musica

Raccordo

Orale

Italia contadina

Lettura

Raccordo

Orale

1968

Lettura

Raccordo

Orale

Non crederò

Musica

Raccordo

Orale

Gladio

Lettura

Raccordo

Orale

Potere nuovo

Lettura

Raccordo

Orale

Aida è adesso grande

Musica

Raccordo

Orale

Nasce il Gruppo

Lettura

Raccordo

Orale

Spartizione

Lettura

Raccordo

Orale

Ancora qua

Musica

Raccordo

Orale

Il giornalismo d'inchiesta

Lettura

Raccordo

Orale

Ilaria

Musica

Raccordo

Orale

Brutta influenza d'ottobre

Lettura

Raccordo

Orale

Ulisse aspetta Godot

Musica

Raccordo (con distribuzione poesia)

Orale

40 anni (modena city ramblers)

Musica

Raccordo

Orale

Capaci

Lettura

Via d'Amelio

Lettura

Raccordo

Orale

Diario di Caterina

Lettura

Raccordo

Orale

Il testamento di Johnny

Musica

Raccordo

Orale

Post epilogo

Lettura

E' già sera, tutto è finito

Musica

Baci&Abbracci

Orale

L'Italia ai tempi di Antonio spettacolo di parole e note di Tersite Rossi, Milo Brugnara e Andrea Robol ispirato al romanzo “È già sera, tutto è finito” di Tersite Rossi con Tersite Rossi (parole) Milo Brugnara e Andrea Robol (note)


Intro Provate a immaginare una sera d'estate: 2 scrittori con in tasca il loro primo romanzo, e 1 cantautore che ha tra le dita l'arte di far sognare. Ora immaginate che i 2 scrittori e il cantautore si incontrino per caso, o per destino, e scoprano di aver cercato, con un libro e con le canzoni, di raccontare una storia. La stessa, identica, storia. La storia dell'Italia degli ultimi 60 anni. Un'Italia popolata da eroi, al potere, e da antieroi, disprezzati dal potere. Immaginate, poi, che i 2 scrittori e il cantautore si innamorino di questi ultimi, degli antieroi, degli eterni sconfitti, e che attraverso i loro occhi abbiano deciso di intraprendere un viaggio, di musica e parole. Un viaggio che, oggi, vogliamo fare assieme a voi. Un viaggio che comincia in un piccolo borgo del meridione, negli anni '50, con un bambino di nome Antonio, figlio di contadini, che un bel giorno scopre cosa significa diventare grande. E un viaggio, che prosegue sulla note di un Paese, che molti si ostinano a chiamare Italia, ma che forse sarebbe pi첫 opportuno chiamare Aida.


RACCORDO
dopo
Aida
(canzone)
 
 
 Questa
storia
comincia
con
la
nascita
dell'Italia
repubblicana,
l'Aida
cantata
da
 Rino
Gaetano.

 
 E
 con
 Aida
 nasce
 anche
 Antonio
 Castellani,
 figlio
 di
 contadini
 in
 un
 sud
 premoderno,
dove
la
vita
o
la
morte
di
un
animale
può
significare
la
vita
o
la
 morte
di
un'intera
famiglia.
 
 Antonio
 ha
 soli
 dieci
 anni
 quando
 una
 notte
 il
 destino
 decide
 che
 deve
 diventare
grande.

 
 E
 ai
 tempi
 della
 giovane
 Aida,
 può
 capitare
 di
 diventare
 grandi
 anche
 per
 la
 nascita
di
un
vitello,
o
per
la
corsa
notturna
attraverso
il
bosco,
o
per
l'addio
ad
 un
nonno
che
ci
chiede
di
non
dimenticare
le
nostre
origini.


L'Italia contadina Cutoli, settembre 1956 «Sei grande, Antonio. Hai dieci anni, ormai sei un ometto» gli disse il nonno dopo averlo chiamato a sé, dal letto in cui giaceva da oltre un mese. «Io sto per morire…» Antonio versò subito la prima lacrima, «…e tu devi farmi una promessa». Nonno Vittorio tossì forte, poi proseguì: «Prometti a tuo nonno che non abbandonerai mai la terra». Antonio aveva smesso di guardarlo. Ora guardava il pavimento, chiazzato dalle sue lacrime. «La terra dà da mangiare, agli animali e alle persone. Ricordatelo sempre, Antonio. La terra ci dà il pane. Il resto sono chiacchiere. È sempre stato così, non credere ad altro». Antonio ormai singhiozzava forte. «Non piangere, Antonio, non piangere e guardami». Antonio provò a calmarsi, alzò gli occhi e guardò il nonno: sorrideva, e il suo volto era sereno. «Prometti?». E Antonio, che era già grande, si asciugò le lacrime e promise.


RACCORDO
dopo
Italia
contadina
(lettura)

Antonio
Castellani
ha
promesso
ed
è
diventato
grande.
 
 E
 quella
 promessa
 non
 la
 dimenticherà
 mai,
 nemmeno
 quando
 si
 ritrova
 lontano
da
casa,
a
Roma,
a
studiare
all’università.

 
 Lui,
figlio
di
contadini,
ha
la
possibilità
di
riscattare
la
sua
famiglia
e
dimostrare
 che
anche
i
cosiddetti
cafoni
hanno
talento.
 
 Quando
arriva
all’università,
Roma
è
in
subbuglio.

 
 Gli
studenti
occupano
le
facoltà,
sfidano
l’autorità,
sognano
la
rivoluzione.
 
 Quando
Antonio
Castellani
arriva
a
Roma,
c’è
il
’68
ad
aspettarlo
e
non
perde
 l’occasione.

 Occupa,
sfida
e
sogna
anche
lui.

 
 E
con
lui
un
grande
amico,
Carlo,
e
un
grande
amore,
Silvia.
 
 Ma
anche
i
sogni
migliori
possono
infrangersi,
soprattutto
se
ci
si
accorge
che
 la
rivoluzione
è
tradita
dagli
stessi
rivoluzionari.


1968 Roma, estate 1968 - Devi piantarla di fare il prete, Antonio. La tua morale è disfattista. Stiamo facendo la rivoluzione, mica giocando a dama! Antonio rimase in silenzio. Guardò fisso davanti a sé, mentre il dito indice faceva disegni a caso sulla sabbia. Il mare di Ostia era una tavola d’olio, quella mattina del giugno ‘68. - Hai presente Gianni Romedio, il maoista? - Sì, ha finito da qualche settimana, se non sbaglio. - Esatto. Ha passato, in una sola sessione, una decina di esami, a colpi di “voto politico”. E poi si è laureato. Era parcheggiato a Lettere da sei anni. Adesso fa l’assistente del professore… Rimasero entrambi in silenzio, per qualche secondo, guardando il mare. - È questa la nostra rivoluzione, Carlo? Carlo non rispose. Si alzò e andò a tuffarsi in acqua. Era fredda. “Abolite il dettaglio, utilizzate l’orgasmo”. Era un altro slogan di quel periodo. A Silvia, manco a dirlo, piaceva un mondo. - … capisci quello che intendo dire, Silvia? Tutto questo settarismo non ha senso! Nasconde una chiusura mentale che fa a botte con l’apertura che noi studenti diciamo di voler portare nella società… Silvia continuò ad armeggiare coi suoi dischi, senza rispondere. - Pensa che oggi, fuori dalla Facoltà, mi si è avvicinato un tizio, che non avevo mai visto, e mi ha chiesto da accendere. Poco dopo, è venuto da me Franco Malerba - hai presente? quello di Potere Operaio - che ci mancava poco che mi prendesse a schiaffi! “Ma non lo sai che quello parla coi fasci?”, mi ha domandato furioso. “Che cazzo ti viene in mente di dargli da accendere? A quelli sì che bisogna dargli fuoco, ma in un altro senso…”. Ti rendi conto, a che punto siamo arrivati, Silvia? Lei lo aveva a mala pena ascoltato. Annuì distrattamente, mentre metteva nel giradischi “Satisfaction” degli Stones. Antonio sapeva benissimo cosa voleva Silvia quando metteva su quel disco. “Abolite il dettaglio, utilizzate l’orgasmo”. Quel pomeriggio, mentre ci stava arrivando, all’orgasmo, Antonio dubitò che forse, con Silvia, aveva abolito qualche dettaglio di troppo. Ma poi l’orgasmo arrivò, e si portò via il dubbio. Solo un dettaglio, pure quello.


RACCORDO
dopo
1968
(lettura)

Antonio,
quando
si
accorge
di
aver
perso
di
vista
qualche
dettaglio
di
troppo,
 scopre
di
non
credere
più
a
molte
cose.
 
 Non
crede
più
all’amicizia.

 
 Non
crede
più
alla
rivoluzione.

 
 Non
crede
più
nemmeno
all’amore.
 
 Quando
 alla
 fine
 degli
 anni
 Settanta
 Aida
 è
 pronta
 a
 lanciarsi
 verso
 il
 grande
 riflusso,
 Antonio
 lascia
 Roma
 per
 andare
 nella
 Milano
 da
 bere
 a
 fare
 l’avvocato,
sempre
sul
crinale
tra
il
lecito
e
l’illecito.

 
 E
in
quel
momento
smette
di
pensare
e
comincia
a
non
credere
più
a
nulla.


RACCORDO
dopo
Non
crederò
(canzone)

Gli
anni
Ottanta
corrono
veloci,
senza
freni,
senza
pudori.

E
Antonio
corre
con
 loro.
 
 Poi,
 quando
 la
 caduta
 di
 un
 muro
 sta
 per
 cambiare
 la
 storia,
 un
 urlo
 del
 passato
lo
richiama
a
Roma,
ancora
una
volta.
 
 E
lì,
il
dolore
lo
costringe
a
recuperare
i
dettagli.


 
 Lascia
 il
 lavoro
 da
 avvocato,
 rinnega
 il
 suo
 recente
 passato,
 per
 svolgere
 finalmente
la
professione
che
ha
sempre
amato:
il
giornalista.

 
 Scrive
 per
 un
 settimanale
 d’inchiesta
 e
 tocca
 a
 lui,
 per
 fortuna
 o
 per
 dannazione,
 il
 compito
 di
 fare
 luce
 sui
 marciumi
 della
 vecchia
 Aida,
 sulle
 tangenti,
sui
rapporti
tra
mafia
e
servizi
segreti,
sulle
stragi
di
Stato.
 
 E
tutto
comincia
grazie
ad
un
fascista.
E
al
suo
desiderio
di
vendetta.
 
 Tutto
comincia
con
Pierluigi
Ravasio.


Gladio Cremona, 30 ottobre 1989 - Quello che le dirò glielo dico perché ne ho piene le palle. Ravasio lasciò perdere i convenevoli ed arrivò subito al dunque. - Mi hanno rotto i coglioni. Nessuno di quelli che siedono in Parlamento, oggi in Italia, può dirsi di destra senza raccontare una gran stronzata. Il Movimento Sociale è una caricatura del passato. Pensano solo alla poltrona, pure loro. Adesso mi hanno proprio rotto i coglioni! Un fascista. Ravasio era un fascista duro e puro. - Per tradizione familiare. Mio padre è stato un repubblichino ed un carabiniere paracadutista. E io ne ho seguito le orme. Con orgoglio. Insomma, cosa voleva da lui un fascista? - Voglio togliermi qualche sassolino dalla scarpa. Voglio sputtanare quelle mezze seghe dei servizi segreti. Pensavo che almeno da loro si potesse lavorare senza condizionamenti. E invece anche lì era un continuo “questo non si può fare”, “bisogna avere pazienza”, “il tempo dell’azione arriverà”, e cazzate simili. Ho aspettato per anni di entrare in azione, e intanto i rossi e i preti si prendevano l’Italia. Che merda. Cominciò a pensare di aver fatto un viaggio a vuoto. Quell’uomo non gli sembrava altro che un pazzo mitomane. Quando Ravasio gli chiese di seguirlo a casa sua, poiché quello era un luogo troppo affollato per parlare, Antonio si rifiutò. Non c’era motivo di spostarsi, gli disse. Che gli raccontasse lì, in pubblico, quello che aveva da raccontare. Ma poi cambiò subito idea, non tanto per lo sguardo minaccioso di Ravasio, quanto per la pistola che l’uomo gli fece intravedere da sotto il cappotto.


RACCORDO
dopo
Gladio
(lettura)

Mentre
Antonio
Castellani
cerca
di
svelare
i
retroscena
drammatici
della
storia
 della
 vecchia
 Aida,
 qualcuno
 ‐
 nell’ombra
 ‐
 ha
 deciso
 che
 è
 tempo
 che
 nasca
 una
nuova
Aida.

 
 Il
caos
deve
emergere
per
riportare
un
nuovo
ordine.

 
 E’
ormai
tempo
‐
per
qualcuno
‐
che
il
vecchio
potere
venga
spazzato
via,
per
 lasciare
finalmente
spazio
a
quello
nuovo.


Potere nuovo Località sconosciuta, metà maggio 1992 Il mare calmo aveva avuto il solito effetto ipnotico su di lui. Lo stava fissando ormai da più di un’ora, attraverso la vetrata. Immobile, nel suo studio, seduto di spalle alla scrivania. Igor accucciato per terra, al suo fianco. Razza fedele, il dobermann. Razza superiore. Frutto di un’accurata selezione, effettuata circa un secolo prima in Germania, per arrivare ad ottenere un esemplare in cui spiccassero qualità, coraggio e resistenza. Peccato che non si potesse farlo anche con gli uomini. Lo accarezzò sul manto morbido, senza staccare gli occhi dall’acqua. Quando era calmo, piatto come una tavola da biliardo, il mare aveva il potere di rilassarlo totalmente. Gli ricordava l’ordine. E lui amava l’ordine. Più di ogni altra cosa. Ma sapeva pure che non sempre era possibile mantenerlo. Il potere non si poteva sempre spartire. Un po’ a te, un po’ a me: tutti contenti, tutto in ordine. Ci aveva provato. Ma non gli era andata bene. Il vecchio potere era troppo logoro per resistere ancora. Stava per essere travolto, i segnali già si vedevano, da più parti. Tangentopoli l'avrebbe presto spazzato via. Era un malato terminale. Inutile provare ancora a tenerlo in vita. Bisognava accettarlo: il vuoto di potere era arrivato. All’ordine doveva ora seguire, per forza di cose, il disordine. Perché un nuovo potere emergesse, e l’ordine potesse ritornare, ancora una volta.


RACCORDO
dopo
Potere
nuovo
(lettura)

All’inizio
degli
anni
Novanta,
la
vecchia
Aida
è
logora
e
ferita
a
morte.
 
 Qualcuno
–
nell’ombra
–
ha
deciso
che
è
tempo
di
cambiare.
 
 Servono
nuovi
volti,
nuovi
slogan,
nuovi
leader.
 
 Tutto
deve
mutare,
affinché
non
muti
nulla.
 
 Aida,
ormai,
è
diventata
grande.


RACCORDO
dopo
Aida
adesso
è
grande
(canzone)

Il
 17
 febbraio
 1992
 a
 Milano
 viene
 arrestato
 il
 socialista
 Mario
 Chiesa
 ed
 esplode
la
rivoluzione
di
Tangentopoli.
 
 Mentre
in
tutta
Italia
si
attende
con
trepidazione
il
cambiamento,

 mentre
Antonio
Castellani
sta
indagando
sui
misteri
di
Aida,

 nel
piccolo
paese
di
Gazzolino,
due
amici
–
Simone
e
Roberto
–
si
illudono
che
 anche
lì,
in
Trentino,
la
storia
possa
cambiare.
 
 Il
17
febbario
1992,
Simone
e
Roberto,
danno
avvio
all’avventura
del
Gruppo,
 un’associazione
giovanile
che
ha
l’opportunità
di
lasciare
il
segno.
 
 Sempre
che
le
rigide
ideologie
e
i
vecchi
poteri
lo
permettano.


Nasce il Gruppo - Lunedì 17 febbraio 1992. Ricordatevela bene questa data. Da oggi la nostra vita cambierà. Da oggi certe abitudini dovranno per forza mutare e non ci sarà più la possibilità di dire “non lo sapevamo”. Da oggi la scena sociale del nostro paese verrà travolta da un vento nuovo, un vento di libertà e trasformazione. Un vento che scuoterà le nostre coscienze e spazzerà via il vecchiume di certe abitudini consolidate, nelle quali regnavano solo il silenzio e la conservazione dell’esistente. Oggi si apre un sogno e a noi, proprio a noi, viene concessa la possibilità di avere uno spazio nuovo nel quale possa manifestarsi la nostra sete di cambiamento e la nostra forza di radicamento sociale e comunitario. In questa realtà non vi sarà posto per l’egoismo solipsistico degli interessi privati e del tornaconto dei soliti noti. Oggi ci appropriamo di uno spazio pubblico che noi trasformeremo in modo collettivo in bene pubblico. E’ finita un’epoca. Se ne apre un’altra. E noi ne siamo, e ne saremo, i soli, veri, originari protagonisti. La solita incomprensibile retorica comunista, pensò Simone, schiacciando al suolo un sorriso ironico per non farsi vedere dall’amico. Anzi, dal “compagno” Roberto, che rosso in volto vicino a lui stava arringando una folla di una cinquantina di giovani dagli sguardi smarriti e perplessi. Era la prima volta, da decenni, che un discreto numero di ragazzi e ragazze di Gazzolino si ritrovava insieme per parlare e progettare in comune la gestione di uno spazio tutto loro. Una data importante, senza dubbio, quel 17 febbraio. E molto lo si doveva a lui, Simone Galassi, 23 anni, panettiere. Lo sapevano quei ragazzi, scamiciati nonostante la stagione, che la novità passava per la voce e la volontà di Simone il panettiere, di quel giovane dalla barba di due giorni e dai capelli scuri che si attorcigliavano sulla fronte, rincorrendosi in scomposti riccioli ribelli. Era stato lui a farsi portavoce delle loro istanze presso l’intero Consiglio Comunale. E non era stato affatto facile. La politica era una bestia difficile da domare. Ma lui sembrava avercela fatta. Ora, i ricordi del passato frullavano scomposti nella sua mente, mentre un centinaio di occhi aspettava l'intervento finale. La bocca era secca e avrebbe pagato qualsiasi cifra per un sorso d’acqua. Si alzò in piedi, ringraziò tutti per la partecipazione e comunicò i membri nominati nel direttivo della neonata associazione giovanile “Il gruppo”, che su concessione del Comune avrebbe potuto riunirsi regolarmente presso uno stabile abbandonato, a fianco della caserma dei carabinieri.


RACCORDO
dopo
Nasce
il
Gruppo
(lettura)

Strana
combinazione.
 
 Un
 giorno
 Simone
 legge
 un
 articolo
 di
 un
 giornalista
 ‐
 un
 certo
 Antonio
 Castellani
–
che
denuncia
la
spartizione
d’Italia
tra
la
mafia
e
il
potere
nuovo.
 
 Strana
combinazione.
 
 Ma
a
Simone
quell’articolo
fa
sorgere
un
sospetto.

 
 Che
anche
il
suo
Gruppo
sia
vittima
di
una
spartizione.

 
 Che
non
sia
davvero
libero
di
cambiare
la
vecchia
logica
dominante
nel
paese
 di
Gazzolino.
 
 E’
 giunto
 il
 momento,
 per
 Simone
 e
 gli
 altri
 membri
 del
 Gruppo,
 di
 aprire
 gli
 occhi.


Spartizione Gazzolino, 23 marzo 1992 - Ma non capite? Non vi dice nulla la parola “spartizione”? Lo scrive chiaramente… come si chiama?… il giornalista… Antonio Castellani! Lo ha detto senza mezzi termini: tutti spartiscono, vecchie volpi e giovani rampanti, politici del nord e mafiosi del sud. Capite? La Lega, cazzo, la Lega vuole vendere mezza Italia alla mafia! - Dai, Simone, lo dice quel tipo lì! Che ne sai tu? - Aspetta, ragioniamo un attimo. Non so se tutto quello che dice questo Castellani è vero. Fatto sta che in Italia non si muove nulla senza il consenso dei partiti e degli amici degli amici… Gli altri rimasero in attesa per vedere dove volesse andare a parare. - … e quelli che comandano sono tutti, o quasi, “amici”. […] La torta è grande e una fetta non si nega a nessuno. Avete presente gli animali? Se c’è cibo per tutti non si scannano, si accordano. Così hanno fatto i partiti tra loro. Così vuol fare la Lega con la mafia, secondo Castellani. Così fanno tutti, compresi i “nostri”. Era venuto per Simone il momento di svelare le carte. - Guardiamoci in faccia! Ognuno è qui, in questo direttivo, perché qualcun altro ha voluto che ci fosse. Sulle sedie qualcuno cominciò ad agitarsi. Simone modulò la voce e continuò: - Qualcuno ha trasformato la nostra associazione in una bella torta e ha proceduto con la spartizione, come sempre. […] Noi siamo soltanto gli inconsapevoli rappresentanti degli “amici”. Loro ci usano, per dimostrare che in paese non si può far nulla senza il loro consenso. […] Appena c’è qualcosa, scatta la spartizione. Così tutti sono contenti e nessuno rompe. Perché a fare la spartizione sono sempre loro, i soliti noti. E li trovi ovunque. Dalla commissione edilizia alla società sportiva, dalla banda musicale al nostro gruppo. - Ma questa è mafia! Cazzo, Simone, li stai accusando di essere mafiosi! - In un certo senso… Diciamo che sono mafiosi senza lupara. Dei mafiosi a parole…


RACCORDO
dopo
Spartizione
(lettura)

I
ragazzi
del
Gruppo
avrebbero
potuto
mollare.
 
 Avrebbero
 potuto
 decidere
 di
 lasciar
 perdere,
 di
 non
 sfidare
 i
 poteri
 di
 Gazzolino.
 
 E
invece
decidono
di
andare
controcorrente.
 
 Di
non
rinunciare.
 
 In
modo
da
poter
dire
“noi
ci
siamo”.
 
 Noi
siamo
ancora
qua.


RACCORDO
dopo
Ancora
qua
(canzone)

Per
resistere,
i
ragazzi
del
Gruppo
hanno
bisogno
di
esempi.
 
 Non
di
eroi.
 
 Di
anti‐eroi,
in
caso.
 
 Come
Maurizio
Pedotti.
 
 Un
giornalista
che,
al
culmine
di
una
malattia
che
lo
sta
uccidendo,
scrive
una
 lettera
che
sembra
proprio
rivolta
a
loro.


Giornalismo d'inchiesta Sono un giornalista. Ho guardato il mondo con gli occhi di un giornalista e ho cercato di descriverlo. Ho visto l’Italia del ’68 e quella delle stragi. Ho visto l’Italia in mano ai furbi e ai leccapiedi, ai saltimbanco e ai mafiosi. Per questo ho sempre amato la provincia. Perché credevo che questi loschi individui, da noi, non ci fossero. Perché ho sempre creduto che qui la vita lenta della campagna e dei boschi facesse bene alla mente e la tenesse sgombera da quegli spettri. Mi sbagliavo. In provincia quegli spettri ci sono, forse più opachi, meno vistosi, ma ci sono. La gente che incontro per la strada è convinta di condividere la stessa vita. Si sbaglia. Perché c’è un’altra vita, un altro mondo. Un livello superiore, anche se l’immagine non mi piace. E’ un mondo popolato da uomini che sotto, nella vita nostra, si camuffa, si traveste per celare il proprio vero volto. Che è quello del potere. Il potere non è qualcosa di metafisico. Il potere è la gestione privata degli affari di tutti, è la possibilità di sapere ciò che gli altri non sanno, è il privilegio di cadere sempre in piedi qualunque terremoto arrivi, è l’opportunità di decidere secondo regole che chiunque sia fuori ignora e non capirà mai. E chi vive in questo mondo parallelo non ha colore che lo distingua dagli altri. Il potere non ha colore. I colori servono per noi che viviamo sotto, nella vita “normale”. Sopra, non esistono. Capisci, Alfredo, perché adesso che sento che la vita mi sta abbandonando compiango la mia sconfitta? Troppe volte ho finto che la vita fosse uguale, per tutti. Mi illudevo, sbagliavo, dimenticavo. Si commettono tanti errori nel corso della propria esistenza e sarebbe imperdonabile arrivare in fondo senza ammetterlo e cercare un qualche rimedio. Ci provo. Mi hai sempre detto con ammirazione che sono un cane sciolto perché mordo il potere e non devo rendere conto a nessuno. Troppo buono, non me lo merito. Sono consapevole, invece, di quanto avrei potuto fare di più se solo fossi stato fino in fondo un cane sciolto. Sai, a volte manca il coraggio, purtroppo. Tuttavia, in questi giorni o mesi che ancora mi restano ho solo una speranza. Che qualcuno si svegli prima di me e abbia la forza che mi è mancata. Per costruire qualcosa di originale, che non nasconda secondi fini, che scuota le persone, oltre le spartizioni. Per mostrare anche al nostro paese che nessuno ha diritto di dire “non sono affari tuoi”. Il potere vive sul silenzio. E chi tace, ha torto. Sempre.


RACCORDO
dopo
Giornalismo
d’inchiesta
(lettura)

Maurizio
Pedotti
sapeva
fare
il
suo
mestiere.
 
 Come
tanti
altri
giornalisti,
che
spesso
hanno
pagato
con
la
vita
la
loro
sete
di
 giustizia.
 
 Come
ci
ha
insegnato
Ilaria
Alpi.


RACCORDO
dopo
Ilaria
(canzone)

Il
Gruppo
dei
ragazzi
di
Gazzolino
ha
molte
anime.
 
 Una
di
loro,
Massimo,
è
l’esempio
di
chi
sta
cercando
una
direzione,
per
non
 soffocare
nell’ipocrisia
di
una
società
ricca
e
apatica.
 
 Massimo
 siamo
 tutti
 noi,
 quando
 ci
 guardiamo
 allo
 specchio
 e
 chi
 chiediamo
 chi
siamo.
 
 E
per
capirlo,
può
servire
anche
un’influenza.
D’ottobre.


Influenza d’ottobre Il nostro cane non mi riconosce più… Venditti. Ricordi di infanzia. In bocca quel gusto inconfondibile di latte con i frollini sbriciolati. I Rigoli del Mulino Bianco, quelli al miele. La lingua di Massimo, nonostante la patina bianca della convalescenza, si inumidì assaporando un gusto antico, che da troppo tempo mancava. Ricordi di un’infanzia spensierata, quando la madre, prima di mandarlo a scuola, gli preparava il latte nel piatto, quello fondo di nonna decorato d’azzurro, e gli faceva ascoltare la solita cassetta: Sotto la pioggia di Venditti. Che per lui divenne la colonna sonora del latte e biscotti. Cerco le chiavi di casa, questa non è casa mia, più mia… Sarebbe rimasto in quella casa per sempre? A volte si ritrovava a pensare che da lì non se ne sarebbe più andato. Se non con un colpo da maestro. Quello che però gli era sempre mancato. Scrollò il capo. Si alzò dal letto, nonostante la testa gli girasse leggermente. Brutta influenza. Di ottobre, poi. Se fosse stato per lui sarebbe rimasto fuori in mezzo ai profumi d’autunno a farsela passare, ma il medico gli aveva intimato di rimanere chiuso, al caldo. E così si era ridotto a vagabondare per una camera invasa dai libri di Fisica 1. Sì, brutta influenza, di ottobre. …i libri, quelli li ho portati via… Buona sessione di esami, a settembre. Eppure i successi universitari non lo gratificavano molto. Se li lasciava piovere addosso, con un sorriso come si conviene, e nulla più. Sarebbe stato un ottimo… ma cosa? Tutti intorno a dirgli “bravo” perché lui el tàse e laòra, tace e lavora, nel pieno rispetto della tradizione trentina. Affanculo anche il Trentino e quella terra di straccioni vestiti a festa. Ipocriti. Il sangue della sua terra gli scorreva impetuoso nelle vene e proprio per questo suo straordinario attaccamento ad ogni singola foglia, buccia o goccia, si sentiva in diritto di provare un vago disprezzo per quell’umanità che l’abitava. Gente che aveva perso l’umiltà degli antichi e che non aveva ancora raggiunto l’apertura mentale dei moderni. Gente di mezzo, insomma, vigliacca come la servitù tirolese e infida come i papponi veneziani. Si chinò per raccogliere un foglio caduto per terra. Brutta influenza, di ottobre. …scopare bene, scopare bene, questa è la prima cosa… Donne. Ma con quella tipa, alla fine, c’era andato o no? Perché lui, di quella sera in riva al mare, ricordava solo le solite canzoni suonate con la chitarra e poi… poi un braccio intorno alle spalle ed un viso che gli si era accoccolato in grembo, al ritmo delle onde. Veloce riavvolgimento del nastro. Nessuna speranza che la musica prosegua all’infinito. Una cassetta arriva sempre in fondo, al “clac” che ti fa alzare perché ovviamente ti sei dimenticato di mettere l’auto-reverse. Ci si dimentica sempre qualcosa. Segno che non si è scopato bene. Sì, brutta influenza, di ottobre.


RACCORDO
dopo
Influenza
d’ottobre
(lettura)

Massimo
è
alla
ricerca
di
un
senso.
 
 E’
in
attesa
di
una
risposta,
dell'arrivo
di
qualcuno.
 
 E
ricorda
molto
un
viaggiatore
che
sogna
di
fermarsi
per
sempre
in
un
porto,
 ma
che
non
smette
di
navigare.
 
 Massimo
ricorda
molto
Ulisse,
in
attesa
di
Godot.


RACCORDO
dopo
Ulisse
aspetta
Godot
(canzone)

La
musica
per
i
ragazzi
del
Gruppo
è
fondamentale.
 
 Aiuta
ad
esprimere
quelle
emozioni
che
altrimenti
rimarrebbero
imprigionate
 nel
profondo
dell’anima.
 
 E
magari
aiuta
anche
a
raccontare
la
storia
dei
primi
quarant’anni
del
proprio
 Paese.
 
 Come
accadde
nel
maggio
del
1992,
quando
una
band
sconosciuta
si
trovò
per
 caso
a
suonare
in
mezzo
ai
ragazzi
di
Gazzolino.
 
 Quella
band
si
chiamava
Modena
City
Ramblers
e
da
quel
1992
avrebbe
fatto
 poi
molta
strada.
 
 Fino
a
condividere,
sul
palco,
voce
e
melodia
con
Milo
Brugnara.
 
 
 [poi
scende
a
distribuire
la
poesia]


RACCORDO
dopo
40
anni
(canzone)

La
vecchia
Aida
era
corrosa
dal
male
delle
stragi
e
della
corruzione.
 
 La
giovane
Aida
ne
ripercorre
fedelmente
i
passi.
 
 A
 cominciare
 dalla
 Sicilia,
 dove
 l’esplosivo
 toglie
 di
 mezzo
 chi
 non
 sa
 proprio
 farsi
gli
affari
suoi.
 
 Come
Giovanni
Falcone
e
Paolo
Borsellino.


Capaci Gazzolino, 23 maggio 1992 In sede era calato un silenzio spettrale. Tutti gli occhi erano puntati sul vecchio Telefunken portato da Roberto. La storia scorreva nelle immagini del telegiornale, in diretta da Palermo. Un quantitativo enorme di esplosivo. Un’autostrada divelta. Tre Croma saltate in aria. Sangue. Morti. Il giudice Giovanni Falcone e sua moglie. Gli agenti della scorta. Una strage. Il Telefunken trasmetteva impietoso quell’eccidio. Nessuno sapeva cosa dire. Nessuno era in grado di realizzare che cosa fosse successo. Anche se avevano capito che la mafia si era sbarazzata di un giudice scomodo. Forse il più scomodo. Ma che cosa si nascondesse dietro quella mattanza, che cosa significasse questo per il Paese in cui vivevano, loro non riuscivano ad immaginarlo. Cinque volti vitrei. Simone, Chiara, Massimo, Diego, Roberto. Cinque sguardi attoniti. Fuori dalla sede venne affisso un cartello con scritto “chiuso per lutto”. Massimo aveva recuperato da casa un vecchio lenzuolo e con gli altri aveva scritto “Il Gruppo non dimentica. Ora e sempre contro la mafia”. Poi insieme l’avevano appeso alla parete esterna della sede, sul lato più visibile dalla strada. Era il minimo che potessero fare.


Via D’Amelio Gazzolino, 19 luglio 1992 “…un’autobomba è esplosa poco prima delle 17 in via D’Amelio a Palermo…”. Tutti si zittirono improvvisamente e si girarono di scatto verso [il vecchio Telefunken], che proseguiva nella fredda cronaca. “…ci sono diverse vittime tra cui, a quanto pare, il noto magistrato Paolo Borsellino, amico e collega del giudice Giovanni Falcone, anche lui rimasto vittima poco meno di due mesi fa di un terribile attentato nei pressi dell’uscita autostradale di Capaci. Per ora non siamo in grado di darvi ulteriori informazioni…”. Silenzio. Nessuno aveva più voglia di parlare. Dopo Falcone, era toccato a Borsellino. I due magistrati simbolo della lotta alla mafia erano stati polverizzati dall’esplosivo, uno dopo l’altro, in meno di due mesi. Caterina scoppiò a piangere. Elisa cercò di consolarla, ma anche a lei gli occhi brillavano di lacrime. Nemmeno Roberto era in grado di esprimere il suo dolore. Riuscì solo a soffiare a denti stretti: - Bastardi… La sede rimase illuminata fin dopo le 22, quella sera. Si decise di dare un altro segnale, esponendo un nuovo striscione vicino a quello già appeso dopo la strage di Capaci. Era un lenzuolo giallo sul quale, in caratteri rossi, venne impressa un’unica parola, sintesi inequivocabile di quel giorno drammatico: “Resistenza!”.


RACCORDO
dopo
Capaci
(lettura)
 
 
 Il
1992
è
un
anno
di
sangue.
 
 Ma
il
peggio
deve
ancora
arrivare.
 
 Il
1993
è
l’anno
delle
stragi
di
Firenze,
Roma
e
Milano.
 
 10
morti,
molti
feriti
e
tanta
paura.
 
 Come
quella
raccontata
al
suo
diario
da
Caterina,
la
più
giovane
ragazzina
del
 Gruppo,
che
non
riesce
a
capire
cosa
stia
accadendo.

 
 Capisce
solo
che
il
potere
sta
in
piedi
sul
sangue.

 
 Anche
 quello
 di
 Nadia,
 una
 bambina
 di
 soli
 9
 anni,
 che
 abitava
 in
 via
 dei
 Georgofili.


Firenze Gazzolino, 2 giugno 1993 Caro diario, Pochi giorni fa è successo qualcosa che mi ha tolto il fiato. A Firenze, in via dei Georgofili, è scoppiata una bomba. Dicono che l’abbia messa la mafia. Ha distrutto palazzi e opere d’arte preziosissime e, soprattutto, ha ucciso cinque persone. Perché la mafia lo abbia fatto non lo capisco. Non ho mai letto così tanti giornali come in questi giorni, ma ancora non riesco a capire. Ho chiesto alla mamma e al papà ma anche loro non hanno saputo che dirmi. Sono spaventati, mi dicono che è un brutto periodo questo. Ma perché? Ho letto su un libro una frase stupenda: “il futuro è dei puri di cuore con le mani sporche di terra”. E' un’immagine bellissima. Anch’io voglio essere pura di cuore con le mani sporche di terra. E di polvere e di tutto quello che c’è in questo mondo. Perché io voglio cambiarlo questo mondo. Perché non posso più pensare che continuino a morire persone innocenti solo perché alcuni hanno deciso che il potere deve stare in piedi sul sangue. Non posso più scrivere, caro diario. Non piangere, l’ho già fatto io tante volte, anche per te. Non posso più scrivere perché le parole mi sembrano foglie nel vento in questi momenti. Ho bisogno di impegnarmi, di sporcarmi le mani di terra e di polvere. Il Gruppo mi aiuterà a cambiare il mondo. Lo so. Non so quando lo faremo, ma un giorno accadrà. E allora tornerò a scriverti. Per dirti che ce l’abbiamo fatta. Prima di salutarci, però, voglio lasciarti un regalo, come si fa con gli amici. E’ una poesia. L’ha scritta una delle bambine morte nella strage di Firenze, Nadia, anche se aveva solo nove anni. Si intitola “Il tramonto”. Il pomeriggio se ne va il tramonto si avvicina, un momento stupendo. Il sole sta andando via (a letto). E’ già sera, tutto è finito. Nadia aveva il cuore puro e magari anche le mani sporche di terra. Ed io? Caro diario non ti abbandono, perché so che ci rivedremo di nuovo. Nel bene o nel male, dipende. Ma ci rivedremo. Un abbraccio, Cate


RACCORDO
dopo
Diario
Cate
(lettura)
 
 
 Il
potere
nuovo
è
arrivato.
 
 Nessuno
osa
metterlo
in
discussione.
 
 Antonio
Castellani
 si
ferma.
 Smette
 di
inseguire
i
misteri
d'Italia,
sconfitto
da
 chi
trama
nell’ombra.
 
 Anche
i
ragazzi
del
Gruppo
si
perdono
per
strada,
disillusi.
 
 Il
secolo
volge
al
termine.
Sempre
più
sbiadito.
 
 
 
 Finché
nel
luglio
del
2001,
capita
a
tutti
loro
una
nuova
occasione.
 
 Antonio,
Simone,
Roberto,
Caterina
e
tanti
altri
recuperano
la
speranza.
 
 Quella
speranza
la
condividono
a
Genova,
con
milioni
di
persone
arrivate
lì
per
 gridare
ai
capi
di
Stato
del
G8
che
un
altro
mondo
è
possibile.
 
 Che
la
democrazia,
quella
vera,
non
si
chiude
dentro
una
zona
rossa
protetta
 dall’esercito.
 
 Nel
luglio
del
2001
quelle
persone
sperano
in
una
nuova
Resistenza.
 
 E
 se
 tra
 loro
 ci
 fosse
 stato
 un
 vecchio
 partigiano,
 avrebbe
 ricordato
 il
 suo
 sacrificio
per
liberare
l'Italia.

 
 E
queste
–
probabilmente
–
sarebbero
state
le
sue
parole.


RACCORDO
dopo
Il
testamento
di
Johnny
(canzone)
 
 
 Il
22
luglio
del
2001,
il
G8
è
già
finito.
 
 Il
 22
 luglio
 del
 2001,
 chi
 ha
 creduto
 in
 una
 nuova
 resistenza
 è
 già
 tornato
 a
 casa.
 
 Oppure
è
in
galera.
 
 O
all’ospedale.
 
 Uno
è
all’obitorio.
 
 
 Il
22
luglio
del
2001
chissà
dove
si
trovano
Antonio
e
i
ragazzi
del
Gruppo.
 
 E
chissà
se
si
ricordano
le
parole
della
poesia
di
Nadia.
 
 
 Il
 22
 luglio
 del
 2001,
 se
 qualcuno
 dall’alto
 avesse
 osservato
 Genova,
 avrebbe
 capito
solo
che
il
sole
era
tramontato.


 
 Per
tutto
il
resto
non
c’era
più
tempo.


Post epilogo Genova, 22 luglio 2001, tarda sera Vista dall’alto, Genova sembra riposare in una luce sinistra. Un rossore la pervade tutta, come se la sua naturale pudicizia si fosse un poco offesa. I rumori, le grida, gli spari sono echi lontani. Rimasti, al più, nei volti insanguinati o nei nastri registrati. Ma anche quelli non ci sono più. Distanti. La città è ancora bella dall’alto, nonostante tutto. Il fumo, diradandosi, lascia agli sguardi innocenti le fioche luci dei lampioni, appena accesi. Sembra un animale ferito che orgogliosamente si pone su un fianco, per rivedere le stelle e lasciarsi accarezzare, ancora una volta. E poi per sempre chiude gli occhi nella serenità eterna. Il mare lenisce il suo dolore, sfiorando le sponde antiche, memori di navigatori e guerrieri. Allora, come oggi. E come se nulla fosse successo le correnti spingono gocce, miliardi di gocce trasparenti, verso la vecchia lanterna, per giocare a rimpiattino le une con le altre. La zona rossa se la porteranno via il tempo e le braccia dei netturbini. Il resto rimarrà, in quella luce sinistra del tramonto avanzato, per coprirsi nuovamente di aria e di cielo. Accompagnando i rumori alla porta, come si fa con gli ospiti molesti. Perché la città comincia ad avere sonno e le palpebre si fanno sempre più pesanti. Il vecchio animale si è addormentato. Non sembra più così ferito. Lo sguardo severo si addolcisce lentamente e le membra si sciolgono nell’abbraccio corroborante dell’estate. Gli alberi troneggiano nell’ombra con le loro chiome. Degli uomini, delle azioni, delle idee, poco importa ormai. Granelli di polvere agitati in disegni e parabole multiformi. E destinati a scivolare via. Come sempre. Genova, dall’alto. Che cosa avrebbe pensato Nadia, vedendola? “È già sera, tutto è finito”.


Baci
&
abbracci
 
 
 Giunti
 in
 fondo
 a
 questo
 viaggio,
 desideriamo
 ricordare
 chi
 ci
 ha
 tenuto
 compagnia
 
 A
 partire
 da
 Antonio,
 Simone,
 Roberto,
 Massimo,
 Caterina
 e
 tutti
 i
 loro
 amici,
usciti
dal
romanzo
“E’
già
sera,
tutto
è
finito”,
che
ha
ispirato
questo
 spettacolo.

 
 Per
 proseguire
 con
 Rino
 Gaetano
 e
 i
 Modena
 City
 Ramblers,
 che
 ci
 hanno
 regalato
due
loro
canzoni.

 
 
 E,
soprattutto,
concludere
con:


 
 la
fisarmonica
di
Andrea
Robol
 
 la
voce,
la
chitarra,
l'armonica
e
la
creatività
di
Milo
Brugnara
 
 le
parole
e
i
testi
di
Marco
Niro
e
Mattia
Maistri,
alias
Tersite
Rossi
 
 
 Desideriamo
 dedicare
 questo
 spettacolo
 a
 tutti
 gli
 antieroi
 che
 vivono
 in
 modo
 quasi
 clandestino
 e
 non
 sono
 ancora
 stanchi
 di
 cercare
 una
 nuova
 alba.
 
 
 E
per
ricordarlo
vi
dedichiamo
un'ultima
canzone.
 
 Grazie
a
tutti
voi
e
buona
strada


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