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La pubblicazione è stata realizzata con il contributo del Consiglio regionale del Veneto
Civil Life è un’iniziativa promossa dal Consiglio regionale del Veneto nell’ambito del progetto Terzo Veneto (www.terzoveneto.it), il portale dedicato all’e-democracy, ovvero alla realizzazione e divulgazione di processi partecipativi attraverso l’uso delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione, per l’affermazione di una nuova cultura della cittadinanza attiva. Le attività e i programmi operativi sono coordinati dall’Ufficio E-democracy della Direzione Regionale Affari Istituzionali - Palazzo Ferro Fini, San Marco 2321, Venezia.
© 2010 by marsilio editori® s.p.a. in venezia Prima edizione: ottobre 2010 ISBN 978-88-317-xxxx
www.marsilioeditori.it Realizzazione editoriale: in.pagina s.r.l., Mestre-Venezia
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INDICE
l’onda di civil life. una nuova didattica della cittadinanza attiva 3 Introduzione
di Dino Bertocco
parte prima 23 La grammatica della cittadinanza. Studenti protagonisti
di Franco Rebellato 34 Ambienti e strumenti delle comunità che apprendono:
la documentazione on line come “luogo” del racconto di Franco Torcellan 53 Cartoni animati a scuola. Il cartone animato per l’educazione ai media
di Adriana Sartore
parte seconda 81 I nuovi linguaggi della socializzazione
di Cristiano Buffa 140 Intergenerazionalità e inclusione sociale
di Renzo Scortegagna 150 Educare al territorio, educare con il territorio: urbanistica, partecipazione
e nuove tecnologie all’interno del progetto Civil Life di Anna Agostini e Michele Sbrissa 158 Storia locale: una risorsa per il Veneto di oggi e del prossimo futuro
di Antonio Fossa
appendice 168 Il protocollo di collaborazione
tra Consiglio regionale e Ufficio Scolastico Regionale 172 Il catalogo di Civil Life 181 Profili degli autori
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Il protagonismo dei giovani rappresenta la risorsa decisiva per aggiornare e ri-progettare le forme della convivenza sociale e, conseguentemente, rinnovare la qualità della vita democratica. Da loro ci aspettiamo la spinta di energia e di ideali in grado di introdurre entusiasmo e innovazione nei processi politico-istituzionali, a partire dal rinnovamento delle comunità locali, attraverso la capacità di riattivare il confronto sulle regole e sui valori che ne costituiscono la base. Ciò è auspicabile e possibile se si ampliano gli spazi di partecipazione e aumentano le opportunità di progettazioni condivise su temi e questioni che caratterizzano l’attuale contesto socio-economico e che determinano uno scenario preoccupante soprattutto per il futuro delle giovani generazioni. Il coinvolgimento dei giovani è un percorso fondamentale per far crescere la consapevolezza e anche la competenza sulle scelte che riguardano il governo del territorio e dello sviluppo e, prioritariamente i programmi riguardanti formazione e istruzione. Le iniziative finora avviate in tale direzione hanno sollevato dubbi e perplessità sulla effettiva volontà e capacità delle leadership di aprire canali di comunicazione e dialogo con i giovani, soprattutto per la difficoltà a comprenderne il linguaggio, in particolare sui temi della partecipazione; sicché abbiamo visto prevalere in molti casi i toni conflittuali, la connotazione ideologica nell’ambito dei dibattiti e dei confronti per affrontare le scelte progettuali su valori e interessi. Sulla scorta di queste scarne considerazioni, ma che fotografano una realtà di fatto, confermata dalla crescente disaffezione nei confronti delle istituzioni e in particolare dalla scarsa riconoscibilità della funzione dell’ente regionale che si riscontra tra i giovani, il Consiglio regionale del Veneto ha deciso di promuovere e sostenere il progetto Civil Life, centrato sulle iniziative e le attività di un laboratorio, inteso come luogo di sperimentazione per la diffusione di una nuova didattica della cittadinanza attiva. Questa scelta è stata fatta nel 2007 in coerenza con la strategia di Terzo Veneto, il portale del Consiglio regionale dedicato all’e-democracy, ovvero alla realizzazione e divulgazione di processi partecipativi attraverso l’uso delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione.
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Estendere al mondo giovanile, partendo dagli studenti, il messaggio di una nuova stagione possibile di partecipazione e impegno responsabile dei cittadini, è risultata un’opzione corretta perché si è inserita sinergicamente nei programmi di rilancio dell’educazione civica nelle scuole, ma anche efficace in quanto la rivoluzione dell’ICT ha aperto nuove opportunità e introdotto nuovi linguaggi di socializzazione che sono particolarmente apprezzati e praticati dalle generazioni più giovani. E in questo nuovo cammino il Consiglio regionale ha ritenuto necessario condividere contenuti e significati del progetto Civil Life con il mondo della scuola, definendo un Protocollo di collaborazione che è stato sottoscritto con l’Ufficio Scolastico Regionale del Veneto ed è diventato un importante strumento di regolazione e implementazione delle attività. È quindi con soddisfazione che presento questa pubblicazione, essa infatti rappresenta un primo bilancio complessivo del concreto lavoro svolto, ma anche una solida base da cui ripartire per consolidare una linea di intervento sul terreno cruciale della responsabilità sociale e della cittadinanza attiva, leve decisive per il rinnovamento istituzionale. clodovaldo ruffato Presidente del Consiglio regionale del Veneto
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L’ONDA DI CIVIL LIFE UNA NUOVA DIDATTICA DELLA CITTADINANZA ATTIVA
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dino bertocco INTRODUZIONE
Non limitare i tuoi figli a quello che tu stesso hai imparato perché loro sono nati in un’altra epoca (proverbio ebraico) Questa è forse l’unica reale possibilità che abbiamo di riuscir di qualche aiuto (ai nostri figli) nella ricerca di una vocazione, avere una vocazione noi stessi, conoscerla, amarla e servirla con passione: perché l’amore alla vita genera amore alla vita. (N. Ginsburg, Le piccole virtù, 1962) La scuola ha a che fare con quella fase precaria dell’esistenza che è l’adolescenza, dove l’identità appena abbozzata non si gioca come nell’adulto tra ciò che si è e la paura di perdere ciò che si è, ma nel divario ben più drammatico tra il non sapere chi si è e la paura di non riuscire a essere ciò che si sogna. (U. Galimberti, L’ospite inquietante - Il nichilismo e i giovani, 2008) L’educazione, comunque debba essere più precisamente definita, comporta come suo momento qualificante la trasmissione della cultura da una generazione all’altra. Gli adulti possono educare e, insieme debbono farlo, proprio perché essi sono depositari della cultura, che definisce le ragioni dell’alleanza sociale. Educare significa in tal senso iniziare il minore a quei significati radicali del vivere che sono iscritti nelle forme della vita comune. Quei significati definiscono la figura della vita buona, che è la norma del vivere comune. Appunto il complesso di quei significati costituisce la cultura di un popolo. (G. Angelini, Educare si deve, ma si può?, 2002)
Questa pubblicazione si propone di presentare alla vasta e variegata platea degli studenti e delle loro famiglie, dei professionisti operanti nel mondo della scuola, dei numerosi soggetti impegnati nell’ambito sociale e culturale che si occupano di educazione, mondo giovanile e cittadinanza attiva, un’esperienza peculiare di attività e iniziative che hanno inteso interpretare dinamicamente il tema dell’educazione civica attraverso la promozione del progetto Civil Life. Ne costituiscono la struttura portante sette saggi, un riepilogo delle attività, elaborazioni e proiezioni future all’iniziativa che, avviata tre anni fa, presenta già delle risultanze importanti e con potenzialità e indicazioni operative
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notevoli sia sul piano pedagogico, sia sul piano strettamente didattico. Tale progetto è scaturito dall’interesse e dalla sintonia del Consiglio regionale del Veneto con l’indirizzo ministeriale che ha determinato il rilancio dell’educazione civica nella scuola italiana. Sotto la spinta del ministro onorevole Maria Stella Gelmini, infatti, ne è stata data una reimpostazione programmatica e didattica che ha trovato una definizione puntuale nel documento di indirizzo del MIUR per la sperimentazione dell’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione” (si veda in proposito la CM prot. n. 2079, del 4 marzo 2009). Va sottolineato che tale “rientro in gioco”, salutato con diffuso entusiasmo e sostenuto anche da una certa dose di retorica, non si è poi tradotto in pratiche significative di erogazione didattica, dovendo scontare non solo la crescente restrizione dei margini operativi del sistema scolastico, ma anche la preesistente eterogeneità di traduzione concreta nell’ambito dei POF. Quella dell’educazione civica è una storia lunga e controversa, che è stata a più riprese affrontata con analisi ricostruttive, valutazioni intense e appassionate proposte (vedi in particolare L. Corradini, Competenze di cittadinanza ed educazione nella scuola che cambia, relazione, 2008; A. Puggiotto, La Costituzione tra i banchi di scuola, relazione, 2008). A ragione del dibattito politico-culturale sollevato dalla “novità” del provvedimento della Gelmini, Luciano Corradini, considerato il padre putativo della materia, sostiene che l’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione” «non è ancora a regime, ma soltanto in fase di sperimentazione»; osserva che l’iniziativa «è il contrario di un catechismo democratico o di una sacralizzazione della Costituzione» e «che i ragazzi saranno chiamati a confrontarsi anche sul dibattito intorno alle modifiche della legge fondamentale italiana e alla sua comparazione con quelle di altri Paesi» (vedi L’ora di Costituzione che divide, in «Corriere della Sera», 9 novembre 2009). Ed è proprio nel segno della sperimentazione che nasce e si sviluppa il progetto Civil Life, iniziativa promossa dal Consiglio regionale del Veneto, con l’attenzione alle sinergie possibili tra l’azione del MIUR e l’impegno concorrente dell’ente Regione, proteso a offrire un importante contributo, rivolto agli studenti e agli insegnanti degli istituti scolastici veneti, per la divulgazione e l’implementazione delle pratiche di ricerca e di innovazione didattica (nell’insegnamento dell’educazione civica) finalizzate a due obiettivi convergenti: il miglioramento dei processi di apprendimento e l’esercizio di una cittadinanza attiva, precondizioni non solo per il il successo scolastico, ma anche per implementare e alimentare la coscienza civica. lo start up del progetto Civil Life nasce nel 2007 nell’ambito di uno specifico programma di incontri con gli studenti, in alcuni istituti superiori, dove si è deciso di affrontare il tema dell’inedito e cruciale rapporto intercorrente tra le nuove tecno-
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logie di informazione e comunicazione e le forme della partecipazione politica democratica, con particolare riferimento alle sue auspicate conseguenze positive per la diffusione della cittadinanza attiva, intesa come motore essenziale di una democrazia in salute (vedi D. Bertocco, Veneto e-democracy: riscopriamo in rete la nostra comunità, 2008). Il confronto nelle assemblee con gli studenti aveva come base di discussione la concreta esperienza di e-democracy realizzata dal Consiglio regionale con/e attraverso il portale di Terzo Veneto (www. terzoveneto.it), una piattaforma in grado di supportare l’elaborazione, l’implementazione e l’aggiornamento dei principali strumenti della governance regionale (PRS - Programma di Sviluppo Regionale e PTRC - Piano Territoriale Regionale di Coordinamento) promuovendo processi di partecipazione integrati. Con tale approccio si è riusciti a stimolare l’interesse degli studenti, illustrando e sottolineando la funzione innovativa della rete e delle pratiche partecipative rese possibili dalle ICT, intese come risorsa aggiuntiva per dare una risposta convincente alla questione del rapporto tra istituzioni e cittadini, in particolare per recuperare una maggiore attenzione nei confronti della funzione legislativa dell’ente Regione. Si è quindi gettato un seme prezioso e un messaggio incoraggiante: le nuove tecnologie possono facilitare una maggiore apertura alle forme di partecipazione civica e democratica, favorendo la possibilità di informarsi, di far sentire la propria voce come singoli e in forme associate, di contribuire positivamente al dibattito pubblico sui grandi temi civili, etici e politici che attraversano la nostra società. Contemporaneamente si è compreso che tale avvio di cooperazione e comunicazione con il mondo della scuola, basata su una proposta programmatica di educazione alla cittadinanza attiva, rappresentava una “sfida educativa” a lungo termine da affrontare con strumenti, metodologie e linguaggi in grado di implementare il dialogo con gli studenti e la collaborazione con i docenti. Ma soprattutto è stata adottata una chiave interpretativa del disagio e delle problematiche vissute dal mondo della scuola che consentisse di coltivare una prospettiva valorizzante al fine di uscire dal cono d’ombra in cui esso è entrato negli ultimi anni; si è puntato prioritariamente sulla risorsa (potenzialmente) più abbondante, ovvero il protagonismo degli studenti e degli insegnanti. In particolare di questi ultimi ne «esistono ancora tanti che, nonostante le difficoltà, le delusioni e i mancati riconoscimenti, compiono ogni giorno il loro lavoro con abnegazione e con soddisfazione, generando beni relazionali di inestimabile valore nella scuola e nella società, per la scuola e per la società, proprio perché sanno rimanere ben saldi su ciò che conta davvero: il bene dei ragazzi e la loro crescita come persone» (Comitato per il Progetto Culturale della Conferenza Episcopale Italiana, La sfida educativa, 2009).
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l’immagine deformata La cronaca dedicata alle vicende del sistema scolastico, e di quello veneto in particolare, spesso riflette un’immagine molto riduttiva, ondeggiando periodicamente tra la segnalazione di episodi in cui emergono manifestazioni di malessere (segnatamente con la fenomenologia del bullismo), o le proteste di quanti manifestano critiche e contrarietà ai provvedimenti di riorganizzazione e riforma adottati dal MIUR. Invece la realtà complessiva della scuola regionale è caratterizzata da un’onda positiva di impegno didattico, progettualità e sperimentazione, vivacità di dialogo e di relazioni con il territorio attraverso una molteplicità di iniziative e collaborazioni. Precisi riscontri si hanno nei più recenti rapporti elaborati dall’Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto ed è bene riassunta nell’affermazione del direttore generale, Carmela Palumbo: «Infatti, se è vero che compito della Direzione è anzitutto quello di portare a realizzazione le linee di indirizzo ministeriale [ovvero tradurle in razionalizzazioni e far digerire i sacrifici, n.d.a.], è altrettanto importante sostenere quelle attività che vedono protagoniste le istanze locali, dando conto della creatività e della volontà di partecipazione della società civile ai temi dell’educazione e dell’istruzione». Come dire che per la scuola, nella realtà veneta, esistono l’opportunità e la possibilità di attingere alle cospicue risorse sociali, culturali e finanche finanziarie che il ricco sistema economico-istituzionale territoriale può (anzi deve) metterle a disposizione. Ci si riferisce in particolare alle fondazioni bancarie e culturali, alle agenzie sociali e religiose, alle associazioni imprenditoriali e alle numerose imprese sempre più avvertite della necessità di contribuire al sostegno di un asset (il sistema di istruzione e formazione) che risulta decisivo per raggiungere più elevati livelli di competitività nell’economia della conoscenza. A tale proposito si possono citare numerosi esempi di impegno diretto: il più rilevante è sicuramente quello espresso dal Gruppo Scuola Regionale di Confindustria Veneto (GSR), che opera dal 2004 attraverso un tavolo di confronto con i dirigenti scolastici e i docenti dei più importanti istituti tecnici della Regione per facilitare il dialogo fra mondo della scuola e dell’impresa (vedi Le imprese dettano le regole per la scuola del made in Italy, in «Il Sole 24 Ore» del Nordest, 8 settembre 2010). È all’interno di questa nuova concezione di governance (coerente con l’incipiente riforma federalista) che va interpretata la corresponsabilizzazione e la partnership avviata dal Consiglio regionale del Veneto con il sistema scolastico locale attraverso il progetto Civil Life. Si è così potuto concretizzare un processo di condivisione del programma di educazione vivica (leggi cittadinanza attiva) che ha trovato uno strumento operativo nel “Protocollo di collaborazione” sottoscritto dal presidente del Consiglio regionale e dal direttore generale dell’Ufficio Scolastico Regionale (vedi il documento in Appendice). Comune l’obiettivo fondamentale: il rilancio dell’educazione civica nelle
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scuole tramite la “riscoperta” della propria comunità con l’ausilio delle nuove tecnologie di comunicazione, declinando il concetto di e-democracy come «un insieme di nuove relazioni logiche che rafforzano il processo di partecipazione dei cittadini all’impegno sociale e alla vita politica». l’irruzione dei nuovi media Naturalmente, dovendo elaborare un programma didattico, l’accento è strettamente correlato all’inedita confidenza dei nativi digitali e delle giovani generazioni in generale con le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC). Non è sfuggito però che la consuetudine all’uso dei nuovi mezzi di comunicazione costituisce per gli studenti anche uno strumento di separazione e distanza dal sistema educativo che, nonostante gli sforzi di innovazione (vedi per esempio il notevole investimento per l’introduzione delle LIM - Lavagne Interattive Multimediali) è tuttora caratterizzato da un’arretratezza dei linguaggi comunicativi e da un corpo docente che manifesta disagio e insofferenza nei confronti dell’invasione di cellulari e iPod, come dall’influenza spesso negativa esercitata sui giovani dall’esposizione reiterata ai media nuovi e tradizionali (internet e tv). E tuttavia è indubitabile che, grazie alla rete e ai nuovi media (social network in primis), negli ultimi anni si è assistito all’enorme crescita della possibilità di esprimersi, intervenire ed essere ascoltati, e che le informazioni possono essere disponibili in tempo reale e in modo certamente più diffuso; ciò ha significato per il progetto Civil Life l’opportunità di usare una leva fondamentale per innescare una nuova stagione di educazione alla partecipazione e all’esercizio di una più sentita e diffusa responsabilità civile, in particolare per migliorare il grado di conoscenza dell’istituzione regionale e della sua funzione, avviando contestualmente un rapporto interattivo con il mondo della scuola. la cornice europea Con tale scelta politico-culturale il Consiglio regionale del Veneto ha anche inteso dare un’interpretazione e applicazione originali alla Carta europea della partecipazione dei giovani alla vita locale e regionale (adottata dal Congresso dei Poteri Locali e Regionali d’Europa, il 21 maggio 2003), che al punto 48 recita: Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione possono offrire nuove possibilità di informare e di far partecipare i giovani. In tal modo internet, i telefoni portatili, i minimessaggi (sms) permettono loro di ricevere informazioni diversificate e talvolta di reagire in modo interattivo. Gli enti locali e regionali dovrebbero utiliz-
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zare tali tecniche nelle loro politiche di informazione e di partecipazione, accertandosi della loro accessibilità a tutti, in termini di luoghi di accesso e di formazione a questi nuovi mezzi di comunicazione.
Si è trattato, inoltre, di un’iniziativa istituzionale coerente con gli impegni programmatici della Carta europea sopra richiamata laddove essa afferma: Gli enti locali e regionali che sono le autorità maggiormente vicine ai giovani, hanno un ruolo rilevante da svolgere per stimolare la loro partecipazione. In tal modo, possono vigilare affinché non ci si limiti a informare i giovani sulla democrazia e sul significato della cittadinanza, ma vengano offerte loro le possibilità di farne l’esperienza in modo concreto. Tuttavia, la partecipazione dei giovani non ha l’unica finalità di formare dei cittadini attivi o di costruire una democrazia per il futuro. Perché la partecipazione abbia un vero senso, è indispensabile che i giovani possano esercitare fin da ora un’influenza sulle decisioni e sulle attività, e non unicamente a uno stadio ulteriore della loro vita.
Infine, scelta pienamente sintonizzata anche con l’impostazione politicoculturale e le indicazioni operative che la Commissione Europea ha inteso suggerire con il documento Le scuole per il 21° secolo (Bruxelles, 11 luglio 2007), sottolineando in particolare l’obiettivo di «Preparare i giovani europei alla cittadinanza attiva»: Far aumentare la partecipazione giovanile alla democrazia rappresentativa è una delle sfide più importanti per la società europea. Un legame efficace tra la scuola e il mondo esterno, a livello locale, regionale, nazionale, a livello dell’Unione e oltre, può essere estremamente importante se gli studenti vengono preparati ad assumere il loro ruolo nella società. Attraverso la scuola la società aiuta a preparare i giovani alla vita in comunità e a essere cittadini responsabili e attivi; essa può spiegare ai giovani cosa significa essere cittadini europei responsabili in una società democratica.
l’innovazione del videogioco È a partire da queste premesse che è stata ideata tra l’altro l’iniziativa di un videogioco, inteso come strumento didattico agile e stimolante con cui alimentare il rapporto avviato con studenti e insegnanti e per coniugare i contenuti dell’educazione alla cittadinanza attiva con un linguaggio adeguato a intercettare interesse, curiosità, partecipazione alla proposta di Civil Life. Ne è scaturita l’elaborazione di Election play, un videogioco strutturato in modo da simulare realisticamente i contesti e le modalità con cui il sistema democratico funziona e si dà la rappresentanza titolata a gestire i programmi che hanno una correlazione diretta e concreta con le esigenze e le condizioni di vita dei cittadini: creazione cioè di un setting in cui gli studenti, invitati a esercitarsi con il serious game, sono posti nelle condizioni non di “fuggire dalla realtà”, bensì di confrontarsi con essa e con le scelte che essa impone. Con
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Election play si è inteso dire ai giovani: dovete imparare e misurarvi sul serio, ovvero passare da un concetto di “ospitalità nell’ambito delle istituzioni” a un’esplicita sollecitazione a sperimentare il gioco della competizione democratica, imparando a vincere per assumere la responsabilità del governo, scegliendo le opzioni programmatiche, le alleanze, facendovi giudicare per questo... Si è trattato di una decisione meditata e supportata da una lettura attenta della fenomenologia sociale rappresentata dalla diffusione dei videogiochi. Nell’impostazione e valutazione critica per la realizzazione di Election play e della sua diffusione nell’ambito scolastico si è tenuto presente che: Sul versante dei nuovi studenti influiscono fattori psicologici di varia natura, la loro fragilità narcisistica, accanto a nuovi stili di pensiero e a una emergente competenza digitale, caratterizzata da pervasività audiovisiva e interattività veloce; i fattori congiuntamente agiscono sul sistema affettivo-motivazionale, strutturato sempre più nell’ambito di una ciclicità (bisogno-appagamento) che si risolve in circuiti ristretti, con scarsa dislocazione affettiva e cognitiva su orizzonti temporali medio-lunghi. Le dinamiche cognitive tra mente e media sono comunque complesse e non possono essere univocamente ricondotte a banali schematismi; siamo dell’avviso che esistano anche circostanze in cui le tecnologie contribuiscono ad alimentare circuiti virtuosi di apprendimento, dando luogo a dinamiche sinergiche tra mente e media, in grado di portare l’allievo ad acquisizioni altrimenti non conseguibili senza le tecnologie stesse (A. Calvani [a cura di], Tecnologia, scuola, processi cognitivi, 2007).
L’intera impostazione di Election play quindi (interrogativi, dilemmi e prove di preparazione e abilità del giocatore) è stata correlata all’obiettivo di elevare il pensiero critico, aumentare il tempo dedicato alla riflessione e all’approfondimento, allenare la mente, aprirla alla riflessione e al confronto, abituarsi ad affrontare la realtà complessa. Favorire lo sviluppo di un solido spirito critico individuale nei giovani che consenta loro di guardare il mondo con i propri occhi e di giudicarlo con la propria testa, non rinunciando a capirlo, significa ideare e strutturare sequenze di videogioco, nelle quali si debbono coniugare valori con programmi, commisurare i risultati alle risorse: ciò, ci si augura, dovrebbe consentire da un lato di far crescere la dimestichezza con i processi reali, dall’altro di costituire un antidoto alla superficialità e alla faziosità violenta che nel caso di alcune tipologie di videogiochi sono addirittura previste e incentivate. Si è lavorato molto, quindi, sull’ambientazione: pur trattandosi di realtà virtuali, sono stati descritti i luoghi che, anche se non rappresentano posti precisamente identificabili, sono verosimili, e “contesti” sui quali sono ipotizzabili e progettabili interventi concreti. In questo modo si è inteso da un lato alimentare una partecipazione positiva ed educativa e costituire un’alternativa alla carica antipolitica e al populismo sottesi a una superficiale informazione sulla funzione della professione politica, dall’altro sperimentare un percorso innovativo per affrontare la gestione dei programmi di educazione civica.
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information & comunication technology e nuova didattica
Questi libri non sono in bibliografia
La scelta di puntare all’introduzione del videogioco nella scuola si è inserito nel contesto della crescente tematizzazione del rapporto tra innovazioni tecnologiche e didattica, Civil Life considera che i processi di crescita della cittadinanza consapevole e attiva non possono essere affidati interamente alle speranze e illusioni cresciute con l’attribuzione di un’autonoma capacità propulsiva all’avvento delle ICTs; è invece indispensabile misurarsi con esse, facendo i conti con le grandi novità e potenzialità che introducono, incidendo profondamente sul ruolo e sul modo in cui si struttura il rapporto delle istituzioni con la società. Già all’inizio degli anni ottanta alcuni autori avevano sottolineato l’importanza di pensare alla tecnologia in quanto dispositivo “neutrale” fortemente dipendente dal sistema culturale in cui essa va a inserirsi, ovvero che i computer e i software che li accompagnano sono «parte del ben più complesso mondo simbolico che dà vita alla nostra cultura». Vi è dunque il bisogno, da parte degli adulti, di comprendere che i computer e i programmi a essi associati (e quindi anche i videogiochi) sono fra i tramiti «per la comprensione da parte degli studenti e dei giovanissimi in generale del loro mondo e di quello circostante». Va sottolineato che l’attenzione alla complessità del rapporto fra i videogiochi, i loro contenuti di valenza potenzialmente educativa e i loro destinatari in erba, deve essere prestata proprio dalla scuola, una delle sedi più adatte a sperimentare e gestire questi contenuti in action esercitando una funzione “critico-digitale”; tale questione è stata affrontata in Italia solo recentemente e in modo non sistematico. Oggi risulta però evidente che i videogiochi sono per molti ragazzi «un’occasione unica per accostarsi al computer e continuano a costituire il canale privilegiato di accesso alla cultura informatica, in particolare per quegli aspetti che non transitano ufficialmente attraverso l’istituzione scolastica» (Tirocchi, Andò, Antenore, 2002). È vero altresì, come afferma Tanoni (2003) e come molti altri hanno fatto prima di lui (Maragliano 1996; Antinucci 2002), che la scuola deve mobilitarsi in modo avveduto e prudente, ma rapidamente, per incorporare il linguaggio dei videogiochi nelle sue aule. Tanoni poi indica la formula play to learn, learn to play come base per un apprendimento moderno, basato sugli stimoli motivazionali, che in questo caso deriverebbero dall’uso gioioso delle sintassi del videogioco a scuola; senza trasformare la classe in una sala giochi, naturalmente, ma con l’intento di integrare le formule canoniche d’insegnamento e apprendimento con i nuovi linguaggi. Una conferma importante della giustezza dell’iniziativa sostenuta dal Consiglio regionale del Veneto arriva da un’accreditata e recente ricerca americana: The Civic Dimensions of Video Games (CERG - Civic Engagement Research Group at Mills College, 7 settembre 2008). Se ne riporta l’affermazione centrale: In short, video games are now a very significant part of young people’s lives. But in
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what ways? Although we know young people play games frequently, the relationship of this activity to adolescent development has not been fully explored. Over the years, as game design has become more sophisticated and the content more varied, debates over the value of games have surfaced. Media watchdog groups such as the National Institute on Media and the Family warn that video games can lead to social isolation, aggressive behavior, and reinforce gender stereotypes. Advocates of video games’ potential, on other hand, call attention to the “tremendous educative power” of games to integrate thinking, social interaction, and technology into learning experience. Digital media scholars such Henry Jenkins also highlight how video games and other forms of digital media can foster “participatory cultures” with “relatively low barriers to artistic expression and civic engagement (vedi www.digitallearning. macfound.org).
il laboratorio didattico La novità introdotta con Election play nel corso degli ultimi due anni (2009-2010) di realizzazione del progetto Civil Life è stata accompagnata e implementata da iniziative editoriali che si sono misurate con i linguaggi della creatività e multimedialità: dal videogioco In viaggio a Palazzo Ferro-Fini, al cartone animato Bla bla bla, e-democracy e minori e al bando-concorso di Democrattivati (vedi il “catalogo” in Appendice). Ed è stata proprio la molteplicità dei prodotti ed eterogeneità dei piani di informazione e divulgazione degli stessi (attraverso le brochure illustrative e in particolare i siti istituzionali e il social network dedicato www.civillifelab.ning.com) a suggerire che la complessità e continuità del confronto e della comunicazione con il mondo della scuola dovevano essere affrontate e gestite con la costituzione di un laboratorio didattico. L’idea fondante è stata che esso avrebbe dovuto assumere la funzione di supporto ai programmi di educazione alla cittadinanza attiva diffondendo non solo prodotti e proposte, ma anche diventando il luogo per lo sviluppo culturale sui temi della democrazia partecipativa, alimentando e facendo convivere le sperimentazioni concrete con la riflessione critica e la creatività in merito alle dimensioni del vivere democratico per cui l’educazione civica diventa la risorsa decisiva. Con tale impostazione, l’attività del laboratorio si è rivolta agli studenti e agli insegnanti per coadiuvarli e sostenerli nell’attività di ideazione e realizzazione di progetti nei quali i tradizionali e vincolanti programmi scolastici vengono declinati con metodologie e strumenti innovativi. Civil Life quindi diventa una palestra in cui formazione e cittadinanza trovano una coniugazione sinergica, ovvero l’educazione diventa sinonimo di crescita culturale e sociale, consentendo di dare vita a un’inedita e proficua collaborazione interistituzionale: Consiglio regionale e Ufficio Scolastico Regionale hanno perciò cominciato non solo a rendere operanti le recenti e già citate linee ministeriali relative all’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione” (con un’attenzione peculiare alle implicazioni istituzionali del federalismo), ma anche a rivisitare il valore strategico dell’educazione.
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Pensando in particolare alla funzione dei soggetti che esercitano la responsabilità di educatori, è emersa l’esigenza di compiere un’azione in grado di costruire cose nuove e di contrastare la subcultura oggi prevalente del consumo rapido, senza proiezione sul futuro, la cui cifra è una limitata progettualità e attenzione agli stimoli. In questo senso il laboratorio didattico di Civil Life è proposto come risorsa sussidiaria per un sistema di educazione scolastica caratterizzata da un’azione diretta di coinvolgimento degli studenti, di chiamata a essere protagonisti attivi della propria storia, «a buttare lo sguardo al di là dell’oggi e ad allargare gli orizzonti del possibile» e in questa direzione ci si è mossi assumendo quasi “scolasticamente” i suggerimenti contenuti in un’intervista ad Anna Rezzara, presidente del Centro Studi “Riccardo Massa”: Da sempre il compito dell’educazione è configurare un “possibile” per sé e lavorare per costruirlo in un percorso che non è rettilineo, ma che deve avere degli obiettivi. Credo che oggi sia più difficile perché, ripeto, c’è una contrazione del tempo e dello spazio per cui i giovani sembrano vivere nel presente, con l’attesa di un risultato immediato e quindi fanno fatica ad avere capacità progettuali. Viviamo in un’epoca in cui ci sono pochi valori, miti, ideali oppure ce ne sono tanti, troppi, indifferenziati, tutti alla pari. L’educazione è un’azione indiretta per creare le condizioni in cui bambini e giovani possano fare delle esperienze che supportano un loro progetto di vita, professionale. Quindi un’educazione che lavora per allestire situazioni che siano varie, stimolanti, ricche d’avventura intesa come accostamento al nuovo, esplorazione di sé, del mondo (vedi www.educaonline.it).
Seguendo questo indirizzo pedagogico, l’attività del laboratorio è stata rivolta agli studenti e agli insegnanti per coadiuvarli e sostenerli nell’attività di ideazione e realizzazione di progetti nei quali i tradizionali e vincolanti programmi scolastici vengono declinati con metodologie e strumenti innovativi. Civil Life è quindi diventata una palestra in cui formazione e cittadinanza trovano una coniugazione sinergica, ovvero l’educazione diventa sinonimo di crescita culturale e sociale. verso la media education Le molteplici attività ed esperienze realizzate nel corso di un triennio con il progetto Civil Life, se da un lato hanno rappresentato una novità importante, dall’altro hanno anche sollevato diversi interrogativi su strumenti, metodologie e linguaggi che debbono essere adottati nel contesto scolastico attuale per un efficace coinvolgimento degli studenti e degli insegnanti in attività che introducono cambiamenti della didattica usata dentro l’offerta formativa tradizionale. In particolare si è aperta una riflessione con al centro il mutamento antropologico-culturale determinato dal rapporto dei giovani studenti con le nuove tecnologie della comunicazione e le ricadute che tale nuova condizione ha provocato nei confronti del sistema scolastico e nella relazione con i docenti.
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Come è stato recentemente osservato: [...] fra i 14 e i 19 anni, l’88% degli adolescenti si “espongono” sui blog o su YouTube, vivono sullo schermo, per esprimersi, per apparire, per comunicare e per stabilire relazioni sociali e affettive. Il modo in cui vedono e costruiscono il mondo è differente [...] i digital native, piuttosto che interpretare configurano; piuttosto che concentrarsi sugli oggetti statici, vedono il sapere come processo dinamico; piuttosto che essere lettori o spettatori sono attori e autori dell’apprendimento (P. Ferri, relazione al Seminario internazionale ADI Da Socrate a Google, Bologna, 27-28 febbraio 2009).
È quindi a partire dalla consapevolezza di questa nuova fenomenologia sociale che nell’ambito del progetto Civil Life è stata colta l’opportunità di avviare una collaborazione con la Direzione Didattica di Cassola (VI), nella quale è operante un laboratorio didattico sui cartoni animati. Ne è sortita la creazione del laboratorio formativo on line www.cartonianimati.ning, che è diventato la palestra per affrontare la questione didattica rappresentata dalla multimedialità e si è proposta l’educazione al linguaggio delle immagini e anche alla produzione multimediale, rendendo gli scolari protagonisti attivi e capaci di appropriarsi dei diversi codici di linguaggio. Tale impegno progettuale ha conseguentemente consentito di dare vita a un’esperienza didattica e formativa connaturata alla condizione delle nuove generazioni digital native. Nell’attività sviluppata dal laboratorio “Cartoni animati a scuola”, in particolare per le azioni di media education, i bambini sono stati considerati soggetti di diritto come gli adulti e perciò creditori del diritto di ricevere informazioni e di partecipare attivamente alla costruzione della comunicazione come processo di relazione e interazione con la società. Nell’esperienza pratica (la costruzione di cartoni animati con l’ausilio dei computer collegati in rete con un sistema cooperativo) i bambini hanno dimostrato di avere idee e proposte da comunicare su svariate tematiche del vivere sociale, con particolare focalizzazione su quelle correlate ai programmi della scuola primaria inerenti all’educazione civile: educazione alla cittadinanza, stradale, ambientale, alla salute, alimentare e all’affettività. Ed è a partire dalla constatata sensibilità e competenza digitale dei bambini coinvolti che è nata l’idea progettuale per la realizzazione di un cartone animato che affrontasse e declinasse il messaggio socio-culturale di Civil Life (educazione alla cittadinanza e responsabilità per la propria comunità) con la loro ispirazione, la loro creatività e le loro parole. Quello che poteva apparire un azzardo ha prodotto invece un risultato innovativo: rispetto alle precedenti “produzioni” (i videogiochi) stavolta l’elaborazione e la “lavorazione” non sono state di esperti esterni alla scuola, bensì degli stessi scolari (naturalmente coordinati e sostenuti dall’insegnante). Uno dei prodotti più brillanti di tale lavoro è stato il cartone animato Bla bla bla, e-democracy e minori, che ha rappresentato una sfida davvero suggestiva perché con la sua realizzazione è stata messa in campo un’esperienza che ha modificato i tradizionali paradigmi scolastici: didattica, uso delle tec-
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nologie, comunicazione sono stati gestiti da interpreti inediti che hanno portato nel sistema scolastico, ma anche in quello politico-istituzionale, un’energia fresca e pulita, il messaggio di un cambiamento possibile in corso (per un più completo resoconto di tale esperienza, rinviamo al saggio di Adriana Sartore, insegnante e coordinatrice del laboratorio). un’inedita condizione giovanile L’esigenza di intensificare l’attività di media education è oggi confermata da tutte le analisi e ricerche che indagano la condizione giovanile e verificano che internet si sta configurando come nuova agenzia di socializzazione e di formazione dei giovani con rischi di svilimento delle potenzialità educative e dei compiti finora tradizionalmente svolti dalla famiglia e dalla scuola. Tuttavia internet, computer, cellulari e social network sono strumenti e come tali devono essere usati in modo corretto e facendo riferimento a regole e contenuti che però attualmente sono del tutto insufficienti. Si sta rischiando seriamente che studenti e giovani scivolino verso l’abuso di questi strumenti e diventino dipendenti da essi, soprattutto le fasce giovanili più fragili, quelle meno protette dalla presenza educativa della scuola e della famiglia, ovvero più deboli culturalmente («La natura del disagio non è esistenziale, ma culturale: i giovani non riescono più a percepire l’integrazione sociale, l’acquisizione dell’apprendimento, l’investimento nei progetti come qualcosa di connesso a un loro desiderio profondo, che è poi il desiderio di desiderare la vita»: U. Galimberti, L’ospite inquietante - Il nichilismo e i giovani, 2007). Si tratta di una problematica che è stata oggetto di un’importante ricerca in Veneto: Le nuove macchine sociali. I giovani veneti e le nuove tecnologie tra socialità ed eccedenza, pubblicata dalla Franco Angeli (2007), in un volume curato da Silvio Scanagatta e Barbara Segato; in un convegno promosso dalla Regione Veneto e dal Dipartimento di Sociologia della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Padova, il professor Scanagatta, illustrando in sintesi la ricerca, ha messo in guardia sul pericolo che i giovani veneti immersi nella “rete” perdano il contatto con l’adulto fisico, riferendosi esclusivamente a un referente adulto virtuale. «Il problema che si pone – ha detto tra l’altro – non è più come fornire computer ai ragazzi ma come accompagnarne l’uso, come regolarlo». Infatti i dati evidenziano che anche nel Veneto si presenta il fenomeno di un utilizzo eccessivo delle nuove tecnologie da parte dei giovani: i videogiochi vengono usati in media un’ora e mezza al giorno (con punte di tre ore e più), lo scambio di sms sui cellulari raggiunge punte di 50 messaggi al giorno tra amici, l’uso di internet è sempre più invasivo. Insomma, in alcune fette del mondo giovanile le nuove tecnologie diventano fattore di rischio e di “nuove” dipendenze caratterizzate, tra l’altro, da scarso rendimento scolastico. Si tratta di considerazioni e preoccupazioni che trovano un riscontro molto importante nei risultati delle ricerche condotte dalla scienziata inglese
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Susan Greenfield, la quale sostiene che: «Il cervello delle nuove generazioni funzionerà in modo diverso. È ovvio: se cresci passando gran parte del tempo davanti a un computer, la corteccia cerebrale finisce per plasmarsi e adattarsi a quella dimensione. Il risultato è che diverrà brillante in alcune funzioni molto meno in altre», e aggiunge: «Non dico che computer e videogiochi vadano messi al bando. Ma bisogna essere consapevoli: l’uso che molti bambini e giovani fanno delle tecnologie digitali farà sì che il loro cervello sviluppi caratteristiche funzionali diverse da quelle di noi adulti (di oggi)», concludendo: «Certo, alcune abilità che si affinano nel mondo digitale sono fra quelle che magari ti fanno ottenere punteggi alti nei test sul quoziente intellettivo, però temo che tutta un’altra parte di bagaglio emotivo-esperienziale resti tagliata fuori dallo sviluppo cerebrale» (Cervelli digitali, in Nòva, inserto di «Il Sole 24 Ore», 2 settembre 2010). le linee d’azione Quello che abbiamo finora descritto è stato il percorso progettuale e operativo che ha connotato lo start up e l’evoluzione di Civil Life. Nel corso dei tre anni di attività e di iniziative, le realizzazioni sono state numerose e sono state declinate con l’uso di diversi strumenti e azioni (di cui diamo conto in Appendice): a) utilizzazione della “risorsa-rete”: siti dedicati, social network, newsletter, laboratori on line; b) produzione multimediale dalle brochure ai DVD e ai video fino ai cortometraggi; c) la partecipazione a manifestazioni ed eventi: in particolare EXPOSCUOLA (Fiera di Padova) e FORUM PA (Fiera di Roma), GLOBAL JUNIOR CHALLENGE, COMPA (Salone della comunicazione pubblica)... È inoltre necessario sottolineare che nell’impostazione programmatica e operativa, nel corso del tempo sono state individuate e si sono precisate le linee d’azione fondamentali su cui concentrare l’impegno didattico e il conseguente coinvolgimento del mondo della scuola veneta, in particolare su quattro aree tematiche: 1) la cittadinanza studentesca come pratica virtuosa; 2) la multimedialità e innovazione didattica; 3) l’educazione allo sviluppo sostenibile; 4) l’educazione all’intergenerazionalità. Per quanto attiene il primo punto si è ritenuta necessaria e preliminare la scelta di prendere molto sul serio la scuola intesa come un pezzo pregiato della società, una comunità all’interno della quale i diversi soggetti protagonisti sono chiamati a convivere e cooperare per il raggiungimento di uno stesso fine. Partendo da questo presupposto si è inteso assumere integralmente la logica con cui lo Statuto dei diritti e dei doveri degli studenti (vedi il DPR n. 249 del 24 giugno 1998 e successive integrazioni) ha creato la cultura dei
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diritti e dei doveri, del rispetto di regole di convivenza elaborate e condivise dalle componenti della comunità scolastica, a partire dall’adozione della logica dell’autonomia. Lo Statuto fu allora pensato come uno strumento fondamentale di partecipazione studentesca nella scuola dell’autonomia; come uno dei tasselli che danno senso e organicità al processo riformatore; un modo di affermare il principio di cittadinanza, nella comunità scolastica, che si traduce nella dignità e responsabilità della persona (in questo caso lo studente). A partire dal retroterra “normativo”, che ha originato l’esperienza delle consulte, nell’ambito di Civil Life è stato messo a punto e realizzato un modulo formativo standard, sperimentato in modo efficace con gli studenti del liceo ginnasio “Giorgione” di Castelfranco Veneto (TV), per individuare i percorsi concreti della “grammatica della cittadinanza” (vedi in proposito il saggio di Franco Rebellato). Sulla seconda linea d’azione, lo sforzo di ideazione e realizzazione è stato particolarmente impegnativo soprattutto perché si è dovuto affrontare il macigno delle asimmetrie esistenti nel mondo della scuola, dove i digital native si debbono rapportare con un corpo docente ancorato ai tradizionali linguaggi della comunicazione e della didattica. Ciononostante è stata prodotta una serie di tools, strumenti e proposte che, seppure in scala ridotta, sono state diffuse tra gli studenti e gli insegnanti, e hanno determinato una novità importante di cui diamo conto pubblicando in Appendice il “catalogo” dei titoli e delle immagini di Civil Life, da Election play a Democrattivati. Le difficoltà e i dilemmi affrontati sono esaminati e approfonditi nel saggio di Cristiano Buffa, mentre Franco Torcellan e Adriana Sartore espongono alcuni risultati del lavoro avviato con i progetti GOLD e “Cartoni animati a scuola”. Il tema dello sviluppo sostenibile è stato al centro del percorso didattico più lungo e intenso in quanto si è innestato nel POF di un istituto tecnico per geometri (il “Belzoni” di Padova) e conseguentemente l’intervento di Civil Life è stato progettato attraverso un impegnativo confronto con il corpo docente e gli studenti; ma ciò ha anche consentito non solo di elaborare contenuti didattici di notevole qualità (vedi La settimana dell’urbanistica), ma anche di conseguire risultati durevoli, nuove conoscenze e replicabilità. L’esperienza e la valenza pedagogica di tale intervento sono illustrate nel saggio di Anna Agostini e Michele Sbrissa. La quarta linea d’azione, l’intergenerazionalità, costituisce la sfida più recente di Civil Life, e anche quella che ha aperto uno scenario denso di implicazioni sia sul piano organizzativo-gestionale che propriamente didattico, ma anche della riflessione sulle tensioni e le potenzialità presenti oggi nel rapporto tra giovani e anziani, sulla funzione della memoria in ambito educativo. Con Senior’s Forum si è voluta sperimentare la praticabilità delle aule come luoghi di incontro e formazione in cui il ruolo del docente viene assunto dagli studenti, chiamati a scambiare le loro competenze tecniche nell’uso
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del PC con le cognizioni, il linguaggio e la ricchezza umana e culturale delle persone anziane invitate e interessate a sedersi nuovamente sui banchi di scuola per l’alfabetizzazione informatica. La gestazione di tale progetto formativo è stata complessa ed è stata supportata da una riflessione approfondita: «Con te ha inizio una nuova generazione nella nostra famiglia [...]. Tu sarai capofila di una nuova generazione e sarà l’incomparabile ricchezza della tua vita a poter vivere una buona parte di questa insieme con la terza e quarta generazione che ti ha preceduto [...]». Queste parole sono contenute in una lunga lettera scritta da Dietrich Bonhoeffer al nipote in occasione del suo battesimo; era il maggio 1944 ed egli si trovava ormai da un anno nel carcere di Berlino, prima di essere giustiziato nel campo di sterminio di Flossemburg, un anno dopo, il 9 aprile 1945. Traspare qui la riflessione del martire teologo tedesco, sulla funzione della memoria nei rapporti tra le generazioni, che ci deve sorreggere proprio nel tempo presente, caratterizzato dalla perdita di tale consapevolezza, determinata da una molteplicità di cause (crisi della famiglia, schiacciamento sul presente, compulsione consumistica...). Nasce nel contesto di questo mutamento socio-culturale la difficoltà del mondo giovanile a concepire la propria vita nello scorrere del tempo, quasi che si possa vivere senza curarsi del proprio passato e del futuro che ci aspetta. Con Senior’s Forum, si è scelto di affrontare tale rischio educativo oggi presente, ovvero la rimozione della “prospettiva a lunga scadenza”, creando un contesto di relazioni virtuose tra studenti e anziani nelle aule scolastiche dove proprio uno dei simboli dell’attuale frattura intergenerazionale, l’espansione delle tecnologie di comunicazione, diventa il terreno del dialogo e della cooperazione. Così i corsi di formazione per l’alfabetizzazione informatica, realizzati dai giovani a favore degli anziani, non diventano solo un’occasione per affrontare il digital divide, ma anche per stimolare uno scambio di esperienze con cui i nuovi linguaggi della rivoluzione tecnologica vengono riletti e interpretati come risorsa per arricchire la comunicazione. Alcune delle questioni sollevate da questa iniziativa di Civil Life e alcune indicazioni operative emerse dall’esperienza sono analizzate in due diversi saggi, di Renzo Scortegagna e Antonio Fossa; quest’ultimo in particolare, si sofferma sulla funzione didattica della storia locale interpretata come risorsa pregiata, ma anche delicata nella sua sedimentazione, da utilizzare per rafforzare un’identità più ricca di memoria e conseguentemente in grado di dare ai giovani risorse culturali e valoriali a cui attingere per affrontare il futuro con maggiori chance. conclusioni Il resoconto del lavoro svolto con il progetto Civil Life, che trova riscontro nella documentazione in Appendice, rappresenta a ben vedere la testimo-
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nianza di una volontà, espressa dapprima dalla scelta strategica del Consiglio regionale e successivamente dal protagonismo di una molteplicità di attori, di non soggiacere passivamente a un clima socio-culturale, alimentato da lamentele e grida sulla crisi dell’educazione, che ha determinato una progressiva delegittimazione della scuola come luogo fondamentale di crescita umana e civile e asset decisivo per lo sviluppo sociale ed economico. Il progredire della riflessione su alcuni nodi cruciali della questione educativa oggi (che ha assunto secondo taluni le caratteristiche di una vera e propria “emergenza”), che abbiamo sinteticamente illustrato, parallelamente alla descrizione della metodologia adottata e dei risultati ottenuti, costituiscono quindi la conferma di una consapevolezza crescente sull’opportunità del percorso intrapreso e della determinazione a proseguirlo. Questa pubblicazione si propone dunque di contribuire a porre al centro dell’attenzione sociale e politica il tema dell’educazione alla cittadinanza attiva e responsabile in termini forti e propositivi; nello stesso tempo essa costituisce anche una piattaforma di esperienze, innovazioni e suggestioni sulla quale far convergere l’impegno, la creatività, la competenza professionale e l’entusiasmo della vastissima platea degli attori sociali e istituzionali protagonisti nel mondo della scuola. La nuova stagione di Civil Life sarà conseguentemente caratterizzata dallo sforzo di ampliare la sfera e l’intensità degli interventi, innovando ulteriormente il modello e le procedure di coinvolgimento di studenti e insegnanti, soprattutto attraverso l’uso del linguaggio multimediale e della rete che, va sottolineato, ormai dischiudono opportunità straordinarie (vedi in WEBBECEDARIO, Gli insegnanti usano la rete per rigenerare la scuola, in Nòva, inserto di «Il Sole 24 Ore», 9 settembre 2010). Tale impegno programmatico potrà contare su metodologie operative e risorse strumentali consolidate (ne parla diffusamente qui il saggio di Franco Torcellan), che sono già state sperimentate con il laboratorio (vedi in www.civillifelab.ning.com). Si tratta di un progetto che mira al rinnovamento della scuola, nel senso di mettervi al centro l’esperienza conoscitiva dei ragazzi, aprendo l’insegnamento a nuove funzioni e apporti specialistici allo scopo di creare più favorevoli condizioni di apprendimento. A voler essere un po’ presuntuosi si può affermare che tale intendimento “legge” correttamente la fotografia della scuola italiana pubblicata nell’ultimo rapporto OCSE (Uno sguardo sull’educazione, 2010), che ne individua le zone critiche in struttura della spesa, questione docenti e qualità degli apprendimenti: ebbene, sul secondo e sul terzo punto Civil Life è la dimostrazione che migliorare si può! bibliografia G. Angelini, Educare si deve, ma si puo?, Vita e Pensiero, Milano 2002.
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franco rebellato LA GRAMMATICA DELLA CITTADINANZA STUDENTI PROTAGONISTI
Quali sono le funzioni essenziali della scuola pubblica? Sostanzialmente due: trasmettere capitale intellettuale, cioè conoscenze, abilità e competenze contenutisticamente aggiornate ed epistemologicamente fondate; trasmettere capitale sociale, cioè far maturare una coscienza etico-civile attraverso la cultura dei valori. Ora, se per la prima siamo ancora “balbuzienti” rispetto agli altri paesi OCSE (indagine PISA), per la seconda siamo di fronte a una scuola “zoppa”, cioè in forte deficit per quanto riguarda la formazione della persona e soprattutto in relazione alla “costruzione del cittadino”. È la conferma del fallimento dell’educazione civica, apparsa sulla scena scolastica dal 1958, grazie all’onorevole Aldo Moro. Una recente indagine di Marcello Dei rileva infatti che solamente il 25% degli insegnanti ne ha svolto e svolge regolarmente o saltuariamente il programma. Eppure negli ultimi anni le scuole italiane sono state particolarmente sollecitate a un rinnovato impegno nell’educazione alla cittadinanza, quindi al di là dell’alfabetizzazione civica. Varie le sollecitazioni dall’interno, dal contesto e dall’alto, come osserva Paolo Calidoni1. Dall’interno, sotto la spinta della trasformazione multietnica e multiculturale, che ha costretto a un ripensamento della “democrazia scolastica” introdotta dai decreti delegati del 1974. Dal contesto “glocale”, con le sue trasformazioni tecnologiche ed economiche (globalizzazione), che interpellano le scuole autonome (dal 1998) a una progettazione didattica ed educativa (POF - Piano dell’Offerta Formativa) interagendo con il cosiddetto “territorio”, con il quale le scuole stanno misurandosi in rapporti reattivi, proattivi e di partenariato in cui i temi della formazione dei cittadini sono centrali; in particolare si pensi agli effetti prodotti da “Lisbona 2000”, con l’obiettivo finale di fare dell’Europa «[...] l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo [...]». Per l’Italia, gli anni novanta sono stati contrassegnati da molteplici progetti orientati a promuovere il ruolo della scuola nell’educazione alla cittadinanza: il macro “Progetto Giovani” che il ministro Giancarlo Lombardi
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P. Calidoni, L’educazione alla cittadinanza tra dire e fare, in «Dirigenti Scuola», n. 6, 2009.
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adottò con la Direttiva 58/96 per approdare poi all’elaborazione dello “Statuto delle studentesse e degli studenti” (DPR n. 249 del 24 giugno 1998) e nelle consulte degli studenti, come voluto dal ministro Giovanni Berlinguer. All’emergenza educativa socialmente rilevante rispondeva anche la Legge n. 53/2003 di Letizia Moratti, introducendo la “Convivenza civile”, quale sintesi delle diverse educazioni: cittadinanza, stradale, affettività, alimentare, salute ecc., assegnandola all’intero Consiglio di Classe nella convinzione che a sostenere tale obiettivo dovevano esserci buone e corrette conoscenze e abilità disciplinari. Si arriva così all’appuntamento del 2005, “Anno europeo della cittadinanza democratica attraverso l’istruzione”. Sulla base di uno studio condotto a livello europeo, il «Quaderno di Eurydice» n. 24, a cura di S. Baggianti e A. Turchi, ci informa che nella scuola italiana l’EDC risulta essere considerata “più un contenuto di insegnamento/apprendimento che una pratica” e infatti l’esplorazione compiuta conferma che essa è un “oggetto” e impegno didattico molto atipico. Frattanto, l’Europa interviene con la pubblicazione delle otto competenze chiave per l’apprendimento nel corso della vita, indicate come diritto-dovere universale per tutti i cittadini europei2. Le competenze chiave sono quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personale, la cittadinanza attiva (competenze sociali e civiche), l’inclusione sociale, l’occupazione. «Queste includono competenze personali, interpersonali e interculturali e riguardano tutte le forme di comportamento che consentono alle persone di partecipare in modo efficace e costruttivo alla vita sociale lavorativa, in particolare alla vita in società sempre più diversificata, come anche a risolvere i conflitti ove ciò sia necessario. La competenza civica dota le persone degli strumenti per partecipare appieno alla vita civile grazie alla conoscenza dei concetti e delle strutture sociopolitiche e all’impegno a una partecipazione attiva e democratica». Il ruolo della scuola nella contemporaneità trova qui un’indicazione fondamentale, che imprime la svolta più significativa alle politiche nazionali in questa materia e lo dimostrano le Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e il primo ciclo dell’istruzione3, che mettono al centro la connessione tra competenze, autonomia, responsabilità. Maria G. Dell’Orfanello sintetizza così i punti chiave: rappresentanza e partecipazione come aspetti complementari di diritto e dovere; responsabilità e consapevolezza del proprio agire intese come eticità, cioè qualità pro sociali; l’agire in autonomia responsabile;
2
«Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea» del 30 dicembre 2006, L. n. 394/10-18, Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente. 3 Legge 26 dicembre 2006, n. 296; Decreto 22 agosto 2007, Regolamento recante norme in materia di adempimento dell’obbligo di istruzione, con allegato Documento tecnico sugli assi culturali, a firma del ministro G. Fioroni.
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l’accettazione e la valorizzazione della diversità; la promozione delle competenze di base; il metodo esperenziale. Con il DL n. 137 del 1° settembre 2008, recante Disposizioni urgenti in materia di istruzione e università (Riforma Gelmini) viene nuovamente ridefinita l’educazione alla cittadinanza, prescrivendo l’acquisizione delle conoscenze e delle competenze relative a “Cittadinanza e Costituzione”. Sembrava che questo insegnamento assumesse la dignità di disciplina autonoma. In realtà, dopo la pubblicazione delle relative linee guida (nuclei tematici e obiettivi di apprendimento), è stato precisato che in via sperimentale si doveva trattare queste tematiche nell’ambito delle aree storico-geografiche e del monte ore previsto per le stesse. In pratica niente di nuovo, anche se va riconosciuto l’intento di potenziare il fattore educazione, mettendo al centro della formazione giovanile la cultura della cittadinanza costituzionale. In Gran Bretagna nel 2003 e in Spagna nel 2007, le scelte sono state invece più coraggiose, introducendo una disciplina chiamata “Cittadinanza”. tra il dire e il fare Nella società “glocale” in cui i giovani si trovano a vivere, proiettati nel terzo millennio, è chiaro che la cittadinanza presenta molteplici dimensioni. Giuseppe Deiana le distingue così4: quella costituzionale (incentrata sui valori della Costituzione), quella politica (convergente sullo stato di diritto), e quella sociale (diritti, welfare ecc.); inoltre, le cittadinanze territoriali: quella locale (urbana e regionale); quella nazionale (cittadini italiani); quella europea (cittadini europei); quella mondiale (cittadini del mondo); infine, le nuove cittadinanze, espressione della svolta epocale: quella multimediale (segnata dai legami virtuali tra le persone) e quella naturale (caratterizzata dai rapporti biologici, secondo una visione biocentrica). Si parte dunque dall’idea che la cultura della cittadinanza non dovrebbe costituire una materia autonoma, ma un sapere trasversale a tutte le discipline del curricolo, in quanto ogni disciplina possiede una propria specificità epistemologica (che deve essere fatta oggetto di conoscenza come costruzione del capitale intellettuale) a cui corrisponde una dimensione etico-civile (che costituisce il nucleo di un’educazione valoriale, come accrescimento del capitale sociale). Se si legge la realtà attraverso il “paradigma della complessità” (Edgar Morin), come asse della formazione intellettuale e morale delle nuove e future generazioni, questa potrebbe essere la soluzione più propriamente innovativa, conclude Deiana, osannando all’educazione civile, piuttosto che all’educazione civica, disciplina complessa e priva di uno statuto epistemologico, per la quale i docenti non hanno una adeguata e specifica preparazione.
Dove? (fonte)
4
L’occasione democratica dell’educazione alla cittadinanza, in Furom MQ, a cura di A. Cavalli, editore??, città?? 2009.
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Fonte?
E infatti, volendo lavorare a scuola sulla cultura della cittadinanza, rapportata alla Costituzione, il campo è tutt’altro che piano. Siamo di fronte alla sfida di ridurre nella società italiana il “deficit di etica pubblica”, allo scopo di ribaltare il cinismo in civismo, secondo l’insegnamento di Norberto Bobbio per il quale «il fondamento di una buona repubblica, prima ancora della buone leggi, è la virtù dei cittadini» (??). vivere la microsocietà scolastica Un nuovo modello di educazione civile dev’essere costruito allora su concetti come autonomia, responsabilità, autorevolezza e/o autorità democratica. Impresa da sesto grado, riassumibile in questi termini: educare alla cittadinanza nella scuola significa assumersi l’impegno di trasformare prima di tutto la scuola, il sistema nel quale essa stessa si è incatenata, condannandosi a uno stato di minorità. Un nuovo modello di educazione civile deve liberare la scuola e i suoi operatori da una ormai superata condizione di insegnamento/apprendimento. Occorre ripensare paradigmi e prospettive reinserendoli all’interno dell’educazione alla cittadinanza: nuovi ambienti di apprendimento, nuova organizzazione della didattica. Freinet già nel 1964 sosteneva che nella misura in cui si riusciva a modernizzare l’aula, si riusciva a modernizzare l’insegnamento. Il suo era un j’accuse senza appello al vecchio e superato modello scolastico, centrato nell’aula impostata in file di banchi ben allineati, dove la cattedra si impone all’uditorio così stabilendo il principio di autorità culturale e disciplinare in senso unico (one way), dove la frontalità è d’obbligo, si prende la parola alzando la mano, la didattica è esecutiva (scarsamente propositiva: guai alle intelligenze creative, divergenti), dove la centralità della prestazione individuale non ammetteva forme di collaborazione (chi ha inventato il cooperative learning?); un sistema spaziale orientato agli oggetti: oggetto libro, lavagna, carte geografiche ecc. Insomma la scuola trasmissiva, in cui l’allievo è il sacco da riempire...! Ma possiamo ancora pensare che nel terzo millennio, ormai in piena era digitale, la scuola debba continuare così e pretendere che svolga una funzione sociale efficiente, efficace, economicamente sostenibile? Guardiamoci intorno, altri stanno galoppando, l’Europa ci guarda preoccupata perché i nostri risultati sono insoddisfacenti. Nel febbraio 2008, Assolombarda stilò un documento di sintesi sulla domanda di professionalità delle imprese, connessa allo sviluppo, all’innovazione e alla globalizzazione. Essa non riguarda soltanto le posizioni professionali a più alto contenuto di responsabilità o di expertise: l’integrazione produttiva richiede capacità tecniche e di controllo, un buon grado di autonomia e di elevata capacità di collaborazione a tutti gli operatori. Dunque non semplici esecutori, né diplomati “perfetti”; servono giovani in possesso di conoscenze ben strutturate e articolate, riferibili a una pluralità di aree, competenze riconducibili al fondamento della “cittadinanza attiva”, il che significa che la scuola dovrebbe rispondere alla domanda di
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identità, autonomia, responsabilità, crescita personale degli individui nell’ottica del life-long learning professionale e sociale. Uscire dallo stato di minorità in cui la scuola si è cacciata è possibile se la trasformiamo in comunità educante, cioè in soggetto che riesce a interagire con la realtà territoriale, sociale, economica, culturale; se riesce a far esplodere nei giovani la voglia di diventare artefici del proprio destino. Ritornando alla definizione del Consiglio d’Europa, l’educazione alla cittadinanza è molto di più di un contenuto d’insegnamento/apprendimento, è soprattutto un insieme organico di pratiche e valori condivisi tra giovani e adulti, a cominciare dalla società scolastica. Le analisi di Foucault, Illich e Postman hanno documentato come sia la scuola a declinare modelli di convivenza civile e di cittadinanza “impliciti” ed “espliciti”. Dunque, l’educazione alla cittadinanza si gioca nell’intreccio complesso tra scuola ed extrascuola, tra implicito ed esplicito, tra intenzionale e non. Suggerisce Calidoni: il primo passo per la governance didattica di questa dimensione formativa sta, quindi, nello scoprire quanto è tacitamente incorporato nelle pratiche quotidiane veicolatrici di valori e forme di convivenza diversi, nel confrontarsi sui loro significati e sulla loro accettabilità educativa e democratica, renderli espliciti e intenzionali, vagliarne l’attuazione. E la trasposizione didattica? Resta questione articolata e complessa, che comporta l’integrazione organica di diversi piani e forme di lavoro educativo tra scuola ed extrascuola. Si può tuttavia partire dalle regole e dalle pratiche quotidiane. Rifuggendo da scorciatoie riduzionistiche, la scuola può così diventare davvero un laboratorio dove simulare l’applicazione di quel civismo che Bobbio invocava. Ma attenzione, perché nell’intricata questione tra curricolo implicito e curricolo esplicito, tra formale, informale e non formale, si apre un’altra questione: quali valori la scuola deve assumere e trasmettere? Occorre qui considerare il rapporto con l’IRC (insegnamento della religione cattolica), cui è affidata l’educazione morale, da un altro lato il rapporto con le ideologie che, per quanto in crisi, comportano sempre il rischio di indottrinamento (rischio di plagio, specie con certi docenti carismatici). D’altra parte non si può neppure accettare che la scuola resti per molti giovani un’esperienza priva di significato, dove non c’è spazio per affrontare i temi della propria presenza nel mondo attuale. Il mondo dei valori comporterà sempre qualche soggettività. Se persino la mafia ha i suoi valori...! Un buon catalogo potrebbe essere quello della Dichiarazione universale dei diritti umani, che a sua volta va interpretato, perché non tutti la pensano allo stesso modo neppure su temi come libertà, giustizia e dignità della persona umana. Nel già citato Forum MQ, Alessandro Cavalli solleva qui il problema degli spazi dove i giovani possano imparare ad argomentare intorno ai valori, degli spazi dove la riflessione sia stimolata, non interdetta, dove si acquisisca la competenza a elaborare delle idee e a esprimerle, e nello stesso tempo ad ascoltare e discutere quelle degli altri. Questi spazi devono sviluppare quelli aperti dalle materie di studio, dove
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– è noto – lo spazio per il curricolo nascosto è sempre esistito quando i docenti hanno saputo essere anche maestri. la tela di penelope La connotazione che possiamo dare all’EDC, considerato anche il testo licenziato dal Consiglio d’Europa, pone l’accento sulla dimensione sociale della partecipazione, dell’essere protagonisti nell’ambito della propria comunità. Per contro, da uno studio internazionale recente risulta che nei giovani quindicenni sussiste un diffuso disimpegno disengagement per la dimensione civica. È evidente la complessità del processo di socializzazione “politica” delle nuove generazioni. Si è allora puntata l’attenzione sul ruolo svolto dalla scuola e dalla famiglia. Il mondo vissuto trasmette codici, schemi di tipicità che il soggetto è sollecitato ad adottare sin dalla nascita. A seguito della molteplicità di interazioni dovute ai processi di socializzazione primaria e secondaria, si definisce quella che conosciamo come educazione implicita. Scriveva Aristotele che l’habitus è frutto di abitudine, di esperienza, di ciò che si vive ripetutamente nella quotidianità. È proprio la dimensione dell’esperienza il deficit principale nella pratica dell’EDC, come dimostra un’altra ricerca in vari istituti comprensivi italiani. Le disposizioni necessarie alla continuità e al progresso di una società, affermava J. Dewey, non passano attraverso la semplice comunicazione, ma tramite l’ambiente. Ora, è nota la difficoltà dei docenti a lavorare insieme, la difficoltà a praticare la collegialità, lo scarso coinvolgimento e poca partecipazione dei genitori. Il nostro è dunque un mondo che alimenta un certo tipo di educazione implicita, e che genera spazi poco inclini al confronto, al dialogo. Appare cruciale attivare processi educativi volti a preparare le nuove generazioni a praticare nella giusta misura “confronti reali” tra persone, processi educativi che vivano di dialogo nel dialogo. Studenti protagonisti saranno quelli che noi avvieremo alla prova del dialogo, imparando a tessere la tela dell’esperienza partendo dal microcosmo scolastico per poi misurarsi gradualmente con l’extrascuola. la valigia degli attrezzi Da qualche anno, al liceo ginnasio statale “Giorgione” di Castelfranco Veneto, è stato avviato un progetto di educazione alla cittadinanza attiva ispirandosi al principio che per essere attiva la cittadinanza deve essere praticata nell’ambito scolastico attraverso una serie di esperienze vissute dialetticamente nel contesto interno ed esterno. Il progetto sistematizzava una serie di precedenti interventi, interessanti ma frammentati, e si proponeva l’obiettivo di razionalizzare il tutto nell’ottica della qualità, assumendo le specifiche procedure di programmazione, applicazione, monitoraggi, verifiche, analisi dei
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trend, benchmarking. L’istituto nel frattempo si era infatti certificato UNI EN ISO 9001-2000 e aveva vinto il concorso “100 scuole” della Fondazione San Paolo di Torino con lo stesso progetto che si apprestava ad applicare e che ora ha assunto un ruolo caratterizzante nel POF. Non è questa la sede per un’analitica descrizione del progetto “Comunicare per partecipare. Studenti protagonisti”, così è stato denominato fin dalla prima applicazione nel 2005, conquistando un premio dall’USP di Treviso. La buona pratica si qualifica soprattutto perché è riuscita a superare la sperimentazione e a tradursi in costume della scuola, da tutti condivisa e sostenuta, con continui ancorché minimi miglioramenti. Il paradigma è centrato sugli studenti, ma anche i docenti e diversi altri soggetti esterni (genitori, gruppi sportivi, associazioni ecc.) sono coinvolti in svariate occasioni e modalità, che si declinano nel corso dell’anno scolastico in prassi educativa, progettualità innovativa, riesame delle procedure a livello di staff, dibattiti in Collegio Docenti, circolazione continua dell’informazione, rendicontazione finale di ogni attività, documentazione anche attraverso un annuario. Il denominatore comune che caratterizza il progetto è quello di vivere la realtà scolastica secondo le dimensioni costituzionali della persona, del cittadino, del lavoratore. Ma per entrare nella dimensione democratica occorre capire la realtà del suo ordinamento sapendo impostare relazioni, affrontare e risolvere pacificamente problemi, immaginare e promuovere nuove regole a garanzia delle convivenza ordinata e serena. È qui che si innesta la trama dell’alterità e della relazionalità: le dinamiche relazionali tra pari e tra giovani e adulti, con relative questioni del disagio giovanile per cui il gruppo sociale si interroga e ricerca la promozione del benessere fisico, mentale, relazionale. Il grimaldello sta nell’arte del dialogo, che occorre imparare nelle sue forme più efficaci (relazionalità assertiva). Occorre condividere le regole, cioè diritti e doveri. Al “Giorgione” si è fatta la scelta di cominciare dalla rappresentanza studentesca, considerata strategica e così mettere in moto un processo virtuoso di cittadinanza attiva: per meglio interfacciarla si è individuata una funzione strumentale tra i docenti, affiancata dalla vice-presidenza; il Comitato Studentesco ha approcciato la difficile arte della democrazia, intesa come arte della programmazione, dell’autoregolazione, della cogestione, definendo annualmente una sua proposta di “POF degli Studenti”, regolarmente assunto dagli OOCC nel POF dell’istituto. Il cosiddetto “POF degli Studenti” ha rappresentato la conquista più alta di tutto il processo. Esso contiene, in buona sostanza: il calendario delle assemblee d’istituto (con le indicazioni di massima dei temi che saranno trattati e dei criteri organizzativi), il piano della cogestione, cioè delle giornate scolastiche cogestite da studenti e docenti in alternativa alle attività curricolari (massimo quattro); il piano delle attività creative (concerti di Natale e fine anno, Giornata dell’Arte, Festa dell’Europa); i subprogetti: giornalino d’istituto (“Lo Raptus”), Europa Club, mercatino equo e solidale (vendita di prodotti durante l’intervallo), cineforum per le classi del biennio; concorsi a pre-
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mi, come ad esempio “Diventare cittadini europei” con relativa settimana formativa a Neumark (Austria), presso l’Europa Haus. Di recente, nel progetto è stata inserita anche l’educazione alla cultura della sicurezza, che prevede la partecipazione di volontari a gruppi di formazione specifica, a cura dell’RSPP, oltre alle comuni azioni informative e di simulazione. Quale piattaforma a supporto di tutto ciò l’istituto prevede un’attività formativa per gli studenti con funzioni di rappresentanza. Annualmente viene organizzato un seminario, in località amena, dove si approfondiscono le problematiche, si forniscono istruzioni per l’uso, si definiscono indirizzi e idee progettuali, si simulano situazioni concrete per promuovere il protagonismo giovanile. Si tratta di un intervento formalizzato che consente agli studenti di acquisire alcuni strumenti utili per gestire in modo efficace le assemblee di classe (mensili), che costituiscono un’importante palestra d’esercizio della democrazia partecipata, i cui verbali (strutturati secondo un modello uniforme) consentono alla dirigenza di avere un’idea del clima di classe, da comparare con quanto rilevano i verbali dei consigli di classe, altrettanto strutturati secondo il sistema qualità. Oltre ai documenti ufficiali, costruiti e/o revisionati in collaborazione con le rappresentanze delle diverse componenti, quali il PEC (Patto Educativo di Corresponsabilità), il POF, la Carta dei Servizi e i regolamenti, l’istituto si è anche dotato di un “Contratto Formativo”, che rappresenta la carta degli impegni che ogni Consiglio di Classe si prefigge. Ora, tale contratto viene proposto all’inizio di ogni anno scolastico dai docenti e, dopo un’approfondita analisi e confronto con genitori e studenti, viene sottoscritto dalle parti. È un accordo che definisce linee generali, finalità, obiettivi, criteri, didattica, valutazione, attività integrative (alle quali viene assegnato un monte ore stabilito nel contratto formativo). Chiarisce alle parti in gioco doveri e diritti, già sommariamente previsti nel PEC che è stato sottoscritto dalle stesse prima dell’inizio delle lezioni. Dunque, la triangolazione contrattuale assicura che nessuna delle componenti sia esclusa dalla responsabilità, che è condivisa perché il progetto è collegiale, essendo il risultato di una ordinata negoziazione il cui regista è il coordinatore di classe. Su quest’ultima figura si gioca spesso il successo dell’intero progetto. Perciò, anche per i coordinatori di classe all’inizio di ogni anno è previsto un corso di formazione/aggiornamento, che consente soprattutto ai novelli “apprendisti stregoni” di entrare nel sistema le cui richieste sono riassunte in un “cruscotto di pilotaggio”. Disponendo poi di una batteria di verbali (tarati per classe) altrettanto strutturati secondo il sistema qualità, con periodici monitoraggi a tutto campo che rilevano come procede l’attività scolastica, quali sono i casi problematici, come e quando si è intervenuti con azioni di recupero, sostegno, potenziamento, informazione dei genitori (con relativi report), il coordinatore di classe dovrebbe essere in grado di avere sotto controllo la situazione aggiornata. Lo stesso avviene per i genitori, oltre che per i loro figli/studenti, in quan-
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to informati non soltanto sul POF con apposite assemblee (solitamente collegate alle scadenze elettorali), ma anche tramite molteplici forme comunicative. Con loro ogni anno si organizza pure un corso di formazione, mirato al Comitato Genitori. Molte attività, soprattutto integrative, come l’educazione alla salute, sono concordate e accompagnate dal loro coinvolgimento. Il loro grado di soddisfazione generale viene periodicamente verificato con appositi questionari di customer satisfaction, così come avviene con la popolazione studentesca, con i docenti e con il personale. Se questa è in sintesi la struttura interna, che regge il progetto di cittadinanza attiva, vediamo ora almeno per sommi capi ciò che il POF definisce come linee d’azione sul piano didattico, para-scolastico ed extrascolastico. L’allineamento è sulle otto competenze chiave definite dall’EU e quindi la dimensione europea dell’educazione informa tutto l’impianto progettuale, declinato nella didattica laboratoriale (in alcune materie e sezioni), in esperienze interdisciplinari (almeno due nel triennio), nella programmazione per dipartimenti disciplinari, in periodiche prove per classi parallele, esperienze di peer to peer (didattica alla pari), curricoli verticali in costanza della continuità didattica, esperienze integrative curricolari ed extracurricolari ecc. Un’attenzione accurata interessa l’ambito dell’educazione fisica, con numerose iniziative coinvolgenti anche le realtà sportive esterne (Più sport @ scuola). Molto spazio per le attività associazionistiche, da quelle sportive (CSI) a quelle solidaristico-umanitarie (Amnesty International), a quelle di formazione socio-politica (Civil Life, Europa Club, Colloqui di Filosofia). In corso d’opera e alla fine di ogni anno scolastico, i referenti che presiedono le diverse aree d’azione riferiscono alle riunioni di staff, al Collegio dei Docenti, al dirigente scolastico che sottopone le risultanze ad attenta verifica attraverso gli audit di qualità, alla revisione dell’apposita Commissione Qualità che individua punti di forza ed eventuali criticità per rilanciare gli obiettivi di miglioramento, che diventano poi la nuova piattaforma per l’atto di indirizzo che il dirigente emana all’inizio del nuovo anno scolastico per orientarne la programmazione attraverso la definizione del POF.
Altrove mi pare fosse UE
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????
un framework per la qualità Può essere utile a questo punto proporre un modello di valutazione della qualità mutuato dal Consiglio d’Europa5. Ha lo scopo di sostenere lo sviluppo e l’implementazione di politiche e pratiche relative all’EDC. Il tool infatti è incluso nell’EDC Pack predisposto nel 2005, “Anno europeo della cittadinanza attraverso l’istruzione”. Esso propone un quadro di riferimento per l’autovalutazione delle scuole
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UNESCO, Council of Europe, Tool for Quality Assurance of Education for Democratic Citizenship in Schools, editore??, città?? anno??.
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Integrare
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strutturato tematicamente in tre aree principali, che si articolano in sei indicatori di qualità e ventidue descrittori specifici (vedi tabella). La valutazione dell’EDC si basa sull’interrelazione delle tre aree, dei rispettivi indicatori e della loro rilevanza nel contesto scolastico. Ogni scuola potrà adattarlo alla propria situazione trasformando gli indicatori e descrittori in domande appropriate per interrogarsi ed esplorarsi in rapporto al tema. Seguirà la scel-
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ta dei metodi, quantitativo e qualitativo, da utilizzare per la raccolta dai dati (questionari, focus group ecc.). Terza fase, l’elaborazione dei dati raccolti, che possono essere tematizzati in base agli obiettivi della valutazione. L’analisi identificherà modelli, associazioni, relazioni casuali, prospettive rilevanti. È così che si potrà giungere all’individuazione dei punti di forza e di debolezza della scuola e quindi, dal livello di partenza, attivare graduali processi di miglioramento e di sviluppo mediante un approccio del “passo dopo passo” (step by step approach). Ovviamente, tutti inclusi i portatori di interesse. Si tratta di uno strumento potente che correlando curriculum, clima e gestione, unisce i contenuti e gli assunti del tool alla prassi scolastica in un costante rapporto di reciprocità, per favorire una visione globale e sistemica. è tempo del cybercittadino? Qualcuno si è già chiesto se guardando al futuro prossimo avrebbe ancora senso preoccuparsi di EDC come sin qui prospettato. Non è una domanda speciosa. Dove stiano andando la società e la democrazia se l’è chiesto anche Derrick De Kerkhoe che vede la cyberdemocrazia alla pari della vecchia democrazia alfabetica degli antichi. E tuttavia vede il cybercittadino come soggetto globale, non più dunque come semplice appartenente a uno stato specifico. È un invito a considerare la nozione di governo globale spesso rievocata dalla cyberdemocrazia di B.H. Lévy. Oggi la piazza globale, il web e tutte le sue applicazioni, costituiscono il cyberspazio che si nutre di una sua specifica cybercultura. I movimenti noglobal si fondano sulla rete. Alle reti non ci sono confini. Viviamo in una società “glocale”sempre più plurale ed eterogenea in cui coabitano diverse identità, culture e religioni. L’orizzonte del demos non è più riconducibile al più circoscritto orizzonte dell’ethos e ce lo confermano studiosi come Ulrick Beck, Benjamin Barber, Jurgen Habermas, Seyla Benhabib. Però, sembra di capire che la cittadinanza “glocale” e interculturale non esista, ma sia piuttosto un’espressione che indica un’esigenza, una prospettiva che richiede inclusione e multiculturalità. È in di scussione la visione “westfaliana” della politica internazionale; entra in crisi il principio stesso dello stato nazionale in quanto la nuova cittadinanza è all’altezza del mondo globale e delle sue sfide planetarie. Il quesito che si presenta alla filosofia politica è ancora una volta simile a quello che si propose a Platone: qual è la responsabilità del cittadino nella cyber-repubblica?
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Sicuri? O è Pierre Lévy?
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franco torcellan AMBIENTI E STRUMENTI DELLE COMUNITÀ CHE APPRENDONO: LA DOCUMENTAZIONE ON LINE COME “LUOGO” DEL RACCONTO
Se vi è una situazione in cui la percezione di comunità si è sviluppata con fatica, paradossalmente, essa è quella del mondo della scuola. Sicuramente, gli studenti hanno sempre sentito di appartenere alla propria classe e più ampiamente all’istituto, ma per i docenti il discorso è più complesso e contraddittorio. A dieci anni dall’entrata in vigore dell’autonomia organizzativa e didattica molte cose sono cambiate nell’approccio alla collegialità. Il dover rispondere con la propria offerta formativa agli specifici bisogni del territorio, il dover esprimere una propria identità, il dover prendere decisioni e assumersi conseguenti responsabilità hanno costretto le istituzioni scolastiche a riflettere su se stesse, a individuare al proprio interno risorse e opportunità per rispondere a finalità raggiungibili, non con azioni individuali, ma con piani complessivi, a rapportarsi con un insieme ampio di stakeholders, definendo la propria collocazione e il proprio ruolo nella comunità locale. Nondimeno, questo cambiamento non può dirsi ancora del tutto realizzato e si riscontrano differenze tra le varie situazioni territoriali. Può essere difficile elaborare un senso di comunità, per la persistenza di concezioni, comportamenti e abitudini di un passato centralista che risolveva i rapporti di lavoro dell’insegnante nella relazione con i propri studenti (un rapporto centrato fortemente sul docente stesso), ma anche per motivi molto più semplici e di natura pratica. Ad esempio, i tempi scolastici sono spesso molto contratti e frenetici, gli insegnanti vivono con affanno una parcellizzazione delle attività e una condizione di continua mancanza di tempo, che accentua anche il peso della burocrazia. Recenti misure di razionalizzazione dell’utilizzo del personale hanno, inoltre, frammentato gli impegni di lavoro di un numero più consistente di insegnanti non solo su più corsi, ma anche tra più scuole, con forti disagi per gli spostamenti e ulteriori stress nella gestione dei tempi. Gli ambienti scolastici non possono poi dirsi sempre accoglienti e gestiti con attenzione al benessere delle persone (studenti, docenti, genitori...) e allo sviluppo delle relazioni tra le stesse. Il modello degli edifici scolastici, nella grande maggioranza dei casi è
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quello ottocentesco ed è pensato per l’insegnamento ex cattedra, non prevede spazi di autonomia per gli allievi e per il cooperative learning e ancor meno spazi per l’interazione degli insegnanti, se si escludono aule docenti trafficate come stazioni e aule per i collegi e le assemblee non sempre progettate per tale funzione. Per le altre attività collegiali e gli incontri con i genitori, il più delle volte, si utilizzano “spazi di risulta”, quali ad esempio aule non occupate per lezioni, o, peggio, corridoi. Del resto, a ben vedere, il modello architettonico che stiamo descrivendo è lo stesso di carceri, caserme e ospedali. Si tratta del modello proposto dall’industrialesimo e orientato quindi alla standardizzazione e all’omologazione. Esso si presta ad azioni rigidamente codificate e applicate attraverso un’organizzazione dove i ruoli e le mansioni sono definiti con precisione, dove non c’è spazio per raccontare, bisogna solo applicare le procedure. In Italia, i tentativi di innovazione dell’edilizia scolastica sono alquanto timidi, anche perché i fondi stanziati non riescono a coprire nemmeno la manutenzione ordinaria degli immobili. Il confronto con l’esperienza dei paesi del nord dell’Europa lascia decisamente sconfortati. Il legame dei risultati scolastici eccellenti della Finlandia con l’edilizia scolastica di qualità appare immediatamente evidente. La scuola qui non è uno spazio per ascoltare lezioni, ma un grande laboratorio in cui si possono fare esperienze diversificate e con percorsi individualizzati perché vi si trovano gli ambienti più adatti. Si può quindi anche riflettere sulle esperienze fatte perché gli edifici rimandano alle necessarie tempistiche e sono strutture realmente comunitarie e integrate negli insediamenti urbani, nella natura e nel territorio: sono luoghi della cittadinanza, aperti ed effettivamente abitati. Dunque, sebbene da un lato in Italia emergano sempre più casi di scuole in grado di proporsi al territorio con una propria immagine coerente di organizzazione autonoma, dall’altro permangono difficoltà a costruire un’identità precisa e condivisa, a sviluppare il senso di appartenenza all’istituzione, a sentirsi parte di una comunità professionale, ad agire quali membri di una comunità scolastica parte di una comunità territoriale. Le coordinate spazio-tempo sulle quali si sviluppa la vita professionale degli insegnanti e che presentano le sofferenze sopra evidenziate, sono, in realtà, particolarmente determinanti nella configurazione del problema. All’emergere della necessità di un agire veramente collegiale, non è corrisposta una cura adeguata ai tempi e agli spazi in cui tale collegialità deve concretizzarsi. Semplificando, si può dire che in genere a scuola non si trovano il tempo e il luogo in cui insediare la comunità. Soprattutto non si trovano il tempo e il luogo in cui i docenti possano raccontare le proprie esperienze. Una comunità si fonda, infatti, sulla condivisione di storie che sono portatrici di valori; storie che possono persino assumere la forma di miti, trovando maggiore forza e durevolezza. Gli insegnanti raccontano e si raccontano poco e lo spazio-tempo del rac-
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conto è contratto, comunque, anche per gli studenti e ancor più per i genitori e per tutti coloro che interagiscano con l’istituzione. Si notano, spesso, solo momenti sincopati di narrazione: lo sfogo rapido per una situazione negativa, il breve momento di entusiasmo o forse solo l’esplicitazione di un desiderio che resta contratto in una complessiva dimensione iperstrutturata, se non, addirittura, pesantemente burocratica (frequentemente a scuola ci si riunisce quando non serve e non ci si incontra, invece, quando ce n’è bisogno). racconto e documentazione Lo spazio-tempo del racconto va individuato in un’azione che fatica a trovare un posto non solo nella professionalità degli insegnanti, ma anche nella vita scolastica in genere. La documentazione dei processi di insegnamentoapprendimento e di organizzazione del “sistema scuola” dovrebbe partire proprio da appassionate e precise narrazioni delle esperienze. L’idea di documentazione che si è formata nella scuola è invece quella di un’attività estranea all’azione didattica, sviluppata a posteriori della stessa per rendere conto burocraticamente a “qualcuno” di ciò che è stato fatto. Una sorta di rituale giustificazione delle proprie azioni rivolta a un immaginario interlocutore amministrativo (o con funzioni di controllo, in particolare sulla spesa). Insomma un’attività rituale, priva di vero significato, da fare perché “bisogna” o, meglio ancora, da evitare. E in effetti, di documentazione nelle scuole, per lungo tempo, se ne è vista ben poca. È proprio con l’avvio dell’autonomia che prende corpo un’iniziativa particolarmente importante su questo fronte. Nel 1999, insieme all’approvazione della nuova organizzazione istituzionale, viene attivato dall’allora BDP di Firenze (divenuta in seguito INDIRE e oggi Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica) un progetto (GOLD) di promozione di una “cultura della documentazione” che trovi fondamento nella ricerca delle diversità che la scuola autonoma farà emergere in risposta agli specifici bisogni della propria utenza e alle potenzialità del proprio territorio. Una documentazione, quindi, che ha il compito di individuare gli elementi di innovazione proposti dalle prassi di successo. Una documentazione che ha sempre una finalizzazione interna ed esterna, perché comunicare ad altri le proprie esperienze significa, in primis, raccontare a se stessi la propria storia, riviverla, farne un riesame, condividerne esplicitamente i significati nel proprio gruppo e renderla humus per nuove progettualità. Il progetto ha, peraltro, seguito gli sviluppi delle tecnologie e i forti aspetti sociali contenuti in questa idea di documentazione hanno potuto emergere veramente solo quando internet è approdata alla coscienza delle potenzialità di interazione che gli ambienti e gli strumenti del web potevano consentire. La rivoluzione determinata dall’aumento esponenziale degli user-generated contents e l’emergere di quello che comunemente viene definito Web 2.0,
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hanno dato la possibilità a chiunque di costruire luoghi virtuali o quantomeno di poter agire facilmente in essi. Si potrebbe proprio dire, utilizzando un lessico geografico, che in internet il focus è passato dai “siti” ai “luoghi”, dalla diffusione dell’informazione alla costruzione collettiva della conoscenza in una rete che in una sua parte consistente appare ormai “abitata”. Per anni GOLD ha proposto una documentazione-pubblicazione: il web nel 2000 era divenuto accessibile a tutti, ma risultava possibile gestire i database on line per lo più per raccogliere dati (schede di catalogazione) e allegare dei file di testo redatti secondo linee guida che restituivano una descrizione strutturata e “oggetti didattici” (materiali didattici facilmente trasferibili senza bisogno di particolari adattamenti). Poi, la possibilità per tutti di pubblicare on line e lo sviluppo dello streaming, che ha permesso la gestione della multimedialità nel web, hanno aperto la strada per la creazione di “luoghi” (spazio-tempo) dove raccontare le proprie esperienze didattiche (e più ampiamente scolastiche) in una dimensione partecipativa capace di creare il senso della comunità. Non bisogna però cadere nell’errore di ritenere che la documentazione si risolva tutta nel racconto delle esperienze. Né, peraltro, ritenere che il racconto svolga la sola funzione di attivazione della sfera emotiva, creando coinvolgimento nelle vicende e immedesimazione nei protagonisti. Il racconto deve comunicare il senso dell’esperienza, facendo leva sulla sfera emotiva per stabilire un canale di comunicazione. Deve però fornire anche alcune informazioni e strumenti che permettano di costruire le competenze che servono a porre in essere i processi di insegnamento-apprendimento narrati. Tali input operativi potranno essere integrati da strumenti informativi e descrittivi di preciso supporto alla sfera cognitiva, che potranno arrivare ad assumere la forma di materiali e azioni di formazione per il trasferimento delle buone prassi. Infine, il racconto deve attivare la riflessione professionale e la discussione sull’esperienza proposta per realizzare la crescita dei singoli e della comunità scolastica (sfera metacognitiva-relazionale). La documentazione è un riesame collettivo e richiede specifici strumenti e ambienti di esplicitazione e confronto di aspettative, riflessioni, valutazioni, ipotesi di miglioramento e sviluppo (nonché di racconti da diversi punti di vista) in una complessiva gestione del dibattito professionale e delle relazioni con utenza e stakeholder. Anche gli allievi possono partecipare al riesame, che per loro si configura come un fondamentale momento metacognitivo di ricostruzione di una rappresentazione dell’apprendimento conseguito: documentazione e didattica possono dunque risultare intimamente legate. tecniche di documentazione e socialità Il “modello GOLD” è dunque complesso, ma può essere sintetizzato in tre verbi: vivi (sfera emotiva) – trasferisci (sfera cognitiva) – rifletti (sfera
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metacognitiva relazionale). Esso può essere incrociato con le tecnologie praticabili, dando origine a indicazioni operative che possono anche essere interpretate come tecniche o come “format”. Docu-fiction Si tratta della ricostruzione della storia dell’esperienza interpretata dagli stessi protagonisti in veste di attori che recitano se stessi (un documentario romanzato). Viene stesa una sceneggiatura sulla base della quale vengono effettuate le riprese e il relativo montaggio. È una tecnica che punta dritta al riesame e che coinvolge direttamente gli studenti, creando un forte dibattito nelle varie fasi di scrittura multimediale dell’elaborato di documentazione: essa non punta all’obiettività, ma al confronto tra i vari punti di vista e alla costruzione di una rappresentazione condivisa dell’esperienza didattica realizzata. La complessità e la difficoltà di realizzazione di una simile documentazione può prevedere il ricorso a un professionista e alle sue attrezzature; egli dovrà però essere un soggetto capace di inserirsi nel riesame e di dialogare con docenti e studenti, mettendo possibilmente in gioco anche una propria interpretazione (dall’esterno) della storia. Il racconto potrà utilizzare i più diversi impianti narrativi: da quello molto strutturato con voce fuori campo, a quello maggiormente evocativo-poetico con prevalenza di immagini e suoni sui dialoghi e sul parlato. L’importante è che esso si caratterizzi sempre come scrittura collettiva volta a promuovere la socialità, ad avere coscienza del proprio ruolo nel gruppo, alle sue dinamiche, all’apprendimento come fatto sociale. È una tecnica che può risultare utile, in maniera particolare, nei progetti rivolti a più classi o all’intero istituto in virtù del suo potere di coinvolgimento e aggregazione. Taglio giornalistico Consiste nel tradizionale servizio giornalistico o, meglio ancora, nella video-inchiesta. Si adatta particolarmente a situazioni complesse che coinvolgono molti soggetti, con ruoli diversi, in attività che richiedono un forte sviluppo delle relazioni. Non punta a una scrittura collettiva come il taglio docu-fiction, ma predispone il panorama dei punti di vista, rappresenta con chiarezza ruoli e momenti topici della storia, presenta sintesi, ma anche microstorie e approfondimenti. È una forma di documentazione che non vuole ovviamente dominare la complessità, ma elaborarne una rappresentazione utile a un successivo riesame che punti a una condivisione di significati e valori interpretati in modo differente a seconda degli specifici compiti e obiettivi da perseguire. Più che suggerire soluzioni, propone modi diversi di porre i problemi, sviluppa disponibilità a considerare le necessità dei vari soggetti in gioco, aiuta a individuare risorse.
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Questo format si rivela particolarmente utile nella documentazione di esperienze di rete che vedono una forte interazione con partner territoriali (altre scuole e altri soggetti) dei quali si può rappresentare lo specifico punto di vista. Slideshow Con questa tecnica si ritorna al punto di vista unico. Il prodotto è costituito da una sequenza di immagini (foto, disegni, grafici, slogan...) che viene proiettata automaticamente secondo un’opportuna temporizzazione. Alle immagini è associato un audio opportunamente sincronizzato. Il registro da utilizzare deve essere prevalentemente narrativo, evitando la noia delle tradizionali proiezioni assertivo-argomentative. Essendo la narrazione frammentata in tavole (similmente al fumetto), l’esperienza viene raccontata per momenti e aspetti topici: viene proposta una forte sintesi volta a mettere in luce con pochi tratti forti il significato dell’esperienza, il suo nocciolo innovativo, la qualità dei risultati raggiunti. Dal punto di vista degli scopi della comunicazione svolge prevalentemente una funzione esortativa simile a quella dei videoclip e degli spot pubblicitari. Potremmo parlare, in qualche misura, di una forma di marketing dell’esperienza che è il brand da rappresentare con una sua specifica immagine orientata a un target al quale vengono mostrati i benefit giocando su processi di immedesimazione e sulla promessa di successo nella soluzione di problemi analoghi. Potrebbe sembrare una tecnica molto semplice che per aderire al modello “vivi - trasferisci - rifletti” necessita di integrazione in altri ambienti che permettano la descrizione sistematica di conoscenze e competenze professionali e la gestione di momenti di discussione. In realtà si tratta di uno strumento che richiede pur sempre la condivisione di uno storyboard per la sua realizzazione e quindi un riesame per individuare gli elementi fondamentali del racconto (si potrebbe dire “per carpirne l’anima”). Infine, conoscendo bene l’impatto sociale della pubblicità, possiamo ipotizzare che l’esperienza così presentata possa entrare nell’immaginario collettivo e aggregare intorno a essa larghi gruppi d’interesse, ponendosi quasi come un’icona pop. Taglio ipertestuale Non si tratta tanto di un format, quanto di un’attenzione alla forma basilare della comunicazione in internet. Il web si fonda sul concetto stesso di ipertesto, sui link e sull’organizzazione dell’informazione in reti concettuali da rappresentare mediante mappe. La scrittura di una documentazione nel web prevederà dunque una frammentazione in microcontent e una strutturazione in livelli di approfondimento. Il lettore potrà accedere ai contenuti
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seguendo differenti percorsi e approcci e soffermandosi sui dettagli là dove maggiori sono i suoi interessi. Questa attenzione alle modalità di lettura dei materiali di documentazione sottende comunque la volontà di predisporre le condizioni per attivare il dibattito e lo scambio professionale: i percorsi possono essere pensati per organizzare l’aggregazione di specifici target verso i quali predisporre azioni di supporto alle diverse forme di trasferimento delle esperienze. Ambiente integrato Anche questa non è una vera e propria tecnica, ma il richiamo al fatto che la rete fornisce tutti gli strumenti per mettere in pratica il modello “vivi - trasferisci - rifletti”. Un “sito” dedicato alla documentazione può avere una ripartizione bilanciata in aree che attivano i tre “verbi”. Si sottolinea così come il nuovo web consenta di raccontare storie in forma multimediale, di fornire conoscenze e promuovere competenze, di creare aree di dibattito e interazione, permettendo la costruzione di ambienti (“luoghi”) autogestiti di sviluppo della professionalità dei docenti e di relazioni tra le componenti scolastiche ed extrascolastiche. Integrazione tra tecniche di documentazione e sviluppo del knowledge management Risulta evidente come docu-fiction, taglio giornalistico e slideshow siano in sostanza dei contenuti, mentre il taglio ipertestuale e l’ambiente integrato siano riflessioni più ampie sui contenitori di contenuti: siti e ambienti internet possono contenere le più diverse forme mediali, dal testo alle immagini, dalle registrazioni sonore ai video. Docu-fiction, servizi giornalistici e slideshow possono quindi essere oggetti multimediali “inglobati” (embedded) in ambienti virtuali. Questa dimensione di complessità è rintracciabile d’altro canto in quella “tecnica di documentazione” che definire tale è molto riduttivo e che è costituita proprio dalla fortissima carica di socialità del nuovo web: per le “tecnologie 2.0” è dunque necessaria una trattazione specifica e accurata proprio perché esse si presentano con una molteplicità di forme che sottendono differenti opportunità di documentazione e, nel loro insieme, costituiscono la rappresentazione più completa del modello “vivi - trasferisci - rifletti”. Esse individuano ambienti di knowledge management integrati nella “grande ragnatela” e adatti a costruire reti aperte di insegnanti, di scuole e di soggetti che operano nei settori dell’istruzione e della formazione. Tali reti attivano i territori di riferimento e sviluppano comunità professionali, scolastiche e locali che si integrano e si ridefiniscono continuamente in un cyberspace che va sempre più configurandosi come luogo dove le persone raccontano quotidianamente la loro vita.
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documentazione didattica e web 2.0 Il cosiddetto Web 2.0 è un fenomeno complesso (che alcuni addirittura negano) che è difficile ricondurre a un’unica definizione. Sono stati messi in luce una varietà di elementi e di fattori che rientrano sotto questa “parola ombrello”. Per questa trattazione il focus è costituito dal già citato emergere di una “parte abitata” della rete, di luoghi virtuali in cui si insediano comunità e si vive una vita digitale che si affianca e si integra con la vita nei territori fisici: il riferimento è, dunque, a un concetto di cittadinanza digitale che si declina qui nella concretezza dell’abitare, in quella che è stata definita “doppia abitanza”. Si tenta di delineare qui un panorama di opportunità fornite dal Web 2.0 senza alcuna pretesa di esaustività e nella consapevolezza che l’evoluzione della rete è continua e che quindi tale panorama potrebbe in breve tempo dover essere integrato. Il progetto GOLD ha già utilizzato le risorse qui descritte, restituendo prodotti di documentazione molto interessanti (in appendice all’articolo si trovano i link ad alcune delle realizzazioni maggiormente significative emerse soprattutto nel Veneto). Wiki (ad esempio, Wikispaces, http://www.wikispaces.com/, o PBWorks, http:// pbworks.com/) Tali ambienti consentono una scrittura collettiva della documentazione in forma di base strutturata di conoscenza, con il supporto di forum di discussione sulla stessa, che risultano utili anche per alimentare il dialogo tra docenti “autori” dell’esperienza e docenti che provano a riproporla nei loro contesti scolastici. Pur avendo un carattere enciclopedico che porta normalmente a un impianto definitorio e all’uso di registri linguistici descrittivi, è possibile piegare la scrittura, abbastanza facilmente, verso il racconto: quantomeno è possibile inserire elementi di racconto nelle varie “voci”, realizzando una narrazione frammentaria, per tavole che rappresentano gli snodi fondamentali delle esperienze anche secondo i diversi punti di vista e percezioni delle persone coinvolte. Ambienti di condivisione di bookmark (ad esempio, Delicious, http://delicious.com/) Permettono la costruzione collettiva di repertori di materiali di studio e di formazione. Gli apporti di bookmark, attraverso un uso concordato dei tag, possono essere limitati alla comunità che ha realizzato la buona pratica didattica o essere aperti alla complessiva comunità professionale dei docenti e degli operatori (e, in qualche caso, anche agli studenti). Essendo i repertori costituiti da link, essi non si propongono quali sempli-
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ci elenchi, ma costituiscono di fatto l’insieme e l’integrazione delle geografie personali della rete in mappe collettive di risorse. Si tratta dunque di dispositivi volti ad attivare processi di territorializzazione del web, qualcosa che potrebbe essere descritto con la metafora dell’“agenzia di viaggio”; altre “pagine” possono poi raccogliere i racconti di tali “viaggi” che altro non sono che proposte di autoformazione. Blog Consentono di raccogliere la cronaca delle esperienze e si rivelano utili per coinvolgere gli studenti nella documentazione e per documentare in particolare la riproposizione di una buona pratica, la sua messa a regime o il suo sviluppo, coinvolgendo nel dialogo i docenti che l’affrontano per la prima volta. Il blog è un ambiente centrato sulla quotidianità, è un diario, ma è un diario pubblico e quindi ha una dimensione sociale e non solo personale: può essere il diario di un docente o quello di un consiglio di classe o di un gruppo di insegnanti, ma può essere anche il diario degli studenti che vengono coinvolti nella documentazione che viene posta così in immediata relazione con l’azione didattica. In particolare, il racconto degli allievi, oltre a essere un significativo momento di metacognizione, diviene strumento didattico per sviluppare, attraverso il web, forme di peer education. Social Media (ad esempio, YouTube, http://www.youtube.com/, e Slideshare, http://www. slideshare.net/) Sono ben note forme di condivisione on line di prodotti multimediali che ormai chiunque è in grado di realizzare con strumenti facilmente accessibili (fotocamere e videocamere, software free e open source...). Al di là degli episodi poco edificanti che hanno visto gli studenti protagonisti in negativo (che, comunque, quantitativamente rappresentano un fenomeno irrilevante nella massa di prodotti condivisi), va evidenziato che tali ambienti possono raccogliere microstorie delle esperienze che possono essere semplicemente confrontate o associate tra loro attraverso i motori di ricerca interni o aggregate in playlist. La frammentazione agevola la scioltezza e la quotidianità nella raccolta della documentazione e non va intesa negativamente in quanto ogni oggetto può essere accuratamente descritto in una scheda e costituire una vera e propria (mini)unità documentale. Possono facilmente integrare nella documentazione i contributi degli studenti che già ne fanno uso in maniera “naturale”. Come i post dei blog, i piccoli prodotti multimediali costituiscono una sorta di documentazione entry level, informale (si possono realizzare anche
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solo con cellulari e palmari), che non risolve la necessaria completezza, ma permette di raccogliere rapidamente le informazioni in itinere, di descrivere eventi inaspettati nel loro manifestarsi e mettere in luce quei piccoli elementi di innovazione, che nelle forme maggiormente strutturate di documentazione possono andare perduti. Le playlist, peraltro, aggregando le produzioni relative a un’esperienza, ma anche altri prodotti, per confronto o per integrazione dell’informazione, possono costituire prodotti documentali abbastanza ricchi e che propongono percorsi operativi o formativi. Aggregatori di attività negli ambienti 2.0 (basati sui feed RSS: ad esempio, Friendfeed, http://friendfeed.com/) Sono strumenti di raccolta automatica delle attività svolte nei diversi ambienti del Web 2.0 (YouTube, Flickr, Picasa, Delicious, blog...). In sostanza rimettono insieme, in tempo reale, la vita digitale delle persone nei vari luoghi di socializzazione on line. Allo stesso modo possono rimettere insieme la cronaca delle esperienze didattiche che utilizzino varie funzionalità on line per documentare quotidianamente il loro svolgimento. Nella ricostruzione della storia delle esperienze giocano il ruolo di un dispositivo di “recupero delle fonti”. Agendo di fatto come un social network permettono però anche di seguire altre esperienze e persone (altre storie) mediante la funzionalità “Amici” con la possibilità di effettuare confronti e di avviare discussioni sulle problematiche che emergono dalle azioni. Time line (ad esempio, Capzles, www.capzles.com/) Sono web application che consentono un’organizzazione cronologica dei prodotti documentali e che permettono, ancora una volta, la raccolta in itinere e un approccio ai contenuti utile a ricostruire con precisione il percorso, corredandolo degli strumenti necessari per la sua riproposizione. La loro sequenzialità riproduce la struttura più tipica della narrazione, ma l’ipertestualità conseguente ai link consente letture non sequenziali e aperte a contenuti esterni, disponibili in rete. Risultano utili a creare un accesso ai materiali e agli strumenti realizzati nell’esperienza e per l’esperienza che evidenzi il momento della loro produzione e di loro utilizzo, precisandone il senso nel contesto. Restituiscono, inoltre, una precisa idea della pianificazione delle azioni. Hanno una notevole flessibilità perché sono un contenitore di materiali, ma, a loro volta, possono essere un “oggetto” contenuto in un altro ambiente (blog, wiki...) che diversifica il tipo di accesso ai materiali stessi.
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Mappe mentali e strumenti di presentazione in forma di mappa (ad esempio, Mindomo, http://www.mindomo.com/, Prezi, http://prezi.com/) Anche queste web application sono al contempo contenitori e contenuti. Sono strumenti che consentono di creare la consueta rappresentazione dei concetti mediante forme geometriche e dei loro legami mediante frecce. Ai concetti si possono allegare documenti e linkare contenuti on line. Inoltre, si possono inglobare (embed) materiali multimediali disponibili in rete. Strumenti di profondo riesame delle esperienze didattiche, consentono un approccio “cognitivo” ai materiali documentali, restituendo, se frutto di una riflessione collettiva, un’immagine condivisa molto forte: la storia qui si trasforma in una precisa struttura della conoscenza elaborata. Social network Rappresentati per livello di iscritti e di popolarità da Facebook (http://itit.facebook.com/) sono veri e propri “insediamenti virtuali”, manifestazione più compiuta dell’esistenza di una “parte abitata” della rete. In essi va in scena la vita quotidiana con le proprie azioni e produzioni, ma anche con le proprie sensazioni e i propri stati d’animo, con le cose che piacciono (in primis) e quelle che creano piccoli e grandi disagi. Si tratta di luoghi virtuali in cui raccontare la propria vita (o meglio la propria interpretazione della propria vita) e mettere a confronto tale storia con quelle raccontate dagli amici in cerchie più o meno ampie o in una dimensione totalmente pubblica. Un’esperienza didattica può essere raccontata, in simili ambienti, attraverso la cronaca raccolta quotidianamente, anche ora per ora, dai suoi attori con uno stile informale, libero, che non chiude il confronto in forme codificate e rituali. In un social network (che si compone in genere di blog, repository di immagini e video, forum e chat) si può comunicare con il linguaggio della vita e la narrazione può facilmente divenire azione perché il dibattito può stimolare produzioni collaborative e cooperative. Più che in altri ambienti la documentazione si presenta come un atto “spontaneo e naturale” e la relazione continua che può essere, a volte fortemente attiva e, a volte, passiva, come nella vita reale crea, accumulando e riordinando continuamente testi e oggetti multimediali, la percezione di un territorio virtuale vissuto insieme e quindi definisce comunità per le quali si sviluppa un forte senso di appartenenza. Tali comunità, anche se aperte a livello istituzionale, crescono per una spinta dal basso, sono delineate da una condivisione di scelte e di “amici”, sono costruite sulla base di libertà e al contempo di responsabilità individuali: si è liberi di invitare amici e chi è interessato può fare richiesta di partecipazione senza particolari formalismi, solo precisando chi è e perché vuole aderire. È possibile poi organizzare incontri virtuali formalizzati, vere e proprie riunioni e assemblee, ma questi hanno luogo quando la motivazione è forte,
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non sono momenti rituali. La ricchezza comunque è data dal poter agire normalmente con i propri tempi e privilegiando le persone che si ritengono di volta in volta più utili per i propri fini e interessi. La frammentarietà e il sovrapporsi delle voci, in un primo momento, può disorientare chi non è abituato a questo tipo di comunicazione, ma presto si resta affascinati dalla possibilità di trovare un proprio spazio e di poter gestire le proprie relazioni, di essere liberi di esprimere il proprio pensiero ed esplicitare le proprie azioni senza dover obbligatoriamente sottostare a modelli, gerarchie, rigidi ruoli e forme di comunicazione. Le comunità scolastiche o di rete possono dunque trovare il loro “quartiere” e interagire tra loro in forme aperte e flessibili, gestendo insieme didattica e documentazione, facendo partecipare tutti gli attori dei processi di insegnamento-apprendimento e dell’organizzazione degli istituti in relazioni virtuali che potenziano e ottimizzano quelle in presenza. Ai social network possono partecipare poi anche tutti gli stakeholders della scuola. Insegnanti, personale scolastico, studenti, genitori e soggetti territoriali possono interagire continuamente e in maniera formale e informale con grande beneficio nei rapporti scuola-territorio e nello sviluppo di reti: insomma possono costituire, non una fuga nel virtuale, come alcuni paventano, ma uno strumento di attivazione dei territori. Ambienti 2.0 e video Wiki, blog, linee del tempo e strumenti di mind mapping on line inglobano facilmente video collocati su social media quali YouTube o Vimeo. Esistono anche web application che consentono la costruzione direttamente on line di siti con alcune funzionalità 2.0 (ad esempio, la disponibilità di un blog) e che ricavano notevoli benefici nell’impianto di comunicazione dalla possibilità di mettere in embed i video di tali repository. La caratteristica pricipale di questi prodotti multimediali è quella di non essere in genere produzioni professionali. Si tratta di elaborati amatoriali realizzati con strumenti consumer. Spesso sono “puro girato”, vale a dire riprese caricate in internet senza alcuna post-produzione o adattamento. Sono semplici e brevi sequenze narrative a volte costituite da un unico piano-sequenza. Al più si distinguono piccoli interventi di montaggio per giustapposizione di sequenze e di doppiaggio per l’inserimento di musiche e commenti. La significatività degli elaborati non sta nella specifica qualità tecnica, ma nella congruenza con il punto in cui vengono inglobati nella documentazione, aggiungendo alla descrizione degli elementi dell’esperienza, il racconto dei protagonisti o le riprese sul campo. La loro brevità, semplicità e rispondenza in genere a una sola unità narrativa, oltre a generare un effetto “spontaneità” da “documento di vita in diretta” sono anche funzionali a una facile e plurima aggregabilità in playlist che costituiscono una forma di rozzo, ma efficace montaggio.
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Le tipologie di video realizzabili possono essere grossomodo le seguenti: – sequenze di situazioni in classe; – interviste ai protagonisti delle esperienze didattiche (insegnanti, studenti, genitori...); – mini-fiction di riesame di situazioni e di processi; – tutorial; – sincronizzazioni di video e slide per creare videoseminari, tutorial, sequenze di processi e azioni. In qualche modo possono considerarsi video anche gli slideshow che si realizzano sincronizzando immagini, foto, slide e audio e che vengono codificati in file Flash adatti allo streaming. In tali formati possono anche essere realizzati tutorial sul funzionamento di software o su procedure digitali, registrando le azioni che si compiono sullo schermo del computer. Sono disponibili anche web application (ad esempio Vcasmo, http://vcasmo/) che permettono di sincronizzare una sequenza di slide con un video, riproducendo lezioni e conferenze o illustrando sequenze operative e procedure di laboratorio. Oltre a questi prodotti complessi, il web mette a disposizione ambienti che consentono di creare “canali” streaming. Se in YouTube la cosa si risolve soprattutto nel rimettere insieme e proporre, anche mediante la notifica via email della progressiva pubblicazione, i video caricati da un utente e quelli da lui individuati come “preferiti”, piattaforme come Livestream (http://www.livestream.com/) o uStream (http://www.ustream.tv/) permettono la realizzazione di una vera e propria web tv: risulta possibile, cioè, distribuire contenuti in diretta, semplicemente collegando al computer una videocamera o una webcam. Possono così essere “mandati in onda” eventi scolastici (lezioni, attività laboratoriali, dibattiti...) le cui registrazioni rimarranno poi agli atti e durante i quali si potrà interagire con i protagonisti via chat: si realizza, in sostanza, una storia in diretta e “partecipata”. È evidente come in tali azioni possa essere forte il protagonismo dei ragazzi che deve essere sviluppato anche qualora particolari disponibilità di mezzi e/o risorse umane permettano che la realizzazione di video sia affidata a professionisti. Essi devono entrare nelle procedure di riesame e condividere con tutti gli attori dei processi di insegnamento-apprendimento la rappresentazione delle azioni sviluppate. La loro posizione, in buona misura esterna alle normali dinamiche delle classi, può costituire un utile elemento di confronto con modi di vedere la realtà in questione secondo prospettive diverse. dalla documentazione alla comunità che apprende Molte sono ormai le esperienze di documentazione realizzate con le tecni-
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che descritte in questo contributo. Il sito GOLD mette attualmente a disposizione un database di 786 buone prassi certificate, di cui un centinaio (le selezioni degli ultimi due anni) risulta documentato mediante multimedialità e tecnologie della rete. Nel Veneto il progetto GOLD ha sviluppato in particolare la sperimentazione delle “documentazioni 2.0”. I risultati sono decisamente interessanti. Le scuole hanno aderito alle attività con entusiasmo, catturate dalla possibilità di pubblicare on line con strumenti semplici e senza spesa. Grosse motivazioni sono venute anche dalla possibilità di riutilizzo delle tecniche apprese nell’attività di insegnamento e dalla possibilità di coinvolgere gli studenti nella documentazione raccogliendo poi rapidamente benefici anche nella didattica. Sono stati realizzati wiki, blog, siti con funzionalità 2.0. Nella maggior parte dei casi si sono costituiti gruppi di documentazione o si sono rinsaldati e ampliati gruppi di progetto. Ha preso corpo un’immagine della scuola e delle sue relazioni con l’esterno: si è individuata un’identità e maggiore consapevolezza circa la congruenza tra bisogni formativi e offerta di formazione. Il racconto collettivo delle esperienze (spesso molto vicino a una effettiva forma di digital storytelling) ha sviluppato una sorta di “genealogia”, cioè di interpretazione arbitraria e mutevole: emerge un senso degli eventi che è frutto contingente dell’elaborazione del gruppo con le sue percezioni, con gli stimoli dati dai problemi che è chiamato ad affrontare con la sua sensibilità e il bagaglio professionale del momento. Ed è proprio su questo che nasce e si sviluppa una comunità: su elementi di discontinuità e nella discontinuità, attraverso nuove condivisioni di attribuzioni valoriali, si manifesta quindi l’innovazione. D’altro canto gli ambienti del Web 2.0 creano una dimensione complessiva di knowledge management e sebbene sia possibile trasferire le buone pratiche, disseminarle e metterle a regime nell’organizzazione scolastica, fornendo procedure e soluzioni di riferimento, in realtà ciò che il più delle volte viene effettivamente trasferito sono le idee e la spinta creativa che propongono nuove esperienze didattiche che prevedono adattamenti consistenti dei percorsi documentati e nuovi percorsi di insegnamento. Si delinea dunque una dimensione generativa che non si esprime banalmente in forme di riproposizione meccanica delle buone prassi, ma che attiva la capacità stessa dei professionisti della scuola di produrre nuove idee e ulteriore innovazione. Nel panorama delle documentazioni didattiche realizzate nel Veneto, l’iniziativa Civil Life Lab si rivela particolarmente interessante per l’approccio effettivamente sperimentale e per gli elementi di empowerment delle relazioni nel territorio. Le scuole del progetto ministeriale “Cittadinanza e Costituzione”, riunite in reti territoriali, documentano in un social network le loro esperienze di sviluppo di azioni didattiche per il nuovo insegnamento. In realtà il social net-
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work è un’iniziativa del Consiglio regionale del Veneto preesistente rispetto al progetto ministeriale: l’ambiente raccoglie comunque la partecipazione di scuole, persone e soggetti interessati a condividere idee, esperienze e progetti sulla cittadinanza attiva, supportando così le specifiche attività del Consiglio. Le scuole del citato progetto sono entrate nel social network con il compito dichiarato di documentare le loro attività. Si è potuto constatare un iniziale spaesamento di fronte a un ambiente debolmente strutturato che viene quasi interamente costruito dai membri e dalle loro interazioni. Ma sono bastati due incontri di supporto (uno tecnico e l’altro sulle possibilità di implementazione dei contenuti) per sciogliere la proverbiale “ingessatura” degli insegnanti di fronte alla scrittura. La possibilità di gestire la comunicazione in maniera informale, in maniera svincolata da tempi e formule ha fatto emergere la voglia di raccontare. Il numero di contenuti inseriti, in alcuni casi, è stato veramente notevole: si sono accumulati interventi nei blog, immagini, slide e video che hanno messo in luce le attività più significative secondo le attribuzioni di valore date dai docenti. Pur permanendo qua e là alcune forme burocratiche di presentazione, la trattazione dei contenuti ne risulta vivace, attraente e stimolante. Se in alcuni casi la documentazione ha ancora prevalentemente la dimensione della pubblicazione, in altri essa ha raggiunto con chiarezza la forma della condivisione e della relazione tra professionisti, tra scuole e tra scuola e territorio. Alcune scuole capofila hanno stimolato l’iscrizione di tutte le scuole della rete al social network, creando, attraverso il dispositivo delle “amicizie”, un forte supporto alla comunicazione interna, utile anche alla relazione con il territorio. Tali aspetti potranno essere ulteriormente potenziati nello sviluppo dell’iniziativa, creando utenze per gruppi organizzati di studenti e genitori e per soggetti territoriali che collaborano nei progetti. Insomma, il racconto della comunità professionale dovrebbe promuovere il racconto della comunità scolastica nel suo complesso che, a sua volta, dovrebbe attivare il racconto della comunità locale fondando nel territorio i significati della propria azione così come di volta in volta emergono dalla condivisione dell’interpretazione delle proprie esperienze didattiche e formative sulla quale sviluppare nuove idee e progettualità. Questi processi dovrebbero sviluppare il senso di appartenza alla comunità e rendere chiaro, non solo che l’apprendimento è un fatto sociale, ma anche che l’apprendimento è la chiave dello sviluppo in una società della conoscenza in quanto il futuro della comunità non può che dipendere dal capitale umano e sociale di cui dispone: le comunità dei cittadini, infatti, altro non possono essere oggi che comunità di apprendimento. Ecco allora che il ruolo della scuola, “luogo” principale del racconto, dove si imparano storie, dove si scrivono storie e dove si impara a raccontare, diviene fondamentale nella costruzione delle comunità in “città e territori che imparano” e la documentazione con le nuove tecnologie si rivela dunque
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strumento e ambiente imprescindibile di attivazione dei processi: riuscirà la cura dello spazio-tempo virtuale a sviluppare anche la cura dello spazio-tempo degli edifici scolastici? esempi di documentazione didattica multimediale e 2.0 nel veneto e in friuli-venezia giulia Civil Life Lab http://civillifelab.ning.com/ Social network per la cittadinanza attiva (Consiglio regionale del Veneto) Civil Life Lab, Pagina di ReteStoria per la Costituzione civillifelab.ning.com/profile/ReteStoriaperlaCostituzione Rete di Treviso del progetto nazionale “Cittadinanza e Costituzione” Esperimenti di cinema http://www.g-raffa.eu/Cinema_a_Scuola/Gold/ Istituto comprensivo di Ponte San Nicolò (PD) (2009) Nel fantastico bosco di noci http://boscodinoci.jimdo.com/ Scuola primaria “San Giovanni Bosco” di Campagna di Maniago (PN) (2010) I CARE Besta http://cti.besta.it/icare/ Istituto statale di istruzione superiore “Fabio Besta” di Treviso (Capofila rete di scuole I CARE) (2010) I CARE “Imparare, Comunicare, Agire in una Rete Educativa” http://icarepadova.jimdo.com/ IPS “G. Valle” di Padova (Capofila rete di scuole I CARE) (2010) Il filo dell’accoglienza http://carefumane.jimdo.com/ Istituto comprensivo “B. Lorenzi” di Fumane (VR) (Capofila rete di scuole I CARE) (2010) Laboratorio di Astronomia Solare http://solarastronomy.jimdo.com/
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Scuola secondaria di primo grado di Belfiore (VR), Istituto comprensivo “A. Pisano” di Caldiero (VR) (2009) Let’s learn it - Scuola Digitale, Classi 2.0 http://icsanvendemiano.wordpress.com/ Istituto comprensivo di San Vendemiano (TV) (2010) Progetto riqualificazione Agriturismo Villa Caplet http://progettoriqualificazione.jimdo.com/ Istituto professionale “G. Medici” di Legnago (VR) (2009) Uno sguardo oltre la scuola http://icaredellalucia.jimdo.com/ IIS “A. Della Lucia” di Vellai di Feltre (BL) (Capofila rete di scuole I CARE) (2010) La Storia, la Matematica, la Storia della Matematica http://storymat.wikispaces.com/ Istituto comprensivo “C. Goldoni” di Martellago (VE) (2008) Vicino ... lontano nell’arte http://arteintercultura.jimdo.com/ Scuola primaria di Attimis (UD), Istituto comprensivo di Faedis (UD) (2010) il progetto gold Progetto GOLD - ANSAS http://gold.indire.it/ Progetto GOLD - Tecniche e strumenti di documentazione http://gold.indire.it/gold2/content/index.php?action=read_sezione&id_cnt =6796&tpl=rosso (Short link: http://is.gd/f4CaC) Progetto Pr.I.Mul.E. (Processi Innovativi Multimediali Educativi) Nuovi modelli per la documentazione dell’innovazione didattica attraverso l’uso di strumenti multimediali http://gold.bdp.it/primule/
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Progetto GOLD - ANSAS, Nucleo Regionale Veneto http://irreveneto.jimdo.com/progetti/gold/ NewGOLD: wiki di un corso di formazione sulla documentazione didattica 2.0 http://newgold.wikispaces.com/ bibliografia/sitografia Monografie e articoli cartacei I. Benzoni (a cura di), Documentare?: sì, grazie, Junior, Azzano San Paolo 2001. G. Biondi, La società dell’informazione e la scuola. La documentazione educativa, Junior, Azzano San Paolo 2000. P. Bisogno, Il futuro della memoria: elementi per la teoria della documentazione, Franco Angeli, Milano 1995. G. Bonaiuti (a cura di), E-Learning 2.0. Il futuro dell’apprendimento in rete, tra formale e informale, Centro Studi Erickson, Trento 2006. A. Calvani, M. Rotta, Progettare multimedia. Linee guida per insegnare con gli ipertesti, Garamond, Roma 2000. F. Casalegno, Le Cybersocialità. Nuovi media e nuove estetiche comunitarie, Il Saggiatore, Milano 2007. M. De Rossi, G. Gentilini (a cura di), Formare alla documentazione per narrare esperienze didattiche e di tirocinio, Coop. Libraria Editrice Università di Padova, Padova 2007. G. Di Fraia (a cura di), Blog-grafie. Identità narrative in rete, Guerini Studio, Milano 2007. L. Di Mele, La produzione di video a scuola, Nuova Cultura, Roma 2007. L. Di Mele, A. Rosa, G. Cappello, G., Video education. Guida teoricopratica per la produzione di video in ambito educativo, Centro Studi Erickson, Trento, 2008. A. Fini, M.E. Cigognini (a cura di), Web 2.0 e social networking. Nuovi paradigmi per la formazione, Centro Studi Erickson, Trento 2009 («I quaderni di Form@re», n. 9). L. Grivet Foiaia, Web 2.0. Guida al nuovo fenomeno della rete, Hoepli, Milano 2007. F. Jost, Realtà/finzione. L’impero del falso, Il Castoro, Milano 2003. N. Longworth, Città che imparano, Raffaello Cortina, Milano 2006. S. Maistrello, La parte abitata della rete, Tecniche Nuove, Milano 2007. R. Maragliano, Nuovo manuale di didattica multimediale, Laterza, Roma-Bari 2007. C. Petrucco, M. De Rossi, Narrare con il digital storytelling a scuola e nelle organizzazioni, Carocci, Roma 2009.
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A. Specchia, La documentazione scolastica. La scuola tra memoria e futuro, Anicia, Roma 2001. Materiale di approfondimento on line CSP S.c.a.r.l. (a cura di), Dal Web 2.0 ai media sociali. Tracce e percorsi della partecipazione in rete, CSP Innovazione nelle ICT S.c.a.r.l., Torino 2007, http://calia.me/Dal%20web%202.0%20ai% 20media%20sociali.pdf. I. De Maurissen, Digital Storytelling: creatività e tecnologia. Una narrazione digitale, una documentazione visuale, in «IR - Innovazione e Ricerca» [periodico elettronico di INDIRE], maggio 2007, http://www.indire.it/ content/index.php?action=read&id=1468 (short link: http://is.gd/ f4Q5k). E. Macherelli, Dimmi come documenti e ti dirò chi sei. Note a margine del progetto Pr.I.Mul.E., in «IR - Innovazione e Ricerca» [periodico elettronico di INDIRE], novembre 2006, http://www. indire.it/content/index.php? action=read&id=1418 (short link: http://is.gd/f4QcD). S. Panzavolta, Documentazione multimediale e generativa?, in «IR - Innovazione e Ricerca» [periodico elettronico di INDIRE], maggio 2009, http://www.indire.it/content/index.php?action=read& id=1582 (short link: http://is.gd/f4PZV).
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1. il laboratorio Organizzare la conoscenza multimediale, educare al linguaggio delle immagini in movimento, ma anche produrre multimedialità rendendo i bambini e i ragazzi protagonisti attivi e capaci di appropriarsi dei diversi codici di linguaggio è la filosofia che sta alla base del laboratorio didattico di Civil Life “Cartoni animati a scuola”. L’idea è di realizzare progetti video con il linguaggio del cartone animato, una forma di comunicazione facilitante, uno strumento di “comunicazione giovane”, immediato e di buon impatto, molto comune nel gergo giovanile, per aiutare i ragazzi a costruire un maggiore pensiero critico personale verso un uso responsabile, corretto e produttivo delle moderne tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Abbiamo focalizzato l’attenzione sull’alfabetizzazione ai media attraverso la costruzione di cartoni animati in quanto i processi di progettazione, produzione e condivisione diventano strumenti di tutela dei minori, dei loro diritti e dei loro interessi. Una nuova politica del cartone animato: uno spunto multidisciplinare per dare voce ai ragazzi e alla loro voglia di parlare, uno strumento per veicolare messaggi forti e importanti. L’originalità del progetto è nel coniugare l’approccio personale, la dimensione artistica e l’uso delle tecnologie digitali nella convinzione che si sostengano l’un l’altro. Le attività proposte dal laboratorio sono finalizzate a coniugare l’acquisizione di conoscenze relative ai temi della “Cittadinanza e Costituzione”, con esperienze significative di cittadinanza attiva, per promuovere negli studenti competenze trasversali che attraverso il pensiero critico e autonomo e l’azione diretta, possano sostenere la formazione di un cittadino competente, solidale e responsabile. Dalla consapevolezza, ormai sempre più chiara, della rilevanza sociale di quanto viene proposto dai media, spesso dai contenuti poco educativi, l’obiettivo è di promuovere politiche volte a sperimentare la promozione di comportamenti sociali corretti, attraverso la produzione di elaborati multimediali, che incoraggino la disposizione all’altruismo, alla generosità, alle pari opportunità, all’aiuto reciproco, alla cooperazione... orientamenti questi che devono diventare patrimonio culturale comune al di là della specificità di
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ogni identità. Con il linguaggio dei cartoni animati possiamo affrontare temi di rilevanza sociale come la sicurezza stradale, il rispetto per l’ambiente, l’educazione alla pace, i diritti dell’infanzia e, nel contempo, ci permette di sviluppare le competenze nel campo dell’alfabetizzazione informatica... e soprattutto, di farlo in modo divertente! La comunicazione di massa e i mezzi che la producono e diffondono esercitano un influsso sempre maggiore sulla formazione dei processi socio-culturali caratterizzanti la nostra società. Comprendere i diversi linguaggi generati dal determinarsi di tali processi è una priorità, sia in termini di conoscenza, sia in termini di capacità d’uso. È, infatti, diventato fondamentale prevedere percorsi formativi e informativi che favoriscano la conoscenza di svariati alfabeti e codici comunicativi esistenti e offrano strumenti e capacità d’uso degli stessi, per promuovere un approccio personale ai messaggi, il più possibile critico e consapevole. Fare cartoni animati a scuola è un’attività multidisciplinare che stimola le abilità creative ed è molto motivante per i ragazzi che sono cresciuti guardando film e programmi tv, cartoni animati, siti internet ricchi di animazioni e suoni e sono abituati ad associare l’animazione al divertimento. La produzione a scuola di cartoni animati rappresenta, dunque, un modo per rispondere alle esigenze del bambino, partendo dai suoi gusti, dai suoi interessi e da ciò che emotivamente lo avvince. Il cartone animato è in grado di rispondere ai bisogni profondi dell’infanzia: nel disegno animato, lontano dalla realtà concreta e oggettiva, tutto è possibile e tutto può modificarsi assumendo le più diverse identità “in un gioco di immagini” che è estremamente vicino al modo in cui il bambino si accosta, animandoli, agli oggetti che gli stanno intorno. Musica e immagine, ovvero i linguaggi non verbali, costituiscono una miscela esplosiva in grado di provocare reazioni emotive forti nei ragazzi ma, anche, di veicolare la comprensione del discorso narrativo ancora meglio del linguaggio verbale stesso. Attraverso il linguaggio mediatico è infatti possibile effettuare informazione, educazione e socializzazione, ma se l’educazione deve essere divertente, il divertimento deve essere educativo. Ecco perché con questo progetto si punta l’attenzione su una forma di comunicazione spesso sottovalutata dal punto di vista educativo e formativo come il cartone animato. Un film di animazione si realizza attraverso un organizzato lavoro di gruppo dove gli alunni lavorano come in un laboratorio artigianale in cui si sentono coinvolti e motivati; entrare nei meccanismi della produzione di immagini in movimento è un’attività multidisciplinare che richiede abilità diverse, nessun limite è dato alla fantasia e creatività e quindi favorisce la valorizzazione delle singole competenze. I bambini diventano di volta in volta autori, disegnatori, registi, sceneggiatori, doppiatori. Volendo generalizzare, rispetto alle generazioni precedenti, i bambini di oggi sono decisamente più passivi, è difficile stimolarli ma, se si riesce a susci-
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tare la loro curiosità, si trasformano e diventano interessati, concentrati ed esigenti: meno li rendiamo spettatori meglio è. L’interazione fra alunno e insegnante nella costruzione di un cartone animato, in tutte le sue fasi, da quella astratta di progettazione degli elaborati a quella molto più concreta del fare, realizzare e implementare al computer il progetto, produce un dialogo estremamente interessante in cui l’argomento della discussione è l’analisi del come le cose succedono. Le sequenze delle immagini in movimento, infatti, ben si prestano a discussioni, analisi, approfondimenti che aiutano gli alunni a comprendere la complessa realtà in cui vivono. L’idea è di creare un ambiente educativo ricco e stimolante, dove i bambini possano scambiarsi pensieri e intuizioni, favorendo così la “zona di sviluppo prossimale” (Vigotskij) e dove l’insegnante possa svolgere la funzione di “regista” del processo insegnamento-apprendimento. La realizzazione di storie animate ci consente anche di integrare pienamente l’uso di strumenti informatici all’interno delle attività curricolari ed entro la gamma dei “media” che normalmente vengono adoperati (disegni, cartelloni, mappe concettuali, libri ecc.). Tutti sanno che alla base di un cartone animato c’è una serie di disegni, ma quello che non sempre si conosce è come facciano questi ad animarsi: l’obiettivo del laboratorio è quello di fornire semplici strumenti per penetrare nei segreti, nei meccanismi delle immagini in movimento, conoscere i processi di costruzione di un linguaggio quotidiano complesso e articolato qual è appunto il cinema di animazione. È chiaro il compito a cui non può sottrarsi la scuola: dare ai ragazzi gli strumenti per diventare interlocutori qualificati nei confronti del linguaggio mediatico, perdendo quel ruolo di fruitori passivi di contenuti non “adatti” che testimoniano la mancanza di formazione sociale e civile. Gli obiettivi formativi del laboratorio “Cartoni animati a scuola” sono così riassunti: – far acquisire ai ragazzi un atteggiamento attivo, consapevole e critico nei confronti dei mass-media in generale; – far comprendere la connessione tra il lavoro digitale e quello artigiano operando con vari materiali per giungere a trasformare una serie di immagini statiche in immagini in movimento; – responsabilizzare il gruppo di lavoro nell’ambito dell’intero processo produttivo; – sviluppare capacità cognitive e creative nell’ideazione del soggetto del cartone animato; – dare visibilità ai “prodotti” della scuola di spessore culturale, formativo e artistico.
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2. riferimenti a documenti ministriali Nelle Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e il primo ciclo di istruzione (Ministero della Pubblica Istruzione, Roma, settembre 2007) troviamo numerosi riferimenti che riguardano l’educazione alla cittadinanza e la promozione di competenze tecnologiche: – La piena attuazione del riconoscimento e della garanzia della libertà e dell’uguaglianza (articoli 2 e 3 della Costituzione), nel rispetto delle differenze di tutti e dell’identità di ciascuno, richiede oggi, in modo ancor più attento e mirato, l’impegno dei docenti e di tutti gli operatori della scuola, ma richiede altresì la collaborazione delle formazioni sociali, in una nuova dimensione di integrazione fra scuola e territorio, per far sì che ognuno possa svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società (articolo 4 della Costituzione) [...] (pp. 15 e 16). – [...] la diffusione delle tecnologie di informazione e di comunicazione, insieme a grandi opportunità, rischia di introdurre anche serie di penalizzazioni nelle possibilità di espressione di chi non ha ancora accesso a tali tecnologie (p. 16). – L’obiettivo non è di accompagnare passo passo lo studente nella quotidianità di tutte le sue esperienze, bensì di proporre un’educazione che lo spinga a fare scelte autonome e feconde, quale risultato di un confronto continuo della sua progettualità con i valori che orientano la società in cui vive (p. 18). – L’educazione alla cittadinanza viene promossa attraverso esperienze significative che consentano di apprendere il concreto, prendersi cura di se stessi, degli altri e dell’ambiente e che favoriscano forme di cooperazione e solidarietà. Questa fase del processo formativo è il terreno favorevole per lo sviluppo di un’adesione consapevole a valori condivisi e di atteggiamenti cooperativi e collaborativi che costituiscono la condizione per praticare la convivenza civile. – Obiettivi irrinunciabili dell’educazione alla cittadinanza sono la costruzione del senso di legalità e lo sviluppo di un’etica della responsabilità, che si realizzano nel dovere di scegliere e agire in modo consapevole e che implicano l’impegno a elaborare idee e a promuovere azioni finalizzate al miglioramento continuo del proprio contesto di vita (p. 45). – Incoraggiare l’apprendimento collaborativo. Imparare non è solo un processo individuale. La dimensione comunitaria dell’apprendimento svolge un ruolo significativo. In tal senso sono molte le forme di interazione e collaborazione che possono essere introdotte (dall’aiuto reciproco all’apprendimento nel gruppo collaborativo, nell’apprendimento tra pari...), sia all’interno della classe, sia attraverso la formazione di gruppi di lavoro con alunni di classi e di età diverse (p. 46). – Realizzare percorsi in forma di laboratorio, per favorire l’operatività e al tempo stesso il dialogo e la riflessione su quello che si fa. Il laboratorio è una modalità di lavoro che incoraggia la sperimentazione e la progettualità, coinvolge gli alunni nel pensare-realizzare attività vissute in modo condiviso e partecipato con altri e che può essere attivata sia all’interno sia all’esterno della scuola, valorizzando il territorio come risorsa per l’apprendimento (p. 47). – Nella crescita delle capacità espressive giocano un ruolo importante le nuove tecnologie, il cui sviluppo rappresenta dei caratteri originali della società dell’infor-
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mazione. Esse forniscono nuovi linguaggi multimediali per l’espressione, la costruzione e la rappresentazione delle conoscenze sulle quali è necessario che lo studente maturi competenze specifiche (p. 48). – Attraverso la fruizione e la produzione di testi fantastici e ludici, l’alunno sperimenterà fin dai primi anni le potenzialità espressive della lingua italiana [...] egli apprenderà inoltre le possibilità della lingua di fondersi con altri linguaggi e con altri mezzi, in forme di comunicazione interdisciplinari e multimediali (p. 52). – [...] utilizzare voci e nuove tecnologie sonore in modo creativo e consapevole, ampliando così le proprie capacità di invenzione sonoro-musicale [...] (p. 66). – [...] produrre e sperimentare tecniche, codici e materiali diversificati incluse le nuove tecnologie [...] (p. 69). – [...] formare le basi per un pensiero critico che superi i vincoli dati da stereotipi e pregiudizi, in grado di leggere il presente e di prevedere alternative future [...] (p. 92). – [...] usare le nuove tecnologie e i linguaggi multimediali per sviluppare il proprio lavoro in più discipline, per rappresentare risultati e per potenziare le proprie abilità comunicative [...] (p. 109).
3. qualche indicazione pedagogica Se abbiamo deciso di integrare la forma espressiva del cartone animato nell’attività didattica è perché il concetto di “produzione” didattica ha una sua precisa collocazione nella pedagogia del Novecento che si è soffermata più volte sul rapporto tra apprendimento e attività pratica. Un filone importante di idee ci viene da quella corrente di pensiero che è stata definita come “scuola attiva”. Le scuole nuove o attive rappresentano il metodo pedagogico per eccellenza, incentrato sulla cooperazione educativa. I nuovi educatori porranno al centro del loro interesse l’individuo integrato nella collettività e il concetto di collaborazione, ciò evidenzierà l’importanza del rapporto con gli altri attraverso il quale sarà possibile prendere coscienza del proprio sé individuale soltanto rispettando al sé collettivo. Gli insegnanti avranno il compito fondamentale di promuovere e sviluppare l’attività spontanea del bambino in modo tale che, partendo dalle “passioni dominanti” il bambino possa avere la possibilità di tirare fuori gli interessi meno pronunciati. Nelle scuole attive verrà insegnata la socializzazione tramite la pratica del mutuo insegnamento, della vita comunitaria e democratica e dell’autogoverno. Secondo Ovide Decroly (1871-1932), la vita è mezzo e fine della scuola, quindi il metodo e il programma educativi si devono adeguare alle necessità della vita e basarsi sulla psicologia infantile, perché tutti i bambini possiedono degli interessi spontanei, delle propensioni a conoscere e a svolgere determinate esperienze e un programma educativo che non tiene conto di tutto questo può rivelarsi inutile e controproducente nei confronti dell’allievo.
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Decroly aveva ideato i “centri di interesse”: gli allievi lavoravano su un tema, suddividendo l’indagine tra diversi gruppi, ognuno dei quali si occupava di argomenti a carattere più disciplinare. Oggi internet consente di reperire rapidamente informazioni e documenti utili ad analizzare e approfondire il tema/messaggio che può venire “tradotto” con il linguaggio del cartone animato. William Heard Kilpatrick (1871-1965) sosteneva che l’apprendimento e le indagini teoriche dovessero legarsi a specifiche richieste degli alunni o a necessità che scaturiscono dall’esperienza concreta. Egli proponeva di dedicare una parte dell’insegnamento alla ricerca di occasioni per lavorare su problemi (metodo del problem solving) e di riservare una parte dell’orario di insegnamento ad attività libere. Se si lasciano liberi gruppi di studenti di partire da domande primarie, quali: “chi?”, “cosa?”, “dove?”, “quando?”, “perché?”, si imposta un lavoro fondato sull’argomentazione e sulla costruzione logica di una risposta. Se pensiamo al giornalismo, gli articoli devono tendere, in linea di principio, a una sorta di completezza dell’informazione. Lo scopo, in questo senso, è quello di rispondere alle cinque domande canoniche, ritenute fondamentali per essere esaurienti: “chi?”, “cosa?”, “dove?”, “quando?” e “perché?”. Nel giornalismo anglosassone, questa è la regola delle 5 W (in inglese “who?”, “what?”, “where?”, “when?” e “why?”). Il punto non é di raggiungere la completezza fine a se stessa, ma di soddisfare la curiosità del lettore, anticipandone le probabili domande e fornendo le relative risposte. Nelle esperienze didattiche francesi invece Roger Cousinet (1881-1973), ha cercato di realizzare una scuola che abbia come modello i metodi di uno stato: nel 1920 inizia un esperimento educativo che chiama “repubblica dei ragazzi” e che si fonda sul metodo di lavoro libero per gruppi: un modello di associazione che i ragazzi seguono spontaneamente nei loro giochi. Cousinet adegua il modello educativo della scuola alle esigenze di socializzazione degli allievi, i quali vengono divisi in gruppi di cinque o sei menbri, ciascuno dei quali ha all’interno dell’aula un proprio angolo di lavoro in cui sono radunati tutti gli strumenti necessari. L’insegnante suggerisce ai ragazzi gli argomenti, fornisce loro i materiali di documentazione, illustra le regole di lavoro, ma i ragazzi sono liberi di scegliere come condurre il loro lavoro. Cousinet voleva dimostrare che per mezzo del lavoro di gruppo gli scolari hanno la possibilità di acquisire una coscienza sociale, all’interno della quale l’attività didattica è il risultato di una integrazione degli sforzi di ciascun allievo con gli sforzi del gruppo di classe. Infine ogni gruppo raccoglieva il materiale in un unico elaborato globale. La cooperazione in classe è stata affrontata anche da Carleton Washburne (1889-1968) con un metodo che combinava il lavoro di gruppo e quello individuale. Inoltre le aree culturali e disciplinari erano collegate da attività espressive come la recitazione, la pittura, il giornale scolastico. Oggi potremmo aggiungere anche il cartone animato: l’idea da sviluppare è che la comunicazione, anche a scuola, può collegare le cono-
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scenze e non solo diffondere informazioni o rappresentare contenuti. Secondo Celestine Freinet (1896-1966) ciascun individuo possiede per natura una tecnica peculiare per adattarsi all’ambiente che lo circonda e con il passare del tempo l’individuo perfeziona la tecnica procedendo per tentativi ed errori. Freinet afferma che tutti gli essere umani passano dai primi tentativi meccanici, tipici dell’età infantile, a quelli intelligenti; durante questa fase l’individuo non può essere lasciato solo, ha bisogno dell’aiuto di un educatore non autoritario, capace di rendere l’apprendimento rapido e completo per mezzo dell’esperienza. La scuola quindi deve andare di pari passo con la vita, deve sviluppare nell’allievo le capacità di inserirsi in un ambiente socio-politico che richiede ai propri cittadini consapevolezza di diritti e doveri. Lo studioso svolge le prime esperienze di innovazione educativa accompagnando i ragazzi in campagna e nei laboratori artigiani, in modo che l’esperienza concreta diventi spunto per lezioni di storia, geografia e calcolo e faccia così aumentare negli allievi, la motivazione e l’interesse ad apprendere. Celestine Freinet trasformò la scuola in una piccola comunità, all’interno della quale erano presenti: una costante cooperazione tra insegnanti e tra alunni e insegnanti; laboratori sia per lavori manuali che per attività di ricerca e studio supportate da alcune tecniche come il testo libero, la tipografia, la corrispondenza interscolastica, il calcolo vivente e lo schedario autocorrettivo. L’esperienza di Celestine Freinet attira l’attenzione di numerosi pedagogisti ed educatori in tutta Europa, in particolare in Italia e in Francia, negli anni cinquanta; la tecnica della tipografia rappresenta il punto di svolta per dare vita, all’interno della scuola pubblica, a un’educazione innovativa basata sulla cooperazione tra insegnanti e alunni. Freinet diceva che il bambino scrive per essere letto. Egli aveva scoperto che la produzione didattica non può essere fine a se stessa, il bambino vuole mostrare e condividere ciò che fa. L’idea fu quindi di orientare la produzione didattica proprio verso la comunicazione, la diffusione e lo scambio di prodotti. Di qui nasceva l’esperienza, oggi assai diffusa dei giornalini scolastici o di classe. Freinet, infatti aveva posto la tipografia al centro del lavoro scolastico. L’attualità del suo pensiero sta nella sua ricerca di tecniche per ristabilire il circuito di un corretto apprendimento, tra le vite e le esperienze di tutti i soggetti coinvolti nel processo formativo. Il rifiuto del verbalismo, della lezione come unico strumento di azione didattica, la ricerca di un continuo e proficuo scambio di esperienze tra i soggetti, spinsero Freinet alla ricerca di una strumentazione per modificare le condizioni di vita nella scuola, per creare un clima diverso, per migliorare i rapporti, per rendere più efficace tutto il processo educativo. L’esperienza concreta deve diventare spunto per lezioni di storia, geografia e calcolo in modo da far così aumentare negli allievi la motivazione e l’interesse ad apprendere. L’esperienza di Freinet ci fa riflettere su due piani: la creazione di video in quanto sussidi didattici; il passaggio dal “giornale scolastico” alla produzione multimediale e condivisione attraverso l’utilizzo delle tecnologie e strumenti del Web 2.0.
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Tutte queste elaborazioni, pur con differenti accenti, finalità e metodologie, partono dalla proposta di una partecipazione attiva degli alunni ai processi di apprendimento, proponendo il loro coinvolgimento in processi operativi concreti che vanno dalla ricerca, alla scoperta del sapere, alla costruzione di oggetti e meccanismi funzionanti. Da questa impostazione hanno origine anche una serie di riflessioni sul lavoro di gruppo, sulla cooperazione didattica, sulle tecniche di documentazione delle attività, di comunicazione a distanza, che rappresentano ancora oggi importanti punti di riferimento di molte esperienze didattiche e sono diventate pratica quotidiana dell’insegnamento. 4. come si fa un cartone animato a scuola Fare cartoni animati è semplice e divertente tanto che si può proporre questa attività dalla scuola dell’infanzia fino alle scuole secondarie di primo grado. I cartoni animati sono infatti un genere che attrae e stimola i bambini piccoli tanto quanto gli adolescenti ed è una forma di linguaggio a loro estremamente vicina e naturale. Il laboratorio si prefigge di affrontare tutte le fasi necessarie alla realizzazione di un cartone animato: ideazione e scelta del soggetto, scrittura dello storyboard, realizzazione degli sfondi e dei personaggi, l’animazione digitale, il doppiaggio e la sonorizzazione. Ma vediamo ora come si sviluppa un cartone animato. 4.1. Ideazione del soggetto Si parte fissando per iscritto l’idea, si focalizza l’attenzione sul messaggio che si vuole comunicare attraverso le immagini in movimento. Si possono incontrare delle difficoltà nel raccontare una storia interessante in pochi minuti; una buona storia contiene sempre un problema da risolvere: raccontare come viene superato è già una storia. Molto utili per costruire storie con una struttura coerente sono le carte di Propp. Secondo Propp le carte che si utilizzano per costruire la fiaba sono 31. Secondo il suggerimento di Gianni Rodari in La grammatica della fantasia (Einaudi Ragazzi) le 31 funzioni sono ridotte a 20 + INIZIO. Per lavorare meglio con esse abbiamo assemblato le carte in cinque gruppi-chiave, presenti in ogni fiaba (vedi tabella). Teoricamente possiamo costruire una storia con: INIZIO + 1 funzione per ogni gruppo. La preparazione delle carte occupa diversi giorni in quanto i bambini devono interiorizzare bene le funzioni; contemporaneamente è opportuno svolgere esercizi per il riconoscimento delle funzioni nelle fiabe note. Ad esempio vengono poste ai ragazzi domande del tipo:
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allontanamento
compito difficile/lotta
pretese infondate dell’antagonista
allontanamento
dono magico
inizio
trasfigurazione
ritorno a casa
danno
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donatore
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– Chi è l’eroe? – Chi è il nemico? – Chi fornisce i doni magici? – Quali sono i doni magici? Si discute con il gruppo che sceglierà l’idea che meglio rappresenta il messaggio che si vuole veicolare e si procede con la stesura del soggetto. Riguardo alla competenza comunicativa, è interessante una riflessione sulla pratica della videoscrittura e sul contributo da essa fornito nell’acquisizione e nel potenziamento delle abilità di scrittura: gli alunni possono tradurre in modo immediato quanto stanno elaborando e visualizzare sullo schermo i propri procedimenti mentali di ideazione, strutturazione e revisione che sottendono alla stesura del testo stesso. Davanti al monitor gli alunni dialogano tra loro, si scambiano opinioni e tutti offrono spontaneamente il loro contributo; inoltre, la possibilità di apportare agevolmente aggiunte, spostamenti e modifiche favorisce l’attitudine a “ripensare” continuamente l’elaborato scritto e l’errore diventa reale occasione di riflessione e apprendimento. Il soggetto viene quindi suddiviso in un certo numero di sequenze, si prepara la sceneggiatura formata dalle scene e dai dialoghi. Conviene effettuare subito una registrazione dei dialoghi perché in base alla lunghezza del racconto si dovrà realizzare una sequenza di disegni sincronizzata con il sonoro. 4.2. Lo storyboard Una volta tracciata la trama generale, i dettagli si possono sviluppare disegnando uno storyboard, una specie di fumetto del cartone animato, disegnato su carta in una sequenza spaziale e temporale, con descrizione delle scene e delle inquadrature particolari. Sono sufficienti semplici abbozzi dei personaggi stilizzati, con solo i contorni degli altri elementi e schizzi degli sfondi. La creazione dello storyboard è utile per diverse ragioni: – obbliga i ragazzi a riflettere, in una cornice logica, su quali sequenze sono necessarie allo sviluppo della storia; – aiuta a pianificare i dettagli della continuità dell’azione; – quando si effettua il montaggio delle singole scene lo storyboard funge da piano generale per l’ordinamento delle sequenze. L’approccio è quello di considerare lo storyboard non soltanto un prodotto grafico finito ma anche e sopratutto uno strumento di lavoro utile sia per l’insegnante che per i bambini. La costruzione di uno storyboard comporta la produzione di nuove conoscenze attraverso la manipolazione e l’editing di oggetti multimediali (suoni, immagini, movimenti) sulla base di una struttura narrativa. Recenti studi nell’ambito del digital storytelling approfondiscono il rapporto esistente tra scrittura collaborativa dello storyboard e apprendimenti disciplinari. Lo storyboard facilita l’organizzazione dei disegni, immagini, attraverso meccanismi di descrizione di ciò che avviene nella scena e di elencazione dei media da combinare. Infatti, per ogni scena da montare, gli studenti devono indicare la parte di testo corrispondente, gli effetti, le trans-
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Esempio di storyboard
izioni, la musica, i dialoghi. Avere uno storyboard ben fatto significa essere già a buon punto nella costruzione del cartone animato. Lo storyboard si può realizzare anche in versione digitale utilizzando semplici software come ad esempio ComicLife (http://plasq.com/products/comiclife/mac). Si consiglia di privilegiare un approccio collaborativo alla scrittura dello storyboard attraverso la costituzione di gruppi di lavoro composti da due-tre studenti. La costruzione dello storyboard intesa come attività didattica consente non soltanto la visualizzazione delle informazioni, l’organizzazione spaziale e temporale delle scene e la visione complessiva della storia ma, anche, la discussione e la divergenza di idee, l’attivazione di strategie di problem solving, la generazione di un piano d’azione comune. 4.3. Lo studio dei personaggi Il passo successivo consiste nell’ideare e caratterizzare i personaggi che vengono disegnati, nello stesso foglio, in posizioni diverse: di fronte, di fianco
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Esempio di studio dei personaggi
e di schiena, tenendo d’occhio le proporzioni tracciando, ad esempio, delle linee guida orizzontali, in corrispondenza della testa, delle spalle, delle gambe e dei piedi. Si provano quindi le varie espressioni del volto al cui gioco sono interessati più che altro occhi e bocca. Lo studio del personaggio viene quindi completato con una messa a punto delle varie possibilità di movimento. 4.4. L’animazione Una volta chiariti questi aspetti, si può iniziare con la produzione dell’animazione. Esistono numerosi software che mettono a disposizione uno spazio per disegnare e una grande quantità di strumenti molto intuitivi (matite, pennelli, gomme) che aiutano i ragazzi a capirne subito il funzionamento per creare i personaggi e le scene. L’utilizzo di una tavoletta grafica (collegata al computer), sulla quale si scrive con una penna elettronica, semplifica notevolmente la fase del disegno. Il principio su cui si basano i software di animazione per bambini è la distinzione e raccolta in “librerie” dei disegni degli sfondi e dei disegni dei personaggi. Il lavoro di animazione spesso consiste nel muovere i personaggi sugli sfondi ed è il software a generare le immagini di ogni singolo fotogramma: il lavoro è simile a quello dei burattinai. In questa fase i ragazzi comprendono in modo intuitivo che l’animazione è essenzialmente il risultato di un’illusione ottica dovuta al fenomeno fisico definito “persistenza visiva”. L’occhio umano infatti ha la capacità di trattenere sulla retina un’immagine per una frazione di secondo anche dopo che essa è sparita dal campo visivo. In quella stessa frazione di secondo, un’immagine può essere sostituita da un’altra lievemente diversa, fornendo al cervello l’illusione del movimento. L’animazione non è altro che una serie di immagini statiche proiettate in una così rapida successione da riuscire a ingannare il nostro occhio.
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La storia del pre-cinema è la base per analizzare, scoprire e soprattutto giocare con le immagini e con gli strumenti che ne hanno caratterizzato il percorso storico. Per avvicinare i bambini al concetto delle immagini in movimento, si costruiscono semplici strumenti cartacei ispirati alle macchine pre-cinema come il pedemascopio, il taumatropio e il flip book. Costruzione del pedemascopio Un gioco semplice e divertente per ottenere il movimento di due immagini disegnate. L’effetto di movimento si basa sulla persistenza dell’immagine sulla retina, essendo piccolissime le differenze tra i disegni ed essendoci appunto la persistenza delle immagini, avremo la percezione dell’animazione. Per costruire un pedemascopio è necessario avere a disposizione due foglietti di uguale misura, un cartoncino nero, forbici, colla e matita. Si disegna su un foglio un soggetto che sarà ripetuto nel secondo foglio con piccole differenze e nella stessa posizione. Si incollano, in alto, tra di loro i due fogli e si incolla quello inferiore a un cartoncino nero. Si arrotola il foglio superiore a una matita e si muove la matita avanti e indietro: si osserva che il disegno si anima. Costruzione del taumatropio È il primo giocattolo ottico inventato nel 1825 da John Ayrton. Attraverso la costruzione di un taumatropio si può animare un semplice disegno. Si ritaglia da un cartoncino un tondo e da un foglio altri due tondi delle stesse dimensioni. Si disegna in un foglio, un oggetto o un animale e su un altro foglio qualcosa che lo contenga o lo completo. Si incollano i disegni sul cartoncino, uno dei disegni si incolla capovolto. Si fanno due buchi ai lati del cartoncino e si infilano due elastici. Si tengono fermi i due elastici all’estremità e si arrotola il cartoncino, poi si lascia. Osservando il disco che gira si avrà l’impressione che uno dei disegni sia dentro l’altro. Perché avviene questo? Le immagini si integrano e non si confondono perché le vediamo in rapida successione, separate tra loro dall’immagine dello spessore del disco, che sta in mezzo e le mantiene distinte. Quello che vediamo accade per il fenomeno della “persistenza retinica”: il nostro occhio trattiene l’immagine di ciò che stiamo guardando per qualche frazione di secondo dopo la scomparsa dell’immagine stessa. Costruzione del flip book Inventato nel 1860, è un vero e proprio libretto animato, costituito da una serie di disegni in successione, uniti insieme come le pagine di un libro. Ecco ciò che serve: un blocknotes oppure un pacchetto di fogli ben tagliati e legati insieme a formare un libretto. Disegnare a matita una sequenza di almeno 30 immagini con cambiamenti minimi. Iniziare dall’ultima pagina e questo sarà il primo disegno. Continuare a disegnare il soggetto con piccole variazioni nei fogli successivi. Finito di disegnare, far scorrere in rapida successione le pagine: abbiamo realizzato così una storia animata. Ai bambini
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possiamo rivolgere domande del tipo: «Cosa vedi quando fai scorrere velocemente le pagine? Secondo te come mai riesci a vedere l’animazione?». 4.5. I software per creare animazioni Esistono numerose tecniche e soluzioni più o meno pratiche e a basso costo per realizzare animazioni, la scelta dipende dal tipo di attrezzature informatiche a disposizione (computer, microfono, webcam, tavoletta grafica, fotocamera ecc.) e dal software utilizzato. Abbiamo testato decine di software dedicati alla scuola e ne riportiamo, di seguito, una breve recensione. ICartoon Un software tutto “italiano”, iCartoon consente ai ragazzi, a partire dai tre anni, di realizzare autonomamente i loro cartoni animati. Con iCartoon si possono creare animazioni anche complesse ed esportarle in modo tale da integrarle con altri filmati, immagini e suoni. Il file che si esporta da iCartoon è basato su QuickTime che è uno standard per il multimedia: può quindi essere fruito su tutti i tipi di computer e sistemi operativi e in qualunque applicazione gestica il video. Il principio è semplicissimo: ogni cartone è composto da sfondi e personaggi animati. Uno sfondo è un disegno fisso che si può realizzare all’interno di iCartoon o importare: si possono anche usare fotografie, immagini da telecamera o importate dallo scanner. Un’animazione è costituita da una sequenza di immagini (disegnate nel programma) che ripetuta rende il movimento. Si trascina con il mouse il personaggio animato sullo sfondo e l’animazione si crea mentre si muove il mouse durante il trascinamento. Più facile farlo che spiegarlo! Per scaricare la versione di prova di iCartoon e i tutorial: www. icartoon.org. Animation-Ish Innovativo programma di animazione che permette ai bambini e ragazzi di tutte le età di liberare la loro creatività. Per aiutare l’utente a superare eventuali difficoltà sono disponibili guide e tutorial video (in inglese). In Animation-Ish abbiamo a disposizione tre livelli di difficoltà per realizzare le animazioni. Informazioni e la versione di prova del programma sono disponibili all’indirizzo: www.toonboom.com/products/animationish/trial. php. Frames Frames è un innovativo software che consente di realizzare animazioni utilizzando gli strumenti da disegno ma anche di collegare una webcam e creare animazioni con la tecnica dello stop motion. L’animazione stop motion (letteralmente “fermare il movimento”) racchiude moltissime tecniche, che possono sembrare completamente diverse a prima vista, ma che in realtà
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sono molto simili, cambia solamente il materiale usato per fare le scene e i personaggi. Solitamente si fotografa l’oggetto da animare con la webcam o fotocamera, si sposta leggermente e si esegue un altro scatto. La sequenza di scatti (fotogrammi) proiettata velocemente dà l’idea di un movimento continuo, fluido. Per realizzare le scene e i personaggi si possono usare materiali diversi: sagome ritagliate da carta e cartoncino, plastilina, oggetti e materiali di vario tipo, tutto ciò che la fantasia ci suggerisce. Per scaricare il programma in versione demo e le istruzioni: http:// www.tech4learning.com/frames. Pencil Pencil è un software gratuito e open source per animare disegni creati con gli strumenti di disegno disponibili. Offre la possibilità di lavorare su quattro tipi di livelli: immagine bitmap, immagine vettoriale, acquisizione immagine da fotocamera e audio. Per scaricare il programma e le istruzioni d’uso: www.pencil-animation.org/index.php?id=Home. FlipBoom Classic FlipBoom Classic è un software semplice e completo per creare facilmente animazioni con i bambini. Comprende semplici e intuitivi strumenti da disegno per creare sfondi e animare personaggi. Consente, in modo immediato, la condivisione dell’animazione realizzata su Facebook, YouTube o sull’iPod. Per scaricare il software e le guide: www.toonboom.com. ZonMotion ZonMotion è un’applicazione gratuita per il sistema operativo Mac che consente di realizzare animazioni in formato video con la tecnica dello stop motion. Semplice e potente, si può scaricare qui: http://zonsoftware.wordpress.com/zonmotion/. In mancanza di attrezzature informatiche è possibile creare semplici animazioni usufruendo di servizi on line, ad esempio: – Kerpoof, un sito interamente dedicato ai bambini che permette di creare, attraverso semplici strumenti, storie, fumetti e cartoni animati. Un sito divertente, ma non solo: Kerpoof è infatti un bell’esempio di applicazione educativa a disposizione degli insegnanti che troveranno tanti materiali utili: http://www.kerpoof.com/. – GoAnimate permette di realizzare semplici cartoni animati direttamente on line mettendo a disposizione delle “librerie” di personaggi, oggetti, sfondi. L’utilizzo del servizio risulta facile e l’animazione si ottiene trascinando gli elementi (personaggi, oggetti) e inserendoli nell’ambientazione (scena) desiderata. Per usufruire del servizio è sufficiente una registrazione e poi si può procedere in maniera gratuita: http://goanimate.com/.
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4.6. Il doppiaggio e la sonorizzazione L’ultimo passo nella realizzazione del cartone animato è la sincronizzazione dell’animazione con il parlato. È sufficiente un microfono collegato al computer e un software per la registrazione dei suoni (per esempio GarageBand - Mac OS) e avviare la registrazione; possiamo fare tutte le prove che desideriamo per impostare bene ritmo, tempo e intonazione da dare alle parole e scegliere così la traccia audio migliore. Tutti amiamo ascoltare la voce delle persone che raccontano, al contempo odiamo sentire la nostra voce registrata perché non la riconosciamo. Sono le voci dei bambini che rendono la storia unica, autentica ed emozionante! Nella fase di doppiaggio del cartone animato non ci si deve scoraggiare, tutte le prove sono possibili, si ascolta più volte la registrazione fino a quando il tono e l’espressione ci soddisfano. Ciascuno può mormorare o urlare: questa evidenza conduce a prendere coscienza delle possibilità di ognuno di far valere il “volume” della propria voce e soprattutto di adattarlo alle circostanze e allo spazio. Davanti a un microfono si ha spesso la tendenza a forzare la propria voce. Il bambino (doppiatore) deve imparare a dosarla, trovare il volume e il registro con i quali si sentirà più a suo agio. L’intonazione è la variazione delle diverse altezze dei suoni: si possono proporre semplici esercizi che permettono di distinguere i tipi di frase dalla soglia di intonazione. Non esistono due volti umani perfettamente identici, non esistono nemmeno due voci uguali. Queste si distinguono dal timbro, la differenza spesso sottile che permette di riconoscere una voce. Parlare davanti a un microfono è un eccellente esercizio per gli studenti, una pratica che conviene coltivare bene. Le prime volte si può interrompere ciò che lo studente dice e farglielo ripetere, avendo cura di rilevare ciò che non va bene, o che è espresso con i toni sbagliati; qualche tentativo e si ottiene un’impostazione personale ed efficace. Tutti i bambini avranno la possibilità di cimentarsi nell’attività di doppiaggio, ognuno si sentirà protagonista: dare la propria voce a un personaggio significa calarsi in una parte, farla propria; significa dare a tutti la possibilità di fissare in maniera indelebile qualcosa di proprio (la voce) che potrà essere diffuso, ad esempio, attraverso internet. L’aggiunta delle musiche e degli effetti sonori rafforza e dà significato alle immagini, serve a creare l’atmosfera e a suscitare emozioni. 4.7. Valutazione Le scene del cartone animato vengono montate con un software per il montaggio audio video e l’elaborato viene proiettato più volte al gruppo degli alunni; si verifica la durata delle scene, l’espressione dei dialoghi, l’efficacia del messaggio, la sincronizzazione delle immagini con il sonoro.
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Si confermano le competenze tecniche e si rielaborano le fasi di produzione del cartone, riemergono considerazioni, aggiustamenti e correzioni: l’analisi e la produzione si fondono in un apprendimento significativo. 4.8. Condivisione Il processo di digitalizzazione che ha investito il sistema dei media nel corso dell’ultimo decennio ha avviato o accellerato importanti fenomeni di convergenza, sia dal punto di vista delle tecnologie e delle piattaforme comunicative, sia da quello dei soggetti sociali protagonisti delle diverse forme di consumo mediale. In particolare, la convergenza tra media broadcasting come la tv, media personali come il cellulare e le diverse piattaforme che articolano gli strumenti del Web 2.0 su internet sta ridefinendo non solo i confini tra i diversi media, ma gli stessi spazi sociali in cui le giovani generazioni, in modo particolare, si trovano a interagire: da una parte, contenuti brevi, a carattere audiovisivo, iconico o verbale, circolano indifferentemente dagli schermi televisivi a quelli del PC, a quelli del telefonino e iPod, spesso lasciando perdere le tracce della propria origine e iscrivendosi in quelle pratiche sociali di video sharing che contribuiscono a dare forma alle relazioni tra pari. Come è stato recentemente osservato: [...] fra i 14 e i 19 anni l’88% degli adolescenti si “espongono” sui blog o su YouTube, vivono sullo schermo, per esprimersi, per apparire, per comunicare e per stabilire relazioni sociali e affettive. Il modo in cui vedono e costruiscono il mondo è differente [...]. I digital native, piuttosto che interpretare, configurano; piuttosto che concentrarsi sugli aspetti statici, vedono il sapere come processo dinamico; piuttosto che essere lettori o spettatori, sono attori e autori dell’apprendimento (P. Ferri, relazione al seminario internazionale ADI Da Socrate a Google, Bologna, 27-28 febbraio 2009).
La condivisione del cartone animato attraverso le tecnologie del Web 2.0 rende i bambini davvero partecipi della produzione della comunicazione come processo di interazione con la società.
5. i valori nei cartoni animati Il processo di crescita dei bambini coinvolge diverse figure, gruppi e istituzioni: famiglia, scuola, coetanei. In posizione privilegiata, a giudicare dai dati di ascolto, c’è anche la televisione, in compagnia della quale i bambini passano quote di tempo significative della loro giornata. Attraverso il suo flusso continuo e variegato, la televisione presenta e suggerisce stili di vita, modelli di comportamento, nozioni e conoscenze, valori. È proprio questa “densità” a suscitare le domande, le curiosità, talvolta le preoccupazioni di genitori ed educatori. La recente ricerca commissionata da Mediaset all’Os-
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servatorio di Pavia si propone di indagare una parte della programmazione televisiva molto amata e seguita dai bambini, i cartoons, con l’obiettivo di rispondere a una domanda centrale: quali sono i valori veicolati dai cartoni animati? L’offerta è molto ampia: agli spazi di palinsesto dedicati a questo genere televisivo dalle reti nazionali analogiche si aggiungono numerose emittenti satellitari e in digitale terrestre, sempre più seguite, che programmano cartoni animati per tutta la giornata o per buona parte di essa. La ricerca ha dunque scelto un campione capace di cogliere questa varietà: sono stati analizzati tutti i cartoni trasmessi durante una settimana campione, dal 25 al 31 maggio 2008, tra le ore 6,30 e le ore 20,30, dalle reti analogiche che li programmano con una certa regolarità: Rai2, Rai3, Italia1, MTV; inoltre, quelli in onda nell’arco di una giornata (29 maggio 2008) sulle due emittenti in digitale terrestre di Rai e Mediaset dedicate al pubblico infantile, Rai Gulp e Boing, e su tre canali satellitari che presentano elevati indici di ascolto tra i bambini: Disney Channel, Cartoon Network, Jetix. Nell’insieme del campione si sono rilevati 128 diversi titoli. Nella maggior parte dei casi essi presentano vari episodi nell’intervallo temporale considerato: il numero totale di episodi analizzati è pari a 400. Una proposta molto ampia in termini di tempo e variegata dal punto di vista dei generi proposti, che spaziano dall’avventura alla commedia, alla fantascienza, dal genere fantastico al pre-scolare, all’affettivo-sentimentale. La parte più consistente dei titoli analizzati è di produzione statunitense, in posizione dominante su Disney Channel (86%), Boing (79%), Cartoon Network (64%); a una certa distanza, e su un piano di sostanziale parità, si trovano le produzioni giapponesi ed europee. Le prime, particolarmente rilevanti su MTV (100%, ma si tratta solo di due titoli) e Italia1 (52%), sono invece completamente assenti dalle reti Rai, che dedicano ampio spazio ai prodotti europei (89%, 44% e 41% rispettivamente su Rai Gulp, Rai3 e Rai2). Jetix evidenzia una scelta bilanciata tra cartoni statunitensi ed europei, oltre a qualche titolo giapponese residuale. La ricerca ha evidenziato che il valore più importante in assoluto è l’amicizia, attorno a cui ruota il nucleo essenziale delle storie. I protagonisti dei cartoni animati affrontano ogni avventura in compagnia dei loro amici, dai quali ricevono e ai quali offrono aiuto, conforto, comprensione, compagnia. L’amicizia è ben più rilevante della famiglia e dell’amore-seduzione come terreno di espressione dell’affettività e della progettualità infantile. Altri valori collocati nelle prime posizioni richiamano i legami solidali, il gruppo e la cooperazione: lo spirito di squadra, l’altruismo, la lealtà. Anche il successo si colloca nella dimensione collettiva: non è, nella maggioranza dei casi, inteso come affermazione puramente personale e realizzazione di ambizioni edonistiche, ma piuttosto come riuscita del gruppo, della squadra, dell’“impresa” collettiva. Questa predominanza del gruppo e della socialità sono confermati dalla scarsa importanza assunta dal valore dell’individualismo e dal potere. Si avvicinano, invece, a una dimensione individuale di crescita di valori
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come il coraggio, la forza di carattere, la conoscenza e, più bassi in classifica, l’autonomia e la crescita interiore. Tra le qualità individuali che è importante coltivare, la forza fisica appare secondaria rispetto alle abilità incentrate sul carattere e sul sapere. A un livello medio di importanza si trovano i valori competitivi (molti cartoni animati sono basati su sfide agonistiche). Posizionamento analogo per le dimensioni valoriali che rimandano alla socialità allargata, ossia alle competenze necessarie per integrarsi nella società: rispetto delle regole, valori della società giusta, di inclusione e tolleranza, rispetto dell’autorità (inteso, quest’ultimo, soprattutto come accettazione del ruolo di guida delle figure adulte preposte al processo educativo). Il rispetto della natura e dell’ambiente è piuttosto marginale, anche se sembra affermarsi progressivamente nelle serie più recenti, in particolare quelle europee. Quanto a valori edonistici come la bellezza e la ricchezza, nell’insieme essi appaiono secondari, ben lontani dal primato dell’amicizia e di altri principi solidali. Tuttavia il loro peso non è trascurabile, dato che si affermano come molto o abbastanza importanti rispettivamente in 12 e in 8 cartoni del campione. I cartoni animati quindi non sono solo un medium di intrattenimento per bambini e ragazzi, ma veicoli di storia, cronaca, giornalismo: uno strumento capace di raccontare la realtà sociale, porre domande e problemi complessi. La tendenza è in atto da tempo, ma negli ultimi anni è diventata molto più evidente: basta pensare, ad esempio, al recente successo mondiale di Persepolis, prima un romanzo a fumetti e poi un film, in cui l’autrice iraniana Marjane Satrapi ha narrato sotto forma di cartone animato la storia, le guerre, le lotte per i diritti umani nel suo paese. Non deve stupire, allora, se il cartone animato è diventato un linguaggio più “adulto” e maturo anche nel raccontare temi di rilevanza sociale. Il cartone animato L’isola degli smemorati porta in scena in modo divertente e coinvolgente i principi sanciti dalla Convenzione sui Diritti dell’Infanzia approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989. È una storia avvincente in cui i protagonisti – otto anziani che hanno dimenticato il resto del mondo e vivono in un’isola senza bambini – danno ospitalità a dei piccoli naufraghi e con l’aiuto del vecchissimo mago Lucanòr e dei suoi tre amici parlanti, il cane Corricorri, il gabbiano Uà e il pesce Splash ricorderanno i diritti dell’infanza. L’isola degli smemorati diventa così occasione di sostegno ai progetti dell’UNICEF ma anche un prezioso strumento “a misura di bambino” con cui le famiglie possono affrontare un tema di grande rilievo educativo. Una diversa consapevolezza, in tema di diritti e pari opportunità, è anche l’obiettivo di una brillante serie di sei cartoni animati realizzati dalla Leonard Cheshire Disability, in collaborazione con gli studi Aardman Animations, i geniali autori del cartoon Wallace and Gromit e di Galline in fuga. A partire
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dallo slogan, «Cambia il tuo modo di vedere la disabilità», è stata creata una campagna di informazione sociale veicolata da vari media e trasmessa anche dalla televisione nazionale ITV. I cartoons sottolineano, senza moralismi e con molto sense of humour, le difficoltà legate alle piccole-grandi discriminazioni che le persone con disabilità sperimentano ogni giorno. Protagonisti sono sei animaletti disabili, dal cane bull terrier sulla sedia a rotelle, alla tartaruga che cammina con le stampelle, fino all’insetto stecco che si appoggia al bastone. Ciascun personaggio, e qui sta la vera novità, è doppiato da reali persone con disabilità, che commentano in modo ironico e pacato i problemi che ognuno deve affrontare, spesso dovuti all’ignoranza della società circostante. Così la tartaruga Tim ha la voce di Ian Wilding, persona con sclerosi multipla che vive a Cardiff e descrive la sua frustrazione quando, per esempio, vorrebbe semplicemente entrare in un negozio di abbigliamento e si trova davanti barriere come gradini o scaffali troppo alti. Anche la lumaca Spud ha la voce di John Marrows, un uomo con sclerosi multipla che racconta con ironia di essere diventato un assiduo frequentatore di bagni per signore, data la cronica carenza di servizi accessibili ai disabili nei locali pubblici. Giovanni e Paolo e il mistero dei pupi è il cartone animato dedicato ai giudici Falcone e Borsellino. Co-prodotto da Raifiction, racconta, in chiave di favola, una storia ambientata nella Palermo degli anni cinquanta. I protagonisti sono due ragazzini, Giovanni e Paolo, in omaggio a Falcone e Borsellino, che lottano per liberare il quartiere dalla presenza di un mago malvagio che toglie l’anima alle persone e le trasforma in pupi. Un cartone animato per spiegare che “cedere al male è una perdita di autonomia e che il male esiste e va combattuto, che il bene alla fine non può che trionfare”. Pag e Tax sono i due simpatici personaggi animati del cartone dell’Agenzia delle Entrate che in maniera ludica e informale fanno capire ai bambini che cosa sono e a che cosa servono le imposte “nel paese delle regole”. «Chi paga le tasse ha tutto da guadagnare», questo è il motto scandito a suon di musica dai simpatici personaggi. A questo insegnamento si accompagna la disapprovazione nei confronti degli evasori, un topastro subdolo e un serpente scaltro che sfruttano i servizi pubblici, dagli ospedali alle scuole, intascando i soldi destinati all’erario. Il cartone animato illustra ai più piccoli i fondamenti dell’educazione civica con l’obiettivo di far comprendere l’importanza del rispetto delle regole, anche fiscali, per il buon funzionamento della società. Il cartone animato è disponibile all’indirizzo http://www1. agenziaentrate.it/entrateinclasse/. 6. i cartoni animati di civil life La novità sostanziale introdotta con il laboratorio didattico di Civil Life “Cartoni animati a scuola” è che l’ideazione e realizzazione non è svolta da esperti esterni alla scuola bensì dagli stessi alunni coordinati dai loro insegnanti.
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Tra i cartoni animati già realizzati nell’ambito del progetto Civil Life c’è Bla Bla Bla creato dalle classi quinte della scuola capofila, la Direzione Didattica di Cassola (VI), nell’ambito di un percorso sull’educazione civica. Bla Bla Bla è un moderno tema sulle istituzioni e sulla cittadinanza: la democrazia, insomma, vista e descritta dai bambini. Una creazione collettiva e collaborativa in cui alla scrittura si uniscono le immagini e i suoni per esprimere concetti e idee, riportando le tante sfaccettature dei caratteri dei bambini e della loro epoca. Il cartone animato è ambientato in una città come tante, Blablopoli, abitata da una strana razza umana. Gli abitanti parlano una lingua più universale dell’inglese: il blablese. In ogni luogo ci sono persone che parlano, discutono, si confrontano. Sopra la città si formano delle nuvolette cariche di bla bla colorati. Ma c’è un problema... i discorsi non escono dalle nuvolette e non sono condivisi tra gli abitanti. Saranno i bambini a risolvere questa situazione... L’idea del cartone animato è nata da una riflessione collettiva sulle tecnologie che internet mette a disposizione a vantaggio dell’informazione e della comunicazione. Di seguito sono riportate alcune risposte e osservazioni degli alunni alla domanda: «Internet, che cosa è e a che cosa serve?». – Su internet puoi fare tantissime cose e in modo velocissimo, come cercare informazioni, scrivere e ricevere messaggi di posta elettronica... fare acquisti, ascoltare musica, giocare, studiare. – Su internet ci sono milioni di siti. – I siti sono fatti di tante pagine. Per navigare tra le pagine devi cliccare sui link che sono appunto i collegamenti. – Un link può essere una parola, una frase o un’immagine. – Un link in genere è sottolineato, o è di colore diverso rispetto agli altri testi. Quando passi sopra un link con il puntatore esso si trasforma in una manina: vuol dire che puoi fare clic per spostarti alla pagina collegata. – Insomma internet è come un mare grandissimo. – Internet è pericoloso e così noi bambini navighiamo sempre insieme ai genitori o alla maestra. – Ogni sito ha una pagina principale che si chiama home page. Un sito è come una casa con tante stanze. – Per visitare un sito dobbiamo sapere l’indirizzo che comincia con www. – Ci sono anche i motori di ricerca: servono per cercare le informazioni di cui hai bisogno e i siti di cui non conosci l’indirizzo. – Con internet si possono inviare messaggi, mail che arrivano in pochissimi secondi alle persone lontane. – Per scrivere e ricevere messaggi di posta elettronica è necessario avere un indirizzo di posta elettronica. È un po’ come l’indirizzo che devi scrivere sulla busta per spedire una lettera di carta... solo che è molto più corto. – Riconoscerlo è facile perché contiene sempre quel buffo simbolo che si chiama chiocciolina @. – Internet è una grande rete che collega i computer di tutto il mondo con dei cavi che entrano nelle case, negli uffici, a scuola, come quelli del telefono.
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– Tutti possono usare internet per comunicare con persone lontane, per esprimersi far conoscere le proprie idee e opinioni, per partecipare alla vita civile. (http://civillifelab.ning.com/page/edemocracy-e-minori)
Il cartone animato Diritto e Rovescio, realizzato nell’ambito del progetto Civil Life, è un moderno tema sulle relazioni tra i paesi e i popoli del mondo: la politica sociale internazionale, insomma, vista e descritta dai bambini. Parla di emergenza idrica e diritti negati, temi centrali nelle problematiche del nostro tempo, approfonditi in classe anche attraverso l’utilizzo degli strumenti del Web 2.0 e uno studio approfondito dei diritti sanciti dalla Convenzione sui Diritti dell’Infanzia. Fame, analfabetismo, sfruttamento, violenza, lavoro minorile sono le situazioni messe a fuoco e analizzate. In un mondo ormai globale è importante imparare a rapportarsi con modi di vivere e culture differenti per comprenderli e rispettarli. Ne è nata una storia, quella di Cicciobello e Calimero, due bambini con un destino molto diverso: il primo è nato in una casa ricca e calda, il secondo in una capanna. Cicciobello cresce sano, va a scuola e può giocare. Calimero non ha il tempo di pensare perché deve lavorare. Un gigante prepotente vuole l’acqua solo per sé e la situazione di Calimero peggiora. Il cartone animato porta ai coetanei e anche agli adulti un messaggio di speranza: scuola, salute, uguaglianza e protezione per tutti i bambini del mondo. http://civillifelab.ning.com/page/diritto-rovescio. 7. cartoni animati e diritti dell’infanzia Nelle attività svilupparte dal laboratorio “Cartoni animati a scuola”, i ragazzi sono considerati soggetti di diritto e perciò va garantito loro il diritto di ricevere informazioni e di partecipare attivamente alla comunicazione come processo di interazione con la società. La Convenzione sui Diritti dell’Infanzia dell’ONU rappresenta lo strumento normativo internazionale più importante e completo in materia di promozione e tutela dei diritti dell’infanzia, contemplando l’intera gamma dei diritti e delle libertà attribuiti anche agli adulti. La Convenzione costituisce uno strumento giuridico vincolante per gli stati che la ratificano, oltre a offrire un quadro di riferimento organico nel quale collocare tutti gli sforzi compiuti in cinquant’anni a difesa dei diritti dei bambini. Il testo della Convenzione contiene alcuni articoli che riguardano più direttamente i media; si tratta degli articoli 13 e 17: Articolo 13 1. Il fanciullo ha diritto alla libertà di espressione. Questo diritto comprende la libertà di ricercare, di ricevere e di divulgare informazioni e idee di ogni specie, indipendentemente dalle frontiere, sotto forma orale, scritta, stampata o artistica, o con ogni altro mezzo a scelta del fanciullo. 2. L’esercizio di questo diritto può essere regolamentato unicamente dalle limitazioni stabilite dalla legge e che sono necessarie:
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a) al rispetto dei diritti o della reputazione altrui; oppure b) alla salvaguardia della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico, della salute o della moralità pubbliche. Articolo 17 Gli Stati parti riconoscono l’importanza della funzione esercitata dai mass media, vigilano affinché il fanciullo possa accedere a una informazione e a materiali provenienti da fonti nazionali e internazionali varie, soprattutto se finalizzati a promuovere il suo benessere sociale, spirituale e morale [...].
I principi fondamentali della Costituzione sono un riferimento importante ed essenziale per la convivenza civile e per la costruzione di buoni rapporti tra le persone, in particolare l’articolo 21 recita: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure». Inoltre l’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (ONU, 10 dicembre 1948), recita: «Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione». E, nella Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo (ONU, 20 novembre 1959), l’articolo 7: «Diritto all’educazione. Il bambino ha diritto a un’educazione che, almeno a livello elementare, deve essere gratuita e obbligatoria. Egli ha diritto ad avere una formazione che arricchisca la sua cultura generale e gli consenta, in una situazione di uguaglianza, di sviluppare le sue facoltà, il suo giudizio personale e il suo senso di responsabilità morale e sociale e di diventare un individuo utile alla società». 8. laboratorio formativo per insegnanti Nel corso degli ultimi anni si è affacciata una nuova ipotesi relativa a come intendere l’e-learning. Sulla spinta della rivoluzione avvenuta in internet, realizzata attraverso i servizi del cosiddetto Web 2.0, che vedono sempre più gli utenti assumere un ruolo attivo, di produzione di contenuti attraverso blog, podcasting, video sharing e social networking abbiamo implementato il network formativo, dedicato agli insegnanti, “Cartoni animati a scuola” (www.cartonianimati.ning.com), e affrontato così anche il tema delle reti sociali e della loro importanza per la formazione e l’aggiornamento professionale in una prospettiva di lifelong learning. La formazione on line si è ormai sganciata dalle piattaforme e-learning, o meglio, queste ultime non sono più il solo ambiente in cui far svolgere un percorso formativo on line aperto. E sempre di più le piattaforme e-learning stesse si aprono ai servizi web (come ad esempio a Facebook, Ning ecc.). Sempre di più infatti gli utenti, spesso inconsciamente, usano il web per tenersi aggiornati, per formarsi, per il proprio lifelong learning. Con il network www.cartonianimati.ning.com si auspica la diffusione di sistemi di nuo-
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vo tipo, denominati Personal Learning Environment (PLE), ovvero ambienti centrati sulla persona, in grado di supportare sia elementi di apprendimento informale, provenienti dalle risorse che ognuno può reperire e produrre sul web, che formali, basati sugli schemi ormai consolidati delle piattaforme di elearning. Spesso le piattaforme e-learning svolgono egregiamente il loro compito durante la fase di svolgimento del corso, ma una volta terminato, le classi virtuali, i forum e gli altri ambienti predisposti si “spengono” progressivamente: gli ex corsisti non hanno più motivo di collegarsi, i docenti si occupano dei corsi successivi ecc. Il network www.cartonianimati.ning.com è un caso di comunità professionale di successo legata all’evoluzione delle tecnologie del Web 2.0 ed Elearning 2.0. In questo “2.0” si evidenzia la possibilità di “essere autori” sul web, attraverso la creazione di blog, la condivisione di contenuti autoprodotti come documenti, fotografie, video e siti preferiti, attraverso interazioni sociali. Caratteristica del network è la completa libertà d’azione dell’utente: dopo l’attivazione dell’account, l’utente può configurare liberamente la propria pagina, inserendo informazioni nel proprio profilo, pubblicare documenti di qualsiasi tipo (testo, audio, video), aggiungere feed RSS da altri siti. Nella piattaforma non esistono ruoli come nelle tradizionali piattaforme di e-learning: ogni utente è sullo stesso piano degli altri (salvo l’amministratore del network): l’intento è quindi di offrire ai corsisti un ambiente multifunzionale, da usare anche come sito web personale, e di rimanere in contatto con tutti i membri della comunità. www. cartonianimati.ning.com conclusioni Il bambino tratta i grandi problemi del mondo per informare i suoi compagni; ma nel momento in cui i mass media occupano un posto preponderante nella vita del bambino e dell’adulto, i tirocini di giornalismo sull’informazione scritta, audiovisiva e tramite stampa, permettono agli allievi di esercitare il loro spirito critico e comprendere la soggettività dell’informazione. Così come Freinet lavorava con una macchina da stampa in fondo all’aula, oggi gli insegnanti possono contare sugli strumenti messi a disposizione dalle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Computer portatili, dispositivi mobili come l’iPad, cellulari ecc. sono gli strumenti per diventare sia produttori che distributori di messaggi multimediali (user-generated contents). La produzione di elaborati multimediali a scuola non è che un mezzo, la finalità pedagogica sta nella preparazione, soprattutto nella lettura e scrittura, nel lavorare a un tema attorno al quale realizzare messaggi utilizzando la tecnologia come punto di appoggio. In questo modo si scopre la tecnologia mentre la si usa; lo scopo non è quello di ottenere un apprendimento tecnico
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ma di valorizzare l’uso delle tecnologie nella didattica, per favorire l’apprendimento attivo e promuovere la creatività. Il filo conduttore del laboratorio “Cartoni animati a scuola” è la comunicazione, nel segno dell’interdisciplinarità e della trasversalità della conoscenza, in diversi ambiti, da quello strettamente linguistico a quello multimediale ed espressivo, in un contesto multilinguistico e multiculturale, per promuovere e condividere l’interesse per la lettura e la scrittura, per sviluppare nuove competenze relazionali tipiche della comunicazione mediata, per sperimentare attività di apprendimento collaborativo e cooperativo con gruppi remoti (posta elettronica, blog, chat, videoconferenza ecc.), per prendere coscienza che la comunicazione virtuale è integrativa e non sostitutiva di quella reale, per avvicinare criticamente gli alunni alla multiforme realtà di internet. bibliografia G. Bettetini, A. Fumagalli, Quel che resta dei media. Idee per un’etica della comunicazione, Franco Angeli, Milano 2008. G. Bonaiuti, E-Learning 2.0. Il futuro dell’apprendimento in rete, tra formale e informale, Centro Studi Erickson, Trento 2006. M. Conte (a cura di), Immagini della persona, Carocci, Roma 2009. M. D’Amato, La tv dei ragazzi, storie, miti, eroi, Rai Eri, Roma 2002. L. Di Mele, A. Rosa, G. Cappello, Videoeducation. Guida teorico-pratica per la produzione di video in ambito educativo, Centro Studi Erickson, Trento 2008. M.L. Faccin (a cura di), Lingua e linguaggi: dall’immagine al film, CLEUP, Padova 2006. C. Freinet, Le mie tecniche, La Nuova Italia, Firenze 1990. C. Goggi (a cura di), Valutare la TV per bambini. Vie alla qualità e all’uso educativo, Franco Angeli, Milano 2004. A. Goussot, La scuola nella vita - Il pensiero pedagogico di Ovide Decroly, Centro Studi Erickson, Trento 2005. A. Grasso, Buona maestra, Mondadori, Milano 2007. Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione, Ministero della Pubblica Istruzione, Roma 2007. A. Kaye, Apprendimento collaborativo basato sul computer, in «TD», n. 4, 1994. M. Malchiodi (a cura di), Valori di cartone, Link RTI, Cologno Monzese (MI) 2009. S. Martelli, Videosocializzazione, processi educativi e nuovi media, Franco Angeli, Milano 2001. L. Messina, Andar per segni. Percorsi di educazione ai media, CLEUP, Padova 2005. M. Pellitteri, Conoscere l’animazione, Valore Scuola, Roma 2004.
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A. Pian, Didattica con il podcasting, Laterza, Bari 2009. P.C. Rivoltella, Media Education. Definizione, caratteri, profilo disciplinare, Carocci, Roma 2001. C. Salmon, Storytelling, la fabbrica delle storie, Fazi, Roma 2008. L. Tomassini, L’onda della convergenza. Percorsi e cambiamenti nell’era della voce su Internet, telefonia mobile, televisione in rete e banda larga, Franco Angeli, Milano 2006. sitografia http://www.istruzione.it http://www.innovascuola.gov.it/ http://www.educazionemediale.it http://www.cremit.it/ http://www.medmediaeducation.it/ http://www.osservatorio.it/ http://www.apple.com/it/education/ http://www.scuoladibase.it/ http://cartonianimati.ning.com/
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1. the frame, o il contesto del discorso 1.1. Generazioni a confronto. Una asimmetria culturale Parlare di socializzazione e di giovani significa in realtà parlare di un confronto tra generazioni, che si verifica oggi tra soggetti che si collocano in universi culturali diversi; un confronto all’interno del quale si prospettano posizioni profondamente asimmetriche. Chi apre il confronto è il mondo adulto, che si sente portatore della responsabilità di dare voce e peso formativo ai valori di una società che ha contribuito a consolidare (con tutti i limiti che si possono registrare in merito agli scompensi, alle incongruenze e alle manchevolezze che di questa società fanno parte). I giovani sono presi in considerazione come interlocutori, sia perché sono componente essenziale e punto di riferimento della società che costituisce il contesto entro cui si opera, sia perché sono oggetto di studio e di interesse per più ragioni: per capire quali sono le conseguenze dell’interazione uomo-tecnologia messa in atto dal mondo adulto e non del tutto controllata, per capire come introdurre processi formativi che tengano conto delle potenzialità delle tecnologie e che al tempo stesso salvaguardino i valori in cui questa società si riconosce, ma anche per studiare meglio il mercato di riferimento e cercare di allargare le opportunità di business. Penso che parlare di tecnologia, di socializzazione e di formazione non possa non tener conto di tutti questi aspetti e che quindi sia necessario prendere in seria considerazione la profonda asimmetria del confronto che cerco di evidenziare. Da una parte c’è, infatti, un passato che cerca di esprimere una coerenza possibile/impossibile tra punti di vista, valori, comportamenti e obiettivi diversi e cerca di dare ragione dell’esistente, dall’altra c’è una forza che punta al futuro e che cerca di cogliere nel presente solo quello che gli serve, come chi vaga con lo sguardo per le stanze soffermandosi con nostalgia sugli oggetti cui è affezionato prima di lasciare una casa in cui non vuole più abitare. Forse drammatizzo un po’, ma quando si fa ricorso alla metafora “nativi della rete”, implicitamente si pensa questo. Ossia, si pensa al mondo adulto,
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quello che ha messo in piedi l’architettura portante del sistema sociale e tecnologico, come a stranieri che giungono smarriti in un territorio che non è il loro e che osservano con curiosità e interesse una popolazione sconosciuta che utilizza strumenti misteriosi e parla linguaggi incomprensibili. Solo che, e questa mi sembra la più strana incongruenza, gli stranieri hanno tutta l’intenzione di studiare i comportamenti di questi “nativi” e spiegare loro le corrette regole di comportamento. Per agire in modo meno incongruente, conviene forse cercare di mettere a punto nuovi parametri di riferimento, a partire da un sistema sociale che preveda strutturalmente un patto tra le generazioni per parlare poi di formazione elaborando nuovi modelli formativi che puntino alla cooperazione e all’integrazione delle competenze. La ragione di questa asimmetria non è però il salto generazionale, che più volte nella storia si è proposto in modi anche più drastici, ma è da attribuirsi alla rivoluzione tecnologica, che in questo periodo storico sta incidendo sul significato dei processi comunicativi e quindi sulle dinamiche e sui significati dei processi di socializzazione. Il mondo della rete1 sta infatti ridisegnando, o forse rimodulando, un sistema di valori consolidato. Agire in rete ed essere coerenti con gli strumenti che ormai utilizziamo, significa pensare a partire dalla complessità, dalla molteplicità dei punti di vista e dalla necessità di individuare un punto di contatto tra le diverse posizioni, dalla possibilità di valorizzare preliminarmente il contributo degli altri. Parlare di socializzazione oggi, un periodo storico per descrivere il quale la metafora migliore mi sembra quella di un guado dove non si vedono le sponde da cui siamo partiti e quelle dove siamo diretti, richiede una revisione dei parametri di riferimento e un allargamento considerevole dell’orizzonte. Anzi, il passaggio da una visione della realtà determinata da una prospettiva centrale a un sistema a più fuochi, ossia l’assunzione di una visione d’insieme, che contempla la complessità disponendo della capacità di porsi al di fuori e contemporaneamente al di dentro. Con le dovute differenziazioni, un punto di riferimento utile da tenere presente in questo contesto storico – e non solo per il rapporto intergenerazionale – è la visione di Agostino da Ippona, che nel momento in cui l’impero romano cercava disperatamente di difendersi dai barbari che considerava diversi e segno della fine, pensava alla Città di Dio2, al superamento cioè della
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Il saggio di Yochai Benkler, La ricchezza della rete, Università Bocconi, Milano 2007, si fonda su questo presupposto: «La tesi principale [del volume] è che stiamo assistendo all’emergere di una nuova fase nell’economia dell’informazione, che chiamo economia dell’informazione in rete». 2 Agostino da Ippona, La Città di Dio, Einaudi, Torino 1992. Agostino concepisce la Città di Dio nel periodo immediatamente seguente la caduta di Roma per mano di Alarico nell’estate del 410. L’opera che scrive negli anni successivi cercano di comporre la storia passata attribuendo valore relativo alle molteplici città (visioni totalizzanti) che l’uomo
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visione unica e totalizzante. L’orizzonte non è più l’impero, ma il futuro richiede la composizione di nuovi valori e la loro condivisione con i diversi, con i barbari3. Le tecnologie di rete implicano, quasi necessariamente, una dimensione globale delle relazioni. Confrontarsi con un tema, introdurre una parola o un nome nel campo di ricerca significa aspettarsi una risposta da qualunque possibile parte del mondo. Ciò non fa più stupore. Così come non fa più stupore lo stato di continua connessione fornito dal telefono cellulare. Attraverso la rete si può entrare in contatto con una persona che vive in uno qualunque dei possibili contesti sociali del mondo, in qualsiasi momento. Con un limite, il fatto che sia anch’esso collegato in rete. La conseguenza è abbastanza strana, si è collegati ovunque ma solo con una popolazione che è tecnologicamente omogenea. Un dato di base, che non fa che confermare le considerazioni in merito al digital divide, è quello relativo al possesso di cellulari: 98-99% nei paesi a elevata industrializzazione e 8 persone su 100 in Africa. Ma pensiamo per esempio a un’applicazione della rete come la webcam. Sul tuo desk puoi mettere la webcam di quello che succede a Miami, a Sapporo, ma non puoi vedere in contemporanea quello che succede negli slums di Nairobi. Perché a Nairobi non ci sono webcam. Conseguentemente tu potrai vedere in diretta che cosa succede in molti posti di questa terra ma non tutti, tu potrai volendo collegarti con molte persone di questo mondo ma non tutte. Pensiamo alle persone che aderiscono a Facebook, sembra che siano ormai più di 500.000, ma scommetto che molti dei miei vicini non ci sono, così come penso che non ci siano molte casalinghe che impazziscono per i sequel televisivi. Christopher Lasch nel volume La ribellione delle élite parla di una radicale trasformazione delle classi sociali. Una volta il potere era gestito da persone che controllavano il territorio, persone che miravano a consolidare la loro presenza in un luogo specifico e sfruttavano in tal modo il bisogno degli altri di interagire con quel luogo. Oggi il vantaggio sociale è dato dal nomadismo, dalla capacità di essere costantemente in movimento e in relazione con più luoghi, con più persone, con più occasioni «cercando di costruirsi dei legami con il mercato internazionale mediante il rapido movimento del denaro, la moda, gli atteggiamenti, la cultura popolare»4. Ciò che si lasciano alle spalle è
ha costruito nei secoli; solo un richiamo a valori universali (espressi dalla Città di Dio) consentirà di dare un indirizzo e un significato alla propria vita. 3 Il richiamo al concetto di barbaro non è peregrino. Anche Alessandro Baricco impiega il concetto di barbaro per indicare le nuove generazioni che irrompono sulla scena con nuovi bisogni, nuove tecnologie e nuove culture contrapponendosi alle vecchie che ritengono di detenere un potere (ormai in disfacimento) fondato su un sapere e una cultura ormai in disuso (o quantomeno archiviata). Vedi al riguardo A. Baricco, Il mondo senza nome dei nuovi barbari, in «La Repubblica», 21 settembre 2010. 4 C. Lasch, La ribellione delle élite, Feltrinelli, Milano 1995, p. 13.
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una popolazione sociale «tecnologicamente arretrata, politicamente reazionaria, repressiva nella morale sessuale, retriva nei gusti culturali, compiaciuta e soddisfatta di sé, banale e ottusa»5. Questo lo scriveva nel 1995. Oggi penso che anche in rete si stiano formando gruppi sociali con caratteristiche provinciali, che vedono la rete come un territorio da presidiare, che esprimono una cultura di cui si sono compiaciuti, diffidenti nei confronti degli “stranieri” della rete, che hanno adottato comportamenti che rendono difficile l’interazione con la realtà. Questo che abbiamo appena delineato è il contesto entro cui ci muoviamo, il quadro di riferimento entro cui collocare il discorso, il frame del processo narrativo6, arricchito delle problematiche che renderanno più complesso un discorso che cercheremo per altro di semplificare. La semplificazione potrebbe essere conseguenza della definizione degli obiettivi del discorso. Quali? Ponendo in relazione le tecnologie della comunicazione con l’universo giovanile nella prospettiva di delineare proposte formative, gli obiettivi potrebbero essere: a) presentare una panoramica dei nuovi media interattivi per illustrare agli adulti quello che i giovani tutti già sanno; b) cercare di presentare ai giovani i rischi e i pericoli conseguenti a un utilizzo “distorto” e “illecito” delle tecnologie di rete; c) addentrarsi in un riflessione “politicamente impegnata” per valutare le potenzialità dei nuovi media in ordine all’educazione al senso civico dei giovani. Ancora una precisazione in merito all’universo di riferimento. Come già abbiamo detto prima, i soggetti presi in considerazione in merito all’interazione tra tecnologie e facilitazione dei processi di socializzazione sono i giovani, una popolazione che fino a qualche anno fa poteva essere considerata all’interno di una fascia di età che va dai 13 ai 19 anni, ma che oggi, parlando di tecnologie di comunicazione e di networking, possiamo benissimo estendere fino a comprendere anche la fascia di età che va dai 7 ai 13 anni, una fascia che sta diventando un soggetto attivo nell’universo della connessione di rete e sta suscitando non pochi problemi per quanto riguarda i fenomeni di socializzazione e per le implicazioni che presenta per la sua posizione all’interno del processo di formazione e per le conseguenti esigenze di maggiore sicurezza e tutela. Alcuni dati che seguiranno daranno ragione dell’importanza di una più attenta considerazione al precoce avvicinarsi dei più giovani a sistemi tecnologicamente mediati di comunicazione, ma la prevalente attenzione di queste riflessioni sarà dedicata alla popolazione giovanile più adulta. Una popolazio-
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Ibidem. Il concetto di “frame”, cornice e telaio indispensabile per mettere e tenere insieme il quadro della realtà su cui si intende esercitare l’analisi delle interazioni, è di E. Goffman, Frame Analysis, Armando Editore, Roma 2006. 6
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ne giovanile che si ritiene stia procedendo verso processi di socializzazione più avanzati, decisamente appartenenti alla fase secondaria7 e che si pone in un rapporto di collaborazione-competizione con il mondo adulto, principalmente attraverso la strutturazione di un proprio sistema di socializzazione con i gruppi dei pari. Il gruppo dei pari è uno degli agenti dei processi di socializzazione secondaria, il processo cioè che media tra l’adolescenza e il mondo degli adulti, e viene così descritto dall’enciclopedia Sapere8: Nelle moderne società occidentali in genere i gruppi di pari non sono rigidamente organizzati per gruppi di età associati allo svolgimento di particolari funzioni; ciononostante, anche in tali società il gruppo dei pari è un importante agente di socializzazione, che esercita una particolare influenza nella tarda infanzia e nell’adolescenza. Si tratta di fasi in cui gli individui conquistano un’identità relativamente stabile, spesso attraverso una reazione negativa nei confronti dei modelli appresi in famiglia e nella scuola. Il gruppo dei pari risulta allora importante in quanto propone nuove norme e valori, all’interno di una dinamica interattiva tra eguali. In tale dinamica la socializzazione si svolge al di fuori di ogni disegno preordinato: i bambini e i ragazzi possono scegliere gli amici e dialogare con loro su argomenti per lo più intrattabili in famiglia e a scuola, staccandosi così dall’influenza di questi due ambiti. Questi rapporti sono più democratici di quelli tra genitori e figli. Il termine “pari” indica soggetti “eguali” e i rapporti di amicizia tra bambini tendono a essere ragionevolmente egualitari. Essendo fondati sul mutuo consenso, piuttosto che sulla dipendenza, com’è tipico della situazione familiare, i rapporti tra pari prevedono un intenso scambio di dare e avere, in un contesto di interazione all’interno del quale le regole di condotta possono essere messe alla prova ed esplorate. I rapporti tra pari rimangono spesso importanti per tutta la vita. Nel lavoro e in altri contesti i gruppi informali di persone della stessa età rivestono di solito un’importanza durevole nella formazione delle opinioni e del comportamento individuale.
1.2. Teorie e modelli di socializzazione Nel senso più lato del termine, parlando di socializzazione si fa riferimento ai processi di integrazione degli individui nei diversi contesti sociali attraverso la trasmissione e condivisione di valori, norme, atteggiamenti e comportamenti. La socializzazione avviene mediante processi di comunicazione verbale e non verbale da parte di soggetti, agenzie e unità sociali differenti per ruoli e caratteristiche. Questo processo può procedere, nei diversi conte-
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Per Talcott Parsons, sociologo statunitense (1902-1979), il processo di sviluppo formativo dell’uomo, funzionale all’individuo per metterlo in grado di assumere il suo ruolo nella società, attraversa due fasi: primaria e secondaria. Nella prima, la persona prende conoscenza e stabilisce relazioni con il suo ambiente vitale, nella seconda mette a fuoco il suo specifico ruolo attraverso il confronto diretto con i suoi pari (coloro che attraverso formazione mirata occuperanno ruoli analoghi al suo). 8 http://www.sapere.it/sapere/strumenti/studiafacile/sociologia/La-socializzazione/Le-agenzie-di-socializzazione/Il-gruppo-dei-pari.html.
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sti e nei diversi periodi storici, con modalità differenti, a volte attraverso processi di progressiva cooptazione dei giovani nel mondo adulto, a volte con aggiustamenti dialettici più o meno conflittuali, altre ancora – come probabilmente accade oggi – all’interno di una situazione magmatica o fluida 9, dove i contorni dei soggetti sfumano, i territori di confine tra valori e realtà diverse si allargano al punto da farci ritenere di vivere perennemente in “nonluoghi”10 o in dilatate “terre di confine”11. Tra i modelli storici adottati per descrivere il fenomeno, il modello di socializzazione che meglio risponde a questa situazione è quello interazionista-comunicativo, un modello che si colloca nello scenario della post-modernità e della globalizzazione. In questo modello assumono particolare rilevanza il confronto tra modelli culturali diversi e le dinamiche relative all’attivazione dei processi comunicativi. Lo sfondo è quello di un mondo globalizzato dove si registrano: – interdipendenza dei diversi attori/policentrismo; – molteplicità dei flussi culturali che attraversano i confini di ogni genere; – aumento e visibilità delle differenze. Adottando questo modello interpretativo, anche gli strumenti di analisi dei processi di socializzazione sono, per necessità, adattati. Si richiede una maggiore sensibilità a registrare gli aspetti empirici del cambiamento, che risulta fluido e inafferrabile, e maggiore attenzione alla complessità delle attività relative alla costruzione dell’identità. L’espressione integrazionismo, formulata da H. Blumer per descrivere il pensiero di G.H. Mead, fa riferimento ai processi di interazione tra i soggetti e alla costruzione dei significati che ne consegue. I concetti fondamentali12 dell’interazionismo sono: – la mente si forma grazie all’acquisizione dell’individuo dei processi di interazione sociale nei quali è coinvolto sin dai primi anni di vita; – il sé si forma solamente grazie al modo in cui il soggetto ritiene di essere giudicato dagli altri; – l’azione sociale viene regolata e guidata dal significato che gli individui conferiscono alla situazione in cui vengono a trovarsi; – il linguaggio è il principale mezzo di comunicazione di simboli, significati ecc. 9
Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari 2002. M. Augé, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Eléuthera, Milano 1993. 11 Il concetto di “confine” è un tema chiave per la comprensione di una società che con la globalizzazione deve rivisitare i paradigmi interpretativi del rapporto uomo/spazio/territorio vitale. Vedi P. Zanini, Significati del confine, Bruno Mondadori, Milano 1977 e S. Tagliagambe, Epistemologia del confine, Il Saggiatore, Milano 1997 (citato più avanti). 12 L. Gallino, La sociologia: indirizzi, specializzazioni, rapporti con altre scienze, UTET, Torino 1989, p. 14. 10
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– l’azione non è una risposta allo stimolo, ma si forma un passo alla volta nel corso del suo sviluppo. In questo contesto, che risulta coerente con il ruolo assunto dalla comunicazione di rete nella nostra società, la socializzazione consiste in un processo continuo di costruzione e rielaborazione dell’identità, delle immagini del mondo e delle conoscenze. Interazione sociale, attribuzione di significati, rielaborazione dei significati e delle conoscenze da parte di tutti i soggetti coinvolti sono elementi costitutivi di tale processo. Il modello comunicativo assume come categoria di riferimento l’intersoggettività e quindi la comunicazione. In questo modo il “farsi della realtà sociale” avviene attraverso le interazioni dei soggetti, le loro interpretazioni della realtà, la produzioneattribuzione di significati alle situazioni e alle azioni reciproche13.
1.3. La socializzazione come bisogno (o come tema narrativo?) I giovani hanno indubbiamente forti problemi di socializzazione. Ne parlano sia antropologi che sociologi che educatori, riferendosi al bisogno della socializzazione primaria, ossia passare dal rapporto di seguale – educatori/educandi – a un rapporto tra pari che definisce lo spazio che le persone verranno poi ad avere in società. Ma non tutti i giovani sono in grado o vengono aiutati a compiere questo passaggio e molti si trovano in difficoltà e ne denunciano il disagio. Il superamento della chiusura narcisistica per andare a un confronto aperto, dialogico e spesso conflittuale con gli altri, è uno dei temi forti dell’immaginario narrativo. Ma, tutto ciò considerato, quello che mi sembra interessante ai fini dell’analisi delle tecnologie (gli strumenti della socializzazione) è che nella grande maggioranza, i giovani – pur denunciando malesseri e disagi psicologici reali – sembrano alla ricerca di un canale espressivo per raggiungere gli altri; sembrano avere come principale obiettivo l’attivare interazioni comunicative e utilizzano i canali tecnologici come strumento o mezzo per dare forma ai loro bisogni, indipendentemente dal fatto che questo possa essere soddisfatto o meno. Tra le molte cose che ho letto in rete sui blog dei giovani, riporto questo post perché mi sembra esprimere in modo abbastanza esplicito sia il disagio sia il bisogno di parlarne: Ho difficoltà a socializzare... o sono gli altri??? Magari sarà un pò lunga sta cosa ke scriverò ma magari potrà interessare a qualkuno di voi... Allora ho 17 anni, in molti casi quando si parla di emarginazione, molte volte è la persona in questione ke si isola dagli altri, magari è lei stessa ke non vuole vedere gli altri e se ne sta in disparte xrkè nn piace stare con le altre persone e si isola... A me capita l’inverso, cioè sono le altre persone ke tendono a mettermi in disparte ad esempio a skuola, io magari non sono una persona molto aperta sono un pò timido, ho spesso problemi a conoscere le
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E. Besozzi, Società cultura educazione, Carocci, Roma 2006, p. 34.
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ragazze e magari non sono un tipo... così come dire... non sono il classico 17enne, ma non è ke sono uno di quei sekkioni ke sta sempre a studiare, al contrario a skuola non vado molto bene, me la cavo a pallone, ma determinate cose nn riesco proprio a farle come fumare, fare lo stupido con le ragazze o altre cose ke rendono “fighi” a questa età. Ok a me nn interessa essere come gli altri i. o sono me stesso, il problema però sorge qui... Dettagli aggiuntivi Il fatto è ke a nn fare ste cose mi ha portato a non avere amici, insomma non esco il sabato (vedi stasera) e nn riesco a farmi degli amici fidati. Faccio l’esempio dei miei amici di skuola, ormai sto al quarto anno, 3 o 4 hanno delle loro comitive a parte, poi ce ne stanno 5/6 ke escono insieme e vado a skuola con loro dalla prima media! Li conosco ormai da sempre, eppure se solo x una volta gli dico una sera se posso unirmi a loro o gli dico di venirmi a prendere, avvolte inventano scuse, avvolte cambiano argomento insomma dagli atteggiamenti capisco ke nn sono ben accettato. Con questo voglio dire non sono certo io ke nn gli vado incontro sono loro e di questo ne sono certo ke mi evitano in tutti i modi. Poi si aggiunge il fatto ke abito in un paesino nn c’è molto movimento, c’è bisogno della makkina x spostarsi, io nn guido... mi impegno anke ad andare in palestra gioko a calcio nella squadretta del paese... quindi mi domando Perkè nn sono accettato??? cmq ci tengo a dire ke nn puzzo, nn sono bello ma nemmeno bruttissimo, quindi eliminiamo queste ipotese. Non so... mi kiedo quale può essere il motivo di questa mia situazione, devo comportarmi come loro x essere accettato, devo fare sempre il tipo simpatico, ke sfotte le ragazze, fuma, si diverte sempre. Oddio ogni tanto quale stronzata la faccio anke io, ma non sempre, di solito sono timido e magari non mi esprimo sempre e certe cose nn mi piace farle, ma è normale ke x questo io devo essere solo?14.
Il pezzo è stato composto in tre momenti diversi, utilizza uno strumento di comunicazione di rete e cerca di stabilire un contatto con i suoi interlocutori. Ma quello che sembra innescarsi è solamente una specie di scambio epistolare, tra l’altro abbastanza curato nell’utilizzo del gergo. Solo a seguire il terzo post compare un intervento consolatorio di un altro giovane che si pone come osservatore da fuori, quasi a certificare la correttezza della procedura, e non intende farsi coinvolgere più di tanto: Ciao, la timidezza è una gran brutta cosa, difficile da superare, ma a quanto sembra hai dalla tua un sacco di cose positive tra cui metterei anche il fatto che non ti lasci trascinare dagli altri a far cose che non hai intenzione di fare, come fumare o fare lo strafottente. credo che tu debba solo credere un po’ di più in te stesso e fare qualche sforzo per superare la timidezza. Fatti valere15.
Ho scelto questa citazione per aprire il discorso sullo “zoo”, ossia sui diversi modelli di interazione, perché mi premeva porre come chiave di lettu14 Domanda postata su Yahoo Answers, http://it.answers.yahoo.com/question/ index?qid=20070415083914AAoL8FE. 15 Ibidem.
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ra del rapporto giovani-tecnologie il rilievo posto da un gruppo di ricercatori che hanno condotto nel 1995 una ricerca sulla “giovanologia”, ossia: [...] le nuove tecnologie vengono considerate soprattutto come strumento di pratiche espressive e di comunicazione, di aggregazioni orizzontali planetarie dei giovani, attori, per i quali si tende a sottolineare il distacco dalle generazioni precedenti rispetto alle pratiche e all’appartenenza politica16.
«Pratiche espressive e comunicazione con cui si intende sottolineare il distacco». In questo senso è interessante il documento precedente (la confessione sul bisogno di avere amici), perché utilizza pratiche linguistiche condivise per dare forma a sensazioni e bisogni che si sentono propri ma che si ritiene possano far parte di un universo narrativo comune. Non cerca di affrontare direttamente i problemi relativi all’esigenza di socializzare, ma vuole condividere un linguaggio, valutare la sua consonanza con l’universo di riferimento e trovare apprezzamenti per come è riuscito a descriverne il bisogno. La socializzazione viene espressa come bisogno ma diventa anche tema narrativo proposto attraverso un processo interattivo con altri soggetti. Ma che non sia questa una modalità specifica di socializzare propria della popolazione giovanile di questo periodo storico? Come cercare di comprenderlo? Diventa quindi necessario entrare nel merito della comunicazione interattiva di rete, quell’universo comunicativo principalmente presidiato dalla popolazione giovane, un universo comunicativo che procede attraverso una continua riformulazione di strumenti, pratiche e linguaggi. Penso che un modo corretto per iniziare sia quello di utilizzare lo schema interpretativo adottato da Goffman, in una sua conferenza del 1984, intitolata The Interaction Order17, procedendo però in ordine inverso, ossia iniziando prima “a parlare di quali animali si possono trovare nello zoo” (ossia quali forme di interazione ci troviamo a considerare, anche perché – sempre secondo Goffman – lo studio dell’interazione non concerne lo studio «degli uomini e dei loro momenti, ma quello dei momenti e dei loro uomini») e, in un successivo momento, cercare di capire la logica dei comportamenti e dei linguaggi parlati e come possiamo cercare di recuperare un ordine del discorso. 2. internet zoo, una panoramica sui luoghi e sulle occasioni 2.1. Una popolazione sempre più connessa Prima di approfondire le dinamiche sociali e psicologiche che caratteriz-
16 M. Canevacci, R. De Angelis, F. Mazzi (a cura di), Le culture del conflitto: giovani, metropoli, comunicazione, Costa & Nolan, Genova 1999, p. 7. 17 E. Goffman, L’ordine dell’interazione, Armando Editore, Roma 2002.
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zano le interazioni sociali della popolazione giovanile è forse opportuno cercare di definire o circoscrivere i confini dell’universo comunicativo segnato dall’impiego delle tecnologie digitali. Si tratta, in realtà, di un universo difficile da circoscrivere e da categorizzare in quanto l’introduzione di nuove tecnologie è strettamente connessa con l’emergere di nuove pratiche e le nuove pratiche sono influenzate da processi di marketing avanzato. Si assiste, in altre parole, a una evoluzione del mercato determinata da spinte incrociate tra bisogni indotti, comportamenti dei consumatori e ricerca tecnologica. Il variare delle tecnologie e delle pratiche induce velocemente nuovi comportamenti e i nuovi comportamenti influenzano la direzione dell’evoluzione tecnologica. La fotografia dell’esistente rimane velocemente datata. Per cogliere le implicazioni delle tecnologie sui comportamenti sociali e per cogliere il senso dei rapidi cambiamenti di direzione è forse utile partire da un sondaggio che prende in considerazione gran parte delle tecnologie a partire dal loro utilizzo reale da parte della popolazione giovanile. Una delle più recenti letture complessive per quanto riguarda l’utilizzo delle tecnologie interattive da parte dei giovani è quella effettuata per il “Rapporto Eurispes / Telefono Azzurro” nel 2009, che fa una panoramica completa sull’uso delle tecnologie da parte della popolazione giovanile (bambini sotto i 13 anni, adolescenti tra i 13 e i 19 anni, giovani fino a 24 anni). I bambini utilizzano il telefonino principalmente per essere sempre raggiungibili dai genitori (88,2%) e dagli amici (il 69,9% lo utilizza per chiamare o essere chiamato) ma da non sottovalutare l’abitudine frequente a scattare foto (72,6%) o a giocare (69,9%) con il cellulare. Molto frequente, anche in questa fascia d’età, l’uso dei messaggini: nel 2006 usava gli sms il 52,1% dei bambini, percentuale salita quindi nel 2008 al 67,2%. Il numero di giovanissimi che fa uso di internet è complessivamente aumentato nel tempo: tra i più piccoli la utilizzava il 39,2% nel 2002 e il 48,2% nel 2006; tra i più grandi, rispettivamente il 71,3% e l’84,7%. Tra gli adolescenti, il 97,5% dichiarava nel 2006 di avere a disposizione un telefonino e la percentuale non è mai scesa al di sotto del 95,9%, registrato nel 2008. Tra gli adolescenti aumenta in maniera significativa la percentuale di coloro che usano il cellulare per navigare in internet, arrivata al 20,7% registrato nel 2009. In aumento anche il numero di quanti utilizzano il telefonino per fare fotografie (90,4%) o filmati (81%). In calo invece la tendenza a usare il cellulare per scaricare suonerie o loghi (solo l’8,9% usufruisce ancora di questi servizi, nel 2006 erano il 20,6%), così come è in ribasso la percentuale di chi usa il telefonino per passare il tempo giocando con le applicazioni disponibili (46% nel 2009). [...] Eurispes / Telefono Azzurro analizza quindi il rapporto tra bambini e adolescenti e internet: tra i primi cresce la percentuale di quelli che considerano il web una fonte preziosa di informazioni interessanti (44,2% nel 2002, 52,6% nel 2006 e 69,3% nel 2009) e di materiale per lo studio (31,9% nel 2002, 40,2% nel 2006 e 49% nel 2009). Ma aumenta anche il numero di bambini che navigano il web per giocare (47,5% nel 2002, 54,9% nel 2006 e 68,3% nel 2009), o per guardare video e altro materiale multimediale facilmente accessibile (il 50,8% nel 2005 e il 55,9% nel 2009 scarica musica e film e il 54,7% sempre nel 2009 guarda filmati su YouTube).
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Meno diffuso, a questa età, l’uso di blog, chat e forum, anche se cresce l’utilizzo dell’e-mail (42,1%) e l’abitudine di scaricare file tramite il peer to peer – modalità molto spesso illegale (55,9% nel 2009). Tra gli adolescenti, la vera star sono i social network: il 71,1% possiede un profilo personale su Facebook, seguito da Myspace (17,1%) e Habbo (10,4%). Decisamente inferiori (2,6% e 2,5%, rispettivamente) le percentuali di utilizzo di Second life e Twitter18. Il 28,7% degli adolescenti ritiene che i social network siano utili strumenti per rimanere in contatto con gli amici di sempre e con quelli che si trovano lontano o non si frequentano da molto tempo (23,6%). Fare nuove conoscenze rappresenta il motivo principale per cui il 14,9% dei ragazzi ha deciso di affacciarsi al mondo delle reti sociali sul web. Molto diffusa risulta anche l’abitudine di guardare filmati su YouTube (85,8%) e di cercare materiale per lo studio (83,2%), seguita da quella di chattare (79,9%) e di scaricare musica/film/giochi/video (76,1%). La maggioranza degli adolescenti comunica tramite posta elettronica (58,3%). Il 46,8 legge un blog, il 45,5% gioca con videogiochi on line. In pochi leggono e scrivono su un forum di loro interesse (24,9%), partecipano a giochi di ruolo (21,4%) e fanno acquisti on line (20,9%). Il 41,4% è entrato in un sito dove c’era scritto “accesso vietato ai minorenni”. Il 39,8% si è sentito chiedere almeno una volta un incontro dal vivo da uno sconosciuto in Rete. Il 29,9% si è invece accorto di comunicare con una persona che fingeva di essere un’altra; il 24,9% ha visto immagini che lo hanno messo a disagio o turbato, il 20,7% ha ricevuto messaggi volgari o offensivi19.
Questi sono i numeri della ricerca che mettono in evidenza la stretta e crescente connessione tra giovani e strumenti e che documentano come la crescente diffusione di tecnologie venga indirizzata sempre più a creare relazioni e coltivare quelle esistenti. Cala di molto l’utilizzo del telefono fine a se stesso (suonerie, loghi ecc.). Ma chi si relaziona a chi e con quali finalità? Prendendo in considerazione strumenti e pratiche di comunicazione penso che si possano individuare tre tipologie di interazioni: 1) una prima modalità di impiego delle tecnologie è quella del mantenimento della connessione con l’universo sociale già noto: io sono qui e sto facendo questo, tu dove sei e che cosa stai facendo. È il mondo del telefono, degli sms, delle mail, di Twitter, delle chat. Elemento caratterizzante è la composizione di un universo sociale sempre connesso; 2) un secondo livello è quello della relazione e dell’intrattenimento sociale, dal gioco alle pratiche di dilatazione dell’immaginario. In quest’area si possono collocare le pratiche di ricerca e di individuazione di nuovi interlocutori, lo scambio veloce, l’estensione alla rete dei riti della socialità: tu che amici hai, di che cosa ti occupi, che cosa sta succedendo, fammi conoscere i
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Rapporto Eurispes / Telefono Azzurro, http://www.eurispes.it/index.php? option=com_content&view=article&id =880:sintesi-10d-rapporto-nazionale-sulla-condizione-dellinfanzia-e-delladolescenza&catid=48&Itemid=223. 19 Ibidem.
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tuoi amici, giochiamo insieme. È il mondo dei social network, dei videogiochi on line, della realtà virtuale. La domanda da porsi per comprendere la popolazione che lo abita è: quali sono i social network più adottati, come funzionano, c’è differenza tra uno e l’altro? 3) al terzo livello si possono collocare tutte le forme di espressività più meditata, la costruzione dell’identità attraverso pratiche comunicative. I blog, i forum, YouTube, Flickr, le piattaforme wiki. In questo sistema complesso dove le tecnologie mutano in ragione di rapidi spostamenti d’interesse e rapidi modelli comportamentali, le divisioni di campo non sono nette, gli spostamenti sono possibili e i confini sono molto labili. 2.2. Primo modello di interazione. L’universo della connessione La storia del telefono attraversa l’intero Novecento segnando con piccole variazioni d’uso rilevanti salti tecnologici. Nei primi decenni del secolo, alla posa dei cavi telefonici per collegare tra loro i principali punti di interesse economico e politico ha subito fatto seguito l’espansione della rete per ragioni commerciali, creando immediatamente un nuovo e immenso mercato. Doppino telefonico prima e fibra ottica poi hanno dato vita a una rete distribuita sul territorio, dove le postazioni fisse segnano la presenza delle persone e degli interessi che cercano collegamento e chiedono comunicazione. Le persone sono vincolate dalle postazioni, la localizzazione della rete è data da una dimensione spaziale che richiede la presenza fisica. Una persona è legata a un posto: se chiamo un numero e non ho risposta posso supporre che in quel posto non c’è nessuno o che la persona che cerco non è in quel posto. L’introduzione nel mercato del telefono cellulare negli anni ottanta ha reso indipendente la persona dalla postazione fissa e ha aperto la strada all’evoluzione di uno strumento di comunicazione che si sta sempre più trasformando in una appendice del corpo umano, potenziandone le possibilità di interazione con l’ambiente. Telefono e rete segnano oggi i confini dell’universo connesso, all’interno del quale le relazioni tra le persone non sono condizionate dalla distanza e si muovono in un sistema spaziale indipendente e virtuale. Il passaggio da una dimensione spaziale a una dimensione virtuale della presenza ha reso lo strumento integrato con la persona (il cellulare ha modificato l’abbigliamento e il sistema degli accessori), rendendolo capace di incidere sulla sua dimensione emotiva. Telefono e rete sono media interattivi che consentono scambi di informazioni, di conoscenza ma anche di emozioni, di sentimenti. La progressiva pratica e consuetudine con il telefono cellulare pongono oggi il telefono al centro del processo interattivo; il telefono e la rete entrano a far parte del sistema percettivo e comunicativo della persona. Il portatile diventa estensione tecnologica della persona: scrive, parla, produce e riceve immagini, gioca, manda segnali e documenta la sua presenza sul territorio, crea collegamenti tra informazioni provenienti da tutto il mondo. A confer-
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ma dello stretto rapporto con il suo possessore, il portatile viene personalizzato, si possono scegliere vesti e colori, si possono modulare e variare i segnali di richiamo e di funzione, si possono configurare le procedure di funzionamento, le funzioni e la struttura della memoria. Non si riesce più a distinguere oggi tra strumento e funzioni: la rete (doppino e fibra) è di supporto alla comunicazione telefonica ma è anche connessione per i computer e per la televisione, l’apparecchio con cui si telefona assume sempre nuove funzioni che si sovrappongono e si integrano con quelle di altri strumenti. Maurizio Ferraris20 sviluppa una ontologia del telefonino per cercare di cogliere le trasformazioni della persona nel suo integrarsi con uno strumento proteiforme, che cambia continuamente identità e funzioni. Anche la società e le sue regole si stanno adeguando a questo processo di costante integrazione e molte operazioni della quotidianità passano per il cellulare: il controllo dei conti correnti, la prenotazione e il pagamento dei mezzi pubblici, le prenotazioni delle visite mediche, i collegamenti con gli uffici comunali. Dopo una relativamente lunga fase di profonda diffidenza e fastidio, sembra ora aumentare progressivamente e insensibilmente la tolleranza sociale nei confronti dell’utilizzo del portatile e del cellulare: sul treno, nei luoghi di riunione, in aereo, in chiesa, al lavoro, negli incontri tra amici, durante gli scambi di effusioni tra partner. Anche le istituzioni scolastiche si interrogano fino a che punto è doveroso, necessario o possibile proibire l’utilizzo del telefono e del desktop all’interno della scuola. Dal punto di vista dell’attività comunicativa, il telefono cellulare si presenta come uno strumento polifunzionale: con il telefono si parla (o meglio, ormai ci si intrattiene: sono pochi quelli che adottano il telefono per uno scambio essenziale di informazioni), ma molto si scrive e si legge. Nella struttura dell’apparecchio uno spazio sempre maggiore è stato acquisito da uno schermo che oggi è sensibile e che consente di trasmettere impulsi e comandi. Gli spazi per la voce sono ridotti a piccole fessure. Alla voce della chiamata è spesso preferita la comunicazione scritta di un sms (è sempre leggibile, rimane in memoria, non richiede un impegno completo della persona, si possono scrivere più messaggi contemporaneamente). La digitazione diventa sempre più veloce (automatica) e il maggior tempo è impiegato per creare una trama di parole. Le parole stesse del cellulare sono diverse dalle parole della vita quotidiana, il cellulare ha creato un suo gergo, fatto di semplificazioni e abbreviazioni. L’adozione degli emoticon21 cerca di sopperire alla mancanza di presenza fisica: si trasmette all’interlocutore lo stato emotivo con cui viene prodotta la frase, si cerca l’empatia. 20
M. Ferraris, Dove sei? Ontologia del telefonino, Bompiani, Milano 2005. Emoticon, o faccina in italiano, da “emotional” e “icon” è quell’icona o quell’insieme di segni che esprime l’emozione provata dall’interlocutore (soddisfazione, gioia, risata, tristezza, dubbio, stupore ecc.). 21
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2.3. Secondo modello di interazione. I network di relazione e d’intrattenimento I social network hanno vita relativamente recente. I primi siti che aggregavano persone offrendo servizi di comunicazione interattiva trasversale sono stati Friendster, abctribe.com e Linkedin. L’esplosione si è verificata nel 2006 negli USA e nel 2008 in Italia. Facebook è stato uno dei fattori determinanti di questa esplosione, nato in ambiente universitario nel 2004, nel 2006 è stato aperto a tutti e registra oggi più di 500 milioni di iscritti. Penso però che il vero punto di riferimento dei social network odierni sia Secondlife, che ha generato aspettative utopistiche di un mondo virtuale parallelo e che è stato capace di unire molteplici aspetti della comunicazione interattiva: creazione di un luogo-non luogo all’interno del quale si possono attivare identità ideali, formazione di una community che comprende più community, sviluppo di attività diverse che vanno da quelle più istituzionali ad altre più ludiche, sistema di relazione e di scambio di comunicazioni. Da Secondlife derivano due linee di sviluppo: una più ludica che ha il suo rappresentante in siti come Habbo e una che semplifica i processi di interazione sociale che è Facebook. Oggi Facebook costituisce un osservatorio sui social network che offre molteplici chiavi di lettura in merito ai comportamenti dei giovani nell’utilizzo delle tecnologie di rete. Uno dei vantaggi che offre è la varietà delle situazioni e il lungo periodo di vita. Molti siti di community sono nati e tramontati; nascono come risposta a sollecitazioni e bisogni legati a specifici momenti e contesti culturali, raggiungono una certa dimensione, poi lentamente decadono. Come è scritto in un blog di e-culture22: Tutto questo prima dell’arrivo di Facebook. La creatura di Mark Zuckerberg, volontariamente o inconsapevolmente, non si è fermata allo scopo originario di farci ritrovare i vecchi amici di infanzia o del liceo. È andata oltre al concetto di spazio relazionale in cui scrivere, commentare, chattare e condividere pezzi di sé e della propria vita. Se Facebook oggi fosse solo questo, nessuno ne sentirebbe così tanto il bisogno. Rispetto ad altre Reti sociali, chiuse in se stesse, ha iniziato a espandersi non solo al suo interno, risucchiando “pezzi di Web”, ma anche all’esterno, insinuandosi grazie alla funzione Connect in tantissimi siti internet. Facebook, oggi, è qualcosa di diverso da Twitter o Myspace. Per cercare il suo vero antagonista si deve spostare la mira verso Mountain View. Facebook, infatti, ha iniziato a farci vedere il Web da una prospettiva che Google non ci aveva mai mostrato: quella in cui ciò che navighiamo e scegliamo all’interno di un flusso infinito di dati on line è determinato dalle nostre relazioni sociali, dai nostri gusti e da quelli dei nostri amici e non da un algoritmo algebrico o dai punteggi di page rank. In questo senso Facebook rompe i confini della definizione di social network. Come sottolinea un interessante articolo pubblicato su «Wired» di settembre
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Blog di Stefano Caschera, http://www.cultur-e.it/blog/tematiche/la-sfida-tra-facebook-e-google-per-la-conquista-del-web/.
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[2010], Facebook sta diventando un elemento completo e onnipresente della vita on line proprio perché al suo interno troviamo subito tutto quello che ci serve e direttamente “sponsorizzato” dalla propria cerchia di amicizie. La sfida con Google, quindi, diventa duplice: non solo dal punto di vista della quantità di dati personali che i due colossi del Web si trovano a gestire, ma anche dal modo in cui filtrano, selezionano e danno più o meno valore alle informazioni. È internet fatto dalle persone contro internet fatto dai dati.
Gli altri siti di social network svolgono funzioni più delimitate negli obiettivi e quindi più mirate. Tra questi i siti più frequentati in Italia (oltre a quelli dichiarati a Telefono Azzurro), sono: – Myspace: prima che nascesse Facebook, Myspace era il social network più usato al mondo. Ora continua a utilizzarlo molta gente, soprattutto cantanti affermati e cantanti emergenti, dato che si possono creare profili musicali. La lista degli utenti è molto più ridotta di quella di Facebook. – Netlog: forse è il social network con la grafica più bella e più personalizzabile. Infatti ogni utente può scegliere un tema da inserire nel proprio profilo. È un social dedicato sopratutto ai giovani e a chi vuole conoscere persone non solo per amicizia. – Hi5: è simile a Netlog, anche questo ha un grande bacino d’utenza ma è composta soprattutto da ragazzi giovani. È disponibile in moltissime lingue e ha una grafica carina... Come negli altri social, anche qui puoi inserire foto/video, una descrizione, creare applicazioni e molto altro... – Linkedin: ora anche in versione italiana, è uno dei network a carattere professionale. Puoi inserire i tuoi dati personali e il tuo curriculum. È utile a trovare e offrire lavoro. Finalmente un social network davvero utile a qualcosa! – Badoo: un social network per giovani con grafica Web 2.0. Un sito localizzato a Londra con versioni in più lingue, tra cui l’italiano. Alcuni blogger lo ritengono un sito spam. L’universalità di Facebook è sostenuta anche della trasversalità sociale e generazionale dei partecipanti al network. Fatto questo che desta qualche preoccupazione nei genitori. Facebook ha infatti limitato l’accesso delle iscrizioni ai 13 anni compiuti ma molti ragazzi sotto i 13 anni barano e si iscrivono dichiarando un’altra data di nascita. Nella relazione di Eurispes / Telefono Azzurro si precisa infatti: Rispetto al profilo dell’utilizzatore, più della metà degli iscritti ai social network (il 56%) ha meno di 19 anni, quindi i principali “abitanti” di queste nuove realtà virtuali sono giovanissimi. ma non solo: il 54% dei ragazzi tra i 10 e i 14 anni ha dichiarato di avere i propri genitori tra gli amici, percentuale che scende al 41% tra i 15 e i 18 anni. Significa che quasi la metà degli adolescenti consente l’accesso al proprio profilo ai genitori, che, solo nell’11% dei casi, ne approfittano per monitorare le attività dei propri figli.
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Per completare il quadro dei social network, è necessario prender in considerazione la rivoluzione introdotta da Marc Andreessen con la piattaforma Ning, capace di dialogare con Flickr, Facebook, Myspace e altri applicativi, che rende possibile la creazione di social network fai da te, ossia di siti gestiti da singole persone o da enti per facilitare la costituzione di community in rete attraverso strumenti partecipativi. Persone e istituzioni si aggregano, dialogano tra loro e si scambiano documenti a partire da idee e progetti o anche solamente per il piacere di scambiare idee e opinioni su gusti e interessi. 2.4. Terzo modello di interazione. I canali della creatività ed espressività partecipata Il superamento del contatto veloce e di un sistema comunicativo aperto, dove prevale la dimensione pubblica della relazione, è data da forme di comunicazione partecipata, dove è possibile introdurre creatività e sperimentazione. Il canale comunicativo scelto dal giovane che denuncia il suo bisogno di amici è il blog23 (o meglio i post al blog), l’equivalente del diario scritto nella propria stanza, magari piangendosi addosso, come nel caso del nostro amico. Accanto a strumenti orientati a forme comunicative più lente e meditate – come i forum e le piattaforme wiki – ma che prevedono comunque strutturalmente una interazione tra persone che condividono contenuti, i blog o l’impiego proattivo di Flikr e YouTube rispondono meglio a bisogni comunicativi (legati all’identità e alla creatività) di singoli o di gruppi ristretti di persone. In molti di questi casi si assiste alla creazione di nuovi modelli espressivi elaborati con strumenti (cellulare, iPod, televisione, rete) e con canali espressivi (immagini, suoni, testo) diversi. Vale la pena richiamare al riguardo le riflessioni di Jenkins che descrivono lo scenario che si compone attraverso l’integrazione di strumenti multimediali e di scrittura, uno scenario dove nuovi modelli di intelligenza collettiva si formano a partire da processi emotivi ed estetici24. Per tornare ai weblog, che possiamo prendere come modello base di questa terza area, vale la pena sottolineare come questi rappresentino una reale opportunità di porsi direttamente come autore/editore in rapporto con un pubblico di lettori/coautori. Con i weblog, alle enormi potenzialità di relazione, già implicite nella rete, si sono aggiunte la facilità di accesso, la capacità di memoria e la possibilità di ricerca tipiche del web [che gli altri sistemi in qualche modo emulavano soltanto]. Ma a differenza 23
In inglese blog ha propriamente significato di “diario, giornale” solo nella terminologia nautica dove il logbook è il cosiddetto giornale o diario di bordo. La scelta della parola blog, in luogo di diary, è stata dovuta probabilmente alla frequente analogia che si fa del web in chiave nautica (Wikipedia). 24 Vedi H. Jenkins, Cultura convergente, Apogeo, Milano 2007.
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degli altri strumenti, i weblog raggruppano i contenuti per persona, fornendo agli individui uno strumento di identificazione fortissimo. Questo facilita la relazione tra soggetti che già si conoscono, sia con soggetti che iniziano da zero un nuovo contatto25.
Come sistema comunicativo a interazione sociale, ma caratterizzato da una forte spinta alla valorizzazione dell’identità autoriale, il blog si differenzia dai social network per due aspetti fondamentali: 1) il primo è che il blog «stabilisce in rete un point of presence stabile della persona»26. Ossia mentre i social network sono sistemi all’interno del quale i singoli individui trovano un loro punto di consistenza all’interno di una rete di relazioni in continua evoluzione, il blog viene costruito dal singolo individuo, che lo caratterizza secondo il suo gusto e i suoi interessi, e la rete delle persone si costituisce a partire da un discorso che evolve e che si polarizza intorno a interessi comuni; 2) il secondo che il sistema di relazioni che si sviluppa intorno ai blog non è racchiuso all’interno di un sistema strutturato (un social network chiuso) ma è rappresentato dall’intera rete, che si raffigura come un unico grande discorso, The Big Conversation. Queste caratteristiche sono la chiave per comprendere come la cultura della rete ci stia sollecitando a rivedere i concetti tradizionali di trasmissione della cultura, di intangibilità del testo, di autore individuale. Nel sistema di comunicazione della rete difficilmente si è ricettori passivi; in ogni lettura di un testo e nella sua trasmissione si inseriscono integrazioni (l’assegnazione di un tag, un link, una citazione, un commento o una interpretazione). «Tutti, in qualsiasi istante e contemporaneamente, possono aggiungervi materiali, e questo ne fa una base di conoscenza potenzialmente infinita»27. Wikipedia insegna. L’insieme dei weblog funziona, secondo la definizione di Granieri, come una «cross-comunity», e rappresenta una blogosfera che cresce continuamente, costituita da milioni di blogger. Ci sono alcune applicazioni, come Technorati, Daypop, BlogDex, TTLB blogosphere Ecosystem, SkipPop, che monitorano costantemente l’universo dei blog, fornendo informazioni in merito ai contenuti e ai riferimenti ipertestuali. Una delle ricerche che vengono annualmente prodotte per descrivere la blogosfera è prodotta da Technorati. Riportiamo la lettura del 2009 riportata da Casaleggio28. La ricerca del 2009 ha distinto 4 precise categorie che sono state divise in hobby, hobbisti, tutti coloro che praticano la rete e i blog per piacere puramente personale,
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G. Granieri, Blog generation, Laterza, Roma-Bari 2009, p. 30. Ibidem, p. 31. 27 Ibidem, p. 44. 28 Technorati, La Blogosfera 2009, dal sito di “Casaleggio Associati”, http://www. casaleggio.it/2009/12/blogosfera_2009.php. 26
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coloro che integrano attraverso i blog una fonte di reddito, coloro che invece lo fanno a tempo pieno e coloro che sviluppano blog per conto di altre società. Nel 2009 la blogosfera si è integrata sempre di più con i social media come Twitter o Facebook per diffondere e moltiplicare i suoi contenuti. La presenza della blogosfera nei media tradizionali è ormai continua e presente in modo sensibile e circa il 50% dei blogger hanno detto che sono stati citati in altri media. I blogger chi sono? Sono normalmente uomini per il 60% dei casi, hanno un’istruzione medio-alta, circa il 40% è infatti laureato e hanno un’attività che dura per molti di loro da più di 6 anni. I blogger dalla ricerca è apparso che sono spesso dei giornalisti, quindi persone che continuano la loro attività d’informazione anche sulla rete. Quali sono i media più visti da un blogger? Come si informa un blogger? Pare strano però il blogger s’informa prevalentemente attraverso due canali: 1) il classico della rete quindi social media e blog; 2) la televisione che è il primo in assoluto. Il blogger si collega sempre più spesso al suo blog per modificarlo, inserire i contenuti, verificare commenti etc., attraverso un iPhone o attraverso Android, quindi attraverso un device mobile, lo stile che viene preferito ai blogger è lo stile diretto, interattivo e con una chiara dimostrazione di competenza sulla materia di cui si tratta. Gli esperti on line [chi raggiunge un’elevata reputazione nel suo settore di competenza] sono di solito i blogger preferiti dalla rete. Questa ricerca dimostra che uno non diventa blogger per soldi, ma per condividere le proprie esperienze, interagire con le altre persone e diffondere le proprie idee, spesso i soldi arrivano dopo, quando un blogger si afferma. Il miglior risultato per una carriera di un blogger è di solito quello di affermarsi come persona molto competente o di riferimento nell’area culturale o nell’area di business o nell’area di mercato di riferimento, i blogger in senso generale, quindi sia coloro che lo fanno per professione, chi non, pubblicano circa 2 o 3 articoli la settimana, i professionisti possono arrivare però fino a 10 articoli al giorno, 10 articoli che possono essere corredati da fotografie, video, audio. Per valutare l’andamento del proprio blog, quindi il traffico, le serie storiche e tutto ciò che determina una valutazione oggettiva dell’andamento della propria competenza, del proprio contenuto sulla rete, i blogger si affidano normalmente a degli strumenti, software di valutazione, i più utilizzati sono Google Analytics, Sitemeter e Statcounter. I blogger professionali per i quali il blog è la prima fonte di guadagno sono il 17%, i ricavi provengono in prevalenza dai motori di ricerca e dalle inserzioni pubblicitarie e un blogger professionale negli Stati Uniti ha un ritorno medio di circa 122 mila dollari annui, quindi i blogger se hanno competenze e riescono ad affermarsi in rete, possono essere del tutto indipendenti nella trasmissione della loro informazione. La pubblicità però non è sempre decisa da chi la propone, ma spesso e sempre più spesso dai blogger, in quanto questi hanno una reputazione, una credibilità che per loro è un valore economico, quanto più è credibile un blogger, tanto più il numero di accessi può aumentare, quindi i blogger non hanno interesse a inserire nella propria area di comunicazione una pubblicità che viene considerata non in linea con la propria posizione che può essere una posizione sociale o una posizione etica. [È possibile prevedere che] in futuro i blogger non soltanto condizioneranno la promozione dei contenuti, soprattutto nell’ambito della politica, nell’ambito dell’ambiente e nell’ambito del business, ma promuoveranno anche un’identità della pubblicità, sempre più etica e sempre più attenta al sociale.
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2.5. Interoperabilità di sistema. Verso un superamento del rapporto strumentofunzione Come ho detto in apertura, l’evoluzione del sistema comunicativo è data dall’integrarsi delle spinte provenienti da comportamenti sociali, di marketing e di sviluppo tecnologico del prodotto. La formazione di nuove generazioni di persone che nascono in un ambiente già strutturalmente predisposto accorcia i tempi che intercorrono da un uso “stupido” del sistema a un uso intelligente, metalinguistico. Ciò comporta che ci si avvicina sempre più a modalità integrate di impiego delle tecnologie, in un contesto all’interno del quale i livelli di approfondimento e di elaborazione dei contenuti prescindono dalle tecnologie. I tempi di elaborazione sono resi più rapidi dall’aumento d’intelligenza del sistema. Il sistema comunicativo, la rete, diventa essa stessa in grado di supportare considerevoli quantità di informazioni e di contenuti. Dalla scheda dei dati sull’utilizzo e dall’analisi dei tre distinti livelli del discorso, emerge una compenetrazione reciproca di funzioni. Telefono, social network, blog, multimedialità stanno diventando un sistema profondamente interconnesso, che fa riferimento a una intelligenza distribuita. I problemi sono quello dell’identificazione dei “terminali” che consentono il contatto tra singoli individui e il sistema di conoscenza condivisa e quello delle modalità di utilizzo di questa conoscenza. Una soluzione a questi problemi potrebbe venire dal semantic web, elaborato da Tim Barneers-Lee29. In base a criteri individuati da Barneers-Lee, la massa di informazione e produzione culturale immessa nel web viene interconnessa, producendo così una attiva connessione tra gli utenti proattivi della rete. A fondamento di questa ipotesi di lavoro, che mira alla creazione di uno spazio informativo universale e navigabile «va assumendo sempre maggiore importanza l’interoperabilità, sia tecnologica che semantica. La famiglia di tecnologie XML gioca un ruolo essenziale nei vari livelli architetturali. A livello di markup, XML consente l’interoperabilità nel contesto delle applicazioni. A livello dei dati, RDF è l’elemento chiave per l’interoperabilità tra applicazioni. Infine, a livello ontologico, linguaggi come OWL consentono di perseguire l’obiettivo del web of meaning»30. Ricerca tecnologica e nuovi modelli culturali spingono verso sistemi complessi di intelligenza collettiva. «Nessuno sa tutto, ognuno sa qualcosa, la totalità del sapere risiede nell’umanità»31.
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T. Barneers-Lee, http://www.scientificamerican.com/article.cfm?id=the-semantic-
web. 30 O. Signore, RDF per la rappresentazione della conoscenza, www.w3c.it/papers/ RDF.pdf, p. 10. 31 Citazione da Pierre Lévy in Jenkins, Cultura convergente, cit., p. 3.
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3. la costruzione dell’identità/realtà: verso una realtà/identità partecipata 3.1. Interazione e tecnologie Abbiamo finora parlato di socializzazione, poi di interazione. Cerchiamo di entrare più nel merito. Utilizzerei il termine interazione per descrivere i processi comunicativi tra due o più soggetti, indipendentemente dalle finalità con cui sono stati attivati, anche se una prima, e ritengo necessaria, considerazione dovrà essere fatta in merito a quanto concerne il valore della presenza (ossia dove siamo quando ci relazioniamo gli uni agli altri, come incide la dimensione spaziale nell’universo della comunicazione). Goffman dice che «L’interazione sociale può essere definita in senso stretto come ciò che traspira unicamente nelle situazioni sociali, cioè in ambiti in cui due o più individui sono fisicamente l’uno alla presenza dell’altro (presumibilmente il telefono e la posta offrono versioni ridotte di questa realtà originaria)»32. Quello che Goffman ritiene determinante è il “corpo a corpo” che si pone come punto di partenza della relazione, l’aspetto fisico della presenza. Ma la novità che si sta affermando nella presa in esame di queste tecnologie di comunicazione (che dà ragione dell’asimmetria del rapporto generazionale), è il prendere consistenza di una fisicità virtuale, ossia il fatto che ponendosi in relazione con una o più persone attraverso le “protesi tecnologiche”, gli appartenenti alle nuove tribù digitali vivono la presenza degli altri come presenza fisica reale che induce comportamenti relazionali analoghi a quelli delle situazioni in cui la presenza non è mediata. Si potrebbe anzi dire che spesso i comportamenti e gli stili di vita che vengono esibiti nei luoghi fisici rispecchiano modelli elaborati nella dimensione virtuale della rete. Per collegarci a uno degli schemi interpretativi di Goffman33, la realtà costituisce la rappresentazione teatrale (la performance) del copione che viene scritto nella dimensione della socialità virtuale. Ma interazione non è solo un problema di presenza (come vedremo anche più avanti se ne può fare a meno, o no?), ma un confronto dialettico tra universi di significato: il mio (che controllo, che mi angustia, che voglio proiettare sugli altri) e quello delle persone con cui entro in relazione (che mi attraggono e che mi respingono). Questa dinamica mette in evidenza due dimensioni dell’interazione che la socializzazione tecnologica sta esasperando presso i giovani: la dimensione “socialmente situata” (quella in cui ci troviamo a operare in presenza di altri) e la dimensione privata della persona (quella che ciascuno di noi ritiene riservata). Già secondo Goffman34, «quali che siano le
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Goffman, L’ordine dell’interazione, cit., p. 43. Goffman, Frame Analysis, cit., p. 163. 34 Goffman, L’ordine dell’interazione, cit., p. 44. 33
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nostre azioni, è assai probabile che esse siano, in senso stretto, socialmente situate», ossia il peso del condizionamento sociale è tale che anche nel privato ne seguiamo le regole. Per quanto riguarda le interazioni mediate da tecnologie di rete, il confine tra “socialmente situato” e “privato” in senso stretto è ancora più confuso e labile: il superamento del confine è frequente e la spinta può essere provocata dall’esibizionismo del soggetto, dal bisogno di mettere alla prova la propria identità, dal prevalere della ragione di gruppo sul singolo, dalla violenza individuale. Ma ciò che può rappresentare una minaccia può anche essere letto come opportunità. [...] la territorialità personale non deve essere considerata meramente in termini di costrizioni, proibizioni e minacce. In tutte le società esiste un fondamentale dualismo d’uso, tale che molte forme di comportamento mediante le quali possiamo essere trattati offensivamente da una categoria di altri sono intimamente alleate a quelle mediante le quali i membri di un’altra categoria possono appropriatamente mostrare i loro legami con noi. Allo stesso modo, ciò che è arrogante pretendere da noi diviene una cortesia o un segno d’affetto se siamo noi a offrirlo: le nostre vulnerabilità rituali sono anche le nostre risorse rituali. Così violare i territori del self significa anche corrompere il linguaggio della cortesia. Quindi sia rischi che opportunità sono inerenti alla co-presenza fisica. Poiché queste contingenze sono gravi è probabile che dappertutto sorgano tecniche per gestirle35.
Il rapporto tra il sé e gli altri si prospetta quindi come evento aperto, dall’esito incerto. E in ragione di ciò, l’interazione con l’altro è una occasione che richiede concentrazione, attenzione a ciò che si fa e alle conseguenze che ne possono derivare. Nel momento forte dell’interazione, quello in cui si avverte la presenza degli altri, gli individui «sono ammirevolmente situati per condividere un comune centro di attenzione, percepire che lo stanno facendo e percepire questa percezione»36. Questo orientamento profondamente consapevole a una dimensione collaborativa del rapporto è funzionale al raggiungimento comune dell’obiettivo specifico dell’interazione. Delineando un iter concettuale del processo di interazione abbiamo così messo in evidenza una relazione comunicativa tra individualità diverse che, nel momento del confronto sono unite e rese complici da un obiettivo o da un intento comune. Resta da fare ancora un altro passo: che cosa si conosce dell’“altro” per poter misurare le aspettative e pianificare obiettivi comuni? Ancora una volta, Goffman precisa che l’intero processo di interazione è subordinato al superamento di due forme fondamentali di identificazione: «quella categorica, che implica la collocazione dell’altro in una o più categorie sociali, e quella individuale»37 che mira a mettere in evidenza le caratteri-
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Ibidem, p. 49. Ibidem, p. 47. 37 Ibidem, p. 48. 36
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stiche proprie della sua identità connesse allo specifico canale comunicativo adottato. In altre parole, il processo di interazione viene regolamentato da quelle che ciascun partecipante considera le regole fondanti la propria territorialità personale, ossia le vulnerabilità e le opportunità personali legate alla propria fisicità. La possibilità di essere emotivamente coinvolti, di ricevere violenza o di ricevere gratificazioni è bilanciata dalla possibilità di fare altrettanto ed è valutata in ragione del processo di identificazione a cui è stato sottoposto l’interlocutore. 3.2. Individuo e rete: la costruzione dell’identità personale e collettiva Entrare in rete per socializzare implica la costruzione di una identità, il confronto con altre identità all’interno di un sistema di valori e di significati condiviso, la promozione della propria identità (in prima istanza) e dell’identità del gruppo (a seguire). Il problema dell’identità scatta non appena si vuole entrare in una community. Subito ti compare una scheda che ti chiede (ti presenta un format, poi ti sollecita, poi – in certi casi – insiste) di assegnarti un nome, una password e un profilo. Immediatamente ci si chiede: che profilo do? chi sono in questo network? Le posizioni e i comportamenti sono diversi, sia in ragione della persona (c’è chi si imbarazza, chi ci gioca, chi punta seriamente a definire qualche sua parte nascosta che non ha mai voluto accettare, chi compila diligentemente la scheda con tutte le informazioni corrette al posto giusto), ma anche e soprattutto dell’ambiente in cui ci si vuole inserire. La prima e importante distinzione (per come definire la propria identità) è data dagli ambienti tecnologici che abbiamo individuato nel precedente capitolo. Telefono e mail non creano nuove identità, fanno riferimento a identità che si presuppone siano conosciute. Se gli indirizzi sono tratti dalla vita reale, la connessione si stabilisce tra persone che si sono già reciprocamente misurate. Se gli indirizzi sono tratti da qualche network, mail e telefono costituiscono un canale utile per certificare una identità in corso di verifica. Molto interessante e divertente è il libro di Daniel Glattauer38 che narra di una relazione tra un uomo e una donna che si instaura a partire da una mail giunta all’indirizzo sbagliato. Dopo una serie di mail errate, di precisazioni e di scuse nasce l’interesse per le reciproche identità, emergono le curiosità e le domande e scatta l’indagine e la curiosità per l’identità dell’altro. «Cara Emmi, si è resa conto che non sappiamo niente l’uno dell’altra? Che ci stiamo inventando un personaggio virtuale dall’identikit immaginario? Facciamo
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D. Glattauer, Le ho mai raccontato del vento del Nord, Feltrinelli, Milano 2010.
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domande affascinanti perché non diamo le risposte. Sì, ci divertiamo a stuzzicare e a eccitare la curiosità dell’altro, ma siamo categorici nel rifiutarci di soddisfarla. Cerchiamo di leggere tra le righe, tra le parole, a momenti perfino tra le singole lettere. Tentiamo disperatamente di capire con chi abbiamo a che fare. E al tempo stesso, stiamo ben attenti a non rivelare “niente di sostanziale” su di noi»39. Le risposte sono in parte veritiere e in parte emotivamente falsate. Il libro lascia più volte il lettore nel dubbio che le reazioni emotive siano espresse da uno degli interlocutori al solo fine di disorientare l’altro. Una relazione emotivamente forte si sviluppa in ragione dell’interesse che si presuppone nell’altro e in ragione della capacità dei due personaggi di soddisfare i bisogni emotivi dell’interlocutore. Il mondo del blog, delle piattaforme wiki e della comunicazione riflessiva è l’ambiente che meglio si presta alla costruzione strutturata di una identità (sia adolescenziale che matura) a partire da interessi dichiarati in modo esplicito. Il sistema dei social network è quello che presenta un sistema di costruzione dell’identità più complesso e articolato. Per meglio comprendere le diverse possibilità utilizzerei alcuni ambienti, scelti tra i più frequentati da giovani e adolescenti. 3.3. Modelli e pratiche dei social network Il primo modello è il mondo di Facebook. In Facebook, la costruzione dell’identità si ancora alla realtà (i dati di partenza, il nome e il cognome sono solitamente presi dalla carta d’identità) e si proietta verso una molteplicità di immaginari possibili. Socializzare significa condividere con altri realtà e immaginario, per alcuni prevale la prima dimensione per altri la seconda. Per alcuni versi, ritengo che Secondlife sia il modello primigenio dei social network, una dimensione utopica della realtà digitale messa in atto per facilitare rapporti impossibili o difficili da realizzare nella realtà. Facebook ne è il più diretto successore. Liberandosi delle complicazioni della tridimensionalità, Facebook può puntare sulla possibilità di creare contatti e relazioni veloci: cerco nell’elenco e chiedo a una persona di stabilire una connessione, mi vengono proposte possibili relazioni e scelgo quella che più mi interessa. Posso diventare fan e aggregarmi con altri in un clan di seguaci di persone, mode e movimenti. L’oggetto dello scambio è la condivisione di interessi e valori. Chiunque può condividere oggetti e sentimenti, fissare appuntamenti e scambiare amicizie. Una volta che ho dichiarato il mio nome, la costruzione dell’identità è una messa in scena. Si giunge alla teatralizzazione delle relazioni e ci si mette in mostra: le fotografie che si scelgono per presentarsi agli altri sono una
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Ibidem.
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maschera, o più maschere (perché le posso cambiare). Attraverso accostamenti molteplici, costruisco il mio immaginario che perfeziono, attraverso processi aggregativi, con altri immaginari. Facebook diventa a poco a poco un concatenarsi di immaginari. Un secondo modello, più formale, è quello offerto da Linkedin. Su Linkedin, l’identità con cui mi presento in rete ha tutte le ragioni per essere ancorata al mondo reale, si può però dire che adotta meccanismi relazionali propri del mondo virtuale per trarre ulteriori vantaggi nel mondo reale. Il suo fondamento è la costruzione di un mondo professionalmente strutturato attraverso la rete. Il mio profilo certifica la mia posizione all’interno del mondo professionale e questo mi dà accesso e mi facilita le relazioni con chi appartiene virtualmente al mio mondo. A ogni variazione di attività lavorativa o maturazione di competenza, corrispondono nuove opportunità relazionali di tipo professionale, che vengono regolarmente segnalate. I tratti distintivi che io utilizzo per descrivere il mio ambiente sociale e le mie esperienze professionali costituiscono la porta di accesso a nuove possibili relazioni, e ciò mi spinge a migliorare il mio profilo in modo da aumentare la rete con cui pescare relazioni in altri ambiti professionali. L’espansione del sistema relazionale diventa quasi (e per alcuni) un imperativo categorico: sono costantemente attento a chi visita il mio profilo, cerco sponsorizzazioni e credits, lancio appelli in rete. Incrementare la rete professionale tende a diventare parte del mio mestiere, per alcuni versi e per alcune persone diventa una specie di religione. Il terzo modello è quello di Badoo, o di siti analoghi, all’interno dei quali si può fare collezione di amicizie o di relazioni, si cercano opportunità sentimentali attraverso meccanismi costruiti direttamente o indotti dal sistema. In questi siti (alcuni dei quali sono esplicitamente strutturati per il matching sentimentale), la costruzione dell’identità è decisamente un affare più complesso. Nella gran parte dei casi si parte da relazioni inesistenti che cercano di collocarsi in una sfera prima di possibilità e poi di realtà. Il presupposto necessario dovrebbe quindi essere quello di offrire ai possibili partner o amici un ritratto veritiero di se stessi, capace di reggere al successivo e probabile confronto nella realtà. Elemento chiave di questa identità è il profilo, che viene costruito attraverso la dichiarazione di un nome, di una età e di una localizzazione geografica e viene completato con l’esplicitazione dei propri gusti, interessi, attività ecc. Tutte le informazioni devono essere coerenti tra loro, ma nulla vieta che qualcuna di queste sia inventata o costruita in modo tale da favorire una percezione positiva (in ragione delle aspettative, dei trend, del momento che vive la persona) dell’identità e del profilo inserito in rete. La redazione (in realtà il motore di ricerca) stabilisce relazioni possibili attraverso il confronto di età, sesso, località, aspettative e interessi e li sottopone agli iscritti a partire dalle date dei primi accessi (con frequenza decrescente). Nulla però vieta che le informazioni del profilo siano inserite in modo da costruire una identità vir-
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tuale, che corrisponda a una identità che si pensa possa interessare alle persone con cui ci si vuole relazionare. Con Badoo40 (e con tutti i social network che favoriscono gli incontri personali) si crea un mondo virtuale che dovrebbe risolvere i problemi relazionali con persone reali. Girando per Badoo, per esempio, si scopre che Francesca “vorrebbe scoprire qualcosa di nuovo con un ragazzo”, Giorgio si chiede “dove stanno le belle siciliane”, Pippo urla “mi vuoiiiii conoscere”, Eliana “vorrebbe abbracciare un panda con un ragazzo”; qualcun altro è più esplicito o volgare come Luca che grida “a me piace il sedere delle ragazzeeeeee”. Il quarto modello potrebbe essere quello di Habbo41, che sceglie decisamente la dimensione del gioco e si richiama più esplicitamente all’esperienza di Secondlife. È un ambiente virtuale che ha come punto di riferimento Habbo hotel, uno spazio con saloni pubblici e stanze private. L’identità reale delle persone non interessa a nessuno, quello che conta è la dimensione/identità virtuale che ci si costruisce attraverso l’avatar e l’ambientazione delle stanze. Ovviamente, tutto ciò che aumenta l’attrattività è offerto a pagamento, in tal modo la costruzione dell’identità costituisce un investimento per socializzare all’interno di Habbo hotel. Più sei “figo” più hai successo. Le stanze vengono ambientate e costituiscono attrazione per gli altri visitatori del mondo Habbo. Che cosa succede nelle stanze? Si promuovono eventi o si fanno dichiarazioni di intenti: “sono povera mi regalate”, “cerco padrone severissimo”, “parco cuccioli”, “nudo in webcam gratis”, “venite ragazze con cam”, “ristorante perryz”, “ci divertiremo”, “fidanzamenti”, il tutto dichiarato con uno spreco di stellette e cuoricini. In Habbo il linguaggio tende alla banalizzazione e scende spesso nella volgarità. Chi ha aperto la stanza che invita ragazze mette fuori dalla porta il cartello “Dai ragazze, voglio vedere in quante venite. preferibilmente po.rcheee”, se si presenta un maschio lo butta fuori. Il mondo Habbo sembra semplice, banale e non si capisce perché possa essere attrattivo, ma possono essere presenti contemporaneamente in rete qualche migliaio di persone e ci sono chat e forum che approfondiscono tematiche connesse all’utilizzo dei gadget di questo mondo virtuale. Gli avatar si vestono come per una festa in maschera e portano nomi come “apliberta” “alobalobaiea”, “Pusshi”, “Flygirlfran”, “PaZZa4EvEr” e presentandosi dicono frasi tipo: “o si è primi o si è migliori”, “che cosa vuoi di più? Un cornetto”, “tutti sono stati newbie, anche tu”, “vuoi dei soldi? C’è un marciapiede”. Qualche considerazione aggiuntiva merita di essere fatta per i social network tematici. Questi network, favoriti dalla piattaforma Ning42, creata nel 2005 a Palo Alto da Marc Andreessen e sviluppatasi con successo in Europa negli anni 2008-2009, presentano generalmente numeri limitati di aderenti e l’attività prevalente è lo scambio di opinioni in merito a temi specifici.
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http://badoo.com/. http://www.habbo.it/. 42 http://www.ning.com/. 41
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In questi network, il problema dell’identità non riveste particolare rilievo, o perché i componenti del gruppo si conoscono direttamente o indirettamente tutti (quantomeno a cluster) o l’aggregazione intorno a un tema o un obiettivo porta come conseguenza una veloce e temporanea familiarizzazione. I modelli sopra individuati, distinti tra loro principalmente per quanto riguarda le modalità con cui vengono definite le identità dei soggetti coinvolti, presentano anche notevoli differenze per quanto riguarda la composizione sociale (la popolazione che li abita), il successo che incontrano presso i giovani e l’influenza che esercitano sul sistema dei media più in generale. Dopo questa veloce panoramica generale sulle tipologie di social network, per quanto riguarda le successive considerazioni sui sistemi relazionali, mi sembra più opportuno concentrare l’attenzione su Facebook che è una realtà assolutamente trasversale alle età e al background socio-culturale e che presenta, dal punto di vista della composizione sociale, più di un aspetto di interesse. Per quanto riguarda gli altri modelli, mentre Linkedin ricalca per alcuni versi la trasversalità di Facebook decisamente più spostata verso l’età adulta e gli ambienti universitari, gli ambienti dedicati al gioco virtuale sono prevalentemente frequentati da una popolazione giovane (anche adolescenziale) e quelli dedicati agli incontri di persone attirano la fascia di età tra i 20 e i 30 anni con cluster intorno ai 40 e ai 50 anni. Diversamente dalla maggior parte dei social network o dei sistemi relazionali di rete che svolgono funzioni precise per obiettivi o per target, Facebook rappresenta la trasposizione nel mondo virtuale della rete delle molteplici dinamiche e interazioni tra mondi possibili che esistono nella società reale. L’unico filtro è dato dall’adozione, dalla pratica e dalla consuetudine all’uso delle tecnologie. Ed è quindi per questo che si presenta come l’ambiente di socializzazione che è stato più velocemente e facilmente colonizzato dalle giovani generazioni. Su Facebook si costruiscono e si ricostituiscono reti di amicizie, su Facebook si fa salotto, si compra e si vende, si ascolta musica, si guardano film e si sfogliano album di fotografie di famiglia e di viaggi, si prendono appuntamenti e si chatta. Anche i politici hanno scoperto Facebook e cercano di creare consenso su movimenti e candidature; su Facebook si possono promuovere movimenti d’opinione e circoli virtuali. Facebook sembra quindi essere diventato un modello flessibile e continuamente in trasformazione di relazioni e interazioni tra il mondo reale e il mondo virtuale. 3.4. Identità come comunicazione e narrazione In tutti questi ambienti il processo di formazione di un “io” da comunicare coincide con la definizione dell’ambiente entro cui collocarsi. Per molti ragazzi l’adesione o la costruzione di un network parte dalla condivisione di pezzi di realtà con chi già si conosce o si è appena conosciuto, anche se – occorre ribadirlo – il mondo reale e il mondo virtuale tendono a sovrapporsi.
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L’abilità di costruire un’identità e di vivere nel sistema virtuale è un’abilità narrativa. Lo stretto rapporto esistente tra costruzione del “sé” e capacità di interagire con gli altri attivando processi comunicativi è bene espresso da Silvano Tagliagambe: Questo itinerario, che conduce all’elaborazione del “Sé”, è assimilabile, senza forzature, all’idea di Dennett secondo la quale l’unità soggiacente della coscienza è un “centro di gravità” narrativa verso la quale converge la molteplicità descrittiva, che non è un fastidioso epifenomeno, una apparenza destinata a dileguarsi una volta raggiunto il punto di arrivo. Ciascun “io” si racconta e si recita, non fa altro che narrare e narrarsi interminabilmente una storia di se stesso nel mondo, si “mette in scena”, autorappresentandosi. In linea di massima, da questa rappresentazione, scaturisce una “identità”, relativamente stabile nel tempo e nelle diverse scene, frutto, appunto, del processo di selezione effettuato tra le “molteplici versioni disponibili”: ma un soggetto può anche assumere varie identità in situazioni diverse o, al limite, anche nella medesima. Ciò che chiamiamo “io”, da questo punto di vista, è il correlato interiore e soggettivo di questo “mettersi in scena”43.
Il flusso narrativo che si attiva nella profondità (peraltro, nel mondo della rete penso che la metafora spaziale più appropriata sia quella della superficie) della coscienza, acquista maggiore possibilità di realizzarsi nel mondo virtuale della relazione tecnologicamente mediata. Il canale comunicativo (il telefono, la mail, la connessione in rete all’interno di un sistema relazionale) libera la capacità di sviluppare una propria narrazione dell’io. Chi sceglie un canale e ci si trova a suo agio inizia a costruirsi come protagonista di una storia. Gli altri sono coprotagonisti o antagonisti che assumono progressivamente un ruolo più o meno definito in relazione alla capacità narrativa del soggetto o in relazione alla capacità del gruppo di favorire i processi di condivisione di immaginari. Il sistema relazionale si configura come un pensiero collettivo che sviluppa una costruzione dialogica della realtà, all’interno della quale la relazione con l’altro è strutturante: «Ciascun io, ovviamente, vive delle interazioni con gli altri e con l’ambiente in cui opera, queste interazioni entrano a far parte in modo non fittizio o artificioso della sua personalità, la “completano” e fanno sì che ciascuno viva in un rapporto di effettiva dipendenza nei confronti dell’altro»44. L’io è e non può non essere un sistema fondamentalmente aperto. Dall’interazione tra l’io e gli altri «si possono sviluppare forme di ragionamento distribuito in cui la comunicazione svolge un ruolo essenziale»45. Ma come si comunica e che cosa si comunica? Nei processi di interazione sociale dove un ruolo determinante è dato dalla messa a punto di processi di
43
Tagliagambe, Epistemologia del confine, cit., p. 178. Ibidem, p. 187. 45 Ibidem, p. 155. 44
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formazione e costituzione dell’identità, prendono avvio attività wiki dove si dipanano narrazioni convergenti originate in mondi diversi e paralleli. I contenuti utilizzati per costruire l’identità dei giovani e per costruire all’interno dei social network storie condivise sono elaborati a partire da più modelli relazionali (quello del gioco, dell’avventura, della relazione sentimentale) e utilizzano per lo più contenuti provenienti dai diversi ambienti delle tendenze e delle mode. Per capire la complessità del sistema relazionale (e la sua profonda immersione in un universo narrativo immaginario, composto come patchwork unendo immaginari diversi del passato e del presente) riprendo un articolo comparso su «Sette», inserto settimanale del «Corriere della Sera», nel settembre 2010, che racconta dell’elezione di una miss “che viene” dalla rete. Scettro e diadema, sul podio della provocazione: sono le scene queen in lizza per la finalissima nel club milanese Le Quinte, dell’evento “After Skull”. Sono le reginette “emo”, tribù neo-alternativa che – nel panorama underground – sta conquistando i giovani. [...] stiamo parlando di una tendenza che va oltre il modo di vestire. E che incombe sui figli quando uno meno se lo aspetta. “Le regine della scena” – l’espressione più vistosa della generazione “emo”, che fonde look eccentrico e pose neo-dark da teen-ager depressi – spiccano per la cura quasi maniacale dell’immagine. Lunghi capelli ultra lisci – biondo platino, rosa fragola o con ciocche multicolori – trucco sensuale, vezzosi fermagli e accessori di ogni tipo. Il guardaroba mescola capi da groupie (le ragazze che accompagnavano le rockstar) anni ’80 – leggings, mini, collant smagliati, zeppe vertiginose – sdrammatizzati con un tocco d’ingenuità: sia il peluche o l’occhialone da nerd, lo stivale modello Yeti o la treccina innocente. Insomma: se vostra figlia somiglia a un ibrido tra la Madonna di Cercasi Susan disperatamente e una bambola Winx, è molto probabile che sia proprio una scene queen. Sexy lolita formato social network? Non è questo: se la seduzione è parte del gioco, tutto si riduce – il più delle volte – al piacere del travestimento. Modelle controcorrente, a caccia di consensi tra i coetanei: a scuola e nei luoghi dello struscio, in discoteca e sul Web. Avatar di se stesse, in un certo senso, vuoi per il gusto dello sdoppiamento, vuoi per scivolare con nonchalance da un’identità all’altra. Oggi strega, domani Cappuccetto Rosso con un’unica regola: farsi notare. Alla finale del concorso, a Milano, otto erano le concorrenti, selezionate nelle varie tappe regionali: Ellie Rapent, Enid Raven, Putty Smile, Mara Carrion, Nemi Core, Lu The Riddle, Kleo Odd, Dynamic Pussycat. [...] È toccato a una “commissione” di web-celebrity, cliccatissime sui siti di riferimento, assegnare l’ambita fascia tricolore. A indossarla, alla fine, è stata Ellie Rapent – 16 anni, meneghina – dai lunghi capelli platino, lisci all’inverosimile: un po’ parrucca, un po’ rockeuse anni Ottanta. Fascino ambiguo – grandi occhi da cerbiatta e mimica sensuale – difficile da etichettare. Ed è ancora più sfuggente il suo identikit sul social network di riferimento, Netlog, che conta 3.800 contatti e 35mila visitatori: dall’onirico (elfi, farfalle) al pulp (l’immagine di un cuore sanguinante). Biografia lapidaria, con sferzata ai detrattori che la bollano come “just a human case”, ovvero un caso umano. «Chi lo dice», annota piccata, e in modo quasi infantile, la neo-miss, «sa di esserlo cento volte più degli altri». [...] A dettare lo stile, come sempre, sono i social network: Netlog, Facebook, Myspace, Buzznet. Dall’olimpo digitale al sottobosco underground, la scene queen
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rivoluziona l’estetica: angelica e luciferina. L’importante è che sia fuori dai canoni. [...] Niente accapigliamenti o graffi ferini, nonostante la tempra esplosiva: sì, perché l’emo-girl non teme gli eccessi. Noncurante delle critiche, sfoggia ciocche fluorescenti, collant smagliati, piercing e tatuaggi. Silfide sexy-noir e icona di ambiguità: un po’ maliarda, un po’ cartoon. Trasformista dell’immagine, oggi peluche domani dark lady. Modella sopra le righe, in posa sul Web: défilé virtuale, book fotografico, community adorante. [...] Diva per caso, 37mila amici su Netlog, oltre 500mila visitatori, ammette: «Mi sono iscritta due anni fa e il successo è stato casuale, forse piaccio perché non sono il clone di nessuno». Inviti come ospite televisiva, sfilate e una linea di abbigliamento tutta sua: «Il ricavato andrà al Wwf per la salvaguardia degli oranghi». Camaleontica – rosa shocking o total black – spazia dal (quasi) fetish all’eleganza anni ’50. Il suo mito? «Coco Chanel». E sulle fogge iperboliche di molte adolescenti avverte: «L’esibizionismo può essere un modo per nascondere l’insicurezza»46.
La comunicazione, la parola gestita dai media e distribuita in rete, l’interazione tra mondo della realtà e universo virtuale della comunicazione sono i canali privilegiati per la costruzione dell’identità di una popolazione giovanile che – è opportuno ripeterlo – si colloca sempre più in un rapporto asimmetrico con la società degli adulti. Anche se, una analoga spaccatura la si avvertiva negli anni settanta, come recita, a proposito della trasposizione del valore dall’oggetto al segno, un vecchio testo di Jean Baudrillard sul consumo nella società dei media avanzati47. «La circolazione, l’acquisto, la vendita l’appropriazione di beni e oggetti/segni differenziati costituiscono oggi il nostro linguaggio, il nostro codice, per cui l’intera società comunica e si parla. Questa è la struttura del consumo, la sua lingua rispetto alla quale i bisogni e i godimenti individuali non sono che effetti di parola». Il rapporto con gli oggetti (di produzione e di consumo) si sposta lungo il percorso tracciato dalle attività di comunicazione. Dalla relazione diretta con gli oggetti e con la realtà, la produzione e il consumo dei contenuti culturali si sposta nella dimensione virtuale: «[...] l’uomo-consumatore si sente investito del dovere di gioire, si considera come un’impresa di godimento e di soddisfazione. Ha il dovere di essere felice, innamorato, adulante/adulato, seducente/sedotto, impegnato, euforico e dinamico. È il principio di massimalizzazione dell’esistenza, attraverso la moltiplicazione dei contatti, delle relazioni, mediante l’uso intensivo dei segni, degli oggetti, tramite lo sfruttamento sistematico di tutte le virtualità del godimento». 3.5. Finzione e inganno: le regole del gioco La costruzione e la messa in evidenza dell’identità è soggetta alle finalità
46 M.E. Fiaschetti, Se vostra figlia diventa una Scene Queen, in «Sette», inserto settimanale di «La Repubblica», 8 settembre 2010. 47 J. Baudrillard, La società dei consumi, Il Mulino, Bologna 1976, p. 101.
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del sistema relazionale e all’equilibrio tra domanda e offerta (sono più interessato io a entrare nel sistema relazionale o è più interessato il network ad avermi al suo interno?). Le procedure per entrare in contatto con altri in Linkedin sono più articolate e attente alle garanzie della privacy, in Habbo basta invece avvicinarsi a un avatar ed esprimere richiesta di amicizia. Si può venire ignorati o si può vedere accettata la propria proposta. Come avviene nella realtà, solamente che ciò avviene attraverso lo schermo di un avatar che filtra l’ansia del contatto reale. Anche nel mondo virtuale, ad ogni modo, ci si deve misurare con la scoperta delle caratteristiche degli altri, dei diversi interessi e dei diversi comportamenti e delle regole che disciplinano l’ambiente entro si cui si muove, delle regole che la società reale impone ai sistemi di comunicazione e di interazione, della cultura del gruppo, dei modelli di vita ecc. In realtà il gioco dell’identità si sviluppa su più piani, quello virtuale costruito sulla coerenza in rete del sistema relazionale (l’architettura dei processi comunicativi, le regole del gioco, la sintonia con l’immaginario sociale, le potenzialità di transfert emotivo nel sistema), quello reale che costituisce il fondamento di possibilità del mondo virtuale e i diversi livelli intermedi. La socializzazione che viene prodotta con le tecnologie di networking è virtuale; ma si fonda sul fatto che la socializzazione reale è possibile e non è anonima. Perché si stabilisce tra portatori di identità reali oltre che immaginarie. La principale legge che regolamenta i sistemi di network è espressa dalla Risoluzione sulla tutela della privacy nei servizi di social network48, che garantisce alle persone pieno rispetto nella trattazione dei dati personali sensibili. Particolare attenzione viene data alla tutela della popolazione giovanile ed è opportuno segnalare a questo riguardo l’accordo preso tra 17 fornitori di piattaforme di social network per far fronte comune ai rischi potenziali cui possono incorrere i minori. In ragione di questo accordo, per esempio, l’accesso a Facebook, è proibito ai minori di 13 anni. Chi si accosta alla rete ha quindi consapevolezza di muoversi all’interno di un sistema di regole (la percezione di muoversi in un contesto socialmente situato) che ci impone di valutare volta per volta quale identità costruire, se reale o virtuale, se vera o immaginaria o fantastica. Anche se il garante della privacy suggerisce di impiegare pseudonimi, nei social network professionali è forse preferibile inserire identità e dati reali perché aumenta i vantaggi offerti dal riconoscimento reale e anche perché le informazioni e i fatti non veritieri possono essere facilmente smascherati. Negli ambienti di gioco o nell’esplorazione di nuove amicizie ci si può divertire a costruire identità fittizie. Anzi, in molti casi vengono scoraggiati e impediti i riferimenti reali: Hab-
48
Si può leggere all’indirizzo http://www.dirittodellinformatica.it/normativa/ privacy-e-sicurezza/risoluzione-tutela-privacy-servizi-social-network-20081031276. html.
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bo automaticamente censura tutte le informazioni in merito all’età e alla provenienza. In ragione dei contesti e degli obiettivi, il gioco delle identità diventa un gioco affascinante come anche pericoloso. Ci possono anche essere gli inganni e le trappole: adulti che si fingono bambini, giovani che si dichiarano adulti, uomini donne e donne uomini. In questa dimensione virtuale e narrativa svaporano i confini tra lecito e illecito, scompaiono talvolta i termini di paragone tra la morale e la legge della società reale e la morale e le regole del mondo virtuale. L’affermazione di sé spesso non prende minimante in considerazione i diritti degli altri, la società che si costruisce sulla rete è una socialità da reinventare. In questo contesto vengono trasferiti in rete i problemi e le complicazioni psicologiche del mondo reale: sopraffazione, bullismo, arroganza, provocazione ecc. L’utilizzo abituale di cellulare e rete crea una sorta di zona virtuale franca, di cui i giovani non percepiscono con chiarezza i confini. Per molti giovani c’è l’illusione che entrare in rete voglia dire abbandonare la realtà quotidiana (noiosa, squallida e opprimente) ed entrare in una terra di nessuno, non coinvolta dalle leggi e dalle regole sociali che vigono nella realtà del mondo adulto. Negli USA si valuta che almeno il 20-30% di ragazzi e ragazzine tra i 13 e i 19 anni si siano scambiati immagini sexy (il sexting). Inviare immagini di sé e dei conoscenti è parte della trama narrativa, serve a cercare consenso e ammirazione, è una azione che vuole creare interesse, provocare, violare i confini del lecito, esplorare l’ambiente della sessualità attraverso una modalità che si percepisce irreale, non pericolosa. Quasi a conferma che le regole del gioco non sono (solo?) quelle della società civile, il sistema dei social network cerca di caratterizzarsi attraverso sistemi di regole proprie. La struttura stessa della piattaforma costituisce un vincolo comunicativo: la scelta di accessi liberi e accessi a pagamento canalizza da subito i flussi dei partecipanti e seleziona le tipologie di utenti. Linkedin fa pagare per poter spedire direttamente una mail alle persone che si vuole contattare, Badoo fa pagare per l’accesso alle informazioni di alcuni utenti. Molti social network stabiliscono regole per l’accettazione delle richieste di iscrizione, altri regolamentano le modalità delle interazioni e dei dialoghi tra partecipanti. Anche gli iscritti ai social network, appena possono, introducono regole per disciplinare il flusso di relazioni e gli accessi degli altri al proprio gruppo. In Habbo, l’accesso in molte stanze è regolamentato in base agli interessi dichiarati dell’inquilino: un maschio apre una stanza per incontrare solo donne, se entrano uomini li espelle. Così come (sempre in Habbo) alcune procedure di default inibiscono alcune informazioni. Da un dialogo registrato: – Come ti chiami jay jay 95. – Ciao. Che cosa fai qui nnnkq.rs. è molto che sei qui? (censura)
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– Quanti anni hai (censura) – Sono appena entrato che cosa si fa? – Non so. Si parla si parla, si gira si gira. – (sei stato espulso)
Da una parte le regole fanno parte della struttura narrativa che ciascuno vuole impostare, dall’altra occorre prendere atto che in rete ci sono gruppi e gruppi e che non tutti sono amici (come avviene, per altro, nella realtà delle cose). Ma qual è il rapporto tra quelli che stiamo individuando come mondi diversi (paralleli, contrapposti e antagonisti, integrati e integranti)? 4. a proposito della rete: mondo reale vs mondo virtuale 4.1. Virtuale come occultamento del reale? Il tema del virtuale nasce parecchi anni fa (la storia dei media del Novecento è un continuo portare oltre il confine della realtà la produzione e lo scambio di contenuti ed emozioni), ma diventa quasi concreto con la nascita della rete. Riporto in apertura un breve episodio ripreso da Rheingold quando raccontava, nel 1993 in Comunità virtuali, le prime esperienze di dialogo con «amici invisibili che, sembrerebbe, dimorano nel mio computer»: [...] tre mesi dopo essere entrato a far parte del WELL, andai alla festa di un moderatore di dibattiti telematici. Entrando nella stanza piena di persone con le quali c’erano stati molti colloqui confidenziali, mi guardavo intorno e non vedevo che visi sconosciuti. Fu una delle sensazioni più strane della mia vita. Con quelle persone avevo discusso, preso il caffè (virtuale) insieme facendo quattro chiacchiere, condiviso schieramenti e costituito legami, con loro mi ero anche rotolato per terra dalle risate, con alcuni mi ero preso anche solenni arrabbiature. Eppure in quel salotto non c’era una sola faccia riconoscibile. Non li avevo mai visti prima49.
Trovo questo racconto espressione puntuale ed efficace dello stato d’animo e della posizione degli adulti digitalmente colti nei confronti di una tecnologia in cui sostanzialmente non si identificano. Non per nulla nelle pagine conclusive, Rheingold cita Debord50 lamentando la perdita dell’“agorà” o di luoghi concreti di comunità reali e si rifà alle analisi di Baudrillard51 per sollevare il problema dell’“occultamento dell’assenza della realtà”, ossia la realtà
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H. Rheingold, Comunità virtuali, Sperling & Kupfer, Milano 1994, p. 3. G. Debord, La società dello spettacolo, Baldini & Castoldi, Milano 1997. 51 Il volume citato di Jean Baudrillard è All’ombra delle maggioranze silenziose, ovvero la morte del sociale (Cappelli, Bologna 1985), più radicale è la posizione di Baudrillard nel breve saggio Violenza del virtuale e realtà integrale (Le Monnier, Firenze 2005). 50
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scompare e i media riescono a mettere gli uomini nella condizione di non sentirne la mancanza. La posizione di Baudrillard in merito a questo cambiamento di paradigma, così valutava l’occultamento del reale messo in atto dal carattere illusorio delle tecnologie: I membri delle comunità virtuali, per la natura stessa del mezzo di comunicazione, pagano la possibilità di comunicare tra loro con incessanti dubbi sulla realtà della cultura telematica. L’iperreale comincia nel momento in cui ci si dimentica che il telefono dà solo l’illusione di essere vicini a un’altra persona e che la teleconferenza dà solo l’illusione di una riunione del consiglio comunale. Il guaio comincia quando si trascura l’aspetto illusorio. Più la tecnologia rende realistiche le illusioni, come ci si aspetta dalla Rete nei prossimi 10-30 anni, più diventa acuta la necessità di mettere continuamente in discussione la realtà52.
È qui evidenziato un altro degli aspetti e delle ragioni per cui parlavo all’inizio di asimmetria culturale. Il rapporto tra reale e virtuale è profondamente diverso nelle due generazioni. Molti degli adulti di oggi si riconoscono nelle considerazioni dei tre autori prima citati, che appartengono peraltro a una linea pessimista (non tutti allo stesso modo) dell’evoluzione tecnologica. Per un giovane oggi la dimensione virtuale della rete è altrettanto concreta ed emotivamente densa di significati che la realtà definita dagli spazi fisici. Nel reportage della finalissima per l’elezione delle reginette “emo” viene registrato un continuo passaggio tra la dimensione concreta della presenza sul palco, davanti alla giuria, davanti ai fotografi e la dimensione virtuale della rete che ha dato vita e reso possibile la costruzione dell’immaginario e delle relazioni tra le queen e i fan. Un nativo della rete entra ed esce dal virtuale e dal reale lasciando sbigottiti gli adulti, come capita sempre più frequentemente nei film di fantascienza a chi viaggia nella dimensione del tempo. Una visione più complessa (forse eccessivamente concettuale) della cultura di rete, che mette in luce anche aspetti non prima considerati, è stata tracciata sempre in quegli anni da Pierre Lévy. Lévy parla del virtuale come di una dimensione ontologica, che consente la «trasformazione da una modalità dell’essere a un’altra». Non bisogna farsi ingannare dalle tecnologie e attribuire loro chissà quale importanza. Entrare in una dimensione virtuale (la virtualizzazione) significa [...] elevare a potenza l’entità considerata. La virtualizzazione non è una de-realizzazione (la trasformazione di una realtà in un insieme di possibili), ma un cambiamento di identità, uno spostamento del centro di gravità ontologico dell’oggetto in questione: anziché definirsi fondamentalmente attraverso la sua attualità (“una soluzione”), l’entità trova ora la propria consistenza essenziale in un campo problemati-
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Rheingold, Comunità virtuali, cit., p. 331.
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co. Virtualizzare una qualsiasi entità consiste nello scoprire una problematica generale a cui essa si rapporta, nel far evolvere l’entità in direzione di questa domanda e nel ridefinire l’attualità di partenza come risposta a una precisa richiesta53.
Lévy affronta il problema della virtualizzazione in tutti i campi del sociale, dall’economia alla scrittura, all’interazione fisica con l’ambiente, ma il punto nodale ritiene che sia la virtualizzazione delle intelligenze, il passaggio a una dimensione virtuale e collettiva dei sistemi di pensiero individuali. Allorché sarà affrontato il problema complesso del collettivo, ossia “come coordinare le intelligenze affinché insieme si potenzino, invece di annullarsi”, Lévy ritiene che si possa compiutamente parlare della virtualizzazione come «privazione della sostanza, che si declina in trasformazioni a essa legate: la deterritorializzazione, l’effetto Moebius, che dispone l’incessante rovesciamento dell’interno e dell’esterno, la condivisione di elementi privati e l’integrazione soggettiva inversa di elementi pubblici»54. 4.2. La realtà virtuale della rete Ritorna in queste parole il richiamo al confine (vedi il nastro di Moebius, il nastro con una sola superficie e un solo bordo), il dimorare cioè in un territorio di passaggio che non si identifica mai compiutamente con una delle parti. Anche Tagliagambe sembra indicare questa come la corretta chiave di lettura per comprendere la trasformazione culturale in atto: [...] anziché puntare a realizzare ex novo un ciberspazio completo e delimitato, giustapposto alla realtà quotidiana e separato rispetto a essa, nel quale trasferire le persone, si procede a integrare senza strappi la realtà virtuale in quella fisica e a calarla nel contesto usuale in cui queste persone vivono e operano, facendone una parte di questo contesto, in grado di interagire con esso. Le proprietà sulle quali si deve agire a tale scopo sono soprattutto, le seguenti: ricchezza, connettività, persistenza e interazione diretta55.
E a seguire Tagliagambe entra direttamente nel merito delle caratteristiche proprie del mondo della rete con una capacità intuitiva che le esperienze e le tendenze in atto in questo ultimo decennio non hanno fatto che confermare: La prima si riferisce all’esperienza che il fruitore ha degli oggetti dal punto di vista sia della percezione, sia del loro significato pratico ed emozionale. Potenziamento significa, in questo caso, intensificare queste proprietà e la capacità dell’oggetto di sostenere le attività umane o di immagazzinare le informazioni.
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P. Lévy, Il virtuale, Raffaello Cortina, Milano 1997, p. 8. Ibidem, p. 127. 55 Tagliagambe, Epistemologia del confine, cit., p. 302. 54
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La connettività fa invece riferimento alla possibilità che un oggetto qualsiasi ha di interagire con altri del suo ambiente, di influenzarli e di esserne modificato, ponendosi con essi in una interazione cooperativa, a supporto di una data attività, sostenuta da reti di informazioni virtuali che diano corso a “percorsi logici” tra gli oggetti dove in precedenza non ne esisteva nessuno. La persistenza ha a che fare con la capacità, di cui gli oggetti vengono forniti, di immagazzinare e utilizzare informazioni storiche e contingenti sul loro funzionamento, sui compiti da attuare, sulle interazioni con l’utente, in modo da migliorare, attraverso questa memoria persistente, l’efficienza e l’efficacia delle loro prestazioni. Infine l’interazione diretta è in relazione all’esigenza, cui gli oggetti potenziati devono saper rispondere di compiere operazioni e affrontare e risolvere relazioni reciproche senza richiedere la mediazione e l’intervento del fruitore56.
In queste parole di Tagliagambe, conclusive al suo volume che cerca di cogliere le più significative trasformazioni che si stanno verificando nella nostra percezione della realtà, le caratteristiche con cui si sta definendo il ciberspazio o mondo della rete sono quelle di una forte integrazione tra l’esistenza concreta delle persone e la nuova realtà virtuale. Una compenetrazione che si realizza senza particolari traumi e che può far prevedere nuovi interessanti sviluppi. È (forse) quindi necessario affrontare con nuova attenzione e nuove prospettive culturali il rapporto tra mondo reale, quello dei rapporti fisici tra le persone, e la dimensione comunicativa resa possibile dalle nuove tecnologie di rete. Quello che emerge dalle riflessioni sopra citate è che non si tratta solo dell’attivazione di strumenti che suppliscono alla distanza (vedi la lettura di Baudrillard) ma dell’apertura di una nuova dimensione di intelligenza collettiva che si attiva a partire da connessioni molteplici, da un aumento della disponibilità di informazioni, da una continua connettività di sistema e dalla consapevolezza (per riprendere il discorso di Goffman sull’interazione) di essere “socialmente situati”. In una ricerca di fine 2009 (Social Isolation e New Technology), realizzata dalla Pew Internet & American Life Project – una società non profit e apartitica che fornisce informazioni sulle attitudini e i trend negli Stati Uniti e nel resto del mondo – emerge come chi utilizza le community abbia maggiori possibilità di intrecciare relazioni sociali rispetto agli altri e che, in ogni caso, preferisca stabilire con amici e conoscenti relazioni dirette, faccia a faccia57. Smentendo il luogo comune di molti adulti che descrivono i giovani appassionati di computer come complessati adolescenti isolati. Il campione d’analisi comprende più di 3mila cittadini americani adulti. I risultati
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Ibidem, pp. 302-303. Una ricerca con analoghi risultati è quella condotta da Keith Hampton e Barry Wellman su una piccola comunità locale a Netville (USA) nel 2003: Neighboring in Netville: How the Internet Supports Community and Social Capital in a Wired Suburb, in «City & Community», n. 2(4), December 2003, p. 277. 57
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parlano chiaro. Il volume dei rapporti sociali è in media più alto del 9% tra chi frequenta siti di “sharing” o utilizza la posta elettronica rispetto al pubblico “log out”. I contatti sono più numerosi e diversificati. Il 55% dei “cybernauti” intervistati parla di questioni importanti con persone extra-familiari contro il 45% degli off line. Un altro dato è interessante, riguarda il Photo Sharing: quelli che condividono foto hanno il 61% di chance in più rispetto alla media di confrontarsi con interlocutori con interessi politici differenti. La vita si fa più viva anche fuori dalla Rete: gli internauti sono più inclini del 45% a frequentare bar, del 69% a mangiare in un ristorante e del 42% a fare una passeggiata in un parco pubblico. Sono maggiormente coinvolti nel volontariato su base locale, nei gruppi giovanili e nelle organizzazioni benefiche. L’analisi del professore Keith Hampton – autore del rapporto e docente della Annenberg School for Communication – sembra sposare quella visione “integrata” della comunicazione che vede nei new media nuove opportunità di confronto e relazione per l’uomo58.
4.3. La fuga dal reale. Mondi virtuali e bisogni di cambiamento L’intensificarsi delle relazioni, la ricchezza di informazioni e la scarsa percezione dei confini tra le diverse dimensioni dell’esperienza costituiscono spesso uno stimolo per leggere la propria vita quotidiana sotto nuove prospettive. Come spesso succede, la novità è opportunità e rischio insieme. Nelle fasi di cambiamento di paradigma, si irrigidisce la difesa delle posizioni precedenti, si adottano norme per limitare gli accessi ai nuovi canali di informazione e di apertura sociale (proibizione della lettura, proibizione di internet, proibizione di vedere gli amici ecc). Le forze che si attivano e si contrappongono sono spesso riconducibili alla dialettica evidenziata da Lasch59, da una parte la difesa di un consolidamento di un “territorio”, di una provincia, di uno spazio culturale preesistente (magari denso di significati o abitudini stratificate), dall’altra l’attrazione di nuovi mondi sconosciuti, una spinta al movimento, una mentalità al confronto di gusti diversi, una tendenza all’assaggio, al “turismo”, visto come dimensione orizzontale e piatta dello scambio e del passaggio. In questo senso, virtuale viene ad acquistare il sapore di fuga dalla realtà. Il virtuale è un mondo da navigare che si presenta come una finestra aperta sul possibile, un po’ come la finestra di Peter Pan o il mondo dei balocchi di Pinocchio. Uno spazio per l’immaginario e per la fantasia. È una ambivalenza che non può essere eliminata. C’è infatti un virtuale come altro reale possibile, come evasione dal reale opprimente e c’è un virtuale come spazio di fantasia, come immaginario, narrazione, invenzione, costruzione di nuovi reali possibili.
58 Blog di David De Angelis, http://www.cultur-e.it/blog/index.php (24 novembre 2009). 59 Vedi Lasch, La ribellione delle élite, cit.
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Per esemplificare il primo, mi sembra interessante e istruttivo riprendere alcuni stralci da un articolo di Giusi Fasano sul «Corriere della Sera» del 9 settembre 2010 in merito a un fatto di cronaca. La realtà è di fatto drammatica: una ragazza scompare e non si trova. I genitori non riescono a capire dove possa essere; sono coinvolte le forze dell’ordine. Gli scenari sono tutti aperti: rapimento, uccisione, fuga. Sullo sfondo c’è un rapporto ambiguo della ragazza con il mondo della rete, con il sistema di relazioni in cui si era calata. Sarah l’aveva promesso al suo futuro: «Scapperò da questo posto». Della vita ad Avetrana non sapeva che farsene. I suoi quindici anni, qui, le sembravano sprecati. Di queste case basse, di questo cielo di provincia, di queste strade dove non arriva nemmeno l’odore del mare, non ne poteva più. Non erano soltanto i sogni di un’adolescente, non solo fantasie. Semmai un’ossessione, un pensiero ostinato che non la mollava mai. [...] «Chissà quale foto sceglieranno per le ricerche...» aveva confidato Sarah a una cugina della sua età. Come se il suo progetto fosse ormai messo a punto. Lo racconta la stessa ragazzina in un verbale e tracce della «pianificazione» di una fuga sarebbero anche fra gli ottanta messaggi di Facebook sui quali i carabinieri del Ros si sono concentrati in queste ultime ore. Sono «post» pubblicati su internet negli ultimi 3-4 giorni prima del 26 agosto, la data della scomparsa. E corrispondono a utenti ai quali si può risalire soltanto con la collaborazione (concessa) di Google. Già oggi in Procura ne sapranno di più. Ogni messaggio è un contatto con qualcuno che per Sarah Scazzi era soprattutto un contatto con il mondo «fuori» da Avetrana oppure un modo per capire e sapere di più su un’eventuale vita altrove, per esempio Milano o Roma. Prendi il caso di Antonio, 31 anni, di Mottola, una manciata di chilometri da Avetrana. Lui racconta che fu Sarah a stabilire il contatto mentendo sull’età («ho vent’anni»), che si parlarono per due giorni via messaggi dopodiché lui le chiese di mostrarsi attraverso la webcam. Era luglio. E Sarah ancora una volta, come già aveva fatto in mille occasioni, disse al suo nuovo amico-sconosciuto che voleva «scomparire», «scappare». Che per l’occasione avrebbe tagliato e tinto i suoi lunghi capelli biondi. Si mostrò molto interessata, racconta Antonio, quando in una delle video-chat lui gli parlò dei suoi viaggi a Milano, delle possibilità di studiare e vivere lì, dove già vive il suo amatissimo fratello Claudio. In una delle conversazioni on line si sarebbe spinta a dire: «Ho programmato le cose, tornerò dopo venti giorni, voglio diventare famosa». Un’idea fissa, quella di Sarah. [...] La domanda è: chi era davvero Sarah? E qualche dettaglio fra quello che si sa e quello che si dice già non torna. Per esempio c’è una netta differenza fra la ragazzetta imbranata che usa internet soltanto se qualcuno la guida passo passo (come dicono le amiche che hanno aperto per lei i profili in Rete) e la quindicenne che si spaccia per ventenne e chatta da smanettona navigata con la webcam. Un solo particolare resta univoco, certo: voleva andarsene via60.
Quando le situazioni diventano drammatiche, risulta difficile mantenere un atteggiamento neutro, da osservatore esterno. Ritengo però importante
60
Dall’articolo di G. Fasano, Taranto. La ragazza sparita e i contatti nella rete, in «Corriere della Sera», 9 settembre 2010.
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comprendere il profondo cambiamento in atto, legato alle tecnologie di rete, che sta modificando il rapporto delle persone con il territorio. 4.4. Realtà virtuale e mutamento di paradigma in merito al concetto di comunità Yochai Benkler si interroga sull’influsso di internet sui legami familiari e così si risponde: La seconda risposta è teorica e contesta l’idea che l’individuo inserito in una società sia una entità immobile, i cui bisogni non cambiano e possono essere soddisfatti mutando le condizioni e le relazioni sociale. Credo piuttosto che la “natura” degli individui cambi con il tempo e si fondi sulle pratiche sociali reali. Stiamo quindi assistendo allo spostamento di individui dipendenti da relazioni sociali dominate dalle relazioni locali, compatte, immediate, definite e stabili, verso individui in rete, dipendenti soprattutto dalla propria specifica combinazione di legami forti e tenui, individui che si spostano da un network all’altro, attraversano le frontiere e tessono da sé la propria tela di relazioni fluide e più o meno strumentali. Manuel Castells la chiama “società in rete”, Barry Wellman “individualismo in rete”. Semplificando molto, non è che le persone cessino di dipendere dagli altri e dal contesto per il loro benessere psicologico e sociale e l’efficacia delle proprie azioni. Ma il tipo di relazioni attraverso cui soddisfiamo i bisogni di socialità cambia nel tempo. Paragonare le pratiche attuali con le vecchie forme di comunità, oppure temerne la perdita, sono forme di nostalgia più che diagnosi di malessere sociale reale61.
Esiste una stretta correlazione tra modalità di essere e modalità di comunicare. Le forme di comunicazione ci modificano specialmente nel nostro comportamento sociale e nel modo in cui cerchiamo di soddisfare i nostri bisogni di relazione. Noi siamo quelli che siamo perché ci impegniamo nelle forme di comunicazione alle quali siamo stati indotti fin da bambini [...] le persone che vivono nelle varie culture e nelle varie epoche storiche non solo comunicano diversamente ma fanno anche esperienza di diversi modi dell’essere umano perché comunicano diversamente62.
Sempre da Yochai Benkler prendo una citazione che sposta il discorso su un’altra dimensione della virtualità di rete: la dimensione delle pratiche di condivisione e di collaborazione. I processi di produzione orizzontale [...] rappresentano un tipo di relazione non gerarchica e organizzata secondo schemi radicalmente decentrati. La loro valenza sociale è data dalla combinazione dell’esperienza condivisa di creatività collettiva che
61 62
Benkler, La ricchezza della rete, cit., p. 458. B.W. Pearce, Comunicazione e condizione umana, Franco Angeli, Milano 1993, p.
43.
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rende possibile dare agli utenti uno scopo comune e offre a loro la possibilità di supportarsi a vicenda per raggiungerlo. Gli individui adottano progetti e obiettivi che credono valga la pena di perseguire63.
5. cerco amici, anzi compagni, anzi... 5.1. Gruppi e comunità Abbiamo toccato in molti punti il tema della qualità delle relazioni che intercorrono all’interno dei diversi modelli di interazione sviluppate attraverso le tecnologie di comunicazione e di rete. Abbiamo visto come le caratteristiche e le finalità delle community determinano anche le modalità di aggregazione delle persone. La più significativa differenziazione intercorre tra le piattaforme di social network tipo Facebook, Linkedin, Netlog, che sono viste come piazze virtuali aperte all’interno delle quali si sviluppano e si intrecciano reti di relazioni e community circoscritte e le community tematiche o locali che si muovono in modo finalizzato intorno a temi specifici (di studio, di gioco, di welfare locale, di politica ecc.). Per meglio comprendere le dinamiche che si sviluppano tra i partecipanti ai network, seguendo le indicazioni di Elvis Mazzoni64 è opportuno anche distinguere tra gruppi e comunità. «Gruppo è un insieme di individui che interagiscono tra di loro influenzandosi reciprocamente e che condividono consapevolmente interessi, scopi, caratteristiche e norme comportamentali»65. Gruppo è sempre qualcosa di più dell’insieme dei suoi membri. L’influenza reciproca, l’interdipendenza, la totalità dinamica presenti in un gruppo risultano marginali per l’esistenza di una comunità. Le dimensioni hanno una importanza fondamentale: «è molto probabile che in un gruppo formato da 5 membri che collaborano per produrre un progetto, ogni partecipante abbia uno scambio diretto con ogni altro partecipante, mentre all’interno di una comunità di 50 soggetti è molto difficile che si realizzi per ciascuno di essi, uno scambio diretto con gli altri 49 partecipanti»66. Una comunità virtuale che si costituisce in rete e che attiva scambi comunicativi e dinamiche relazionali può avere al suo interno più gruppi che interagiscono e si influenzano. Ognuno di questi gruppi definisce un suo territorio e un suo linguaggio. Mazzoni precisa infatti: «un primo dubbio da dissipare è l’idea che lo spazio resti un concetto alquanto evanescente negli 63
Benkler, La ricchezza della rete, cit., p. 473. E. Mazzoni, Reti sociali e reti virtuali: la Social Network Analysis applicata alle interazioni su web, in A. Salvini (a cura di), Analisi delle Reti sociali, Franco Angeli, Milano 2007, p. 387. 65 Ibidem. 66 Ibidem, pp. 387-388. 64
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ambienti virtuali: la mancanza di “confini” fisici in rete è controbilanciata da diritti di accesso (codici, password, inserimenti di dati personali, ecc.) e regole di comportamento (netiquette) talmente stringenti da chiarire in maniera piuttosto evidente i confini di una comunità virtuale. Lo schermo del computer e il layout degli strumenti di interazione adottati fanno poi il resto e delimitano geograficamente lo spazio di una comunità virtuale»67. Una comunità si definisce in ragione di uno spazio, di un interesse e di un senso di appartenenza che unisce i molteplici componenti. Ma quali sono le ragioni che spingono una persona ad aggregarsi ad altri e come si esprimono le dinamiche tra i diversi soggetti? 5.2. Che cosa ci si aspetta dalla rete? Ha avuto recentemente molto successo in rete una lettura dei social network realizzata da David Armano68 che descrive le dinamiche aggregative delle persone nei social network; punto di arrivo della sua analisi è che «la tecnologia non ci rende sociali, ma influenza il nostro comportamento». Lo studio non è particolarmente approfondito, ma è significativo perché esprime il pensiero condiviso che le dinamiche di aggregazione sociali sono sostanzialmente le stesse da secoli, ovvero gli uomini si riuniscono in gruppi e si aggregano per le stesse ragioni da quando sono comparsi sulla terra e se qualcosa cambia è legato alle modalità e agli strumenti di mediazione adottati. Che cosa ci spinge gli uni verso gli altri e che cosa ci rende più propensi ad avvicinarci a uno piuttosto che a un altro? Le dinamiche che ci motivano all’aggregazione sono abbastanza semplici e fanno riferimento a bisogni elementari della persona espressi secondo le modalità culturali del contesto in cui vive: – le relazioni tra i sessi, l’esplorazione, la ricerca, il mantenimento in vita del rapporto; – i legami familiari; – l’attivazione di meccanismi di gioco, lo sport, la competizione; – le attività lavorative e professionali, la ricerca, il miglioramento, il mantenimento; – le attività formative ai diversi livelli; – gli interessi personali, gli hobby, la cultura, la musica, il divertimento; – l’esplorazione di nuovi ambienti, i viaggi, il turismo. I meccanismi che ci spingono a inserirci in una rete di relazioni, a mantenerla e a espanderla sono gli stessi sia che ci si muova nel mondo reale che nel mondo virtuale: il carattere, le occasioni, la cultura dell’ambiente. Quello che
67
Ibidem, p. 388. The Micro-sociology of Social Network, realizzata da David Armano, VP Experience Design di CriticalMass, e pubblicata sul suo blog “Logic + Emotion”. 68
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forse vuol dire David Armano è che l’ambiente virtuale della rete facilita e rende più agevole stabilire connessioni ed esplorazioni di gruppi sociali diversi da quello originario. Ma forse non troppo. Sono stati fatti molti studi sulle motivazioni che vengono date per l’utilizzo di internet e della rete. I dati variano di anno in anno, però i rapporti tra le diverse voci rimangono abbastanza costanti. Propongo qui uno studio della Microsoft Digital Advertising del 200769. Conoscere persone nuove con cui condividere gli stessi interessi È un buon modo per tenersi aggiornati Esprimere le proprie opinioni e consultare gli argomenti di maggior interesse Rimanere in contatto con amici e parenti Guardare gli spaces di altre persone Consultarli per motivi specifici come trovare l’anima gemella, costruire relazioni utili per il lavoro
UK 49%
FR 34%
ES 47%
IT 49%
DE 61%
DEN 48%
BE 53%
NLD MED 38% 47%
11%
28%
9%
25%
31%
18%
29%
18%
20%
55%
51%
65%
61%
36%
42%
37%
23%
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75%
55%
55%
47%
57%
63%
55%
67%
59%
62%
58%
55%
57%
41%
57%
62%
66%
57%
13%
21%
22%
25%
15%
14%
17%
14%
17%
Il mantenimento dei legami preesistenti è decisamente al primo posto (59% media europea), anche se l’interesse (guardare gli spaces di altre persone 57%) e la ricerca del nuovo (47%) presentano valori alti. Un valore molto alto (per l’Italia e in genere per i paesi latini) è la possibilità di esprimere le proprie opinioni: sembra confermata l’idea della rete come una piazza virtuale, dove si può entrare e dire la propria come se si fosse seduti al bar. Per entrare più addentro nei meccanismi che regolano l’utilizzo degli strumenti di rete e di networking è forse utile leggere alcune considerazioni fatte a partire dallo studio di un sociologo ingaggiato da Facebook, Cameron Marlow. Scopo della ricerca era stabilire se Facebook accresce o meno la dimensione della rete personale di un individuo e quale è la reale dimensione delle reti sociali degli individui. Il quadro di riferimento dell’analisi è stato composto incrociando infor-
69
Fonte: Microsoft Digital Advertising Solutions 2007, reperibile in http://advertising.microsoft.com/research-library.
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mazioni relative alle dimensioni delle aree sociali dichiarate dalle persone sottoposte all’indagine (quanti amici avete, quale il numero dei vostri contatti dichiarati) e le modalità con cui queste relazioni sono alimentate (quanti amici chiamate, come li contattate, quante volte al giorno ecc.). Per facilitare il confronto sono stati adottati tre principali cluster di aggregatori: 1) il primo riguarda le persone che hanno dichiarato circa 500 amici; 2) il secondo è quello di chi ha indicato un numero intorno alle 150 persone; 3) il terzo gruppo è costituito da coloro che hanno indicato circa 50 persone. Agli intervistati è stato poi chiesto con quali tecnologie si rivolgono abitualmente agli “amici” e, per rendere omogenei i risultati, sono state individuate tre modalità di interazione che fanno riferimento ai canali di comunicazione che Facebook mette a disposizione dell’utente per mantenersi in contatto con gli appartenenti alla sua rete sociale personale: 1) la prima fa riferimento alle relazioni mantenute in maniera passiva con l’uso di strumenti quali il News Feed o gli RSS readers. La ricerca include questi strumenti tecnologici nella gestione della relazione in quanto il consumo di contenuti fruibili con questi mezzi può tramutarsi in altre forme di comunicazione. Ad esempio, se la ex compagna di classe alle scuole superiori pubblica su Facebook una foto della casa dove ha passato le vacanze, si può cliccare sulla notizia, dare un’occhiata a molte altre foto e scoprire tra l’altro che si è fidanzata, o ha avuto un bambino, e ciò potrebbe indurre a mettersi in contatto con lei; 2) la seconda è stata individuata in riferimento all’uso di tecnologie di comunicazione a “senso unico” (one-way communication) come lo sono i commenti alle foto, ai messaggi di status o post sul wall di un amico; 3) la terza è data dall’impiego di tecnologie basate su una comunicazione reciproca, o su uno scambio attivo di informazioni tra due persone: chat o scambio di messaggi tramite posta elettronica. I dati relativi ai tre sottogruppi sono stati elaborati monitorando per 30 giorni l’attività di un campione casuale di utenti. La tendenza generale degli utenti, sia uomini che donne, dimostra che la gente su Facebook usa le varie forme di comunicazione manifestando un impegno diverso a seconda del tipo di tecnologia. Rispetto al numero di amici dichiarato, gli utenti si mantengono informati (prima tipologia di strumenti: cliccando sul News Feed o sull’RSS, oppure visitando il profilo) con un numero più basso di amici. Il numero scende ulteriormente quando si tratta di usare una tecnologia a “senso unico” (commenti a foto o a messaggi di status, o post sul wall), fino a ridursi ulteriormente con l’uso di una comunicazione reciproca (chat e scambio di e-mail). I dati in base al tipo di sesso dell’utente dimostrano una diversa propensione dei due sessi nell’uso di queste tecnologie: le donne sarebbero mediamente più attive degli uomini nel loro uso.
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Quando gli utenti, maschi e femmine, hanno una lista di 500 amici, le donne in media si tengono informate per mezzo di RSS, News Feed e visite al profilo di 47 componenti della loro rete sociale; gli uomini, d’altro canto, utilizzano questa tecnologia per mantenersi informati in media su 39 dei loro 500 amici su Facebook. Le donne utilizzano la comunicazione a “senso unico” con in media 26 dei loro amici; gli uomini con 17. L’uso della tecnologia reciproca (chat e scambio di messaggi tramite email) è ancora più ridotto: rispetto ai 500 amici le donne s’intrattengono tramite questo tipo di comunicazione con 16 amici, gli uomini con 10. Gli utenti con una lista composta da 150 amici costruiscono attorno a sé un sottoinsieme di rapporti tramite Facebook che per le donne è in media di 22 su 150 per le relazioni mantenute, 19 per gli uomini; le donne inviano le comunicazioni a “senso unico” a 11 dei loro 150 amici, gli uomini a 7; 7 su 150 sono in media le comunicazioni reciproche con gli amici per le donne, 5 per gli uomini. 5.3. Che cosa influenza le relazioni Il quadro precedente evidenzia che il gran numero di contatti che a volte vengono dichiarati sembra quasi una esposizione di “prede” più che un gruppo di amici. In realtà, il numero medio dei contatti/amici degli utenti di Facebook risulta essere di 130, molto vicino a 150, il “numero di Dunbar”70, che esprime il numero di soggetti con i quali una persona può stabilire e mantenere interrelazioni personali: il limite è imposto dalla neocorteccia sociale e prende in considerazione valori quali la memoria degli eventi, la riconoscibilità dei membri e delle relazioni che li legano tra loro. All’interno di questo numero, anche secondo gli studi di Dunbar, il numero delle persone con cui si stabiliscono abitualmente contatti frequenti è tra le 5 e le 15 persone. Sembra peraltro evidente che non tutte le persone che fanno parte della rete di relazioni possono essere chiamate “amici”, come gli utenti di Facebook disinvoltamente dichiarano. Risulta infatti un po’ ambigua la definizione di “amici” da parte di coloro che hanno dichiarato un numero di contatti vicino ai 500. In ogni caso, tra le molteplici osservazioni possibili due sono i temi che mi interessa evidenziare per meglio comprendere il meccanismo di composizione delle reti di relazione. Il primo riguarda la direzione della ricerca di nuove relazioni da aggregare al proprio gruppo (ossia in quali ambienti sociali vado a cercare gli amici per allargare il mio gruppo) e il secondo riguarda la dimensione temporale o l’incidenza della variabile tempo/disponibilità nella gestione delle relazioni.
70
Robin Dunbar insegna antropologia alla Oxford University e ha in preparazione un testo che si intitola Dunbar’s Number: Evolution’s Legacy in Everyday Life.
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Come abbiamo visto nella ricerca della Microsoft, un peso preponderante nell’orientare le attività di relazione è dato dal mantenimento e allargamento dei legami familiari. La rete è vista come il potenziamento della rete della famiglia e degli amici. A mio avviso questa dichiarazione da parte degli utenti (tenendo conto dell’elevato numero di adolescenti che la frequentano) è forse più una scusa che una reale motivazione. Una lettura (comunque superficiale) di un certo numero di profili mi ha evidenziato la presenza di parenti tra i contatti intorno al 5-10%. Forse è più corretto parlare di una nuova dimensione relativa alla famiglia “estesa”, o famiglia “tecnologica” che esprime il coinvolgimento progressivo di sistemi relazionali mutuati da parenti e amici. Che cosa gioca in questo interesse relazionale con la famiglia? Penso che molto sia legato alla scoperta o all’esplorazione di un legame tecnologico tra le giovani generazioni, che dà l’idea di una certa solidarietà di classe nei confronti del mondo adulto: cugini fratelli, amici dei fratelli e dei cugini che rappresentano l’espansione tecnologica della rete familiare. Ma inizia a esserci anche interesse per nuove interazioni tra generazioni diverse: figli che stabiliscono relazioni con i genitori partendo da posizioni avvantaggiate, adulti che controllano i giovani, giovani che controllano i genitori. Ci sono anche relazioni che si consolidano (scoprendo interessi comuni) tra membri familiari delle generazioni adulte, ci sono esplorazioni in rete per recuperare legami familiari allentati o parenti di cui si erano perse le tracce (un certo movimento si è sviluppato a partire dalla ricerca di relazioni di parentela tra persone con lo stesso cognome). La rete dei social network opera come motore di ricerca, come investigatore per la composizione di una nuova rete familiare tecnologica. La seconda direzione è quella della scoperta di persone sconosciute o l’esplorazione di mondi nuovi. Le persone che non si conoscono possono costituire la finestra verso nuove avventure, o possono offrire l’opportunità per nuove esperienze. Si vanno a vedere i profili di persone i cui nomi sono emersi attraverso la catena delle relazioni: chi sono gli amici dei miei amici o gli amici dei miei familiari? Che cosa fanno, quali interessi hanno, dove vanno a passare le vacanze, che musica ascoltano? È una esplorazione dei piccoli mondi personali che piace comunque molto (nell’inchiesta della Microsoft riguarda il 57% degli intervistati) e che fa magari indispettire qualcuno, come l’attrice italiana Giovanna Mezzogiorno che in una intervista si sente chiedere: Non ami i social network? Non lavo i miei panni sporchi in pubblico. Ti pare che vado a mettere on line che cosa ho comprato al supermercato o come ho preparato una cena? Lo fanno in tanti. Pensano di avere una vita così interessante?71
71
Intervista di Giovanni Zincone a Giovanna Mezzogiorno su «Sette», inserto settimanale del «Corriere della Sera», 13 maggio 2010.
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La frequentazione degli spaces è comunque una cosa molto da rete, fa parte della curiosità del navigatore dei social network, perché serve a dare stimoli, a trovare nuove idee a rimanere in sintonia con l’ambiente. L’esplorazione segue quasi sempre la regola della relazione tra pari, nella ricerca di persone nuove si cerca di seguire linee coerenti, di espandere lo scambio di relazioni tra persone in sintonia con i propri interessi, gusti, comporta menti72. Oppure, l’altra direttrice di espansione di relazioni è quella dei fan club, che offrono l’occasione di entrare nei mondi immaginari costruiti da soggetti che utilizzano la rete per espandere la loro influenza sociale: uomini di spettacolo, imprese commerciali, movimenti no profit, personaggi e movimenti politici. Significa sentirsi parte di qualcosa che dà identità, far parte di un gruppo coeso, per comunanza di luogo virtuale, per interessi, per ideali, per comportamenti. 5.4. La variabile temporale e il problema della complessità nella produzione del senso Nella ricerca di Marlow, un peso rilevante nella gestione dei social network era assegnato alla variabile tempo. Quanto tempo ci vuole per rispondere a tutte le mail, scrivere sms, chattare, parlare al telefono ecc.? L’aumento delle relazioni richiede tempo per articolare i messaggi (concentrarsi sul tema, adeguare il contenuto al canale, comporlo e inviarlo). Quando lo posso fare, quali sono le motivazioni che ho nell’impiegare una quantità di tempo che cresce esponenzialmente? Se per le relazioni personali dirette, faccia a faccia, trovarsi in uno stesso luogo facilita e aumenta le possibilità di espandere la rete di relazioni (vedi la scuola, gli ambienti di lavoro la partecipazione ai concerti, ai raduni e agli eventi ecc.) la rete costituisce di per sé un ambiente a elevata concentrazione di persone. Solo che mutano le modalità di relazione: il passaggio dalla voce e dalla comunicazione comportamentale (le espressioni del viso, i gesti, il comportamento in generale) alla scrittura rallenta la formulazione dei messaggi. Lettura e scrittura richiedono tempo. Ancora di più la visione di un video o di una fotografia, l’ascolto di una musica. Velocità di connessione, sincronia o asincronia dell’interazione, tipologia di strumenti condizionano il sistema comunicativo. Skype rende possibili contatti sincroni molteplici, con la scrittura e con la voce. Il cellulare dà la possibilità di contatti sincroni con la voce (ma singoli) e la possibilità di scambi con più persone con gli sms. Nelle chat offerte dai
72
Per l’influenza dei social network sui comportamenti e sulla tendenziale omologazione dei significati all’interno di una rete di relazioni, vedi N. Christakis, J. Fowler, Connected: The Surprising Power of Our Social Networks and How They Shape Our Lives, Little, Brown and Company, London 2009.
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Ctr. se città corretta
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social network c’è la possibilità di stabilire relazioni con singole persone o con più persone contemporaneamente. La consuetudine all’utilizzo di questi strumenti crea nuove capacità e sviluppa abilità insospettate. L’uso della tastiera da parte dei giovani è sorprendente, così l’abilità nell’apprendere i sistemi di codificazione e di semplificazione delle procedure. A nuove modalità di interagire corrispondono nuove e semplificate forme linguistiche, fatte di abbreviazioni, con l’utilizzo metalinguistico dei segni. Per tenere fronte a più relazioni, il contenuto dei messaggi si semplifica. Si lavora sempre di più in superficie (come evidenzia Alessandro Baricco: «in superficie, non la superficie degli idioti, la superficie che è il luogo del senso, il luogo scelto da questo mondo per il senso»73) e meno si approfondiscono i temi, nella comunicazione di rete si riducono i livelli di memoria individuale e si fa maggiormente ricorso a una memoria collettiva, a una memoria estesa. L’utilizzo frequente degli sms e degli instant message, di Twitter, trasferisce la comunicazione alla sfera emozionale: si condividono sensazioni, informazioni sulle persone, intenzioni, gusti, desideri. Anche nelle comunicazioni sui social network, a connessioni veloci con un elevato numero di partecipanti presenti contemporaneamente e, conseguentemente, con una molteplicità di relazioni da tenere presenti, corrisponde un abbassamento del livello dei contenuti. Basta vedere che cosa succede in un dibattito televisivo in diretta, o, per stare nel nostro campo il livello delle chat o di un ambiente di incontri come Habbo. Su Habbo ci sono stanze con 2030 partecipanti presenti, ci si sposta da una stanza all’altra e da un posto all’altro della stanza. Devono essere attivate almeno quattro funzioni contemporaneamente: muovere il proprio avatar nello spazio, organizzare le forme espressive dell’avatar (ballare, mandare segnali, scrivere il fumetto), guardare i comportamenti degli altri, cercare di capire e di valutare chi sono gli altri. Tutto ciò produce dialoghi smozzicati che si traducono a poco a poco in un sistema linguistico autonomo, che fornisce scarsi indizi sulla figurina (l’avatar) e che comunque non consente un reale dialogo tra gli interlocutori. Ho introdotto la variabile tempo per evidenziare la stretta connessione che la molteplicità delle relazioni ha con la qualità delle relazioni stesse e per introdurre il tema della complessità (che riprende in parte il tema dell’intelligenza di sistema di cui parlava Lévy74). Al riguardo riporto alcune considerazioni di Clay Shirky: [...] quando un gruppo inizia a crescere, ottenere una omogeneità di opinioni, diventa prima difficile, poi del tutto impossibile. [...] Questo genere di difficoltà non ha niente a che vedere con l’amicizia [...]; si tratta di risposte alla severa logica della
73 A. Baricco, Il mondo senza nome dei nuovi barbari, in «La Repubblica», 21 settembre 2010. 74 Vedi Lévy, Il virtuale, cit.
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i nuovi linguaggi della socializzazione complessità dei gruppi. Tale complessità implica che, per usare le parole del fisico Philip Anderson, «la quantità fa la differenza». [...] Quando il gruppo si espande, diventa impossibile per chiunque interagire direttamente con tutti gli altri. Se mantenere la relazione fra due persone richiede uno sforzo praticamente nullo, raggiunta una certa dimensione quello sforzo diventa insostenibile. Questo fenomeno si può vedere anche nelle situazioni ordinarie, come quando durante un brindisi facciamo cin cin. In un gruppo ristretto, tutti possono toccare il bicchiere di tutti, ma quando la tavolata diventa più grande ognuno finisce per toccare il bicchiere delle persone più vicine75.
5.5. Cerco amici per fare, per dire, per... La velocità dei contatti e delle relazioni induce nuovi comportamenti capaci (o non ancora capaci) di gestire la complessità. Come? Per completare il quadro di un sistema che può indurre frenesia di contatti a fronte di una incapacità di gestire i contenuti dei rapporti e delle relazioni, mi sembra interessante riportare alcuni brani di una confessione di una sedicenne in vacanza a Ios, pubblicata su un blog del «Corriere della Sera»76. A Ios, si va per star fuori fino a tardissimo e per conoscere nuova gente. Io sono tornata a casa con gli amici con cui ero partita e l’indirizzo facebook di un australiano che faceva il butta dentro al My Way, uno dei bar dell’isola. E basta. Fuori fino a tardissimo, però, è stata la regola. La spiaggia l’ho vista il primo e l’ultimo giorno. Dieci giorni a ballare o ad aspettare che si iniziasse a ballare. Alla fine odiavo quell’isola. Ho 16 anni e con tre amici avevamo scelto la vacanza a Ios perché tutti dicono che è il paradiso dei ragazzi. Casette bianche e azzurre, zone desertiche e aride, e un centro città pieno zeppo di localini. Il bello di Ios, dicono, sta proprio nei locali che attirano ragazzi da tutto il mondo. Molti dai paesi anglosassoni, dal Nord Europa, dall’Australia e dalla Nuova Zelanda. E tantissimi italiani. Ios è frequentata da 16-20enni. I grandi non ci sono, quelli vanno a Mikonos. Le discoteche, due in realtà, lo Scorpion e l’Irish, aprono alle 3 del mattino e stanno aperte fino alle 8. Alle 8 si va a dormire. A Ios, non si dorme. Si balla. Si dorme fino alle 4 del pomeriggio. E non c’è tempo di fare niente perché bisogna ballare. Divertirsi. Qualche volta non ne potevo più. Mio cugino era il leader. Impossibile non seguirlo. Lui organizzava, decideva gli spostamenti. E noi lo seguivamo. Non è che non mi divertissi. Noi, in realtà andavano sempre nello stesso disco club, il My Way, dove c’era l’australiano. Ci eravamo affezionati a lui. Un ventenne che aveva finito gli studi ed era da un mese e mezzo nell’isola. Una spugna. Lavorava tre ore al bar. Con la sua simpatia invitava i ragazzi a entrare: 2 cocktail 5 euro. C’era meno bolgia che dalle altre parti. Almeno per un po’, si ballava ma si stava nella calma. Qualche volta si passava pure dal Lemos. Stessa cosa ma più incasinata. Giri per i posti perché ci sono quelli frequentati da italiani e quelli frequentati da stranieri, che poi sono più divertenti,
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C. Shirky, Uno per uno tutti per tutti. Il potere di organizzare senza organizzazione, Codice Edizioni, Torino 2009, pp. 23-24. 76 Generazione divertimento, post di Bianca Maria, studentessa 16enne su «Corriere della Sera», edizione on line del 6 settembre 2010.
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più strani sia come gente che come abbigliamento. E poi gli stranieri, e le straniere a differenza delle italiane che snobbano le altre italiane, quando entri in un locale ti vengono incontro, ti salutano. Per fare amicizia. Li conosci. Ma di parlare proprio non se ne parla. Fai nuove amicizie ogni sera. Ma le saluti lì. E sempre così frenetico perché devi correre a divertirti da un’altra parte. Davanti a ogni locale ci sono ragazzi che urlano le offerte, e i locali si fanno così concorrenza. Per 5 euro due cocktail ti danno una cosa leggerina. Se lo vuoi più forte sono 7 euro. Non ho visto offrire altro che non fosse alcol. Ma lo sballo musicale e alcolico è già devastante. Io non bevo molto, perché l’ho fatto una volta, sono stata male. E mi è bastato.
Il dibattito che si è scatenato tra i post al blog è diventato una specie di confronto tra generazioni, tra chi è stato a Ios anni prima e si è comportato diversamente, tra chi si chiede perché i genitori della ragazza non si siano dati più da fare per educarla ecc. Mi è sembrato opportuno proporre questo “resoconto di una vacanza felice/infelice” per mettere in evidenza alcuni passaggi: ossia la ormai necessaria preventiva ricerca di persone su Facebook, il tentativo di fare amicizia in un luogo reale dove la gente non si conosce e il contrasto tra il bisogno di tempi più lenti per approfondire le amicizie e l’impossibilità dei rapporti generati dalla frenesia. Sono temi che molto hanno a che fare con le problematiche connesse alla dimensione socializzante delle tecnologie di networking. E c’è comunque sempre una importante distinzione che deve essere fatta tra le potenzialità delle tecnologie e l’insicurezza o la inadeguatezza delle persone a sfruttarle. Poiché corriamo sempre il rischio (visto che ci parliamo – è bene ricordarlo – sempre tra noi adulti) di ritenere tutto ciò una globalizzazione impossibile. Per concludere questa parte sui contenuti delle relazioni, riporto i risultati della ricerca Vivere e apprendere con i nuovi media (Living and Learning with New Media), pubblicata nel novembre 2008 dalla MacArthur Foundation. La ricerca, svolta nell’arco di tre anni, è la più ampia indagine condotta negli USA sull’uso che gli adolescenti fanno dei media digitali, e si è basata su interviste a più di 800 adolescenti e ai loro genitori, su oltre 5000 ore di osservazione sistematica di siti come Myspace, Facebook, YouTube, e altre comunità virtuali. I risultati più significativi dello studio sono così sintetizzabili: 1) c’è un gap generazionale nella concezione che giovani e adulti hanno dell’attività in rete: a. gli adulti sono generalmente all’oscuro di quello che i ragazzi fanno in rete, e spesso lo considerano rischioso o comunque una distrazione improduttiva; b. i giovani capiscono il valore sociale delle attività in rete e sono generalmente molto motivati a parteciparvi; 2) i giovani navigano in complessi mondi sociali e tecnici attraverso la rete: a. i giovani stanno apprendendo le competenze fondamentali sociali e tecniche per essere cittadini attivi e partecipi nella società contemporanea;
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b. i mondi sociali che i giovani stanno sperimentando hanno nuove dinamiche, dal momento che la socializzazione in rete è permanente, pubblica, comporta la gestione di complesse reti di amici e conoscenti ed è sempre presente; 3) i giovani sono motivati ad apprendere dai loro pari in rete: a. internet fornisce nuove tipologie di spazi pubblici in cui i giovani interagiscono e ricevono feedback gli uni dagli altri; b. i giovani rispettano l’autorità dei loro pari in rete e sono più motivati ad apprendere gli uni dagli altri che dagli adulti; 4) la maggior parte dei giovani non colgono ancora tutte le opportunità di apprendimento offerte da internet: a. la maggior parte dei giovani usano internet come strumento di socializzazione, ma non colgono tutte le altre opportunità di apprendimento; b. internet offre ai giovani la possibilità di collegarsi con persone in luoghi diversi e di diverse età che condividono i loro interessi, rendendo possibile perseguire interessi che potrebbero non appartenere o non essere apprezzati dal gruppo dei pari a loro vicino. La ricerca ha anche dimostrato che, sebbene molti govani stiano sviluppando un’ampia gamma di nuovi sofisticati alfabeti e abilità tecniche, si trovano anche ad affrontare nuove sfide che riguardano la gestione della loro visibilità e delle loro relazioni sociali in internet. Per tornare alla vicenda prima riportata, la credibilità dei giovani è indirizzata ai loro pari e si stanno sperimentando nuove forme di socialità; la sperimentazione è ancora in corso. 6. si parla tanto/poco di sicurezza 6.1. Una premessa necessaria Parlare di socializzazione a proposito di tecnologie di rete significa, come ho detto nella prima parte di questo saggio, affrontare il problema dell’inserimento sociale e delle nuove generazioni, con tutti i problemi connessi di adozione di pratiche formative, individuazione di modelli di comportamento adeguati e di conseguente confronto generazionale. Nella riflessione di sociologi, tecnologi, educatori e politici, il mondo della rete assume, a seconda del punto di vista da cui lo si considera, il volto di una nuova dimensione del vivere sociale che offre potenzialità inedite o la maschera dietro cui si nascondono trappole che è necessario disinnescare. Un’abitudine che trovo abbastanza ricorrente negli studi e nelle ricerche sull’utilizzo delle tecnologie di rete e networking è l’immediato bilanciamento tra considerazioni sulla espansione delle pratiche presso la popolazione giovane e le considerazioni in merito ai rischi, all’impiego distorto, ai danni cui vanno incontro ragazzi e adolescenti. Sul sito di una organizzazione, dopo aver riportato i risultati della ricerca condotta da Pew Research Center77, che dimo-
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strano come l’utilizzo dei social network favorisca nei giovani americani una maggiore adesione alle attività di impegno civico e volontariato, viene fatto seguire un doveroso avvertimento circa i rischi di una eccessiva esposizione alle relazioni di rete. Lo psicologo britannico David Smallwood ha identificato una nuova patologia: la friendship addiction (la dipendenza da “amicizia”). Nel corso delle sue ricerche su Facebook individua nei soggetti analizzati i sintomi della sindrome da astinenza: ansia, depressione, sudorazione, paura per quello che succede nelle community quando si è off line. In Italia è stato da poco inaugurato presso l’Università Cattolica-Policlinico Gemelli di Roma il primo centro per curare la dipendenza dalla rete con la collaborazione dell’associazione “La promessa”. I primi pazienti saranno giovani e giovanissimi, per gli adulti è solo una questione di tempo visto il tasso crescente di alfabetizzazione digitale. “Stiamo parlando di un nuovo modo di drogarsi – spiega Federico Tonioni, lo psichiatra che coordina l’ambulatorio –. Si tratta di una tossicodipendenza in qualche modo attesa. Visiteremo i figli legittimi della multimedialità che ci ha sopraffatto negli ultimi anni. Che li ha sopraffatti e inghiottiti senza permettere loro di dosare i mezzi”78.
Non voglio con ciò sottovalutare i problemi che molti formatori si trovano quotidianamente a dover affrontare in merito a pratiche e comportamenti che risultano per loro del tutto nuove e che presentano risvolti legislativi e morali che non sono stati ancora sufficientemente considerati neppure per la popolazione adulta. Mi sembra però doveroso richiamare l’attenzione al fatto che i problemi sollevati dalle tecnologie sono spesso preesistenti e profondamente già radicati nel tessuto sociale cui fanno riferimento sia giovani che adulti. Riporto una considerazione di Yochai Benkler al riguardo: L’interpolazione delle connessioni di rete assegna all’individuo un ruolo maggiore nel tessere i legami sociali, permettendogli di riorganizzarli in forme che gli si confanno meglio. Le persone possono usare le loro connessioni di rete per allentare le relazioni troppo gerarchiche o soffocanti e al contempo riempire i vuoti delle loro relazioni reali. Nessuno è stato più chiaro al riguardo di Mizuko Ito e della sua ricerca sull’uso del telefono cellulare, soprattutto per messaggi e e-mail, da parte degli adolescenti giapponesi. In genere i teenager metropolitani giapponesi vivono in spazi più ristretti e in strutture sociali più gerarchiche di quelle dei loro equivalenti americani o europei. Ito ha documentato il modo in cui questi adolescenti usano il telefono cellulare principalmente per scambiarsi messaggi di testo, vale a dire l’ibrido mobile tra email e instant messaging, per allentare le costrizioni cui sono sottoposti. Si scambiano messaggi a casa e a scuola, per incontrarsi e stare insieme, riuscendo a costruire con i
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Pew Internet & American Life Project, in «Social Isolation and New Technology», November 2009. 78 Già citato blog di David De Angelis, http://www.cultur-e.it/blog/index.php (24 novembre 2009).
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loro amici un network di legami emozionali che superano tempo e spazio, ma senza – è questa l’osservazione più importante – infrangere i ruoli sociali che gli sono assegnati. Continuano a passare molto tempo in casa con la famiglia. Continuano a essere rispettosi, a rivestire ruolo filiale a casa e a scuola. Ma intersecano quel ruolo e quelle relazioni con una rete segreta di rapporti che soddisfa bisogni emozionali che resterebbero altrimenti inespressi. Questo fenomeno non è limitato ai più giovani ma esprime più in generale la capacità degli utenti di basarsi su legami in rete per sfuggire agli aspetti più limitanti dei loro rapporti sociali stabili79.
Di fronte al potenziamento relazionale offerto dalle tecnologie di rete, il mondo adulto si trova sbilanciato e in affanno dietro una popolazione giovanile, composta da figli, studenti, giovani lavoratori che la abitano da nativi. 6.2. I pericoli della rete: inganno e violenza È forse opportuno presentare a questo punto alcuni esempi, tra i più significativi, degli allarmi e delle iniziative lanciati sul problema della sicurezza in rete riferiti al mondo dei giovani. [...] il social network è popolato dai giovani, che non sempre ne fanno un uso consapevole. Sono gli adolescenti la popolazione più numerosa dei social network; solo uno su due fa un uso consapevole della Rete. Lo dice il sondaggio lanciato in occasione della Seconda Settimana della Sicurezza in Rete 2009, quest’anno proprio dedicata al mondo dei social network80. Il 56% degli iscritti ai social network ha meno di 19 anni; il 61% degli intervistati afferma di conoscere l’esistenza dei settaggi di privacy per gestire la visibilità delle foto pubblicate, valore che scende al 53% se si considerano esclusivamente i minorenni, mentre solo il 22% degli intervistati dice di conoscere bene tutti i contatti presenti nelle proprie reti sociali. [...] Come visto dai primi dati emerge l’esigenza di informare e sensibilizzare gli utenti sul funzionamento di questi nuovi strumenti di comunicazione e relazione on line. Un’ampia parte delle persone non è consapevole di che cosa realmente condivide on line, ma soprattutto che spesso queste informazioni sono a disposizione di estranei, con il rischio che gli utenti siano vittime di malintenzionati. Solo il 49% degli intervistati, infatti, sa quali sono i dati che i social network possiedono (come URL dei siti visitati, indirizzo IP e browser del computer utilizzato), mentre il 41% crede che i social network non possano fare della pubblicità mirata in base al proprio profilo. Rispetto al profilo dell’utilizzatore, più della metà degli iscritti ai social network (il 56%) ha meno di 19 anni, quindi i principali “abitanti” di queste nuove realtà virtuali sono giovanissimi, ma non solo: il 54% dei ragazzi tra i 10 e i 14 anni ha dichiarato di avere i propri genitori tra gli amici, percentuale che scende al 41% tra i 15 e i
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Benkler, La ricchezza della rete, cit., pp. 463-464. Dal già citato Rapporto Eurispes / Telefono Azzurro, http://www.eurispes.it/ index.php?option= com_content&view=article&id=880:sintesi-10d-rapporto-nazionale-sulla-condizione-dellinfanzia-e-delladolescenza&catid=48&Itemid=223. 80
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18 anni. Significa che quasi la metà degli adolescenti consente l’accesso al proprio profilo ai genitori, che, solo nell’11% di casi ne approfittano per monitorare le attività dei propri figli. In Rete la socialità si sviluppa in modo differente rispetto alla vita reale, spesso in maniera più superficiale. Solo il 22% degli utenti iscritti ai social network ha affermato di conoscere bene tutti i contatti presenti nella propria lista di amici. Nella maggior parte dei casi, infatti, si tratta di persone poco o per nulla conosciute81. Ormai la quasi totalità dei ragazzi italiani fra i 13 e i 17 anni (il 95%) usa internet, rileva la ricerca di Save the Children. Msn Messanger si colloca in testa alla classifica dei programmi più utilizzati dai giovani per comunicare almeno una volta, dal 96% degli intervistati, seguito da YouTube (53,2%), Myspace (30,6%), Yahoo Messanger (25,1%), Student.it (24,9%), Giovani.it (11,2%), Blogger (7,5%), Facebook (5,4%). Ma a frequentare regolarmente i social network, utilizzandone a pieno tutti i servizi, grazie alla registrazione e apertura di un profilo, è il 66,7% degli adolescenti “internauti”, con una prevalenza delle ragazze (59%) sui ragazzi (48%). A differenza dei coetanei d’oltreoceano però i nostri teenager sembrano avere la tendenza a rivelare molti dettagli personali: nei profili – il 74% dichiara di riportare il vero nome, – il 61% posta proprie foto, – il 57% dà l’indirizzo e-mail, – il 48% il cognome, – il 18% il nome della scuola. Non a caso poi, alla domanda è possibile risalire a chi sei veramente?, il 63% risponde di sì: tra questi il 25,3% sostiene addirittura che sia molto facile. Un dato che raggiunge il 30% nella fascia di età 15-17. [...] Consolidare o allacciare nuove amicizie è la ragione principale di utilizzo dei social network fra gli adolescenti italiani: il 78% infatti vi si iscrive per stare in contatto con gli amici, il 20% per conoscerne di nuovi. Tanto che il 47% dei giovani utenti – rileva la ricerca di Save the Children – dichiara di aver allacciato nuove amicizie, grazie a internet. Ma il bisogno di socialità dei ragazzi – che viaggia attraverso chat (scelgono questo canale il 74,8%), cellulare (57,3%), e-mail (28,6%), post sui profili (14%), grazie ai quali ci si racconta un po’ di tutto (questo l’argomento preferito del 77% di chi ha un profilo) – non si arresta di fronte anche a situazioni più equivoche e potenzialmente rischiose. Quasi un terzo – il 28,8% dei giovani registrati nei social network – ha infatti incontrato off line, di persona, qualcuno precedentemente conosciuto in rete: tra di essi la maggioranza sono ragazzi (33,6%), ma anche le ragazze non si tirano indietro (24,8%). E all’incontro il 37% di questi adolescenti è andato da solo, mentre il 63% in compagnia di amici. Il 24,8% di coloro che ha aperto un profilo – rivela poi per la prima volta la ricerca di Save the Children – ha avuto contatti con persone di età molto maggiore (attenzione, non necessariamente off line): quasi la metà (il 44%) ha stretto con esse una relazione d’amicizia. Ma quali sono le esperienze negative che i
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Sito www.sicurezzainrete7x24.org. Si tratta di una iniziativa che si colloca all’interno di SicuramenteWeb, il progetto di responsabilità sociale di Microsoft, realizzata con il patrocinio del Ministro della Gioventù e del Ministero dello Sviluppo Economico e promosso dal Unione Nazionale Consumatori, ABI Lab e Skuola.net, in collaborazione con Polizia di Stato e con il supporto di Dada.
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giovani rivelano di aver vissuto in rete? Il 15% dei teenager con profilo sui social network, ha ammesso di essersi imbattuto in materiale pornografico, il 10% ha ricevuto messaggi offensivi e minacciosi, il 9% si è sentito richiedere immagini provocanti, il 7% di fare sesso on line, il 6% ha ricevuto immagini imbarazzanti82.
I temi prevalenti sono riferiti al possibile utilizzo, commerciale o criminoso, delle informazioni riservate da parte di “malintenzionati” (adulti ma anche bullismo). La popolazione giovanile, sempre in rete e sempre più connessa, è una popolazione che attraversa una fase di ancora incerta identità, alla ricerca di una propria stabilità personale ed emotiva, è una popolazione che vuole apprendere, ma vuole farlo con modalità proprie e secondo regole proprie. Diffida degli adulti e di come gli adulti regolamentano l’utilizzo della rete, riconoscono in rete quasi esclusivamente l’autorità dei pari. Lasciano informazioni di sé in rete in parte per ingenuità e in parte per bisogno di stabilire rapporti veri con i loro coetanei. Che fanno gli adulti? Spesso sono anche loro invischiati con gli stessi problemi. Alla difficoltà di creare e mantenere relazioni devono aggiungere le difficoltà di risolvere i problemi tecnologici e la scarsità di tempo. Difficilmente riescono a stabilire un rapporto di parità e di fiducia con i giovani. Emerge, infatti, che quando vogliono stabilire un rapporto formativo con i giovani fanno fatica a perseverare: gli adulti che si connettono in rete ed effettuano qualche controllo sull’attività dei giovani sono solo l’11%, un numero tutto sommato abbastanza modesto. 6.3. Le tecnologie come gioco e distrazione C’è ancora un altro tema che solleva grandi dibattiti in merito alla formazione dei giovani e le possibili interferenze delle tecnologie di network, quello cioè delle tecnologie come fonte di distrazione. In merito a questo tema, sembra che il mondo adulto sia abbastanza concorde: i doveri prima di tutto. Anche se il dibattito su come intervenire per esercitare l’autorità è abbastanza aperto. Nell’era digitale anche il grounding83 è diventato virtuale. Perché oggi i ragazzi in casa ci starebbero che è un piacere: con i loro Facebook e il loro telefonino. Ma sempre più genitori stanno pensando bene di appioppare la punizione più crudele. Macché chiavi: consegnami il telefonino e spegni quel benedetto computer. Fino a nuovo ordine: cioè a nuova pagella. L’atto di guerra è giustificato dai numeri. Alla domanda: «Usi internet e l’e-mail almeno occasionalmente?», il 93 per cento dei teenager americani risponde di sì. E che cosa fanno? Studiano? Cercano notizie? No: vanno su Facebook. Chattano. Si intrattengono con gli amici nella piazza virtuale più grande del mondo: mezzo miliar82
Inchiesta Save the Children, pubblicata su Save the Children “Profili da sballo. Gli adolescenti italiani e i social network”, realizzata dalla Doxa per conto di Save the Children e presentata in occasione del Safer Internet Day (12 febbraio 2009) 83 Il verbo “ground” viene dal gergo aereonautico e significa letteralmente “costringere a terra” ma nel linguaggio quotidiano vuol dire proibire ai ragazzi di uscire di casa.
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do di iscritti. Per carità non che Facebook faccia male. Solo che le statistiche dimostrano che più tempo trascorrono su internet e meno i ragazzi rendono a scuola. Ricordate? Un tempo si spegneva la televisione: oggi nel mirino ci sono il web e i cellulari. Sempre il sondaggio del Pew (un noto istituto di ricerca americano) la dice lunga sul modo che i più giovani hanno di fraternizzare. Al primo punto ci sono i messaggini: nel giro di un anno sono balzati dal 38 al 54 per cento. Resiste la classifica telefonata (50 per cento) naturalmente al cellulare e avanza (37 per cento) l’uso dei social forum. Per vedersi davvero in fondo resta pochissimo tempo: soltanto il 30 per cento della comunicazione con un amico avviene “di persona”. Che fare? Ormai la maggioranza dei genitori ricorre all’arma fine di mondo: il 62 per cento toglie ai figli il cellulare. Poi tocca alla consegna della password di Facebook e alla spina staccata al computer. Funziona? Richard Weissbourd, psicologo ad Harvard, dice al «Washington Post» di sì: «È come togliere ai ragazzi un weekend di libertà. È un modo come un altro di privarli delle loro relazioni sociali». E l’autrice della ricerca del Pew, Amanda Lenhart, rincara: «I genitori sanno quanto il cellulare sia vitale per i figli: e li puniscono dove sanno di fare più male». È proprio questo però il problema. Kenneth R. Glissberg è l’autore di una guida per i genitori che ha l’imprimatur dell’Accademia dei Pediatri d’America. La parola disciplina, spiega, viene dal greco e significa educare. E quindi ogni azione disciplinare dovrebbe essere inerente alla trasgressione: ti tolgo il cellulare se passi comunque troppo tempo a mandare messaggini e non perché vai male a scuola o hai risposto male alla mamma. «La cosa più semplice è togliere ai ragazzi quello a cui tengono di più: ma questo vuol dire soltanto punire e non educare». Tra genitori, pediatri e figli il dibattito è aperto: e se lo continuassimo su Facebook?84.
In rete in ogni caso il tema è abbastanza dibattuto. Molte scuole hanno introdotto un regolamento al riguardo attraverso la costituzione di un patto formativo. Nella quasi totalità dei casi il cellulare in classe è vietato e per le trasgressioni c’è il sequestro. Ma rilievi al sequestro del cellulare vengono fatti in nome della violazione alla privacy, in quanto il cellulare viene considerato una estensione della persona per i dati sensibili contenuti. Soluzioni ragionevoli possono essere trovate, ma al fondo di tutto c’è sempre e comunque una sostanziale diffidenza dei giovani, come evidenziano questi due post su Yahoo.answers.it, un sito/community per la “condivisione della conoscenza”: Domanda: Mi dovete aiutare sul sequestro del mio cellulare? Ieri a scuola mi hanno sequestrato il cell secondo il regolamento, perché credevano che stessi riprendendo la classe, (ma nn è cosi) comq secondo me hanno visualizzato tutti i miei contenuti (cose molto personali) perche tt la giornata ho provato ripetutamente a chiamare e prima era ragiungibile e poi nn lo era secondo la legge del ministro fioroni sui cellulari una volta sequestrato il cell deve essere spento e portato in segreteria in attesa del genitore. Io sono certo che sono state visualizzate alcune cose, perchè il mio nokia n95 ha la funzione lifeblog che se vai nei dettagli ti da l’ultima cosa vista con data e ora. Questo per me è violazione di pryvacy e provederei con una denuncia.dite voi? 84
A. Aquaro, A letto senza pc e telefonino. Ora i ragazzi si puniscono così, in «La Repubblica», 7 settembre 2010.
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Miglior risposta - Scelta dal Richiedente conoscendo le leggi italiane e la stupidità ke le accompagna, beh, fare denuncia è possibile, e penso anke dimostrare ke qualk1 abbia violato la tua privacy.. ovviamente sarà una denuncia a ignoti o cmq a un gruppo d persone.. il problema è ke io c penserei 1 paio d volte prima d fare una cs del genere anke xke poi i prof te la fanno pagare in 1 modo o nell’altro, e nn sarà piacevole ne per te ne per i tuoi genitori... a proposito.. prima dovresti parlarne con i tuoi, se loro t danno ragione, beh allora Voglio ke 1 prof subisca 1 bella denuncia.. auguri, kiss!85.
7. questi sono problemi di mercato 7.1. Internet non è il paradiso86 Prima di chiudere ritengo necessario dedicare un passaggio all’aspetto economico delle reti sociali. La fortuna iniziale della rete è stata quella di presentarsi come il territorio della libera connessione, dove informazioni e notizie costituivano anzitutto un patrimonio comune. A fine anni novanta è all’ordine del giorno il tema del valore economico della rete e lo studio di forme di ritorno attraverso fee di partecipazione, pagamento dei servizi, iscrizioni e abbonamenti. Geert Lovink così commenta quel passaggio: «All’inizio del 2003, l’euforia da internet era ormai svanita. Dopo il crollo delle dotcom, i media mainstream iniziavano a parlare di “morte della Rete” [...]. Persino un settimanale neo-liberista come The Economist lamentava: “Internet vende la sua anima”, in riferimento all’introduzione di servizi a pagamento su molti siti dopo il fallimento dei servizi gratuiti durante il periodo delle dotcom»87. Musica, documenti, notizie, informazioni qualificate si pagano. La costituzione dei creative commons e l’open source lanciano nuove forme di economia della rete, una economia fondata sulla condivisione e sull’intelligenza collettiva. Anche Lévy non si scandalizza della commistione tra il sapere e la sua commercializzazione, anche se la prospettiva che auspica è quella di una concezione più collettiva: «Lévy [...] immagina che l’intelligenza collettiva gradualmente modificherà il modo di funzionamento della cultura delle merci. Il terrore della partecipazione del pubblico è, per Lévy, frutto della miopia del mondo dei media: “impedendo allo Spazio del sapere di rendersi autonomo, privano i circuiti delle merci [...] di una straordinaria fonte di energia”»88. Ma il mondo delle rete non è ancora il mondo della telefonia che, con il passaggio dal sistema monopolistico al mercato libero, è un mondo che vive sulla scia di un marketing continuo, attraverso la creazione a fini pubblicitari di mondi immaginari banali, rivolti ai giovani ma privi di contenuto e di pro85
Interventi postati su Yahoo.answers.it. Dal titolo del libro di G. Lovink, Internet non è il paradiso, Apogeo, Milano 2004. 87 Ibidem, p. XXV. 88 Jenkins, Cultura convergente, cit., p. 3. 86
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spettive (e poi ci preoccupiamo di togliergli il cellulare a scuola). Riporta l’indagine Eurispes / Telefono Azzurro: L’industria di settore, dal canto suo, si dimostra sempre più attenta a questo segmento di mercato: secondo le cifre fornite da Eurispes, se il ricavo medio, per utente, del settore della telefonia mobile nel 2008 è stato di 530 euro (ottenuti rapportando i 24,3 miliardi di euro di ricavi complessivi ai 46,1 milioni di utenti attivi) è possibile stimare il giro d’affari relativo ai soli utenti di età compresa tra i 7 e i 19 anni in oltre 3,2 miliardi di euro89.
In ogni caso, come si è visto dalla crescita di valore di molte iniziative su internet, il web si manifesta sempre più come uno dei più promettenti mercati di questi anni. Nel 2009, gli investimenti pubblicitari in rete superano quelli su carta. E nessuno pensa ormai più al dilemma del pagamento dei servizi in rete: all’accesso ai servizi generico e gratuito corrisponde ormai un accesso più qualificato a pagamento. Il fenomeno di Google, con la sua penetrazione quasi inavvertita sui desktop di tutti i navigatori della rete e la sua trasformazione in una macchina di pubblicità e di servizi, è uno dei modelli cui tutti fanno riferimento. Uscito nel 2007, nella fase di maggiore espansione delle piattaforme di social network, Wikinomics metteva in evidenza il modello di business legato alla condivisione di informazioni e alla loro contestualizzazione. Il concetto era semplice: «A mano a mano che il web si appoggerà sempre più ai dispositivi mobili, Google inevitabilmente avrà più opportunità di sfruttare il modello di business basato sulla pubblicità. L’abbinamento tra le mappe e il motore di ricerca rappresenterà il punto chiave di collegamento tra il mondo materiale e il mondo virtuale. Avendo in mano una parte del contesto in cui si trova il cliente, è probabile che Google riesca estrarre valore da una quota sempre maggiore delle operazioni globali, pochi centesimi alla volta»90. Quello che conta è il numero. È difficile che qualcuno paghi un prezzo alto per un bene che può essere dato gratuitamente da qualche altro, è però possibile che molti paghino un prezzo basso se trovano qualcuno che gli semplifica la vita. 7.2. La socializzazione è un bisogno da soddisfare (magari a pagamento) D’altra parte, il bisogno di allargare la propria cerchia di relazioni per affari, studio, intrattenimento, ma anche solo per noia, è sentito da molte persone e i numeri dei partecipanti ai social network lo testimonia. In questi ultimi mesi è stato pubblicizzato anche in Italia un sito per affittare “amici”: 89
Dal già citato Rapporto Eurispes / Telefono Azzurro, http://www.eurispes.it/ index.php?option=com_content&view=article&id=880:sintesi-10d-rapporto-nazionale-sulla-condizione-dellinfanzia-e-delladolescenza&catid=48&Itemid=223. 90 D. Tapscott, A.D. Williams, Wikinomcs, Rizzoli, Milano 2007, p. 219.
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Il sito americano Rent a Friend91, dopo essersi affermato negli Stati Uniti (dove può contare su 2000 iscritti) ora si espande in tutto il mondo. Italia inclusa. «Il nostro è un servizio diverso da quello dei siti per incontri, nessuno dei quali offre amicizia – spiega Scott Rosenbaum, il fondatore, un 30enne del New Jersey – qui c’è in ballo soltanto un rapporto platonico». Il sito si vanta di essere quello che, negli Usa, offre le tariffe più basse e il database di amici più ricco. All’atto dell’iscrizione si pagano 25 dollari, mentre l’affitto di un amico costa almeno 10 dollari l’ora, con punte di 50 dollari. Alcuni di loro, infatti, possono decidere di variare la tariffa, a seconda dell’attività che viene loro richiesta. Tante le opzioni offerte: oltre alle classiche serate al cinema, al teatro o al ristorante, o anche alla giornata in spiaggia, ci si può rivolgere al sito quando si visita una nuova città, e si vuole avere qualcuno che illustri le bellezze del posto. Nel catalogo, che può contare su 218mila potenziali amici, ci sono anche persone con specifiche abilità: insegnanti di lingue straniere, istruttori di fitness ma anche di snowboarding e yoga, pittori, cantanti e ballerini, e così via92.
Perché non cercare di trarre profitto dal gioco, dal divertimento on line e dal bisogno di relazione delle persone? I meccanismi sono abbastanza semplici. Uno dei modelli più significativi è stato Secondlife. Nel mondo virtuale tridimensionale di Secondlife potevi girare liberamente e gratuitamente, ma ti sentivi quasi uno straccione che passa davanti ad alberghi di lusso senza un soldo e senza nessuna possibilità di entrare. Per abbigliarti, per avere uno spazio tuo, per arredarlo era (ed è) necessario pagare. In Secondlife questo era considerato investimento in quanto lo spazio e la reputazione che acquistavi potevano diventare occasione di nuove virtuali attività imprenditoriali. Semplificandosi il modello di piattaforma di social network si sono semplificate le procedure di transazione economica. Per Linkedin da una parte e per i siti di matching sentimentale dall’altra, la fonte di ritorno economico sono le informazioni degli iscritti. L’utente paga per accedere a informazioni più approfondite o per essere messo in contatto con persone che possono interessare. I motori di ricerca aggregano opportunità di conoscenza in ragione della professione, del territorio, dell’età, degli interessi e le mettono a disposizione con upgrade a pagamento della profilazione. Il modello economico di Secondlife è poi rimasto negli ambienti di gioco o di intrattenimento ludico, dove si pagano oggetti, beni, valori, informazioni virtuali che consentono di passare a livelli più alti e più coinvolgenti offerti dall’ambiente. Il sistema sviluppato da Google di inserimento di moduli pubblicitari connessi al motore di ricerca che abbinano proposte commerciali alle informazioni che interessano l’utente è stato una delle prime forme di ritorno attivate su Facebook. Con la crescita esponenziale dei visitatori e degli iscritti, Facebook ha attivato “Facebook Ads”. Ecco come viene proposto agli inserzionisti da una agenzia di marketing on line:
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http://www.rentafriend.com/. M. Pasqua, Serve un amico? Affittalo, in «La Repubblica», 22 luglio 2010.
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Facebook Ads dà la possibilità di registrare un account e creare messaggi di Adv che si basano su link alle pagine che si vuole fare visitare ai destinatari della promozione. Il messaggio può avere un testo dalle dimensioni così stabilite: il titolo può essere di un massimo di 25 caratteri, il corpo del messaggio può arrivare a 135 caratteri. Si può anche inserire una immagine, persuasiva e possibilmente pertinente, delle dimensioni massime di 110 x 80 pixel. Non è tempo perso leggere la lista di suggerimenti e procedure consigliate per la pubblicazione di inserzioni su Facebook, per evitare di incorrere nella possibilità che l’annuncio non venga accettato (lo staff di Facebook valuta gli annunci prima di pubblicarli). Impostando un messaggio promozionale col sistema di advertising di Facebook si possono scegliere in maniera mirata i destinatari del messaggio. La possibilità di targettizzare è abbastanza precisa e questa è la forza di Facebook Ads. Infatti si può scegliere di far comparire un messaggio a utenti che hanno una certa età, che si trovano in una posizione geografica precisa, con delle preferenze sessuali e politiche, con determinati hobbies e così via. Con Facebook Ads si può scegliere di pagare per impression, quindi per visualizzazioni (il Pay Per Views), oppure pagare per click ricevuti dall’annuncio (il Pay Per Click). Si può impostare un budget giornaliero, gli orari e la durata della campagna. Successivamente si può monitorare e ottimizzare l’andamento della campagna attraverso gli strumenti di analisi93.
Il sistema del link sponsorizzato ha avuto poca fortuna in Facebook. In Google, un link sponsorizzato viene percepito come un aiuto alla ricerca, mentre chi naviga in un social network presta poca attenzione ai messaggi pubblicitari perché più coinvolto nelle suggestioni offerte dalle persone e dai loro profili. Su Facebook l’advertising dà pochi ritorni, cioè il click through – il parametro che determina l’efficacia di una promozione e che è dato dal rapporto tra le visualizzazioni del messaggio e i click effettivamente ricevuti – è mediamente molto basso. Facebook propone quindi forme di advertising più vicine alle pratiche dei social network e utilizza i modelli del marketing virale. Con l’Engagement Ads Facebook ha voluto creare una strategia di marketing che coinvolgesse i consumatori nella produzione dei programmi di marketing stesso, nello stile proprio del Web 2.0. La direzione è quella di proporre un messaggio promozionale con cui si può interagire. Tra le novità introdotte da Facebook Ads vi sono i Virtual Gifts Ad, doni gratuiti virtuali con il logo del prodotto che si possono inviare ai propri amici. La pratica tenta di innescare un processo di viralità che porta a diffondere la presenza di un marchio/prodotto sul network. L’elemento socialità Facebook l’ha introdotto anche con la possibilità di porre commenti in uno spazio pubblicitario – i Comment Ad. I commenti possono essere visibili anche nel newsfeed, nella notifica inviata ai propri amici. Anche questo strumento punta a far giogo alla visibilità di un brand e di un messaggio. C’è poi il sistema del Fan Ad, cioè la possibilità di diventare fan di un marchio o prodotto e dirlo ai propri amici94. 93 94
http://www.advertising-online.it/internet/l-advertising-su-facebook. Ibidem.
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In un periodo di crisi e di logiche di sostenibilità, non penso la ricerca di un possibile vantaggio commerciale tratto dalla facilitazione delle relazioni interpersonali possa scandalizzare qualcuno o svilire gli strumenti di comunicazione che sono oggi offerti dalla rete. Anche le modalità di produzione di valore e di interazione economica tra i soggetti che abitano la rete costituisce uno dei pilastri della nuova cultura digitale. Il confronto su questi temi è ancora del tutto aperto. Come anticipava Lovink nel 2004, «La battaglia sulla “società delle reti” è lontana dalla conclusione. Si potrebbe obiettare che non è nemmeno mai iniziata. [...] Il discorso tecnologico (che comprende i suoi critici) deve trovare il suo posto entro una teoria più ampia della società, senza essere né sminuito né sopravvalutato»95. L’utente è partecipe dei processi economici legati ai servizi di cui fruisce e può anche diventarne protagonista (lui stesso può trarre guadagno dalle sue idee e dalla quantità di relazioni che riesce ad attivare). A tutt’oggi non è stata smentita l’utopia che sta alla base della web economy, ossia un sistema di creazione di valore basato sulla partecipazione degli utenti96. 8. breve nota (non) conclusiva Con queste pagine non ho certamente avuto la pretesa di fare un discorso ordinato e strutturato sui problemi della socializzazione, sui problemi della formazione di una cultura giovanile della comunicazione o sul dialogo intergenerazionale. Ho cercato di collegare tra loro alcune problematiche che mi sono sembrate spesso affrontate in modo separato le une dalle altre. Il problema della sicurezza in rete disgiunto dalla poca competenza degli adulti o dall’incapacità delle istituzioni di affrontare seriamente alcuni nodi formativi, oppure il problema della creatività e dell’ingenuità dei giovani (ma non solo giovani) a fronte della spietata logica commerciale che guida molte imprese dei servizi di comunicazione. Per far questo ho volutamente accostato citazioni da testi di studio e di analisi di sociologia dei media a documenti di studi e ricerche sull’uso dei media e a testimonianze tratte dal web e dai giornali. Ho costantemente cercato di ricordare che anche nelle citazioni, quello che è spesso impossibile evitare è che parlino prevalentemente gli adulti. I giovani sono i protagonisti di una narrazione fatta dagli adulti. Se pensiamo alla rete come un territorio all’interno del quale il confronto con gli altri si trasforma spesso e volentieri in una narrazione di sé e del proprio immaginario e che questa narrazione è una narrazione che il più delle volte è collettiva e partecipata, forse l’unica cosa da fare è quella di mettersi a leggere, oppure (e forse è meglio) di partecipare.
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Lovink, Internet non è il paradiso, cit., p. 315. Tapscott, Williams, Wikinomcs, cit., pp. 331-336.
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Il rapporto tra generazioni è uno dei temi significativi nelle dinamiche che connotano la convivenza nella società in cui viviamo. Spesso tale rapporto è percepito come generatore di conflitti e di tensioni o quanto meno di incomprensioni. In realtà esistono diversi motivi che hanno concorso nel rendere difficile tale rapporto, in parte collocabili all’interno della famiglia e alla sua evoluzione, in parte riferibili ai cambiamenti sociali che hanno interessato l’intera organizzazione sociale in tutte le sue dimensioni. Senza la pretesa di effettuare una diagnosi precisa della situazione, merita richiamare alcuni aspetti, che comunque costituiscono i riferimenti che danno senso al progetto che verrà presentato nelle pagine seguenti. In passato il “luogo” tradizionalmente deputato allo scambio tra generazioni è stato la famiglia. Soltanto nell’ultimo secolo tale funzione è stata profondamente modificata da una nuova organizzazione sociale, che ha accentuato le divisioni tra le generazioni stesse, creando nuove agenzie di socializzazione e di produzione culturale, nuovi spazi di aggregazione. Le età più fragili (in particolare gli anziani) si sono così trovate esposte a rischi di emarginazione sociale, perché espulsi prematuramente dal mercato del lavoro, perché privati del ruolo di trasmissione di esperienze e di tradizioni all’interno della famiglia, perché sopraffatti dai modelli culturali centrati sul consumo e dall’alta tecnologia (specialmente nel campo dell’informazione e della comunicazione). Per promuovere un’inclusione sociale che riconosca i diritti di tutti, a partire dal fondamentale diritto di cittadinanza e valorizzi il capitale umano di ciascuno occorrono nuovi modelli e nuove responsabilità in una nuova welfare community, tali da promuovere nuovi stili di vita e creare reali condizioni per esercitarli. Si tratta quindi di creare nuove modalità di appartenenza (alla comunità), utilizzando al meglio gli strumenti che oggi sono disponibili per esercitare i propri diritti, migliorando il proprio stile di vita.
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il ruolo dell’informatica e delle reti I cambiamenti introdotti dall’informatica nelle sue diverse applicazioni hanno un forte impatto nella vita quotidiana. Internet infatti e le reti web non riguardano soltanto il mondo degli affari o della ricerca scientifica, ma l’intero sistema delle comunicazioni, tanto da poter affermare che la non conoscenza e il non uso di tali tecnologie sono per le persone motivo di esclusione sociale e di dipendenza da altri. La situazione che si presenta è assimilabile a quella esistente in passato a causa dell’analfabetismo, un fenomeno capace di discriminare, anche socialmente, coloro che non sapevano né leggere né scrivere, da coloro che erano in possesso di tali facoltà. Gli ambiti dove l’impatto sulla quotidianità è più evidente sono: a) l’accesso alle fonti di informazioni, non più legato alla disponibilità del supporto materiale (libro) o al contatto diretto con l’esperto-competente, ma reso possibile dai vari “motori di ricerca” che analizzano i documenti “digitali” disponibili su internet; b) le relazioni interpersonali arricchite dalla “posta elettronica” (e-mail) che consente nuove opportunità oltre a quelle già conosciute, quali la posta tradizionale (trasferimento materiale di documenti), il telefono, il contatto diretto tra le persone stesse; c) l’appartenenza alla comunità garantita da una serie di relazioni di reciprocità e di scambi, arricchita, dalle “comunità virtuali” (web community), dove i contatti e i relativi legami sono affidati alla comunicazione elettronica. Queste nuove possibilità di comunicare e di informarsi non sostituiscono quelle attualmente in uso, ma si aggiungono a esse in una logica incrementale, finalizzata a migliorare la qualità della vita in tutte le sue dimensioni (appartenenza, responsabilità, libertà, partecipazione ecc.). Per rendere praticabili tali opportunità è necessario: 1) acquisire nuove competenze (non basta saper leggere e scrivere); 2) disporre di nuovi supporti tecnologici (computer e connessioni alle reti, che si aggiungono alla penna, al foglio di carta, al telefono tradizionale). I rischi che accompagnano tale nuova prospettiva sono il possibile impoverimento che le stesse nuove opportunità possono produrre. Le nuove applicazioni infatti introducono alcuni riferimenti concettuali, capaci di sostituirsi a quelli già esistenti, e questo non è sempre positivo, specialmente quando detti riferimenti creano nuove “dipendenze” o neutralizzano o inibiscono altri quadri, ricchi di significati, perché produttori di solidarietà, di prossimità, di convivenza ecc. bisogni e rischi per le persone anziane La situazione brevemente esposta trova ampi riscontri nelle persone anziane, specialmente in quelle che non hanno avuto l’opportunità e l’esigen-
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za di usare dette tecnologie nell’età del lavoro. Per loro il rischio di emarginazione è molto alto, pur essendo mascherato da una specie di giustificazione derivante proprio dall’età, vista come ostacolo o preclusione all’apprendere. Una giustificazione priva di fondamento e smentita dagli stessi principi che orientano i programmi di formazione lungo l’intero arco della vita (lifelong learning). D’altra parte le stesse persone anziane detengono un insieme di conoscenze e di riferimenti concettuali, acquisiti dalla loro stessa esperienza, che meriterebbero di essere trasmessi alle generazioni giovani. Il bisogno di apprendere da parte delle persone anziane si affianca quindi al bisogno di trasmettere ai più giovani le loro esperienze, provenienti dalla vita lavorativa, da quella familiare e sociale. In quest’ottica si maturano le condizioni per un approccio intergenerazionale al tema della formazione lungo l’intero arco della vita, dove l’apprendere e l’insegnare, corrispondenti al ricevere e al trasmettere, alimentano di fatto un unico meccanismo di reciprocità tra le generazioni. Anche per le generazioni giovani infatti il bisogno di apprendere, anche oltre i percorsi formali si accompagna al bisogno di trasferire le loro conoscenze, non frutto di esperienza, ma generate da aspettative. La mancata risposta a tali bisogni costituisce la premessa perché si manifestino i rischi di cui si è accennato, che ancora una volta interessano tutte le generazioni. Se per gli anziani sorge il rischio di emarginazione, per le generazioni giovani il rischio è di impoverimento, rispetto a tutto quanto appartiene alla tradizione e alle storie personali. Per tali motivi i processi di apprendimento che rispondono alle premesse fin qui esposte dovranno seguire due criteri guida: 1) la continuità, intesa come il superamento della frammentazione dei modelli di formazione tradizionali, che separano il momento dell’apprendimento da quello dell’applicazione. La continuità significa che l’apprendere e l’applicare sono due processi che si accompagnano lungo l’intero ciclo della vita; 2) la reciprocità, intesa come superamento della rigida gerarchia tra chi insegna e chi apprende e la consapevolezza che in ogni posizione sociale e a ogni età esistano le opportunità per insegnare e, nel medesimo tempo, per apprendere. Tale reciprocità si esprime tra persone diverse per età e per esperienze, diversità che non possono essere annullate, nemmeno sulla base di un principio teorico. Per questo si può parlare di una reciprocità “asimmetrica”, dove le diversità esistenti vengono riconosciute, gestite e valorizzate, proprio in una prospettiva di apprendimento continuo. il progetto Da questi presupposti, nasce la decisione dell’associazione Progetto Formazione Continua di organizzare un programma di formazione per avvicina-
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re le persone anziane al mondo di internet. Non soltanto dal punto di vista teorico, ma specialmente da quello operativo e pratico e quindi nella prospettiva di poter utilizzare le nuove competenze nei vari momenti della vita quotidiana. Ciò sarebbe potuto verificarsi rispettando alcuni presupposti e ponendo alcune condizioni che non possono essere date per scontate. Prima di tutto una breve presentazione dell’associazione Progetto Formazione Continua. È un’associazione di promozione culturale che opera a Padova e che da venticinque anni promuove attività di formazione per persone adulte e anziane, allo scopo di migliorare la qualità di vita e quindi concorrere a dare vita agli anni. Lo scopo che si prefigge è quello di aumentare le conoscenze delle persone, ma specialmente fornire a esse strumenti critici per poter leggere meglio la realtà in cui vivono. Per realizzare questo l’associazione non dispone di risorse proprie, per cui chiede la collaborazione delle varie agenzie di formazione, in particolare l’Università e il sostegno delle istituzioni che condividono le sue finalità (Comune, Provincia di Padova, la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, la Camera di Commercio di Padova). Con queste finalità è naturale che l’associazione si interroghi sull’universo di internet, per scoprirne i contenuti, per evidenziarne le potenzialità e i rischi, consapevole che una buona conoscenza sia utile a migliorare la qualità di vita delle persone anziane. Proprio nell’affrontare questo argomento è stato importante l’incontro con il progetto Senior’s Forum promosso dal Consiglio regionale del Veneto e sviluppato dall’associazione Aequinet di Padova, un incontro che ha evidenziato una sostanziale condivisione degli obiettivi. Anche per Aequinet infatti le competenze digitali costituiscono uno strumento che favorisce l’esercizio della cittadinanza attiva e coloro che ne sono privi rischiano di incorrere in processi di esclusione sociale. Le persone anziane sono tra queste fasce a rischio, per cui, secondo le premesse di Senior’s Forum, l’apprendimento all’uso di internet deve considerarsi un arricchimento di risorse per poter meglio esercitare il diritto di cittadinanza, in una democrazia partecipata. Proprio per i suoi contenuti il progetto ha il sostegno del Consiglio regionale del Veneto e il patrocinio dell’Ufficio Scolastico Regionale, sempre del Veneto. L’elemento più innovativo del progetto è peraltro il coinvolgimento delle scuole superiori, coinvolte come protagoniste dirette del programma di apprendimento. L’azione formativa infatti si è svolta presso le aule di informatica di alcune scuole, sotto la guida dei docenti della disciplina, ma con gli studenti nel ruolo di “docenti”. Questa scelta si fonda su alcuni criteri, rivelatisi fondamentali: 1) riconoscere alle scuole un ruolo nei programmi di formazione permanente e quindi un’apertura verso le problematiche della comunità, superando quindi i confini delle competenze tradizionali che riguardano la formazione curriculare dei giovani studenti. Le scuole quindi viste come agenzie formative in senso lato, cioè risorse (materiali e immateriali) attivabili in ordine a obiettivi di promozione e tutela della qualità della vita;
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2) riconoscere i giovani studenti delle scuole come titolari di alcune competenze (tecniche) trasmissibili a persone di altre generazioni; lo studente quindi visto non soltanto come soggetto passivo nel ruolo di ascoltatore e di allievo, ma anche in un ruolo attivo con la capacità di insegnare ad altri; in un ruolo di responsabilità che può bene completare il processo di maturazione, di cui è protagonista; 3) dare pratica attuazione al criterio dell’intergenerazionalità, accostando giovani e anziani per condividere gli obiettivi di un unico programma, dove le competenze tecniche dei giovani possono essere scambiate con l’esperienza e il patrimonio di saperi maturali nel vissuto delle persone anziane. In questo senso l’intergenerazionalità attiva un doppio flusso di comunicazione, corrispondente a quella che è stata poc’anzi definita “reciprocità asimmetrica”, flusso identificato con l’espressione “competenze contro esperienze”. In questo modo si sottolinea che ogni soggetto, in relazione alla propria appartenenza generazionale, è in grado di essere contemporaneamente allievo e docente, avendo qualcosa da insegnare e qualcosa da apprendere; 4) attivare migliorare il sito web dell’associazione sia nella sua funzione di trasmissione di informazione, che in quello di luogo virtuale di interazione e quindi di scambio e di comunicazione. Una condizione che dà credibilità al programma e consente di rendere continuativo apprendimento proprio attraverso la pratica operativa. L’ultimo elemento da richiamare è l’interesse per il progetto, esplicitato dalle istituzioni attraverso la concessione del patrocinio. Un interesse che rappresenta un segno di consapevolezza rispetto al significato dei programmi di lifelong learning in ordine agli obiettivi di inclusione sociale. Dal punto di vista organizzativo il progetto ha seguito un preciso percorso: a) il reclutamento dei partecipanti, sia sul versante delle persone anziane, che su quello dei giovani studenti. In ambedue i casi si è applicato inizialmente il criterio dell’autocandidatura con la successiva accettazione da parte dei responsabili dell’associazione Progetto Formazione Continua (per le persone anziane) e dei docenti delle scuole disponibili per quanto riguarda gli studenti. L’accettazione è risultata necessaria non soltanto per ragioni quantitative (il numero massimo consentito era di 40 persone anziane e altrettanti giovani studenti), ma anche qualitative rispetto al grado di conoscenze già esistenti in materia di informatica. Proprio da questo punto di vista si è accertato infatti che alcune persone anziane possedevano già le conoscenze elementari per l’uso del computer e desideravano approfondire e migliorare la navigazione; mentre altre erano del tutto digiune della materia e quindi richiedevano un approccio di alfabetizzazione vera e propria. Per analogia le candidature degli studenti erano sottoposte all’accettazione da parte dei docenti della scuola, che dovevano valutare la consistenza della motivazione e la sufficienza delle conoscenze tecniche per partecipare al progetto; b) una breve presentazione del progetto per condividere le finalità e il significato e per stabilire i criteri da rispettare per ottenere risultati adeguati;
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c) la costituzione dei gruppi delle persone anziane e la relativa assegnazione alle rispettive scuole di riferimento (per un totale di quattro scuole). Presso le scuole i gruppi delle persone anziane si sono incontrati con i corrispondenti gruppi di studenti. In modo spontaneo si sono formate le coppie (una persona anziana per ogni giovane studente); queste hanno preso posizione davanti a una postazione informatica e si è avviato il rapporto, fondato sulla comunicazione e finalizzato da un lato alla reciproca conoscenza e dall’altro all’apprendimento all’uso dell’informatica nelle sue diverse applicazioni. Il docente della scuola si è riservato il compito di guidare, monitorare e supervisionare l’azione lasciando comunque la massima responsabilità dei risultati alle coppie (giovani e anziani) protagoniste. alcuni risultati I risultati raggiunti dalla sperimentazione sono stati più che soddisfacenti, proprio perché non si sono limitati a trasmettere alle persone anziane competenze tecniche sull’uso del computer e sulla navigazione in internet. Risultati che pure sono stati ottenuti. Infatti, pur lentamente, alcuni anziani che hanno partecipato alla sperimentazioni hanno iniziato a intervenire nel blog aperto sul sito dell’associazione per continuare la discussione di argomenti trattati nei programmi di formazione. Nel medesimo tempo si sta incrementando la e-mailing list degli iscritti all’associazione che consente una comunicazione più tempestiva sulle iniziative varie e sulle informazioni sul progetto. Ma si sono ottenuti anche risultati sul piano delle relazioni tra generazioni diverse che si incontravano per raggiungere un medesimo obiettivo. L’esperienza infatti ha contribuito a modificare le opinioni che gli anziani avevano dei giovani e viceversa e ha migliorato il senso di autostima, specialmente negli anziani. Alcuni di tali risultati sono stati evidenziati dalla valutazione effettuata al termine della sperimentazione stessa. Il contenuto specifico del progetto era apprendere l’uso di internet, ma lo scopo era anche quello di favorire lo scambio tra generazioni. Su questo argomento, al termine degli incontri, è stato somministrato un questionario di valutazione. Il 37% degli anziani, proprio grazie a questo rapporto diretto con i giovani studenti, “hanno cambiato idea in meglio ” sul loro conto; il 53% degli studenti hanno risposto nello stesso modo; hanno cambiato idea in meglio. La partecipazione al progetto ha avuto dei riscontri sul versante dell’autostima; il 37% degli studenti dà un voto tra 8 e 10 al loro grado di autostima, mentre il 50% degli anziani dà un voto tra 6 e 7. Molto positivo invece, per ambedue i gruppi, la valutazione data al rapporto tra le età, sia in termini di “confidenza nei rapporti” che di “rispetto delle differenze”. Al riguardo i due gruppi evidenziano risultati molto simili tra loro (voto tra 8 e 10).
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Sia i giovani che gli anziani dichiarano che l’esperienza vissuta ha rafforzato il criterio del “dialogo nell’affrontare i problemi” (quasi il 55% dei due gruppi dà una valutazione tra 8 e 10). Un analogo punteggio, proveniente però dal 70% dei partecipanti, viene data all’esperienza vissuta come “ascolto di un’altra persona”. Ancora più elevata la percentuale (86%) di coloro che danno un voto tra 8 e 10 all’“apprezzamento delle capacità di un’altra persona”. Viene valutata l’esperienza con voti tra 8 e 10 anche in rapporto alla confidenza e contemporaneamente al rispetto verso altre persone di età diversa; e questo sia per le persone anziane che per i giovani studenti. Interessante la disponibilità e il desiderio di fare altre esperienze simili: due anziani su tre si dichiarano interessati; gli altri non sanno. Più incerti i giovani studenti dove il dubbio riguarda il 58% dei partecipanti forse anche perché la loro scelta è molto condizionata dalla disponibilità delle scuole a effettuare tali progetti. Quasi tutti peraltro (90%), sia le persone anziane che i giovani studenti, ritengono la scuola il luogo adatto per sviluppare tali progetti. le fonti di riferimento Prima di concludere, corre l’obbligo di citare le fonti da cui il progetto illustrato ha tratto ispirazione. Nel corso del 2008 e 2009 l’associazione Progetto Formazione Continua ha partecipato al progetto europeo LLL Grundtvig Cross Ages (134442-2007IT) Inter-generational learning: from diagnostic to impact evaluation, sviluppando il tema della formazione continua secondo l’approccio intergenerazionale. Un progetto guidato dalla professoressa Rossana De Beni del Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova, che ha visto coinvolti altri partner italiani (Confindustria Veneto SIAV) e partner di altri paesi europei (Università di Bochum, CEFORALP di Lione, IREA di Timisoara). Nell’ambito di tale progetto sono state elaborate le linee guida per sviluppare programmi di apprendimento continuo, secondo l’approccio intergenerazionale; linee che sono state utilizzate anche nel programmare l’iniziativa che qui è stata presentata. Un altro importante riferimento è stato fornito dall’Agenda di Lisbona, che nel 2000 ha indicato le principali linee di sviluppo per gli Stati aderenti all’Unione Europea. L’Agenda di Lisbona rileva prima di tutto la particolare fase di cambiamento che il sistema produttivo sta attraversando, che investe da un lato il sistema di medie e piccole imprese che costituiscono la spina dorsale dell’economia europea e dall’altro la necessità di mantenere una competitività nel macro-sistema potenziando e sviluppando in particolare la ricerca scientifica in tutte le sue possibili direzioni. Tale aspetto si intreccia con un altro punto rilevante e cioè il cambiamento
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demografico che attribuisce, proprio all’Europa, i più alti indici di invecchiamento della popolazione. I due punti alimentano una situazione relativamente nuova che investe contemporaneamente lo scenario delle politiche di sviluppo economico e quello delle politiche sociali. A livello economico si registra una crisi rispetto agli obiettivi della piena occupazione, causati dalle dinamiche di entrata dei giovani nel mercato del lavoro e dai movimenti migratori e contemporaneamente una tendenza a espellere precocemente dal mercato del lavoro i lavoratori anziani, senza valutare propriamente il loro potenziale umano e professionale ancora esistente. La condizione che si genera non si riflette soltanto nelle politiche economiche e del lavoro, ma anche nelle politiche sociali e precisamente nei meccanismi che costruiscono e mantengono l’appartenenza sociale. Per le fasce di popolazione escluse dall’attività lavorativa infatti c’è il rischio di esclusione sociale, che produce disagio e sofferenza sociale, al quale occorre rispondere con politiche e azioni di inclusione sociale. Ciò vale in particolare per le persone anziane, per le quali occorre sviluppare politiche di “invecchiamento attivo” (active ageing), seguendo gli indirizzi e le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Unione Europea. Politiche che riguardano da un lato le modalità e le strategie per uscire dal mercato del lavoro propriamente detto, dall’altro l’organizzazione della vita quotidiana, che trova nell’ambiente sociale il contesto nel quale esprimersi. Il terzo punto si riferisce ai contenuti dell’innovazione sempre più fondati sulle conoscenze, sui meccanismi che le producono e sulle strategie che le gestiscono, utilizzando sistemi tecnologici avanzati (ICT), capaci da un lato di superare ogni forma di divisione e dall’altro di produrre, essi stessi, divisioni, nei confronti di coloro che sono esclusi dal loro utilizzo. Sono sufficienti questi brevi richiami per far emergere il ruolo e il significato che hanno le politiche di lifelong learning nelle strategie di Lisbona. In particolare per promuovere e sostenere l’invecchiamento attivo, per valorizzare il capitale umano e per ridurre le divisioni di genere, età, cultura e paese di appartenenza. alcune conclusioni Dall’attività svolta nel suo insieme si possono trarre alcune conclusioni, che costituiscono un riferimento importante per proseguire e per sviluppare anche in futuro il programma di formazione lungo l’intero arco della vita. La prima di queste riguarda la validità del modello seguito. Esso ha prodotto risultati apprezzabili, segno che i criteri logici con cui è stato costruito sono anche in grado di generare azioni concrete dotate di senso. È quindi plausibile sostenere la sua ripetibilità nei prossimi anni, sia a Padova che in altri contesti urbani e non urbani.
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Il ruolo degli enti intermedi Nell’iniziativa c’è stato un coinvolgimento formale delle istituzioni, interpretabile come una condivisione degli obiettivi che si intendevano perseguire. Certamente non si può affermare che tale condivisione possa coincidere con un cambiamento nelle linee politiche dei vari settori interessati. Ciò che preme rilevare però è che tale condivisione è il frutto di un processo di maturazione attivato da attori privi di responsabilità istituzionali e privi anche di rappresentanza formale. Soggetti però capaci di attivare processi di responsabilizzazione a livello istituzionale o in forza di conoscenze maturate dalla ricerca e dallo studio o per una consapevolezza di bisogni emergenti, maturata all’interno della società civile a cui tali soggetti appartengono. Si tratta di un ruolo relativamente nuovo, che trova la sua legittimazione nel principio di sussidiarietà e che induce detti soggetti a superare i meccanismi di autoreferenzialità che facilmente si sviluppano al loro interno. Un ruolo che si esercita attraverso azioni di empowerment sociale vero e proprio, rivolte a contesti definiti (comunità locali) e che perciò possono influenzare gli stessi processi decisionali delle politiche locali e le relative agende. Le resistenze culturali I modelli culturali dominanti presentano ancora alcune resistenze, ai fini di intraprendere una politica di LLL. Manca ancora una chiara consapevolezza in ordine agli obiettivi del lifelong learning sia in contesti organizzativi definiti (imprese o enti pubblici), sia, a maggior ragione, in contesti aperti coincidenti con le comunità locali. Ciò significa che la diffusione del modello LLL non deve considerarsi un’operazione di tipo tecnico o di semplice diffusione documentaristica. Essa deve collocarsi all’interno di progetti di promozione culturale, capaci di promuovere nuove consapevolezze e nuovi significati. La stessa espressione “inclusione sociale”, che costituisce comunque lo sfondo delle politiche di lifelong learning, dà una prospettiva nuova alle politiche sociali e si rivolge a tutte le fasce di età, in quanto non considera semplicemente i bisogni tradizionali di assistenza, propri dei modelli di welfare, ma include il bisogno di appartenenza sociale, connotato sostanzialmente di elementi immateriali, quali le conoscenze e le relazioni sociali. Lifelong learning quindi, non una semplice estensione nel tempo delle politiche di apprendimento, sviluppate dalle istituzioni formative, dalle scuole primarie all’università; esso è un processo continuo che riconosce nuove funzioni e nuovi approcci anche a dette istituzioni, che vanno oltre i semplici confini di settore. È evidente l’esigenza di coordinare le politiche di settore e di integrarle tra di loro, così che le singole decisioni politiche possano misurarsi rispetto agli effetti prodotti e producibili nel network, di cui sono parte. La questione non è di carattere operativo, dove è facile trovare le soluzioni adeguate per
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affrontarla; sono piuttosto gli aspetti culturali che vanno promossi e sviluppati, gli unici che riescono a dare senso e significato alle pratiche. L’efficacia degli strumenti L’efficacia degli strumenti utilizzati nella realizzazione del progetto si misura specialmente nelle dinamiche delle relazioni intergenerazionali. Gli strumenti non sono, per se stessi, produttori di cambiamento, ma si prestano a veicolare contenuti di cambiamento in modo più o meno efficace. Se gli strumenti all’interno di una relazione sono patrimonio esclusivo o prioritario di una parte, è difficile che la relazione si sviluppi secondo una logica di reciprocità; la componente che detiene lo strumento tenderà a dominare l’altra parte, enfatizzando la monodirezionalità della relazione. La reciprocità è invece favorita, se si adottano strumenti e metodologie che possano facilitare i rapporti bidirezionali. Non si tratta di appiattire o non riconoscere le differenze che ogni generazione porta con sé, forzando un principio insostenibile di parità. Le generazioni sono diverse, né le azioni di lifelong learning hanno il compito di renderle tutte uguali. L’arricchimento avviene proprio attraverso lo scambio che si sviluppa tra generazioni, in forza del principio che ogni generazione può imparare qualcosa da un’altra, ma anche può insegnare qualcosa a quest’altra. In questo senso non sono importanti soltanto i contenuti, che anzi spesso possono essere motivo di scontro, ma gli strumenti e le metodologie che si usano per approfondire e trasferire detti contenuti. Vanno lette in questa direzione le scelte fatte nell’attuazione del programma, che hanno messo a confronto le posizioni di gruppi generazionali diversi, superando inevitabili pregiudizi e adottando strumenti di comunicazione facilitanti i rapporti, come è avvenuto creando un “set uno a uno”, all’interno del quale si è sviluppato lo scambio “competenze contro esperienze” sia nella dimensione formale, che in quella informale.
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anna agostini, michele sbrissa EDUCARE AL TERRITORIO, EDUCARE CON IL TERRITORIO: URBANISTICA, PARTECIPAZIONE E NUOVE TECNOLOGIE ALL’INTERNO DEL PROGETTO CIVIL LIFE
In mezzo alla città di cemento e asfalto, Marcovaldo va in cerca della natura. Ma esiste ancora la natura? Quella che egli trova è una natura dispettosa, contraffatta, compromessa con la vita artificiale. Personaggio buffo e melanconico Marcovaldo è il protagonista di una serie di favole moderne. [...] non è mai pessimista, è sempre pronto a riscoprire in mezzo al mondo che gli è ostile lo spiraglio d’un mondo fatto a sua misura, non si arrende mai, è sempre pronto a ricominciare. [...] L’idillio “industriale” è preso di mira allo stesso tempo dell’idillio “campestre” [...]. L’amore per la natura di Marcovaldo è quello che può nascere solo in un uomo di città: per questo non possiamo sapere nulla d’una sua provenienza extracittadina; questo estraneo alla città è il cittadino per eccellenza. (I. Calvino, Marcovaldo, ovvero le stagioni in città, Einaudi, Torino 1966; tratto dalla prefazione dell’autore stesso alla prima edizione)
il contesto disciplinare e culturale. quale contesto? L’Italia è un paese in cui l’urbanistica è riuscita a ritagliarsi un ruolo centrale nella storia del paese fin dalla prima metà del Novecento, un ruolo di protagonista tra le professioni e i saperi. Questo è certamente imputabile alla tradizione antica, legata al sapere architettonico unico e ricchissimo del nostro paese, ma nel contempo a una dinamica condizione socio-economica in cui il territorio della penisola e questo sapere eclettico e sfaccettato, che ancora ricercava una sua identità, si sono trovati nel ruolo di coprotagonisti in una trama sociale in rapidissimo sviluppo. Una disciplina giovane, giovanissima, collocabile in quell’Ottocento in cui i drammi della rivoluzione industriale sotto il profilo delle qualità di vita nelle città, stavano diventando insostenibili. L’urbanista si è posto nel tessuto culturale e sociale del paese come un professionista colto, tecnicamente preparato, spesso personalmente coinvolto in ruoli centrali del dibattito culturale del suo tempo, traducendo spesso tutto ciò in militanza politica e impegno sociale. Le teorie urbanistiche, gli approcci a questa disciplina e gli immaginari progettuali, nati e cresciuti nel nostro paese tra gli anni cinquanta e gli anni settanta, debordati in alcuni casi fino alla fine degli anni ottanta, sono stati l’humus di riferimento per una parte di classe tecnico-dirigente che ha fatto dell’urbanistica e della pianificazio-
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ne il proprio lavoro, ma nel contempo hanno costituito i riferimenti più importanti per molti dei protagonisti contemporanei della disciplina a livello mondiale. Architetti dello star system, figli di quei maestri eclettici e sperimentatori, visionari e utopisti nel senso più radicale del termine, architetti odierni, globalizzati e globalizzatori, portatori di immagini spesso patinate e autoreferenziali, sempre più viaggiatori-colonizzatori, con forme, colori e materiali che accompagnano sempre più il marchio dell’architettura in ogni angolo del mondo, con buona pace del vecchio e malconcio contesto. Quell’Italia qui appena accennata, ha saputo, pur tra mille contraddizioni, proporre delle traiettorie di sviluppo, spesso sbagliando o lasciando cogliere ad altri i frutti di quelle riflessioni; è stata in grado di far arrivare fino a oggi il lavoro e le visioni sul tema della città e del territorio di personaggi diametralmente opposti, trovandosi immersa e protagonista a livello internazionale in un dibattito creativo e critico senza precedenti. L’Italia di quarant’anni fa era un paese in cui l’economia pedalava a gran velocità, in cui il progresso offriva speranze per il futuro, in cui le grandi città invase dalle auto private si scoprivano a inseguire un mondo che stava correndo come mai prima d’allora. Nello stesso tempo c’era chi di quel progresso percepiva i lati più critici, i fattori meno espliciti ma che alla lunga avremmo scoperto essere fatali per noi e per le nostre città: perdita della memoria storica dei luoghi, urbanizzazione selvaggia, sfaldarsi dei legami sociali, in questo letteratura e cinema ebbero una grande funzione: Pasolini, Visconti, Steno, solo per citarne alcuni. Quelle storie e quelle vicende, quel paese, attraverso stagioni tragiche e drammatiche, tra sviluppo economico e disuguaglianze crescenti, tra il mito del posto fisso e una società sempre più incerta nel suo rapidissimo mutare, è arrivato fino a oggi portandosi appresso un territorio che ha fatto sempre da sfondo, da sottile traccia, sempre presente e solo di rado protagonista. Senza di essa tutta questa storia non sarebbe stata la stessa, o forse non sarebbe nemmeno mai stata narrata, ma proprio a causa di questa storia, ci ritroviamo oggi a dover ripensare, riconsiderare radicalmente e con urgenza, il ruolo che spetta al nostro territorio e a chi di esso ne fa un mestiere. In considerazione di condizioni al contorno totalmente diverse, distorte e difficili da decifrare, in cui forse, una nuova stagione di cura, attenzione, cultura e progetto del territorio, può diventare risorsa strategica fondamentale per ricucire e dare senso ai frammenti di città che compongono il nostro paesaggio contemporaneo. il territorio del progresso, il territorio del consumo: la città diffusa tra i piani urbanistici e le pratiche urbane Fino agli anni ottanta e per buona parte dell’ultimo decennio dei novanta, il territorio è stato un palinsesto in cui il singolo e la collettività hanno trovato uno spazio per la realizzazione di un progetto imprenditoriale, sociale, collet-
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tivo, che rispecchiava, traduceva, delle pratiche sociali ed economiche in una mappa stampata sul terreno, attraverso aree industriali, lottizzazioni residenziali, aree a servizio, opere d’interesse pubblico. Per tutto il secondo dopoguerra, in modo quasi sempre caotico e irregolare, al di là e nonostante il perenne tentativo dell’urbanistica di governare il fenomeno, questo è stato il pericoloso crinale su cui si è concretizzata la crescita delle nostre città, l’urbanizzazione delle nostre campagne, l’edificazione in aree spesso non idonee, con frequenti cadute rovinose da quello stesso crinale, che hanno causato e tutt’oggi causano delle tragedie tanto frequenti quanto incontrollabili. Questo scenario, che non ci interessa approfondire in questa sede, è tuttavia la testimonianza chiara di una fase storica in cui una nuova colonizzazione del territorio, da parte di interessi, funzioni, soggetti, assolutamente inediti, ha tradotto delle pratiche sociali consolidate o in pieno sviluppo in quartieri, sobborghi, grandi aree industriali e nuove città. Proprio su queste pratiche vorremmo soffermarci, sul fatto che, al mutare di esse sia cambiato repentinamente il nostro atteggiamento verso il territorio che ci circonda, sia aumentata l’esigenza di descriverlo, catalogarlo, comprenderlo; mentre prima, forse travolti da uno slancio progressista miope e frettoloso, lo assumevamo come oggetto a priori, come dato scontato, semmai da utilizzare, capitalizzare. Nel territorio (certo non solo quello italiano, ma nel nostro caso possiamo notare alcuni fattori con maggiore chiarezza), si consolidano progressivamente a partire dagli anni novanta delle pratiche che trovano riferimenti su scenari sempre meno locali e sempre più globali, che si fondano su una logica di consumo più che di investimento, sempre meno ascrivibili a gruppi sociali, a ceti economici, a specifiche identità territoriali. Di questa condizione ne dà un’immagine illuminante il concetto di modernità liquida di Bauman, uno slittamento, un’accelerazione rapida nel cambiamento di alcune condizioni fondamentali nella vita e nella percezione del nostro ruolo-senso nella società, come cittadini e come urbanisti, nella comunità, nel territorio che viviamo, slittamento all’interno del quale siamo oggi pienamente immersi. Sociologi e antropologi contemporanei hanno scritto pagine molto chiare per descrivere tutto ciò: una condizione di liquefazione di norme e forme di regolamentazione delle relazioni sociali, sia autoprodotte che detenute dal pubblico, di un sistema di welfare che fatichiamo a definire, quand’anche esistesse ancora, in cui si aprono innumerevoli e infinite condizioni di arbitrarietà, in cui le relazioni e gli equilibri precostituiti divengono spesso conflitti, direttamente connessi alla riduzione di gradi di libertà acquisiti dal singolo e dalla collettività in fasi storiche immediatamente precedenti. Tutto ciò si traduce in una strisciante incertezza per un progresso a cui non si guarda più come elemento di slancio, crescita, miglioramento delle condizioni di vita, ma piuttosto come treno da cui non si deve rischiare di rimanere a terra lottando giorno dopo giorno; tutto ciò a scale e su piani infinitamente diversi e difficili già da definire, figuriamoci da controllare, soprattutto se contiamo che questo controllo possa arrivare dal piano, dal progetto
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pubblico, primo testimone e protagonista di questa fase critica e incerta. Il denominatore comune, il filtro, la lente, attraverso cui è stato proposto di seguire attivamente questa riflessione è il rapporto (sottolineiamo il rapporto e non i singoli termini presi singolarmente) tra due concetti, già crediamo sottintesi in molte delle questioni emerse, che pervadono la contemporaneità, l’immaginario urbano, anche in modo implicito e sotto termini diversi, in modo quasi totalmente banale e aprioristico, spesso naif, le due parole sono: partecipazione e informale. Esiste una tradizione lunga e densa a cui poter ricorrere per indagare il senso e le radici di questi approcci, esperienze d’avanguardia e sperimentazione più o meno riuscite, casi studio significativi che attraversano gli anni dal dopoguerra fino ai primi anni ottanta. Il bacino di riferimento è riferibile a esperienze inizialmente anglosassoni e americane poi rapidamente sviluppatesi secondo due strade maestre, da un lato in paesi in via di sviluppo dall’altro in ambienti d’avanguardia e sperimentazione del mondo occidentale tra gli anni sessanta e settanta, che hanno picchi teorici e sperimentali estremamente interessanti anche nel nostro paese, su cui in questi ultimi anni si sta ritornando in modo massiccio (si pensi al nuovo corso dato da Mendini alla rivista «Domus»). Una delle ipotesi di fondo da cui muove questa necessità di nuove proposte in merito alla pratica dell’indagine, dello studio e della conoscenza del territorio, è la convinzione che esista un palese fraintendimento, per certi versi resosi esplicito proprio attraverso le mutate condizioni socio-culturali della civiltà contemporanea, sul tema del working with the people (lavorare con le persone, sinonimo in questo caso di partecipazione) che deriva da una pluridecennale mistificazione del rapporto tra mezzi e obiettivi che riguardano le pratiche partecipative in senso lato. Oggi stiamo vivendo una sorta di sincope in cui non abbiamo forse nemmeno parole adeguate per descrivere dei fenomeni. Quasi frustrati dall’avere tecniche raffinate, strumenti collaudati attraverso innumerevoli best practice, tecnologie che consentono mai come prima di lavorare secondo principi di interazione, coinvolgimento e condivisione delle informazioni: ma non sappiamo come utilizzarli e che cosa fare esattamente con essi. Stiamo affrontando questa situazione in un modo nel contempo accademico e tecnicista, burocratico o volto alla mera contestazione. Partecipazione e informale, combinate implicitamente o esplicitamente sono sempre più parte dei processi attivi di trasformazione della città, dei suoi spazi e degli attori che vivono tale trasformazione quotidianamente. Sperimentare nuovi approcci nell’avvicinarsi ai temi dell’urbanistica e del territorio, anche sotto il profilo didattico rivolto a giovani e ragazzi, passa oggi attraverso un riposizionamento al centro del ruolo e delle responsabilità dell’individuo, come singolo cittadino e come appartenente a una società che deve ristabilire degli equilibri nuovi per poter affrontare con consapevolezza ed efficacia le sfide della contemporaneità e i paradigmi spesso retorici della sostenibilità. Questo assunto ha fatto da sfondo a quella parte del lavoro del progetto Civil Life che ha posto al centro il tema della sostenibilità e della partecipa-
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zione a scala territoriale, cercando di immaginare e mettere in pratica un percorso che fosse in grado di porre al centro i ragazzi e la loro capacità di riflettere, creare immagini e osservazioni critiche attorno al territorio che li circonda. sostenibilità, giovani e scuola: una strategia da inventare Sul solco delle riflessioni fin qui enunciate, il progetto Civil Life si è scontrato fin da subito con l’esigenza di portare a un grado di comprensione e interazione il più elevato possibile le tematiche enunciate. Come portare ragazzi alla soglia della maturità a interessarsi di queste tematiche? Come farli riflettere in modo costruttivo e alla loro portata sulla città che ogni giorno percorrono e utilizzano? Quali strumenti offre la contemporaneità, quali tecnologie? Avvicinarsi a tali questioni, tentare degli approcci innovativi e costruttivi, lavorare per coinvolgere e attrarre i futuri cittadini a questi temi è compito dell’urbanista, dell’urbanistica? Partiremo affrontando quest’ultima domanda, la risposta chiaramente è sì. Certo non poteva che essere così, ma questa affermazione a prima vista scontata, si basa su un inedito e necessario interrogarsi da parte di un team di giovani professionisti e ricercatori, su quale sia il loro reale ruolo all’interno di una disciplina, di un dibattito che non è e non deve essere solo accademico e professionale. Un dibattito che saprà trovare terreno fertile quanto più saprà diventare oggetto di interesse collettivo, tema di confronto e discussione orizzontale e trasversale, occasione di crescita tutta da inventare e progettare per utenti nuovi rispetto solo a pochi anni fa, ragazzi che usano quotidianamente applicazioni cartografiche avanzate con i loro smart phone, ma che non hanno una minima educazione territoriale che li faccia orientare sulle complesse dinamiche che modificano letteralmente sotto i loro piedi, le città, i quartieri, il paesaggio urbanizzato, che attraversano ogni giorno. Per quanto riguarda tutte le altre domande che sono state proposte, il progetto di Civil Life tenta di indicare delle possibili strade da seguire, non pretende certo di fissare strategie o regole generali, ma suggerisce azioni, indica direttrici, mantenendo una costante attenzione alla verifica in itinere del percorso e alla correttezza metodologica di base. Il progetto è strutturato fin dalla fase di progetto, sui principi del laboratorio interattivo, dedicato all’urbanistica e all’educazione, alla partecipazione territoriale. L’istituto protagonista di questa esperienza, che ora si sta ampliando nel territorio attraverso una piattaforma open source, è stato l’ITG Belzoni-Boaga di Padova, una realtà storica e consolidata ben oltre i confini della provincia patavina, protagonista da sempre di sperimentazioni d’eccellenza e con una dinamica organizzazione interna, aperta a collaborazioni e contaminazioni, nel rispetto dei programmi ministeriali. Questa esperienza condotta sotto la supervisione dello staff dell’associazione Fram_menti, ha fatto tesoro di attività di ricerca in corso presso l’Università IUAV di Venezia, nonché di un
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patrimonio di pratiche sperimentate sul campo con comuni ed enti territoriali di vario livello. La risposta all’incertezza tratteggiata nei paragrafi precedenti è stata quindi, innanzitutto, un atteggiamento proattivo di lavoro orizzontale con ragazzi e docenti coinvolti, che hanno partecipato con entusiasmo e competenza a due anni di lavoro, svolti tra le mura dell’istituto e attraverso un’appropriazione concreta degli spazi della città, sotto molteplici punti di vista e prospettive. Alla luce di tutto ciò alcune questioni sono state poste al centro del percorso didattico-formativo, collocando sotto una prospettiva inedita tematiche antiche ma sempre attuali, a fianco di nuove e attuali sfide: – Qual è il ruolo dell’urbanistica in uno scenario come questo, in cui innumerevoli soggetti, sempre più slegati tra loro sono materialmente attivi nella costante trasformazione del territorio, nella sua progettazione, pianificazione, antropizzazione, con una chiara frattura in due poli, chi subisce i cambiamenti e chi attivamente li mette in atto? – Esiste una possibilità per il piano, inteso come progetto pubblico-collettivo, di essere significativo ed efficace all’interno di un territorio urbanizzato in continua intensificazione di flussi materiali e immateriali, prodotti edili, manufatti ed enclave più o meno impermeabili all’intorno, in cui i gradi di libertà dei singoli, delle loro forme di aggregazione sociale e produzione di valori pubblici, sono in continua diminuzione? – Chi ha la titolarità di questo piano e come la detiene? Può una nuova cultura-educazione diffusa del territorio, che riparte dalle pratiche quotidiane e dall’ingresso di questi temi nei programmi d’insegnamento quantomeno secondario, essere una strada di avvicinamento innovativa a questi problemi? – La partecipazione diffusa di portatori d’interesse istituzionali e non ai processi di governo del territorio, può diventare uno strumento in grado di dare concretezza e fattibilità a piani di lungo periodo che sappiano essere sostenibili e condivisi? l’articolazione del progetto Lo scenario urbano contemporaneo si presenta come un sistema di relazioni ad alta complessità: al suo interno confluisce, si produce e si riproduce uno spettro sempre più ampio di differenze, punti di vista ed esigenze che articolano i problemi della vita collettiva e complicano il campo dell’intervento pubblico. In questo contesto la nozione di pubblico, come insieme delle azioni volte a soddisfare interessi collettivi, entra in crisi nella sua definizione al singolare. Diviene cioè sempre più difficile poter identificare in senso generale e in modo unitario bisogni, problemi e soluzioni a essi. Il coinvolgimento del solo punto di vista dell’attore istituzionale, formalmente responsabile della “produzione del progetto pubblico”, all’interno dei processi di immaginazione e costruzione di azioni appropriate a rispondere alle esigenze della collettività, diviene problematico: politiche volte a corri-
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spondere mediante un approccio normativo e burocratico alla domanda di pubblico, di interesse pubblico, di spazio pubblico, che proviene da una società sempre più disomogenea e articolata, si rivelano spesso insufficienti e inadeguate. Coinvolgere la popolazione nel processo di definizione degli scenari di sviluppo urbano della città vuol dire quindi indagare anche il processo spontaneo di continua tessitura delle trame urbane: gli intrecci di pratiche e narrative che definiscono l’organizzazione urbana e le sue regole, e creano allo stesso tempo vie di fuga, usi inconsueti, smagliature che generano occasioni d’azione. Queste sono le tematiche principali del lavoro organizzato e svolto dall’associazione Fram_menti all’interno del progetto Civil Life, specificatamente nella Settimana dell’urbanistica (vedi in Appendice); si vuole così, attraverso il confronto attivo di esperienze innovative di politiche urbane, ma anche ricostruendo il quadro teorico all’interno del quale queste esperienze si sono delineate, fornire uno spaccato dell’evoluzione dei sistemi e degli strumenti urbanistici nazionali e della Regione Veneto, costruendolo anche attraverso un confronto attivo con altre esperienze qualificanti riconosciute in altre Regioni d’Italia e in altri paesi d’Europa. Il progetto sul “governo del territorio” è stato realizzato attraverso una serie di attività che si sono svolte durante due anni scolastici e che hanno coinvolto i ragazzi delle classi quinte, i docenti di diritto, di progettazione e costruzioni, esperti di urbanistica, rappresentanti di enti locali, quartieri, Comune di Padova e Regione Veneto. Nella prima fase ogni docente, assieme agli alunni, ha analizzato gli argomenti di sua competenza, provvedendo di volta in volta anche alla verifica delle competenze e conoscenze acquisite: dai principi costituzionali che regolano l’attività amministrativa all’analisi degli atti amministrativi, dalla composizione e poteri degli enti pubblici territoriali all’iter di approvazione di una legge regionale, dalla legge urbanistica regionale del Veneto ai livelli di pianificazione, dall’attività edilizia al rilascio dei titoli abilitativi, dall’abusivismo alla sicurezza nei cantieri. Centrale nel progetto è stata poi La settimana dell’urbanistica, declinata nei due anni secondo due prospettive diverse, in cui si sono concentrati una serie di incontri di approfondimento accompagnati da passeggiate urbane e percorsi tematici, in cui i ragazzi hanno evidenziato punti di forza e di debolezza e avanzato proposte su alcune zone del centro storico di Padova, confrontandoli poi con i risultati dei percorsi partecipativi elaborati per la realizzazione del nuovo Piano di Assetto del Territorio (PAT) della città di Padova. Tale opportunità, prevista dall’articolo 5 della Legge urbanistica regionale n. 11/2004, ha consentito ai ragazzi di sperimentare la partecipazione e di riconoscere il loro ruolo di portatori di interesse e le potenzialità di questo loro ruolo al fine della redazione del nuovo strumento urbanistico. Le proposte emerse sono state esposte a rappresentanti delle istituzioni nell’aula consiliare del Comune di Padova, oltre che direttamente al responsabile della stesura del PAT e alla referente per il percorso partecipativo nel Quartiere Centro Storico, che hanno dialogato con gli alunni dando risposte concrete alle loro richieste.
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Anche la comunicazione di queste attività è stata curata, attraverso un piano ad hoc realizzato dai ragazzi stessi sotto la supervisione di dell’associazione Fram_menti, realizzando un progetto grafico accompagnato da comunicato stampa, al fine di esercitare anche la componente divulgativa di questi processi, cruciale per la loro riuscita. L’esperienza ha stimolato la capacità critica dei giovani attraverso il confronto tra principi e norme dell’ordinamento giuridico e la loro applicazione pratica, ha stimolato la partecipazione e consentito di avvicinare i giovani alle istituzioni con la possibilità di esprimere valutazioni metodologiche e tecniche in merito alle scelte di un piano in corso di approvazione. bibliografia AA.VV., Giovani e partecipazione, Franco Angeli, Milano 2005. AA.VV., Spaziare, voce del verbo farsi spazio!, Atti del convegno, Milano, 2006. AA.VV., Italia 60/70, una stagione dell’architettura, Il Poligrafo, Padova 2010. Z. Bauman, Vita liquida, Laterza, Roma-Bari 2005. C. Bianchetti, Urbanistica e sfera pubblica, Donzelli Editore, Roma 2008. C. Olmo, Architettura e novecento, diritti, conflitti, valori, Donzelli Editore, Roma 2010. P. Savoldi, Giochi di Partecipazione, Franco Angeli, Milano 2005. sitografia http://www.w3.org/2001/sw/ http://www.urbanhybridization.net/indexsite.htm http://www.urban-center.org/online/ http://www.worldchanging.com/archives/011489.html http://www.righttothecity.org/movement-resources.html http://ita.habitants.org/universita_popolare_urbana http://webarchive.nationalarchives.gov.uk/+/http://www.dius.gov.uk/skills/ engaging_learners/informal_adult_learning/white_paper.aspx http://en.wikipedia.org/wiki/Informal_education http://news.bbc.co.uk/2/hi/uk_news/education/6654935.stm http://www.alda-europe.eu/ http://www.portalecnel.it/
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antonio fossa STORIA LOCALE: UNA RISORSA PER IL VENETO DI OGGI E DEL PROSSIMO FUTURO
Nell’ambito delle finalità del progetto Civil Life trova modo di inserirsi a pieno titolo una pista che riguarda la Storia locale, sia perché risponde all’obiettivo di introdurre nell’insegnamento pratiche innovative e coinvolgenti, quanto per le possibili conseguenze sul piano formativo, per l’esplicita finalizzazione allo sviluppo, diffusione, potenziamento della “cittadinanza attiva”. problematicità dell’insegnamento della storia locale La Storia locale ha sempre sofferto un ruolo subordinato, o nullo, o finalizzato a obiettivi diversi da quelli formativi che le dovrebbero essere propri. Peraltro questa affermazione assiomatica potrebbe riguardare anche l’insegnamento della Storia tout court. Quello di voler piegare l’insegnamento della Storia a fini “ideologici” o “formativi” è un vizio di sempre, soprattutto di chi comanda. Ripercorriamo1 la breve storia del nostro stato per individuare i periodi e le finalità che di volta in volta sono state prescelte. Nella fase post-unitaria il problema era: «Abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli Italiani», ben espresso da Massimo D’Azeglio, che aveva in questo modo sottolineato la storica disarmonia fra regioni del nuovo stato nazionale con realismo, lui federalista, cugino di un altro famoso federalista quale Cesare Balbo. Dunque in quella fase lo scopo della Storia insegnata e non solo (si veda De Amicis e i noti contenuti di Cuore) fu ben chiaro, come recita la legge Casati2: l’insegnamento di questa disciplina comportava «l’esposizione dei fatti più notevoli della storia nazionale», fino a unirsi ai cori dell’imperialismo e del militarismo dei decenni fine Ottocento-primo conflitto mondiale. La fase successiva fu il tentativo di “fare i cittadini fascisti”, come ovviamente si poteva dedurre da Gentile: «Nella scuola lo Stato realizza sé stesso [...]. Per-
1 Lo facciamo sulle orme di Gianpier Nicoletti che ne ha parlato in una conferenza di qualche tempo fa. 2 Legge 13 novembre 1859, articolo 315, secondo comma.
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ciò lo Stato insegna e deve insegnare» 3. Per il filosofo ministro, lo stato è naturalmente lo stato fascista. Dopo il secondo conflitto, gli italiani da fare erano quelli “Democratici e repubblicani”: «La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali [...]»4 e peraltro «Tutela [...] il patrimonio storico [...] della nazione»5. Differentemente da prima, considera però libero l’insegnamento di arte e scienza6 e tra le scienze c’è anche la storia. Per tutte le ragioni storiche note della storia d’Italia (a prevalere fin dall’inizio fu un progetto di stato centralista, a perdere fu quello di stato federalista), l’insegnamento della Storia locale non venne mai preso in considerazione, l’università l’ha sostanzialmente ignorata e le pubblicazioni che la riguardano furono per lo più esito di pessimi studi agiografici molto approssimativi di parroci, maestri e farmacisti. Ci volle la rivoluzione degli storici francesi degli Annales, dal dopoguerra, e il lento travasare di quelle idee nella nostra scuola a dare fondamenta e dignità alla Storia locale, grazie anche al gran lavoro di associazioni di insegnanti come Clio ’92, e su scala veneta l’Associazione Veneta per la Storia Locale e altre realtà minori su scala provinciale, principalmente nelle province di Venezia, Vicenza e Treviso7. Al di là di queste meritorie azioni, di Storia locale le carte ministeriali si occupano pochissimo. Nelle Indicazioni nazionali del 20048, fra gli Obiettivi specifici di apprendimento del primo biennio (classi seconda e terza) della primaria compaiono le seguenti conoscenze e abilità disciplinari: «Testimonianze di eventi, momenti, figure significative presenti nel proprio territorio e caratterizzanti la storia locale». Fra gli Obiettivi specifici della scuola secondaria di primo grado vi è: «Distinguere tra storia locale, regionale, nazionale, europea, mondiale, e coglierne le connessioni, nonché le principali differenze».
3
Legge 31 dicembre 1923, n. 3126. Costituzione della Repubblica Italiana, articolo 33. 5 Costituzione della Repubblica Italiana, articolo 9. 6 Costituzione della Repubblica Italiana, articolo 33. 7 Un momento importante di questo periodo fu la presentazione della “Carta di Treviso” del 2002, sottoscritta da alcuni docenti impegnati in quest’ambito, fra i quali chi scrive, ricercatori IRRSAE e dal professor Ivo Mattozzi. Il documento si intitolava esattamente: L’insegnamento delle storie locali nel curricolo verticale di storia e l’occasione fu il convegno “Insegnare le storie locali nell’età della globalizzazione”, Treviso, 23-24 settembre 2002. Il documento è reperibile all’indirizzo http://cid03e8ba86e325e9cc.office.live.com/browse.aspx/Materiali%20della%20 formazione?uc=1. Il lavoro di quegli anni portò anche alla stesura di un manuale su come fare laboratori di storia locale: A. Fossa, G. Nicoletti, E. Peatini, Laboratori per fare Storia, Canova, Treviso 2004. 8 DL 19 febbraio 2004, n. 59, ministro Moratti. 4
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Gli Obiettivi specifici di apprendimento delle Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione del 20079, sostituiscono il precedente documento. Nell’area degli obiettivi di storia «I docenti [...] si soffermeranno su aspetti di storia locale, esperibili da vicino [...]». Negli Obiettivi di apprendimento al termine della classe terza della scuola secondaria di primo grado, sotto il titolo Organizzazione delle informazioni, compare «Collocare la storia locale in relazione alla storia italiana, europea, mondiale». Nelle superiori nulla. Senza soffermarci su un’analisi critica puntuale di questi pochi e incerti elementi, formuleremo solo qualche osservazione. – La Storia locale, fra il documento del 2004 e quello del 2007, perde quel poco di funzione di apprendimento che inizialmente le era riconosciuto. – La Storia locale è sempre giustamente correlata alla Storia delle altre scale. Negli ultimi anni, la crescente attenzione a cui è stata attratta l’opinione pubblica verso i temi del federalismo ha dato la stura a pubblicazioni e articoli giornalistici, per lo più di scarsa consistenza scientifica, orientati a dare fondamenta storiche alle ragioni di un regionalismo di stampo federalista che si contrappone al centralismo dello stato10. Nulla che possa avere a che fare con la scuola. Nel frattempo, lungo un percorso pedagogicamente e didatticamente attento, la scuola veneta ha sperimentato, seppur a macchia di leopardo, ma con una regia che faceva spesso riferimento all’istituto denominato in successione IRRSAE, IRRE e ANSAS, pratiche e applicazioni didattiche che hanno dato esiti particolarmente soddisfacenti per l’insegnamento. Recentemente, un progetto pilota nazionale11 voluto dall’ANSAS12 e realizzato in quattro province del Veneto nel 2009-2010 ha permesso di offrire un panorama vasto e ricco dello “stato dell’arte” nel corso di un seminario di presentazione degli esiti del progetto13, in attesa della pubblicazione di materiali e atti. Oltre a uno schema dell’articolazione dei contenuti e delle metodologie, si è giunti a prefigurare un curricolo verticale delle competenze storico-didattiche, dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria di secondo grado (le superiori),
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DM 31 luglio 2007, ministro Fioroni. Operazioni che ricordano la terribile pratica del potere totalitario (Il Grande Fratello...) di riscrivere la storia a posteriori, seguendo le proprie convenienze, che G. Orwell ripropone nel suo (almeno in parte) profetico 1984. 11 Il progetto è intitolato “Storia del Veneto, una Storia... maestra”. 12 Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica, ex IRRE e IRRSAE. 13 Il seminario si è svolto a Venezia il 21 maggio 2010, presso l’Ateneo Veneto, con la presenza del commissario straordinario dell’ANSAS dottoressa Stefania Fustagni, di autorità scolastiche e civili del Veneto, di ricercatori di vari nuclei territoriali (delle diverse regioni) dell’ANSAS e di insegnanti veneti. Gran parte degli interventi è visibile presso il sito di INDIRE: http://www.indire.it/galleria/veneto /index.html. 10
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che ovviamente è destinato a restare sulla carta in assenza di una sua assunzione in carico da parte degli organismi sovraordinati responsabili, o ad avere applicazione limitata. Può non essere secondario ricordare tuttavia che il curricolo delle competenze (quindi anche di quelle della disciplina Storia) è una delle colonne innovative del “Riordino delle scuole superiori” del MIUR, attualmente in corso. una premessa: l’importanza della storia, in generale Materia tra le meno amate dagli studenti, con la matematica, ai quali non si spiega né soprattutto si dà modo di comprenderne l’importanza, alla Storia e al suo insegnamento viene riconosciuto nella scuola un ruolo di secondaria importanza. Varrà la pena di svolgere solo qualche considerazione in questa sede per contrastare questo pensiero, rinviando e suggerendo opportuni approfondimenti14. Molto spesso, quando si vuole sottolineare l’importanza della conoscenza della Storia, vengono citate frasi come «Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla»15 del filosofo spagnolo di cultura statunitense George Santayana (1863-1952) o la quasi simile «Tutti coloro che dimenticano il loro passato sono condannati a riviverlo» di Primo Levi (1919-1987). Se, tutto sommato, ci venisse il sospetto che queste perentorie affermazioni siano state condizionate dalle terribili esperienze conosciute e vissute da questi personaggi nella prima metà del XX secolo, dovremo constatare che il classico e lapidario Cicerone (106-43 a.C.) fa risalire fin nell’antichità il senso profondo di questo pensiero: «Historia est testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis»16, cioè: «La storia è testimone del tempo, luce di verità, maestra di vita, messaggera del passato». Naturalmente bisognerà intenderci su cosa significhi “Storia”. Diversamente dagli antichi e dai più recenti autori citati, per noi oggi la Storia è la disciplina che studia il passato tramite l’uso di fonti, intese come portatrici di sapere. Trattasi quindi di scienza, che ha regole concrete di indagine in grado, se non di fornire un’impossibile ricostruzione incontrovertibile, quanto meno di restituire quanto a essa più prossimo. È una scienza quindi sufficientemente esatta, al pari delle altre, comprese quelle cosiddette esatte.
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Si può leggere un classico della riflessione sul problema: P. Bevilacqua, Sull’utilità della Storia per l’avvenire delle nostre scuole, Donzelli, Roma 1997. 15 La vita della Ragione (1906). 16 De oratore, Liber II, Cap. IX, 35.
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valore e importanza della storia locale nella formazione dei cittadini Nei processi di formazione della personalità, spicca la formazione dell’identità culturale, che ogni persona acquisisce dal proprio contesto, dagli elementi della società, della cultura e della memoria nei quali va formandosi, che peraltro non è un elemento potenzialmente granitico ma che si modifica e ridefinisce durante tutta la vita in una dinamica di relazione costante. Oggi l’identità culturale attraversa un periodo di crisi profonda un po’ in tutto l’Occidente (e forse non solo) e quindi anche in Veneto, a causa del rapido processo di omologazione dovuto all’azione formidabile dei massmedia, alla cancellazione della memoria storica, alle rapide trasformazioni socio-economiche, allo sradicamento originato dai consistenti spostamenti migratori, all’urbanizzazione dei modelli di vita. Questa crisi non è cosa indifferente, sia sul piano dell’individuo che della società, perché genera fragilità, incertezze e reazioni difensive facilmente riconoscibili, ad esempio, nei picchi estremi di comportamento che si impongono all’attenzione della cronaca quotidiana. In una società consapevole dell’esistenza e dell’importanza di questi problemi, è opportuno operare azioni di contrasto, quali porre in atto dei processi formativi che permettano di ridefinire, rielaborare o in casi estremi far riacquisire gli elementi fondamentali dell’identità culturale, epurata da quanto ne possa ostacolare lo sviluppo. In sostanza, si tratta di educare alla gestione di identità armoniche e compresenti: siamo contemporaneamente cittadini di Colbertaldo, veneti, italiani, europei e del mondo. Bisogna saper usare il “profilo” opportuno per affrontare la situazione che di volta in volta si presenta. I tratti che definiscono il processo di omologazione hanno ormai aspetti poderosi, mentre le azioni di contrasto appaiono ancora molto deboli, sia nella scuola che nella società. Il programma di “Cittadinanza e Costituzione” del MIUR o il progetto Civil Life del Consiglio regionale del Veneto, orientati a promuovere la solidarietà e il rispetto delle regole e delle leggi, svolgono opera meritoria, ma sembrano riuscire più a tamponare parzialmente ed episodicamente la situazione che non a vincere la sfida educativa. La limitatezza delle risorse messe in campo contrasta con le enormi risorse dei media, che sembra molto difficile piegare a logiche diverse da quelle del mercato, caratterizzate, come si diceva, dallo sviluppo dell’omologazione, non dalla conservazione di utili identità differenti. Né appaiono di alcuna utilità operazioni di nostalgica rievocazione dei tempi antichi o di “ritorno al passato”, e una pessima editoria di scarsa qualità scientifica e comunicativa, che non hanno presa sui giovani, tanto quanto l’insegnamento tradizionale e unidirezionale della storia17.
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Chiariamo, per evitare equivoci: si intende dall’insegnante all’alunno, dal manuale all’alunno. Le questioni ideologiche, talvolta evocate, qui non c’entrano.
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Serve invece una strategia concordata e condivisa, che coinvolga tutti i soggetti che possono rendersi utili: la scuola, le amministrazioni, l’accademia e l’editoria, cartacea e anche non. Serve un progetto, servono delle risorse, servono le volontà dei soggetti. Niente di meno. Per quanto riguarda la scuola, vi sono importanti esperienze sull’insegnamento della Storia locale e dei Beni culturali, alle quali ho accennato in precedenza. Grazie a un modello coinvolgente e interessante, di tipo operativo, il laboratorio di ricerca storico-didattica con l’uso di fonti, è possibile portare i giovani a conoscere la storia della propria terra e ad apprezzarne i beni culturali (artistici, architettonici, paesaggistici, tradizionali, gastronomici...), senza localismi esasperati, forti del rapporto diretto con la concretezza delle cose, che è l’unica arma per affrontare la sfida con le fantasmagoriche realtà virtuali. Un esempio per tutti? Studiare una bella villa veneta, visitarla con qualcosa da ricercare, avere delle curiosità e dare loro risposta18. L’insegnamento della Storia locale offre occasioni utili alla conoscenza del proprio territorio nei suoi vari aspetti, soprattutto se l’argomento viene affrontato in ottica pluridisciplinare, dove, ad esempio, la Geografia partecipa non tanto con un ruolo descrittivo, quanto esplicativo-problematico. La conoscenza è la base dei sentimenti positivi, dal rispetto all’amore, in grado di contrastare per bene atteggiamenti e comportamenti negativi e distruttivi, come sperimentato già molti anni fa per affrontare episodi di paleo-bullismo19. Prendere le mosse dal presente “e” dal locale facilita l’individuazione di tematiche interessanti e coinvolgenti, indagabili nel passato e dotate di fonti facilmente reperibili; l’utilizzo di un modello di ricerca laboratoriale permette di praticare operazioni cognitive e di assumere competenze che permettono di comprendere il passato per vivere consapevolmente il presente e saper progettare bene il futuro. Questo obiettivo costituisce la saldatura dell’importante contributo che la Storia locale può dare alla formazione della cittadinanza attiva. il destinatario: la società veneta È opportuno ritornare sui destinatari dell’azione di promozione della diffusione della Storia locale che è stata appena proposta. Discutendo del valore 18
Realizzato con il progetto “A Scuola in Villa” dall’IRRE-ANSAS Veneto in compartecipazione con la Direzione Beni Culturali della Regione e l’Associazione per le Ville Venete durante un triennio dal 2006 al 2008. Un interessante contributo accademico ci viene da Donatella Lombello in: D. Lombello, A. Lo Brano (a cura di), Inciampare nel problema. Il processo di ricerca dell’informazione nella Biblioteca Scolastica Multimediale, Imprimitur, Padova 2004. 19 In una scuola media di Conegliano (TV), nei primi anni novanta dello scorso secolo; esperienze non pubblicate.
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e della sua importanza, si è fatto riferimento quasi esclusivamente alla scuola, quindi ai giovani, naturalmente, ma sarebbe opportuno allargare l’impegno anche al resto della popolazione, almeno a quella adulta alla quale questi temi interessano dichiaratamente o potenzialmente. Due potrebbero essere gli effetti: allargare di parecchio il numero di persone coinvolte, e farlo in maniera economica. In particolare riuscire a produrre e a diffondere buone letture, scientificamente ineccepibili ma di taglio divulgativo, curate nel linguaggio e “attraenti”, dovrebbe prendere avvio da un progetto editoriale che coinvolga università ed editoria nella produzione di una collana che vada a toccare tutta la storia del Veneto. La diffusione potrebbe utilizzare anche canali molto popolari, favorita da una veste dignitosa ma economica. Per allargare ulteriormente l’azione, servirebbero buoni programmi televisivi di divulgazione, lontani dal noioso modello del tradizionale documentario e che guardino ai migliori format nazionali e internazionali di divulgazione storica. Agendo in questo modo, si verrebbe ad attuare un’azione molto vasta, mirata e concentrata nel tempo, i cui frutti potrebbero essere importanti. come insegnare storia locale a scuola: i laboratori Torniamo alla scuola e ai giovani. Perché fare laboratori? Una spiegazione sintetica essenziale ce la fornisce il vecchio filosofo cinese Kong Fuzi che già nel VI secolo a.C. affermava: «Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio imparo»20. Quali sono gli elementi che qualificano il modello didattico del laboratorio? Rimandiamo gli approfondimenti tecnici alla pubblicazione sul progetto “Storia del Veneto...” che sarà pronta per il prossimo anno scolastico, ma riteniamo che sia opportuno spiegare la struttura ed evidenziare la rete di relazioni che lo caratterizzano. Il laboratorio è sostanzialmente una simulazione didattica (quindi scolastica, finalizzata all’apprendimento e all’acquisizione di competenze) di quanto fa lo storico nel suo lavoro. Si semplificano alcuni passaggi attraverso un’opportuna progettazione, si adattano le prestazioni richieste al livello di competenza padroneggiato (quindi in linea di massima all’età), ma le fasi del lavoro dello storico sono ripercorse tutte, dall’individuazione di un tema interessante alla pubblicazione degli esiti della ricerca. Non c’è l’obiettivo di fare “tanti piccoli storici”, cosa che sarebbe ovviamente priva di senso, quanto far acquisire ai giovani strumenti operativi che permettono di sviluppare (si direbbe sinteticamente) “spirito critico”, e la ricerca storica è un campo assolutamente privilegiato per farlo.
20 Cosa sia successo all’educazione dopo Confucio dovrebbe essere oggetto di attenta riflessione. In questa sede ci limiteremo a dire che le sue parole, oggi, sono molto convincenti.
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Ma perché dia esiti positivi, è necessario che i protagonisti del lavoro siano gli alunni e che l’insegnante lasci il suo ruolo di dispensatore di sapere per assumere quello – peraltro determinante – di curatore del processo, ovvero di chi garantisce che il percorso preordinato, i tempi e gli impegni presi siano rispettati. Trattandosi non di uno storico al lavoro, ma di una squadra di ricercatori, il coordinamento operativo è indispensabile, per assicurare che la raccolta ordinata delle varie parti elaborate e la composizione del prodotto finale siano qualcosa di omogeneo e condiviso. Bisogna quindi dare spazio a fasi significative di “apprendimento cooperativo”21, fare in modo che ogni alunno abbia un compito interessante e che sia in grado di assolverlo, utilizzare mappe mentali condivise, socializzare di frequente lo stato della ricerca nel corso del suo svolgimento. Solo di passaggio, si noti la ricca dotazione di finalità educative generali (lavoro di gruppo, condivisione e compartecipazione e così via) che questo modello permette di perseguire e praticare. Il laboratorio prevede l’utilizzazione di fonti, di ogni genere necessario a produrre risposte alle domande della ricerca. Ciò comporta il reperimento e l’interpretazione delle fonti, soprattutto di quelle primarie22, e quindi la frequentazione di archivi, biblioteche, luoghi storici, musei, e l’interrogazione di testimoni (quando possibile). Una ricerca di questo genere rende quindi necessaria una rete di relazioni, rapporti, utilizzi che comprende necessariamente realtà al di fuori della classe sede della ricerca, con evidenti positive conseguenze sul piano educativo e formativo. Una sottolineatura particolare merita l’insieme degli elementi che si suole definire come “Beni culturali”, o “Patrimonio”23. Questi costituiscono i più evidenti indizi reperibili della Storia locale, ai quali non sempre viene attribuito quel valore che meritano, perché non possono competere con elementi importanti o selezionati come tali e deposti in quell’area dell’immaginario collettivo che tantissimo è condizionata dai media24. Le conseguenze possono condurre anche al degrado materiale,
21 Si tratta di pratiche per mezzo delle quali si impara, fra pari, per mezzo degli altri, dagli altri, con gli altri. Sembrerebbe a prima vista solo uno slogan, invece si tratta di uno strumento didattico potentissimo. 22 Ci sono molti modi di classificare le fonti. Alcuni sono auto-evidenti (ad esempio fonti materiali e fonti scritte): in questo caso meno. Dunque, per fonti primarie si intendono le fonti originali (un testo antico, un edificio storico, una foto), per fonti secondarie – generalmente scritte – si intendono principalmente i testi storiografici contemporanei (i libri di storia, i manuali scolastici, anche buoni film). 23 Suggeriamo la lettura di: A. Bortolotti, M. Calidoni, S. Mascheroni, I. Mattozzi, Per l’educazione al patrimonio culturale: 22 tesi, Franco Angeli, Milano 2008. Non si tratta solo di edifici storici e quadri notevoli, ma anche di paesaggi, tradizioni, dialetti, festività ecc. 24 Ad esempio, il piazzale della stazione ferroviaria di Thiene (piazza Ferrarin), con la fontana di Bacco e Arianna, non ha certo la rilevanza che riserviamo a piazza San Marco a Venezia. Tuttavia per i thienesi è un luogo molto importante.
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se non addirittura all’abbandono e quindi alla perdita del bene. A titolo di esempio, ricordiamo come la scoperta della potenzialità di un archivio di stato per una classe di aspiranti geometri, abbia costituito motivo di grande interesse e l’acquisizione di consapevolezza di dove fosse possibile trovare gli elementi per dare profondità storica a un edificio o a un territorio sul quale avrebbero dovuto progettare. Alcuni studenti che hanno svolto quell’esperienza qualche anno fa, la giudicano ancora oggi come fondamentale per la loro formazione professionale. Una diffusione di simili pratiche avrebbe prodotto (o produrrà) qualche obbrobrio architettonico, qualche saccheggio ambientale in meno? E, soprattutto, qualche cittadino consapevole in più? Vi è la fondata convinzione che la risposta a queste domande sia positiva, e che il progetto qui motivato ed esposto a grandi linee, abbia caratteristiche che lo potrebbero porre utilmente tra i “Lab” di Civil Life.
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IL PROTOCOLLO DI COLLABORAZIONE TRA CONSIGLIO REGIONALE E UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE
Consiglio Regionale del Veneto
MIUR - Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto
L’Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto, indicato nel prosieguo come USR - Veneto, con sede in Riva di Biasio - Santa Croce 1299, 30135 Venezia, rappresentato dal Direttore Generale Dott.ssa Carmela Palumbo e il Consiglio Regionale del Veneto, con sede in Palazzo Ferro Fini - San Marco 2322, 30124 Venezia, rappresentato dal Presidente Dott. Marino Finozzi Visto il DPR 8 marzo 1999, n. 275, Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche; Visto l’art. 1 (Cittadinanza e Costituzione) del decreto legge 137 del 1° settembre 2008, convertito in legge 30 ottobre 2008, n. 169; Visto il documento d’indirizzo del MIUR per la sperimentazione dell’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione”, prot. n. 2079 del 4 marzo 2009; Visto l’impegno programmatico del Consiglio Regionale sui temi dell’edemocracy e della partecipazione democratica dei giovani, attraverso il Portale di Terzo Veneto e la promozione del Progetto CIVIL LIFE; Vista la legge regionale n. 1 del 30 gennaio 2004 che stabilisce, all’art. 57, che la Regione, al fine di concorrere ad elevare la qualità della scuola veneta, in coerenza con il processo di riforma e con gli orientamenti programmatici generali, promuove, favorisce e sostiene azioni direttamente o in collaborazione con associazioni, enti, istituzioni, università, altri soggetti o istituzioni scolastiche pubbliche e paritarie, singole o in rete tra loro;
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Considerato l’obiettivo di implementare e dare continuità al rapporto di collaborazione avviato in occasione di Exposcuola 2008, innanzitutto con la conferma dell’iniziativa per l’Educazione alla cittadinanza attiva degli studenti e dei giovani all’interno di una strategia condivisa di rinnovamento didattico e di coinvolgimento degli Insegnanti e delle Famiglie per l’adeguamento del sistema scolastico veneto alle sfide dello sviluppo nell’economia della conoscenza; ASSUNTE LE SOPRA ELENCATE PREMESSE COME PARTE INTEGRANTE ED OBIETTIVO COMUNE PER DARE CONTINUITA’ AL LABORATORIO DIDATTICO ATTIVATO COL PROGETTO CIVIL LIFE SOTTOSCRIVONO IL SEGUENTE PROTOCOLLO D’INTESA Art. 1 Le parti concordano circa l’opportunità di conferire continuità all’esperienza del Laboratorio Didattico attivato con il Progetto CIVIL LIFE ed allo strumento del Bando-concorso attraverso cui stimolare l’adesione degli Istituti scolastici e dei Gruppi di ricerca, in particolare attraverso linee di impegno informativo-formativo. Art. 2 Il Consiglio Regionale del Veneto si impegna a: a) costituire, d’intesa con l’USR - Veneto, un Centro di Documentazione che monitori e raccolga le esperienze didattiche nell’ambito dei programmi e delle iniziative di cittadinanza attiva degli studenti; b) elaborare, in collaborazione con l’USR - Veneto, moduli formativi afferenti all’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione”, coerenti con le nuove linee ministeriali che approfondiscono le correlazioni ed implicazioni del federalismo ed in particolare il significato ed i contenuti dello statuto regionale. A tal fine sarà anche elaborata la partecipazione dell’Associazione Ex Consiglieri, attraverso specifici percorsi didattici, nei quali sarà utilizzata la testimonianza ed il contributo di conoscenza e di esperienze nell’esercizio della rappresentanza istituzionale regionale; c) rinvenire strumenti e modalità per implementare l’esercizio della rappresentanza degli studenti negli organismi scolastici (Consulte);
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d) potenziare il portale del Consiglio Regionale (www.terzoveneto.it), al cui interno una peculiare funzione operativa viene affidata al sito (www. civillife.it), al fine di realizzare on line alcuni servizi specifici: – una community che consenta di far dialogare gli studenti e gli insegnanti sui termini chiave affrontati dal Laboratorio Didattico di CIVIL LIFE; – l’erogazione di unità didattiche per Insegnanti e Studenti attraverso la piattaforma di e-learning. Art. 3 L’USR - Veneto si impegna a: a) collaborare con il Consiglio Regionale del Veneto per quanto concerne le esperienze didattiche da attivare sul territorio nell’ambito delle iniziative di cittadinanza attiva degli studenti; b) collaborare all’elaborazione di moduli formativi destinati ai docenti quali opportunità di approfondimento delle linee ministeriali relative all’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione”; c) partecipare ad eventuali manifestazioni e/o eventi attivati in sintonia con il Consiglio Regionale del Veneto al fine di sostenere tutte le iniziative idonee a promuovere la partecipazione studentesca e a potenziare le competenze sociali e civili dei giovani; d) diffondere nelle scuole venete attraverso la propria rete telematica, e con pubblicazione sul proprio sito (www.istruzioneveneto.it), le iniziative promosse e concordate con il Consiglio Regionale del Veneto. Art. 4 A fronte di tali impegni le Parti ritengono inoltre necessario attivare incontri seminariale e/o eventi atti a far emergere il lavoro svolto dalle scuole, con particolare attenzione ai processi che vedono gli studenti protagonisti delle attività promosse dalle scuole all’interno del Piano dell’Offerta Formativa (POF). Art. 5 La presente Intesa non prevede destinazione di specifiche risorse finanziarie da parte dell’USR - Veneto. Art. 6 Il presente Protocollo ha validità triennale dalla data di sottoscrizione e si
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intende automaticamente rinnovato alla scadenza, ove non intervenga esplicita richiesta di disdetta da una delle parti. Letto firmato e sottoscritto Venezia, li 20 Maggio 2009 Il Presidente del Consiglio Regionale del Veneto Dott. Marino Finozzi
Il Direttore Generale dell’USR per il Veneto Dott.ssa Carmela Palumbo
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IL CATALOGO DI CIVIL LIFE
Election play: il videogioco che simula realisticamente i contesti e le modalità con cui il sistema democratico funziona e si dà la rappresenta politica. Si gioca online su www.electionplay.it
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In treno a Palazzo Ferro-Fini: un cd-rom interattivo studiato per presentare ai cittadini più giovani, con la modalità simulata e divertente del gioco, il ruolo svolto dal Consiglio regionale del Veneto Bla bla bla, e-democracy e minori: un dvd in cui si può osservare l’esperienza dei bambini alle prese con la creazione di un cartone animato, nel laboratorio didattico della Direzione Didattica di Cassola (vi)
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Copertina della brochure che illustra l’impostazione didattica, la storia e i programmi del progetto Civil Life Democrattivati: cartolina per la divulgazione del Concorso video sulle potenzialità di internet e della rete in generale per lo sviluppo dell’informazione e della partecipazione dei cittadini
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Senior’s Forum: copertina della brochure che illustra l’iniziativa sviluppata nell’ambito del progetto Civil Life, con cui si affronta il problema del digital divide, che colpisce in particolare le persone anziane, attraverso il dialogo e la collaborazione intergenerazionale
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Cartoni animati a scuola: copertina della brochure che illustra l’iniziativa rivolta alla scuola primaria e secondaria di primo grado, esperienza pilota per la formazione degli insegnanti sul tema della media education
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Dvd in cui sono raccolte le testimonianze dei protagonisti di exposcuola 2009 e dei relatori partecipanti al Convegno su eSkills organizzato da ansas Veneto
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Home page dei siti www.cartonianimati.ning.com (laboratorio didattico per i cartoni animati a scuola) e www.democrattivati.ning.com (laboratorio formativo su MultimedialitĂ e didattica)
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Locandina per la divulgazione del programma didattico La settimana dell’urbanistica
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Il segreto della nonna: dvd che promuove l’iniziativa Senior’s Forum
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PROFILI DEGLI AUTORI
anna agostini È architetto e dottoranda in Architettura e Urbanistica presso l’Università IUAV di Venezia. Specializzata in progettazione urbana sostenibile e partecipata; è socio fondatore e referente per le tematiche sopra citate dell’associazione Fram_menti. Dal 2006 collabora con diverse università, enti e amministrazioni pubbliche all’interno di processi di partecipazione a scala urbana e territoriale, nonché alla formazione in campo urbanistico-architettonico. Si occupa dal 2007, per conto del settore e-democracy del Consiglio regionale del Veneto, di attività di sperimentazione sulle pratiche di partecipazione urbana. Si occupa dal 2008, in collaborazione con diversi enti e università, di progetti di pianificazione urbana sostenibile e partecipata all’interno di progetti di cooperazione allo sviluppo. dino bertocco Ideatore del progetto Civil Life e coordinatore del laboratorio didattico. Fondatore e presidente dell’associazione Aequinet, un network professionale impegnato a esprimere competenze e metodologie di intervento maturate attraverso interdisciplinarietà e corresponsabilità gestionale. Laureato in Politiche dell’Unione Europea, collabora con numerose istituzioni, società, associazioni ed enti a programmi di cittadinanza responsabile e cittadinanza digitale, welfare locale ed equità sociale, qualità e innovazione dei processi organizzativi, formazione e gestione delle risorse umane. Ha realizzato diversi progetti e ricerche nell’ambito delle politiche sociali e avviato molteplici attività editoriali. È consulente del Consiglio regionale del Veneto per le iniziative su e-democracy ed educazione alla cittadinanza attiva. cristiano buffa Esperto di comunicazione strategica e di architettura dell’informazione. È consulente di istituzioni pubbliche e private per progetti di comunicazione inno-
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vativa e per lo sviluppo di processi di comunicazione partecipata con l’adozione di tecnologie interattive. Si è occupato per anni di attività di ricerca e progettazione all’interno di istituzioni culturali e ha diretto le attività di comunicazione istituzionale di imprese multinazionali. Dal 2001 è docente a contratto presso il Politecnico di Torino per “Modelli economici e linguaggi della pubblicità”. Dal 2003 elabora e coordina progetti per l’innovazione dei servizi ICT nelle pubbliche amministrazioni. antonio fossa Trevigiano, nato nel 1950, laureato in Filosofia a Venezia, è stato insegnante di Lettere alla scuola media e di Italiano e Storia alle superiori. Ha fatto parte dell’Associazione Veneta per la Storia Locale e di Clio ’92. Ha lavorato a progetti di storia locale sia per l’Ufficio Scolastico di Treviso dove ha curato il progetto “7 aprile 1944”, e dal 2005 all’IRRE del Veneto (poi ANSAS) dove ha dato vita al progetto su Palladio “A Scuola in Villa” e, da ultimo, al progetto pilota nazionale sull’insegnamento della Storia locale “Storia del Veneto, una Storia... maestra”. Ha pubblicato con altri il manuale Laboratori per fare Storia (2004), ha curato l’antologia Scritti sulle Ville Venete (2007) e Fare ricerca in biblioteca (2008). franco rebellato Si è laureato in Pedagogia all’Università di Padova nel 1971, dedicandosi poi all’insegnamento di Lettere e Filosofia nella scuola secondaria inferiore e superiore fino al 1985. È preside di scuola media e poi dirigente scolastico nei licei di Pieve di Soligo e di Castelfranco Veneto fino al 2010. Giornalista pubblicista, di molteplici interessi culturali, ha al suo attivo numerose pubblicazioni di vario genere. adriana sartore È insegnante di scuola primaria, partecipa al programma internazionale di ricerca Apple Distinguished Educator, si interessa di produzione audiovisiva, di sperimentazioni in materia di media education e utilizzo delle ICT in ambito didattico. Ha partecipato, in qualità di formatore, a numerosissimi corsi rivolti agli insegnanti della scuola di base. Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti tra cui il Global Junior Challenge 2009, concorso internazionale che premia i migliori progetti per l’uso delle nuove tecnologie informatiche e telematiche a fini educativi. Su incarico dell’Ufficio Progetti Speciali della Provincia di Treviso, ha collaborato alla realizzazione del progetto “La carta di Treviso in cartone”. È referente del laboratorio “Cartoni animati a scuola”, realizzato nell’ambito del programma Civil Life del Consiglio regionale del Veneto - Terzo Veneto. Ha con-
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profili degli autori
seguito il diploma on line per esperti di didattica assistita dalle nuove tecnologie (DOL) del Politecnico di Milano. Il suo sito è www.scuoladibase.it, pensato come luogo di incontro per studenti e insegnanti per condividere materiali, strumenti, istruzioni e idee per introdurre le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione nella prassi didattica. michele sbrissa È architetto e dottorando in Urbanistica presso l’Università IUAV di Venezia. Perfeziona la sua formazione post universitaria attraverso master ed esperienze in Italia, Germania e Sudafrica, concentrandosi sulle pratiche innovative di progettazione urbana. Con l’associazione Fram_menti di cui è socio fondatore, nonché referente disciplinare per l’area urbanistica, collabora con enti, pubbliche amministrazioni, istituti di ricerca, in Italia e all’estero. Dal 2008 collabora con l’Università di Firenze a progetti di pianificazione urbana sostenibile in Sud America e opera nel campo della progettazione architettonica eco compatibile. renzo scortegagna Docente di Sociologia dell’organizzazione presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova fino al 2003, continua a insegnare la medesima disciplina in due master della stessa università. In particolare si occupa di pubblica amministrazione e di politiche sociali, anche come consulente. Gli studi e i suoi interessi di ricerca si sono rivolti e si rivolgono tuttora verso i fenomeni legati all’invecchiamento dell’uomo, sia nell’ambito dell’organizzazione del lavoro, che nell’organizzazione dei servizi veri e propri. È direttore scientifico dell’Istituto per gli Studi sui Servizi Sociali di Roma e dal 2007 direttore della rivista di servizio sociale dello stesso istituto. franco torcellan Svolge attività di ricerca presso il Nucleo Veneto dell’Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica, occupandosi in particolare di documentazione didattica nell’ambito del progetto GOLD e di ICT (Information and Communication Technology), applicata ai processi di insegnamento-apprendimento. Collabora con il Centro Interateneo per la Ricerca Didattica e la Formazione Avanzata (Università del Veneto) e la rete delle scuole EPICT (Patente Pedagogica Europea per le TIC). Si occupa anche dell’organizzazione di eventi quali il salone EXPOSCUOLA di PadovaFiere e il meeting fluSSidiverSi, “Poesia e poeti di Alpe Adria”, promosso dalla Regione del Veneto, dalla Comunità di Lavoro Alpe Adria e dal Comune di Caorle.
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EDIZIONE
10 9 8 7 6 5 4 3 2 1
ANNO
2010 2011 2012 2013 2014