ATTUARE L’AGENDA DIGITALE: INNOVAZIONE, SVILUPPO, DEMOCRAZIA
I Quaderni di THINK! N°5
ATTUARE L’AGENDA DIGITALE:
INNOVAZIONE, SVILUPPO, DEMOCRAZIA
ISBN: 978-88-907047-4-1
www.thinkinnovation.org
I Quaderni di THINK!
LOGIN
5
Prezzo € 11,00
Rapporto THINK! 2013 A cura di: Enrico Acquati
I Quaderni di THINK! N°5
ATTUARE L’AGENDA DIGITALE:
INNOVAZIONE, SVILUPPO, DEMOCRAZIA
Ottobre 2013 A cura di: Enrico Acquati
Attuare l’Agenda Digitale: Innovazione, Sviluppo, Democrazia
PREFAZIONE di alessandro osnaghi1 Il titolo di questo rapporto “Attuare l’Agenda digitale: innovazione, sviluppo, democrazia” è molto impegnativo, in particolare nel contesto del nostro Paese che è in grave e cronico ritardo in relazione ai processi di automazione della pubblica amministrazione, comportando conseguenti perdite di competitività della società e dell’economia italiane nel contesto internazionale, così come delle possibili iniziative sul piano della partecipazione democratica dei cittadini alla vita pubblica. A questo proposito il “sistema informativo Italia” non si può considerare da nessun punto di vista un sistema integrato, pur se alcune sue componenti possono essere considerare tecnologicamente aggiornate, intendendo con ciò anche il semplice allineamento allo stato della tecnologia. La maggiore criticità risiede nell’impostazione che è stata adottata senza essere mai stata messa in discussione, che ha privilegiato l’aderenza automatica della soluzioni tecnologiche alla struttura organizzativa e funzionale degli apparati: in questo modo l’architettura del sistema informativo del Paese ha riprodotto in modo univoco l’architettura del proprio modello istituzionale, senza preoccuparsi di analizzare le competenze attribuite agli enti e la loro divisione, quindi non preoccupandosi di verificare la loro coerenza sia complessiva che rispetto ai compiti del singolo ente. Per ricomporre e riportare a unità il sistema di relazioni tra cittadino e/o impresa e il sistema pubblico, occorre creare un nuovo modello per l’architettura del sistema informativo dello Stato: uno dei temi cardine che devono essere affrontati è certamente quello della logica sottostante la definizione della struttura delle basi dati informative e, soprattutto, della loro accessibilità; centrale deve essere infatti la concezione che privilegia il cittadino e l’impresa nei rapporti con il mondo pubblico e quindi col sistema di erogazione dei servizi generati dalle basi dati. A questo proposito essenziale risulta l’attività del legislatore che deve emanare norme e regolamenti lineari e tra loro coerenti e sviluppare le linee guida di un’attività progettuale che, partendo da studi di fattibilità che ne individuino gli ostacoli tecnici, le eventuali soluzioni alternative, le tempistiche, i costi e la più adeguate strutture di gestione, interpreti le priorità per il Paese e affidi all’Agenzia per l’Italia Digitale il compito di portarle a esecuzione. Nell’ottica di creare uno Stato moderno, competitivo e democratico, che non discrimini più i cittadini su base territoriale nell’erogazione dei servizi, il legislatore, l’Agenzia e gli organi attuatori dovranno quindi munirsi di nuovi strumenti e paradigmi, per affrontare positivamente la rivoluzione tecnica e tecnologica che riguarderà tutti negli anni a venire.
1 THINK!, Direttore Area Pubblica Amministrazione
I
QUADERNI DI THINK!
II
Attuare l’Agenda Digitale: Innovazione, Sviluppo, Democrazia
INDICE INTRODUZIONE 1 IL PROCESSO DI DIGITALIZZAZIONE DELLA PA IN ITALIA 7 Premessa: uno scenario sintetico 7 Nascita e sviluppo dei processi di informatizzazione 8 Gli organi di supervisione e coordinamento 11 Lo stato della legislazione per la Pubblica Amministrazione Digitale 13 UNA PROPOSTA: L’APPROCCIO NECESSARIO 15 Le caratteristiche di un processo innovativo 15 L’analisi e la reingegnerizzazione dei processi 15 La ricerca di equilibrio tra centro e periferia 16 L’adozione di un’ottica d’integrazione e d’interoperabilità 16 Estensione a tutti gli enti coinvolti su un determinato tema 16 Un approccio legislativo più efficiente 17 Tre progetti sistemici 18 Il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) 18 L’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR) 20 L’identità digitale 21 SCENARIO TECNOLOGICO 23 Premessa 23 Social Media nella PA 23 Mobilità e Mobile Government 24 I Big Data nella Pubblica Amministrazione 24 Il Cloud Computing nella Pubblica Amministrazione 25 L’AGENDA DIGITALE ITALIANA 27 Un’agenda per l’Europa 27 Un’Agenda per l’Italia 30 Verso un’Agenda per il Mediterraneo 32 L’AGENZIA PER L’ITALIA DIGITALE 35 Premessa 35 La struttura dell’Agenzia 37 IL TEMA DELLA GOVERNANCE 40 Premessa 40 Lo schema di riferimento 40
III
Attuare l’Agenda Digitale: Innovazione, Sviluppo, Democrazia
INTRODUZIONE Il rapporto tra tecnologia ICT e pubblica amministrazione è un tema ricorrente, oggetto di studi e ricerche e, sempre più, di discussione e confronto accademico, istituzionale e tra gli operatori del settore. Nel tempo i termini del dibattito si sono ampliati, seguendo lo sviluppo delle tecnologie e del ruolo che rivestono in tutte le organizzazioni in cui vengono utilizzate, ponendo al centro il tema dell’innovazione e del pieno utilizzo della capacità innovativa che le tecnologie possiedono. L’attuale crisi economica ha inoltre portato alla ribalta un altro tema, quello della necessità di aprire una nuova fase di sviluppo e in esso, cruciale, l’incremento della produttività complessiva del sistema: in questa prospettiva, l’innovazione è il fattore determinante sia come utilizzo diretto degli strumenti stessi, le tecnologie, sia come elemento che porta all’innovazione dei prodotti, dei processi e della loro realizzazione; ma proprio per i caratteri sistemici della crisi attuale vi è un ulteriore e determinante elemento di riferimento generale: tecnologia, innovazione e sviluppo devono essere coniugati all’interno di uno scenario fortemente caratterizzato in termini di democrazia, all’interno del quale tutto ciò si deve svolgere. E’ il fattore, per così dire, del cambiamento necessario: innovazione non più solo come processo dell’economia ma come condizione generale del sistema Paese. Il dibattito ha vissuto, come noto, diverse fasi: in un primo tempo il tema era (quasi) esclusivamente tecnologico, nel senso che la discussione e le decisioni operative, pur avendo sullo sfondo le esigenze e le caratteristiche degli enti pubblici, erano concentrate sul tema della tecnologia, dell’incompatibilità tecnologica dei sistemi proprietari, piuttosto che su quello dell’insufficienza delle infrastrutture di comunicazione; l’aspetto funzionale era presente, ma comunque subordinato a quello tecnologico: mancava completamente una visione della pubblica amministrazione in termini di struttura sistemica, costituita cioè da elementi correlati tra loro e con il mondo esterno a essa, i cittadini e le imprese. Il risultato è stato il moltiplicarsi di sistemi informativi tra loro non comunicanti sia per fattori tecnologici (incompatibilità) sia per il disegno progettuale seguito. In un secondo tempo, abbastanza recente, l’oggetto del dibattito e dell’interesse degli addetti ai lavori, in riferimento non solo alla pubblica amministrazione ma in una prospettiva generale, si è modificato passando dalla tecnologia all’innovazione. Il nuovo tema è stato tuttavia sviluppato mantenendo una sorta di “equivalenza” concettuale, tendendo cioè a identificare, anche se in modo non esplicito, l’innovazione con la tecnologia, atteggiamento che non ha permesso di mettere in luce il potenziale che il nuovo concetto, e l’impostazione delle azioni che ne sarebbero derivate, avrebbero contenuto in sé. Innovare è, per così dire, pre-tecnologico, è cambiamento ma nel senso preciso di progredire rispetto alla situazione data, è il risultato di un processo di accumulazione dei risultati di numerosi atti che incidono sugli elementi costitutivi l’oggetto considerato; innovare è quindi studiare e analizzare l’oggetto, il sistema dato, qualunque esso sia, identificarne gli elementi costitutivi e le loro relazioni e riformularli in un’ottica di progresso e cambiamento, sia del singolo elemento sia dell’intero sistema cui l’elemento appartiene. In questa prospettiva, la tecnologia è sia lo scenario delle opportunità e delle funzionalità nuove messe a disposizione, sia lo strumento che permette l’implementazione del sistema su cui si opera.
1
QUADERNI DI THINK!
Nella pubblica amministrazione non si è sviluppato un processo di questo genere: sovrapponendo innovazione e tecnologia si è di fatto proseguito sostanzialmente come prima, secondo le medesime logiche di approccio. Si è continuato a “calare” le soluzioni tecnologiche sulle funzionalità degli enti pubblici, non ottenendo alcun risultato in termini di innovazione, in altre parole non sfruttando il carattere fondativo dell’innovazione di processo, in una pubblica amministrazione che invece avrebbe avuto bisogno di passare da una logica per singolo prodotto (uno specifico adempimento ma anche un determinato servizio) ad una logica per processi. Fondamentale sarebbe stata un’attività preliminare di analisi dei processi, sia interni sia verso l’esterno, e una loro riformulazione che, superando incongruenze, artificiosità e farraginosità che li caratterizzano ancora oggi, producesse elementi di novità e di progresso nei processi stessi, che solo successivamente avrebbero potuto essere “rivestiti” di tecnologia. Beninteso, è innegabile che vi siano situazioni correttamente impostate, nella prospettiva metodologica che qui si sta sintetizzando (perfino in modo estremo) ma non è più rinviabile il problema centrale di estendere l’approccio a tutto il sistema pubblico. Proprio perché sembrerebbe avviarsi una nuova fase nella lunga, complessa e niente affatto lineare storia dell’informatizzazione degli enti pubblici, non si può più avere reticenza o timidezza: ancora con sintesi estrema, l’operazione da fare sarebbe quella di “smontare” e “rimontare” la pubblica amministrazione, cambiando le coordinate di riferimento, cioè passando dal procedimento e dall’atto al processo e al progetto. Quanto al tema dello sviluppo, non può più essere visto se non organicamente come sviluppo economico e insieme sociale ed umano, come risultato di un processo che deve investire sia le strutture sociali sia i singoli individui, che deve avere effetti anche su di loro, in termini di miglioramento delle condizioni sociali e delle condizioni di vita delle persone. Fino all’esplosione della crisi attuale, è rimasto con tutto il suo pesol’accento sull’importanza della crescita economica per via industriale, per nulla bilanciato da frettolose teorie (e, il che è ben più grave, politiche pubbliche economiche, industriali e di ricerca) che sposavano con furia ideologica lo scenario del post industriale. Forse la crisi, la recessione e la necessità di ridefinire orizzonte e politiche europee sono i fattori che conducono ad un approccio di più ampio respiro, capace di produrre politiche più equilibrate e coerenti, sotto il profilo finanziario come sotto quello produttivo, approccio che guardi alla produzione di servizi di qualità ma senza rinunciare a quella dei beni materiali. Gli apparati pubblici sono parte rilevante di un processo generale di cambiamento, in quanto oggetto e agente per lo sviluppo: oggetto, perché questi temi devono investire anche la pubblica amministrazione, in un processo di sua evoluzione e mutamento che la mantenga costantemente al “passo con i tempi”; agente, perché la pubblica amministrazione, dalla ricerca al sistema dell’istruzione, dalle politiche territoriale ed insediative a quelle del welfare, dalla gestione dei servizi fondamentali alla responsabilità non delegabile né declinabile di riconoscere esigenze e bisogni di cui nessuna teoria del mercato potrà mai occuparsi è, come diceva Luigi Einaudi, un fattore produttivo indispensabile. Il nodo da sciogliere, tutto politico e per nulla tecnologico, è cosa debba fare la pubblica amministrazione: adempimenti o autorizzazioni? oppure politiche pubbliche? Su questo è aperto un confronto disciplinare e politico, finanziario e di potere reale e istituzionale. O, forse meglio, lo è stato e non lo è più, dopo anni di una cultura di governo basata sulla riduzione e non sul controllo e rimodulazione della spesa pubblica: in Italia non ci siamo ancora accorti
2
Attuare l’Agenda Digitale: Innovazione, Sviluppo, Democrazia
che nei Paesi più avanzati questo tema è superato, e perfino nel FMI! Forse in questo risiede una delle ragioni non ultime della crisidi sistema che stiamo attraversando: il tema, assolutamente fondamentale, oggi è quasi scomparso dal dibattito pubblico italiano, per lo meno da quello esplicito, certamente dalla discussione politica e dai talk show, impegnati, entrambi, su altri temi. Ecco da dove s’introduce il terzo tema, quello della democrazia. Per quanto ci riguarda, democrazia si traduce, fondamentalmente, in uguaglianza di fronte alle soluzioni tecnologiche, facilità del loro utilizzo, mancanza di ostacoli all’accesso di dati e procedure, tutte caratteristiche non propriamente tipiche delle soluzioni utilizzate dalla pubblica amministrazione, come può essere sperimentato da chiunque, anche se non mancano esempi ed esperienze positive. Si pensi all’impossibilità di accedere ai propri dati sanitari, per esempio in caso d’incidente o di malattia, da una struttura sanitaria non appartenete alla regione di residenza, piuttosto che alla complessità e dalla difficoltà che si riscontrano nello svolgimento di pratiche amministrative di vario genere: la pubblica amministrazione, anche nell’affrontare il tema dell’automazione delle proprie procedure, ha mantenuto, verso i cittadini e le imprese, lo stesso atteggiamento di sostanziale sfiducia (quando non di arroganza) nei confronti dei destinatari dei suoi servizi, quasi fossero “minorenni” incapaci di agire autonomamente. Senz’altro vi sono anche i problemi di un corpus normativo in parte vecchio per età, in parte vecchio per logica, in parte normalmente poco attento ai risvolti procedurali, organizzativi e gestionali: paradossalmente, l’introduzione delle tecnologie ICT ha finito per consolidare una situazione critica e non accettabile, rendendola così ancora più rigida perché strutturalmente più formalizzata e formalizzante. Tutto questo si traduce sostanzialmente in un debito di democrazia. Un secondo aspetto della dimensione democratica dei processi d’innovazione, che vale la pena di richiamare, è quello normativo. La produzione legislativa che riguarda il settore è frammentaria, disorganica e poco chiara, come è illustrato in un apposito paragrafo del presente lavoro: realizzata per fasi successive, includendo nuove direttive in leggi precedenti (aspetto che purtroppo caratterizza in generale il modo di produrre le leggi nel nostro Paese), aggiungendo e modificando compiti e funzioni di enti già esistenti o creandone di nuovi, mescolando aspetti di principio con temi operativi nel medesimo testo, costituisce un corpus certamente non adeguato alle reali necessità e, inoltre, risulta di difficile lettura ed interpretazione da parte dei soggetti interessati. Anche in questo caso si è sostanzialmente di fronte ad un debito di democrazia, perché leggi fatte in questo modo pongono di per sé una notevole difficoltà implementativa alle attività e ai processi di automazione. È indispensabile che si proceda a una sostanziale riscrittura delle norme in un’ottica sistematica e organica, avendo in vista anche un obiettivo di chiarezza e trasparenza. Questi sembrano essere gli aspetti e i problemi che hanno influenzato negli anni scorsi, e presenti ancora oggi, lo svolgimento del processo di automazione nella pubblica amministrazione italiana. Sono stati ripresi e sinteticamente nuovamente illustrati in questo nuovo studio in quanto elementi critici da superare ed eliminare, una sorta di precondizione assoluta: nel testo si fa riferimento anche a possibili strategie che potrebbero essere seguite in questa prospettiva. Proprio in considerazione delle tecnologie oggi disponibili, delle caratteristiche funzionali degli enti pubblici e del loro campo d’intervento, non è più possibile
3
QUADERNI DI THINK!
affrontare i progetti di automazione in modo “individuale”, ente per ente; al contrario, occorre definire progetti sistemici a scala e valenza nazionale che vedano coinvolti tutti gli enti che insistono su un determinato tema: non si devono progettare, ad esempio, soluzioni per le singole ASL o anche per le singole regioni, ma progettare in ottica di sistema Paese, per superare le frammentazioni e le difficoltà di accesso, tenendo così insieme innovazione, sviluppo e democrazia. Il volume riporta, a questo proposito, dei casi che esemplificano un approccio progettuale sistemico; non si tratta di studi di fattibilità, attività comunque indispensabile e fondamentale in questo contesto, in quanto non è questa la sede per attività così complesse: si è solo cercato di fare degli esempi, probabilmente anche incompleti, dell’approccio necessario, nell’ottica di favorire l’affermazione di un metodo nuovo e più efficace. Un breve cenno al rapporto tra Agenda digitale europea e quella italiana, tema che peraltro è discusso nel volume: pur se l’agenda europea con il susseguirsi delle edizioni ha forse perso parte della linearità iniziale e si è trasformata da obiettivi di forte valenza strategica a prevalenti obiettivi operativi, essa resta comunque la cornice all’interno della quale si articola l’agenda digitale italiana: anche questo, peraltro, è un fattore che richiama alla necessità del livello politico nel sistema di governance, in quanto interlocutore indispensabile e non surrogabile delle istanze politiche sovranazionali e comunitarie. A proposito di Agenda digitale, essendo gli assi d’interpretazione indicati come innovazione, sviluppo e democrazia si è voluto accennare anche a un aspetto che, come detto nel testo, potrebbe apparire azzardato: un paragrafo è infatti dedicato all’ipotesi di una Agenda digitale per il Mediterraneo. L’argomento è certamente complesso e richiederebbe una trattazione specifica, ma si è voluto porlo all’attenzione in quanto tema attuale, per molti motivi, non solo per quelli che riporta la cronaca ormai quotidiana, e comunque destinato a divenire inevitabilmente un tema che coinvolgerà non solo il nostro paese, ma anche le istituzioni europee: i paesi del Nord Africa che si affacciano sul Mediterraneo stanno già sviluppando interessanti progetti di utilizzo delle tecnologie, ma è innegabile che i paesi europei che tradizionalmente hanno avuto e hanno relazioni con questi paesi potrebbero trasferire knowhow ed esperienze, utili ad accelerare lo sviluppo già in corso, ed a favorire così lo sviluppo e il consolidamento della democrazia. Ancora un’osservazione relativa alla situazione della pubblica amministrazione italiana: affrontare i progetti di automazione nell’ottica cui si è accennato pone immediatamente due ordini di problemi: la necessità di un’unica struttura di governo, gestione e sviluppo dei piani di automazione e la necessità di definire un opportuno sistema di governance. Per quanto riguarda il primo aspetto, la recente costituzione dell’Agenzia per l’Italia Digitale è un segnale di grande interesse e che porta a ritenere che i problemi, che anche qui si è cercato di indicare, potranno essere finalmente affrontati, a condizione naturalmente che l’Agenzia possa disporre di tutte le risorse, umane ed economiche, necessarie. Il secondo aspetto è, forse, più complesso, almeno nella fase del suo disegno: in un effettivo sistema di governance deve essere previsto un adeguato e corrispondente livello specificamente politico, cui competa di individuare le priorità, le aree d’intervento che si vogliono affrontare in termini di progetti da implementare successivamente; questo livello deve essere snello, in modo da non rallentare (e in passato addirittura
4
Attuare l’Agenda Digitale: Innovazione, Sviluppo, Democrazia
si è visto ostacolare!) i processi a valle e deve agire con ampia conoscenza e consapevolezza delle necessità del Paese. Ultima nota è il ringraziamento a Camilla Bellini, per la realizzazione del rapporto e a Michele Ghisetti, per la collaborazione sui temi legislativi, entrambi Junior Analyst di The Innovation Group.
5
QUADERNI DI THINK!
6
Attuare l’Agenda Digitale: Innovazione, Sviluppo, Democrazia
IL PROCESSO DI DIGITALIZZAZIONE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE IN ITALIA Premessa: uno scenario sintetico Il tema della digitalizzazione dell’amministrazione pubblica italiana è parte centrale, e strettamente collegata, del più ampio problema di ammodernamento dell’amministrazione pubblica stessa, che è entrato nel dibattito e nell’azione politica del Paese dall’inizio degli anni ’90. In particolare, tra il 1996 e il 2001, l’uso pervasivo di risorse e tecnologie ICT è stato presentato, dai quattro governi di centro- sinistra della XIII legislatura, come l’effettivo elemento strategico all’interno del programma di modernizzazione delle amministrazioni dello Stato italiano. D’altra parte, le linee guida delineate da questi governi, ed in particolare dal governo Amato con l’approvazione nel giugno 2000 del Piano d’Azione per l’eGovernment, ritenute allora innovative e coerenti con una visione globale dell’informatizzazione degli enti locali e delle amministrazioni centrali, sono in seguito venute meno. A questo proposito vale la pena ricordare che, su alcuni temi quali l’introduzione della firma digitale e la progettazione della Carta d’Identità Elettronica, l’Italia, sulla scia di quella visione strategica, aveva raggiunto posizioni di primato in quanto primo paese a definire le specifiche relative ai due temi. La mancata implementazione delle linee guida, cui in precedenza si è fatto riferimento, ha purtroppo avuto come conseguenza anche il sostanziale fallimento di queste iniziative, facendo così perdere posizioni al Paese nello scenario internazionale dell’innovazione nella PA. Dal 2001 il processo di digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche è entrato in un circolo di conflittualità politica “maggioranza – opposizione”, che lo ha portato, negli ultimi dieci anni, ad essere rimaneggiato e riprogrammato in maniera poco razionale e non obiettiva in diverse occasioni: si sono via via privilegiati la politica e il dibattito allo sviluppo di un processo, necessariamente complesso, ed in parte senza possibilità di visibilità politica, ma che richiede continuità e che, per le sue caratteristiche e dimensioni, dovrebbe essere sviluppato solo attraverso più legislature. È quest’ultimo un aspetto di estrema importanza, in realtà completamente ignorato dalla discussione politica di questi anni: non si è infatti mai posto l’accento sulle caratteristiche dei progetti da implementare, e quindi sulla necessità di realizzare progetti di carattere nazionale, che coinvolgano amministrazioni sia centrali sia locali e che, inevitabilmente, richiedono numerosi anni per la loro completa implementazione. Su questi aspetti si tornerà comunque in modo più approfondito in seguito, in sede di formulazione di un corretto approccio ai processi di automazione della PA. A partire dal 2001, il processo di informatizzazione della PA ha quindi rallentato e si è svolto con modalità non lineari, in particolare a causa di due fenomeni: da un lato, le continue modifiche (nominali e di competenze) dei Ministeri adibiti alla sua programmazione e supervisione - scorporando e riunendo di legislazione in legislazione il dipartimento dedicato all’innovazione tecnologica e quello relativo alla funzione pubblica – e, dall’altro, la trasformazione di un processo di relazioni paritetiche tra enti
7
QUADERNI DI THINK!
locali e amministrazioni centrali (per come era concepito nel piano d’azione indicato in precedenza e adattabile ad un modello federale), in un programma a carattere centralizzato, non più coordinato da un organismo autonomo ed indipendente, e pertanto strumento utilizzabile dalle diverse politiche di governo che si sono negli anni susseguite. Ai contrasti politici si è poi aggiunta una notevole confusione ed inefficienza sul piano normativo e regolamentare sia introducendo, ad esempio, strumenti, in realtà non rispondenti ad esigenze effettive, di autenticazione telematica per l’accesso ai servizi - quali la Carta Nazionale dei Servizi (CNS) - sia strumentalizzando decreti “tecnici” con lo scopo di accrescere le funzioni operative del Ministro per l’innovazione e le Tecnologie, sottraendole alla responsabilità dell’AIPA, e del Centro Tecnico, come meglio si vedrà nel seguito. Negli ultimi dieci anni, inoltre, i principi d’integrazione e interoperabilità, sia tra i servizi sia tra gli enti e le amministrazioni abilitati alla loro erogazione, sono stati accantonati, privilegiando al loro posto l’attuazione di progetti di front-office e l’erogazione di singoli servizi a livello centrale, e lasciando che gli enti locali si adattassero alle normative vigenti e alle proprie necessità, senza stabilire standard applicativi e infrastrutturali che ne regolassero l’attuazione e lo sviluppo. Con ciò non si vuole, ovviamente, negare che siano stati realizzati alcuni importanti progetti, pur se il panorama generale corrisponde a quanto appena descritto.
Nascita e sviluppo dei processi di informatizzazione Per una corretta valutazione degli effetti della situazione appena descritta, occorre considerare come si sono svolti i processi d’informatizzazione nelle pubbliche amministrazioni, sia centrali sia locali, nel corso degli anni. Questi processi si sono distinti per due caratteristiche ricorrenti: • l’assunzione dell’ente come organo “individuale”, non inserito in un contesto di relazioni generale; • l’assenza di un’analisi ex ante degli aspetti organizzativo-funzionali degli enti in cui venivano realizzati, senza cambiamenti del contesto di riferimento, ovvero senza passare da una logica basata sul procedimento e sull’atto ad una logica basata sul processo e sul progetto. A partire da una fase iniziale di diffusione delle tecnologie ICT nelle amministrazioni italiane, i progetti di automazione sono stati infatti costruiti ed implementati per ogni singolo ente, ognuno percepito come una struttura indipendente. Questi progetti, inoltre, non tenevano conto della complessità organizzativa e funzionale degli enti stessi: in particolare, i progetti si sono sviluppati adottando un approccio per silos funzionali, erigendo in questo modo barriere all’accesso e alla condivisione di informazioni, servizi e strutture sia tra gli enti sia all’interno di uno stesso ente. Questi progetti sono nati in modo autonomo, orientati all’efficientamento di singole attività e rivolti alle necessità di alcune aree funzionali delimitate, con una visione “chiusa”, che a posteriori si è rivelata incompleta. Proprio per loro natura, dunque, i primi progetti di digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni si sono rivolti a funzioni tipiche e ad attività amministrative delimitate, in un’ottica di autonomia e segmentazione rispetto al funzionamento complessivo degli enti, quali ad esempio i bilanci e le paghe stipendi. In una fase successiva, questo processo ha iniziato ad assumere, in alcuni casi, dei contorni più ampi
8
Attuare l’Agenda Digitale: Innovazione, Sviluppo, Democrazia
rispetto ai primi progetti, in quanto venivano considerati non più i singoli compiti, ma l’insieme di compiti per singole unità funzionali; in ogni caso, di nuovo, non si è mai abbandonato quel principio di “chiusura” che già caratterizzava i precedenti progetti per attività: in questo modo sono state metodicamente create delle isole funzionali non comunicanti tra loro, basate su standard e principi stabiliti caso per caso. I progetti così caratterizzati, che per anni hanno inciso sul processo di digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche in Italia, sono stati in alcuni casi presentati in programmi più complessi, mostrando una velleità da piano integrato e sistemico, mentre in realtà risultavano essere una semplice somma di progetti per silos funzionali: questa somma nulla aveva a che spartire con il principio di progetto sistemico, ritenuto oggi fondamentale per la creazione di una pubblica amministrazione informatizzata in modo efficiente. In generale poi questi progetti si sono sempre basati, nelle loro fasi di sviluppo ed implementazione, su un approccio “per parti”, per cui le singole componenti di un piano venivano sviluppate nel dettaglio e connesse tra loro, con lo scopo di creare delle componenti di maggiore complessità, solo successivamente. Insieme al problema dell’approccio per silos funzionali, un altro aspetto ha caratterizzato lo sviluppo dei primi progetti di digitalizzazione della pubblica amministrazione: è venuta infattia mancare una fase di analisi e riorganizzazione della pubblica amministrazione stessa, volta a precedere e ad integrare il processo della sua digitalizzazione. Quest’ultimo, infatti, insieme all’attenzione verso le nuove tecnologie ICT, avrebbe potuto essere utilizzato al fine di effettuare una sostanziale re-ingegnerizzazione e ristrutturazione dei processi interni della pubblica amministrazione e conseguentemente dei servizi e delle loro modalità di erogazione, ciò al fine di costruire una struttura pubblica meno burocratica e più flessibile. D’altra parte, a causa della scarsa conoscenza delle potenzialità legate all’adozione dell’ICT nei vari livelli delle strutture della pubblica amministrazione, questa occasione non è stata sfruttata, finendo per ridurre il potenziale innovativo dei progetti di digitalizzazione al puro inserimento di tecnologia all’interno della struttura interessata, lasciando invariata, in uno scenario digitale, la natura analogica dei processi materiali degli enti pubblici. A causa di queste caratteristiche, così come delle modalità in cui sono stati concepiti e implementati i primi progetti, l’informatizzazione dell’amministrazione pubblica italiana si è svolta sostanzialmente in modo inefficiente, producendo significativi effetti sia in termini economici e funzionali, sia nella fornitura di servizi ai cittadini. Sicuramente noti sono, ad esempio, i malfunzionamenti e gli errori legati ai dati anagrafici, alla loro registrazione e condivisione. È infatti comune l’esperienza di dover comunicare ripetutamente un determinato dato personale a differenti enti pubblici, che dichiarano sistematicamente di non disporre di tale informazione nei propri archivi: l’ufficio anagrafe, i carabinieri e la polizia, le ASL, le prefetture, gli uffici della motorizzazione civile operano come noto su dati non condivisi e per processi che, se dematerializzati, spesso hanno adottato forme e standard (tecnici e semantici) non comparabili tra loro e difficilmente uniformabili. Questa modalità di conservazione e gestione dei dati evidenzia inoltre un approccio alla pubblica amministrazione e alla sua informatizzazione che non si è sviluppato intorno al cittadino, alle imprese, e ai loro bisogni, ma che si è limitato alla diffusione di soluzioni tecnologiche, a discrezione del singolo ente: conseguenza è stata che le
9
QUADERNI DI THINK!
amministrazioni ricorrevano (e ricorrono ancora oggi) ai cittadini come mezzo di interconnessione obbligata; si pensi al caso in cui un cittadino smarrisca il proprio portafoglio: questa eventualità si traduce, nell’ottica appena descritta, nella necessità, per il cittadino, di recarsi almeno in tanti uffici quanti sono i documenti smarriti, provocando perdite sia in termini di tempo sia economiche, a fronte del fatto che una banale connessione internet potrebbe oggi, almeno in parte, permettere un maggiore livello di comunicazione diretta tra gli enti e semplificare la vita al cittadino riducendone gli spostamenti fisici. Come ulteriore esemplificazione delle modalità con cui sono stati implementati i processi di informatizzazione negli ultimi quarant’anni in Italia, è utile considerare ad esempio lo stato dei sistemi informativi nei comuni italiani. Il processo di automazione di questi enti si è sviluppato sotto l’effetto combinato di due elementi: la dimensione (ad esempio in termini di numero di residenti) e la produzione legislativa, legata al principio della “gerarchia delle fonti”, cioè alla necessità di tenere in considerazione tutti i diversi strati della produzione legislativa e ai loro rapporti “gerarchici”: legislazione statale, legislazione regionale, attività normative comunali. I primi ad intraprendere un processo di automatizzazione sono stati, in questo contesto, i comuni di maggiori dimensioni, che hanno iniziato ad informatizzare aree amministrative, come quelle della contabilità e bilancio, seguite poi da quelle legate ai servizi demografici ed infine da quelle relative alle altre funzioni amministrative. Successivamente, ma sostanzialmente con le medesime caratteristiche implementative, il processo è stato esteso anche agli enti di minori dimensioni. Ciò che però ha effettivamente segnato questo processo è stata la tendenza a privilegiare, negli enti locali, la diffusione di una logica di quantità, a scapito della qualità delle applicazioni e delle effettive funzionalità rese disponibili: in un’epoca in cui i sistemi erano proprietari, ogni ente si dotava di una propria infrastruttura, rendendo intrinseca al sistema informativo stesso l’impossibilità di base a comunicare con altri enti, fatto che, su larga scala, ha ostacolato l’adozione di un paradigma di interoperabilità tra le amministrazioni pubbliche sia centrali sia periferiche. A questo proposito, si può ricordare come la mancanza di una visione sistemica nel processo d’informatizzazione degli enti pubblici abbia portato, in pratica, al fallimento di alcuni interessanti sistemi informativi territoriali (SIT), realizzati dalle regioni, in quanto spesso i comuni destinatari della verifica e della convalida dei dati, utili all’implementazione di tali sistemi, si sono rivelati tecnologicamente male equipaggiati (e/o incompatibili), vanificando il buon esito degli investimenti regionali. Spesso questi malfunzionamenti si sono quindi tradotti in altrettanti danni economici, con costi dalla crescita molto significativa e sprechi consistenti. L’assenza di coordinamento e di standardizzazione dei processi (dovuta all’inesistenza di una visione globale che li rendesse sistemici), così come la loro mancata re-ingegnerizzazione, ha infatti promosso il diffondersi di fenomeni di duplicazione dei costi, sia per le pubbliche amministrazioni, sia per le famiglie e le imprese: le prime sono state costrette, come detto, alla gestione ed allo sviluppo autonomi dell’informatizzazione dei processi, così come all’emissione ripetuta di eventuali documenti e certificati; le seconde, invece, come destinatarie del prodotto ultimo del processo, si sono trovate imputati costi in termini di tempo e di spreco di energie, che le tecnologie ICT, in una loro piena e coerente implementazione, avrebbero potuto ridurre ed ottimizzare.
10
Attuare l’Agenda Digitale: Innovazione, Sviluppo, Democrazia
Gli organi di supervisione e coordinamento Nel corso degli anni, come accennato in premessa, si sono succeduti diversi enti, a livello centrale, con compiti di coordinamento e controllo. Oltre all’AIPA (Autorità per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione) e al Centro Tecnico per la RUPA, altri tre organi si sono susseguiti, con nomi diversi e funzioni variabili, nello scenario dell’automazione pubblica: il CNIPA (Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione), il DigitPA ed infine, oggi, l’Agenzia per l’Italia Digitale. L’istituzione dell’AIPA, tramite decreto datato febbraio 1993, evento riconducibile a quel processo di trasformazione e riqualificazione dell’amministrazione pubblica italiana, di cui si è accennato in premessa, ha sancito la comparsa nello scenario istituzionale italiano di un organo che aveva un ruolo relativamente indipendente dal governo, vedendosi attribuire un numero consistente di compiti e funzioni cui poteva far fronte secondo i principi di autonomia ed indipendenza: l’AIPA si trovò quindi attribuiti compiti di vigilanza e monitoraggio sul mercato dell’informatica pubblica, e di promozione e realizzazione di grandi progetti infrastrutturali, oltre che di redazione e pubblicazione di relazioni annuali sullo stato dell’informatizzazione italiana. Attraverso questo organo, i governi degli anni ’90 delinearono un programma per la digitalizzazione costruito intorno al cittadino e ai suoi bisogni, intesi come richieste svincolate da legami di competenza territoriale o di residenza, semplificate nella domanda di dati e informazioni, e ridotte al minimo in termini di numero di contatti con le amministrazioni. Inoltre, particolarmente rilevante fu la definizione di un progetto per la creazione di un’architettura d’interconnessione telematica delle amministrazioni, chiamata Rete Unitaria della Pubblica Amministrazione (RUPA) cui aderirono, in sede di conferenza unificata, tutte le amministrazioni locali. D’altra parte, i cambi di legislatura e le incertezze nei programmi di governo portarono rallentamenti importanti nell’attuazione di questa iniziativa (così come di altre), già delineata e coperta da finanziamenti: oltre ad una modifica del nome, ora Sistema Pubblico di Connettività (SPC), poche novità furono introdotte, senza per altro ottenere l’adesione concertata delle amministrazioni locali. Attuata, questa iniziativa si trasformò quindi in un’architettura a controllo centralizzato che poche amministrazioni accettarono e a cui si adeguarono. I cambi di governo non portarono interventi e modifiche solo sul piano delle iniziative e dei progetti per un’Italia digitale. Sul piano organizzativo, l’AIPA, negli anni, fu privata di alcune sue funzioni e competenze, tant’è che, nel 2003, l’AIPA e il Centro Tecnico della RUPA furono assorbite da un unico organo, lo CNIPA. Durante gli anni in cui fu attivo, al di là delle diatribe sui piani e i progetti operativi da affrontare ed implementare, il CNIPA promosse l’automazione della PA, in particolare tramite l’introduzione, nel 2005, del Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD): questo fu immediatamente riconosciuto come uno strumento normativo per delineare in forma univoca le linee guida del processo di informatizzazione delle amministrazioni pubbliche, benché, in seguito, alcune lacune e modifiche abbiano portato ad una sostanziale confusione nella base normativa di questo processo, come trattato in un paragrafo successivo del volume. D’altra parte, negli anni di attività del CNIPA, benché indubbi successi siano stati poi rilevati in specifici settori, così come in relazione all’uso di specifici strumenti, si è verificato che l’integrazione dei
11
QUADERNI DI THINK!
procedimenti amministrativi e dei servizi delle diverse amministrazioni, in un’ottica di interoperabilità e cooperazione, fu scarsamente applicata, e che l’erogazione di servizi online rimase pressoché sconosciuta. Figura 1: Sintesi delle funzioni e i compiti degli organi per un’Italia Digitale (1993-2012) AIPA (1993-2003) CNIPA (2003-2009) DigitPA(2009-2012)
• La preparazione e la
pubblicazione delle norme tecniche;
• La valutazione della
coerenza delle strategie di innovazione del Governo e le attività ICT della PAC;
• La definizione e la
gestione di progetti ad elevato contenuto innovativo nell’impiego dell’ICT nella PA;
• Attività di consulenza nei confronti degli organi e delle funzioni direttive delle PA;
• La gestione dei rapporti
e delle collaborazioni finalizzate alla creazione della “Società dell’informazione”, in sede europea ed internazionale;
• Il monitoraggio e il
controllo delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione per lo sviluppo del paese e nell’evoluzione dei servizi della PA;
• La realizzazione di
progetti di natura strategica ed altamente innovativi;
• La predisposizione
delle norme tecniche per la gestione ed il mantenimento dei sistemi informativi della PA;
• La conduzione dei
rapporti internazionali in materia di innovazione e digitalizzazione della PA.
• Funzioni di emanazione
di regole, standard e guide tecniche, nonché di vigilanza e controllo sul rispetto di norme;
• Funzioni di valutazione, di monitoraggio e di coordinamento dei progetti;
• Funzioni di
predisposizione, realizzazione e gestione di interventi e progetti di innovazione;
• Funzioni di consulenza e proposta
• L’ente continua inoltre
a svolgere ogni altra funzione prevista da leggi e regolamenti già attribuita allo CNIPA.
• La predisposizione di
un piano strategico triennale dei progetti e degli interventi sui sistemi informativi delle amministrazioni.
Fonte: Think!
In seguito, di fronte ai suoi elevati costi di gestione e alla necessità generalizzata di adattarsi alle politiche di taglio alla spesa pubblica, lo CNIPA si trovò di nuovo al centro di un processo di ridefinizione dei propri compiti: le sue funzioni furono infatti razionalizzate per mezzo di alcune modifiche organizzativo-istituzionali, tra cui un nuovo cambio di denominazione, da CNIPA a DigitPA. Nel 2009 nasce pertanto DigitPA, definito ancora una volta come ente pubblico non economico, con competenza nel settore delle tecnologie ICT nell’ambito della pubblica amministrazione, che opera secondo le direttive e sotto la vigilanza del Presidente del Consiglio (o del Ministro delegato), con autonomia tecnica e funzionale, amministrativa, contabile, finanziaria e patrimoniale. Per portare alcuni esempi del tipo di modifiche che furono apportate al CNIPA, e che portarono alla definizione di questo “nuovo” ente, è utile ricordare l’introduzione della pratica di riscossione di percentuali (a carico degli aggiudicatari) sul valore dei contratti sottoposti a parere consultivo dell’ente,
12
Attuare l’Agenda Digitale: Innovazione, Sviluppo, Democrazia
la riduzione del personale a 120 addetti (dai 200 presenti nello CNIPA), e l’esclusiva, riservata a DigitPA, della promozione sul mercato dell’offerta di prodotti, servizi e know-how digitali. D’altra parte, oltre all’introduzione di interventi volti ad arginare la problematica dei costi, cambiamenti furono riscontrati anche in materia di responsabilità interne all’ente: quella della stesura del piano triennale dei progetti e degli interventi di sviluppo dei sistemi informativi delle pubbliche amministrazioni venne infatti trasferita dalla DigitPA al Presidente del Consiglio dei Ministri (o ad un Ministro delegato), così come le competenze relative ai rapporti con gli organi dell’Unione Europea e quelli internazionali. I risultati derivanti dalla ridefinizione di questo organo sono tuttavia apparsi negli anni modesti: la DigitPA dimostrò infatti sostanziali difficoltà in fase di avvio, suscitando perplessità riguardo alla sua reale capacità di perseguire un ruolo di governance e di guida del processo di automazione delle pubbliche amministrazioni. Di conseguenza, la mancata copertura di tale ruolo da parte di DigitPA portò nuovamente questo ente nel mirino delle riforme e dei decreti, sancendo nel 2012 la nascita dell’attuale Agenzia per l’Italia Digitale. I continui cambi di rotta, e la sostanziale (nonché conseguente) inefficacia operativa degli organi che si sono susseguiti negli ultimi vent’anni, hanno reso quindi evidente le problematiche relative alla struttura di governo e alla governance del processo di automazione della pubblica amministrazione in Italia. Gli enti che sono stati proposti negli anni per guidare questo processo si sono infatti dimostrati spesso troppo deboli ed inclini a tralasciare la propria indipendenza ed autonomia, senza riuscire in questo modo ad imporre la propria volontà alla componente politica del paese. Oggi, la costituzione dell’Agenzia per l’Italia Digitale, nata sulle fondamenta mai sviluppate della DigitPA, sta suscitando quindi grande interesse, in quanto possibile organo forte ed effettivamente indipendente in grado di guidare il processo di digitalizzazione della pubblica amministrazione in Italia; va tuttavia segnalato che alcuni ritardi e mancanze (prima tra tutte la mancanza ad oggi di uno Statuto) evidenziano già possibili debolezze nella struttura dell’Agenzia.
Lo stato della legislazione per la Pubblica Amministrazione Digitale Uno degli aspetti più importanti e delicati, che comunque vanno considerati nel contesto di un’analisi complessiva, seppur sintetica, della situazione dell’utilizzo delle tecnologie nella pubblica amministrazione, è sicuramente quello della legislazione relativa allo svolgersi di tale processo. Pur partendo dalla consapevolezza di non possedere i requisiti specialistici necessari ad una analisi di tipo giuridico e legislativo, si ritiene utile, a fini di completezza, sviluppare alcune considerazioni generali in relazione a questo tema. La produzione legislativa relativa ai principi, i processi e i progetti di rinnovamento digitale della pubblica amministrazione del paese ha seguito, nell’ultimo decennio, un percorso scandito da quattro interventi legislativi fondamentali, che hanno progressivamente delineato il quadro normativo di riferimento: 1. Decreto Legislativo 7 marzo 2005 n.82 (CAD): definizione dei principi generali, dei diritti, delle finalità e degli ambiti di applicazione; definizione e impostazione delle procedure di formazione, gestione, conservazione e trasmissione dei documenti informatici e di utilizzo delle
13
QUADERNI DI THINK!
firme elettroniche; definizione delle caratteristiche e della fruibilità dei dati della pubblica amministrazione ed organizzazione dei servizi di rete; ruolo e funzioni di DigitPA, definizioni e finalità del sistema pubblico di connettività (SPC) e collegamenti con la rete internazionale della pubblica amministrazione. 2. Legge 7 agosto 2012 n. 134 (“Misure urgenti per la crescita del paese”): soppressione di DigitPA e istituzione dell’Agenzia per l’Italia digitale con relativa definizione di organi e funzioni. 3. Legge 17 dicembre 2012 n. 221 (“Ulteriori misure urgenti per la crescita del paese”): attuazione dell’Agenda digitale italiana tramite i progetti relativi all’anagrafe nazionale, al domicilio digitale, alla posta elettronica certificata, al fascicolo sanitario elettronico e alla giustizia digitale; carta dei diritti per l’azzeramento del divario digitale, interventi per la diffusione delle tecnologie digitali e regolamentazione dei pagamenti elettronici. 4. Legge 9 agosto 2013 n. 98 (“Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”): misure per il potenziamento dell’Agenda digitale italiana. L’impianto normativo brevemente accennato presenta indubbiamente alcune criticità che, anche con riferimento a quanto scritto in precedenza sullo stato e sulle modalità del processo di automazione della pubblica amministrazione, si possono ricondurre, innanzi tutto, alla mancanza di una visione progettuale integrata, il che ha conseguentemente portato a problemi di leggibilità, ridondanza e lentezza esecutiva; per quanto riguarda la leggibilità si può osservare come manchi un codice unico ed organico di regolamentazione dell’amministrazione digitale, come l’impianto legislativo sia frutto dell’accumulo di interventi normativi successivi, che a volte hanno addirittura indicato con nomi differenti medesimi concetti, e come manchi una concezione e una progettazione integrate della struttura di governance e delle responsabilità a questa legate (ad esempio in relazione ai progetti da implementare e ai relativi studi di fattibilità); la ridondanza, cui si è accennato, nasce come conseguenza dei successivi interventi normativi che sono stati effettuati, sia dal punto di vista dei principi che delle modalità di applicazioni dei medesimi: già l’indicare con nomi diversi il medesimo concetto è indicativo di questa criticità; infine con riferimento alla lentezza operativa, con cui ci si riferisce a tutti quei casi di ritardo nell’attuazione degli adempimenti previsti, pur se negli ultimi tempi si è evidenziata una crescente consapevolezza di questo problema e quindi della necessità di dover minimizzare i suoi effetti negativi, ancora oggi si risente l’influenza della passata abitudine a lasciare disapplicate, anche per anni, norme e principi definiti. La situazione e le criticità sinteticamente riportate si traducono, in buona sostanza, in un debito di democrazia riconducibile a un aumento, in realtà non necessario, della complessità nell’utilizzo di soluzioni tecnologiche e alla presenza di ostacoli all’eccesso a dati e procedure: l’approccio necessario alla risoluzione di tale deficit richiederebbe anzitutto una rilettura organica e sistematica dei testi.
14
Attuare l’Agenda Digitale: Innovazione, Sviluppo, Democrazia
UNA PROPOSTA: L’APPROCCIO NECESSARIO Le caratteristiche di un processo innovativo Come visto in precedenza, i processi di automazione delle amministrazioni pubbliche in Italia si sono svolti in modo confuso e disomogeneo, producendo danni significativi sia per i cittadini, sia per la stessa pubblica amministrazione. Di fronte a questo stato di cose, un nuovo approccio risulta indispensabile per rendere il processo di digitalizzazione finalmente efficace e, per certi aspetti, democratico. In particolare, è opportuno che questo processo adotti una prospettiva che veda al centro dell’interesse e degli sforzi delle pubbliche amministrazioni i cittadini e le imprese, intesi come destinatari ultimi dei servizi erogati dagli enti pubblici e non come vittime della disorganizzazione e dell’inefficienza di questi ultimi. Cinque sono i punti fondamentali, già anticipati nell’introduzione ai processi d’informatizzazione e nelle varie esemplificazioni, che devono essere intesi come essenziali per lo sviluppo e l’implementazione di un vero piano di automazione e che non prevedono inizialmente alcun intervento tecnologico vero e proprio: (i) l’analisi e la reingegnerizzazione dei processi; (ii) la ricerca di equilibrio tra centro e periferia; (iii) l’adozione di un’ottica di integrazione ed interoperabilità; (iv) coinvolgimento diretto di tutti gli enti coinvolti su un determinato tema ed (v) un approccio legislativo più efficiente.
L’analisi e la reingegnerizzazione dei processi Nota è l’estrema complessità che viene tradizionalmente attribuita ai processi che determinano ed abilitano l’erogazione di servizi da parte delle amministrazioni pubbliche, complessità aggravata sia dalla mancanza di capacità di rinnovarsi a fronte dei volumi di utenti e servizi che negli anni sono andati sempre più crescendo, sia dalla mancanza di soluzioni tecnologiche (ora invece disponibili) in grado di rendere i processi effettivamente efficienti e lineari. Lo stato di estrema inefficienza della pubblica amministrazione, soprattutto in tema di automazione (ma non solo), è riconducibile all’assenza di un’analisi ex-ante delle dinamiche e delle relazioni che riguardano un ente e la sua struttura: questa mancanza si traduce in una sostanziale incapacità degli enti di re-ingegnerizzare le proprie pratiche e procedure, interne ed esterne, relative a ciascun servizio e alla loro interazione. E’ proprio questa attività di re-ingegnerizzazione, intesa innanzitutto come ripensamento dei procedimenti e degli obiettivi di un’amministrazione a cui devono essere poi allineate le sue effettive funzionalità, che permetterebbe di mappare i procedimenti degli enti nel modo più efficiente ed efficace, liberandoli da duplicazioni e lungaggini. Tale attività consentirebbe inoltre di individuare le modalità di applicazione e utilizzo della tecnologia che meglio permetterebbe di sfruttare le sinergie esistenti tra questa e la “macchina” amministrativa organizzativa e conseguentemente le procedure di erogazione dei servizi.
15
QUADERNI DI THINK!
La ricerca di equilibrio tra centro e periferia La tematica dei rapporti tra amministrazioni centrali e locali, e lo sviluppo della tecnologia in relazione a questi, ha portato non poche perplessità nell’identificare le soluzioni migliori, se non ottimali, da adottare in un processo di automazione della pubblica amministrazione. L’esperienza internazionale ha mostrato, infatti, come le nuove tecnologie facilitino potenzialmente la diffusione dei servizi pubblici sul territorio e tra i cittadini (direzione indicata dal principio di sussidiarietà, che delega tale diffusione agli enti locali), mentre la gestione delle tecnologie stesse si è dimostrata più efficace, sia in termini di coordinamento sia di razionalizzazione delle risorse e di sfruttamento delle economie di scala, se affidata all’amministrazione centrale. Trovare un equilibrio ottimale tra queste opposte tendenze sarebbe quindi un modo per far fronte alla varietà di fenomeni ed esperienze locali in un’ottica di progetto sistemico, coordinato a livello nazionale. Una soluzione in questo senso può essere data dall’adozione del paradigma del Cloud Computing, innovazione tecnologica in grado di bilanciare le esigenze funzionali degli enti locali e delle amministrazioni centrali.
L’adozione di un’ottica d’integrazione e d’interoperabilità Un altro tema fondamentale per tracciare un piano di automazione della pubblica amministrazione riguarda l’adozione di un’ottica d’integrazione e d’interoperabilità, ottica che, se in parte già presente nelle proposte degli ultimi anni fatte dai vari organi alla guida di questo processo, d’altra parte non ha avuto nessun risvolto operativo. Un esempio già introdotto è quello del SPC che, benché si fosse posta come traduzione concreta di questi principi, in pratica si risolse in un’architettura di interconnessione delle amministrazioni che poche adottarono. Integrazione e interoperabilità sono quindi due termini che definiscono la capacità di creare un sistema unico e integrato, applicato su larga scala a chiunque si trovi a interagire con esso: questi due termini sottintendono infatti la possibilità, per questo stesso sistema, di vedere le proprie parti operare in coordinazione, secondo norme operative standard e uniformate.
Estensione a tutti gli enti coinvolti su un determinato tema Si è detto che una delle principali necessità è garantire omogeneità nelle soluzioni tecnologiche adottate e la più ampia possibilità di comunicazione tra gli enti, in un contesto di razionalizzazione e di riduzione dei costi; obiettivi di questo tipo si possono raggiungere solo a condizione che, in fase progettuale, si assuma un approccio che consideri l’insieme complessivo degli enti che sono coinvolti sul tema che si intende affrontare, siano essi locali o centrali; solo una visione di questo tipo, non limitata a un ente, ma centrata su problema e su tutti gli attori che ne sono coinvolti, permette di definire soluzioni che rispondano ai requisiti indicati in precedenza. Questi principi, ritenuti fondamenti per formare una struttura ed un’organizzazione integrata ed efficiente, in cui possano operare processi lineari e semplificati, si devono tradurre di fatto nella creazione e nell’adozione di progetti di natura sistemica, che necessitano di una struttura di governance chiara ed efficace. I progetti di natura sistemica sono pertanto progetti complessi, che coinvolgono tutte le amministrazioni pubbliche all’interno dei confini di un paese in relazione ad un preciso tema, in una prospettiva che
16
Attuare l’Agenda Digitale: Innovazione, Sviluppo, Democrazia
considera contestualmente le singole componenti e le relazioni tra di esse; il risultato di questo approccio permette di erogare uno stesso servizio in aree geografiche differenti con le medesime modalità operative per l’utilizzatore. I progetti sistemici come sopra definito, data la loro complessità in sede di definizione in concreto (coinvolgimento degli enti coinvolti), progettazione, concertata tra gli organismi coinvolti, e infine implementazione, richiedono inevitabilmente un approccio adeguato caratterizzato da: • uno studio di fattibilità • un disegno architetturale • un progetto e da un piano di sviluppo informatico • una struttura di project management • una strategia di sostenibilità a regime • una legge istitutiva che allochi un budget pluriennale e definisca gli obblighi delle amministrazioni coinvolte e le modalità di finanziamento delle stesse. In quest’ottica, un tipico progetto di natura sistemica, implementato da alcuni enti ma dall’esito oggi inadeguato, è quello relativo al Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), mentre un esempio di progetto sistemico, che, nel caso venisse opportunamente implementato, avrebbe effetti particolarmente positivi per la pubblica amministrazione e i cittadini, è quello dell’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR). Di seguito vengono pertanto esemplificati alcuni progetti, avendo cura di sottolineare le eventuali criticità e problematiche alla luce dell’approccio proposto in precedenza.
Un approccio legislativo più efficiente Un approccio legislativo coerente con quanto detto sopra dovrebbe porsi l’obiettivo di dare corpo organico alla legislazione di riferimento in un’ottica di progettualità sistemica delle soluzioni tecnologiche per la pubblica amministrazione. Un primo passo, comunque da effettuare nella prospettiva enunciata, comporta il riordinamento del corpo legislativo in parti i cui contenuti siano coerenti al loro interno e tra loro non sovrapposti, e che differenzino in modo sostanziale le aree di intervento delle norme: • Principi generali: definizione degli obiettivi strategici che il paese si pone con l’implementazione di progetti a valenza tecnologica, definizione delle caratteristiche generali alle quali i progetti devono aderire, definizione delle linee guida generali alla base delle successive modalità di implementazione (ad esempio il concetto di interoperabilità). • Progetti: per ciascun progetto devono essere definite le finalità generali, gli enti coinvolti e le loro responsabilità, così come le fonti di finanziamento. • Implementazione: definizione di regole e standard tecnologici e implementativi, di criteri nell’ambito del project management, attività queste che, contrariamente alle precedenti, non vanno definite per via legislativa.
17
QUADERNI DI THINK!
Tre progetti sistemici Nel seguito sono quindi discussi gli esempi prima indicati ed occorre a questo proposito sottolineare un aspetto rilevante: si è detto in precedenza che progetti con le caratteristiche appena descritte devono prevedere l’esecuzione di una studio di fattibilità; non è questa tuttavia la sede per una simile attività, si vuole solo descrivere le linnee generali da seguire e alcune criticità che devono essere affrontate per poter realizzare tali progetti con le caratteristiche di complessità e ampiezza indicate sopra.
Il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) E’ noto come un tema di particolare importanza per il cittadino, proprio per il suo carattere personale e “vitale”, sia quello sanitario. Partendo da questo assunto e data la nuova prospettiva attribuita alla pubblica amministrazione in termini di maggiore attenzione al cittadino, è evidente come il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) possa svolgere un ruolo chiave nel processo di digitalizzazione della pubblica amministrazione, inteso non come semplice adozione di nuove tecnologie ICT, ma come implementazione di un progetto atto a migliorare l’esistenza dei cittadini a cui i servizi pubblici sono rivolti. Il FSE, infatti, dovrebbe svolgere la funzione di gestore dei flussi che riguardano il cittadino in qualità di “paziente” e, in questo ruolo, dovrebbe permettere non solo la drastica riduzione delle duplicazioni dei documenti clinicosanitari ma, soprattutto, dovrebbe consentire al medico ed al cittadino di consultare la situazione e la storia sanitaria del paziente ovunque si trovino, a prescindere dal comune e dalla regione di residenza. Ad oggi solo alcune regioni hanno iniziato ad investire nell’implementazione del progetto di FSE, e tra queste vi è una situazione di notevole disomogeneità nel disegno e nel grado di sviluppo, i progetti non sempre sono compatibili da un punto di vista applicativo e risulta anche che vengano utilizzati standard differenti. Senza considerare le diversità esistenti per macroarea geografica (riconducibili a motivi socio-istituzionali più complessi), evidenti sono alcuni malfunzionamenti strutturali che ancora oggi caratterizzano le modalità con cui le informazioni e i dati clinico-sanitari dei pazienti vengono condivisi tra Aziende Ospedaliere, Asl, professionisti del settore e le altre istanze operative in ambito sanitario, sia all’interno di ogni singola regione sia tra le regioni. In quest’ottica, i progetti dei vari fascicoli sanitari già implementati non hanno dimostrato di possedere una valenza sistemica a livello nazionale, tale da consentire l’utilizzo ottimale dei dati dei pazienti. Paradossale è infatti il caso in cui un individuo residente in una certa regione italiana si trovi a dover usufruire di servizi sanitari al di fuori di quest’ultima: l’attuale struttura dei fascicoli sanitari esistenti (tutti implementati a livello regionale seguendo piani strutturali e applicativi autonomi) non consente infatti il dialogo tra l’ente in cui viene ricevuto il cittadino e l’Asl di appartenenza di quest’ultimo. Questa incomunicabilità si trasforma pertanto nell’impossibilità per gli attori, cui è affidata in questo caso la salute del paziente, di accedere ad informazioni sensibili per le operazioni relative alla sua cura.
18
Attuare l’Agenda Digitale: Innovazione, Sviluppo, Democrazia
Figura 2: Schema del ruolo del FSE nel Sistema Sanitario Nazionale (Ssn)
Stru ure di ricovero e cura
E
FS
FS
E
Medici specialis ci
Farmacie e laboratori
E
FS
E FS
PAZIENTE
Medici di Medicina Generale/ Pediatri di Libera Scelta Fonte: Think!
Inserito in un’ottica di progetto a valenza sistemica, il FSE viene al contrario concepito come uno strumento che, attraverso un’architettura d’interoperabilità e di cooperazione applicativa estesa a tutte le componenti applicative presenti nelle singole strutture sanitarie, e quindi al sistema sanitario nel suo complesso, metta a disposizione degli operatori e dei singoli cittadini la documentazione, strutturata secondo standard definiti a livello nazionale ed integrata, relativa ai dati sanitari e socio-sanitari derivanti dagli eventi clinici avvenuti durante la vita del cittadino stesso. In questa prospettiva, e per ragioni normative che legano la conservazione delle informazioni clinico-sanitarie alle Asl o alle Aziende Ospedaliere, piuttosto che alle strutture sanitarie private che le hanno raccolte, il Fascicolo diventa quindi un insieme di servizi ICT che consentono ad un operatore sanitario, debitamente autorizzato, di collegarsi all’ente in cui risiedono i dati del paziente e a tutta la rete degli enti sanitari che vi gravitano attorno: il FSE, pertanto, è sostanzialmente un sistema di comunicazione e di accesso che deve permettere il reperimento delle informazioni di interesse, recuperandole negli archivi dei singoli enti sanitari che ne sono i depositari per legge. Al fine di attuare quest’ottica di implementazione del FSE, inteso come progetto a valenza sistemica in un ambiente di condivisione e interoperabilità, due sono gli strumenti richiesti:
19
QUADERNI DI THINK!
• l’individuazione e la diffusione a livello nazionale di applicazioni comuni e standard, in sostituzione delle attuali e delle loro versioni ora presenti negli enti (pubblici e privati) che compongono il sistema sanitario italiano • l’adozione di una architettura applicativa in Cloud Computing, che consenta la creazione di un impianto di condivisione online, a livello nazionale, delle informazioni sanitarie tra gli enti e i cittadini interessati. In questo modo, il FSE consente di sfruttare al meglio, nei limiti consentiti dalla necessità del rispetto della privacy, le possibilità derivanti dalla condivisione dei dati relativi ai cittadini/pazienti, migliorando non solo le prestazioni amministrativo-burocratiche dell’ente nei confronti dei cittadini, ma soprattutto la stessa prestazione sanitaria, potenzialmente riducendo i tempi di analisi e di diagnosi, grazie alla maggior disponibilità di informazioni.
L’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR) Uno dei temi oggi maggiormente discussi è sicuramente quello dell’Anagrafe della Popolazione Residente, rispetto al quale sarebbe indubbiamente necessaria un’attività di analisi molto più approfondita di quanto sia stato fatto. Prima di affrontare il problema dell’implementazione di un’unica anagrafe nazionale, al fine di inquadrare correttamente il problema occorre innanzitutto individuare e descrivere il ruolo dell’anagrafe, e del dato anagrafico, nel comune e quindi individuare e definire il sistema di relazioni e interazioni che l’anagrafe ha con le altre funzioni del comune stesso. Il comune deve essere visto come un soggetto che opera nel contesto di due sistemi “a rete” complessi: un primo è costituito dalle relazioni che sussistono tra le varie componenti interne dell’ente, il secondo dalle relazioni tra l’ente e il mondo esterno, costituito da cittadini, imprese e altri enti pubblici. Con riferimento al primo aspetto, va osservato che vi sono due grandi ambiti d’intervento del comune: uno è legato direttamente al cittadino, inteso come soggetto al centro di una rete di servizi che rispondono a suoi specifici bisogni individuali; il secondo invece riguarda il territorio su cui interagiscono i cittadini con le conseguenti attività di controllo, gestione e supporto infrastrutturale, necessarie a che si svolgano le interazioni tra i cittadini stessi. Nel primo caso si tratta di attività e funzioni quali i servizi di anagrafe e stato civile, con le relative certificazioni, piuttosto che le attività legate alla gestione dei servizi sociali, educativi o culturali; nel secondo caso si tratta di attività quali la gestione della sicurezza, dei trasporti, dell’edilizia o dei lavori pubblici. Oltre al sistema di relazioni cui si è accennato, il comune è al centro di un’altra “rete”, costituita da enti e soggetti esterni con cui si trova ad operare in differenti ambiti: ha rapporti di tipo finanziario con il Ministero dell’Economia piuttosto che con il sistema bancario o con i cittadini e le imprese e ha rapporti di scambio di informazioni con organismi quali le scuole, le strutture sanitarie, le aziende e gli altri enti locali. Tutte le relazioni di cui sopra generano un sistema di flussi informativi che nascono all’interno dell’ente e possono o terminare all’interno dell’ente stesso o esaurirsi al di fuori di esso, piuttosto che flussi che nascono all’esterno e terminano all’interno o, di nuovo, all’esterno: l’evidente complessità del sistema di flussi appena introdotto identifica la necessità di un’attività preliminare di analisi sul piano organizzativo e funzionale come, appunto, per i progetti definiti sistemici. A una più approfondita analisi degli oggetti delle relazioni, si può individuare nel dato anagrafico la chiave base delle relazioni interne ed esterne al
20
Attuare l’Agenda Digitale: Innovazione, Sviluppo, Democrazia
comune: per quanto riguarda le relazioni interne è infatti tramite il dato anagrafico che vengono identificati in modo univoco i cittadini sia in quanto singoli utilizzatori diretti dei servizi (ad esempio il servizio bibliotecario) sia come aggregato di elementi cui sono destinati dei servizi (i passeggeri sia come utenti dei trasporti pubblici sia come elementi per la pianificazione della mobilità); anche per quanto riguarda le relazioni con gli enti esterni, il dato anagrafico resta l’oggetto identificativo in modo univoco del singolo cittadino, basti pensare alle relazioni del comune con le ASL piuttosto che con le scuole. A fronte della centralità del dato anagrafico, vi è una pluralità di applicazioni che lo utilizzano, con conseguenti problemi di duplicazioni, errori e quindi impossibilità d’interscambiare informazioni in modo automatico. Quanto detto, se pur in modo sintetico, evidenzia pertanto come il tema dell’anagrafe unica non sia un puro problema di struttura unica dei dati, che peraltro resta un requisito indispensabile, ma che vada affrontato considerando anche il ruolo del dato anagrafico nel complesso del panorama applicativo dei singoli comuni; si vuole cioè affermare che un corretto approccio al problema non può prescindere dalla valutazione dell’impatto, anche economico, che un’ipotesi di archivio unico ha sul parco applicativo degli enti, in termini di rifacimenti piuttosto che di modifiche delle applicazioni attualmente utilizzate.
L’identità digitale Così come per il Fascicolo Sanitario e l’Anagrafe Nazionale, anche il tema della gestione dell’identità digitale, definita come la modalità con cui si viene individuati in modo univoco come utenti di servizi erogati in rete da organismi pubblici e privati, è stato affrontato negli ultimi anni in modo parziale e non sistematico: questo approccio nel caso dell’identità digitale ha portato a sostanziali rallentamenti, se non impedimenti, nello sviluppo e nell’erogazione di servizi online, così come crescenti difficoltà nell’identificazione univoca e sicura degli utenti. E’ noto come spesso i procedimenti d’identificazione dei cittadini nell’accesso a servizi online si sono basati su profili utente non certificati da terze parti, ma costituiti esclusivamente da informazioni fornite dagli stessi utenti, rimandabili alla sola onestà di questi, e pertanto non univocamente collegabili in modo certo ad una determinata persona fisica. Da questa situazione sono derivate ulteriori complessità dovute alla necessità dei service provider di fornire procedure di identificazione maggiormente sicure: oggi la prassi richiede infatti che gli utenti debbano ricorrere, in alcuni casi, a sistemi di riconoscimento complessi e differenti tra loro, con password che si devono adattare di volta in volta a regole diverse, talvolta affiancate dalla richiesta di utilizzo di dispositivi e protocolli di varia natura per ulteriori accertamenti dell’identità del singolo. E’ diventato quindi evidente, anche per confronto in negativo con la situazione attuale, che le procedure ad hoc fornite dai vari service provider (pubblici e/o privati) per l’accesso alle loro piattaforme e ai loro servizi sono diventate ridondanti e fonti d’ingiustificate complicazioni per gli utenti, che si vedono costretti a ricorrere a decine di coppie userid-password. Una risposta possibile a questo stato di complessità e incertezza nei processi di identificazione on line propone di introdurre, in formato digitale, una pratica e un modello già esistente in modalità materiale/cartacea: nel mondo reale vige uno schema secondo il quale gli individui e i cittadini sono identificati da documenti di identità personali, molteplici ma a validità unica ed erga omnes per affermare la propria identità, schema che potrebbe essere concettualmente tradotto in
21
QUADERNI DI THINK!
versione digitale al fine di permettere il riconoscimento univoco e certificato degli utenti di servizi erogati in rete. Questi documenti d’identità digitale potranno essere quindi utilizzati per asserire nei confronti dei service provider l’identità personale e amministrativa degli individui e consentirne la verifica. Certamente un approccio di questo genere, che prevede l’utilizzo del medesimo documento per l’autenticazione all’accesso di servizi di qualsiasi service provider, sia pubblico sia privato, rimanda in primo luogo a problemi di sicurezza informatica che possono essere affrontati solo in un’ottica di conformità a norme e a standard, da parte di chi viene adibito al rilascio di questi documenti (siano essi soggetti pubblici o privati terzi), e di adozione di un paradigma che garantisca la creazione di rapporti di fiducia tra gli attori coinvolti. E’ proprio in relazione a questi ultimi punti che la normativa ha fino ad ora tralasciato di pronunciarsi, lasciando non regolamentati i trasferimenti di identità tra service provider e le conseguenti relazioni fiduciarie che si vengono in questo modo a formare. Affrontare questo tema in maniera completa e positiva significa pertanto, così come è già stato mostrato nei due casi precedenti, riuscire a delineare un modello organizzativo, architetturale e normativo in grado di supportare il rilascio, la certificazione e l’uso di documenti digitali validi erga omnes, riconducibili ad un’unica persona fisica, che rendano effettivo e sicuro l’accesso ai servizi e le operazioni online. Da sottolineare che un progetto di questo tipo assume un carattere sistemico in una accezione più ampia rispetto ai due casi precedenti che coinvolgono solo enti pubblici: in questo caso si è di fronte ad una molteplicità di soggetti coinvolti che va aldilà del mondo pubblico, riguardando anche realtà provate nazionali ed internazionali.
22
Attuare l’Agenda Digitale: Innovazione, Sviluppo, Democrazia
SCENARIO TECNOLOGICO Premessa Affrontando il problema della digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni da un punto di tecnologico, dato lo stato attuale dell’innovazione e delle nuove tecnologie e dei paradigmi tecnologici, quattro sono i trend che, con diversi gradi di adozione e diversi archi temporali, devono essere tenuti in considerazione nell’esperienza italiana: (i) i social media, (ii) la mobility, (iii) i big data e (iv) il cloud computing. In particolare, inserendo questi trend in un contesto temporale, si prevede che i social media vengano adottati in un orizzonte temporale di lungo periodo, i servizi in mobilità nel medio periodo, mentre il cloud e gli big data sono paradigmi quanto mai attuali.
Social Media nella PA Considerando in prima battuta il lungo periodo, l’adozione di un’ottica social all’interno delle pubbliche amministrazioni vede come suoi punti centrali il diffondersi di pratiche di collaboration, participation, empowerment e in real- time. A questo riguardo possono essere individuati nello specifico tre modalità di utilizzo attribuibili ai social media: • per comunicare e condividere informazioni con i cittadini e l’opinione pubblica; • per migliorare la consapevolezza del settore pubblico in relazione alla realtà circostante e ai suoi cittadini; • come strumenti operativi (a scopi investigativi, di ricerca del personale, etc…). Le pratiche internazionali mostrano un largo impiego di piattaforme social per creare un vettore di comunicazione bidirezionale tra istituzioni pubbliche e cittadini. In particolare, spesso è stato riconosciuto ai social media un ruolo effettivo (e crescente) nelle pratiche di sensibilizzazione della popolazione a riguardo di determinati argomenti nel sostegno alle attività, ad esempio la comunicazione di informazioni e consigli in ambito scolastico piuttosto che sanitario o relativo al traffico, e all’efficacia del disaster management. A quest’ultimo caso sono riconducibili le esperienze statunitensi relative agli uragani che si sono succeduti negli ultimi anni sulle coste americane: particolarmente esplicativo (e da alcuni considerato un punto di svolta) è stato il caso dell’uragano Sandy, durante il quale gli strumenti social (social networking, micro-blogging e video- e photo-sharing) sono stati utilizzati in maniera estensiva dalle agenzie governative per comunicare con i partner operativi e con il pubblico al fine di diffondere notizie aggiornate,così come per aumentare la consapevolezza dei bisogni della comunità colpita dal disastro. Per valutare lo stato in Italia dell’utilizzo in ambito di eGovernment dei social media, si pensi al caso del terremoto in Aquila e all’uso in quel contesto degli strumenti social: delle migliaia di post e foto condivisi, la maggior parte (se non tutti) sono stati condivisi a livello di singoli cittadini, evidenziando così un sostanziale silenzio “digitale” da parte degli enti pubblici: è evidente come invece gli enti pubblici, come ad esempio la stessa Protezione Civile, avrebbero potuto raggiungere i cittadini colpiti dal sisma fornendo loro adeguate informazioni, data la nota elevata diffusione di tecnologie mobili.
23
QUADERNI DI THINK!
D’altra parte, lo scarso (se non inesistente) ricorso ai social media da parte delle amministrazioni e delle agenzie pubbliche italiane non deve essere ricondotto solo al caso particolare di situazioni di emergenza: più in generale infatti l’utilizzo pubblico di strumenti social risulta scarso in tutti gli ambiti della comunicazione e della facilitazione dei servizi pubblici. A questo proposito è da sottolineare come i social media nel contesto italiano vengano utilizzati quasi esclusivamente nel contesto delle campagne elettorali, come mezzo di comunicazione politica e di promozione dei candidati.
Mobilità e Mobile Government Se un’ottica social ampia e diffusa nel processo di digitalizzazione della pubblica amministrazione italiana può essere concepita, ad oggi, in un arco temporale di lungo periodo, l’adozione del paradigma mobile nei servizi pubblici dovrebbe essere implementata, con una certa confidenza, in un intervallo più breve. Oggi il paradigma del mobile ha già dimostrato nel settore privato come possa portare sostanziali benefici in termini di allineamento ai bisogni e alle aspettative dei lavoratori e della clientela e di efficacia ed efficienza in relazione ai costi aziendali. D’altra parte, la possibilità di questi benefici non sembra per ora essere stata percepita, pur con qualche rara e positiva eccezione, all’interno del settore pubblico, benché vi siano alcuni fattori contingenti, quali il patto di stabilità e la mancanza di risorse, che dovrebbero far propendere gli enti pubblici per una rapida adozione di questo paradigma. Questa possibilità di riduzione dei costi e di aumento dell’efficacia dell’azione pubblica (ben supportate da evidenti riduzioni nel carico di lavoro delle attività di front-office e dalla distribuzione di materiale e informative) andrebbe inoltre a convergere con la sempre maggiore propensione degli individui/cittadini all’utilizzo di device mobili (smartphone e tablet). Questa propensione, cui si è prontamente adeguato il settore privato, si accompagna inoltre al bisogno, se non alla necessità, dei singoli cittadini di consultare ed interagire con dati (personali e non), informazioni e servizi da qualsiasi luogo ed in qualsiasi momento. Per esemplificare i vantaggi dell’adozione del paradigma mobile nel settore pubblico si consideri il già citato caso del Fascicolo Sanitario Elettronico. L’introduzione di un supporto mobile al fascicolo permetterebbe di facilitare l’accesso dei cittadini alla propria storia clinica, così come la sua condivisione con medici e ospedali, riducendo i tempi di attesa e di diagnosi e migliorando ulteriormente la qualità dei servizi. Ma la diffusione di informazioni “ragionate” e strutturate nell’amministrazione italiana non sarà un obiettivo facile da raggiungere. A frenare c’è l’eccessiva frammentazione dei data center pubblici che tuttavia l’Agenzia per l’Italia Digitale mira a consolidare ed efficientare, anche con il supporto della Fondazione Ugo Bordoni che ha avviato il censimento dei data center.
I Big Data nella Pubblica Amministrazione I dati dell’Amministrazione Pubblica sono per loro natura Big Data, dal momento che il settore pubblico è uno dei principali generatori e collettori di informazioni, strutturate e non, in Italia, così come nel resto del mondo. Benché il volume e la varietà dei dati disponibili oggi all’interno degli enti pubblici implichino anche un indubbio interesse economico, ad oggi poco
24
Attuare l’Agenda Digitale: Innovazione, Sviluppo, Democrazia
è stato fatto in Italia per permettere lo sfruttamento del valore intrinseco di questi dati: a inizio anno l’Agenzia per l’Italia Digitale aveva infatti anticipato che entro il 2013 sarebbero stati varatii primi criteri per un modello relativo ai Big Data nella pubblica amministrazione italiana, ma ad oggi, anche a causa della situazione istituzionale che riguarda l’Agenzia, effettivi risultati a questo proposito non sono stati registrati. La problematica della gestione, valorizzazione e sfruttamento dei Big Data della pubblica amministrazione italiana è riconducibile, oltre che al già citato stato del processo di digitalizzazione della pubblica amministrazione, anche alla frammentarietà e alla scarsa organicità delle infrastrutture e delle soluzioni tecnologiche presentinella pubblica amministrazione stessa. L’assenza di principi d’interoperabilità e d’integrazione all’interno del sistema digitale pubblico rende infatti particolarmente difficoltose l’individuazione e la condivisione (per non parlare della loro analisi) delle banche dati relative al paese e ai cittadini italiani, e quindi il loro uso e la loro valorizzazione economica: è infatti innegabile che i dati disponibili presso le amministrazioni potrebbero essere utilizzati per migliorare le performance degli enti pubblici e così trarre valore economico dal loro utilizzo. Un altro tema legato ai Big Data è quello degli Open Data che, al pari di questo, ancora tarda ad essere implementato e sfruttato in Italia in tutte le sue potenzialità.
Il Cloud Computing nella Pubblica Amministrazione Relativamente a questa tematica, pur se già trattata in altre sedi, vale la pena riprendere brevemente alcuni aspetti: è nota infatti l’importanza che questo fenomeno tecnologico può avere all’interno della pubblica amministrazione in relazione al processo di digitalizzazione e soprattutto nell’ottica dei progetti sistemici, come sopra presentati. Trattare di cloud computing nei processi di digitalizzazione della pubblica amministrazione è fondamentale dal momento che, ad oggi, questo paradigma e la sua implementazione sono una risposta particolarmente efficace e adeguata ai problemi che l’automazione dei processi sta inevitabilmente sollevando: una situazione di prodotti e soluzioni installate scarsamente interoperabili, applicativi custom e non standard, database con specifiche peculiarità semantiche sono solo alcune delle questioni che oggi devono essere affrontate da chi si pone il problema di un uso della tecnologia più funzionale: il cloud computing permette infatti, una volta stabilito uno standard di interoperabilità, di creare un paradigma di consultazione e condivisione dei dati in tempo reale e da qualsiasi luogo, aspetti di particolare rilevanza per la pubblica amministrazione, come per altro illustrato in precedenza. Il cloud computing è un paradigma che è entrato da alcuni anni nello scenario tecnologico del settore privato, dando vita ad alcune esperienze significative soprattutto a livello internazionale. Solo recentemente il paradigma cloud ha iniziato a entrare anche nel mondo pubblico, se non in pratica almeno nella definizione delle caratteristiche delle infrastrutture e del principio di interoperabilità: realtà come quella della sanità statunitense o delle amministrazioni pubbliche del Nord Europa testimoniano un percorso verso l’implementazione di un ecosistema che promuova un’adozione più estesa, da parte di enti ed amministrazioni pubbliche, di soluzioni tecnologiche basate sul cloud computing. Queste realtà hanno inoltre permesso di delineare, a
25
QUADERNI DI THINK!
vantaggio delle future adozioni, alcuni punti critici, primo tra tutti il ruolo centrale che è riservato al modello di governance delle soluzioni in cloud e, conseguentemente, la necessità di implementare opportune strutture a questo dedicate. E’ diventato infatti evidente come una governance limitata, la mancata individuazione di obiettivi chiari e l’assenza di un sistema di controllo e responsabilità precisamente definito possono essere indubbiamente causa di fallimento delle iniziative in ambito cloud in ogni contesto. Considerando le possibilità del caso italiano, date la sua struttura e le sue peculiarità, il processo di adozione di soluzioni in cloud da parte delle amministrazioni pubbliche dovrebbe essere necessariamente graduale, definito sulla base dei diversi modelli architetturali necessari, a seguito di processi di reingegnerizzazione e ponendo attenzione alle esistenti modalità di intervento tecnologico sulle funzionalità degli enti.
26
Attuare l’Agenda Digitale: Innovazione, Sviluppo, Democrazia
L’AGENDA DIGITALE ITALIANA Un’agenda per l’Europa L’Agenda Digitale Italiana (ADI) nasce su stimolo e raccomandazione dell’Unione Europea e dell’Agenda Digitale Europea: da sempre infatti l’Europa riconosce l’importanza della tecnologia ICT nella fornitura di servizi pubblici ai propri cittadini, e ne promuove la diffusione negli Stati Membri. In quest’ottica, diverse sono state negli anni le motivazioni che hanno spinto l’UE ad avvicinarsi e promuovere l’uso dell’ICT all’interno delle amministrazioni pubbliche, motivazioni che, da parte loro, si sono evolute in parallelo sia alla consapevolezza del potenziale delle nuove tecnologie, sia alla loro diffusione. In un primo momento, infatti, l’adozione dell’ICT nei processi di governo, all’interno delle funzioni degli enti pubblici, nota anche come eGovernment, è stata promossa principalmente, se non esclusivamente, da un bisogno di maggiore efficienza, intesa come necessità di ridurre i costi e ottimizzare i processi, spesso ridondanti ed difficilmente gestibili da parte degli enti pubblici. Come anche in altri settori, l’automazione era percepita, infatti, come uno strumento per ridurre i costi e ridimensionare gli sprechi. Nel giro di una decina d’anni, l’Unione Europea si è però resa conto delle possibilità che la tecnologia poteva offrire anche in termini di efficacia, ovvero in termini di miglioramento dei risultati ottenibili da ogni singolo processo. Nello specifico, questo ha permesso, in alcuni casi, non solo di migliorare i risultati, ma anche di incrementare quelli ottenibili. Nel contesto dell’eGovernment, questo implicava sostanzialmente la possibilità di raggiungere con i propri servizi un maggior numero di utenti o, nel caso, di aumentare i servizi erogabili. D’altra parte, negli ultimi anni, anche questa modalità di approccio è venuta meno, mentre venivano riconosciute alle tecnologie ICT nuove capacità, non solo in termini di riduzione dei costi e maggiore efficacia dei servizi, ma soprattutto in termini di potenziale di democratizzazione degli stessi servizi. L’Unione Europea, infatti, in un contesto in cui le problematiche legate alla responsabilità e alla diseguaglianza sociale diventavano di sempre maggiore attualità, ha iniziato ad accostare il concetto di “eGovernment” a quello di “Good Governance”, inteso come un sistema di governo “partecipativo, orientato al consenso, responsabile, trasparente, reattivo, efficace ed efficiente, equo ed inclusivo. Il ruolo attribuito all’eGovernment diventa quindi sempre più complesso: la tecnologia non viene più percepita come uno strumento, certamente potente ma comunque addizionale, ma, al contrario, come un fattore intrinsecamente legato allo sviluppo di tutti gli aspetti e i processi del sistema di governo, presi singolarmente così come nella loro totalità. A questo ruolo è quindi riconducibile l’insieme delle strategie e delle raccomandazioni prodotte dalla Commissione Europea, volte a rispecchiare una visione globale per una nuova Europa digitale: negli ultimi anni, infatti, questa ha prodotto raccomandazioni, rivolte agli stati membri, quali l’eEurope, il i2010 e l’Agenda Digitale Europea. Queste sono state concepite, nello specifico, sull’onda di strategie più complesse e omnicomprensive (Lisbona e EU2020) e contengono al loro interno una serie di direttive, quali quelle sulla tutela della privacy e l’eCommerce, che hanno vincolato (e tutt’ora vincolano) la normativa degli stati membri.
27
QUADERNI DI THINK!
Oltre agli argomenti coperti da apposite direttive, queste strategie contengono una serie di linee guida che, negli anni, ogni stato membro ha recepito nella propria legislazione e con diversi gradi di intensità nei propri programmi. Nel caso dell’Italia, un’esemplificazione di come le raccomandazioni europee in tema d’informatizzazione della pubblica amministrazione siano state recepite dai governi italiani è il caso del Piano Stanca (2002) che, in una logica di rielaborazione ed allineamento alle politiche dell’Unione Europea su tale tema, istituì il Ministero per l’innovazione e le tecnologie, e redasse delle linee guida che rimandavano esplicitamente ai contenuti del piano eEurope 2002, pubblicato poco prima. Più di recente, nel maggio 2010, la Commissione Europea ha presentato l’Agenda Digitale Europea, da cui ha origine, come già anticipato e facilmente intuibile dal nome del programma, l’Agenda Digitale Italiana. L’Agenda Digitale Europea nasce come parte della più ampia Strategia EU2020, delineata in seguito alla crisi mondiale del 2008- 2009 ed orientata allo sviluppo e alla sostenibilità della crescita nei paesi membri. Questa strategia si è posta diversi obiettivi, distribuiti in cinque distinte aree: occupazione, innovazione, educazione, riduzione della povertà e ambiente ed energia. In ciascuna di queste aree, la Strategia vorrebbe in particolare promuovere un processo di crescita intelligente, sostenibile ed inclusivo. E’ proprio quindi nella definizione di crescita “smart” che la Commissione Europea si propone di facilitare gli investimenti nell’educazione, nella ricerca e nell’innovazione. Queste aree sono state di conseguenza oggetto di alcune specifiche iniziative, tra cui appunto l’Agenda Digitale Europea (DAE, Digital Agenda for Europe). Va sottolineato che, attraverso la DAE l’Unione Europea ha affermato di voler sfruttare al meglio le potenzialità dei settori IT e TLC per favorire l’innovazione, la competitività e la crescita economica nei paesi membri. Obiettivo dell’Agenda è infatti quello di ottenere vantaggi socio-economici sostenibili, sviluppando un mercato digitale unico, basato sulla connettività (internet veloce e superveloce) e sul principio di interoperabilità dei sistemi e delle applicazioni. In particolare, la DAE si fonda sulla teoria dello sviluppo e della diffusione delle nuove tecnologie come stimolo all’occupazione e al miglioramento della qualità della vita. A questo scopo, sono state presentate 7 aree di azione, contenenti in tutto 101 azioni: • il mercato digitale unico • la velocità di connettività • l’interoperabilità e gli standard condivisi • la fiducia e la sicurezza informatica • la ricerca e l’innovazione • l’alfabetizzazione informatica • l’informatizzazione per uno sviluppo socio- economico sostenibile L’Agenda Digitale Europea contiene al suo interno alcuni principi, come quelli di interoperabilità e standardizzazione, che sono stati in precedenza individuati come punti chiave ed essenziali, in sede italiana, per l’implementazione di un piano di digitalizzazione della pubblica amministrazione che sia adeguato e democratico. Prendendo il caso del principio di interoperabilità, all’interno della DAE, la Commissione ha recentemente presentato sia la Strategia Europea per l’Interoperabilità (SEI) sia il Quadro Europeo d’Interoperabilità (QEI), ritenuti fondamentali per promuovere tale principio nelle amministrazioni pubbliche.
28
Attuare l’Agenda Digitale: Innovazione, Sviluppo, Democrazia
L’adattamento a questo paradigma viene infatti presentato come un possibile guadagno in efficienza nel momento in cui vengono istituiti dei servizi pubblici europei, mentre, al contrario, la loro mancata adozione comporterebbe un’assunzione di rischio in termini di creazione di nuove barriere elettroniche e di sistemi non interoperabili a livello europeo. In particolare viene riconosciuto il carattere multiforme dell’interoperabilità, non solo quindi quello tecnico, ma anche quello giuridico, organizzativo e semantico. Se da un punto di vista tecnico, infatti, l’interoperabilità mostra, nel contesto europeo, di avere già raggiunto, grazie alla disponibilità di internet e al lavoro degli organismi di normalizzazione, alcuni risultati, negli altri campi ancora molto bisogna fare per creare una rete europea standardizzata. Esistono inoltre delle raccomandazioni europee in tema d’interoperabilità e standardizzazione, volte a sviluppare una rete europea coerente a questi principi: in questo contesto alcune azioni sono ritenute cruciali quali l’allineamento dei framework di interoperabilità degli Stati Membri all’European Interoperability Framework (EIF), la promozione di tecnologie conformi agli standard e aperte e l’erogazione di servizi pubblici a livello nazionale che siano interoperabili anche con analoghi servizi a livello europeo. In questo senso, la Commissione Europea ha ribadito più volte il proprio appoggio all’adozione di soluzioni Cloud all’interno della pubblica amministrazione e, di conseguenza, di particolare interesse per il caso italiano l’adattamento degli attuali sistemi informatici nazionali ad un modello semplificato, non proprietario, e per questo potenzialmente più efficiente. Da parte sua, recentemente l’Italia, in qualità di Stato membro, ha dimostrato di aver recepito le indicazioni dell’Agenda Digitale Europea tramite l’istituzione, il primo marzo 2012, dell’Agenda Digitale Italiana. Questa ha infatti presentato un programma di digitalizzazione dell’Italia che riprende molti dei punti già inseriti nell’Agenda Europea. I suoi principali interventi sono previsti nei settori della pubblica amministrazione, l’istruzione, la sanità, la giustizia, i pagamenti elettronici e il divario digitale. In questo contesto, due sono i piani con cui l’Italia ha mostrano di aver effettivamente colto le linee guida europee, e che sono stati di conseguenza autorizzati dall’UE, benché entrambi si siano concentrati su aspetti infrastrutturali (uno step ancora precedente al processo di automazione come appena presentato). Ad oggi, inoltre, sia il Piano nazionale Banda Larga sia il Progetto Strategico Banda Ultralarga hanno riscontrato parecchie difficoltà nella raccolta dei finanziamenti necessari alla loro attuazione e nella fase di integrazione e applicazione concreta all’assetto infrastrutturale del Paese. A questo riguardo, il vice ministro allo Sviluppo Economico ha recentemente dichiarato che un miglioramento nello stato di attuazione di questi progetti può essere ottenuto tramite il completamento del “decreto scavi” (già fuori tempo): questo infatti permetterebbe di ridurre i tempi e costi degli scavi per la fibra ottica, attraverso una modalità chiamata “minitrincee”, ossia scavi che permettono di aprire l’asfalto e posare i cavi in una giornata. Il completamento del “decreto scavi” consentirebbe pertanto di accelerare lo sviluppo di queste reti in Italia, riducendo perdite sia in termini di tempo che di costi. Per quel che riguarda poi le azioni, i progetti e le attività proposte su ispirazione della strategia europea (vedi Approfondimento), questi risultano essere più numerosi e riguardano un più vasto spettro di tematiche rispetto ai piani descritti in precedenza, dal canto loro più complessi ed invasivi. D’altra parte, entrando nel merito degli impatti che questi progetti possono
29
QUADERNI DI THINK!
avere nel contesto italiano, appare evidente che, a fronte di contenuti fondamentalmente marginali e relativi ad aree d’azione ridotte, nulla è stato presentato che sembri indicare, anche solo implicitamente, una qualche valenza sistemica.
Un’Agenda per l’Italia L’Agenda Digitale Italiana (ADI), già introdotta nella sezione precedente come sostanziale prodotto italiano dell’Agenda Digitale Europea, è considerata nel contesto italiano come l’insieme delle linee guida operative di messa a punto del processo di automazione del paese. Il “Progetto strategico Agenda digitale italiana”, primo segnale dato dal governo italiano su questo tema, è stato presentato per la prima volta all’interno del decreto “Semplifica Italia” del governo Monti, e mira ad ottenere risultati in quattro macro aree: (i) la banda larga e ultra- larga, (ii) le smartcommunities/ cities, (iii) gli open data e (iv) il cloud computing. Per quel che riguarda la banda larga (e ultra-larga), gli obiettivi dell’Agenda sono orientati alla riduzione del divario digitale all’interno della società italiana e alla copertura dei deficit infrastrutturali sul territorio; nell’ambito delle smartcities, l’ADI si propone di stanziare nuovi finanziamenti per realizzare le piattaforme tecnologiche necessarie al fine di consentire alle città di adottare un’ottica smart; gli open data rientrano negli obbiettivi dell’Agenda in quanto percepiti come un’opportunità per il superamento della rigidità di accesso ai dati che oggi caratterizza soprattutto le pubbliche amministrazioni; infine, per quel che riguarda il cloud computing, l’ADI si propone di presentare questo paradigma come abilitante una rete di dati interoperabili, permettendo il perseguimento di una maggiore rapidità e completezza dei processi amministrativi. D’altra parte, quello dell’Agenda è un tema sul quale oggi si stanno cominciando ad accumulare non solo aspettative, ma anche ritardi consistenti. A poco più di tre anni dalla presentazione dell’Agenda Digitale, di tutti gli interventi previsti nel suo piano d’azione (per lo più volti a incrementare la collaborazione tra amministrazioni, la trasparenza dell’azione pubblica e la partecipazione dei privati ai procedimenti amministrativi) quasi nulla è stato effettivamente attuato: sono state infatti le problematiche relative alla governance, alla possibilità di coordinamento tra Stato, Regioni ed enti locali, e ai vincoli di bilancio (i finanziamenti sono stati in questi anni orientati soprattutto ad attività rivolte alla stabilità economica del paese) che hanno in parte posto in secondo piano i termini dell’attuazione dei progetti e dei loro contenuti. In particolare, se si guarda più in concreto a quanto è stato effettivamente posto in essere, negli scorsi anni, in relazione alle linee guida proposte dall’ADI - al di là dei due piani per la banda larga e ultralarga, che riguardano un raggio d’opera ampio (se non sistemico) e che sono stati per anni rimandati a causa di problemi di finanziamento e di decreti (primo tra tutti il decreto scavi) che hanno posto ostacoli al progresso e all’attuazione di tali piani - il numero più consistente di interventi si sono verificati in contesti marginali, certo non per questo meno importanti, interventi privi però di quella visione sistemica di cui a lungo si è dibattuto in queste pagine. Esempi dell’effettiva portata delle iniziative e dei progetti adottati in Italia sul modello dell’Agenda Digitale Europea sono alcuni progetti che hanno riguardato le attività di valutazione delle reti a banda larga di nuova generazione, così come di piattaforme e terminali di accesso a reti e servizi multimediali, oltre che di attività come l’istituzione di un CERT nazionale o alcune esercitazioni
30
Attuare l’Agenda Digitale: Innovazione, Sviluppo, Democrazia
internazionali finalizzate al rafforzamento della protezione delle infrastrutture critiche dell’informatizzazione. Così come a livello nazionale, anche le regioni e le provincie autonome in Italia (o parte di esse) si sono dotate negli ultimi anni di piani strategici pluriennali volti a qualificare e delineare un percorso effettivo verso la digitalizzazione degli enti pubblici della specifica regione, chiamati Agende Digitali Regionali: questi diventano infatti, in un’ottica di automazione dei processi pubblici, un punto di snodo tra le linee guida proposte dall’Agenda Digitale Europea e da quella Italiana, e dalla pianificazione che nasce dal territorio in relazioni alle tematiche regionali. D’altra parte, data la necessità attuale di creare un sistema nazionale nel complesso sincronizzato e sistemico, le Agende Digitali Regionali, che fino ad oggi sono state implementate caso per caso, secondo le necessità e le visioni di ciascuna regione, devono essere anch’esse riconsiderate in un’ottica d’insieme e riportate nelle loro linee guida ad una componente nazionale che deve sapere tener conto al contempo dei bisogni territoriali degli enti pubblici.
Approfondimento - L’Agenda Digitale Europea in Italia Di seguito sono riportate alcune iniziative e progetti presentati in questi anni in Italia, in linea con le azioni proposte dalla Commissione europea, e alla luce delle sette aree d’intervento individuate dall’Agenda Digitale Europea. Piani • Piano Nazionale Banda Larga • Progetto Strategico Banda Ultralarga Azioni • Anticipazione della gara per l’uso delle frequenze della banda 800 MHz per incentivare la diffusione della banda larga mobile • Realizzazione catasto delle infrastrutture di comunicazione nel sottosuolo • Avvio del recepimento del pacchetto comunitario sulle comunicazioni elettroniche • Regolamentazione del roaming internazionale • Incentivi statali ai giovani per connessione fissa e mobile Progetti • Progetto VATE/ATENA – Valutazione tecnico-economica sui servizi e sulle reti a larga banda di nuova generazione • Progetto MEDIACCESS – Accessibilità e Usabilità always-on. Valutazione di piattaforme e terminali di accesso a reti e servizi multimediali • Progetto TV++ – Aumentare la TV con Internet e Mobile Media favorendo l’interoperabilità tra i dispositivi • Progetto SESAMO – Sistemi di pagamento mobili e smart card: aspetti di sicurezza • Sperimentazione di una rete per cloud computing basata sul controllo della qualità del servizio
31
QUADERNI DI THINK!
Verso un’Agenda per il Mediterraneo Benché l’introduzione in questa sede di una sezione relativa al tema di un’Agenda Digitale per il Mediterraneo potrebbe sembrare azzardata, un tale argomento è stato considerato degno di nota soprattutto in relazione al ruolo che in tal senso può essere attribuito all’Italia sia come singolo stato, sia come membro dell’Unione Europea: esistono infatti caratteristiche storicoculturali e geografiche che da sempre influenzano e sostanziano le relazioni tra i paesi del Mediterraneo e rendono l’Italia un attore chiave nelle dinamiche di interazione in quest’area. Particolare attenzione in questo senso è da rivolgere soprattutto ai paesi del Mediterraneo “meridionale”, ovvero a quei paesi che si affacciano su tale mare sia dalla costa Nord Africana sia da quella del Medio Oriente. Questi paesi stanno infatti mostrando un crescente interesse per le nuove tecnologie e per la loro applicazioni in diversi ambiti, sia pubblici sia privati, che vanno dalla diffusione di servizi mobili ai cittadini, allo sviluppo di poli innovativi per l’industria e la crescita economica e all’implementazione di pratiche di eGovernment. E’ indubbio che i paesi del Mediterraneo meridionale siano stati negli ultimi anni influenzati da dinamiche di evoluzione complesse e al contempo fluide, che hanno dimostrato una forte propensione all’innovazione e alle nuove tecnologie, intese come strumenti effettivi per la modernizzazioni della società. In particolare, negli ultimi dieci anni, quest’area ha dimostrato di essere sempre più dinamica e moderna, benché fattori di disturbo derivino ancora dalle tensioni geopolitiche e dalle instabilità economiche che caratterizzano in particolare alcuni stati della regione. Per esemplificare, anche solo in modo parziale, alcune dinamiche di innovazione che hanno riguardato la regione del Nord Africa e il Medio Oriente, è utile accennare allo stato delle tecnologie e dello sviluppo socioeconomico di alcuni stati dell’area. Tra questi, i migliori risultati in tal senso sono registrati da Israele, che può essere facilmente considerato un’economia tecnologicamente avanzata, basata su performance eccellenti nei settori del software, della sicurezza ICT, di Internet, delle telecomunicazioni, così come delle apparecchiature mediche. Israele ha inoltre dimostrato di essere in grado di sfruttare internamente, a vantaggio delle condizioni di vita della popolazione locale, le conoscenze e l’esperienze maturate in questi settori. Con risultati più modesti, anche altri paesi dell’area hanno dimostrato di aver compreso e interiorizzato il ruolo che le nuove tecnologie possono avere per favorire l’economia e la fornitura di servizi ai cittadini. Esempi a questo riguardo sono l’implementazione di servizi di mHealth in Egitto come Click Doc, che consente di inviare in remoto, a specialisti ed esperti, foto e dati anamnestici relativi a casi medici particolarmente complessi e/o rari. Sempre in Egitto alcune banche, sia locali che internazionali hanno lanciato alcuni servizi di eBanking volti a facilitare e abilitare transazioni finanziarie. In Giordania si sono invece diffuse negli ultimi anni pratiche di eConsultation e information sharing, con lo scopo di migliorare la circolazione delle notizie e delle informazioni all’interno della società civile. Altri esempi di utilizzo di nuove tecnologie all’interno delle società del Mediterraneo sudorientalesono l’adozione di pratiche di eLearning in Libia, volte a facilitare le dinamiche di apprendimento sul territorio libico, o l’interessante esperimento tunisino, in tema di eGovernment, che vede coinvolto Le Post Tunisienne (le Poste Tunisine) al fine di sviluppare un servizio mobile che aiuti start-up e
32
Attuare l’Agenda Digitale: Innovazione, Sviluppo, Democrazia
imprese già mature a collegarsi con le istituzioni pubbliche, creando così un sistema che permette di sviluppare un canale alternativo per la promozione dell’innovazione e della competitività in questo paese. Negli ultimi anni questi paesi hanno pertanto dimostrato di aver fatto significativi passi avanti nell’automatizzazione dei processi di erogazione di servizi pubblici ai propri cittadini, fatto che in molti casi è coinciso con l’inizio dell’effettiva erogazione di alcuni di questi che, prima dell’avvento delle possibilità fornite dalle nuove tecnologie digitali, non erano del tutto presenti nel portfolio dei servizi messi a disposizione da questi governi: in particolare, molto spesso in questi paesi il passaggio al digitale ha coinciso non tanto con la necessità di digitalizzare un processo già esistente, ma con la sua nascita ex-novo in formato digitale. Se questo fenomeno (leapfrogging) da una parte può essere considerato un effettivo vantaggio per i paesi in questione - che si trovano a poter usufruire di servizi pubblici per la prima volta, senza dover porsi il problema di re-ingegnerizzare processi e dinamiche pre-esistenti, o di organizzare e rendere uniformi e leggibili tra loro procedure e informazioni già presenti - dall’altra rende sempre più evidente il bisogno, per tali paesi, di intavolare un dialogo con le controparti europee per adottare, fin da subito, sistemi e procedure che siano il più possibile efficienti e volte a sostenere quelle dinamiche di democratizzazione che, al momento, sono sempre più al centro del dibattito, sia in questi paesi sia negli stati-membri dell’Unione Europea. In questo senso, creare e mantenere una rete di dialogo tra le due sponde del Mediterraneo potrebbe diventare un passaggio fondamentale, e per certi versi indispensabile, che consentirebbe di trasferire tecnologie e knowhow in modo reciproco da una parte all’altra del Mediterraneo: l’attuale stato delle tecnologie e la loro adozione all’interno dei paesi della costa sud-est del Mediterraneo lascia infatti intendere una possibile finestra di apertura verso i vicini della costa settentrionale (l’Italia) e verso l’Europa. In particolare, l’apertura di un tale dialogo consentirebbe non solo agli enti e alle organizzazioni pubbliche di esportare verso questi paesi paradigmi di modernizzazione tramite soluzioni tecnologiche, ma anche a tutto il mondo italiano ed europeo dell’offerta di avere accesso a nuovi mercati, che devono ancora aprirsi alla competizione internazionale, ma che potrebbero da questa trarre vantaggi sostanziali in termini di varietà dell’offerta e accessibilità, in un’ottica democratica, dei prezzi e della disponibilità delle nuove tecnologie.
33
QUADERNI DI THINK!
34
Attuare l’Agenda Digitale: Innovazione, Sviluppo, Democrazia
L’AGENZIA PER L’ITALIA DIGITALE Premessa L’Agenzia per l’Italia Digitale, nata dall’accorpamento successivo di tre enti (il DigitPa, l’Agenzia per l’innovazione e il Dipartimento per la digitalizzazione della pubblica amministrazione presso la presidenza del Consiglio), entra per la prima volta nel panorama istituzionale italiano con il Decreto legge 22 giugno 2012 n° 83 “Misure urgenti per la crescita del paese”, che ne sancisce di fatti, con l’articolo 19, l’istituzione. Nell’ottica di questo decreto all’Agenzia viene preposta la realizzazione degli obiettivi dell’Agenda Digitale, attribuendole funzioni quali: • il contributo alla diffusione dell’utilizzo dell’ICT allo scopo di favorire l’innovazione e la crescita economica, anche mediante l’accelerazione della diffusione delle Reti di nuova generazione; • l’elaborazione di indirizzi, regole tecniche e linee guida in materia di omogeneità dei linguaggi, delle procedure e degli standard, anche di tipo aperto, per la piena interoperabilità e cooperazione applicativa tra i sistemi informatici della pubblica amministrazione e tra questi e i sistemi dell’Unione Europea; • l’assicurazione dell’uniformità tecnica dei sistemi informativi pubblici destinati ad erogare servizi ai cittadini ed alle imprese, garantendo livelli omogenei di qualità e fruibilità sul territorio nazionale, nonché la piena integrazione a livello europeo; • il supporto e la diffusione di iniziative in materia di digitalizzazione dei flussi documentali delle amministrazioni, ivi compresa la fase della conservazione sostitutiva, accelerando i processi di informatizzazione dei documenti amministrativi e promuovendo la rimozione degli ostacoli tecnici che si frappongono alla realizzazione dell’amministrazione digitale e alla piena ed effettiva attuazione del diritto all’uso delle tecnologie; • la vigilanza sulla qualità dei servizi e sulla razionalizzazione della spesa in materia informatica; • la promozione e la diffusione di iniziative di alfabetizzazione informatica rivolte ai cittadini, nonché di formazione ed addestramento professionale destinate ai pubblici dipendenti, anche mediante intese con la Scuola Superiore della pubblica amministrazione e il Formez, e il ricorso a tecnologie didattiche innovative; • il monitoraggio dell’attuazione dei piani ICT delle pubbliche amministrazioni, sotto il profilo dell’efficacia ed economicità proponendo agli organi di governo degli enti e, ove necessario, al Presidente del Consiglio dei Ministri i conseguenti interventi correttivi. In questo contesto, l’Agenzia nasce come organo autonomo sottoposto alla vigilanza della Presidenza del Consiglio e di quattro Ministri (delle finanze, per la PA e la semplificazione, dello sviluppo economico e dell’istruzione), con il compito di guidare, in un’ottica sistemica e di convergenza, i progetti previsti dall’Agenda Digitale Italiana. Questo organo ha tuttavia dimostrato fin da subito la sua debolezza in termini di gestione ed esecuzione di tali progetti: dall’atto di nomina del Direttore Generale, effettuato dal Consiglio dei Ministri il 30 ottobre 2012, poco infatti è
35
QUADERNI DI THINK!
successo. Entro il 14 dicembre di quello stesso anno avrebbero dovuti essere pronti sia lo Statuto dell’Agenzia sia un decreto per la riorganizzazione del personale, ma è stato altrimenti: ad oggi l’Agenzia non ha ancora uno Statuto definito (in realtà uno Statuto è stato presentato a marzo 2013, ma la Corte dei Conti ha rimandato il documento al governo) e non esiste ancora un decreto per la riorganizzazione del personale, che dovrebbe coordinare e guidare da un punto di vista organizzativo gli effetti, in termini di risorse umane, dell’accorpamento di tre enti, ovvero il DigitPa, l’Agenzia per l’innovazione e il Dipartimento per la digitalizzazione della pubblica amministrazione presso la presidenza del Consiglio. Questi ritardi non hanno tuttavia avuto effetti solo sulla struttura organizzativa dell’ente (incerta e priva di una governance chiara), ma anche sulle sue stesse capacità di operare e di ottenere dei risultati, in linea con quanto previsto dalle sue funzioni (elencate poco sopra). Senza uno Statuto infatti l’Agenzia ha dimostrato di non poter operare appieno, benché il Direttore sia riuscito a formalizzare alcuni atti, assumendo il ruolo di commissario della Presidenza del Consiglio e aggirando in questo modo i vuoti istituzionali che ad oggi caratterizzano la governance dell’Agenzia. A questa situazione d’impasse ha cercato di porre rimedio il Governo Letta, introducendo la figura, prevista a livello europeo dal commissario per l’Agenda Digitale NeelieKroes, di “Mister Digital Agenda”. Questa figura, tradotta in commissario della struttura di missione per l’Agenda Digitale presso la Presidenza del Consiglio, è stata accolta dalla maggior parte degli addetti ai lavori e dall’opinione pubblica come un possibile motore propulsivo allo stallo istituzionale sul tema dell’automazione pubblica. A parte gli entusiasmi di circostanza, la nomina di Mr. Agenda Digitale ha implicato un cambio sostanziale nel ruolo che l’Agenzia dovrebbe svolgere all’interno del processo di digitalizzazione. La presenza di un commissario e di una struttura di missione all’interno della Presidenza del consiglio è indubbiamente un modo per ribadire l’importanza della digitalizzazione a livello nazionale,non solo in relazione alla pubblica amministrazione, ma anche per l’economia e il sistema Italia nel suo complesso. Inoltre, l’introduzione di questa struttura, esterna all’Agenzia e preposta alle sue attività e ai processi di decisione, ha comportato la necessità di individuare un nuovo ruolo e delle nuove funzioni per quest’ultima (e per il suo Direttore). Avendo perso il suo ruolo di riferimento nei confronti dell’Agenda Digitale Italiana e della sua attuazione, ora attribuito direttamente all’unità di missione, oggi l’Agenzia deve trovare una nuova collocazione all’interno del panorama della governance dei processi di digitalizzazione: una funzione plausibile sembra oggi essere quella di raccordo tra l’architettura di questo processo e la sua esecuzione. In quest’ottica, l’Agenzia diverrebbe un ente adibito al controllo e alla supervisione dei procedimenti attuativi delle linee guida e delle decisioni sostanziali prese in sede di struttura di missione, in concerto con la Presidenza del Consiglio.
36
Attuare l’Agenda Digitale: Innovazione, Sviluppo, Democrazia
La struttura dell’Agenzia Questo nuovo ruolo dell’Agenzia andrebbe pertanto ad appoggiarsi a una struttura che è stata recentemente, con l’articolo 13 della legge di conversione 9 agosto 2013, n. 98 – “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”, ribadita nelle sue linee generali. Di seguito vengono riportati gli enti, e la loro spiegazione normativa, che ad oggi compongono il panorama istituzionale che gravita intorno all’Agenda Digitale Italiana: • L’Agenzia per l’Italia Digitale (art 19del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, coordinato con la legge di conversione 7 agosto 2012, n. 134 “Misure urgenti per la crescita del Paese”): E’ istituita l’Agenzia per l’Italia Digitale, sottoposta alla vigilanza del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro da lui delegato, del Ministro dell’economia e delle finanze, del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca. L’Agenzia opera sulla base di principi di autonomia organizzativa, tecnico-operativa, gestionale, di trasparenza e di economicità (e persegue gli obiettivi di efficacia, efficienza, imparzialità, semplificazione e partecipazione dei cittadini e delleimprese). • La Cabina di Regia (art 13,Testo del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, coordinato con la legge di conversione 9 agosto 2013, n. 98 – “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”): È istituita la cabina di regia per l’attuazione dell’agenda digitale italiana, presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o da un suo delegato e composta dal Ministro dello sviluppo economico, dal Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, dal Ministro per la coesione territoriale, dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, dal Ministro della salute, dal Ministro dell’economia e delle finanze, dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, da un Presidente di regione e da un Sindaco designati dalla Conferenza Unificata. La cabina di regia è integrata dai Ministri interessati alla trattazione di specifiche questioni. • Tavolo permanente per l’innovazione e l’Agenda Digitale Italiana e la Struttura di Missione (art 13,Testo del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, coordinato con la legge di conversione 9 agosto 2013, n. 98 – “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”): Nell’ambito della cabina di regia è istituito con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri il Tavolo permanente per l’innovazione e l’agenda digitale italiana, organismo consultivo permanente composto da esperti in materia di innovazione tecnologica e da esponenti delle imprese private e delle università, presieduto dal Commissario del Governo per l’attuazione dell’agenda digitale posto a capo di una struttura di missione per l’attuazione dell’agenda digitale istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
37
QUADERNI DI THINK!
Figura 3: Schema della struttura degli organi istituzionali preposti all’ADI
Presidenza del Consiglio Commissario Unità di missione
Cabina di regia Tavolo di esper
Dire ore Generale En a uatori
Comitato di indirizzo Collegio dei
revisori dei con
Consip SpA
Agenzia per l’Italia Digitale
Fonte: Think!
• CONSIP SpA (art 13, Testo del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, coordinato con la legge di conversione 9 agosto 2013, n. 98 – “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”): Insieme all’Agenzia per l’Italia Digitale, CONSIP SpA vigila sulla qualità dei servizi e sulla razionalizzazione della spesa in materia informatica, anche mediante la collaborazione nella fase progettuale e di gestione delle procedure di acquisizione dei beni e servizi. A CONSIP SpA sono attribuite le funzioni relative alla formulazione di pareri sulla congruità economica e tecnica degli interventi e dei contratti relativi all’acquisizione di beni e servizi informatici e telematici, al monitoraggio dell’esecuzione degli interventi e dei contratti suddetti, nonché le funzioni di cui alla lettera d) e quelle di cui al comma 3 del medesimo articolo. Oltre a quanto stabilito recentemente dalla normativa nell’ambito specifico dell’Agenzia, è necessario tenere presente che, proprio in quanto agenzia e ai termini dell’articolo 8 dl 30 luglio 1999 n° 300, questa è chiamata a svolgere attività a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale, operando al servizio di tutte le amministrazioni. E’ prevista inoltre, in questo contesto, la nomina di un comitato direttivo, composto da dirigenti dei principali settori di attività dell’agenzia (in numero non superiore a quattro) che ha il compito di coadiuvare il direttore generale nell’esercizio delle sue funzioni. In particolare, a quest’ultimo sono attribuiti i poteri e la responsabilità della gestione dell’organo, così come la responsabilità per il conseguimento dei risultati fissati dal ministro competente nelle forme previste da questo decreto. E’ inoltre previsto un collegio di revisori, nominato con decreto ministeriale, che deve essere composto da tre membri, due dei quali scelti tra gli iscritti all’albo dei revisori dei conti o tra specifiche figure professionali. • Direttore Generale (art 13, Testo del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, coordinato con la legge di conversione 9 agosto 2013, n. 98 – “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”)
38
Attuare l’Agenda Digitale: Innovazione, Sviluppo, Democrazia
Il Presidente del Consiglio dei Ministri, o il Ministro delegato, nomina il direttore generale dell’Agenzia, tramite procedura di selezione ad evidenza pubblica, tra persone di particolare e comprovata qualificazione professionale in materia di innovazione tecnologica e in possesso di una documentata esperienza di elevato livello nella gestione di processi di innovazione. • Comitato di Indirizzo e Collegio dei Revisori dei Conti (art 13, Testo del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, coordinato con la legge di conversione 9 agosto 2013, n. 98 – “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”) Lo Statuto prevede che il Comitato di indirizzo sia composto da un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei ministri, da un rappresentante del Ministero dello sviluppo economico, da un rappresentante del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, da un rappresentante del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, da un rappresentante del Ministero dell’economia e delle finanze e da due rappresentanti designati dalla Conferenza unificata e dai membri del Tavolo permanente per l’innovazione e l’Agenda digitale italiana. Ai componenti del Comitato di indirizzo non spettano compensi, gettoni, emolumenti o indennità comunque definiti e rimborsi spese e dalla loro partecipazione allo stesso non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Con lo Statuto sono altresì disciplinate le modalità di nomina, le attribuzioni e le regole di funzionamento del Comitato di indirizzo e le modalità di nomina del Collegio dei revisori dei conti.
39
QUADERNI DI THINK!
IL TEMA DELLA GOVERNANCE Premessa Il tema della governance è stato ampiamente trattato nello studio che la Fondazione THINK!, in collaborazione con la fondazione Astrid, ha pubblicato lo scorso anno: ritenendo che i concetti allora espressi siano tuttora validi, non essendo intervenuti elementi di modifica di questi aspetti, si ripropongono in modo sintetico le indicazioni elaborate in occasione del precedente studio. Al fine di sviluppare ed implementare con successo il processo di digitalizzazione della pubblica amministrazione italiana, occorre implementare il modello di governance più adatto a sostenere tale processo. Indubbiamente, al fine di superare le caratteristiche precedentemente descritte del sistema pubblico e delle soluzioni tecnologiche adottate in passato, occorre adottare, parallelamente a logiche differenti e nuove, un sistema di governance in grado di promuovere maggiori livelli di efficienza ed efficacia all’interno di una visione di sistema che deve essere al contempo centralizzata e locale: occorre, infatti, andare al di là della dimensione strettamente “verticale” della singola organizzazione, per comprendere come far dialogare i diversi attori dell’ecosistema, in modo da sviluppare una visione condivisa sulle diverse opportunità di approccio e strategie di servizio.
Lo schema di riferimento Per prima cosa è utile delineare alcuni dei fondamentali elementi di governance dell’ecosistema pubblico che dovrebbero svilupparsi su tre piani concettualmente distinti: 1. il primo è quello legato alla necessità di creare una visione organica e trasversale dei fenomeni attraverso la definizione di opportuni sistemi di coordinamento e di orchestrazione. Tra gli elementi più importanti, a questo livello, si ricordano: a. un’architettura di riferimento nella pubblica amministrazione, basata sui principi e sull’infrastruttura del Cloud Computing (in quanto percepito per le proprie caratteristiche come paradigma che meglio interpreta le esigenze di velocità, efficacia ed efficienza del sistema pubblico) e che definisca le componenti funzionali e gli standard necessari per lo sviluppo e l’erogazione di servizi ICT nel settore pubblico. L’adozione di un framework nell’ambito della pubblica amministrazione permette di realizzare componenti e funzionalità integrabili, nell’ambito di una soluzione complessiva, attraverso l’aderenza agli standard condivisi. In tal modo singoli componenti, anche se collocati in differenti amministrazioni o sviluppati da fornitori diversi, potranno integrarsi e costituire una infrastruttura unitaria. Con “architettura di riferimento” s’intende quindi indicare non solo l’insieme di requisiti, componenti funzionali e politiche di gestione da adottare in base al ruolo che si intende assumere, ma un vero e proprio processo di ecosistema, che punti a definire una visione architetturale condivisa e ne gestisca l’intero ciclo di vita (definizione, pubblicazione, aggiornamento, etc.); tale processo dovrà essere ovviamente gestito da uno o più soggetti capaci di
40
Attuare l’Agenda Digitale: Innovazione, Sviluppo, Democrazia
operare una sintesi tra le esigenze che devono essere portate a livello di modello e quelle che possono restare ad un livello più specifico; b. un modello decisionale, basato su parametri e metriche oggettive, che consenta alle amministrazioni di adottare decisioni coerenti al modello condiviso e, quindi, congruenti ad una visione di maggiore efficienza strutturale del sistema. Il modello decisionale dovrebbe prevedere anche servizi “consulenziali” di valutazione del rischio per l’adozione del modello cloud, di contrattualistica rispetto ai servizi da acquisire/erogare e di competenza specifica su temi come gli standard d’interoperabilità e d’integrazione dati. Tale modello decisionale dovrebbe anche fornire informazioni utili per consentire, ai decisori pubblici, di effettuare scelte finalizzate alla aggregazione delle infrastrutture e/o alla condivisone delle diverse strategie di servizio a livello di filiera e/o di ambito territoriale; c. un sistema di pubblicazione e certificazione che agisca da “sistema informativo” di supporto al processo di evoluzione del digitale nella pubblica amministrazione, e che permetta di condividere, in maniera sicura e certificata, informazioni, processi, piani di investimento e intenzioni di infrastrutturazione dei diversi attori, al fine di facilitare la nascita di aggregazioni e iniziative condivise e sinergiche. 2. Il secondo piano da sviluppare per realizzare un sistema di governance è quello dell’utilità condivisa, e cioè la necessità di elaborare un approccio olistico capace di tenere in considerazione tutti gli elementi di un determinato ecosistema favorendo la condivisione di obiettivi, prassi operative e risorse. Gli elementi essenziali di un sistema di utilità condivisa dovrebbero comprendere: a. un sistema di gestione della conoscenza che faciliti lo sviluppo di iniziative congiunte tra le strutture della pubblica amministrazione, attraverso la messa a disposizione di strumenti di gestione delle migliori pratiche,e che favorisca processi di utilità condivisa nei diversi comparti, di lezioni apprese sui diversi modelli e progetti; b. strumenti gestionali quali, ad esempio, il calcolo e la valutazione dei benefici derivanti dall’aggregazione, il calcolo del dividendo dell’efficienza, il chargeback dei servizi e, più in generale, tutti quei servizi che hanno requisiti comuni a livello di sistema della pubblica amministrazione, quali sicurezza, protezione dei dati e conformità alle norme. c. criteri di migrazione verso strutture e modelli condivisi, necessari per favorire il trasferimento di servizi, componenti e infrastrutture verso un livello di aggregazione superiore e ottenere, così, maggiori efficienze ed economie di scala. In questo modo, attraverso un processo sinergico di aggregazione, verrà a costituirsi un luogo virtuale (una “nuvola”) per la progressiva condivisione di risorse, infrastrutture e servizi a beneficio dell’intero ecosistema pubblico. 3. Il terzo piano di governance sistemica riguarda la realizzazione e la gestione di sistemi ibridi. La realizzazione della “nuvola”, infatti, se da una parte permette di rendere semplice e immediato l’accesso ai servizi, mascherando la complessità dei sistemi, dall’altra richiede una maggiore capacità dell’ecosistema di gestire ambienti ibridi ed eterogenei. Per questo motivo appare particolarmente importante puntare alla definizione
41
QUADERNI DI THINK!
e gestione di una serie di componenti di governance sistemica volte: a. allo sviluppo dei portafogli applicativi attraverso soluzioni condivise di rinnovo del portafoglio applicativo, sistemi per gestione dei listini di servizi e delle componenti, test factory centralizzate, etc.; b. alla gestione condivisa dei servizi e dei procedimenti, attraverso sistemi per la composizione dei Services Level Agreement (SLA),che regolano il rapporto tra utilizzatore fornitore del servizio, e forme condivise di controllo dei processi in logica end-to-end; c. all’integrazione tra ambienti tradizionali e ambienti cloud, nei quali occorrerà gestire l’integrazione applicativa tra ambienti diversi, la sicurezza e la privacy di dati distribuiti su sistemi ibridi, il monitoraggio sull’uso delle infrastrutture e sui livelli di servizio erogati all’utente finale. Occorre ricordare che l’Agenzia deve promuovere quelli che sono stati definiti come progetti a valenza sistemica nazionale: questi sono estremamente complessi non tanto da un punto di vista tecnico, quanto piuttosto dal punto di vista della loro gestione. Questi progetti devono essere caratterizzati da uno specifico approccio che richiede le seguenti caratteristiche (già introdotte e qui riportate per completezza): • uno studio di fattibilità; • un disegno architetturale; • un progetto e un piano di sviluppo informatico; • una struttura di project management; • una strategia di sostenibilità a regime; • una legge istitutiva che allochi un budget pluriennale e definisca gli obblighi delle amministrazioni coinvolte e le modalità di finanziamento delle stesse. Oltre a queste caratteristiche devono essere presidiate le due dimensioni sotto indicate: • una dimensione organizzativa, che preveda un’articolazione su più livelli del modello, a livelli di delega potenziale e distribuzione organizzativa crescenti: −− Definizione di Linee Guida Strategiche e della priorità degli interventi; −− Definizione di Standard Architetturali; −− Pianificazione e Controllo di Gestione; −− Controllo e Audit centrale; −− Pianificazione Operativa; −− Gestione operativa dei progetti; −− Gestione operativa dell’erogazione dei servizi; −− Controllo e Audit progettuale, con relativi follow up alle strutture centrali per la gestione delle iniziative sospese per termine dei finanziamenti o per altri impedimenti; • una dimensione metodologica, che veda coinvolte alcune delle migliori pratiche metodologiche ai diversi livelli operativi, sia per definire le linee guida, le priorità di intervento e i percorsi evolutivi, sia per la gestione dei modelli di planning, di controllo, di audit e dei servizi.
42
Attuare l’Agenda Digitale: Innovazione, Sviluppo, Democrazia
Tutti questi compiti di natura tecnica e operativa si ripetono in ogni progetto di natura sistemica: nasce quindi l’esigenza sia di identificare un contenitore della cultura e delle competenze metodologiche di gestione progettuale, sia di un inquadramento, anche gerarchico, dei responsabili dei progetti.
43
QUADERNI DI THINK!
44