Speciale Munari

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Edizione Italiana

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Anno 47-2014 Bimestrale Maggio-Giugno Inserto

Bruno Munari

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Munari Politecnico MUSEO 900, MILANO

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Munari Politecnico

INTERVISTA

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Linterpretazione di Chi s’è visto s’è visto MADDALENA LAZZARI FEDERICA LENTATI

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RECENSIONI

Munari Politecnico Museo 900,Milano

6 aprile – 7 settembre 2014 Inaugurazione sabato 5 aprile 2014 a cura di Marco Sammicheli con la collaborazione di Giovanni Rubino allestimento e progetto grafico di Paolo Giacomazzi Bruno Munari ha utilizzato l’arte come originaria forma espressiva. Ancora prima della grafica, del design, della pedagogia e dell’editoria, l’arte ha guidato il suo genio creatore. La mostra Munari politecnico è il racconto di un artefice poliedrico, del suo ruolo nell’arte italiana ed europea, nel corso del Novecento e dei legami che lo hanno portato ad essere un protagonista eclettico di numerosi movimenti artistici. Le opere in mostra provengono in gran parte dalla collezione di Bruno Danese e Jacqueline Vodoz che nella molteplice veste di amici, collezionisti, editori e industriali, per decenni hanno sostenuto e incentivato Munari a sperimentare linguaggi, fungendo spesso da complici di alcuni incontri e sconfinamenti. Il percorso della mostra mette in dialogo le opere di Munari con quelle appartenenti alle Collezioni Civiche del Comune di Milano, al Museo del Novecento e agli archivi di ISISUF - Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo, di cui Munari fu tra i fondatori assieme a Carlo Belloli. L’obiettivo di Munari politecnico è rivelare la sua propensione artistica, compito che idealmente prosegue l’esposizione allestita nel 1996 nelle sale della Fondazione Vodoz-Danese di Milano, rileggendo la collezione e aprendola a un dialogo con una generazione di artisti che con lui hanno avuto un rapporto dialettico. Le prime quattro sezioni della mostra sono dedicate rispettivamente: agli orientamenti artistici giovanili di Munari attraverso il disegno, il collage e una prassi visuale riferibile alle pratiche delle avanguardie storiche; al suo rapporto con la ricerca scientifica, come ancella e supporto di intuizioni plastiche, di risposte linguistiche nonché come elemento attivatore di funzioni creative; all’arte come matrice generative di nuovi approdi disciplinari; alla produzione artistica durante il susseguirsi di diversi movimenti novecenteschi. 1

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Queste opere vivono di corrispondenze e influenze, in quanto citate da Munari nei suoi libri quali quelle di Mary Vieira e Victor Vasarely; in quanto realizzate da autori che hanno esposto e condiviso ricerche con lui come Enzo Mari, Max Bill, Franco Grignani e Max Huber; e in quanto legate ad artisti che lo hanno frequentato come Getulio Alviani, Arturo Bonfanti, Paolo Scheggi e Marina Apollonio. Da porre in evidenza anche coloro che hanno condiviso momenti originari, quali dapprima Gillo Dorfles e Carlo Belloli, e successivamente con il Gruppo T. Infine, questa stessa sezione include figure che con Munari hanno mantenuto un rapporto ideale in termini di capacità e ispirazione, come Giulio Paolini e Davide Mosconi.

proponendo interventi di studiosi che si sono concentrati su questa figura nodale del Novecento. L’uscita di questa pubblicazione, prevista per la fine della mostra, ha l’ambizione di aggiungere una testimonianza viva e dialettica alla figura di Munari, artista e anti-specialista.

Le opere degli artisti selezionati discutono, dialogano e si relazionano, oggi come allora, con l’immaginario estetico di Munari, anche grazie a un sistema di allestimento che si compone attraverso l’assemblaggio di strutture leggere e supporti diversi legati l’uno all’altro tramite incastro e gravità, il tutto con uno sguardo alla poetica munariana ma anche alla cultura del progetto contemporanea. Accanto alla mostra principale il Focus è dedicato all’opera fotografica, in parte inedita, realizzata da Ada Ardessi e Atto, autori che per decenni hanno lavorato a stretto contatto con Munari, testimoniando i principali momenti della vicenda professionale e umana dell’autore. L’esposizione ha come titolo “Chi s’è visto s’è visto” locuzione molto amata da Munari per sovvertire con familiarità il rapporto tra la rappresentazione di sé, la dimensione visuale del ritratto e le sue apparenze riflesse. Espressione spesso reinterpretata durante la condivisione di lunghi periodi di collaborazione e di momenti di amicizia, tanto con Ada Ardessi quanto con Atto, che per oltre quarant’anni hanno documentato le più importanti tappe del suo percorso creativo. Le fotografie in mostra restituiscono l’inafferrabile complessità semantica di Munari e scalfiscono lo stereotipo didattico di cui è stato investito nel corso degli anni. La mostra non ha un catalogo, ma nel corso del suo svolgimento, il curatore raccoglierà testimonianze, interviste e saggi di personalità che hanno incontrato Munari o che con lui hanno lavorato, 2

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UFFICIO STAMPA Comune di Milano: Elena Conenna tel. 02 88453314 Studio

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Munari Politecnico Intervista

In occasione della pubblicazione prevista dal curatore Marco Sammicheli, è stata raccolta un’intervista rivolta a due studentesse del Politecnico di Milano: Maddalena Lazzari, 25 anni e Federica Lentati, 22 anni. Domande e risposte sono volte a raccogliere pensieri e critiche circa l’allestimento espositivo, motivando quanto quest’ultimo sia risultato efficace rispetto alla comprensione della figura politecnica di Bruno Munari.

L’allestimento contribuisce a cogliere gli aspetti salienti circa il lavoro di Munari? Maddalena Lazzari: L’allestimento si apre con una sorta di “quinta” trasparente da cui s’intravede l’interno dell’esposizione attraverso una grande texture a pois il cui pattern diventa filo conduttore della mostra. Le grandi teche a “V” rovesciate delineano il primo percorso che occupa due terzi della sala. Un lato di questi dispositivi è costituito dall’accoppiamento di un cartoncino ondulato e un vetro soprastante, l’altro da un pannello in MDF verniciato di beige; il tutto sorretto da strutture metalliche bianche. La continuità tra questi elementi dà luogo ad un percorso intervallato da teche di forma rettangolare decorate da una texture arancione o beige, come citazione delle Xerografie. Per scorgere il retro delle teche sono presenti dei passaggi evidenziati da una piccola grata blu di forma trapezoidale, posta a terra, che riprende il motivo della texture. Le sezioni attraverso cui si articola la mostra sono quattro, ciascuna diversa dall’altra. Un terzo della sala è suddiviso da pilastri il cui ritmo è intervallato dalla presenza di teche rettangolari texturizzate. Al di là degli elementi portanti si susseguono opere di citazionismo, riferimento da cui Munari attinge nella sua laboriosa vita. L’allestimento realizzato permette al visitatore di poter scegliere il senso di percorrenza all’interno della mostra. Munari non si può incorniciare, “sguiscerebbe” via dal quadro, lui stesso non voleva mai essere definito in nessun modo; per questo i percorsi sono liberi. Parlando di lui si ha l’imbarazzo della definizione. Munari finge di stupirsi di questa difficoltà, giocando abilmente nel concedersi e nel sottrarsi agli stereotipi: pittore, artista, designer, grafico, inventore, architetto, scultore, scrittore, progettista, 3

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filosofo, didatta, esploratore. Munari è stato precursore di idee e situazioni provocatorie ma amante dell’armonia, ironico, poetico, riflessivo, intuitivo, eclettico, razionale, ingenuo, semplice, complesso, leggero, profondo.

Federica Lentati: Dal punto di vista della grafica ho trovato interessante la scelta di riprendere la texture dalle opere Xerografie originali del 1976. Questo motivo è stato riproposto in diversi punti, tra cui la tela presente all’ingresso, le “quinte divisorie” relative alle diverse sezioni della mostra, le schede esplicative delle opere, le teche e le “passerelle” a terra. Lo stesso avviene per quanto riguarda l’esposizione delle opere, poiché queste sono fissate sul cartone per mezzo di spilli che si rifanno alle Strutture in tensione del 1969. Anche i pannelli espositivi creano una sorta di “passepartout nel passepartout” disegnando una cornice mediante la sovrapposizione del vetro al cartone che riprende i pezzi della collazione contenuti. In un caso è stata problematica la lettura della scheda esplicativa poiché posta su di una teca ad altezza maggiore di 1.50 metri…Una mia amica ha avuto difficoltà nel riuscire a leggere il nome dell’opera e alcuni passaggi si sono rivelati eccessivamente stretti e scomodi.

Gabriele de Vecchi

Cosa succede se... ...schiacci il pulsante?

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Qual è il primo impatto visivo che si ha visitando la mostra? ML: Quando sono arrivata al punto d’incontro tra la sala principale e la Focus, di fronte all’insegna con riportati i nomi dei curatori, ho pensato di aver sbagliato il senso di percorrenza. Ero già convinta di dover cancellare tutte le fotografie. Mi sono accorta dai titoli delle sezioni interne alla sala, appesi al soffitto come delle sorte di quinte, che presentavano su entrambi i lati il titolo in modo asimmetrico. Con fiducia mi sono detta: “ecco qui la polivelenza di Munari! Geniale per chi lo ha allestito!”. Qui si gioca la partecipazione del visitatore che non è più un semplice spettatore, ma l’attore principale come nelle opere delle Proiezioni Dirette: è lo spettatore che mediante l’uso della fantasia permette all’opera di prendere forma. La mostra offre due visioni diverse rispetto ai sensi di percorrenza, ma siamo noi a dover scegliere! Entriamo dalla biglietteria verso Piazza Diaz o percorriamo tutto il museo? Bellissimo! Qui si percepisce tutto quello che è il “Metodo Munari”, brevettato a Brera nel 1977 e che dichiara: bisogna insegnare il “come si fa” e non il “cosa si deve fare”. Munari non avrebbe mai scritto cosa dover fare per vedere la sua mostra. La creatività che il maestro ci ha lasciato consiste nella possibilità e negli strumenti volti a riscoprire quello che è un mezzo fondamentale di espressione per tutti: un linguaggio senza il quale una parte importante del nostro io non avrebbe possibilità di esprimersi. Lui propone l’input iniziale ma poi ci si deve mettere in gioco, scegliere, agire, creare. E dunque crescere. L’esperienza personale prima di tutto.

Marina Apollonio

Gira?

FL: Sinceramente, il tutto risulta essere molto statico. Alcuni colleghi universitari visitando la mostra l’hanno definita come la “museificazione di Munari”. Da questo punto di vista mi trovo d’accordo con loro poiché l’allestimento manca di una parte interattiva col pubblico riducendo quello che è il lavoro di Munari, “costringendolo” dentro delle teche di vetro, quando lui stesso afferma che “non è possibile concepire un apprendimento significativo e persistente a prescindere dall’esperienza diretta”. Due delle opere esposte come riferimenti del lavoro dell’artista erano potenzialmente interattive, ma non a tutti, me compresa inizialmente, questo è stato chiaro. L’opera di Gabriele de Vecchi poteva ruotare schiacciando un pulsante posto sulla destra, che per lo più delle volte veniva scambiato per il rilevatore d’allarme e i visitatori stavano ben attenti a non sorpassarlo. Oppure l’opera appesa al muro di Marina Apollonio si sarebbe dovuta far roteare…In questo caso avrei cercato di sollecitare ed invitare il visitatore, con una domanda

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posta accanto: “Gira?”, “Cosa succede se schiaccio il pulsante?”…Non spiegando direttamente cosa fare ma stimolando la curiosità dello spettatore rispettando il metodo adottato da Munari stesso.

L’illuminazione contribuisce positivamente a valorizzare le opere esposte? FL: Non penso. La visione di gran parte delle opere era disturbata dai riflessi di luce sul vetro, che in questo modo non aiutavano l’occhio del visitatore ad osservare i pezzi di collezione esposta. Mi riferisco in particolare alle teche presenti nella sala d’ingresso alla mostra. ML: L’interdisciplinarietà suggerita dalla parola “politecnico” rende l’idea dal punto di vista artistico ma non illuminotecnico. L’illuminazione non favorisce la lettura del lavoro di questo artista; in particolare per quanto riguarda le teche rivolte verso il visitatore, perchè troppo spesso avviene il fenomeno di riflessione della luce sul vetro che protegge le opere. Guido Canali, figura di riferimento per gli allestimenti museali, all’interno del Museo di Santa Maria della Scala a Siena, ricrea delle teche aventi un’inclinazione volta verso il basso, allo scopo di evitare la riflessione e lasciar trasparire una chiara lettura delle opere nella loro bellezza integrale. Inoltre l’architetto ricrea una passerella lignea sotto cui inserisce i vari impianti; accorgimento dimenticato nella sala Focus del Museo del Novecento dove le canaline sono a vista sul pavimento. Speriamo che nessun visitatore inciampi catturato dagli elaborati di Bruno Munari!

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Guido Canali

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Ada Ardessi

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Munari Politecnico L’interpretazione di “Chi s’è visto s’è visto” LAZZARI MADDALENA L E N T AT I F E D E R I C A

È partendo dall’interpretazione dell’approccio munariano che le studentesse di architettura presso il Politecnico di Milano, Maddalena Lazzari e Federica Lentati, hanno rielaborato un dispositivo interattivo che possa aiutare il visitatore a cogliere, rielaborare e fare esperienza sul Focus chi s’è visto s’è visto, a cui è dedicata l’ultima sala della mostra.

Istruzioni per l’uso Tutti questi fogli possono essere mescolati annullando l’ordine nel quale l’autore li ha messi Possono essere raggruppati a piccoli gruppi cambiando così il colore degli occhi di quasi tutti i disegni. Come avviene nella realtà, tutti quelli che hanno la stessa apertura visiva e vedono il mondo nello stesso modo, non hanno osservazioni diverse da comunicarsi. Solo chi ha un’apertura visiva diversa vede il mondo in un altro modo e può dare al prossimo un’informazione tale da allargargli il suo campo visivo. Mescolate quindi i disegni, cambiate i colori degli occhi, abituiamoci a guardare il mondo con gli occhi degli altri. B.Munari, Guardiamoci negli occhi

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Come Munari predilige l’esperienza quale metodo più efficace di apprendimento, anche noi vorremmo lasciare interagire il visitatore con l’opera stimolandone la curiosità senza dire cosa fare, ma dandogli la libertà di sperimentare e giocare con questa. Il dispositivo verrà collocato nell’ultima sala di fronte al quadrato nero, al momento lasciato vuoto. A fianco sono presenti due degli ultimi ritratti fatti da Ada Ardessi a Munari. Partendo dall’interpretazione del suo ultimo, realizzato mediante collage su carta, abbiamo prodotto una maschera metallica ricalcandone la forma. Questa può scorrere su un cavo metallico teso tra il pavimento e il soffitto in modo da poter essere regolata in base all’altezza del visitatore. Attraverso quest’ultima è possibile provare “molteplici sguardi” grazie alla presenza di mascherine intercambiabili che riportano texture e colori differenti. Queste possono essere paragonate a diverse lenti attraverso cui il visitatore potrà vedersi riflesso in uno specchio, posto al centro del quadrato nero, antistante il dispositivo. In questo modo è stata pensata la rielaborazione del concetto munariano chi s’è visto s’è visto, secondo cui io posso vedermi realmente solo attraverso gli occhi di chi mi guarda, cambiando il mio punto di vista, motivo alla base della commissione del suo ultimo ritratto.

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