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NUMERO 0
NUMERO 0 // 2016
INDICE
THREEFACES // Marcho // p.2
ESTINTO // Luca Montoni // p.4
// Three Faces // p.5
// Mattia Mei // Marco Castelli // p.6
// Simone Piccinni // Federico Bria // p.12
// Gianluca Bindi // p.29 // Niccolò D’Innocenti // Marco Degl’Innocenti // p.18
// Jacopo Aiazzi // Giulia Brachi // p.24
INTERVISTA EXIT ENTER&JAMES BOY // Niccolò D’Innocenti &Marco Tangocci // p.30
INDUBBIAMENTE // Mirko Tondi // p.28
GRAFICHE INDIPENDENTI // JamesBoy // p.10 // M.e.P. // p.11 // Exit Enter // p.23 // Benedetta Bendinelli // p.28 // Elisa Buracchi // p.16
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Lo zero è il numero che precede l’uno e gli altri positivi, a seguito dei numeri negativi. Partendo proprio dalla definizione classica, abbiamo il piacere di presentarvi il numero zero di StreetBook Magazine. Lo zero, infatti, non significa “assenza di valore”: se la temperatura è zero, l’acqua gela, guadagnandone in peso, volume e consistenza. Questo contenitore creativo, proprio come l’acqua che si cristallizza, cresce e si solidifica ad ogni pubblicazione, diventando sempre più un prodotto concreto col trascorrere del tempo. Non possiamo affermare con certezza e arroganza che questa rivista si sia evoluta– preferendo lasciare a voi lettori l’arduo compito di giudicare – ma, quantomeno, possiamo parlare di trasformazione. Se non è la prima volta che ci leggete, noterete tra queste pagine alcuni cambiamenti di forma ma, ci auguriamo, non di sostanza, proprio come l’acqua che raggiunge tale temperatura. Zero, ad esempio, è il numero degli esemplari ancora in vita di bisonte del Caucaso dei nostri Estinti, ma non lo sono certo i chilometri percorsi da Carlos in Wanderlust. Tra queste pagine farete la spiacevole conoscenza del burbero Sue; leggerete un Post Office indirizzato ad un musicista immenso dal quale non ci aspettiamo, ovviamente, risposta. Osserverete i muri artisticamente ristrutturati dal M.E.P e da due celebri street artist della scena fiorentina, come Exit Enter e Jamesboy, di cui potrete anche leggere l’intervista. Visiterete il degrado da una diversa prospettiva, attraverso Ricadute, il delirio con Tagli, oltre ad una quantità impressionante di Luoghi comuni in luoghi poco comuni, all’interno della rubrica Indubbiamente. In poche parole, lo zero può gelarti le ossa o procurarti un cubetto con cui smorzare il carattere difficile del whiskey: dipende dalla situazione. E, si sa, le situazioni cambiano come le temperature, e magari saranno proprio quest’ultime a farci cambiare nuovamente forma, sciogliendo il ghiaccio e trasformandolo in vapore; evanescenza ma anche leggerezza. Insomma, che tu rimanga un unico blocco inspessito dal freddo o che tu finisca per evaporare, il consiglio è sempre lo stesso:
Lotta, leggi, pensa, vivi. Non estinguerti. 5
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Dalla mente di // Mattia Mei Foto di // Marco Castelli Mentre tutti dormivano si tagliò capelli, barba e baffi, lasciando tutto lì per terra. Mise nel marsupio il portafoglio e lo farcì con qualche centinaia d’euro, giusto per non essere fermato e rimpatriato al primo controllo. Scrisse una lettera nella quale si scusava e salutava tutti dicendo che doveva tagliare di netto i legami per andarsi a perdere nel mondo, a trovarsi. Non la rilesse nemmeno, sarebbe stato come voltarsi indietro per venire poi pietrificato da Medusa. Così uscì, facendo attenzione a chiudere piano il portone per evitare di svegliare qualcuno. “ C a z zo , i l p a s s a p or to ! ” Rientrò in casa per prendere quel libretto fondamentale per chiunque avesse intenzione di partire verso Itaca. Lo cercò un po’ e infine lo trovò dentro a un cassetto, dimenticato tra vecchie liste di cose da fare e altre inutili cianfrusaglie. Allora si fermò un attimo, si guardò intorno in quella stanza pregna di ricordi tanti quanti granelli di polvere vi erano sugli scaffali più in alto. Venne immediatamente assalito dai ripensamenti, ma questa volta li fermò in tempo respirando profondamente. Lasciò di nuovo alle sue spalle il portone, stavolta fregandosene del rumore, come se fosse uguale se a questo punto qualcuno si sarebbe svegliato o meno. Ormai era deciso.
Era il sogno di una vita, per Carlos: era convinto che il Paradiso fosse una condizione terrena e che lo avrebbe trovato solo lontano da quell’Inferno. Il suo partire era un po’ come andare alla ricerca del miracoloso. Erano stronzate e lo sapeva, tutto in fin dei conti è dentro ognuno di noi e “non troverai laggiù ciò che non troverai qui”, ma per lui il discorso era un po’ più sottile. Questo era il suo modo di ribellarsi, rompere le catene ed evadere, per andarsi a prendere quello che voleva: la libertà. Le aveva provate tutte: la fusione sessuale con una donna tra i rami di un albero cresciuto tra i palazzi di una grande città; le delusioni d’amore dopo un decollo straordinario, per poi arrivare all’esperienza della tragedia, struggendosi in pensieri di un futuro tendente al suicidio. Architettò Opere d’amore, che niente erano se non il risultato di tanti piccoli fenomeni all’apparenza slegati fra di loro, ma che avevano, come nella grande teoria della ragnatela, la peculiarità di tessere i fili verso un’unica direzione, quella verso il centro, dove queste si completavano. Fece immersione nell’Undergound per poi concepire il concetto di un Overground. Bevve fino allo svenimento, fino a togliere il coperchio al pentolone dove bollivano i suoi demoni, e superò i suoi limiti tramite la droga, accompagnata all’assoluta mancanza della cura
8 di sé. Voltò pagina con la meditazione, scoprì in parte il risveglio della Kundalini usando strumenti come lo Yoga, la capanna sudatoria e le varie ruote di medicina, partecipò a delle costellazioni familiari per capire da dove proveniva e per sapere dove doveva andare. Provò a seguire i cicli lunari e si avvicinò allo studio dell’Alta Magia, cercò di avvicinarsi all’Alchimia con le dieci leggi scritte nella “Tavola di Smeraldo” e al suo processo di trasformazione “Solve et Coagula”, tramite il quale disciolse su di un piano immaginario tutti i lati del suo carattere, per coagulare in seguito, al modo delle polveri metalliche in un alambicco sopra una fiamma, solo le parti migliori. Si appassionò in modo delicato allo studio della Bibbia, leggendola come si fa con una grande allegoria e riuscì, tramite le immagini visionarie, a intravedere l’insegnamento di Dio. Portò a un livello superiore la qualità del suo essere con l’Ayurveda, seguendo i consigli che più si avvicinavano ai Dosha di cui era fatto, masticando lentamente, rispettando certi orari vitali e privilegiando degli alimenti piuttosto che altri. Da tutto questo trasse un’infinita forza vitale. Aveva provato la vita di piazza e la vita di campagna. Modellò teorie filosofiche e abbracciò Nietzsche, si schierò tra i suoi adorati nemici adoratori e ammirò il modello olonomico di Bohm. Metteva da parte i cappelli che trovava come se le idee che vi si trovavano dentro avessero bisogno di protezione. Dormì nel bosco accanto al fuoco. Giunse infine alla frivolezza del gioco: associava alle persone una carta dal significato determinato, trovando delle regine in alcune caratteristiche di certe ragazze, per poi evolvere il gioco stesso e attribuire i quattro elementi ad altrettante tipologie di ragazza. Provò ad essere onesto e poi a rubare, provò ad essere sincero e in seguito bugiardo, coraggioso e infine codardo. Si armò per diventare un guerriero e poi un guerriero della luce, ma niente. Tutto questo non bastò a Carlos per placare la sua irrequietezza e la sua sete di curiosità. Non voleva provare nuove esperienze. Cioè sì, lo voleva, ma non era questo il motivo della sua partenza. Era intenzionato a vivere la vita fino in fondo senza dover più cercare niente da
nessuna parte. Non partiva per trovare un posto caldo dove mangiare aragoste a basso prezzo e non partiva per trovare la donna della sua vita in un posto esotico. Era spinto da un irrefrenabile impulso, da un desiderio di scalare certe vette, per arrivare là dove l’aria non si conosce ed ha il profumo della libertà. Così chiuse l’uscio di casa, incamminandosi sotto la pioggia. Non ho mai saputo dove diavolo finì Carlos, non ne ebbi più notizie. Io quella notte dormivo, o meglio, facevo finta, e ho continuato a farlo per paura di fermarlo. So che voleva fare il cammino di Santiago per poi scendere giù al sud del Portogallo, attraversare il Marocco per arrivare alle Canarie, prendere un qualsiasi passaggio in barca che lo portasse ai Caraibi e da lì intraprendere il giro del Sud America, il suo viaggio intorno a quello che stava diventando per lui un mappamondo. Non so, potrebbe essere finito a fare il pedrero in Messico o in Costa Rica come invece potrebbe aver deviato per l’Africa e non esservi arrivato mai. Io sono suo fratello e in fondo sto bene: ho una donna che amo, mi prendo cura di lei e lei di me, sono il bastone di nostra nonna che è invecchiata e ogni tanto, al suo indirizzo, mando una cartolina firmata a nome suo. Aiuto nostra madre e mi procuro la vita con un cane da tartufo, un lavoro che mi permette di stare in mezzo a oggetti antichi che mi parlano di viaggi e di storie. Non sogno grandi cose, per me il Paradiso è qui ed è ora. Spero che Carlos abbia trovato il suo Paradiso, che sia ai bordi di una spiaggia tropicale o dentro una nave da crociera, o che so. D’altro canto, nelle sere di pioggia, non riesco più a dormire e me ne sto lì, con un occhio chiuso e uno aperto. E anche se lei è accanto a me che dorme, io sono lì che invece faccio finta e guardo la pioggia fuori dalla finestra, aspettando che qualcuno bussi alla porta e torni a prendersi quei capelli e quella barba dal pavimento. “Ti voglio bene, Carlos.” Le campane suonano.
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Dalla mente di // Simone Piccinni Illustrazione di // Federico Bria Mi chiamo Sue, gente. E allora? Qualcosa in contrario? Ah, non potete vedermi. Forse è questo che vi conserva i denti in bocca. Già. Perché mi chiamerò pure Sue, ma sono un cristo d’uomo di due metri, con poca voglia di scherzare. E se c’è una cosa che mi fa andare in bestia, è vedere il ghigno sulla faccia di qualcuno quando mi presento. Quindi vi è andata bene che ve ne stiate di là dal foglio. E ghignate pure quanto cazzo vi pare; se vi avanza un po’ di tempo, questa è la mia storia. Mio padre era un figlio di una cagna. Se ne andò quando avevo tre anni, senza lasciare nulla a me e mia madre. Giusto una vecchia chitarra, qualche bottiglia vuota e questo nome di merda. Già. Perché chiamarmi Sue è stata una sua idea: forse lo trovava divertente. Magari la mia disgrazia era dovuta a una sbronza del vecchio coglione o a una scommessa con qualche altro
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alcolista. Ogni volta che ripensavo a cosa doveva essere passato per quella testa marcia quando partorì questo nome, l’istinto era di uccidere il primo che mi capitava a tiro. Era sempre stato così: da bambino i ragazzini mi massacravano di battute, ma solo finché sono stato troppo piccolo per fargli ingoiare i denti. Puniscine uno per educarne cento: sarà. Certo è che ho dovuto darmi da fare, per farmi rispettare. Una rissa al giorno, per quasi quindici anni. Già. Ma la parte peggiore di avere un nome del genere non erano le scazzottate: in quelle impari a farti valere. La vera condanna è la risata della ragazza che ti fa battere il cuore come un tamburo apache, con quella ci puoi far poco: farà male dalla prima all’ultima volta. Ad ogni modo, sono cresciuto in fretta: pugni induriti, cuore corazzato e la voglia di dar fuoco al mondo.
14 Raggiunti i vent’anni non ne potevo più di quel borgo polveroso: ormai ero visto come un poco di buono. Il nome, poi, mi si era attaccato addosso come il marchio sul culo di una vacca. Dovevo andarmene. Dovevo nascondere la vergogna. Soprattutto, dovevo trovare il responsabile della mia disgrazia. Iniziai il mio peregrinare tra i più sperduti buchi di culo del Texas. Mi fermavo quanto bastava per accumulare il denaro per lo spostamento successivo, in qualsiasi maniera, lecita o illecita, mi si parasse davanti. Ho perso il conto dei cavalli ferrati per 10 pence l’ora, o degli ubriaconi gonfiati di botte e rapinati all’uscita dei saloon. Era solo sostentamento per il mio stomaco e alimento per la mia sete di vendetta. Poi in un giorno di Luglio arrivai a Gatlinburg. Faceva un caldo fottuto e decisi di fermarmi in una locanda per una birra. Avevo una strana sensazione addosso: mi fulminino se ero mai stato lì prima, ma era come se avessi già visto il luogo. Entrai nel saloon e, sulla mia destra seduto a un tavolo con una pinta davanti, se ne stava una faccia familiare: cicatrice sulla guancia, sopracciglia folte e sguardo malvagio. Avevo già visto quel viso. Tirai fuori la foto scolorita dalla tasca, l’unica che mia madre avesse del figlio di puttana. La guardai, con il groppo crescente che mi bloccava lo stomaco e il sangue che iniziava a ribollirmi nelle vene: il vecchio serpente a sonagli era lì, seduto comodo in una locanda, come una persona normale. Beh, di certo non lo era per me. Già. E ora era nei guai. Mi parai di fronte a lui con il mio sguardo più cattivo. – Il mio nome è Sue, vecchio coglione. Stai per morire, lo sai? – Fece giusto in tempo ad alzare gli occhi dalla pinta e lanciarmi una strana occhiata, come compiaciuta, prima che il mio pugno gli si abbattesse in mezzo alla fronte rugosa. Il colpo lo scagliò all’indietro, ribaltandolo dalla sedia. Rimase un secondo contorto a terra come uno straccio. Io mi avvicinai a lui per continuare a colpirlo, ma il vecchio bastardo, con un’agilità che mi colse di sorpresa, scattò con un braccio e mi colpì al lato della testa. Saltai indietro,
sentendo un tocco rapido all’orecchio. Lo guardai mentre si rialzava di scatto, con un coltello in mano. Portai la mano alla testa e sentii un brandello di carne che mi penzolava dall’orecchio: quel fottuto ubriacone me ne aveva staccato un pezzo! Sentii il fuoco salirmi dentro, ma lui fu più rapido e mi si scagliò contro, cercando di colpirmi di nuovo col coltello. Schivai la lama, ma il suo peso ci lanciò indietro, facendoci fracassare la parete di legno e rotolare nella strada polverosa. Riuscii a disarmarlo e ci allacciammo in un corpo a corpo micidiale. I colpi si scambiavano con un ritmo forsennato. Giuro, ho combattuto con gente di ogni tipo: grossi, pazzi, cattivi. Mi fulminino però se ricordavo un pezzo di merda più duro di quel vecchio stronzo: scalciava come un mulo e mordeva come un coccodrillo. Già. E i suoi pugni… Beh, capii da chi avevo preso. Il sangue, la polvere e il sudore si mescolavano alla nuvola di cazzotti da cui eravamo avvolti. Riuscii a puntellarmi con un ginocchio e a darmi lo slancio per tornare in posizione eretta. Il vecchio cercò di approfittarne per impugnare la pistola. Fui più rapido di lui e gli puntai in mezzo agli occhi il mio revolver. Era il momento. Mi sarei liberato della bestia che mi portavo dietro da tutta la vita. Qualcosa, però, fermò il dito sul grilletto. Il vecchio stronzo mi guardava sorridendo. Era una cosa a metà tra un sorriso e un ghigno, ma non c’era la malvagità che mi sarei aspettato. Sputò a terra, si pulì le labbra dal sangue e iniziò a parlare. – Uccidimi pure, figliolo. Ma prima, sappilo, devi ringraziami –. – Di cosa, porco schifoso? –, chiesi. Il vecchio sorrise di nuovo, sornione. – È stata una rissa con i controcoglioni, quella da cui sei appena uscito, non ti pare? –, fece una pausa per scrutare le mie reazioni, ma rimasi impassibile. – Sai perché ne sei uscito vivo, ragazzo? Perché sei un duro. E sai perché sei un duro? Per il nome che ti ho dato –, disse. – Quando sei venuto al mondo sapevo che non sarei rimasto per molto –, proseguì, – sarò pure un pezzo di merda, ma ho pensato a te
prima di andarmene: la vita è difficile e se un uomo vuole sopravvivere deve indurirsi. Sapevo che non avrei avuto il tempo per fartelo capire, quindi ho deciso di darti questo nome e salutarti. Era l’unico modo per assicurarmi che o avresti combattuto o saresti morto. E, a giudicare dalla nostra scazzottata, devi aver combattuto parecchio. Ha funzionato, no? – Riprese fiato, poi continuò: – quindi adesso ammazzami, se ti va. Ma prima ringraziami, coglione, perché sono io lo stronzo che ti ha chiamato Sue! – Cosa avrei dovuto fare? Abbassai la pistola e lo aiutai a rialzarsi, lo abbracciai e lo chiamai Papà. Alla fine la vita è fatta di punti di vista. Già. Capii il suo e me ne andai per la mia strada, senza rancore. Da quel giorno, ogni volta che mi si para davanti una sfida, penso a lui. Spesso non ci rendiamo conto del fatto che ciò che ci fa davvero del bene, non sempre ci fa anche stare bene. È stato un gran dono quello che mi ha fatto. Quindi grazie, vecchio. Ma se devo dirla tutta, odio ancora questo cazzo di nome! (Un omaggio prosaico ad “A boy named Sue”, di Johnny Cash)
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Dalla mente di // Niccolò D’Innocenti Illustrazione di // Marco Degl’Innocenti Brucio Dolore. Ogni parte del mio essere è solo
volume, facendo urlare molti di noi di dolore,
dolore. Non riesco a pensare, a vedere, provo
costringendomi ad uscire dalla trance. Arrivano
soltanto dolore. Cerco di attivarmi ma fallisco
i primi ordini, che richiamano alla calma e alla
miseramente, milioni di spilli infuocati mi
collaborazione per il bene comune. Le solite
trafiggono ovunque. Intorno a me percepisco la
frasi motivazionali dei piani alti, parole e niente
distruzione del giorno dopo la tempesta, ed è
di più. Qui sotto c’è il caos e loro parlano di
tutto meno che la pace. Non ho passato in questo
collaborazione. Non avere un nome proprio in
momento, esiste solo dolore, che non accenna a
questi casi è un vantaggio: deresponsabilizza.
diminuire. Devo farmi forza, devo capire cosa sta
Siamo tutti uguali e tutti sostituibili, nessuno
succedendo intorno a me. Il mio turno lavorativo
è
è già cominciato e non sono in grado di svolgerlo.
da quando ho memoria, anche se alla fine ci
Inizio a vedere quello che mi circonda: crateri,
rendiamo conto che per quanto nessuno di noi
fumo e cadaveri sparsi ovunque. Migliaia di
sia indispensabile, il calo di numero costante lo
miei simili caduti a terra e altri milioni di milioni
pagheremo, alla lunga.
indispensabile.
Questa
frase
riecheggia
che si trovano in una situazioni di confusione identica alla mia; paura e disordine regnano
Più passano gli anni, più i compiti da svolgere
indisturbate, padrone assolute del tutto. A
diventano faticosi. Errori di comunicazione,
proposito di padrone, penso che il nostro ieri
errori di coordinamento, errori su errori che
abbia fatto qualcosa di tremendo. Non è la prima
ci fanno perdere sempre maggiore credibilità
volta che mi risveglio così e ogni volta mi stupisco
agli occhi degli altri. Odio il mio lavoro, e lo odio
di essere stato così fortunato da avercelo, un
ancora di più in giornate come queste, dove
risveglio. I buchi intorno a me confermano che
ogni impegno non porterà assolutamente a
non sono andato molto lontano dal sonno eterno.
niente. Fare il nostro mestiere è frustrante,
Iniziano ad arrivare i primi input, ma non riesco
molto frustrante, soprattutto se sei impiegato nel
a funzionare e mi sento scivolare nuovamente
reparto Produttività&Responsabilità. E c’è una
nel buio.
fiducia totale ed estremamente mal riposta sul fatto che possiamo risolvere qualsiasi situazione,
La sveglia, rimandata poco fa, risuona a tutto
nonostante la carriera del padrone sia costellata
20 da una marea di fallimenti e pochissimi successi,
fianco a fianco. Neanche allora i risultati erano
dovuti, a dirla tutta, a grandissime botte di culo.
granché, ma almeno non dovevamo prendere
Improvvisamente scatta l’entusiasmo ovunque:
parte a questa specie di grottesca guerra civile
sono state avvistate scorte residue di caffè
e riuscivamo a far svolgere una vita dignitosa
già preparato e pronto da riscaldare, che
all’essere senziente che ci siamo ritrovati a
rappresentano un barlume di speranza, almeno
dover controllare.
per
della
Anche se, in questo momento, grazie a loro, per
sera prima. Ma questa speranza porta con sé
la prima volta dal terribile risveglio si è allentata
una terribile consapevolezza: i concorrenti
un pochino la morsa di dolore che ci stava
dell’Area Creativa non si faranno assolutamente
attanagliando. I primi flash della sera precedente
scappare un’occasione del genere per sabotare
iniziano lentamente a comparire: immagini di
il nostro lavoro con un attacco diretto. Sfruttando
una cena, il primo bicchiere di vino, le nostre
le abitudini ormai consolidate del padrone,
prime perdite poco dopo, l’aria gelata che riattiva,
invieranno in continuazione stimoli e immagini
il gin tonic che spegne, poi le esplosioni, le urla,
sperando di attivare i riflessi condizionati che
i crateri ed il buio. Almeno abbiamo completato
hanno accumulato negli anni per effettuare
la diagnosi: Sbronza, con la esse maiuscola.
semplici azioni concatenate. Vedo il caffè, scaldo
Vedendo le condizioni in cui versa il nostro
il caffè, vedo il barattolo, prendo il barattolo, vedo
stabile non mi sentirei di escludere anche una
il grinder, prendo il grinder, vedo i filtri, prendo
botta in testa.
i filtri, faccio un filtro, vedo le cartine, prendo le
Bastano pochi minuti e gli effetti del thc si
cartine, vedo il tabacco, prendo il tabacco, faccio
fanno più intensi, abbinandosi senza pietà con
una canna. Penso sia la perfetta definizione
i postumi lasciati dall’alcol. È già finito l’effetto
di effetto domino. Per gli ultimi comandi non
antidolorifico e, insieme al ritorno delle fitte, si
è nemmeno più necessario impartire delle
presentano i primi segnali che il lavoro di oggi
direttive e bam!, in meno di cinque minuti,
non sarà per niente facile.
recuperare
qualche
frammento
prima di poter fare qualsiasi tipo di resistenza (che di solito consiste nell’inviare sottospecie di
Neanche a chiamarla, ecco la prima difficoltà.
slogan verso i centri decisionale del tipo “devi
Accolto dal panico collettivo, arriva il suono che
lavorare, ricordati di quella telefonata, pensa alla
da molto tempo è collegato a doppio filo con il
tua ragazza, pensa a tua madre”) siamo tutti gonfi
nostro lavoro e con le sue ansie: la suoneria
come palloni e ci siamo già scordati del fornello
del cellulare. Ci risiamo: stimoli si accavallano
acceso con il caffè sopra.
su altri stimoli, non arrivano ordini precisi,
Quelli dell’area creativa sono dei cazzoni.
rispondere, non rispondere, nel caso in cui
Non
siamo
rispondere, cosa dire, chi è, numero sconosciuto;
caduti in basso e quanto sia facile incularci.
e se fosse la risposta a una delle svariate offerte
Prendono tutta la parte divertente di questo
di lavoro a cui siamo riusciti a far partecipare
lavoro, ma quando arrivano le responsabilità
il nostro padrone in un momento d’oro del
e le preoccupazioni, tirano i remi in barca e ci
nostro reparto? Intere giornate passate a
lasciano la patata bollente in mano. Tanto quando
instillare senso di colpa sulla sua condizione di
falliamo, le colpe non vengono distribuite e
disoccupato alla soglia dei trent’anni verranno
cadono indistintamente su tutti. E non ho ancora
buttate al vento, se la risposta a una richiesta
capito cosa fanno di creativo.
di colloquio sarà un rutto. Perché ovviamente
fanno
che
ricordarci
quanto
adesso la sensazione predominante del tutto è la Anni fa riuscivamo a collaborare e a lavorare
nausea e tutti i pensieri si concentrano sul farla
passare. E gli squilli non accennano a smettere,
ma solo perché è il momento giusto di farlo.
contribuendo
sul
Lavorare, mantenere la concentrazione per
soggetto dominante. Per colpa della marijuana,
più di dieci minuti, guadagnare, ottenere dei
tutti noi siamo stati privati della nostra capacità
risultati, mantenere le aspettative. E basta sogni
decisionale
all’ormai
anche durante la notte, con quelle immagini
abusato escamotage del “richiamerò”. Questa
e quelle sensazioni che ti accompagnano per
vecchia tecnica permette di allentare panico e
tutta la giornata. Finalmente notti riposanti e
tensione, a scapito di un leggero aumento del
giornate concrete, senza possibilità di errore.
senso di colpa, sensazione con cui abbiamo
Essere, senza se e senza ma, la perfetta ragione,
imparato a convivere. Non richiameremo, questo
il perfetto pensiero funzionale e pragmatico,
è chiaro, ma il pensiero che potremmo farlo ci
e
permette di tirare avanti in questa giornata e ha
all’imprevisto. La Distrazione, il nemico con cui
fermato le esplosioni di alcune migliaia di miei
da sempre abbiamo combattuto, non sarà più il
colleghi che non stavano reggendo alla tensione.
principale alleato dei nostri gemelli impiegati
Dobbiamo
azione,
nel lato opposto del nostro infinito stabile, non
concentrarci sul combattere il nostro principale
sarà più l’incubo che ha spazzato via tutto quello
nemico
Fortunatamente
che abbiamo provato a costruire, ma diventerà
possiamo avvantaggiarci anche noi sfruttando
solo un ricordo fra gli altri, insignificante, per
l’efficacia
riflessi
cui arriveremo a provare nostalgia per la facilità
condizionati, riportando alla mente i benefici
con cui riusciremo a svolgere il nostro lavoro.
di mettersi due dita in gola e superare almeno
Lo stesso discorso per la Fantasia, che ha fatto
questa impasse. Detto fatto, e il terremoto che ci
naufragare in partenza i nostri compiti e tutti i
investe è di quelli terrificanti, continue scosse
nostri obiettivi.
alla
e
dobbiamo
limitare
attuale:
perdita
la
appena
il
di
controllo
ricorrere
campo
nausea.
dimostrata
di
dei
tanti
cari
saluti
all’improvvisazione
e
di assestamento ci fanno perdere numerosi compagni e la speranza di una veloce conclusione
Sono nient’altro che un crumiro del settore
di
sviluppare
Responsabilità&Produttività di questo fantoccio
maggiore comunicazione interna per evitare di
che chiamiamo uomo. Sogno per lui la noia, un
ritrovarci in queste situazioni. Che so, una sorta
lavoro alle Poste, le code in autostrada, una mente
di input che alla terza bevuta serri la mascella
lineare e produttiva, un lavoro senza possibilità
del capo. Oppure dobbiamo prendere atto che
di critica. Sogno il mutuo, la famiglia, le scadenze,
l’unico modo per fermare questa spaccatura
le responsabilità, il mantenere gli impegni.
degli stimoli è di scendere veramente, e non
Sogno, ed è la cosa che odio di più fare: sto usando
grottescamente, in guerra contro quei bastardi
i mezzi del nemico per evadere dalla realtà che
dell’Area Creativa, e vaffanculo il divertimento,
mi opprime, sono diventato il mio nemico e non
le serate, le amicizie e l’erba, soprattutto l’erba,
riesco a smettere di farlo. Sogno una guerra
che ha sfoltito notevolmente le nostre schiere,
che non posso combattere e non posso vincere
portando numerosi di noi ad atrofizzarsi,
e che, principalmente, non può esistere. Sogno
rendendo loro più forti e determinati. E vaffanculo
di potermi muovere, cambiare la mia situazione
ai sogni e alle ambizioni, alle distrazioni e
immutabile. Sogno, e il dolore insopportabile del
agli obiettivi, che ci portano a fantasticare e a
post vomito mi fa sognare ancora più forte. Sogno
perdere terreno nei nostri processi decisionali.
di spegnermi e di essere il prossimo a esplodere.
Finalmente potremmo svegliarci ed essere
Sogno di essere uno degli altri e di non avere
produttivi, rispondere al telefono, andare ai
il peso delle responsabilità. Sogno che il mio
colloqui, sorridere senza un motivo per farlo
lavoro non sia preoccuparmi di pagare le bollette
questa
agonia.
Dovremmo
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22 o di diventare un barbone. Sono in sciopero,
di un’offerta di lavoro, fissare un appuntamento
tanto non farà la differenza: siamo miliardi e
informale da lì a un’ora, salutare, attaccare. La
tutti ugualmente inutili, minuscoli ingranaggi
possibilità è concreta e ci inebria, possiamo fare
difettosi di un sistema enormemente fallato.
del nostro lavoro una soddisfazione, rendere la
Guardo il lato positivo del mio ammutinamento
persona che guidiamo un membro funzionale
invisibile. Almeno non sto partecipando alla
del sistema, annullare il senso di inutilità che ci
preannunciata e inevitabile sconfitta di giornata,
accompagna, sfumandolo in un lontano ricordo.
il telefono che risuona, la mano che neanche si avvicina per vedere il numero, ma che invece
Ci siamo riusciti, un’euforia incontrollata si
si avvicina di nuovo verso il barattolo della
diffonde da noi al tutto, i muscoli si accendono,
marijuana e il nostro reparto che non riesce
ci portano al bagno, alla doccia, ai vestiti, al
neppure più a instillare il senso di colpa.
fuori. Tutto è perfetto, tranne per la strada che
Poi l’oblio e l’assenza di stimoli, di nuovo il buio,
abbiamo fatto prendere al padrone: i soliti riflessi
poi ancora la luce: nessuna percezione del
condizionati, in un momento di Distrazione, ci
passaggio dal sonno alla veglia. Quando eravamo
hanno portato a percorrere i soliti passi che ci
più forti, il sonno era nostro alleato: riuscivamo
conducono al bar.
a inserirci negli incubi per ricordare scadenze,
Basterebbe una piccola correzione di rotta e
risvegliare l’ansia e piantare qualche chiodo
ritorneremmo sulla giusta via, quando una
fisso. Adesso le opzioni che si alternano sono
parola esplode dentro tutto il cervello, la nostra
solo due: sogni surreali e oblio.
casa e la nostra bara, superando ogni input e ogni comando:
Il risveglio pomeridiano rappresenta da sempre una delle occasioni d’oro del nostro settore per affermare la propria supremazia; la condizione di confusione generale ci permette di essere più efficaci e diretti, i nostri stimoli riguardanti responsabilità e doveri diventano predominanti. La lucidità derivata dalla sconfitta dei postumi ci rende produttivi come non mai. Ecco che la lotta quotidiana della razionalità contro l’istinto si sta sbilanciando verso un risultato impensabile: stiamo vincendo. E stiamo vincendo dopo anni in cui la ricerca del piacere e dell’appagamento sensoriale aveva lasciato il timone nelle mani dell’Area Creativa, con la scoperta dell’alcool, della droga e del sesso a semplificargli il compito. Provo una sensazione che avevo dimenticato: fiducia. Fiducia nel nostro lavoro, nelle nostre capacità, fiducia nella collaborazione con i nostri rivali, fantasia e concretezza applicate per uno scopo comune. Non possiamo perdere il momento. Riusciamo a far prendere il telefono, richiamare, essere comprensibili, capire di cosa stiamo parlando, capire che si trattava effettivamente
Shottino?
25 7 5
Dalla mente di // Jacopo Aiazzi Illustrazione di // Giulia Brachi Siete venuti fin qui per sapere cosa è successo
piedi. Più probabilmente, fu la classica idea che
quella sera, ho indovinato? Devo avvertirvi però,
solitamente si presenta dopo la quarta o quinta
non sarà per niente un racconto piacevole.
birra.
L’altra sera, come la maggior parte delle sere
Devo dirvi la verità: non so proprio a cosa dare
in quel periodo, la passai a casa del mio amico
la colpa, se al fatto che bevemmo decisamente
tatuatore, lo stesso di cui siete tanto interessati,
troppo, alla dannata tempesta elettromagnetica
impegnati
o se quella gran testa di cazzo ficcò qualcosa
di
bevute
nella
nostra
guardando
consueta
bene
di strano nelle nostre bevute. Nulla toglie che
quale film horror. Pellicole di terza categoria,
fu proprio un gran casino. Voglio dire, noi
genere
qualsiasi
non saremo certo due geni, personalmente
tipo di bevanda che contenesse un’onorevole
non credo a tutte le storie strampalate su scie
gradazione alcolica era diventato il nostro
chimiche, uomini lucertola e altre cazzate simili,
rituale antico di fine giornata. Le uniche due
però quella sera, dopo tutti quei lampi verdi
differenze che resero tanto speciale la serata
nel cielo e i boati che sembravano provenire
furono una “leggera” tempesta elettromagnetica,
direttamente dal ventre affamato del pianeta, ho
di cui credo abbiate visto gli effetti, e la voglia del
iniziato a dubitare delle mie convinzioni. Non
mio compare di sperimentare su se stesso la
so come spiegarlo con parole più comprensibili,
propria creatività. Come succede per la maggior
ma nel mezzo della notte gli elettrodomestici di
parte dei tatuatori durante il proprio percorso
casa s’incazzarono di brutto. Persino il tostapane
professionale, anche per lui il fascino del dolore
cercò di aggredirmi! Non ne ho ancora parlato
e della precisione combinati insieme iniziavano
con nessuno perché rischierei di passare per
ad esercitare un’influenza irresistibile. Forse
pazzo o, peggio, per cazzaro. E, lo sapete bene
era per sostituire la sofferenza dell’anima con
anche voi, al cazzaro non viene concesso un
quella del fisico, più facilmente gestibile. O,
briciolo di credibilità. Il giorno dopo mi limitai a
forse, fece quello che fece perché aveva ancora
sperare che il telegiornale parlasse di vecchiette
il corpo completamente libero dall’inchiostro ed
inghiottite dalle poltrone massaggianti, vittime
essere l’unico tatuatore non tatuato al mondo
da forno a microonde, adolescenti strozzati
poteva apparire come un pessimo biglietto da
dalle cuffie dei loro Ipod, casalinghe picchiate
visita. Una fissazione che ormai non stava più in
dal Minipimer o molestate dall’aspirapolvere:
rigorosamente
non
maratona
ricordo
splatter,
e
26 notizie inenarrabili troppo gustose per non
di meccanismi, viti e pezzi di latta, soltanto per
essere offerte al grande pubblico. Invece, niente.
placarlo. Questo per farvi capire quanto quella
Non una parola sull’accaduto, non un trafiletto
tremenda tempesta di “leggero” non avesse
di cronaca nera in ottava pagina di un qualsiasi
proprio un bel niente. Lui, invece, continuò
quotidiano locale. Niente, silenzio assoluto.
imperterrito a massacrarsi il corpo con tanti tagli sottili, mischiando il sangue con l’inchiostro
Le gente, il giorno dopo, non era più tanto buona.
e l’inchiostro con il sangue, come se tutt’intorno
Che sia per la tempesta o per la frenesia delle
non succedesse niente di più strano del solito.
persone, un po’ di delirio per le strade si era
E andò avanti così, per svariate ore. Incisioni
effettivamente creato. Per questo non mi sento
corporali e insensatezze.
di escludere nessuna ipotesi, neanche quella del complotto governativo. Sapete, la centrale
Le linee, dal momento in cui venivano impresse
elettrica sulla collina… Comunque, visto che a voi
sulla pelle, strisciavano su e giù per tutto quel
del giorno dopo non frega assolutamente nulla,
corpo, come se volessero farmi delle smorfie,
quello sciroccato decise di mettere in pratica
e passò diverso tempo prima che mi rendessi
la sua pessima idea tatuandosi dei grossolani
conto che pizzicarmi le guance o strofinarmi
volti dalle fattezze umanoidi sul corpo proprio
gli occhi non sarebbe servito a niente. Decisi
quella sera, proprio durante l’infernale tempesta.
di appoggiare la lattina di birra già mezza
Cercai di distrarlo dicendogli che avrei potuto
svuotata sul piccolo tavolinetto da caffè, per non
insegnargli a tirare con la fionda così vicino a
lasciare niente d’intentato. Un volta completati
un piccione da vederlo cacarsi sotto, una cosa
i volti, intorno a noi si levò un rumore simile al
davvero spassosa, ma non volle sentire ragioni.
bisbiglio provocato da un piccolo capannello
Nella speranza di guadagnare qualche secondo,
di persone. Angosciosi sussurri figli di un
domandai: – quali volti? –
incubo tangibile. Ognuno di loro, a modo suo,
– Quelli che mi ricordo –, rispose candidamente.
consigliava, pretendeva o implorava il proprio
– Di chi? –, insistetti.
creatore. C’era chi voleva ucciderlo, smembrarlo
– Di tutti quelli che mi hanno fatto richieste
e divorarlo, e chi con lui desiderava avere un
stupide e dei quali riesco a ricordare i tratti
rapporto sessuale. C’era chi gli consigliava il
somatici. Quelle richieste insopportabilmente
suicidio come alternativa ad una tortura lunga
banali come delfini sulle chiappe, farfalline
ottant’anni e chi gli proponeva semplicemente di
sulle scapole o scorpioni sulle spalle, cazzate
spostarsi davanti ad uno specchio per ammirare
che faccio soltanto perché ho affitto e bollette
il risultato e complimentarsi con se stesso.
da pagare. E solitamente le richieste banali
C’era persino chi gli consigliava di impegnarsi
arrivano da facce stupide, mai troppo facili da
nel fare carriera, di passare la vita davanti
dimenticare –, disse.
alla televisione e chi di trovare rapidamente
Fu nel preciso istante in cui la macchinetta
una brava ragazza e sposarsi. Incessanti,
cominciò ad emettere quel suo fastidioso e
inarrestabili, quei volti gli martellarono la psiche
pungente ronzìo, consentendo così all’inchiostro
per farlo cedere, compiere azioni dettate da
di entrare nel circuito, che l’insolita tempesta
una mente fino a quel momento a lui estranea.
elettromagnetica si scatenò e il tostapane tentò
Vi prego di credermi se vi dico che fin lì
di saltarmi addosso. Credo volesse uccidermi,
resistetti, paralizzato dal terrore, poi, quando lo
divorarmi la faccia con il suo bollente interno.
vidi interagire con quegli scarabocchi viventi,
Dovetti prenderlo a calci fino a distruggerlo
mi pisciai letteralmente nelle mutante. Qualche
completamente, lasciando per terra una distesa
minuto dopo essermi imbrattato i pantaloni col
liquido dei codardi, feci il codardo, preferendo affrontare la tempesta di fuori piuttosto che quella che si stava scatenando al suo interno. Una scelta che quasi tutti avrebbero fatto, e che molti effettivamente fanno. Non lui: rimase lì, ad affrontare un problema che sembrava provenire ben al di sotto dello strato cutaneo. Prima di fuggire terrorizzato lo vidi parlare con loro, con ognuno di loro. E più li osservavo interagire e muoversi e strisciare, più vedevo una certa similarità con il loro creatore. Anche per un minimo tratto, un gesto delle labbra, l’inflessione della voce o l’incurvatura delle sopracciglia; solo aberranti accenni di omogeneità. Da quel momento, del tatuatore, non ne seppi più nulla, quindi è inutile che continuate a insistere. Il giorno seguente, terminata l’assurda tempesta, lo cercai nel suo studio, proprio dove siete venuti a cercarlo voi oggi. E come voi non sono riuscito a trovarlo. Aspetto che torni dal suo viaggio, ovunque sia, e intanto gli tengo in ordine il negozio. Posso dirvi però che l’esperienza mi ha lasciato qualcosa: ho capito che dobbiamo imparare a salvarci dal rischio di guardare il mondo da un’unica prospettiva, come se lo guardassimo attraverso un minuscolo buco di un muro spesso chissà quanti psicocentimetri. Ci provocherà cicatrici e sofferenze, ma forse così non ne avremo più paura.
27
Dalla mente di // Gianluca Bindi Caro David, non farò finta di essere un tuo fan della prima ora, adesso che la tua morte ha pornograficamente invaso i social. Perdonami, ma ho apprezzato molto più il trasformismo e la capacità di esplorare mondi sonori inconciliabili, piuttosto che la tua musica. Anche se devo confessarti che non posso ignorare la violenza con cui Black Star mi ha colpito nell’immaginario, e non sto parlando delle teorie a dir poco bizzarre che si trovano su internet. Cioè, non mi fraintendere, sarebbe folle pensare che un genio come il tuo non dissemini le proprie opere di simboli e allegorie oscure, ma ti risparmio volentieri i dettagli creativi dei beceri della rete. È da gennaio che continuo a chiedermi cosa diamine sia ‘sta benedetta Stella Nera. Beh, per fortuna un fan accanito lo sono stato di Elvis, e ricordo bene che la versione preliminare di “Flaming Star” (colonna sonora dell’omonimo film) guarda caso si chiamava proprio “Black Star”: “Ogni uomo ha una stella nera Una stella nera sulle sue spalle E quando un uomo vede la sua stella nera Sa che la sua ora è arrivata.” Ecco, mi basta la sicurezza incrollabile di questo tuo rimando al Re per rifiutare in blocco ogni sforzo analitico (fra nobili poi son sicuro che vi intendiate). L’unica interpretazione che mi sento di dare non può che essere emotiva: perché, quando ho capito che la stella nera l’avevi proprio vista, tutti gli altri discorsi sono diventati superflui. È sempre stata lì sulle spalle, perché tutti sanno che prima o poi si deve morire. Non ci è stato chiesto di nascere, ma una volta in vita sappiamo che il nostro tempo sarà limitato. Bel fardello, no? Viviamo con un groppo in gola costante, ma sottinteso. Facciamo finta di non pensare a questo orribile controsenso finché non arriva il momento in cui bisogna farci i conti. Sì, penso che “la stella nera” sia questa apparizione: lo stato terminale del tuo cancro, la consapevolezza che di lì a poco tutto sarebbe finito. Da lì al crollare del tutto, e campare di compassione e talk show, il passo è breve. Ma tu sei riuscito a superare la paura, la demonizzazione della morte come mero evento finale, per farla diventare qualcosa di più. Ti sei reso conto che di fronte a questa certezza si è soli, non potendo delegare qualcuno a morire per noi, neppure i nostri alter-ego. Finalmente la paura è diventata angoscia, cioè la consapevolezza di essere davanti ad una scelta totalmente privata, interiore: l’ultima e definitiva. È in questa anticipazione che mi hai sconvolto: avere la lucidità di recepire, analizzare e mettere in musica la preparazione per l’ultimo viaggio. Il sincero e gratuito messaggio di un uomo che inizia a distanziarsi dal mondo e dagli affetti, progettando la propria uscita di scena. Ho detto un uomo, sì, perché di fronte al nulla non ci sono né l’artista, né la star del cinema, né quant’altro uno come te è potuto essere in vita. C’è invece un tentativo di comprensione profonda dell’essere umano effimero, la cui esistenza trova significato (aspetta un attimo, ora lo dico) soltanto in rapporto alla sua fine, alla finitezza del tempo. Black Star per me non è un capolavoro musicale o esoterico; è opera d’arte definitiva, è il Mozart che scrive il proprio requiem, è l’uomo spoglio di attributi che è andato oltre le sue cicatrici invisibili. A te, Duca Bianco, tutta la mia stima e gratitudine per avermi ispirato a fare un altro piccolo passo verso la comprensione di questa insensata esistenza. Spero anch’io un giorno di essere libero come quel bluebird.
Martino
Un esistenzialista anonimo
LUOGHI COMUNI in luoghi poco comuni Dalla mente di // Mirko Tondi Allora, ci sono un Tedesco, un Francese e
Giapponese con la barba. Forse non gli cresce
un Americano.
nemmeno.
No, aspetta, un Italiano ci vuole. Ci sono un
Magari facciamo un passo indietro: ci sono
Tedesco, un Francese e un Italiano. Mai stati
un Arabo serio che scatta una foto dopo l’altra,
simpatici i Francesi, a pensarci bene. Ci sono un
un Giapponese che ride senza motivo e un
Tedesco, un Giapponese e un Italiano. E perché
Napoletano indifferente. Son tutti e tre in fila
non un Napoletano? C’è sempre un Napoletano
agli Uffizi. Anzi no, sono in fila per entrare a
quando si parla di Italia. Ci sono un Tedesco, un
Palazzo Pitti, che è meno banale. Diciamo al
Giapponese e un Napoletano. Tutta ‘sta fissa per
Museo Novecento e non se ne parla più. Però, mai
i Tedeschi poi, perché? Ci sono un Arabo, un
trovata una fila al Museo Novecento. Oggi invece
Giapponese e un Napoletano. Ecco, così va bene.
sì, perché c’è l’ingresso gratuito, è una giornata
E cosa fanno?
speciale. Che giornata? La giornata dei musei
Sono lì, in fila per entrare agli Uffizi. L’Arabo
gratis, punto: tutto il mondo è uguale quando
ha la barba lunga e una tunica bianca; il
non gli fai tirare fuori i soldi. L’Arabo continua
Giapponese ha il sorriso da Giapponese e una
a fare foto, il Giapponese continua a ridere, il
macchina fotografica che mitraglia scatti; il
Napoletano continua a non sapere perché si trova
Napoletano ha una barba finta e tra poco avrà
lì finché si ricorda che sì, oggi è gratis, è vero.
anche una macchina fotografica che prima non
Bella pubblicità che fai alla tua gente, fantastico.
aveva. Bravo, sei il numero uno per gli stereotipi
Sempre la solita solfa che noi Italiani non
preconfezionati.
siamo interessati all’arte, alla cultura e tutto
Facciamo
che
l’Arabo
scatta
fotografie
ma
quanto. I dati dicono questo, in effetti. Ma ci
senza sorridere più di tanto, il Giapponese è un
vuole una piccola modifica, sennò va a finire
Giapponese atipico perché non ha la macchina
che i Napoletani si offendono. E poi stop
fotografica al collo e ha pure la barba, il Napoletano
alle macchiette, ce ne sono già abbastanza.
non ha nessuna intenzione di rubare niente.
Sicché, ricapitoliamo: ci sono un Arabo, un
Perfetto, se non fosse che non si è mai visto un
Giapponese
e
un
Genovese.
L’Arabo
è
un
appassionato fotografo; il Giapponese uno che
fotografi, mi pare la cosa più naturale a questo
ride di fronte a tutte le cose belle della vita, e
punto. Il Giapponese intanto approfitta della
guarda caso gli pare bella pure una fila al museo;
distrazione dell’Arabo e gli passa avanti nella
il Genovese è apparentemente indifferente ma
fila. Sempre sorridendo, è ovvio. Il Veneto dice
dentro è ancor più felice del Giapponese, perché
qualcosa, non sappiamo cosa ma deve avercela
non gli pare il vero di non spendere un euro oggi.
col Giapponese per questo gesto scorretto,
Fai sempre gli stessi errori, complimenti, ti
insomma dai non si fa, non è educato, e poi da
mancavano i Genovesi tirchi per completare la
un Giapponese che ride non te lo aspetteresti
collezione dei personaggi bell’e pronti all’uso.
mai, diciamo la verità. L’Arabo dice qualcosa al
Basta, prometto che è l’ultima volta: ci sono un
Giapponese (lo dice nella sua lingua e quindi
Arabo, un Giapponese e un Veneto. Dei primi due
non riesco a tradurre, ma vi assicuro che
ormai si sa già tutto, del terzo basti sapere che
il tono non lascia presupporre che si tratti
prova a chiedere un’informazione ma nessuno lo
di qualche parola carina). Il Veneto cerca di
capisce, e non mi riferisco solo agli stranieri ma
mettersi nel mezzo ma senza successo. E
anche al Napoletano e al Genovese (che ci sono
poi tanto non lo capisce nessuno, quello. Per
ma hanno soltanto il ruolo di semplici comparse,
di più il Veneto si becca anche la macchina
li potete notare in mezzo alla fila pure loro).
fotografica in testa. È qui che arrivano in
Non credo che questo sia uno stereotipo, il fatto
soccorso il Genovese e il Napoletano (il museo
è che conoscevo un Veneto che quando parlava
poi non era più gratis e allora eccoli qui pure
non lo capiva nessuno (la cosa deve avermi
loro). Scoppia una rissa e tutti si azzuffano
influenzato).
mentre il Giapponese va al bagno felice.
Ci sono un Arabo, un Giapponese e un Veneto.
No, niente comparse. Togliamo il Genovese e il
Si trovano al Museo Novecento, in fila. Ma
Napoletano, vediamo se il Veneto se la cava da solo.
la fila non è all’ingresso, è ai bagni. Oggi i
Il Veneto riceve il colpo e interviene la sicurezza,
bagni sono particolarmente affollati, perché
che porta via l’Arabo e chiama i carabinieri, che
ricordo che l’entrata al museo era gratis.
a loro volta lo accusano di essere un terrorista.
Non mi convince. Mettiamo che la fila c’è, ma
Non gli troveranno addosso che la macchina
non siamo più al museo. Siamo ai bagni pubblici.
fotografica, ma continueranno a sospettare.
Esistono ancora i bagni pubblici? Se esistono,
Al deus ex machina non riesco a rinunciare, il
perfetto. Sennò, dovrebbero ripristinarli, perché
Veneto non mi pare molto scaltro per farcela da
a quanto pare sono fonti di magnifiche storie.
sé. Il pregiudizio razziale però ci sta bene, dai.
Siamo in fila ai bagni pubblici perché c’è
Il Veneto proverà a raccontare la sua versione
in giro un visus intestinale che sta facendo
dei fatti, ma nessuno lo capirà e alla fine
vittime. L’Arabo vede uscire dal bagno delle
dovranno chiedere al Giapponese (che intanto al
signore una spilungona bionda, occhi chiari,
bagno si era tolto un peso dallo stomaco, quindi
sguardo magnetico. Dev’essere svedese. Non ti
ne era uscito ancora più sorridente di prima).
smentisci mai, adesso è il turno della modella
Incredibilmente, i carabinieri lo capiranno
svedese. Facciamo invece che la donna ha
meglio del Veneto e metteranno tutto a verbale.
un’altezza normale, è mora, procace, forse
Anche
viene dall’Est europeo. L’Arabo la vede uscire
Finisce che ci sono un Arabo con una macchina
dal bagno e dice in italiano “che bomba!”. Non
fotografica
sappiamo perché questo Arabo parli l’italiano,
terrorismo, un Giapponese felice per aver
ma sappiamo che se un Arabo oggi dice bomba
contribuito a far emergere la verità di un
succede un casino. Il Veneto allora chiede
episodio poco felice che lui stesso ha causato,
qualcosa al Giapponese (non so dirvi cosa,
un Veneto con un bernoccolo in testa che non
non lo capisco nemmeno io), ma il Giapponese
desiderava nemmeno. Poi ci sono i carabinieri
continua a ridere. Tutti gli altri scappano.
che hanno ricostruito la scena in maniera
La solita scenetta in cui ci sono un Arabo, una
involontariamente
bomba e un equivoco collegato. Tutto questo
verbale scritto all’imperfetto e pieno di errori
impegno ed è il massimo che riesci a fare?
grammaticali.
Grandioso, ti daranno un premio per l’originalità,
No, questo non lo cambio, mi spiace.
vai tranquillo. Meglio che la donna esca dal bagno e l’Arabo la
l’incomunicabilità rotta
e
ci
sta
un’ingiusta
comica
bene, accusa
attraverso
via. di
un
32
antidoti visuali
EXIT ENTER & JAMESBOY Dalla mente di // Niccolò D’Innocenti & Marco Tangocci Ci sono diversi motivi per cui abbiamo deciso
letteralmente,
di intervistare Exit Enter e Jamesboy, due tra
anche quella era una parte di me, soprattutto
i più attivi street artist di Firenze. Ovviamente
quando facevo le firme: andavo ovunque, anche
la spinta primaria è stata la stima che proviamo
sui muri storici, firmavo su tutto. Era davvero
nei loro confronti. La voglia di fare e collaborare
la parte più irruenta di me, una parte che col
che trasmettono, l’influenza reciproca che
tempo ho imparato a capire e indirizzare. Poi,
ha portato i loro stili a un livello ulteriore,
per via di una denuncia, ho dovuto cambiare
inoltre, ci paiono espressione dei cambiamenti
nome, e ho colto l’occasione per cercare di fare
sotterranei, spesso inconsci, presenti in questo
qualcosa di maggiore qualità.
come
violento.
Inizialmente
momento a Firenze e non solo. Quando entriamo in casa loro, la prima cosa
Quando
che notiamo è che non c’è un centimetro libero
artist e tatuatore calabrese attivo a Firenze],
abbiamo
intervistato
Bue
[street
da cartoni, assi di legno, materassi e tele, tutto
ci ha dato una sua ricostruzione della storia
chiaramente disegnato. Si respirano arte e
della street art negli ultimi quarant’anni, e
creatività. Neanche il tempo di sederci, che
sottolineava come fosse un atto vandalico, una
quella che avrebbe dovuto essere un’intervista
tag, l’elemento che per primo ha permesso di
già diventa una lunga chiacchierata, talmente
riprendersi uno spazio.
stimolante che quasi ci scordiamo di accendere il registratore.
E: Secondo me non è proprio così. Il muralismo
Qui sotto troverete un estratto di quanto ci siamo
nasce in Messico negli anni Dieci, durante
detti. Purtroppo i limiti della carta non ci hanno
la
permesso di riportare tutto ciò che avrebbe
iniziarono a fare dei graffiti, che in prevalenza
meritato, tuttavia l’intervista è consultabile per
rappresentavano la cultura messicana. Sono
intero sul nostro sito.
stati loro a fare i primi murales, che miravano
lotta
d’indipendenza:
alcuni
artisti
anche all’istruzione del popolo, in gran parte Iniziamo con te, James, e iniziamo col nome.
analfabeta. Poi, migrando dal Messico, alcuni di
Prima di Jamesboy usavi “Mucho Bruto”.
questi artisti si sono spostati negli Stati Uniti,
Spiegaci, che significa?
influenzando la nascita dei graffitari americani. J: Comunque quello che diceva Bue, che i vandali
J: Mucho Bruto è qualcosa che in realtà non
hanno cominciato a dipingere prendendosi
ha senso, né in italiano né in spagnolo. Dico in
lo spazio, è vero. Negli anni Settanta c’era il
spagnolo perché io sono arrivato in Italia dal
punk, se ti documenti un po’ scopri che i primi
Perù, e nonostante non parlassi l’italiano mi
writers, quelli che hanno iniziato, non hanno
sono ritrovato subito alle superiori. All’inizio
niente a che vedere con la cultura hip hop,
non capivo la lingua, ma volevo comunicare
proprio niente. Chi ha cominciato a dipingere
in qualche modo e avevo già questa mania
erano i punk, gli anarchici.
di dipingere, di fare firme, così ho deciso di
E: Scrivevano più che dipingere...
creare un nome che fosse una via di mezzo
J:
fra spagnolo e italiano, giusto per attirare
muralismo, io invece...
l’attenzione.
E: Io parlavo di pittura, non tanto dei graffiti.
Bruto, la parte italiana del nome, va inteso
J: Il discorso sui graffiti è quello, sono partiti
Infatti
te
hai
cominciato
parlando
di
tutti dalla politica. E: Scrivevano infamate sui muri! J: E poi piano piano hanno cominciato a fare firme. Finché questa cosa non si è diffusa ancora di più con la cultura hip hop. Dagli anni Ottanta ogni quartiere, ogni persona voleva un suo stile, e da questo è nata la ricerca sulla grafia, sulle ondulazioni delle lettere, sugli abbinamenti di colore, sugli accostamenti con i puppets. È cominciato un po’ come dicevi te [rivolto a Exit]: parlavi di artisti che facevano muralismo, ma quella è solo una parte del grande insieme della street art, che dal mio punto di vista racchiude tutto. Il muralismo e i graffiti sono la stessa cosa: se lo fai in strada, e cerchi di comunicare un messaggio, per me è arte urbana. E: Secondo me no, perché in questo modo tutti fanno arte. Io penso che se vai in strada e fai una firma, è una firma sul muro e niente più. Quindi, James, ci stai dicendo che l’agire in strada comunicando un messaggio è street art di per sé, a prescindere che quel messaggio si rappresenti in un disegno, in una tag o altro. Tu invece, Exit, la vedi in modo diverso? E: Le tag secondo me sono un mondo a parte.
le lettere non sono altro che grafismi che, con la tipografia, sono stati inquadrati in
Chi faceva le firme e chi le fa tutt’ora non mi
un
pare che voglia mandare un messaggio. Le
l’hanno fatto consapevolmente, ma i writers
firme, fondamentalmente, se le guardano solo
inconsciamente hanno rotto le lettere, facendoci
tra writers. Magari poi sì, c’è anche gente che
tornare ai calligrammi. Sono processi che le
se ne interessa e va a cercarle sui muri, però
persone scatenano senza pensare. Poi arriva
è una subcultura a cui non interessa mandare
chi le vuole interpretare e le definisce arte
un messaggio, è una subcultura di rivolta che
concettuale. Che poi l’arte concettuale alle volte
vuole dire: “va bene, voi mi avete confinato nel
è una stronzata assurda, che però dietro ha
ghetto, mi avete dato questi spazi grigi, voi
appunto un concetto… Fino a quando non arriva
siete potenti, ma io prendo uno spray e scrivo
un Keith Haring, che si è studiato i graffiti
sul muro”.
ancestrali nelle caverne, ha visto il collegamento
Poi da lì ci può essere un’evoluzione, perché
tra le due cose, tra le lettere che diventano
un conto è fare una firma, un conto è mettersi a
simboli e simboli che prima già c’erano e dice:
ricercare uno stile e lavorarci su. In questo caso
“e se ampliassi questi graffiti e ci tirassi fuori
penso si possa già più definire arte, perché
qualcosa che comunica anche alle persone?”. E
alla fine l’artista è un artigiano che studia ciò
da lì nasce chi comincia a dipingere in strada,
che fa, senza improvvisare. Però la tag fatta
oltre che a scrivere.
significato
preciso.
Sicuramente
non
dal ragazzino incazzato col mondo, secondo me non ha niente di artistico. Per me la tag è un fenomeno sociale, nasce come reazione ai problemi della società. Se poi vogliamo andare avanti col discorso, pensa a cosa succede certe volte alle lettere:
James, come è nata per te l’idea di lavorare sulla strada? J: Ho cominciato vedendo un amico fare delle firme, delle scritte strane. Si era appassionato al
spesso vengono storpiate fino a farne delle
lettering: modificava, piegava, tagliava le lettere,
calligrafie incomprensibili. Perché, alla fine,
facendoci dei cerchi e dei simboli intorno. Io
33
34 non capivo il significato, però mi piaceva il fatto
agire, così non ci avrei pensato più. E la maschera
che ci mettesse così tanto per studiare una firma
bianca
da riportare in strada. Erano lavori fatti bene, e
dipingo, quella è la mia parte, quella parte che mi
io volevo fare lo stesso; non per affermarmi, ma
guardava mentre dormivo. Praticamente, quindi,
per una questione di gusto: mi piaceva come
quella maschera bianca sono io.
apparivano e lo volevo fare anche io.
All’inizio disegnavo solo per me, perché era il
Poi la cosa si è evoluta e ho cominciato ad avere
mio modo di esprimere quello che non riuscivo
le mie motivazioni per dipingere. Senza contare
a dire con le parole. Usare dei simboli per
che per farlo devi uscire la sera, e quando esci la
dare un messaggio l’ho imparato da Exit e da
sera la città si trasforma. Ai tempi stavo a Lima,
Stelleconfuse [Sticker artist fiorentino].
trasparente
che
indossa
quando
la
che durante il giorno è un caos totale, mentre durante la notte non c’è niente. Anche l’atmosfera
Tornando al tema del nome: k, Exit, Exit/Enter?
era tranquilla, calma, uscire a dipingere per me
Come ti dobbiamo chiamare? E sulla domanda di
era diventato un modo per trovare la serenità
prima, come hai iniziato?
mentale. Infatti se vedete i miei lavori non faccio una
E: Quando ho cominciato a dipingere in strada
cosa sola, ma tante, perché ognuna di esse mi fa
non avevo un progetto e un nome. Facevo più
stare in un modo diverso. A volte vado in giro a
che altro cose astratte: disegni figurativi, mostri,
dipingere figure umane perché mi fa stare bene;
omini, che però avevano sempre una tematica
in un periodo ad esempio disegnavo spesso nudi
sociale. Era un periodo in cui ero in cerca di una
perché mi mancava il contatto umano. Volevo
motivazione di vita, che per me era rappresentata
vedere certe cose e, non vedendole, me le creavo
dall’Exit, l’uscita, nel senso della “svolta”. L’uscita
da me, le tiravo fuori dalla mia immaginazione…
per me, in principio, era il trovare vie alternative
Quando facevo sculture, invece, stavo delle ore
a quelle proposte dalla società.
a realizzare delle maschere: tagliavo il cartone,
Inizialmente però non era quello il mio nome:
attaccavo i pezzetti eccetera. Ci mettevo un
semplicemente sentivo il bisogno di esprimermi,
sacco di tempo ma lo facevo volentieri, perché mi
e così iniziai a uscire in strada facendo delle tag,
sentivo bene nel farlo.
che erano tipo delle k, che a volte ripeto ancora, piccoline. Ho sempre cercato di non essere troppo
Le maschere in particolare sono un aspetto della
invasivo sui muri: ho dentro questa forma di
tua poetica interessante...
rispetto perché spesso penso a mio nonno e a quanto si incazzerebbe a vedere una tag sul
J: Sì, le maschere sono importanti perché sono
muro di casa sua!
una costante della vita. Tutti abbiamo delle
Poi una volta ero a una festa tekno in un
maschere, abbiamo una faccia che mostriamo
capannone, avevo due spray in tasca e ho fatto
agli altri e una che teniamo per noi stessi. In quel
questo omino. E qua il discorso si ricollega alla
periodo pensavo molto a questa cosa, creavo le
nascita dell’omino: nei miei disegni c’è sempre
maschere per me e poi le attaccavo a giro, come
stato, e in un periodo in cui avevo parecchi
una parte di me stesso che lasciavo lì.
dubbi esistenziali mi sono addirittura ritrovato a dialogarci assieme. Negli sketchbook, nei
Le maschere, però, ad esempio quelle bianche
quali era diventato una specie di mio alter ego,
sulle figure nere, ricorrono ancora spesso nei
mi chiedeva: “qual è il mio significato?”, e io gli
tuoi disegni.
dicevo che per me aveva significato perché parlare con lui mi aiutava. “Però ho significato
J: La figura nera è la Cosa; la chiamo così perché
solo per te” rispondeva. Sempre in questo
non sono riuscito a darle un nome preciso. La
sketchbook mi disse: “per avere più significato
Cosa è appunto una forma nera che mi capitava
dovrei essere condiviso con altre persone, magari
spesso di sognare fluttuante sopra di me, che
potresti disegnarmi sui muri”. Questa cosa mi ero
mi guardava mentre dormivo. Sapevo che stavo
scordato di averla scritta, l’ho riletta solo tempo
dormendo, cercavo di svegliarmi ma invece mi
dopo. Nel frattempo mi ero ritrovato a disegnare
ritrovavo sempre in un altro sogno. Quindi per
questo omino a una festa con scritto free, o free
esorcizzarla ho iniziato a disegnarla e a farla
party, e delle casse. Poi feci il primo col palloncino
e ci scrissi free. Da lì ho iniziato a metterlo in
e rispondendo dici qualcosa anche a te stesso. Le
strada. Dopo un po’, tre o quattro mesi da quando
interviste sono state una sorta di psicoanalisi, già
era partito il tutto, ho riletto gli sketchbook, e
cominciata con quell’omino che parlava con me e
quando ho visto che l’omino mi aveva detto che
che mi ha tirato fuori tante cose.
avrei dovuto disegnarlo in strada, mi sono reso conto di aver già fatto tutto a livello inconscio.
Parliamo di Firenze: c’è chi però non vede come
Comunque a spingermi a continuare sono state
arte i vostri lavori. Ad esempio: qua ci sono gli
le persone, perché dopo aver fatto i primi disegni
Angeli del Bello...
qualcuno mi ha detto: “cazzo, sono bellini, quando li ho visti mi hanno fatto sorridere”. Questo mi ha
J: Per come la vedo io sono dei writers legali. Loro
stimolato, ed uscire nella solitudine della notte con
coprono firme, che è quello che fanno i writers.
gli spray per dipingere è stato lo sfogo maggiore
Coprono pezzi, e li sostituiscono con toppe di
in un periodo pieno di problemi e di dubbi.
colore.
Uscire e dipingere mi faceva stare bene. All’inizio
E:
è partito come uno spam, ne ho fatti veramente
bellissima. Sono persone che hanno a cuore la
tanti. Io e James non è che abbiamo delle tecniche
propria città, vogliono bene al posto in cui vivono
paurose, però sentiamo questa voglia di fare-fare-
e si propongono come volontari per tenerlo
fare. Non è ricercatezza, è voglia di esprimerti
pulito. Però vogliono bene alla loro città perché
istintiva, è qualcosa che ti viene da dentro. E
la vivono veramente o perché la considerano
all’inizio fu così per il palloncino, lo intendevo
una città vetrina intoccabile che deve rimanere
come un graffito: invece di fare tag, io disegnavo.
bianca e sempre uguale? Potrebbe essere una
La voglia era soprattutto quella di spammare, di
delle domande, per dire. Poi oltre a questo ci sono
riempire tutto. Era la gratificazione del segno.
l’ignoranza e la noncuranza con cui cancellano
Tirare quel filo del palloncino era uno stare bene,
le cose. Io poi di certo non ce l’ho con gli Angeli
era uno sfogo. Poi sono state le persone che
del Bello; a volte vanno nei giardini a sistemare
hanno stimolato il resto, perché a ciò che dico ora
le aiuole, fanno anche cose belle. Però nulla toglie
da solo non ci sarei arrivato. Quando qualcuno ti
che, cancellando i disegni, l’arte urbana a Firenze
fa una domanda devi rispondergli, allora ci pensi,
non ha vita.
In
teoria
dovrebbe
essere
un’iniziativa
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hanno collaborato a questo numero:
//JACOPOAIAZZI
Giornalista di professione, scrittore per passione. Sembra burbero, ma è colpa della barba. //BENEDETTABENDINELLI //WWW.BEHANCE.NET/BHOOKA
La fotografia le paga le bollette. La scrittura sostituisce gli ansiolitici.
//GIANLUCABINDI
Studia, scrive e viaggia; anche se non sa ancora rispettivamente perché, di cosa e dove. //GIULIABRACHI //BRACHIGIULIA.BLOGSPOT.COM
SGU, classe 1992. Contorsionismo mentale che si ciba di paranoie per vomitare immagini. //FEDERICOBRIA //BEHANCE.NET/FEDERICOBRIA
Illustratore autodidatta. Disegna cose su cose, su cose. Principalmente in bianco e nero.
//ELISABURACCHI //BEHANCE.NET/ELISABURACCHI_BEH
Incostante per natura, in 28 anni rimane fedele solo all’arte. Eccetto un flirt grafico.
//MARCOCASTELLI //WWW.MARCO-CASTELLI.COM
Fotografo. Vorrebbe fare il gigolò, ma si affeziona troppo. Diventerà attore o regista (secondo lui).
//CORONATIZIANO// FACEBOOK/BLEKDESIGN
Graphic Designer e Calligraffiti Artist. (L’abbiamo perso nel mondo dei caratteri tipografici).
//MARCODEGL’INNOCENTIBRUCIO //BRUCIODISEGNI.BLOGSPOT.COM
Direttamente da Lo-FiComics, un disegnatore a tempo perso, nel senso che ha perso tutto il suo tempo a disegnare.
//NICCOLÒD’INNOCENTI
Calciatore per passione, scrittore per caso. Co-fondatore di Three Faces.
//MARCHO //WWW.FACEBOOK.COM/MARCHOFA
Sviluppo la mia produzione nell’incessante tentativo di coniugare le ‘arti visive’ e tutte le loro declinazioni.
//MATTIAMEI
Scrittore senza disciplina. Ha abbandonato per principio la Facoltà di Filosofia e la Scuola Holden. //LUCAMONTONI
Frequenta Architettura a Firenze, dopodiché parte per le Canarie dove si specializza in tecniche serigrafiche.
//SIMONEPICCINNI //WWW.SIMONEPICCINNI.JIMDO.COM
Una vita votata al caos finché non fonda Three Faces.Tutto sommato non è cambiata poi troppo.
//MARCOTANGOCCI //STORIADIUNINTOCCABILE.COM
Scrittore, autore del romanzo antigandhiano “Mahatma. Storia di un intoccabile” e di altri testi pretenziosi.
//MIRKOTONDI //MIRKOTONDI.WORDPRESS.COM
Scrittore precario e a mezzo servizio. “Nessun cactus da queste parti” è il suo ultimo libro.
//MEP //WWW.MOVIMENTOEMANCIPAZIONEPOESIA.TK
Nasce a Firenze nel 2010 e persegue lo scopo di infondere interesse e rispetto per la poesia.
//EXITENTER&JAMESBOY
Street artist attivi a Firenze.
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NOTE REDAZIONALI THREEFACES DIRETTORE EDITORIALE // SIMONE PICCINNI DIRETTORE RESPONSABILE // JACOPO AIAZZI ART DIRECTION // ELISA BURACCHI // TIZIANO CORONA REDATTORI & COLLABORATORI // BENEDETTA BENDINELLI // GIANLUCA BINDI // GIULIA BRACHI // FEDERICO BRIA // EMILIO CALDERAI // MARCO CASTELLI // P. TIZIANA CAUDULLO // MARCO DEGL’INNOCENTI BRUCIO // NICCOLO’ D’INNOCENTI // MARCHO // NICCOLO’ GAMBASSI // MATTIA MARTINI // MATTIA MEI IMPAGINAZIONE & GRAFICA // ELISA BURACCHI // TIZIANO CORONA COVER // MARCHO LETTERING TITOLI // TIZIANO CORONA RINGRAZIAMENTI // M.e.P. (Movimento per l’Emancipazione della Poesia) // JAMESBOY // EXIT ENTER
Progettato, ideato e realizzato da: Three Faces // Associazione di promozione Cultural-Editoriale Via Villamagna, 24, 50126, Firenze (FI) www.threefaces.org Iscrizione al registro stampa del tribunale di Firenze n° 6025 del 18/05/2016 Numero 0 // Anno 1 // Giugno 2016 Printed by Pixartprinting S.p.a.
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