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Il tempo della denuncia
from TbyND 120
A cura dell’Avv. Stefano Camponovo, Lugano studiolegale@stefanocamponovo.ch
Cari lettori,
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come forse ricorderete, avevamo terminato la scorsa volta indicando che per inoltrare validamente una denuncia penale occorre “non perdere tempo”. In effetti una denuncia deve anche essere tempestiva, cioè presentata entro tre mesi da quando si ha avuto conoscenza delle persone da denunciare: passati i tre mesi, non sarà più possibile presentarla.
Questo limite è importante. Ho visto passare nel mio ufficio a Lugano più persone che per mesi avevano tralasciato di denunciare una persona, per cercare di essere tolleranti, ma poi - a distanza di mesi - quella persona le aveva invece a sua volta denunciate per una piccolezza; dette persone a quel punto avevano voluto finalmente ottenere giustizia denunciandola per i mesi di angherie ed insulti subiti, ma l’ultimo insulto ricevuto o l’ultima angheria subita risaliva a più di tre mesi prima, e quindi non era più possibile denunciare il fatto. Dura lex, sed lex.
Qual è la ragione di un termine così breve? Si parte dal presupposto che i rapporti tra le persone vadano chiariti al più presto. Meno i fatti sono gravi (ma avete già letto nella precedente puntata i miei dubbi circa questa classificazione), più si giustifica di risolverli in fretta (in un senso, la denuncia, o nell’altro, una pietra tombale sopra ai fatti). Inoltre, più passa il tempo, più diventa difficile provare quei fatti: se per un omicidio si può e deve attendere anche anni, per un insulto non si attende più di tre mesi. Qual è la morale? Che è meglio denunciare subito qualcuno, magari un vicino, anche solo perché gli è scappato, in una discussione, un dialettale “ta set propri un bigul!”, così da evitare il rischio di perdere il termine di tre mesi?
No, la tolleranza resta un valore. Dipenderà dalle circostanze, dalla gravità del reato, per quanto (perdonate il bisticcio di parole) di ridotta gravità, dall’atteggiamento che ne è seguito (si è scusato, o ha rincarato la dose?). Ma chi vuole giustizia, agisca subito. In fin dei conti, si tratta pur sempre di reati. È vero che, ad esempio per le ingiurie (cioè gli insulti), la diffamazione, le vie di fatto (pugni o sberle, ma senza ferimento ed ematomi), il Tribunale federale parla di “reatibagatella”: io ritengo però che detta espressione sia infelice, e che rischi di banalizzare dei comportamenti che superano l’asticella posta dal diritto penale (asticella già posta di per sé abbastanza in alto: danneggiare involontariamente un oggetto altrui, ad esempio, non è un reato, anche se obbliga a risarcire).
Sarà anche banale dirlo, ma tutto il diritto ed i criteri sopra spiegati si riducono al concetto, sempre attuale (tra coniugi, tra genitori e figli, tra parenti o amici, tra vicini di casa, tra sconosciuti che si incontrano per caso, ecc.), di rispetto. Se esso viene a mancare, magari in maniera crassa, da parte di qualche energumeno, ben venga anche la denuncia: forse (ma solo forse: non illudiamoci) lo farà riflettere.