lameziaenonsolo lamezia terme un percorso illustrato della città

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Giovanna De Sensi Sestito e Stefania Mancuso

LAMEZIA TERME

Un percorso illustrato nella città An illustrated tour of the city Illustrazioni e traduzione inglese di Madeleine O’Neill Grafichéditore 2021 Lamezia è una città poco più che cinquantenne, così giovane, che i suoi oltre 68.000 abitanti ancora stentano a riconoscersi concittadini di un’unica comunità, tanto forte è ancora il senso di appartenenza alla propria piccola “patria”, ora diventata una delle zone storiche della città, ai suoi luoghi simbolici del sacro e del vivere civile, alle sue feste, alle sue tradizioni secolari, addirittura alla sua particolare inflessione dialettale. Eppure è tempo di maturare l’identità comune, che viene da molto più lontano e che ha lasciato memorie storiche e tracce archeologiche, architettoniche, artistiche in ciascuna delle piccole patrie. È tempo di unificare anche la memoria e di riconoscere come proprî, da un capo all’altro del territorio, i segni materiali e immateriali su cui essa poggia. Questo percorso illustrato vuole anzitutto accompagnare i Lametini di oggi a guardare con occhi nuovi alla città intera e a scoprire in essa il lascito di ricordi su

persone e vicende che hanno fatto la storia di tutto il nostro territorio, ricordi ancora presenti nell’esperienza dell’oggi attraverso i tanti “monumenti” disseminati in essa, fornendo per ciascuno di questi, in breve, le notizie essenziali perché se ne possa apprezzare il valore. Vuole anche essere un ausilio per i turisti che visitano la città, e per quelli, speriamo molto più numerosi, che potrebbero essere stimolati a visitarla, trovando la guida in vetrina all’aeroporto di Lamezia o nelle edicole della città. Per questo la guida ha una veste grafica particolare, con le illustrazioni d’autore dell’artista Madeleine O’Neill, che ha fatto anche la traduzione inglese dei testi, perché possa essere utilizzata dagli auspicati turisti stranieri. L’augurio alla città è che diventino numerosi, e che ad essi venga assicurata una fruizione dei “luoghi” da poter visitare sempre più invitante e adeguata alle loro aspettative.

Chiesa Matrice - Lamezia T. Sambiase

Chiesa S. Antonio o S. Maria degli Angeli Lamezia T. Nicastro

Chiesa San Francesco di Paola - Lamezia T. S. Eufemia

Chiesa della Natività della B. V. Maria Lamezia T. Nicastro (Quartiere Bella)

Lamezia e non solo

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Comune di San Pietro a Maida

SAN PIETRO A MAIDA

Storia, Sapori, Usi e Costumi da scoprire di Antonio Carchidi di Loretta Azzarito

“In mezz’ora di macchina si arriva sia al mare che in montagna” È con questo concetto semplice ed immediato del linguaggio collettivo che Antonio Carchidi giovane appassionato di Antropologia e di Architettura presenta la strategica posizione geografica dell’amato San Pietro a Maida, offrendo con questo libro un quadro completo e documentato anche attraverso fotografie, delle tradizioni, gli usi e i costumi, il dialetto, le preghiere, i proverbi, le superstizioni e le chiacchiere in una sola parola “la vita di una volta“ dice Carchidi che ci dona la spinta di riflettere per affrontare meglio il nostro presente. Il libro apre le sue pagine con l’ormai battezzato inno sampietrese “Lu paise mio” del mai dimenticato professore GiovanBattista Vono. È diviso in 5 capitoli disposti secondo un ordine logico rispettivamente comprensivi dei cenni geografici; storici; usi e costumi; chiese, abati e monumenti; giochi, filastrocche e proverbi. San Pietro a Maida, borgo collinare, della provincia di Catanzaro in Calabria, le cui origini risalgono all’anno Mille, quando diversi gruppi di monaci alcuni provenienti dall’Oriente, altri dalla Sicilia, decisero di fermarsi e pag. 4

costruire luoghi di culto, fin dai primi tempi fonda la sua economia sull’agricoltura nella coltivazione sopratutto di uliveti, vigneti, frutteti e ortaggi, la prima via via sempre più valorizzata al punto di elevare San Pietro a Maida come realtà locale a forte vocazione olivicola. Segue il boom dell’economia sampietrese per il forte sviluppo dell’edilizia che ha creato molti posti di lavoro. Carchidi ricorda come secondo la leggenda popolare il fondatore di San Pietro a Maida fu un pastore Petreius o Petrazzo, la “a” apud dal latino presso Maida. Mentre in un documento del 1446, un inventario della terra di Maida voluto dal Re Ferrante d’Aragona, precisa Carchidi, ritroviamo citato San Pietro a Maida come “Sanctopetro”. È con la legge del 19 gennaio 1807 che leggiamo di San Pietro a Maida come luogo compreso nel Governo di Maida che a sua volta faceva parte del distretto di Monteleone. Fluida e dettagliata negli appunti storici l’esposizione sul brigantaggio di cui il nostro autore presenta un excursus seguendo un ordine dal generale al particolare qui soffermandosi negli accadimenti sampietresi, ed ecco che riaffacciano in memoria luoghi della GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

locale che nel periodo brigante hanno assunto un riferimento diverso, i boschi e le cavità delle colline usate per nascondiglio, gallerie e cunicoli costruiti dai briganti nel sottosuolo delle montagne, il gigantesco albero di acacia nella zona denominata “sopra il ponte”, a scrivere questa storia i nomi addoloranti di Nicola Papasidero e Pietro Molea. Per narrare gli usi e costumi Antonio Carchidi sceglie l’ordine cronologico dei mesi dell’anno ed espone con un egregio lavoro sistematico fotografie dei momenti di tradizione: le diverse lavorazioni della carne di maiale a gennaio; l’anticipata fioritura dell’albero di mandorlo a febbraio, la raccolta delle fresche primizie nelle campagne a marzo; le date di feste religiose tradizionali che arricchiscono il calendario nel mese di aprile e maggio, la coltivazione di molti ortaggi a giugno, il felice arrivo dei cari emigrati sampietresi a luglio, l’anima del paese che si sposta nel più bel mare ad agosto, la ripresa del lavoro a pieno ritmo, il rientro degli emigrati e l’inizio della raccolta delle olive, castagne e noci a settembre; la raccolta dell’uva ad ottobre; la semina del grano nei campi di “Corda” e le usanze di commemorazione a Lamezia e non solo


novembre; infine dicembre dedicato all’agricoltura e alle date di feste religiose. Ecco che l’esposizione nel libro di Carchidi trova i suoi significativi colori nella descrizione del costume sampietrese “ il vestito di pacchiana”. Documentato con foto, i colori del costume non sono a caso, ma hanno un significato fondato sulla posizione della donna, donzella in cerca di marito, donna sposata, donna vedova, ed ogni capo veniva aggiunto in caso di donna lavoratrice nei campi o nelle occasioni di festa. Il fidanzamento e matrimonio di un tempo erano arricchiti da tanti, ma semplici gesti tradizionali alcuni dei quali sono rimasti vivi oggi. È in questa parte della sua narrazione che il nostro autore riscalda i cuori con i ricordi degli affetti personali: le fotografie del matrimonio dei suoi genitori ai quali dedica i traguardi della sua vita, trasportato da una fede accesa verso Dio grazie a nonna Angela sempre premurosa a coccolarlo con le ghiottonerie tipiche. Carchidi ricorda quei tempi di tradizione fatti di piccole cose, ma di sentimenti caldi di vicinanza con i pochi mezzi a disposizione per una vita di agio e lo fa spiegando gli strumenti di illuminazione, riscaldamento e di lavoro del tempo. Tutto molto più difficile, ma intenso di relazioni umane. Ed a questo punto apre lo scenario agli antichi mestieri sampietresi, affascinando il racconto con minuziosi dettagli ed elevando il lavoro dei personaggi del paese che nel suo libro sono la storia, la storia di un tempo che tra le mura della locale sampietrese resterà sempre viva. In questo minuzioso ed assai limpido lavoro di raccolta delle informazioni, documenti ed esposizione logistica degli argomenti a Carchidi non è sfuggito nulla, infatti ricorda altresì la prima banda musicale a San Pietro a Maida con il maestro Giovanni Medaglia prima e con il Prof.re Antonio Vono dopo un decennio con la sua scuola di musica serale. Non manca poi di stupirci dandoci notizia dei primi portalettere sampietresi, con la particolarità di un nome femminile “Donna Peppina” chiamata appunto “la postera” in quanto in seguito al venire meno del marito, fu proprio lei a sostituirlo. Ma Carchidi arricchisce la sua esposizione con le genti sampietresi che hanno dato un Lamezia e non solo

contributo importante nella locale, con gli inediti fotografici di scorci antichi, delle zone storiche e la marina di una volta, con i momenti narrati e documentati da immagini della raccolta delle olive, ciò che qualifica il suo amato paesello, oggi, geograficamente, storicamente ed imprenditorialmente, come città dell’olio di oliva. Segue la sua analisi di parallelismo fotografico tra San Pietro a Maida ieri e oggi : asilo, scuola, i casali, i portoni, piazze, vie e fontane. L’ultima parte del libro riguarda San Pietro a Maida oggi, dice Carchidi: “ La realtà economica di San Pietro a Maida riflette quella che è più in generale la realtà calabrese, un’economia povera, assistenzialistica, con un forte numero di disoccupati, soprattutto tra i giovani, forniti il più delle volte di un titolo di studio”; “ molti giovani sono costretti a lasciare la loro terra per recarsi nelle città del Nord e all’estero, in cerca di quella occupazione che il proprio paese di origine non è in grado di offrire “; c’è da dire anche aggiunge Carchidi che “ l’esasperato individualismo impedisce lo sviluppo dell’associazionismo, importante mezzo per poter produrre di più e creare nuovi posti di lavoro”. “ In questi ultimi anni qualcosa in questa direzione si sta muovendo, sono sorte alcune associazioni nel campo artigianale, sono ancora poche, ma potrebbero moltiplicarsi per far sì che questo paese possa uscire da quella politica assistenzialistica”. Brillante Carchidi nell’esposizione strutturale delle chiese del paese e singole parti caratterizzanti le chiese stesse. Un lavoro questo di Carchidi documentato

da molte utili informazioni riportate nel libro e stimolato dalla sua forte passione architettonica. Le ultime pagine sono dedicate alle festività del paese di San Francesco di Paola, San Giovanni, S.S. Madonna del Carmelo accompagnate da foto storiche delle processioni. Le pagine a chiusura del libro scrivono i giochi, le filastrocche, i proverbi e gli spauracchi, questi ultimi inventati dalle mamme per fare dormire i loro piccoli. Tra i proverbi ricordiamo: “U gabbu cogghi e a’ jestima no” “Cu fha lu gabbu a’ atri, lu sue privasti ‘ nci torna” ossia Il gabbo colpisce e non l’imprecazione, anch’esso può può ricadere su chi lo prova. Il gabbo ricade sulla propria casa. Chi si scandalizza e si fa beffe degli altri sarà presto anch’egli esposto a beffa. SAN PIETRO A MAIDA Storia, Sapori, Usi e Costumi da scoprire di Antonio Carchidi GrafichEditore di Antonio Perri, Foto copertina: Liala Visciglia è una limpida esposizione della storia sampietrese con tutti gli elementi caratterizzati la realtà locale, dalle tradizioni alla vita quotidiana di ieri ed oggi. Un libro che utilmente insegna il cittadino alunno e arricchisce il cittadino più curioso di scoprire la veridicità di molti accadimenti locali. Grande merito ad Antonio Carchidi per avere scritto un libro su San Pietro a Maida curandone l’ordine logistico degli argomenti e per averli impreziositi di dettagli e foto inedite.

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amici della terra

LA STAGIONE BALNEARE 2021 E LE CARENTI INFORMAZIONI SULLE ACQUE E AREE ADIBITE ALLA BALNEAZIONE E NON Geologo Mario Pileggi del Consiglio Nazionale Amici della Terra - geopileggi@libero.it

La recente elezione della Perla del TirreLa recente elezione della Perla del Tirreno Tropea a più bel Borgo d’Italia non ha smosso le classi dirigenti locali e nazionali ad agire tempestivamente per migliorare le condizioni delle acque marine e potenziare le offerte turistiche nel Golfo di Sant’Eufemia e nell’intera Regione. La stagione balneare 2021 si aprirà a metà maggio riproponendo i soliti e sempre più gravi problemi di mancanza di trasparenza sia sulla qualità delle acque marine sia sui dati e profili delle aree di balneazione da parte della Regione e del Ministero della Salute. Si continua a manifestare incapacità e disinteresse per la tutela e valorizzazione del prezioso patrimonio di spiagge disponibili. Tra le inadempienze e mancanza di trasparenza c’è da evidenziare che siamo arrivati al nove Maggio e non è stata pubblicata e pubblicizzata la classificazione della qualità delle acque marine della Calabria per l’inizio della stagione balneare 2021. A differenza di quanto previsto dalle norme vigenti (D.LGS. N.116/2008 e S.M.I e del D.M. 30 MARZO 2010 e SS.MM.) e di quanto accade nelle altre regioni d’Italia dove la classificazione viene fatta e resa nota a tutti con molti mesi di anticipo rispetto alla data di inizio della stagione balneare. In proposito, ad esempio, è da evidenziare che la “classificazione delle acque di balneazione del Veneto per l’inizio della stagione balneare 2021, ai sensi Decreto Legislativo n.116 del 30 maggio 2008” è stata fatta sette mesi fa con Decreto n.824 del 2020 della Giunta regionale.

In pratica, si continua a non rispettare la normativa vigente e la Direttiva EU sulle acque di balneazione; e non si provvede a: 1) incoraggiare la partecipazione del pubblico all’attuazione della presente pag. 6

direttiva e assicurare che “siano fornite al pubblico interessato opportunità di informarsi sul processo di partecipazione e di formulare suggerimenti, osservazioni o reclami.” 2) assicurare che “le informazioni siano divulgate attivamente e messe a disposizione con tempestività durante la stagione balneare in un’ubicazione facilmente accessibile nelle immediate vicinanze di ciascuna acqua di balneazione.”

E in particolare “devono essere messe a disposizione e divulgate: a) la classificazione corrente delle acque di balneazione e l’eventuale divieto di balneazione o avviso che sconsiglia la balneazione mediante un segno o un simbolo chiaro e semplice; b) una descrizione generale delle acque di balneazione, in un linguaggio non tecnico, basata sul profilo delle acque di balneazione; c) nel caso di acque di balneazione soggette ad inquinamento di breve durata: notifica che l’acqua di balneazione è soggetta ad inquinamento di breve durata, indicazione del numero di giorni nei quali la balneazione è stata vietata o sconsigliata durante la stagione balneare precedente a causa di tale inquinamento, e avviso ogniqualvolta tale inquinamento è previsto o presente; d) informazioni sulla natura e la durata prevista delle situazioni anomale durante tali eventi; e) laddove la balneazione è vietata o sconsigliata, un avviso che ne informi il pubblico precisandone le ragioni; f) ogniqualvolta è introdotto un divieto di balneazione permanente o un avviso che sconsiglia permanentemente la balneazione, il fatto che l’area in questione non è più GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

balneabile e le ragioni della sua declassificazione; g) un’indicazione delle fonti da cui reperire informazioni più esaurienti. 3) devono sfruttare adeguati mezzi e tecnologie di comunicazione, tra cui Internet, per divulgare attivamente e con tempestività le informazioni sulle acque di balneazione, nonché le seguenti informazioni in varie lingue, ove opportuno: a) un elenco delle acque di balneazione; b) la classificazione di ciascuna acqua di balneazione negli ultimi tre anni e il relativo profilo, inclusi i risultati del monitoraggio effettuato ai sensi della presente direttiva dopo l’ultima classificazione; c) nel caso di acque di balneazione classificate “scarse”, informazioni sulle cause dell’inquinamento e sulle misure adottate per prevenire l’esposizione dei bagnanti all’inquinamento e per affrontarne le cause; d) nel caso di acque di balneazione soggette a inquinamento di breve durata, informazioni generali relative: alle condizioni che possono condurre a inquinamento di breve durata, al grado di probabilità di tale inquinamento e della sua probabile durata, alle cause dell’inquinamento e alle misure adottate per prevenire l’esposizione dei bagnanti all’inquinamento e per affrontarne le cause.” Tra le conseguenze del mancato rispetto

delle norme sopra riportate c’è anche il perpetuarsi degli errori ancora presenti sia nei dati sulle aree destinate alla balneazione pubblicati dalla Regione sia nelle mappe pubblicate dal Ministero della Salute. Errori ripetutamente denunciati e non ancora corretti come ad esempio quelli relativi ai comuni di Lamezia Terme, Gizzeria e Falerna. Come si può notare dalle mappe e tabelle riportate nei Decreti della Regione e del Ministero della Salute continuano a riportate nei comuni di Lamezia Terme e di Lamezia e non solo


Falerna due aree di balneazione ricadenti invece nel comune di Gizzeria. Si tratta dell’area denominata “Lido di Marinella” corrispondente ad un tratto di spiaggia lungo 1.167 metri interamente compreso all’interno dei confini comunali di Gizzeria ma riportato tra le “Aree adibite alla balneazione” del comune di Lamezia Terme sia nel sito Web del Ministero della Salute sia nelle tabelle allegate ai Decreti acque di balneazione della Regione Calabria. E dell’altra area denominata “Bar Vittoria” corrispondente ad un tratto di spiaggia lungo 2.104 metri interamente compreso all’interno dei confini comunali di Gizzeria ma riportato tra le “Aree adibite alla balneazione” del comune di Falerna sia nel sito Web del Ministero della Salute sia nelle tabelle allegate ai Decreti acque di balneazione della Regione Calabria. In pratica i dati riportati nelle Mappe del Ministero della Salute non corrispondono a quelli indicati dallo stesso ministero della Salute come “Aree adibite alla balneazione” dei tre comuni. In particolare, per il comune di Gizzeria le “Aree adibite alla balneazione” riportate nel sito web del Ministero sella Salute sono: “Lido Capo Suvero” lungo 830 metri; “Lido S. Antonio” lungo 580 metri; “Direzione Allevamento Anguille” lungo 668 metri; “200 MT Nord Fiume Casale” lungo 1.828 metri e “Ristorante Pesce Fresco” lungo 639 metri. Queste cinque aree della lunghezza complessiva di 4.545 metri non corrispondono a quanto evidenziato nelle Mappe dello stesso Ministero della Salute dove all’interno dei confini comunali di Gizzeria sono presenti sette aree della lunghezza complessiva di 7.816 metri e sette punti di prelievo per le analisi delle acque effettuate dall’Arpacal.

Sempre sul sito Web del Ministero della Salute si osserva che nei cinque comuni del lametino i tratti di costa adibiti alla balneazione e sottoposti ad analisi e monitoraggio, Aree adibite alla balneazione sono 27 con una lunghezza complessiva di circa 30 chilometri. Gli altri tratti non adibiti alla balneazione e non monitorati dall’ArpaLamezia e non solo

cal sono localizzati in prossimità delle foci dei fiumi Turrina, Amato, Savuto e Bagni. Sempre nel sito web del Ministero della Salute è segnalato un divieto di balneazione per motivi diversi posto in prossimità della foce del Collettore aeroportuale all’interno dell’area di balneazione denominata “500 metri a Sud Torrente Bagni” nel comune di Lamezia Terme. Sul ruolo dei canali e corsi d’acqua nel lametino, va considerato che tra il Savuto sul confine settentrionale e l’Angitola sul confine meridionale sono presenti alcune decine i corsi d’acqua che confluiscono sulla Piana e costa lametina portando tutto quello che trovano nei loro alvei. Così come non può essere ignorato che, spesso, il divieto di balneazione rappresenta “l’ultimo” effetto in senso spazio-temporale delle varie conseguenze dell’inquinamento dei corsi d’acqua essenzialmente legato a discariche di rifiuti e delle acque reflue. Oltre agli effetti sulla balneazione le conseguenze sulle preziose falde idriche delle Piana sono intuibili. Basta considerare la condizione dei sopra citati corsi che limitano i confini provinciali sul mare Tirreno e quelli che attraversano i 160 km chilometri del territorio comunale di Lamezia Terme, come, ad esempio, il Bagni e l’Amato nei quali confluiscono altri numerosi corsi d’acqua come il Cantagalli, il Piazza, il Canne, il S. Ippolito che alimentano importanti falde idriche utilizzate per vari scopi compreso quello alimentare. La condizione dei tredici corsi d’acqua che attraversano da nord a sud il territorio di Lamezia e lo stato delle falde idriche dalle quali traggono origine sorgenti con disponibilità di miliardi di litri d’acqua oligominerale l’anno, non possono essere separate dal problema delle acque del mare. In molti enti ed istituzioni locali si continua a sottovalutare o ignorare che il territorio lametino è ricchissimo di risorse idriche per uso potabile, uso agricolo, uso industriale, uso terapeutico e turistico. Una ricchezza che rischia di essere irrimediabilmente compromessa per l’incapacità di non pochi amministratori di evitare i diffusi processi di degrado e inquinamento delle risorse naturali e l’incapacità di governare e valorizzare i propri territori comunali. Oltre ai fenomeni d’inquinamento delle acque superficiali, lungo la fascia ed i litorali della Pianura di S. Eufemia, l’irrazionale emungimento operato attraverso migliaia di trivellazioni, non essendo compatibile con i tempi di ricarica, sta riducendo le falde idriche con conseguente ed irreversibile avanzamento delle acque salmastre ed il costipamento delle rocce serbatoio, con il

ben noto abbassamento del suolo al quale sono connessi i fenomeni di deperimento della copertura vegetale e l’arretramento dei litorali con l’invasione del mare.

In proposito è significativa la Carta della Vulnerabilità redatta da Arpacal e dal Dipartimento Ambiente e Territorio della Regione Calabria, nell’ambito dello “Studio dei valori anomali di concentrazione degli inquinanti riscontrati nelle acque di falda della Zona Industriale di Lamezia Terme”, per la definizione dei potenziali scenari di vulnerabilità e di rischio inquinamento nella Piana. La stessa Carta di Vulnerabilità Integrata dell’acquifero superficiale della piana ha comportato, tra l’altro, il censimento dei “Centri di Pericolo”, ossia quelle attività antropiche (agricole, zootecniche, industriali, artigianali, ecc.) che possono avere un impatto significativo sulle matrici ambientali determinando un rischio d’inquinamento per l’acquifero. I processi di degrado nel lametino sono favoriti anche dal fatto che non si è ancora provveduto alla piena applicazione delle direttive dell’Unione Europea sulle acque e alla adozione di interventi di adattamento ai mutamenti climatici. Si continua ad ignorare la necessità di fondare la politica e le attività che riguardano il settore delle risorse idriche sul principio di precauzione; basare l’azione di tutela prioritariamente sulla prevenzione dell’inquinamento e su interventi alla fonte; far pagare i costi del risanamento a chi provoca l’inquinamento; integrare la politica di tutela delle acque con le altre politiche settoriali riguardanti la pianificazione territoriale e le politiche produttive, in particolare le politiche agricole; conseguire un alto livello di protezione della salute umana; basare gli interventi su opportune valutazioni costi/benefici. Evidentemente per ridurre l’inquinamento che grava sui bacini altamente antropizzati, non si può intervenire solo sul trattamento delle emissioni puntiformi, ma si devono mettere in campo strategie d’intervento per contenere le emissioni diffuse. Si tratta quindi di orientare le attività sulla prevenzione dell’inquinamento dai siti potenzialmente contaminati, dai sedimenti, dalle discariche controllate, e sulla riduzione dell’inquinamento dovuto anche ad alcune pratiche agricole intensive. La protezione dei corpi idrici dall’inquinamento comporta la necessità di migliorare sempre più i sistemi di monitoraggio, concentrando la ricerca sulla velocità di risposta, al fine di poter mettere in atto strategie d’intervento adeguate alla necessità di minimizzare i rischi per l’ambiente e la popolazione.

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riflettendo

V CANTO DEL PURGATORIO:

L’INCONTRO DI DANTE CON PIA DE’ TOLOMEI di Pierluigi Mascaro

“Deh, quando tu sarai tornato al mondo/ e riposato de la lunga via”,/ seguitò ‘l terzo spirito al secondo,/ “ricorditi di me, che son la Pia;/ Siena mi fé, disfecemi Maremma:/ salsi colui che ‘nnanellata pria/ disposando m’avea con la sua gemma”. Con queste terzine Dante conclude il canto V del Purgatorio, cosiddetto dei “per forza morti”, cioè coloro che furono uccisi con violenza, peccatori fino all’ultimo istante della vita, e pentiti al momento della morte, circostanza che ha dato loro la possibilità in extremis di riconciliarsi con Dio. In esse il Poeta narra il suo breve incontro con Pia de’ Tolomei, che riassume la propria vicenda con versi di singolare tenerezza. E’ stata uccisa dal marito, che l’ha buttata giù da una torre per poter sposare l’amante: la sua vita è narrata come il segmento di una retta, di cui si ricordano solo gli estremi, il luogo della nascita e quello della morte. L’animo della buona Pia non è sorretto da rancore e recriminazione, nelle sue parole solo un fuggitivo accenno alla vita prematuramente strappata, “salsi colui” – un’indiretta menzione del consorte omicida – dopodiché, si fa spazio solo il

ricordo del bene, l’anello, l’amore. In Pia si è compiuto il miracolo del perdono, concetto che anima l’intera cantica del Purgatorio: quel miracolo che riesce a cancellare il male, pur serbandone la consapevolezza, e a conservare soltanto il bene. Non a caso il personaggio di Pia de’ Tolomei è collocato da Dante nel canto V del Purgatorio, in antitesi a Francesca nel V dell’Inferno: quest’ultima infatti non si è pentita, è rimasta legata in eterno al male che l’ha perduta, e maledice il suo assassino – Caina attende chi a vita ci spense (Inf., canto V, v. 107) – rimanendole ignota la via della salvezza. “Ricordati di me”, chiede con dolcezza Pia a Dante, quando sarai tornato sulla terra, così come il buon ladrone chiese a Gesù al suo ritorno alla destra di Dio; in entrambi i casi, il ricordo di sé in un benefattore, che conosce la purificazione della vita ultraterrena per regalarla all’uomo, consente di cancellare in pochi istanti il male ed il peccato di un’intera esistenza per ritrovare il cuore che ad ognuno è stato in origine donato, ricolmo di bene, di bellezza, di cose grandi e buone.

scuola

comunicato stampa

Caro presidente...

Lettera di una studentessa al Presidente della Repubblica

sono una studentessa del liceo Tommaso campanella di Lamezia Terme e frequento il 5° anno. Negli ultimi giorni stiamo sentendo che il governo ha intenzione di far rientrare totalmente o al 50% (ancora non si è ben capito), gli alunni nelle scuole. A questo punto io, e non solo io, mi chiedo con che coraggio, dopo un anno e mezzo di DAD, si possa proporre una cosa del genere ad un mese dal termine della scuola. Questa decisione implicherà per noi alunni, un riadattamento non da poco, che sarà sconveniente per tutti, soprattutto per coloro che dovranno affrontare un esame, la cui preparazione ci sta levando l’anima a causa dello stress psicologico costante a cui siamo sottoposti. Siamo oramai abituati a dei ritmi che con il rientro verrebbero pag. 8

totalmente ribaltati. Saremo più stanchi, in quanto non più abituati ad alzarci alle 5 del mattino per raggiungere le scuole, le quali per la maggior parte degli alunni sono fuori dal proprio paese. Questo causerà una maggiore stanchezza che ci porterà ad essere meno efficienti nello studio e di conseguenza nel prepararci come si deve ad un esame, che sembra più semplificato rispetto al “ normale”, ma che le assicuro, che con tutte le introduzioni e novità apportate quest’anno (quali curriculum dello studente, una materia in più, ovvero educazione civica..), tutt’altro è che semplificato. Inoltre nel comune in cui io frequento il liceo, i casi hanno subito una crescita notevole e io, come moltissimi altri studenti, non ci sentiamo di andare incontro ad una probabilità molto più alta di contrarre il viGrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

rus. Quello che mi auguro, e ci auguriamo, è che nonostante le decisioni che prenderà il governo, quanto meno la Calabria possa mantenere la possibilità di far scegliere liberamente ad ogni famiglia, se mandare o meno i ragazzi in presenza. Garantendo veramente, la democrazia che di DIRITTO, a tutti spetta nel nostro paese. Grazie per l’attenzione e confido nel fatto che la mia richiesta, da alunna e cittadina calabrese, non passi inosservata.

Lamezia e non solo


eventi

di Antonio Perri

Una poesia del Costabile al Camposanto di Sambiase L.T.

Giorno 19 aprile, presso la cappella della famiglia Longo sita nel cimitero di Sambiase, si è svolta una cerimonia privata con l’apposizione sulla cappella di una lapide in marmo riportante incisa una poesia del poeta Sambiasino Franco Costabile. La poesia, dal titolo “Dove corri”, fu composta e regalata all’avv. Antonio Longo in occasione della morte prematura del suo secondogenito, avvenuta nel 1963. Nel 2019 la figlia di Antonio, l’avv. Maria Vittoria Longo, ha dato la poesia al prof. Filippo D’Andrea che l’ha pubblicata nella nuova, la terza, edizione del suo libro “Franco Costabile. I tumulti interiori di un poeta del Sud”. Alla cerimonia

è intervenuto il prof. D’Andrea che ha messo in evidenza il collegamento di questa poesia, dedicata all’anima dei bambini che muoiono prematuramente, con il grande Dante Alighieri, che nel trentaduesimo Canto del Paradiso pone i bimbi morti innocenti in una candida rosa vestiti di bianco. L’ing. Roberto Longo, che ha donato la lapide a sua cugina Maria Vittoria in occasione del suo compleanno, ha ricostruito la storia di questa poesia, che ha voluto apporre al cimitero di Sambiase anche in omaggio al grande poeta che dà lustro alla città e per divulgarne ai posteri la sua meravigliosa poetica.

lameziaeuropaspa Progetto Waterfront e Porto Turistico: Pieno apprezzamento della Lameziaeuropa per azione svolta dai Commissari del Comune di Lamezia Terme.

di Tullio Rispoli

Proseguono le attività operative riguardanti il Progetto Waterfront e nuovo Porto Turistico promosso da Lameziaeuropa. A nome della Lameziaeuropa spa il Presidente Leopoldo Chieffallo esprime pieno apprezzamento per l’azione di impulso ed indirizzo svolta dal Commissario del Comune di Lamezia Terme Giuseppe Priolo e dai Sub Commissari Luigi Guerrieri ed Antonio Calenda che ha permesso, in circa 60 giorni, una istruttoria preliminare della documentazione tecnica e progettuale riguardante il progetto waterfront e nuovo porto turistico presentata da Coipa International il 14 dicembre scorso che prevede il supporto finanziario di fondi di investimento e l’intitolazione del Waterfront e del Royal Yacht Club a H.E. Shaikh Mohamed Bin Abdulla Bin Hamad Al Khalifa. Ciò a seguito della costituzione, il 12 febbraio scorso, di uno specifico Gruppo di lavoro comunale composto dai Dirigenti e dai Funzionari dei settori competenti coordinati dal Segretario Generale Pasquale Pupo che ha esaminato preliminarmente i profili della conformità della elaborazione progettuale proposta allo schema normativo di cui

Lamezia e non solo

all’art.183 comma 15 del Codice degli Appalti e quindi i vari aspetti legati al progetto riguardanti l’esposizione finanziaria, la realizzabilità tecnica, la sostenibilità ambientale e la coerenza con gli strumenti urbanistici comunali e sovracomunali. Oltre al puntuale ed approfondito lavoro svolto dai Tecnici della struttura comunale particolarmente apprezzate dalla Lameziaeuropa le conclusioni del Commissario Priolo e dei Sub Commissari Guerrieri e Calenda contenute nella nota trasmessa agli investitori internazionali in cui si evidenzia la volontà e l’auspicio dell’Amministrazione Comunale di giungere nei tempi più brevi ad una positiva conclusione, per la parte di competenza, della procedura di evidenza pubblica avviata in considerazione della potenzialità e dell’importanza dell’iniziativa per l’intero territorio regionale, per come tra l’altro richiamato nel Protocollo d’Intesa del 2019, promosso e coordinato dalla Regione Calabria, circa la rilevanza strategica del complessivo progetto waterfront e Porto Turistico Lamezia per lo sviluppo dell’intero territorio calabrese. Nei prossimi giorni sarà attivato un tavolo di lavoro

congiunto tra Comune di Lamezia e Coipa International per ulteriori approfondimenti tecnici e procedurali mentre Lameziaeuropa sta promuovendo con gli assessori competenti della Regione Calabria un incontro presso la Cittadella Regionale per la verifica dello stato di attuazione del Protocollo d’Intesa sottoscritto il 13 settembre 2019 per lo sviluppo integrato dell’area ex Sir di Lamezia Terme. A livello comunale il Presidente Leopoldo Chieffallo ed il Dirigente Tullio Rispoli ringraziano per il lavoro di raccordo svolto la consigliera di amministrazione Annamaria Mancini e per il supporto avuto in particolare negli ultimi mesi sulla tematica del progetto waterfront e porto turistico Paolo Mascaro, Ruggero Pegna, Eugenio Guarascio, Antonello Bevilacqua, Pino Zaffina e tutti i consiglieri comunali attualmente sospesi che, in una logica bipartisan e scevra da condizionamenti di schieramento partitico, hanno condiviso e sostenuto l’importanza di portare avanti il progetto ai fini del concreto sviluppo economico ed occupazionale dell’area di Lamezia e della Calabria.

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la scuola

La Pasqua delle donne oggi come 2000 anni fa di Michela Cimmino I faggi, ancora nudi e altezzosi, svettano verso il cielo alla ricerca di un incontro con l’infinito che si ripete ogni anno Nella faggeta di Condrò, museo vivo a cielo aperto, stillante di luce e preghiera, di profumo di bosco, scrigno di storia e leggende di briganti, megalito di primigenia memoria, si disvela il mistero del Risorto. E la luna, candida e rilucente, accolta tra le braccia dei faggi, ascolta le preghiere e I canti al Signore, nel percorso finale della sua vita terrena. Un cammino che e’ preludio alla settimana più intensa, alla sofferenza più forte di ogni tempo fino alla sacralità della Pasqua. A.D. 2021. 28 marzoDalla faggeta la luna annuncia il mistero. E’ il primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera , nella settimana successiva ricorre la Pasqua del Signore, cosi dal concilio di Nicea, dal 325 d.C. ad oggi. Un incantesimo tra bellezza e misticismo, un raccoglimento silenzioso intervallato da preghiere e canti sussurrati, preludio di imminenza, di accadimenti, di un’ epifania che fa tremare il cuore. Ad annunciare lo stupore furono tre donne. Ancora una volta Dio consegna a loro la parola, senza le pie mirofore gli apostoli non avrebbero saputo. L’incontro con Gesù risorto è stato possibile grazie a loro, senza la fedeltà delle donne non si sarebbe avuto l’appuntamento con il Risorto, certamente non in quella imminenza e straordinaria modalità, con quella complicità tra Dio e le Pie. Sono sempre loro, le donne, che con coraggio seguono Cristo fino alla morte in croce, non staccandosi mai da Lui, nemmeno

nei momenti più forti del supplizio. Sì le donne, il Dio delle donne, per rileggere vangelo e atti degli apostoli da un punto di vista pari. Una lettura intensa e profondamente umana di donne che hanno avuto e hanno con Dio una relazione di confidenza e libertà, più facile in lingua materna, una lingua che a loro appartiene e che piace a Dio. E’ un continuo ritrovarsi, sentire un’appartenenza. Una condizione di contatto che sa di nascita e mistero, in lingua materna appunto, in un filo continuo e intrecciato. Dall’annunciazione a Maria, avviene la prima privilegiata relazione tra Dio e una donna, senza presenza maschile, prima confidenza tra Dio e una madre, la Madre. “Com’è possibile se io non conosco uomo?” dice Maria “Niente é impossibile a Dio” risponde l’angelo Gabriele. E’ una relazione d’ amore, è sentirsi, appartenersi, le pensatrici mistiche esprimono bene l’incontro con Dio e Teresa d’Avila ne è un estatico esempio. Ne sono un esempio le beghine, le tante e poco riconosciute pensatrici mistiche ;

Testata Giornalistica Di tutto un po’ - lamezia e non solo anno 29°- n. 72 - maggio 2021 Iscrizione al Tribunale di Lamezia Terme dal 1993 n. 609/09 Rug. - 4/09 Reg. Stampa Direttore Responsabile: Antonio Perri Edito da: GRAFICHÈditore Perri Lamezia Terme - Via del Progresso, 200 Tel. 0968.21844 - e.mail. perri16@gmail.com Stampa: Michele Domenicano Allestimento: Peppino Serratore Redazione: Giuseppe Perri - Nella Fragale - Antonio Perri Progetto grafico&impaginazione: Grafiché Perri-0968.21844

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le donne delle sacre scritture, l’ accoglienza e l’ospitalità femminile, la generosità del servizio senza distinzioni. Nella rilettura delle nozze di Cana cogliamo tutte queste doti, compresa la complicità tra Madre e Figlio, imprenscindibile ordine simbolico, una piena sinergia di maschile e femminile, un’entelekia irrinunciabile» Rabbunì..., maestro mio ... Con quanta tenerezza Maria di Magdala, lei, apostola apostolorum, presa da stupore, risponde a Gesù, con voce tremante di gioia e amore. Da queste donne veniamo, dalla Madre e le sue ninna nanna. E da Maddalena, per l ‘incipit di tutto, nel nome del Padre e della Madre, in associazione di intenti. Non è che dobbiamo chiedere a Dio le quote rosa!?!

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’U picculu Principi ’i Santu Tidoru: il dialetto lametino non conosce “zona rossa” di Francesco Polopoli

Una scelta editoriale, quella della Grafichèditore, che sta imboccando strade non previste in tempi di lockdown: quando tutto sembra arrestarsi, la scrittura si fa movimento. Australia, Svizzera, Francia, Spagna e Turchia: l’operetta di Francesco Polopoli è richiesta un po’ ovunque. Attrattore è il dialetto lametino che unisce emigranti a distanza ma anche nostalgici di orizzonti linguistici sempreverdi: aveva ragione Carlo Dossi nel dire del vernacolo essere “uno strato mobile nella lingua di un paese, ove si generano e si educano le nuove parole, che poi adattandosi a poco a poco all'orecchio dei parlatori, cadono inavvertitamente dalla penna degli scrittori, finché, acquistata autorità, vengono assunte all'onore dei dizionari”. Polopoli ci racconta che, ogni qualvolta scartabella un lessico, rimanda qualunque vocabolo alla voce materna: un modo per allargare le voci e renderle un’orchestra semantica. Poi ci mette l’etimologia e la comparazione delle lingue antiche ed il romanzo sociale è fatto – aggiunge, sottolineando il metodo filo-logico, che è il filo logico, sostanzialmente, con cui si riannoda la matassa delle parole. A confezionare ’U picculu Principi ’i Santu Tidoru è la me-

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ravigliosa copertina dell’artista Melina Palaia Cataldi: in basso, il piccolo Principe e la volpe addomesticata diventano spettatori del Belvedere nicastrese che l’artista ci omaggia con le sue incantevoli pennellate. Un sodalizio artistico – precisa l’autore del testo – che sarà preludio di futuri lavori, e che l’editrice Nella Fragale, sempre nuova ad aperture e sperimentazioni, dice già di accogliere con spirito di collaborazione e di amicizia. “Melina Palaia Cataldi mi ha colpito da ritrattista: le sue tele hanno una mano sicura e vivono di una freschezza straordinaria. Lei è perennemente giovane, perché la sua sensibilità le fa da cosmesi, ne sono convinto! Una Dorian Gray in versione femminile che riesce persino a rendere incorruttibile il bello di cui ci fa dono” - conclude Francesco Polopoli, anticipando una sorpresa editoriale che nascerà da questa straordinaria sinergia oltre che da comunanza d’intenti.

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Il nostro territorio

Lamezia Terme: Cinquantatre anni, tra storia e cronaca.

Il ruolo dell’avvocato Arturo Perugini e quello del Vescovo della diocesi di Nicastro, mons. Renato Luisi

di Giuseppe Sestito

(quinta parte)

Perugini, tentò una mediazione e spese tutta la sua abilità di persuasione per convincere i giovani del citato Gruppo a contribuire alla tenuta della Dc di cui si temeva una ulteriore sconfitta più catastrofica di quella subita nelle precedenti elezioni del ‘64. Non ci fu niente da fare.

Nella preparazione della lista democristiana per le elezioni amministrative del 10 maggio ’64, mons. Renato Luisi non intervenne; non vi ebbe alcun ruolo. Da troppo poco tempo era entrato in diocesi e le dinamiche politiche non gli erano ancora sufficientemente chiare. Premevano con maggiore urgenza i problemi di ordine religioso ed ecclesiale di cui era intensamente preso. In quegli anni era in pieno svolgimento il Concilio Vaticano II per cui le sue assenze dalla diocesi erano, come per tutti i vescovi del mondo, frequenti e prolungate. Nel viaggio che papa Paolo VI effettuò in Libano e in India dal 2 al 5 maggio 1965, mons. Luisi fu forse l’unico vescovo calabrese ed uno dei pochissimi meridionali che accompagnarono il Pontefice in quel viaggio. Per le elezioni del 1965, le cose cambiarono radicalmente. Il “Gruppo dei giovani” della Dc, che aveva preteso, ed ottenuto, che nessuno dei candidati presenti nella lista predisposta per le elezioni del 1960 fosse presente nella lista democristiana per le elezioni del 1964 facendo subire al partito una “storica sconfitta” decise, con notevoli contrasti interni, di non essere presente con nessuno dei suoi componenti in quella competizione elettorale. Se ne tirò fuori, insomma. La decisione allarmò sia il partito comunale che la federazione provinciale che tennero con i dirigenti del “Gruppo dei giovani” varie riunioni per indurli a riconsiderare il proponimento di non presentarsi nella lista dello scudo crociato. Scese in campo anche mons. Luisi che, avverso al comunismo come lo era stato al fascismo, sollecitato dai dirigenti democristiani e, in primis, dal sen. pag. 12

Convinti di essere la guida morale non solo del partito ma della società lametina, i giovani tennero duro e non furono presenti con nessuno dei loro nella lista. Il rammarico di mons. Luisi fu profondo e non dissimulato. Ricordo che, al termine di una lunga riunione fra i dirigenti democristiani, comunali e provinciali, e quelli del “Gruppo dei giovani”, che si tenne pochi giorni prima del termine definitivo per la presentazione delle liste dei vari partiti in lizza, allorché mi recai, insieme ad alcuni amici, presso l’Episcopio per comunicargli il fallimento dell’ultimo tentativo, la sua reazione fu di profonda delusione e con parole pacate ci espresse il rammarico che provava in quel momento. Mi parve che gli occhi gli fossero diventati lucidi per l’amarezza che tentava di nascondere senza riuscirci del tutto. Ha scritto Alfredo di Napoli che <<lo spirito di dedizione al prossimo di mons. Renato Luisi, congiunto alle capacità culturali, avevano trovato forma prima nelle idee popolari di don Luigi Sturzo, che egli aveva conosciuto a Foggia nel 1918, e dopo in quelle di Aldo Moro>>. Queste parole ci consentono di comprendere quanto gli fosse difficile capacitarsi che dei giovani cattolici, che avevano scelto la Dottrina sociale della Chiesa come bussola per essere presenti ed incidere nel campo delle attività sociali ed in quello della competizione politica, potessero rifuggire dall’essere presenti nell’agone elettorale, nell’ambito del partito di ispirazione cristiana, proprio nel momento in cui la comunità nicastrese sembrava pronta per intraprendere percorsi di avanzamento civile, sociale e di sviluppo economico.

giorni era il progetto di legge peruginiano presentato dal senatore nicastrese al Senato e dal deputato Salvatore Foderaro alla Camera per creare Lamezia Terme. Era stato il tema maggiormente dibattuto durante le elezioni del ’64 e lo sarebbe stato ancora di più durante quelle del ’65. Il Vescovo, che non partecipava alle riunioni politiche fra i vari rappresentanti della Dc, ma si informava di tutto e teneva i contatti con tutti, si era appassionato a quel progetto e spesso ricordava che il cardinale Carlo Confalonieri, prefetto della Sacra Congregazione dei Vescovi e suo amico, per convincerlo a trasferirsi dalla diocesi di Bovino a quella di Nicastro gli aveva lasciato intendere come nella Piana lametina fosse più che probabile che nascesse una nuova e più grande città dall’aggregazione di tre più piccoli centri e che anche per la Chiesa calabrese si prospettavano delle situazioni positive fino ad allora inimmaginate. Le elezioni del 27 gennaio del 1965, si conclusero con una sorpresa positiva, e del tutto inaspettata, per la Dc nicastrese. Non solo il partito dello scudo crociato ebbe la maggioranza relativa conseguendo 17 seggi e quindi migliorando di 2 seggi il risultato del 1964, ma il Pci, che era il maggiore avversario della Dc e di cui si temeva il sorpasso in città, arretrò perdendo 2 seggi. I risultati di quella tornata elettorale furono i seguenti: la Dc 17 seggi (+2); il Pci 11 seggi (-2); il Msi 4 seggi (-1); il Psi ed il Pli 3 seggi ciascuno, come nella tornata elettorale precedente; il Psiup e il Psdi ebbero un seggio ciascuno, anche per loro lo stesso risultato del ’64. A Sambiase ed a Sant’Eufemia La-

Uno degli argomenti di cui più frequentemente si parlava durante gli incontri di quei GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

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mezia era previsto che si sarebbe ritornato alle urne alla scadenza naturale della consiliatura, ossia nel 1968. A quell’epoca, però era già stata creata Lamezia Terme per cui si tornò a votare nel 1970, nella prima consultazione del nuovo comune ormai costituito sotto l’aspetto amministrativo. La consiliatura conseguente alle elezioni del gennaio ’65 a Nicastro non iniziò col vento in poppa; al contrario, ebbe un abbrivio sostenuto da una impercettibile brezza e quindi a vele sbracate. Anche in quella occasione, contrasti e beghe tra e nei partiti, impedirono la formazione di una stabile amministrazione che potesse governare a lungo ed efficacemente. Si alternarono tre sindaci. Il dr. Gennaro Pollice che amministrò dall’8 gennaio 1966 al 27 marzo 1967; il prof. Francesco Bevilacqua dal 28 marzo 1967 al 9 maggio 1968; ed infine l’avv. Vincenzo Notarianni, dal 10 maggio 1968 al 14 novembre 1968, allorché si dimise per cedere il posto ai commissari prefettizi (Gaetano Fusco e Trento Di Mauro) che erano stati incaricati di procedere all’unificazione amministrativa dei tre, ormai ex, comuni e creare Lamezia Terme. Il che avvenne dal novembre 1968 al 10 giugno 1970 data in cui si tennero le prime elezioni per la nuova città. L’avv. Vincenzo Notarianni fu, pertanto, l’ultimo sindaco di Nicastro. Mentre per l’intero decennio ‘60/’70 si erano andati consumando gli episodi politici, che ho brevemente cercato di riassumere, per la maggior parte carichi di inconcludenza effettuale nei riguardi della città, nell’animo di mons. Renato Luisi erano venute maturando alcune decisioni di grande impatto personale su cui da tempo stava riflettendo: le dimissioni da vescovo di Nicastro per recarsi missionario in Brasile ed il contributo che, forte di una personalità carismatica ed empatica, che unanimemente gli era ormai riconosciuta, e ricca di varie ed importanti amicizie, sia nel mondo ecclesiastico che in quello sociale e politico, avrebbe potuto dare per la creazione di Lamezia Terme. Furono decisioni che il presule si riprometteva di perseguire, che avrebbe centrato in pieno, ma che, per ora, custodiva nel cuore. In relazione al ruolo che il vescovo giocò nella creazione di Lamezia Terme bisogna chiarire, per onestà intellettuale, che sull’entità e le modalità del contributo luisiano non vi sono documenti che lo attestino in modo incontrovertibile. O, se esistono, non sono ancora venuti alla luce. Sono evidenti solo degli indizi. Ma, se è vero che <<un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova» per quanto riguarda il rapporto Luisi-Lamezia Terme ed il ruolo che egli potrebbe aver avuto in relazione alla sua creazione, di indizi ce ne sono molti di più che i fatidici tre. Il primo consiste in una relazione inviata alla Sacra congregazione, in cui lo stesso mons. Luisi rivela che per convincerlo a lasciare Bovino per Nicastro era stata la stessa Sacra congregazione che gli aveva accennato all’imminente sviluppo del territorio lametiLamezia e non solo

no ed alle positive ricadute, nel suo ambito, per la chiesa calabrese. Evidentemente, il cardinale Confalonieri conosceva il progetto di legge peruginiano e ne aveva parlato al vescovo della diocesi nicastrese. Un secondo indizio è rappresentato dalla iniziativa, forte e decisa che mons. Luisi prese allorché, venuto a conoscenza di un piano predisposto dalla Curia catanzarese di accorpamento della diocesi di Nicastro a quella di Catanzaro, nonché dell’altra stravagante supposizione che pare prevedesse la creazione di una nuova diocesi con centro Vibo Valentia a cui sarebbero dovute essere accorpate Nicastro e Mileto, iniziò una intensa e serrata interlocuzione con la citata Sacra congregazione. In essa, il prelato nicastrese non solo metteva in risalto la storia millenaria della diocesi di cui era titolare, ma accennava chiaramente alla centralità regionale della piana lametina, ed al connesso sviluppo, dove sarebbe dovuta sorgere una nuova città con l’unione di tre comuni, tra di loro confinanti, nonché si sarebbe avuta la collocazione, molto più che probabile, sia della nascente università che del capoluogo di regione. Oltre al polo di sviluppo industriale che vi era già previsto con legge nazionale. Questi, vedi caso, erano i temi ricorrenti nei discorsi con cui Perugini andava illustrando, nei suoi interventi, la bontà del

progetto che prevedeva la nascita di Lamezia Terme. Il fatto che mons. Luisi vi accennasse anche nella sua interlocuzione con la Sacra congregazione dei vescovi dimostra che egli conosceva bene non solo la storia della diocesi di Nicastro, ma anche i temi del dibattito culturale, politico e sociale che in quella congiuntura temporale erano al centro dell’interesse della comunità nicastrese e lametina. Un ulteriore indizio è il notevole interesse, la premura, con cui mons. Luisi seguiva l’ “evolversi” del progetto peruginiano, in discussione nel Parlamento, di cui parlava spesso con i giovani della FUCI e dell’Azione cattolica e con gli amici con cui gli capitava d’intrattenersi. In queste frequenti interlocuzioni egli sottolineava ciò che più gli premeva: la realizzazione del progetto-Lamezia avrebbe avuto una ricaduta di notevole rilevanza e valore non solo per il territorio

lametino ma per l’intera Calabria. L’ultimo indizio, forse il più importante, è dato dalla storia dell’esistenza di mons. Luisi, che era stata disseminata fino ad allora, e lo sarebbe stata anche nel futuro, in Brasile, di iniziative ed imprese di notevoli dimensioni di cui si era fatto carico ed aveva portato a felice soluzione. Ne cito alcune fra le più importanti in ordine cronologico di realizzazione. Nell’immediato dopoguerra, si diede da fare per istituire a Siponto, una periferia di Manfredonia, in Puglia, la “Stella Maris”, una colonia permanente per i figli dei braccianti; cosa più stupefacente, si recò diverse volte negli Stati Uniti per raccogliere fondi presso gli amici italo/americani per poterla mantenere e farla crescere in modo ch’essa potesse accogliere un sempre maggior numero di ragazzi. Durante il suo triennio di permanenza a Bovino, acquisì alla diocesi il Castello dei Duchi Suardo Guevara, una bella dimora medioevale di notevole dimensione di quella città, per destinarla ad attività pastorali, ecclesiastiche educative e formative. Anche a Nicastro, mons. Luisi si rese promotore di iniziative cui mai nessuno aveva pensato come, per esempio, una scuola per i figli dei rom, la cui piccola comunità, formata da alcune famiglie, era accampata in baracche di tavole e rami secchi di alberi lungo le sponde del fiume Piazza. Quell’esperimento scolastico, che fu il primo ad essere istituito in Italia, tanto che anche la televisione nazionale trasmise la cerimonia d’inaugurazione, cessò di esistere appena lui ebbe lasciata la diocesi. Giunto in Amazzonia, nel 1968, si dette subito da fare e, grazie agli aiuti economici ricevuti dai soliti amici italoamericani, contribuì ad ampliare il noviziato delle Oblate nella capitale di San Luis; a Turiacu edificò il “Centro Madre Rosina” per la formazione catechistica degli operatori pastorali nelle comunità ecclesiali; a Candido Mendes costruì l’Asilo per 250 bambini, dedicato a “Maria SS.ma dei Sette Veli”. Nessuna meraviglia, dunque, se, prima di lasciare Nicastro per volare missionario in Brasile, mons. Luisi si sia prefissato di dare la spinta decisiva per fare nascere Lamezia Terme, il cui articolato di legge giaceva dimenticato nei cassetti delle scaffalature di legno massello degli archivi parlamentari. Penso che se il figlio del senatore Perugini, l’avv. Basilio, cercasse bene nell’archivio di suo padre, non sarebbe da escludere che potrebbe trovare, oltre alle tante carte che ha fornito al prof. Vincenzo Villella, qualche altra riguardante anche questo aspetto del “progetto Lamezia Terme”. Le fotografie N. 1 – Mons. Renato Luisi il giorno della sua consacrazione episcopale a Foggia N. 2 – Visita di Papa Paolo VI in Libano ed India dal 2 al 5 maggio 1965 N. 3 – Luigi Sturzo Aldo Moro entrambi amici di mons. Renato Luisi N. 4 – Castello dei Duchi Suardo Guevara di Bovino acquisiti alla diocesi di Bovino N. 5 – Candido Mendes, il territorio amazzonico dove il Vescovo contribuì a costruire un asilo per i bambini.

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l’angolo di tommaso

Pensando ... Seduti in poltrona,

uno di fronte

di Tommaso Cozzitorto

all’altro,

un grande camino acceso, in atmosfere cerchiamo un bagliore reciproco, una Un sorriso enigmatico avrebbe potuto un luogo di cui non abbiamo ricordo. non potrà ritornare e non sappiamo, Meglio non andare oltre quella soglia meglio tenere la chiave chiusa in un fisso sulla mattonella per prendersi del frutto di una fantasia nata col nascere del sole in una estate tropicale, nascosta, dai giorni. Su una parete un quadro in ombra sono superflue, spesso ingombranti, analizzare quello spazio su cui mai Intanto spostiamo il nostro sguardo sulla di cielo, seduti in poltrona, uno di fronte senza più chiederci dello spazio che ci

presso

rosso bruciato, ci guardiamo negli occhi, altalenante certezza, un lieve soffio di vento. svelare il mistero che rappresentiamo in Il tempo dei cavalli bianchi in riva al mare in realtà, se mai sia esistito, chissà... di coscienza da cui è difficile far ritorno, cassetto, meglio concentrarsi in un punto tempo ormai trascorso. Fuori, i passi sono del crepuscolo, indolente, come il silenzio come poesie su pagine ingiallite dalle notti e non si fa interpretare, le nostre parole probabilmente inutili, perché refrattari ad abbiamo creduto realmente. finestra e riusciamo a carpire un pezzetto all’altro, senza più chiederci per quanto, separa. Intanto un vento di mare...

l’angolo di tommaso

di Tommaso Cozzitorto

Leggendo ...

Il romanzo “Fede e bellezza” di Niccolò Tommaseo, databile al 1842 e in edizione definitiva al 1852, anticipa le inquietudini, i conflitti, gli smarrimenti interiori propri del Decadentismo, traduce la complessità dell’animo umano e la faticosa ricerca della parte più intima di se stessi. I protagonisti, Giovanni e Maria, attraverso un rapporto di scandaglio reciproco delle loro anime vorrebbero comprendere il significato più profondo dell’amore e del rapporto di coppia, vivendo in modo travagliato le dimensioni dell’Eros e della Spiritualità, della bellezza quale contemplazione estetica e neoedonistica e della fede quale contemplazione della bellezza metafisica. I protagonisti annullano l’elemento del racconto sociale, nel senso di ciò che li circonda per rivolgersi esclusivamente ai moti dell’animo: qui i prodromi del Decadentismo si fanno evidenti. Il Tommaseo, uomo dell’800, riesce a “sentire” un nuovo mondo che sta per costruirsi e per farlo adopera vari generi letterari come il diario e la lettera, anticipa il romanzo psicologico, rende il linguaggio più popolare, utilizza i luoghi per dare al romanzo un respiro europeo, e per quanto inizialmente ambientato in Francia, personalmente vi ritrovo delle caratteristiche della cultura mitteleuropea: Non dimentichiamo che lo scrittore è di origini croate. “Fede e bellezza” non è un romanzo semplice, fa leva sul pensiero complesso, il lettore è quasi indotto ad una severa introspezione, a mettersi in discussione, a forgiarsi al fine di affrontare il faticoso cammino della vita. Emblematicamente i protagonisti sono esseri sartrianamente “gettati” in questo mondo. pag. 14

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l’angolo di gizzeria

Giovanni u cecatu il cantastorie di Gizzeria di Michele Maruca Miceli - storico - ricercatore Nacque a Gizzeria il 24/06/1907 da Pasquale Villella (cirma vecchja) e da Aiello Michelina, grande cantastorie ed interprete della serenata jazzarota. Fu grande personaggio di piazza che allietò sempre ogni festa ed ogni convivio familiare come matrimoni, battesimi, cresime dove egli era sempre il primo. Grazie a lui molti ragazzi impararono a suonare la chitarra ed intraprendere la via della musica leggera. Venivano anche da altri paesi per ascoltarlo e si meravigliavano poiché egli suonava senza nemmeno guardare le corde anche perché non ci vedeva e per questo lui prese familiarmente l’appellativo “Giuanni u Cecatu”. Visse sempre in piazza, nella cantina della sorella Bessina Villella, intratteneva i bevitori e richiamava i passanti. Visse sempre il suo tempo in compagnia della gente e della sua inseparabile chitarra. Anche dopo la morte avvenuta a Gizzeria il 30/6/1973 le fu messa nella bara come lui spesso diceva “mi ha

allietato in vita e lo farà certamente anche in morte”. Di lui rimane vivo il ricordo in chi lo conobbe, le sue centinaia di serenate che lui compose e cantò, sempre di notte sotto il balcone del destinatario che non sempre erano ragazze. In quel periodo non c’erano giradischi, non c’erano radio portatili, ma solo strumenti a corde e a fiato. Era un lusso avere la chitarra a disposizione che accompagnasse il canto del giovane innamorato. Questo ed altro riusciva a conquistare il cuore dell’innamorata, ma prima ancora il cuore della suocera che era ostacolo più grande per il giovane corteggiatore. Indimenticabili sono le sue composizioni come pure la poesia dedicatagli dal nipote Giovanni Romano Palmieri dal titolo “A zzù Giuanni ”, nella sua raccolta dal titolo “Jazzaria” editore Ursini 1978 – in ricordo del suo amato zio.

A ZZU’’ GIUANNI Vulia cuntara tutta la tua storia ma quantu carta e ccarta cce volia! Torna lu vernu: sirati de voria e a ruga tutta morta senza ‘e tia. Sirati fatti de vinu de suspiri de passati, de lacrimi e ccatarra dduva ‘mo mamma cce tena la giarra e dduva si nde jìanu i dispiaciri. E ll’atru jornu cci àju capitatu de fimmini tu ancora m’ha’ parratu chi nde codiasti certu chjjù dde milli quandu ppe’ Iluci cc’eranu li stilli. Zoppu ‘mbecchjzza e senza chjjù bbidira restasti ssulu e ccu’ cora jjagatu. Tuttu lu sangu tua c’avia allevatu ti salutau de notta ppe’ ppartira. Quantu sirati bbelli tu ha’ passatu a tutti i ‘festi tu ssi’ statu ‘u primu quantu ziti ppe’ ttia s’ànu scialatu ccu’ ‘nna canzuna e ccu’ ‘nnu bbiccherinu! E ttutti i’ jjaghi tua sapia ammucciara sapia ridira quandu avia ‘e ciangira chilli paroli tu sapia trovara ppe’ ttutti quanti fara divertira. Romano Palmieri

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a riveder le stelle

L’AVVERTIMENTO CHE DIVENTA ATTUALITÀ DEL TEMPO di Edoardo Flaccomio e Flaviana Pier Elena Fusi A riveder le stelle, qui racconteremo le più belle, che brillano di più e che lasciano col naso all’insù. Una rubrica da tratteggiare, con racconti da sublimare, per affondare nei destini e sentire gli accadimenti indovini. Trovare un senso lato, che ancora non era dato, una diversa prospettiva, che prima di leggere non si presagiva. Un aiuto in un minuto è quando scrivere divien contributo: il lettore non resta uguale, c’è un messaggio che vogliamo lasciare. È rivista dove si spazia, sul territorio tutto, non solo Lamezia. Siamo qui per garantire, che Edoardo e Flaviana vogliono proseguire, un editoriale amicale, che rende vicini valicando i confini.

LE TAVOLE DELL’ORDINE UNIVERSALE L’ordine naturale delle cose e delle cose il giusto ordine Quando nella vita non sai dove andare e dal dubbio ti lasci attanagliare, per una scelta che devi fare, è utile domandare, se alla creazione vai a collaborare, se è etico il tuo comportamento e se contribuisci con l’evento a rispettare un ordine naturale, dove l’amore è la base fondamentale. Solo così si può sapere, se della natura rispetti il volere, se è lei che lo ha stabilito, tutto procede a menadito. Nessun pegno si dovrà pagare, se vai al di là del bene e del male, di quell’interesse personale, oltre la linea di confine, che solo qualcuno salva dalle rovine. Sopra questa ragione, c’è una regola che conduce la tenzone: rispetta l’ordine dato dalla natura, solo lì troverai la giusta misura. Per creare un bambino, ci vuole il seme del maschio a te vicino, che solo col femminile lo può fare, è la natura e non la puoi scavalcare. C’è un ordine giusto delle cose, non nascono tutto l’anno le rose, un tempo è da rispettare, dettato dal ritmo naturale. Prima è utile imparare, poi il dubbio bisogna attraversare e solo dopo si può attuare, nulla si può improvvisare. Ci vuole coscienza d’amare, anche nella singola esperienza che si va a presentare, sempre lì per insegnare che lei, la natura, ha un ordine da rispettare. Così, bada bene, a ciò che vuoi cambiare, non spostare il valore da rispettare. Un animale ha la sua natura e non ha certo la tua cultura, per ben che lo sai ammaestrare, la maestra sua è la natura che lì lo ha fatto arrivare. Devi notare che in ogni ambiente c’è una regola fondamentale, non spintonare per arrivare, ad un traguardo solo perché a te è congeniale. Se anticipi il tempo di una posizione, la vita te le darà di santa ragione e proprio come in una interrogazione, se non sei pronto devi ristudiare la lezione. Nulla si può cambiare, ogni cosa ha il suo momento ideale. Non c’è bisogno tanto di pensare e vivi la vita e dall’amore fatti guidare. Flaviana Pier Elena Fusi pag. 16

Creazione e coscienza: il dieci nel quattro

Quattro sono le ere che caratterizzano la conformazione della terra: primaria, secondaria, terziaria e quaternaria. Quattro le fasi principali della nascita del cosmo: era delle particelle, della radiazione, delle stelle e della vita sulla terra. Quattro le forze fondamentali della natura: gravitazionale, nucleare, elettrica, magnetica. Le piramidi egiziane e dell’America meridionale hanno base quadrata. Il quattro indica la stabilità creatrice. Su tale base si officiavano riti indirizzati alla Natura, al Cosmo, alla Creazione. Le dieci piaghe d’Egitto, succedutesi per aver impedito a Mosè di liberare il popolo ebraico dalla schiavitù, si sono succedute in quattro ondate. Quattro le tappe della nostra esistenza: infanzia, giovinezza, maturità, vecchiaia. Impossibile sovvertirle, non si è mai visto un vecchio ritornare neonato, né una gallina ritornare uovo o un cadavere ritornare in vita, né una foglia caduta in terra sollevarsi per riunirsi al ramo. I processi viaggiano in un’unica direzione. Il tempo, che esista o meno, è il TEMPO dell’evoluzione, qualcosa di misterioso, intangibile, sovrano, diverso da quello che pensiamo che sia: è qualcosa di sfuggente. SFUGGENTE: SI, FUGGE, L’ENTE. Nell’antichità si conosceva già il potere dell’Assetto Universale. Era evidenziato con opere colossali, che ancora oggi, a distanza di millenni, appaiono integre, ammirabili in tutta la loro bellezza e suggestività. I cavalieri Templari conoscevano tale Assetto, lo avevano appreso nel corso del loro soggiorno decennale a Gerusalemme. Le cattedrali gotiche lo racchiudono egregiamente, la perfezione è evidente nella strutturazione d’insieme di questi grandiosi monumenti. Le leggi del Creato sono state messe sotto silenzio dai dotti del passato a causa dell’ignoranza umana. Erano veggenti e si spingevano lontani. Nell’anteprima della loro magica esistenza, avevano fiutato la mancanza di qualcosa che si sarebbe manifestata per completare l’evoluzione civilizzatrice: la Scienza. Per questo motivo Mosè spacca in due le pietre davanti a suo fratello, usando entrambe le mani. Non è rabbia la sua, ma fermezza. Il suo io è l’Universo: impersonale, freddo, spietato, innamorato della Creazione. I suoi sentimenti sono racchiusi nell’UNO. Rompe le Tavole della legge dell’Ordine Creatore quando vede il popolo adorare la divinità pagana: il vitello d’oro. Le corna simboleggiano lo Stop e Mosè lo sa. È costretto a seguire la regola, sa che non può fare diversamente. Divide a metà le sacre scritture: SINISTRA E DESTRA, archetipi fondamentali dell’esistenza. La Legge, ricevuta da IAVÈ, nome impronunciabile di DIO, diventerà rito e sarà conservata nella sacra ARCA dell’ALLEANZA. L’Ordine inciso nelle Leggi sarà inoculato nei dieci comandamenti, un vademecum da tenere a mente come appunto su un notes. Edoardo Flaccomio

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naturopatia

Stile di vita ed approccio alla salute. di Dino Mastropasqua Naturopata - mail: drmastropasqua@gmail.com - facebook: Dr Mastropasqua - cell.: 339 534 9119

Già nel 1912 è stato dimostrato che una cellula potrebbe vivere per un tempo indeterminato in perfetta salute. È stato provato in laboratorio da un famoso Premio Nobel, il noto fisiologo francese Alexis Carrel. Presso il Rockefeller Institute for Medical Research, ha mantenuto in vita il cuore di un pollo per circa 29 anni in una soluzione salina, che conteneva minerali nelle stesse proporzioni di quelle del sangue del pollo, che egli rinnovava tutti i giorni. Carrel giunse alla conclusione che il tempo di vita di una cellula è indefinito, fino che viene fornito il giusto nutrimento e la cellula viene ripulita dalle sue escrezioni. Infatti le cellule crescevano e prosperavano fintanto che i loro scarti venivano rimossi. A condizioni non igieniche diminuiva la vitalità portando prima al deterioramento e poi alla morte della stessa. La chiave dunque per mantenere la perfetta salute di una cellula è quella di liberarla dai residui dentro ed intorno ad essa. Anche Arnold Ehret arrivò a una conclusione pressoché identica. Nel suo libro “Il Sistema di Guarigione della Dieta Senza Muco” afferma che con un’alimentazione sana, dopo anni di cibi errati, inizialmente l’organismo libera gli intestini dai residui accumulati e poi va sempre più a fondo ripulendo tutti i tessuti del corpo. Dopo che ciò è avvenuto si acquisisce la salute perfetta. Ma torniamo all’esperimento di Alexis Carrel e alle sue conclusioni che possiamo trovare in ogni testo universitario di biologia. Il dott. Alexis Carrel, a questo proposito, diceva: “La cellula è immortale. È semplicemente il fluido nella quale galleggia che si degrada. Sostituendo questo fluido ad intervalli regolari, daremo alla cellula ciò che le necessita per nutrirsi e, per quanto ne sappiamo, il pulsare della vita potrà continuare indefinitamente”. Detto questo resta intuitivo che un corretto stile di vita, con attenzione alla corretta alimentazione, al ricambio di acqua del tessuto extra cellulare, il giusto riposo, una attività fisica adeguata, tale da mantenere il nostro organismo elastico e tonico, e, ultimo ma non ultimo, una sana “dieta emozionale” sono gli ingredienti giusti per avere una vita in equilibrio, sana e serena. Ma iniziamo a vedere un po più da vicino cosa dobbiamo fare. La prima attenzione è da porre agli alimenti che quotidianamente ed anche per più volte al giorno ingeriamo. Molto spesso mangiamo cibi industriali, presi dalle grandi catene di distribuzione che giocoforza devono contenere conservanti e quindi sono trattati con prodotti chimici che non sono proprio del tutto compatibili con la salute. A tal proposito bisogna porre una certa attenzione anche all’utilizzo delle carni provenienti da allevamenti intensivi o i derivati provenienti dallo stesso sistema. In questi allevamenti Lamezia e non solo

si fa largo uso di mangimi di origine animale (quindi gli animali si nutrono di scarti di altri animali) ed inoltre per evitare malattie o infezioni vengono periodicamente trattati con farmaci che quindi entrano nella catena alimentare arrivando fino a noi. In più per far sì che gli animali arrivino prima ed abbiano più prodotto da commercializzare sempre più spesso vengono trattati con ormoni della crescita. Non ci vuole certo la laurea per capire che questi cibi non sono buoni. Pertanto iniziamo a diminuire l’utilizzo delle carni in generale e quelle che utilizziamo cerchiamole da qualche produttore locale che li allevi al pascolo, stessa cosa dicasi per i derivati. Discorso simile per la frutta e la verdura, possibilmente a Km. 0 e magari dal contadino che conosciamo, in questo modo aiutiamo oltre che la nostra salute, anche l’economia locale. Una particolare attenzione va data a l’acqua che beviamo. Considerando che il nostro organismo per stare bene in salute ha bisogno di un PH alcalino e noi per stili di vita siamo quasi sempre in acidosi, è importante bere acqua alcalina ionizzata ricca di idrogeno molecolare libero, si può ottenere mettendo un dispositivo al rubinetto di casa. In questo modo otteniamo diversi risultati, 1° evitiamo di bere acqua morta da bottiglie di plastica che rendono l’acqua avvelenata, 2° diminuiamo l’inquinamento da plastica, 3° ci facciamo del bene. La giusta quantità di acqua da bere per ottenere un ricambio del tessuto extra cellulare efficace è di 0,300 ml. Per kg. Di peso corporeo in inverno e di 0,400 in estate. Ovviamente per un giusto equilibrio anche le emozioni che proviamo devono essere emozioni positive. Poiché questo argomento è molto sentito considerando anche il periodo che stiamo attraversando lo tratteremo in modo più approfondito in un prossimo articolo.

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moda

“Tendenza moda primavera - estate 2021 di Antonella Caruso Ebbene sì, nonostante le grigie giornate che ci stanno accompagnando ormai da un anno e mezzo a questa parte, la moda riparte, sempre. E l’estate è vicina. Con le sue lunghe e calde giornate. Con i colori del tramonto che speriamo ci inondino fino a tarda notte. E intanto esorcizziamo indossando questi colori e viviamo il più possibile la bella stagione. Quest’anno nella moda domina il sapore anni ‘90 con linee essenziali, ma anche gli anni’ 70. Tornano le minigonne. Il mio consiglio è di sceglierle a vita alta per dare un effetto slanciato alla figura (oltre che coprire un po’ di pelle). Largo al Bres as a Top (reggiseno top), che si indossa in bella vista. Abbinato con shorts, gonne e pantaloni di ogni lunghezza. Si può completare il look con un Blazer o Cardigan, meglio ancora se del medesimo tessuto, colore o fantasia. Il Denim rimane una solida certezza. Anche in questa stagione lo si indossa su tutto, di giorno e di sera. Novità sono le proposte borsa (Dolce e Gabbana) e le scarpe (Isabel Marant). Dai mini top passiamo alla Maxi Felpa. La proposta è di indossarla non solo in look dal sapore casual, ma abbinare a gonne midi (fino a sotto il ginocchio) e décolleté. Se qualora fosse un abbinamento troppo azzardato, sostituire le décolleté con un paio di sneakers. Continua la tendenza delle maniche a palloncino, da diverse stagioni protagoniste indiscusse. Ampie,importanti, ma anche romantiche danno una spinta anche ai più basici top e abiti. Il completo giacca e pantaloni sarà un trend versatile anche con shorts e pantaloni ampi. Da indossare anche spezzato con un colore acceso. Il Trench è uno dei capispalla più amato. Nel classico colore beige si illumina con scarpe e borse colorate. I volumi sono ampi da stringere in vita con la cintura o la coulisse. Se non amate il trench potete rivolgere la vostra attenzione agli Spolverini, uno dei capi più versatili e facili della primavera, in stile etnico o minimal. I Vestiti sono morbidi e in tessuti leggeri e svolazzanti che sembrano accarezzare il corpo ad ogni movimento. Lunghezza mini, midi o maxi per il giorno. Lunghezza decisamente maxi per la sera con tessuti leggerissimi e sovrapposti per abiti romantici e sensuali. Coloratissimi con stampe a fiori o geometriche o nei monocolore. Spacchi vertiginosi e trasparenze sono il leit motiv della stagione. I Jeans.... Guai a chi li tocca!! Sono solo più ampi, la tela denim più morbida e usurata e si indossa con camicie super eleganti. Ma il jeans... Lo sappiamo, va bene con tutto. Chi vuole essere veramente trendy quest’estate non può non avere un capo a rete. Che sia un vestito, una borsa, un top, un cappello, la cosa fondamentale è indossare una rete. Le Borse riprendono sempre gli anni ‘90 :piccole, a spalla e non troppo profonde. Ancor meglio se presentano una silhouette a “brioches”. Le borse Candy sono giocose e golose nelle loro tinte pag. 18

pastello. In realtà i modelli sono sempre svariati. A mano, medie ma capienti. Nella borsa di ogni donna c’è sempre un universo nascosto. Tra i modelli di Scarpe spiccano quelli con dettagli particolari, come le catene, in grado di dare un po’ di brio anche agli outfit più minimal. Gli stilisti hanno deciso di proporle come decorazione, in modo da donare un po’ di lucentezza, in silver oppure gold. Anche le sling back sono di gran moda. Per intenderci quelle aperte dietro, intramontabili e da portare su tutto. Non dimentichiamoci naturalmente delle sneakers, una calzatura che ormai si indossa con qualsiasi outfit. E poi mocassini, infradito alte, sabot, zeppe comode e versatili. Stivaletti, alti, alla caviglia, bassi e traforato. Insomma c’è n’è per tutti i gusti e tutte le esigenze. Vogliamo parlare degli immancabili e intramontabili accessori? Dai foulard in tutte le stampe e da indossare in ogni occasione Annodati al collo, come fascia ai capelli o fatti scivolare su una coda di cavallo. Legati al polso a mo’ di bracciale o alla borsa. Cappelli, soprattutto all’uncinetto come le borse da mare e i copricostume. Lunghissime collane o cinture gioiello. Oro, pietre colorate e portafortuna, i bijoux traggono ispirazione dagli anni ‘70, proponendo variazioni sul tema colori e materiali. Infine le spille da indossare un po’ ovunque, classicamente sul revers o appuntate sulle tasche dei jeans, davvero una bella idea. Un classico che ritorna. E il costume? Ecco il vero trend di quest’anno : vintage o meglio stile anni ‘50. Questo capo che deve riuscire ad esaltare i pregi e minimizzare i difetti del corpo femminile è perfettamente rappresentato in versione pin-up. La tendenza di quest’ anno, infatti, permette di scegliere un costume da bagno perfetto per ogni forma del corpo, sia per le donne magre che per le donne curvy. Questi modelli danno la possibilità di esaltare ogni fisico con il loro bikini a vita alta e reggiseno stile corpetto. Lo slip a vita alta è un elemento “strategico” perché permette di minimizzare la pancia e nascondere vari inestetismi. Bellissimi per le più giovani, indicatissimo per le over ‘40. Stampe, colori e variazioni di ogni tipo. Femminili, eleganti e perché no... sensuali, con il loro effetto “vedo non vedo”. Moda o non moda, io penso che lo stile che scegliamo deve rispecchiare il nostro modo di pensare e di vivere. Ecco perché scegliere con cura il proprio stile esteriore, a favore o no delle tendenze del momento, è il mezzo più concreto per esprimere se stessi. L’immagine che diamo di noi è un biglietto da visita, specialmente oggi che viviamo in una società che predilige la comunicazione visuale. Ma noi dobbiamo sempre esprimere ciò che siamo.

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omaggio ai miti

SCILLA TRA MITO E REALTA’* di Palma Colosimo La visione di Scilla appare come una terra meravigliosa, in cui le sue bellezze sono rimaste immutate, per nulla influenzate della frenesia che caratterizza il nostro tempo. Essa è rimasta per alcuni versi immobile nel tempo, le caratteristiche strade strette, i vicoli tortuosi del centro storico di San Giorgio, gli stretti tornanti che abbracciano la montagna e tra sprazzi di cielo e mare conducono fino a Marina. La vista dello stretto dalla balconata della piazza è spettacolare, unica, da rimanere incantati dalle acque cristalline del mare e dalla suggestiva visione della Sicilia. Il borgo della Chianalea è uno dei più belli d’ Italia. Le acque del mare lambiscono le case dei pescatori, e si intrufolano tra le rocce su cui sono costruite, creando come la tela di un pittore un capolavoro di bellezza, tutto naturale. L’odore del mare è intenso, il sale che incrosta i ferri dei balconi dona loro la ricchezza, di un intenso vissuto passato. Il un braccio di mare ci divide dalla Sicilia che offre all’ occhio meno esperto, la sensazione ingannevole che la si può raggiungere tranquillamente anche a nuoto. In realtà il mare tranquillo che lambisce questa baia e si dipana come seta viva, nasconde segreti e inganni. Infatti le acque che agitano lo stretto non sono affatto tranquille come appaiono, ma sono turbolente ed infide. Sotto i fondali è sempre in atto una guerra titanica tra i due mari che circondano la nostra regione Mar IONIO e il Mar TIRRENO. Quando si incontrano nello Stretto, le forze che agitano le correnti di entrambi sono contrastanti, in quanto quando di alza l’alta marea dello Ionio si ritira o meglio si abbassa quella del Tirreno. Questo scontro dà vita a vortici e mulinelli pericolosissimi. Le correnti montanti vengono chiamati Bastardi e Refoli quelle ascendenti. Quando ero piccola mio nonno mi raccontava che a causa di essi le navi nell’attraversare lo stretto, non percorrevano mai la stessa rotta, mi pare di sentire ancora la sua voce “se di Scilla si passa da Cariddi non si passa”. Tante e tante volte ho ascoltato dalla sua voce il mito di Scilla, molte sono le versioni di questo mito, ma da un’attenta ricerca esso appare variato in alcuni passaggi rispetto a quelle più conosciute. Si tratta di una storia d’amore e di vendetta, i protagonisti sono Circe Glauco e Scilla. L’amore ci fa compiere atti non sempre giustificabili, e al Fato si sa, non si possono sottrarre neanche gli Dei. I Numi di cui si narra erano in balia delle emozioni terrene, così come lo erano gli uomini, terribili nella vendetta, rancorosi e poco inclini al perdono. Le loro passioni erano irruente e passeggere, ma amavano essere venerati, erano però suscettibili alle preghiere degli uomini che talvolta esaudivano …. CIRCE e SCILLA le due rivali Circe e Scilla sono legate attraverso un doppio filo a questa vicenda entrambe protagoniste ed entrambe punite. Circe era una delle figlie di Elios il Dio del Sole e di sua moglie Perseide figlia di Oceano, uno dei pochi titani che era riuscito a mantenere saldi i suoi domini. Circe era una ninfa, e in quanto tale era una Dea minore, non aveva coscienza del suo potere, non sapeva ancora di essere una maga. Quando trasformò Glauco, un semplice mortale di cui si era innamorata in un Dio, aveva pensato che, a compiere la trasformazione fosse stata opera di alcuni fiori, nati dal sangue versato dai titani durante la guerra con gli olimpi. Pharmaka si chiamavano i fiori, la maga però, nell’utilizzarli per compiere la trasformazione, ebbe un’intuizione dal profondo di se stessa: essi avrebbero trasformato ogni creatura nella sua essenza più vera. Il mutamento di Glauco non fu solo esteriore ma anche interiore, egli dimenticò gli affanni passati, e rinnegò la sua natura umana. Si dimenticò anche di Circe che lo aveva aiutato, anche se, a onor del vero, non aveva mai manifestato una passione amorosa per lei, ma solo amore fraterno. Circe invece, fantasticava su sogni d’amore, partoriti solo dalla sua fantasia. Nel frattempo Glauco, si era ambientato bene nel regno del Dio del mare. I saloni della reggia di Oceano, erano paragonabili alla reggia di Versailles, tutto si muoveva intorno al divertimento, ai flirt, ai giochi di potere e all’ ipocrisia. Fu in quelle sale che Glauco vide Lamezia e non solo

Scilla, una ninfa bellissima e se ne innamorò perdutamente. Scilla era perfida, calcolatrice e bugiarda, non amava Glauco, ma lo avrebbe sposato lo stesso per accrescere il suo potere e la sua influenza. Circe aveva capito benissimo la manipolazione che Scilla operava su Glauco, e volle metterlo in guardia sulla vera natura della ninfa. Glauco accecato d’amore, non solo si rifiutò di credere alle parole di Circe, ma gli fece capire che lui non nutriva della passione per la maga, ma aveva nei suoi confronti solo un pallido alone di amore fraterno. Circe disperata fece ricorso ai fiori della vera essenza e li spezzettò nella baia in cui Scilla amava bagnarsi al tramonto. Il suo intento era quello che i fiori potessero rivelare la sua vera natura di vipera. Solo così Glauco, avrebbe potuto vedere la sua cattiveria rivelarsi, nella bruttura del suo aspetto. Ella non sarebbe più stata così ammaliante, la sua bellezza si sarebbe spenta, ed avrebbe rivelato all’esterno la durezza del suo cuore. Circe si aspettava che Scilla, comparisse nelle sale di suo nonno trasformata in una brutta megera con il naso aquilino la pelle spenta e rugosa e per finire al posto delle eleganti sopracciglia un bel cespuglioso monociglio. Non vedendola apparire temeva che i fiori non avessero funzionato, e che i due amanti fossero già sposati. Non aveva la più pallida idea del dramma che si era consumato nella baia. Venne a sapere dell’evento da sua zia Selene che non smetteva di raccontare la trasformazione che era avvenuta in Scilla non appena si era calata nella baia. Una gamba orribile, come di un calamaro priva di ossa le era scaturita dal ventre. Poi un’altra, e un’altra ancora, fino a contarne dodici tutte a penzolarle dal corpo. Quello era stato solo il principio: inarcava la schiena, contorceva le spalle, la sua pelle era diventata grigia, il collo aveva cominciato ad allungarsi, da quello erano spuntate cinque nuove teste fitte di denti lunghi come spade. Per tutto il tempo non faceva altro che latrare e ululare, abbaiava come un branco di cani selvatici. Quando si inabissò nelle onde fu un sollievo. Il rammarico di Circe fu grande, non era suo desiderio trasformarla in un mostro. Circe fu punita per il suo atto diretto contro un suo simile. Fu esiliata all’ isola di Eea per sempre. Le fu concesso di uscire solo attraverso permessi che le vennero conferiti da Zeus in persona. Prima di partire ebbe modo di confidarsi con suo fratello Eete. Egli cercò di confortarla, spiegandole come in realtà Scilla fosse sfuggita alla punizione che Circe aveva in serbo per lei. Una ninfa brutta sarebbe stata di peso alla sua famiglia, non si sarebbe mai sposata, né avrebbe avuto figli, una macchia sulla faccia della terra. Avrebbe vissuto nell’ombra derisa e oltraggiata. Ma come mostro avrebbe avuto sempre un posto. Avrebbe avuto tutta la gloria che i suoi denti sarebbero riusciti a strappare… Non sarà amata per questo, ma non sarà soggetta a vincoli. Perciò qualsiasi pentimento tu possa covare dimenticalo. Credo si possa dire che tu l’hai valorizzata. Questo le disse Eete, ma a Circe rimase sempre un rimorso per quello che aveva fatto. Scilla visse sulla costa Calabra, arroccata ad una rupe all’ imbocco settentrionale dello stretto affilandosi i denti sui marinai che si trovavano sulle navi, che incaute, passavano per quei lidi. Certo è, che da Scilla si poteva avere una possibilità di uscirne vivi, mentre se si finiva nei vortici dell’appetito insanabile di Cariddi, non c’era speranza. Ma che fine aveva fatto Glauco? Esso si dimenticò subito della passione per Scilla e si confortò tra braccia e altre bellezze che pullulavano nelle sale di Oceano. Mi piace pensare che Scilla, quando fu consapevole che era in atto la sua trasformazione, in un momento di estrema disperazione non volle che la sua bellezza venisse dimenticata, e volle regalarla a quella baia dove amava bagnarsi, la quale poi in suo ricordo ne prese il nome * Note/ Fonti: Madeline Miller Circe traduzione di M.Magrì edizioni Universali Economiche Feltrinelli anno 2018

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territorio

I SANTUARI MARIANI DELLA DIOCESI LAMETINA di Matteo Scalise

Maria SS del Soccorso

Il Santuario dedicato a Maria Santissima del Soccorso prospera presso contrada Magolà della fu Nicastro. Le sue origini, anche per questo luogo di culto, sono un mix di leggenda e storia. Conosciamo prima le leggende che poi analizzeremo da un punto di visto storico: A) la prima leggenda (tratta dal libro “Lo Zodiaco di Maria” di frà Serafino Montorio, 1715) afferma che un’immagine della Madonna del Soccorso (Sancta Maria, succurre miseris) era venerata da secoli nel convento dei Padri Francescani Riformati di Nicastro (dal 1877 parrocchia di Santa Maria Maggiore), portata lì da un fraticello francescano moribondo che era scampato miracolosamente alla furia delle acque del golfo lametino ma non alla malaria che impervesava allora nella Piana di Sant’Eufemia. Per sua volontà fu portato al convento nicastrese dove, nello spirare, lasciò questa immagine miracolosa che pare fosse stata dipinta da San Luca Apostolo e portata in Italia da Gerusalemme qualche tempo prima, sicuramente per non farla profanare da mano musulmana. B) la seconda leggenda narra invece che l’immagine mariana – e la sua successiva devozione – ebbe origine dopo che in contrada Magolà fu rinvenuta l’immagine sacra smarrita dagli Angioini (francesi) che a Magolà si scontrarono contro gli Svevi verso il 1265. Questa leggenda ancora oggi si perpetua in una Lauda che si recita nei giorni della festa in dialetto nicastrese dove afferma “[…]Ccà li Francesi l’avianu pirduta, / e mo ludam’a Diu ca s’ha truvata. / Era tutta di spini cuveruta, / e mo e di rosi e jiuri ncurunata […]”. Queste credenze sul rinvenimento della Sacra Immagine sono leggende essenzialmente perché: 1) presso la chiesa dei Francescani Riformati non c’è mai stata traccia di un quadro dedicato a Maria Santissima del Soccorso; 2) Fino al 1655 l’intestazione quale “Santa Maria del Soccorso” era prerogativa dell’ex parrocchia di Santa Lucia presso l’ononimo quartiere storico di Nicastro dove però non c’è mai stato un culto rivolto alla Vergine del Soccorso; 3) storicamente il culto alla Vergine col titolo di Maria Santissima del Soccorso è una prerogativa non dell’ordine Francescano ma dell’Ordine Agostiniano, dei quali un loro fraticello (padre Nicola La Bruna) nel 1306 a Palermo invocò la guarigione alla Vergine con tale titolo da un grave male sicchè la Vergine, apparsagli e guarendolo, gli avrebbe richiesto in cambio la diffusione di questa devozione, cosa che gli Agostiniani fecero in tutti i loro conventi. Gli Agostiniani furono presenti nella diocesi di Nicastro, ma dal XVII secolo (1600) in poi, dove ebbero la cura pastorale per un certo periodo, ad esempio, del Santuario di Maria Santissima di Dipodi o il Convento della Annunziata a Serrastretta. Ci chiediamo a questo punto: che siano stati allora gli Agostiniani, forse, a diffondere concretamente il culto della Madonna del Soccorso nella diocesi nicastrese? Sulla leggenda B possiamo invece dire che in ambito storico nel 1265 a Nicastro non ci fu uno scontro diretto fra Angioni e Svevi ma semplicemente in quel periodo Nicastro si ritrovò coinvolta, come altri pag. 20

(quinta parte)

centri del Regno, nella contesa fra il re Manfredi, figlio naturale di Federico II e nuovo re dopo la morte prematura del fratellastro Corrado IV, il quale, contro il parere del Papato voleva estendere la sua influenza in Calabria e Sicilia avversato però dal maresciallo Pietro Ruffo, conte di Catanzaro, fedele ancora a Corrado IV. Manfredi per piegare la Calabria e la Sicilia alla sua autorità inviò contro il ribelle Pietro Ruffo il suo consigliere Corrado Truich il quale nella sua discesa in Calabria assediò o distrusse i paesi ribelli a Manfredi, sicchè, giunto al castello di Nicastro, ove suo Castellano era fedele al Ruffo, questi per evitare l’ennesima strage a Nicastro trattò una resa pacifica col Truich. Esposte le leggende facciamo un rapido cenno ai fatti storici. Nel 1719 il chierico coniugato Giacomo Gatto, assieme al fratello Mario, eresse in un terreno di sua proprietà a Magolà una Cona votiva alla Santa Vergine del Soccorso (oggi tale Cona non esiste più) poiché, affermavano, aveva già compiuto diversi miracoli. Ma la Cona, con la diffusione della credenza miracolistica e il relativo afflusso di persone presso Magolà, ben presto non bastò più. Così nel 1739 i fratelli Gatto si recarono presso la Curia Vescovile di Nicastro dove dichiararono che concedevano volentieri un terreno di loro proprietà per l’edificazione di una chiesa alla Vergine del Soccorso, com’era desiderio del vescovo, ma con la sola condizione che, qualora ci fosse stato un membro della famiglia Gatto sacerdote, gli fosse stata garantita la cura pastorale della chiesa. Il vescovo Achille Puglia (1737 -1773) accettò. L’edificazione fu piuttosto rapida. Solo che nel 1740 i Gatto vollero però pagato la porzione di terreno in più che cedevano per la costruzione della strada che avrebbe dovuto condurre comodamente al luogo sacro. Si ci mise d’accordo con la Curia vescovile da un notaio stabilmento i futuri Benefici economici per il mantenimento del Rettore pro tempore e per l’indennizzo ai fratelli Gatto. Nel 1769 monsignor Paolino Pace, Visitatore Apostolico nella diocesi nicastrese, trovò la chiesa del Soccorso in ottime condizioni architettoniche e liturgiche. Forse danneggiata lievemente dal terremoto del 1783, con la Cassa Sacra (1784) fu privata dei pochi Benefici che godeva, sicchè quando fu redatto, nel 1796, il Piano chiesiastico della diocesi di Nicastro da parte del Marchese di Fuscaldo, si tentò di ripristinane i relativi Benefici poiché questa chiesa serviva, oltre che per la devozione alla Vergine, anche agli abitanti del vicino borgo di Fronti i quali, ogni domenica, poiché ancora spovvisti di una loro chiesa, prima di recarsi a Nicastro al mercato settimanale per vendere prodotti artigiani e agricoli vi ascoltavano la messa festiva. Per garantire ciò fu posto come Rettore del Santuario uno dei 6 Cappellani Corali della Cattedrale, che ebbe l’obbligo di celebrare la messa ogni domenica e giorno festivo oltre che insegnare i rudimenti del catechismo al popolo. Col passare degli anni, attorno al Santuario crebbe la popolazione che viveva stabilmente nella contrada Magolà, così si pose il problema di creare una parrocchia ove

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riflessioni

Il coraggio di Papa Francesco in una Chiesa da Sanificare di Alberto Volpe Sì, lettori, avete letto bene. Sto parlando di sanificazione, e non di santificazione. E, atteso il tema che mi propongo di commentare ed analizzare con voi, viene spontaneo pensare,appunto, alla santificazione. Iniziamo da dover prendere atto che il periodo a noi contemporaneo non è splendido e neppure decoroso per la sacralità di immagine della Chiesa cattolica. Non è che le altre religioni se la passino meglio. E’ innegabile che il Vaticano da un decennio a questa parte vada mostrando le “piaghe” di un costato sempre più purulento e sanguinante. Non che nella sua storia millenaria abbia sempre brillato per autenticità di coerenza con i suoi canoni. La carenza di informazioni, una diffusa e crassa ignoranza sociale e quella “potenza” impositiva ecclesiastica nei confronti delle masse e contrattuale con il potere “temporale”, tutto ciò ha impedito che venissero alla luce decisioni e comportamenti dell’apparato vaticano, del tutto in linea con i princìpi evangelici “predicati”. Oggi è più difficile simulare o nascondere quegli stessi atteggiamenti dissuadenti da un Credo codificato. Fatte salve le opere di bene e i buoni insegnamenti che ancora oggi sorreggono le fondamenta dell’edificio ecclesiastico, è innegabile che la rappresentazione dell’apparato religioso dona di sé, ha molto di scandalistico. E non viene rilevato malevolmente ed esclusivamente da un contraltare laico e oppositore o nemico storico. Con dolore ne deve prendere atto, persino ufficialmente, la Santa Sede ed il Papa in persona. Pedofilia e corruzione sono i “peccati” più ricorrenti tra le mura del Vaticano, ma anche in periferia. Le prese di posizione contro, da parte dell’attuale Pontefice, sono dolorose e coraggiose insieme. Oseremmo dire titanica quella azione riformistica avviata dall’inizio del suo pontificato da parte di Francesco. Un’opera volta per un verso ad arginare quel “malgoverno” di porporati all’interno delle Mura Leonine, e per altro verso a ridare dignità e credibilità ad una fede spirituale

cattolica. Sempre più ricorrenti e documentate sono quegli approfondimenti giornalistici che denunciano tendenze, sempre meno discrete e talvolta spocchiose, ad un “modernismo” che sa di potere approfittatore e dispotico. Certe “comodità” e agiatezze, ma anche privilegi, proprie di una casta politica, si ritrovano pari pari anche nella gerarchia ecclesiastica. Troppo denaro e troppo disinvoltamente circola tra i canali finanziari e bancari del Vaticano. L’affare Marcinkus e lo Ior, od anche il caso Marcinkus e la Orlandi di qualche anno fa nulla hanno insegnato a certa diplomazia cardinalizia, che evidentemente non disdegna connivenze, complicità e collegamenti con ambienti legati al mondo degli investimenti di denaro, anche quando esso è obolo dei fedeli. Denaro (ma non era “sterco del diavolo” ?) che diventa strumento per accelerare un processo di “santificazione” (v. beatificazione in corso di Aldo Moro), è un grave vulnus per la dottrina della fede. A tutto ciò sta cercando di porre un freno, e molto coraggiosamente considerate le “resistenze” interne, il Papa francescano e gesuita. Il suo ultimo “motu proprio”, ossia decisione presa di propria iniziativa, va nella direzione di un contenimento dell’ordinamento vaticano in materia di corruzione e di privilegi. Francesco, insomma, si muove nell’alveo e per l’affermazione consapevole di valori e princìpi che ricostruiscano la eguaglianza tra tutti i membri della Chiesa e la loro pari dignità e posizione, senza privilegi risalenti nel tempo e non più consoni alle responsabilità per la aedificatio Ecclesiae. Da qui il “richiamo” ufficiale di Papa Francesco alla esemplarità di contegno ed azioni, oltre alla solidità di fede e comportamenti, per cui ogni Ministro di fede, porporato o semplice sacerdote di periferia, deve uniformarsi al concetto di essere Servitore e non imprenditore. Ed oggi, più che di prediche e di sermoni, si ha bisogno di vedere esempi concreti. Questa chiamasi “sanificazione”.

avesse dimora stabile un parroco. Nel 1884, monsignor Giuseppe Candido, allora reggente della diocesi di Nicastro per conto del malato monsignor Giacinto Barberi, chiese parere al Capitolo della Cattedrale della necessità di elevare il Santuario del Soccorso a parrocchia. Il Capitolo, retto in quegli anni dal Decano don Pietro Ardito (1833 -1889), dette parere positivo. Monsignor Candido a questo punto però necessitava anche del placet del Ministero degli interni, sezione Affari di Culto,il quale, dopo verifica, negò la creazione della parrocchia perché non aveva abbastanza rendite autonome per mantenere un parroco (1885). Così il Santuario del Soccorso rimase ancora dipendente pastoralmente dalla Cattedrale tramite un Rettore, fino al 1995, quando l’allora parroco della Cattedrale, monsignor Antonio Marghella (1926 – 2018), dopo averne avviato i restauri negli anni 70’ riusci a renderla parrocchia autonoma grazie all’allora vescovo di Lamezia Terme monsignor Vincenzo Rimedio (1982 – 2004) con la nomina a primo parroco di monsignor Pino Amelio. Nel XIX secolo la zona del Santuario, essendo all’epoca si popolata ma fuori da Nicastro fu usata più volte, in occasioni di pestilenze (ad esempio del colera nel 1855 e della febbre spagnola nel 1919) come lazzaretto e sanatorio per i malati gravi. A fine anni Venti, per una moda sacrilega iniziata a Monteleone Calabro (oggi Vibo Valentia) da parte della locale sezione squa-

drista fascista nei confronti di una immagine della Vergine avente un manganello con cui scaccia il Demonio, anche i fascisti nicastresi rinominarono la Vergine del Soccorso, la cui immagine sacra riporta appunto la Vergine avente accanto una bambina assediata dal Demonio che la Vergine scaccia con un mangnello, “Madonna del Manganello” e la dichiararono loro Patrona, senza avere in questa iniziativa alcuna autorizzazione né del clero nè del vescovo di Nicastro dell’epoca monsignor Eugenio Giambro (1916 – 1955). Nel 1946 monsignor Francesco Maiolo (1900- 1969) richiese l’uso di un romitorio nelle vicinanze del Santuario per trasformarlo nella sua casa di accoglienza per bambini indigenti ed orfani denominata “Casa di San Tarcisio” che aveva traslato da Gizzeria e dove li rimase fino al trasferimento presso via Conforti a Nicastro (1949). La festa della Madonna del Soccorso si festeggia ogni anno la terza domenica di luglio. E’ preceduta da un novenario di preparazione, mentre la domenica della festa si svolge la processione nella frazione Magolà. Un tempo vi era anche, negli ultimi tre giorni precendenti la domenica della festa, una fiera agricola/alimentare, oggi purtroppo estinta, oltre ad un ricco programma di festeggiamenti civili. E’ ancora in auge di fare per devozione una “jiurnata alla Madonna”. Attuale parroco di Santa Maria del Soccorso è don Massimiliano Sangiorgio.

Lamezia e non solo

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le poesie di ...

Riverberi di Augusta Caglioti Maschi L’8 marzo non regalateci, maschi, l’ipocrito luminoso effimero rametto di mimosa! Regalateci un sorriso sincero che illumini. Una melodia che parli al cuore. Non regalateci ambrate avvolgenti fragranze. Inondateci del profumo di una consapevole equivalenza. Nocera Marina 08/3/2021 Il tempo È quello dei ricordi il tempo che più non esiste. Non può invertire la freccia ma ne conserva i dettagli. Il tempo dell’oggi passa quando non dovrebbe e non c’è già più appena lo pronunci. Se ne sta immobile inesorabile anche quando vorresti fosse più veloce della luce. Malgrado tutto ho ancora fame e sete di futuro. Nocera Marina - 13/2/2021

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Azzurro Giorni e giorni in un azzurro accogliente perimetro, rifugio a una libertà negata. Sconvolto dal vento brontola spesso il mare di notte e me ne ritarda il sonno restio ad accogliermi. Al mattino la moresca terrazza mi apre a orizzonti infiniti. Non soffia più il feroce vento, e il mare sorride silente. In un’ora del vespro imminente mentre rubo a un libro parole salgono note o gorgheggi canori. Sono tutti alterni suoni di vita. E mi scopro assetata. Assetata di vita. Nocera Marina - 9/3/2021 Un treno Passa di notte per Nocera un treno all’una e trentatré.

Pensando... Nebbia pervadi i nostri cuori assetati di calore e di affettiva vicinanza. Vento gelido! Non spazzi le nubi delle nostre menti. Pioggia. Non lavi le nostre ferite. Neve. Tutto ammanti ma non sbianchi il nero cupo di questi amari giorni. Sole, nostra stella madre, non bruci il mortifero veleno. Coraggio e mutua sollecitudine. Ultime stelle per noi a punteggiare Il firmamento delle speranze. Nocera Marina - 13/2/2021

Sferraglia sui binari e io non dormo. È un ladro il tempo della notte. Eppure lo amo. Mi regala generoso la permanenza in pagine non mie nelle voci nei suoni del mondo. Mi regala un viaggio su un treno che per me non ha fermate. Nocera Marina - 14/3/2021 GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

Giacomo Balla - Il dubbio Lamezia e non solo


potando

Allu mercatu a Sambiasi [Dedicata alle montagne sambiasine]

di Giovanni Mazzei

Tiglji, cariglji e carpini: quanti arberi ci su’ ‘nta ’i muntagni ‘i Sambiasi! ‘A muntagna ‘i Santa ‘Lia, ‘u monti Mancusu, ‘a vallata d’u fhjiummi d’i Vagni su’ fforzieri chjini ‘i natura: ‘u bbeni cchjiù priziosu, ‘nta ‘stu mundu ‘ndustrializzatu. Guarda ‘a mura cà tingi ‘lli ruvetti, guarda ‘a jinostra gialla e odurusa, guarda l’arberi cchjiù auti: muticati d’ù viantu parica danzanu ‘nu ballu anticu d’amuri e sincerità. ‘Nchjiana alla Cabella e ‘ncontra a Ssanta Rita; ti sta ashpittandu San Giuanni continua ppi Acquadauzanu, ccà fhermati ‘nt’a chjiazza e guarda u panorama: ‘a chjiana ‘i Lamezzia e lu golfu ‘i Santa ‘Fhemia in luntananza e lli casi ‘i Sambiasi: ‘unn puanu ‘i paroli dishcriviri tuttu ‘stu criatu! Saglji ‘n’atra vota: Carìa, e ppua Santu Mazziu ma nun jjiri avanti, fhacimu ‘n’atra strata. Scindimu ‘nt’a valli d’u fhjiummi d’i Vagni e ‘ncuntramu ‘i picoli fhrazioni: Tilara, Schieno Vieste, ‘i Valianzi, c’è puru Valli Ricciardu (Superiori e Inferiori) ma nua ni fhirmamu ‘nu muarzu alla Serra d’a Castagna: ‘unn bbidi ‘u mari di ‘sti posti ma sulu vuashchi, arberi ‘i nuci, piadi ‘i castagna e cerzi siculari. S’aviti siti, fhuntani d’acqua fhrishca e surgivi muntani ‘ndi truvati a cintinara. ‘Nta ‘sti zzoni cci su ormai cchjiù casi cà pirzuni: su’ casicelli picciuli, senza pritesi e ormai tutti sdirrupati. Quanti sacrifhici si fhacianu ‘na vota, quandu s’allivavanu l’animali e llu zappuni civava lli cristiani. Scindimu ancora, passamu ppi Cantarelli Lamezia e non solo

e ppua alla Miggljirina, ‘nduvi c’è ‘n’anticu mulinu e ‘nduvi s’incontranu i torrenti Carìa e Carpinà fhormandu ‘u fhjiummi d’i Vagni. ‘Stu fhjiummi, prima mm’arriva a mmari, passa allu cantu d’a gurna ‘i Caronti, ‘n’acqua antica e assai miraculusa, cumu cantau puru Butera, ma ‘i llà nua ‘unn cci jamu e ‘nchjianamu allu Mituaiu.

alla casa sua. Poveru emigranti, c’ha jutu ‘nt’i ‘bbarracchi d’i pollai d’Europa, tu ca si’ lli vrazza, l’ugna, ‘u suduri ‘i stu mundu, tu ca quand’è stata ura, l’ha salutata ‘sta terra ma mmai t’ha shcurdatu ‘a casa tua e ogni nnotti ciangivi e prigavi ppi l’amuri ‘i mammata luntana.

‘Nta ‘st’arberi antichi, cà dezeru a pece ppi lli navi di romani e llu legnami ppi San Piatru in Vaticanu, ci su lli riasti di antichi monasteri appartenuti alli bizantini: i Quaranta Santi Martiri e Santu Costantinu. Ma ‘ntra ‘sti vuashchi di Mituaiu e da ‘a Difhisa ‘unn ci fhozeru sulu santi ma puru briganti, e chisà quanti atri muarti ammazzati.

Pua, allu cantu, in linea d’aria, c’è Santu Minà, ‘nduvi ‘nta ‘i grutti truvarunu reperti ‘i l’età d’u bronzu e ‘nduvi, ‘nu pocu cchjiù sutta, ‘nu suannu ormai millenariu, tra arberi e cispuglji, dormi ‘a ghjìasicella bizantina ‘i Sant’Ermia.

Sagljinadu e ‘nchjianandu arrivamu ad Acquafhridda: longa e stritta, casa d’a Madonna d’u Miraculu beneditta. I strati su’ shpari ma portanu ‘u numi d’i vìanti; ma ‘u cchjiù ‘mpurtanti i tutti è llu viantu d’a storia ca ‘sti terri ssempri ha ‘nteressatu. ‘Ntra ‘na collinetta, truvarunu ‘nu saccariallu chjinu chjinu di moneti antichi appartenuti all’antica Sibari, di duamilaecinqueciantu anni fha. ‘Sta collinetta ha chjiamu “’u colli ‘i l’infinitu” picchì ‘i ccà, ‘u golfu ‘i Santa ‘Fhemia, ca prima pocu pocu e ppua ‘unn bbidìamu ‘i nenti, ‘u vidimu paru paru, ‘i Capu Suveru ‘nzin’a Zambroni. ‘Na tela paru llu cìalu ‘i l’orizzonti e llu shguardu ‘ncontr’all’isoli Eolie e puru l’Etna certi voti e pua si perdi ‘nta l’infinitu. Si vua vidiri ‘u golfu ‘nu pocu cchjiù bbicinu scindi allu Vonìu, ccà c’è moni ‘na piazzetta fhatta fhari ‘i ‘n’americanu ca ‘u corpu l’ha purtatu luntanu, ortrioceanu, ma ‘u cori l’ha lassatu ccà,

‘U fhjiummi ‘i Zinnavu dividi ‘i comuni ‘i Jazzarìa e ddi Lamezia, e ‘na vota dividìa ‘i terreni d’i Longobardi e d’i Bizantini. Su’nfatti bizantini: Santu Sideru, San Filippu, Sant’Ermia – gghjiasa e località – Santi Quaranta Martiri, i ruderi di San Piatru e Santa Trada, Sant’Elia, San Costantinu e ppua Santa Venere, Santa Sofia e Santu Nicola e llu stessu San Biagio: Sancti Blasii di Sambiasi (e mintimuci puru Santa Fhemia). E ‘ddammu vi pinzati cà su’ ffiniti ‘i muntagni d’u sambiasinu, ca ci su’ Bucolia, ‘u Crozzanu, Santa Maria e Chjianu Luppinu. Quanta storia è passata d’u paisi nuatru, quanta storia è passata d’i muntagni nostri, ‘a storia randi ma puru ‘i storii picciuli, d’a ggenti normali, di ggenti ca fhatiga, ca ‘zzappa, ca vindigna, c’ammazza ‘llu puarcu e ffà sazizza, capiccolla e vucchjjiulari, di contadini, di ggenti d’a terra, di ggenti ca, si puru teninu ‘a parrata ‘nu pocu diversa, sanu ca ci sarà sempri occasioni d’incontru u marti allu mercatu a Sambiasi (o a Sammiase).

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L’amicizia..

Non posso darti soluzioni per tutti i problemi della vita, Non ho risposte per i tuoi dubbi o timori, però posso ascoltarli e dividerli con te. Non posso cambiare né il tuo passato né il tuo futuro, però quando serve starò vicino a te. Non posso evitarti di precipitare, solamente posso offrirti la mia mano perché ti sostenga e non cada. La tua allegria, il tuo successo e il tuo trionfo non sono i miei, però gioisco sinceramente quando ti vedo felice. Non giudico le decisioni che prendi nella vita, mi limito ad appoggiarti, a stimolarti e aiutarti se me lo chiedi. Non posso tracciare limiti dentro i quali devi muoverti, però posso offrirti lo spazio necessario per crescere. Non posso evitare la tua sofferenza, quando qualche pena ti tocca il cuore,

però posso piangere con te e raccogliere i pezzi per rimetterlo a nuovo. Non posso dirti né cosa sei né cosa devi essere, solamente posso volerti come sei ed essere tua amica. In questo giorno pensavo a qualcuno che mi fosse amica, in quel momento sei apparsa tu… Non sei né sopra né sotto né in mezzo, non sei né in testa né alla fine della lista. Non sei né il numero uno né il numero finale e tanto meno ho la pretesa di essere io il primo, il secondo o il terzo della tua lista. Basta che tu mi voglia come amica. Poi ho capito che siamo veramente amici. Ho fatto quello che farebbe qualsiasi amica: ho pregato e ho ringraziato Dio per te. Grazie per essermi amica.

Poema dell’amicizia attribuito a Jorge Luis Borges.

La vita è fatta di momenti... momenti che segnano la tua vita, momenti, momenti felici e tristi, momenti legati all’amore, alla serenità, all’amicizia, alla famiglia, alla religione, momenti che ti fanno piangere e che ti fanno sorridere e ci sono poi i momenti che ti sorprendono e che ti regalano quegli attimi di gioia nella loro semplicità! Ricevere dalla mia amica Ippolita Lo Russo Torchia una pergamena arrotolata con questa poesia e questo biglietto è stato un momento sorprendentemente bello, forse perchè inaspettato, forse perchè arrivato al momento giusto per regalarmi quel sorriso. Eh sì, perchè le vere amicizie sono fatte anche di questo, di quelle strane alchimie che ti portano a fare quel determinato gesto in quel determinato momento per cui... Grazie Ippolita, grazie con il cuore per questo gesto ricco di un affetto sincero che da 30 anni circa ci vede “amiche” ma non amiche di facciata, amiche vere, che non hanno bisogno d’altro che di questi piccoli gesti per dire “io ci sono e ci sarò sempre”. Dovremmo farlo spesso: dire grazie, ti voglio bene, mi manchi, dirlo alle persone che ci stanno a cuore, sono gesti naturali che, se adottati, rendono felice chi li fa e chi ha la fortuna di goderne. Nella pag. 24

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