Lameziaenonsolo agosto-settembre 2018 incontra Salvatore Perri

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Lamezia e non solo

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Lameziaenonsolo incontra

Via del Progresso -

Salvatore Perri

Lamezia Terme • 0968.21844

NELLE LIBRERIE, NELLE EDICOLE, per info: 333 5300414

Una intervista particolare questa, una intervista che pare essere circondata da un che di arcano, tanti eventi, apparentemente separati fra di loro si sono poi ricomposti per formare tanti quadri, tante scene, separate da sipari. Tonino era venuto in tipografia per tutt’altro motivo ma c’era lì presente uno scrittore, si parlava del libro che stava per essere stampato, della sua presentazione e lui disse che anche lui aveva scritto un libro e che era pronto per essere stampato. Tornò, portò il libro, si inziò la ruoitine che precede la stampa del libro, impaginazione, correzione delle bozze e tanto altro. Si parlava poi della presentazione del libro che poi alla fine, nonostante tutto, è avvenuta proprio come lui la immaginava, strano sì ma vero, verissimo!

Ciao Salvatore ci ritroviamo a fare questa intervista solo con te mentre avrebbe dovuto essere una intervista a … due voci. Parliamo un po’ di quello che è successo e poi ci dedicheremo solo a te.

ISBN 978-88-943125-0-8

€ 10

€ 10 9 788894 312508

Semi di memoria di una famiglia

Filippo D’Andrea –

Ha pubblicato i seguenti libri:

Chiesa Italiana e Mezzogiorno (1991); San Francesco di Paola. Asceta Sociale (1994); Il matrimonio e la famiglia (1995); La formazione sociale e politica nell’Italia Meridionale (1996); Pensieri di un Pastore (1997); Un testimone nel quotidiano. Gianni Renda (1998); Padre Luigi Allevato ed il suo impegno di evangelizzazione (1999); Città per l’uomo. Esperienze e speranze in una splendida e difficile città del Sud: Lamezia Terme (2000); Il matrimonio e la famiglia (2001, 2a ediz. ampliata ed aggiornata); Giovanni Paolo II alla Calabria (2005); I frati minimi a Sambiase (2006); Giovanni De Sensi. Sindaco di Lamezia Terme (2006); Un vescovo e la fedeltà a Dio e all’uomo (2007); Il gioco delle parti. Raffaele Talarico (2009); Eremita Viandante; Laicità e contemporaneità di san Francesco di Paola (2009); Sotto il cielo di Calabria. Memorie di futuro di otto personalità lametine (2012); All’imbrunire. Poesie, preghiere e canzoni (2014); Pensieri della piccole cose. Spiritualità dell’essenziale (2015); Passo dopo passo. Al margine dell’esistenza (2016); Francesco di Paola. Il santo dell’essenziale (2016); Appeso alla luna. Orme filosofiche (2017); Franco Costabile. I tumulti interiori di un poeta del sud (2017); I filosofi lametini. Francesco Fiorentino, Oreste Borrello, Basilio Sposato (2017); Centopoesie. Filosofia e spiritualità (2017); Briciole di senso. Tra filosofia e teologia (2017); Mons. Francesco Maiolo. Sacerdozio, cultura, carità. Tra solidità della Tradizione e prudenza nell’innovazione (in corso di stampa); La gente di Dio (in corso di pubblicazione).

D’a Cista d’u Ciucciu

Filippo D’Andrea

Lauree in Filosofia e Sacra Teologia, specializzazioni in Filosofia, Storia, Psicologia, Pedagogia e Teologia Catechetica; Filosofo consulente; membro della S.F.I. e dell’A.T.I.. Collabora all’Istituto di Storia del Cristianesimo della PFTIM; scrive su: “Prospettiva Persona”. “Bollettino della Società Filosofica Italiana”, “Rassegna di Teologia”, “Itinerarium”, “Vivarium”, “Rogerius”, ecc. Il 1992 ha fondato e dirige il Cenacolo Filosofico di Lamezia Terme e da oltre trent’anni svolge conferenze in ambienti culturali, sociali, scolastici e religiosi.

del Sud delle terre e dell’emigrazione

Tra le sue pubblicazioni: Chiesa e questione meridionale (1991), Francesco di Paola. Asceta Sociale (1994), Il matrimonio e la famiglia (1995), La formazione sociale e politica nella realtà meridionale. Percorsi culturali (1996), Pensieri di un pastore (1997), Un testimone nel quotidiano. Gianni Renda (1998), Jacques Maritain tra filosofia e teologia (1999); Meridionalismo e Federalismo (1999), Città per l’uomo: Esperienze e speranze in una splendida e difficile città del Sud: Lamezia Terme (2000), Padre Luigi Allevato ed il suo impegno di evangelizzazione (2003), Giovanni Paolo II alla Calabria. Parole di speranza alla società e ai cristiani calabresi (2005), Giovanni De Sensi. Sindaco di Lamezia Terme dal 1978 al 1981 (2006), I frati minimi a Sambiase (2006), Un vescovo e la fedeltà a Dio e all’uomo. Mons. Vincenzo Rimedio (2007), Il giuoco delle parti. La scrittura e l’arte di Raffaele Talarico (2009), Eremita viandante. Laicità e contemporaneità in san Francesco di Paola (2009), Sotto il cielo di Calabria. Memorie di futuro in otto personalità lametine (2012), All’imbrunire. Poesie, pensieri, canzoni (2014), Pensieri della piccole cose. Spiritualità dell’essenziale (2015), Passo dopo passo. Al margine dell’esistenza (2017), Francesco di Paola. Il santo dell’essenziale (2016), Appeso alla luna. Orme filosofiche (2017), I filosofi lametini. Francesco Fiorentino, Oreste Borrello, Basilio Sposato (2017), Centopoesie. Filosofia e spiritualità (2017), “Da’ cista du ciucciu”. Semi di memoria di una famiglia del Sud delle terre e dell’emigrazione (2018), Mons. Francesco Maiolo. Sacerdozio, cultura, carità. Tra solidità della Tradizione e prudenza nell’innovazione (2018), Franco Costabile. I tumulti interiori di un poeta del Sud (2018); La gente di Dio (in corso di pubblicazione), Stille di senso. Tra filosofia e teologia (in corso di pubblicazione).

F i l i p p o D ’A n d r e a

Tutto Torna Poesie contemplative, Aneddoti di senso, Pensieri sapienziali

Filippo D’Andrea • Tutto Torna

D’a Cista d’u Ciucciu

Filippo D’Andrea è Filosofo consulente (Master di II Livello all’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”); Lauree in Filosofia (Università degli Studi della Calabria) e membro della S.F.I., ed in Sacra Teologia (Università Pontificia Salesiana) e membro dell’A.T.I.; Specializzazioni in Storia, Psicologia, Pedagogia, Filosofia e Teologia Catechetica. Collabora con l’Istituto di Storia del Cristianesimo della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale. Scrive su: Prospettiva Persona, Bollettino della Società Filosofica Italiana, Rassegna di Teologia, Itinerarium, Vivarium, Rogerius, ecc. Il 1992 ha fondato “Il Cenacolo Filosofico” di Lamezia Terme, e da oltre 30 anni svolge conferenze in ambienti culturali, sociali, scolastici e religiosi.

per pratiche filosofiche

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Filippo D’Andrea

Sul filo della memoria l’autore porta alla luce tanti episodi che offrono insieme la trama di un vissuto fortemente radicato nel cuore e nella mente (…). Trascorrono come in una sequenza fotografica e filmica i personaggi di questo affresco virtuale di una umanità reale (…). Il racconto tutto ti prende, ti affascina, la lettura ti coinvolge” (dalla premessa di Luciana Parlati). Con naturalezza e forza espressiva Filippo D’Andrea ci presenta tanti personaggi che, su scenari sempre cangianti, compongono un mosaico relazionale complesso (…). L’intelligente tessitura letteraria data dall’autore al racconto fa sì che i personaggi sorgano dal testo con la loro pregnante umanità (…). Chissà che con questa metafora dell’esistenza Filippo D’Andrea non voglia indicarci/consigliarci un itinerario interiore dare Umanità all’uomo” (dalla Prefazione di Domenico Enrico Mete).

Dal 2017 svolge Consulenza Filosofica nelle scuole ed al Sistema Bibliotecario Lametino-Caffè Letterario “Chiostro san Domenico” di Lamezia Terme.

€ 12,00

by Giuseppe D’Andrea Via del Progresso - Lamezia Terme

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13,00 €

Saggio in appendice:

Pratica filosofica e significazione sapienziale dell’esistenza

pag. 281

Tonino Perri e Salvatore Perri jr

Petali di memorie Se un giorno moriremo, padre mio, saremo felici di aver bevuto, insieme, allo stesso calice; di aver fatto qualcosa, noi due soli, che valeva la pena di fare.

€ 1,00

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Nella Fragale

La morte di tuo padre è avvenuta in un momento particolarissimo della “vostra” vita, ce ne vuoi parlare? Mio padre ha intrapreso il suo ultimo viaggio terreno all’alba di un incontro importante, quello mio e suo. Di noi che, dopo anni trascorsi a vagare, ci saremmo ritrovati adulti, lontani dalle ingiustizie e le maldicenze, ci saremmo guardati negli occhi e avremmo pianificato la conquista del mondo, e di tutto l’universo. Il rapporto con tuo padre è stato molto sofferto, c’è qualcosa che gli rimproveri e che magari ti rimproveri pure per questo rapporto contrastato? Ma d’altronde ogni grande sentimento si accompagna a grande tensione. E’ difficile percepire il tempo concretamente, quando si pensa di averne in quantità infinita; Rimprovero a mio padre il tempo preclusomi. E rimprovero a me stesso il tempo sprecato nel tentativo d’odiarlo. L’Amore ha un potere sconfinato ed assoluto, ma come ogni incantesimo è necessario si manifesti attraverso la parola. La mancanza di comunicazione ha ucciso la Magia, prima che si compisse. E per me, che alle parole ho votato tutta la mia vita, questo rappresenta un imperdonabile fallimento. Ed invece c’è qualcosa che vorresti

dirgli, confessargli e che non hai avuto il tempo di fare prima? Avrei voluto confessargli che nel riflesso del mio specchio, rivedo il suo essere in ogni mio gesto, in ogni difetto della mia pelle, nei miei capelli fini, i fianchi pronunciati, le spalle importanti, il portamento barocco e i manierismi talvolta invisibili, che lo hanno reso un uomo di irresistibile bellezza. Da leggersi, bellezza del corpo e dell’anima. Ma anche nei modi arroganti, le battaglie fantasma alle navi pirata, ai predatori d’ogni giorno. Un modo discreto di soffrire tipico di chi non appartiene a questo mondo. Si può dire che questo, per la tua giovane età, è stato il primo, grande, dolore, ma cosa è il dolore per Salvatore? Per Salvatore il dolore è confrontarsi con le bruttezze della vita terrena. L’ambire ai piani più alti dell’Esistere, che si scontra con la violenza della gabbia sociale. E’ voler respirare sott’acqua come i pesci o volare come i falchi; il dolore è realizzare che io, Homo Sapiens, ho creduto d’aver conquistato il cielo, la terra ed il mare, ma sono difatti un granello di polvere, deriso dalla vastità delle cose tutte E cosa è il lutto per te e c’è un modo corretto di comportarsi per superarlo? ovviamente secondo il tuo punto di vista. Il lutto è un Matrimonio: una promessa formale. E secondo questo paradigma, il modo migliore per elaborarlo, per “farlo funzionare”, è imparare l’arte del compromesso. Nel mio caso, lasciare che

il dolore mi comprometta. Che si insidi nelle cose di ogni giorno, che mi tormenti, mi riempi, mi svuoti, mi parli, e infine mi dia tregua. Io, furbamente, chiamo il mio dolore Poesia. Così sembra meno brutto, e mi fa credere di poterne fare ciò che voglio. Non so se tu sia credente o meno, ma in questi giorni hai cercato consolazione della religione? Ho cercato consolazione nella Verità delle cose: un bicchiere di vino, una sigaretta, un bacio. Niente tramonti, che non sono il tipo. Ma tante albe, quelle sì; mi danno l’idea della rinascita, della tregua dell’anima (mia ambizione primaria al momento). Alcuni sostengono di parlare con i loro morti, di chiedere loro consigli, di raccontare loro gioie e dolori, anche per te è così? Il mio rapporto con il concetto di “Aldilà” è decisamente peculiare. Credo fermamente nella possibilità di comunicare con i trapassati. Cari e non. Mio padre si è già manifestato a me più volte, operando attraverso i segni, momenti di profondo contatto mistico e spirituale. Mi servo di due occhi per “guardare”, e di un terzo occhio per “vedere”. Si dice che “per essere amati in eterno bisogna morire per primi”, questa frase rispecchia tuo padre? Sì, direi che lo rispecchia. Ma credo che “Veni, Vidi, Vici!” sia più adeguata.

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Tornando alla presentazione, mentre lavoravamo sul libro con tuo padre parlavamo di questo giorno e lui lo immaginava proprio così, come una grande festa, con amici. Sicuramente non sarebbe rimasto deluso perchè pur essendo lui morto non è stata una presentazione triste, struggente piuttosto, per le varie testimonianze che vi sono state, la pensi anche tu così? Mio padre sosteneva di essere la reincarnazione di Pirandello e di Fantozzi. Contemporaneamente. Se avesse potuto scrivere il copione della presentazione, sarebbe stato esattamente così come è avvenuta. Vuoi parlarci del libro? Come è nata e cresciuta l’idea di questi sipari … Il libro era già nato e cresciuto nei racconti e resoconti. Nei dialoghi rubati. Nelle confidenze. Mio padre desiderava portare i suoi scritti in teatro. Tipo lui, su una sedia, a parlare dei fatti suoi e delle sue donne. Poi credo si sia reso conto che questo accadeva ogni giorno, in ogni posto affollato da lui frequentato. Insomma, lui al bar, ed i clienti che ignari divenivano pubblico. Pubblico attento e coinvolto, per altro; trasformare i ‘capitoli’ in ‘sipari’ era il modo più pratico ed intuitivo per rendere l’opera un infinito spettacolo. Ogni sipario scandisce momenti salienti della sua crescita, della sua ascesa, e del suo declino. I lettori, il ‘pubblico’, ha modo di immedesimarsi senza fretta, e

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di elaborare ogni sfumatura nei tempi e modi che preferisce. In breve, se questa opera lui l’avesse raccontata a voce, avrebbe urlato, gesticolato e divagato, confuso e scioccato. L’idea dei sipari è sì una metafora profonda dell’esistenza intesa come un copione recitato da attori, ma ancor prima è una trovata geniale per domare il chaos di mio padre senza rinunciare al manierismo letterario. La parola morte ricorre spesso nel libro, tuo padre ne aveva paura? Nell’intimità dei suoi pensieri, probabilmente mio padre riconosceva alla Morte un ruolo severo e terribile. Ma sono certo non l’abbia mai temuta. Lui ha scritto sempre e solo di cose che ha visto e toccato da vicino, e che conosceva intimamente. Mio padre è morto più volte nel corso della sua vita. Ma è rinato sempre, spavaldo. Se potesse descrivere la sua dipartita, probabilmente direbbe che non era poi così eclatante rispetto a come gliel’avevano descritta, e che aveva certamente visto di peggio. Se dovessi paragonare tuo padre ad un sentimento, quale sceglieresti? La Melanconia. Il paradosso della Bellezza di cui è gravida la tristezza. Un dolore così solenne da abbagliare la mente. Basta parlare di lui, tu eri al centro dei suoi pensieri in questo ultimo periodo, quindi parliamo di te, hai un nome d’arte

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Sirio, perchè hai scelto proprio il nome di una stella che è conosciuta per essere la stella più brillante del cielo notturno? Ho scelto Sirio perché richiama foneticamente il mio vero nome, Salvatore. Scelta guidata da un impeto di egocentrismo, misto a scaramanzia. Sai, le stelle muoiono, ma la loro luce viaggia attraverso i secoli, incantando. Nel mio piccolo ambisco all’immortalità. Ho deciso di partire dal nome. Io sono Sirio. Cosa è per te la musica? Christian Bobin scrive: ‘La musica, quello che è: respirazione. Marea, la lunga carezza di una mano di sabbia.’ Mi rivedo in queste parole. Durante la presentazione tu e Chiara Malvestiti avete cantato un brano stupendo, “Mutual Love”, parole tue, musica di Fabio Amurri. Un brano che ha avuto una standing ovation dai presenti, dimmi come nasce un brano? Le parole ti entrano nella testa e si compongono? La musica non nasce; essa esiste da sempre e per sempre in una dimensione a noi parallela, cui noi musicisti possiamo raramente accedere. Quando ciò accade, essa si serve della nostra forma umana per manifestarsi. In questo senso, noi musicisti non siamo che fantocci al servizio dell’Arte. O dei prescelti: a noi è data l’onorificenza di poter trasformare il Dolore e la Gioia in suoni ed immagini. Ma a noi non spetta

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nessun merito. “Mutual Love” esisteva in un anfratto della mia anima e ha deciso che fosse il momento di venire al mondo. Vuoi parlarci del tuo rapporto amichevole e di lavoro con Chiara e Fabio? Chiara e Fabio sono anime a me complementari. Insieme siamo Angeli e Diavoli. Fabio è un lupo che mi ha accolto nel suo branco. Chiara è una sirena. Io un pirata. Ho trascorso con loro alcuni fra

Registrate dei brani che pubblicate poi su youtube, ma fate anche serate? Concerti? “Mutual Love” vede me e loro protagonisti, ma in generale militiamo in progetti distinti. Fabio è il compositore, pianista e tastierista dei CRYSALYS, band marchigiana di cui Chiara è frontwoman. Parallelamente, Chiara è il soprano dei THERION, band svedese, nome leggendario nell’ambito del metal sinfonico, con cui gira il mondo portando in scena show di fattura eccelsa. In Ottobre canterò con i CRYSALYS in Olanda, per il concerto di debutto del loro nuovo album, sul quale ho registrato dei cori lirici e shakespiriani per il singolo “Moonlight Encounter”. Nel frattempo, ho iniziato la scrittura dei pezzi per il mio primo album dal titolo “Athlas”. Perchè hai scelto di andare a vivere a Londra? Da adolescente avevo il mito di Londra. Vivendoci, non è che abbia cambiato idea, però!

i momenti più belli della mia vita. Nelle Marche, loro terra natia. Poi Roma. E la Calabria... Essere distanti gli uni dagli altri mi causa profonda tristezza ma conferiscono solennità e bellezza ad ogni nostro incontro.

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Non si può pensare a Londra senza pensare dalla Regina, ma tu cosa ne pensi di questa vegliarda che resta attaccata alla corona e non vuole cederla al figlio Carlo? La Regina Elisabetta è una creatura leggendaria che sostengo non sia destinata

a perire. Al suo posto, nella certezza di essere immortale, terrei anch’io stretta la mia corona. Il rapporto con i londinesi come è? Alcuni fra i miei più cari amici sono Inglesi. La persona di cui sono innamorato è Inglese. Le persone che più di tutte hanno contribuito alla mia formazione artistica, le ho incontrate in Inghilterra. Diciamo che posso chiudere un occhio su alcune oscenità che, ahimé, ricorrono qui, tipo il ketchup sulla pasta. Senti spesso la nostalgia della tua terra? Sono innamorato della mia Terra. A volte guardo le foto del mio Mare e piango. Amo la Calabria, il sud, l’Italia tutta. La terra del bel canto, del buon cibo, del sesso fatto con Arte. Del resto non mi interessa granché. Io sono un esteta, non un politico. Una tua giornata tipo, descrivicela La mia giornata è scandita essenzialmente dalla scelta dei pasti. Il mio amore per la cucina è incondizionato, incorruttibile e sconsiderato. Gran parte del mio quotidiano è speso ai fornelli. Il background multietnico di Londra mi regala opzioni diverse ogni giorno. Posso esplorare i cibi e le tradizioni di qualunque cultura. È come fare un giro del mondo, spostandoti a soli 10 minuti da casa. Mi e già venuta fame! Evidentemente hai un buon metabolismo, Per essere sempre ai fornelli hai un fisico invidiabile! Ti piace leggere? un autore

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che, magari, per te è fonte di ispirazione? Virginia Woolf e Walt Whitman sono anime che sento a me complementari. Il loro modo di tessere parole ed immagini mi ha sedotto sin da bambino e tutt’oggi ne sono ancora innamorato. In particolare, di V. Woolf ho amato l’Anarchia della parola e dell’immaginazione, la frattura di ogni schema predisposto dalla società patriarcale in cui era imprigionata. E il morire per amore; Whitman è invece, contemporaneamente, trasgressivo e trascendentale. Racconta di magia, passione, sesso, ribellione. È un ragazzaccio. Questi due autori saziano la mia fame di luce e d’ombre. E’ tutto ciò che si trova in mezzo. Sei giovanissimo e sei un ragazzo sensibilissimo, dote rara oggigiorno, ma che bambino sei stato? Sono stato bambino per breve tempo; aver imparato a leggere e scrivere, presto e con cognizione, mi ha catapultato in un mondo di sogni bellissimi e incubi terribili: il mondo degli adulti. Ero un’anima antichissima nel corpo di infante, esiliato fra i libri, gli atlanti, i dizionari, attraverso cui interpretavo la vita ed i suoi codici. Sono cresciuto accompagnato da tormenti e dolcezza, ma amando la vita con passione. Avidamente. Il rapporto con tuo padre non era dei più felici e con tua madre? Il rapporto come è? Siamo cane e gatto. Il giorno e la notte. Sappiamo come ferirci mortalmente e riportarci in vita in un battito di ciglia. Mia madre è l’unico essere umano di cui mi fido e per il quale morirei. Per Salvatore l’amore cosa è? Scrive Isabella Santacroce: “L’amore è questo: un cuore che ringhia. Tutto l’amore, anche quello dolcissimo, quello vero che è eterno, pronto a morire per salvare chi ama, è un cuore che ringhia.” La maggior parte dei nostri intervistati sono adulti, a volte chiedo loro se hanno “ancora” un sogno nel cassetto, a te ometto la parola ancora e ti chiedo, quale è il tuo sogno nel cassetto? Sono una persona vergognosamente scaramantica, ragion per cui non ti

rivelerò in questa sede il mio sogno nel cassetto. Posso però dirti che più che di un sogno, si tratta di un progetto, e sono già a lavoro per la sua realizzazione. Ho letto da qualche parte che “gli errori, le sconfitte possono essere fonti di grandi e importanti lezioni, perché chi non sbaglia, vuol dire che non fa e non agisce”, sei d’accordo o ritieni gli errori frutto di inettitudine? Gli errori sono la testimonianza più valida della vulnerabilità della nostra natura umana. ci accomunano in quanto esseri umani e hanno un valore antropologico e spirituale di fondamentale importanza. Ambendo però alla divinità, io cerco di commetterne il meno possibile. La domanda che chiude tutte le interviste, alla Marzullo, la domanda che non ti ho fatto e che avresti voluto ti facessi … Fatti la domanda, dacci la risposta “Cosa consigli ai tuoi concittadini lametini?” Di perdersi meno in chiacchiere inutili e preservarsi da pettegolezzi e sotterfugi di ogni sorta. Di usare i social media in maniera responsabile, supportare i concittadini che promuovono all’estero un’immagine positiva. Di ascoltare la musica, leggere i libri, rispettare le donne, ascoltare gli uomini, amare gli animali. Votarsi alla Bellezza. E, così salvarsi.” Concludo questa intervista tornando a ripetere che in sè ha avuto qualcosa di “magico” la pubblicazione si questo libro e tutto ciò che ne è seguito. E’ iniziato tutto da un incontro. Tutto è continuato con altri incontri, con telefonate, con progetti. Tante le speranze che Tonino riponeva in questo libro perchè rappresentava il “ritrovato rapporto” con un figlio che amava ma con il quale aveva avuto un rapporto contrastato. Non faceva che parlare di lui, di Salvatore, e si commuoveva leggendo le lettere che il figlio gli scriveva. Poi la morte improvvisa a fermare tutto e, quando sembrava che tutto dovesse rimanere incompiuto, tutto è ricominciato, parenti ed amici si sono mossi e, su tutti, Enzo Trapuzzano, suo amico di sempre, amico del quale parlava di continuo, sua spalla

sulla quale piangere, sua casa nella quale riposare, ed il libro ha ripreso il suo percorso, Enzo e Salvatore hanno portato a compimento quel che si era fermato con la morte. E tutto è avvenuto come lui sognava, con musica, con il figlio e tanti, tanti parenti ed amici a rendergli omaggio. Avrebbe dovuto essere anche lui il protagonista di questa intervista ma, siamo certi che non ci sia stato? Accanto a me e Salvatore, a suggerire domande e risposte. Salvatore, che ho conosciuto da poco, è un ragazzo dolcissimo, sensibile come solo pochi sanno essere. Nonostante sia imponente, alto, con una folta barba, (sembra più grande dei suoi 24 anni), è fragile, di quella fragilità che è propria dei giovani, specie di coloro che con i genitori hanno un rapporto di amore-odio come quello fra Salvatore e Tonino. E’ un artista Salvatore, di grande talento e speriamo che brilli nel firmamento, che brilli come la stella della quale ha scelto il nome: Sirio. La morte del padre lo ha colpito in modo particolarmente duro perchè si stavano ritrovando e, come ha avuto modo di dire, è stato quando è tornato a Londra, quando si è ritrovato ad aspettare la telefonata che ogni sera il padre gli faceva, quando ha realizzato che non sarebbe arrivata nè quella sera e nemmeno mai più, è stato in quel momento che è scoppiato in un pianto dirotto e, forse, liberatorio. Purtroppo la morte non ci dà il preavviso, arriva anche se non sei pronto, colpisce a tradimento perchè mette la parola fine ai progetti ed alle infinite cose che avrebbero voluto fare insieme ora che si erano ritrovati. A lui dedico una frase di Charles Bukowski:”L’anima libera è rara, ma quando la vedi la riconosci, soprattutto perché provi un senso di benessere quando le sei vicino”, perchè è questo che ho percepito parlando con lui, così giovane eppure così maturo. Un’anima libera, capace di esprimere i propri sentimenti con una semplicità disarmante anche quando sono difficili da recepire per chi li ascolta. Gli auguro tutta la felicità che merita, quella che il padre avrebbe voluto per lui. Salvatore, tuo padre Tonino è invisibile ora, ma non è assente, è dietro quel quinto sipario, pronto a dirigere la scena, lo vedi anche tu, vero?

Accade a Lamezia

Festa San Minà Anche quest’anno, il 17 agosto, si è tenuta la festa in onore della Madonna Addolorata della Pietra Santa che coinvolge tutte le frazioni periferiche dell’ex Comune di Sambiase (San Minà, Sorbello, Sant’Ermia, Zinnavo, Carrello, San Sidero) appartenenti alla “Parrocchia dei Santi Quaranta Martiri” guidata in modo egregio dal Parroco Don Gianluca Taverna. Questa ricorrenza trae origine dal racconto del sig. Carlo Cimino ai suoi nipoti che da giovane, percorrendo un sentiero boschivo, si trovò davanti una figura celestiale che emanava una forte luce: la Madonna. Successivamente, dalla collaborazione dei tre nipoti Pierino Raffaele, Carlo e Giulio, ciò che era nei desideri del nonno diviene realtà poiché proprio nei pressi della pietra su cui apparve la Madonna viene realizzata una grotta. Da quel momento viene venerata e festeggiata la Madonna Addolorata e, in particolare negli ultimi anni, grazie all’impegno del Consiglio Pastorale e del Parroco e alla collaborazione di tutta la popolazione

Le perle di Ciccio Scalise I vigniari Lamitini tutti, ppi stipari u mustu, fhacianu fhari i vutti, i megli eranu i roveri, lignu prigiatu e rraru, mà, un ssù putianu pirmettari, custava ccaru

I

Allura alla castagna si ricurria, si circava bbella stagiunata mù si fhacia, nnà vutti bbella, sanizza e ngarbata, mù un ppirdia, quandu chjina, vinia usata. Quanta fhatiga e qquanta mastria, ppi ffari na vutti ccì vulia, i dughi, i circhji, i timpagni, ogni ccosa numirata, ppi qquandu fhurnuta, ntrè magazzini vinia armata. Na vota fhurnuta, fhuacu d’intra si cci’appizzava, accussi u lignu, mianzu abbrittatu, un sbumbicava, pua unu, dà purtella, ccù nnù scupulu ccì trasia, a pulizzava bbella bella e ssì linchjia.

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la festa ha raggiunto dimensioni notevoli. I festeggiamenti prendono il via con la consueta processione che riguarda tutte le frazioni e proseguono con la fiaccolata che parte da Zinnavo (nei pressi dell’abitazione del sig. Carlo Cimino e dei suoi nipoti) e si conclude presso il campetto interfrazionale realizzato dai ragazzi del posto. Ad allietare la serata è stata la musica del Maestro Antonio Fazio che ha accompagnato la splendida voce di Alina Caruso, due dei maggiori esponenti musicali del lametino e non solo. Il Consiglio Pastorale, nella persona del Parroco Don Gianluca Taverna, ringrazia tutti coloro che hanno contribuito alla riuscita dell’evento.Il Parroco Don Gianulca Taverna, il Consiglio Pastorale

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V U T T I

A capacità da vutti a ssarmi si misurava, mà, tra vinu e mmustu, a misura cambiava, mpatti, di mustu, duaciantuquaranta litri ndì trasia, di vinu, duaciantusidici. u 10% i menu, ndì niscia. Nù rubinittiallu autu supra u timpagnu, ccì vinia mbitatu, ppi ppruvarì u vinu cunVera, s’era mmaturatu, di llà, u cummircianti, menzu bbicchiari linchjia, e llù sguazzariava ppi bbidiri si a scuma si ndì jia. Sì a scuma supra u vinu ristava, vulia ddiri ca u vinu jia all’acitu, si guastava si mbeci, subbitu dopu sguazzatu, sparia, chillu vinu era ssanizzu e ssi mantinia. Mi ricuardu na vota chi a scuma un ssì ndì jiu, u cummircianti dissi, “O ti ndì và tu o mi ndì vajiu iu!”.

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AGIRE SUBITO PER L’ADEGUAMENTO SISMICO DI TUTTI GLI EDIFICI SCOLASTICI ACCERTATI VULNERABILI NELLE ZONE A RISCHIO ELEVATO Con l’inizio del nuovo anno scolastico e le aule piene di studenti si ripropone la necessità della messa in sicurezza degli edifici scolastici e della responsabilità dei Sindaci che tengono aperti edifici non rispondenti ai canoni tecnici antisismici. Responsabilità emersa con la sentenza n.190 di Gennaio 2018 della Sezione Penale della Corte di Cassazione. La sentenza stabilisce: <<i Sindaci non devono opporsi al sequestro delle scuole che, anche nelle zone a “basso rischio sismico”, sono a ipotetico rischio crollo seppure per un “minimo di scostamento dai parametri di edificazioni emanati nel 2008>> . In pratica, rispondono di omissione di atti ufficio i sindaci che non chiudono un edificio scolastico senza i requisiti tecnici antisismici anche se l’immobile è situato in una zona a bassa pericolosità simica. Tra le necessità più urgenti, evidentemente, c’è l’adeguamento sismico delle migliaia di scuole ad alta vulnerabilità già censite nell’Italia centro-meridionale e in particolare in Calabria e nel lametino. Necessità che non può essere ignorata né sottovaluta nella regione col territorio a più elevata pericolosità sismica del Bel Paese, dove tutti i comuni sono stati classificati nelle due zone a maggiore pericolosità sismici; dove più di 1.500 edifici scolastici localizzati nei 261 comuni classificati nella Zona 1 più pericolosa e dove la vulnerabilità sismica di tantissime scuole è stata accertata già prima dell’introduzione delle più restrittive vigenti Norme Tecniche per le Costruzioni. L’inidoneità sismica dei vari edifici scolastici dei comuni calabresi è documentata ad incominciare dal 1999 nella “Graduatoria della Vulnerabilità” del noto e dettagliato “Rapporto Barberi” e nelle successive analisi e approfondimenti pubblicati nel 2005 in due volumi denominati "Inventario e vulnerabilità degli edifici pubblici e strategici dell'Italia centro-meridionale" e "Analisi di vulnerabilità e rischio sismico” dell’Istituto Nazionale di geofisica e Vulcanologia e Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti. Da questi documenti scientifici è emerso che: • il 74% degli edifici scolastici della regione è stato classificato a vulnerabilità alta e medio-alta; • 1.221 scuole sono state incluse nella classe ad alta vulnerabilità

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stati ammessi n. 141 interventi ed esclusi n. 186 interventi per un importo di euro 179.119.377,65. Tra

• 1.736 scuole sono state incluse nella classe a medio-alta vulnerabilità. È da ricordare che nei primi tre posti della Graduatoria degli edifici a più alta vulnerabilità del “rapporto Barberi” sono elencate tre scuole di Lamezia Terme. Documenti da riportare alla luce e che stimolano domande come: in quali di queste scuole sono stati realizzati i necessari lavori di adeguamento sismico? E quante scuole classificate vulnerabili continuano ad essere riempite da alunni e docenti senza essere state messe in sicurezza sismica? Le risposte a queste domande tardano ad arrivare sia da parte degli Uffici scolastici regionali e Ministero della Pubblica istruzione sia da parte dei comuni e delle province proprietari degli stessi Edifici scolastici. Così come si tarda a spiegare perché i Governi nazionali non hanno disposto la immediata messa in sicurezza sismica tutti gli edifici scolastici già accertati non idonei e vulnerabili nei documenti scientifici sopra citati. L’irresponsabile inerzia dei Governi nazionali, compreso l’attuale, emerge dai più recenti dati sul numero di scuole non antisismiche nella Regione: • 879 nella Provincia di Cosenza, • 514 nella Provincia di Reggio Calabria, • 466 nella Provincia di Catanzaro, • 263 nella Provincia di Catanzaro • 219 nella Provincia di Crotone. Solo di recente, un primo importante passo finalizzato alla messa in sicurezza ed all’adeguamento sismico dei primi 141 edifici scolastici della Calabria per un importo complessivo di € 218.320.609,63 è stato fatto dalla Regione attraverso un “Bando adeguamento sismico di edifici scolastici”. I dati del programma pubblicati sul sito web della stessa Regione Calabria rappresentano un segnale tangibile dell’impegno nel settore della sicurezza delle scuole. Dalla graduatoria di merito degli Enti Pubblici (Comuni, Province e Città Metropolitana) che hanno partecipato al Bando emerge che sono

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i 141 interventi ammessi nella graduatoria di merito, trovano immediata copertura finanziaria 91 interventi per un importo complessivo di circa € 117.000.000,00. I restanti 50 interventi ammessi in graduatoria, aventi un importo complessivo pari a circa € 100.000.000,00, trovano copertura finanziaria con parte delle risorse pari a circa € 119.000.000,00 assegnate dalla Legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Legge Finanziaria 2017). Per gli interventi esclusi è stato predisposto un successivo “Avviso pubblico finalizzato alla redazione del Piano Triennale 20182020 di interventi in materia di edilizia scolastica” per il quale la Regione ha programmato risorse finanziarie per l’adeguamento sismico degli edifici scolastici. In particolare, detti interventi verranno finanziati con le restanti risorse stanziate dalla Legge n. 232/2016 circa € 19.000.000,00, con le risorse della Legge Finanziaria 2018 circa € 105.000.000,00, con le risorse rinvenienti dalla Legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Legge Finanziaria 2003) circa € 25.000.000,00 e con le risorse PON 2014/2020 circa € 53.000.000,00, per un importo complessivo di circa € 202.000.000,00. Il programma della Regione pur rilevante e molto utile non è ben utilizzato da Comuni, Province e Enti proprietari degli Edifici Scolastici non antisismici. L’inadeguata attenzione nella predisposizione dei progetti di adeguamento degli edifici scolastici è sottolineata dalla stessa Regione con l’invito ad evitare le “inesattezze più volte riscontrate nella documentazione presentata dagli stessi Enti”. In proposito è da evidenziare che nelle più recenti graduatorie pubblicate nel giugno scorso tra le domande presentate per le cinque scuole di Lamezia Teme due sono state escluse e tre ammesse. In particolare sono state ammesse: la domanda presentata dal Comune di Lamezia Terme per i Plessi scolastici CZEE87401N) - PL. MAGGIORE PERRI IC PERRI- PI(CZIC87400G) - IC - PerriPitagora(CZAA87401C) - PL.PICCOLO PRINCIPE IC.PERRIPI; e le due domande presentate dalla Provincia di Catanzaro per la demolizione e ricostruzione dell’Edificio Scolastico T. Campanella di Contrada Cavallerizza e per l’Edificio Leonardo Da Vinci di Via Miceli. Come è da evidenziare che la gran parte delle scuole del lametino sono state costruite nel secolo scorso senza applicare le Norme Tecniche e sismiche in vigore dal 2008 e quindi, senza gli

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adeguamenti alle norme vigenti, non sono da considerare idonee a resistere a terremoti come quelli che hanno colpito lo stesso territorio lametino nel passato. ,Sulla inadeguata attenzione di alcuni Sindaci è da evidenziare, ad esempio, che tutti i cittadini dei comuni della regione non vengono adeguatamente informati su contenuti e aggiornamenti dei Piani di Protezione Civile comunali e non sono coinvolti nelle necessarie e continue attività di esercitazione da realizzare. È sempre più evidente dopo ogni terremoto che sapere cosa fare prima durante e dopo le scosse può salvare molte vite umane. E, in proposito, doveroso evidenziare che nel Piano di Protezione Civile di Lamezia nella Relazione/Scheda1 dell’elenco dei “Principali edifici di interesse pubblico” tra gli edifici scolastici mancano tutte le scuole superiori, Licei e Istituti tecnici e professionali. In pratica nell’elenco, che può essere letto collegandosi al sito web ufficiale del Comune, figurano soltanto 46 scuole mentre, in base all’anagrafe scolastica del MIUR, a Lamezia Terme sono elencate 66 scuole. E’ vero che non è possibile prevedere dove e quando avverrà il prossimo terremoto ma è da irresponsabili pensare che non ci saranno più scosse come le tante che nei secoli scorsi hanno già colpito tutti i comuni della Calabria. D’altra parte, nelle stesse scuole non mancano i libri con dati e testimonianze che documentano le distruzioni e i morti provocati in tutti i comuni calabresi da terremoti come quelli del 1638, del 1783, del 1905 e del 1908. Come non mancano le disponibilità per accedere ai dati dei più recenti studi e pubblicazioni scientifiche sull’assetto geodinamico e sui vari processi di evoluzione geologica in atto nel territorio calabrese. Dati utili per il recupero della memoria storica, la comprensione dei rischi ai quali si è esposti e l’agire per prevenire La storia e specificità dell’attività sismica della regione, l’accertata vulnerabilità di gran parte del patrimonio edilizio pubblico e il diffuso e grave degrado idrogeologico del territorio rendono necessario e urgente un programma organico per la messa in sicurezza con interventi di consolidamento e attività continue di informazione ed esercitazione in ogni contesto, dalle scuole ai luoghi di lavoro, dai singoli quartieri agli interi comuni per attrezzare i singoli cittadini e le comunità ad affrontare in sicurezza l’emergenza terremoto. Per non farsi cogliere impreparati e per ridurre al minimo gli effetti d’inevitabili eventi sismici, c’è l’evidente necessità di concreti interventi e attività di prevenzione da attuare prima degli eventi. Geologo Mario Pileggi del Consiglio Nazionale “Amici della Terra”

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Primo Salone del Libro di San Mango d’Aquino arrivati dalle diverse provincie calabresi. Luca Marrelli non ha dubbi: «sono felice di ospitare importanti esponenti della cultura regionale, non solo per il valore della loro presenza ma anche perché sono convinto che la cultura stessa sia il primo strumento di emancipazione civile di una comunità. Questo è Centodue autori, centoquarantanove titoli presenti, oltre cinquanta scrittori presenti all’apertura dell’evento. Questi sono i numeri della prima edizione del salone del libro degli autori calabresi, che si è tenuto a San Mango d’Aquino questa estate. Un appuntamento messo in piedi in appena un mese che però l’amministrazione comunale, guidata da Luca Marrelli, ha voluto fortemente ospitare. E’ stata davvero una bellissima esperienza che ha permesso all’organizzazione di toccare con mano il grande fermento culturale che anima la Calabria e che deve assolutamente essere diffuso sul nostro territorio in misura più consistente. E’ un mondo di uomini e donne che hanno partorito libri di altissimo valore letterario, saggi che scavano i problemi della regione e produzioni poetiche straordinarie. Non solo: abbiamo scoperto autori che sono anche pittori, scultori e musicisti. Tutto in una commistione artistica che, a volte, è capace di toccare punte commoventi. Abbiamo voluto far partire questa prima edizione con la presenza di Olimpio Talarico che, oltre ad essere uno scrittore affermato, è uno degli ideatori del premio Caccuri, ad oggi, l’evento culturale calabrese più conosciuto in Italia. Lo abbiamo voluto per testimoniare gratitudine ad una persona capace di dar vita ad un sogno che sembrava irrealizzabile. E Talarico ha voluto partire proprio da qui: «quello che sta accadendo a Caccuri è un

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segnale di straordinaria importanza: quattrocento persone iscritte all’accademia culturale del premio, centinaia di libri all’anno che vengono venduti e tanti incontri promossi con una grande partecipazione. Nonostante la vicinanza con realtà in cui la criminalità è forte, qui si respira un’aria di libertà che la cultura favorisce giorno dopo giorno. Bisogna, però, esser visionari». Un modo, insomma, per incoraggiare eventi come questi. La prima edizione abbiamo voluto farla partire anche con cinque menzioni speciali a personalità del mondo della cultura calabrese che hanno lasciato un segno o che costituiscono grandi speranze per il futuro. La prima è andata alla blogger Ippolita Luzzo «per aver dato voce, con estro e passione, ad una fetta importante della cultura calabrese». Quindi allo scrittore comparso Tonino Perri «per aver speso la sua vita al servizio dei più deboli, senza mai far venire meno l’amore per la cultura». Il terzo riconoscimento è stato assegnato a Gregorio Corigliano, storico volto della Rai Calabrese, «per aver conferito orgoglio e dignità alla professione del giornalista e per essere diventato punto di riferimento della cultura calabrese». Menzione anche a Nicola Cosentino «per essere diventato, giovanissimo, un protagonista del mondo culturale calabrese». Ultimo premiato Marcello Vitale, ex magistrato in prima linea contro il crimine organizzato e scrittore noto a livello nazionale: «per il coraggio e la dignità mostrata nell’esercizio della professione del Magistrato e per la grande sensibilità culturale riportata in una produzione letteraria di altissimo livello». Oltre al primo cittadino, hanno preso parte alla giornata il vicesindaco Franco Trunzo ed il presidente del consiglio comunale Luisa Fiorillo, che hanno accolto gli scrittori

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solo l’inizio». Un punto di partenza, insomma, che ha gettato le basi per un’edizione 2019 che speriamo riusciremo a riempire di contenuti all’altezza del valore degli autori calabresi.

Satirellando SATIRELLANDO

In tempi in cui conta solo l’arrivismo e non il valore, ci si ritrova ad osservare che la gente proceda, neppure in branchi (che avrebbero già idee discordanti, pur procedendo compatti), ma in greggi (in cui non è un capo o un buon pastore a guidare, ma l’unione che fa la forza, belando)… Urge, allora, una qualsiasi presa di coscienza, per accorgersi che… bisogna stare lontani: il belato, senza direttore d’orchestra è, inoltre, quanto mai stonato! AH, AH, AH! In tempi in cui conta solo l’arrivismo e non il valore, ci si ritrova ad osservare che la gente proceda, neppure in branchi (che avrebbero già idee discordanti, pur procedendo compatti), ma in greggi (in cui non è un capo o un buon pastore a guidare, ma l’unione che fa la forza, belando)… Urge, allora, una qualsiasi presa di coscienza, per accorgersi che… bisogna stare lontani: il belato, senza direttore d’orchestra è, inoltre, quanto mai stonato! AH, AH, AH!

Lungi dal gregge

Non si sa, non si sa perché, credon di saper tutto di te: piccole pulci scellerate, che il tempo ha decapitate! Chiuse nel loro recinto ristretto, incartapecorite da un cuore reietto: Lamezia e non solo

riconoscono solo attività di vaga, inutile, banalità! Se non ti adegui, fai caporetto, nel loro trito e ritrito concetto della vita, in cui, l’unico segnale, per essere davvero geniale,

è far quello che fa il gregge che ti consola, che ti protegge e nel recinto, con loro, belare, magari per farti… votare!

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governo della diocesi, era necessario far fronte a situazioni che richiedevano rigore, coraggio, scelte chiare, ma comprensibili a tutti…..<<La mia legge è la legge della Chiesa, proclamò e scrisse, ….io quella applicherò, e ad essa tutti dobbiamo sottostare…..>>

Il nostro territorio

Ricordando

Mons. Vittorio Moietta a 55 anni dalla morte

Il primo di aprile di quest’anno sono trascorsi 55 anni da quando – era il 1963 – mons. Vittorio Moietta, vescovo della Diocesi di Nicastro, ci ha lasciati per sempre. E’ passato oltre mezzo secolo. Fra cinque anni, nel 2023, ricorreranno cento anni dalla nascita (era nato, infatti, il 13 aprile 1913) ed anche 60 dalla morte e credo che, per quell’occasione, la Chiesa lametina ne dovrebbe prevedere, con una serie di iniziative, una degna rievocazione. Penso che il nuovo vescovo diocesano che, certamente, verrà a conoscenza della storia terrena, casalese e lametina, di questo immenso suo predecessore non si sottrarrà al gradito compito di ricordarne degnamente la vita e le attività pastorali, missionarie e religiose, con le iniziative che riterrà più appropriate ed opportune. Intanto mi preme registrare il seguente “miracolo” che si è verificato dal momento della sua scomparsa. Di altri pastori che hanno retto, degnamente e bene, la diocesi lametina, sia prima che dopo di Lui, non se ne ricorda spesso neanche il nome. Di mons. Moietta, che entrato in città in quell’indimenticabile pomeriggio del 24 aprile 1961, rimase in diocesi – tra assenza per malattia e per la partecipazione al Concilio Vaticano II – per poco più di un anno, si ricordano ancora oggi la figura, l’impostazione pastorale, il carisma, il servizio alle persone, l’amore per questa terra lametina, che il Signore gli aveva assegnato nel momento in cui lo aveva scelto per svolgervi il servizio episcopale. Poco più di un anno di permanenza, dunque; ma durante il quale nell’intero territorio lametino e diocesano si diffuse un fervore religioso così intenso, pervasivo, totale e fu realizzata una tale quantità di attività ed iniziative pastorali, eccellenti per qualità, che è difficile per chi non fu presente in quei momenti, non ha partecipato a qualcuna di esse e non ne è stato direttamente coinvolto, poter solamente immaginare il clima della straordinaria partecipazione dell’intera popolazione, credente e non, alla chiamata del “suo” Vescovo.

da far cedere a stati psichici d’insicurezza ed ansia, non implicava di dovere alterare o nascondere il proprio, normale modo di essere, il proprio comportamento; ma rendeva ciascuno sereno e in condizione di poter dire con semplicità e schiettezza ciò che pensava o di cui era preoccupato. O solamente di manifestare il proprio punto di vista ed avanzare le proprie proposte. E, di rimando, di ascoltare attentamente la parola e le risposte che venivano fornite dal Vescovo. Un’altra caratteristica facilmente riscontrabile nella personalità di mons. Moietta, e che in seguito raramente mi è capitato di rilevare in altre persone di prestigio, o che hanno presunto di essere prestigiose nella vita civile o politica o religiosa, era quella che il grande vescovo casalese dava l’impressione, che presto però nell’interlocutore si trasformava in certezza, che qualunque fosse l’argomento della discussione che vedeva una persona interloquire con Lui, in quel momento – per mons. Moietta – esisteva solamente la persona con cui era venuto in contatto. Lo sguardo non era mai rivolto altrove, l’attenzione non era mai latitante. Ti fissava negli occhi e ti dava la certezza che “in quel momento” per Lui esistevi solo tu con il problema che ti stava a cuore e di cui lo portavi a conoscenza. Mi rifaccio ad un ricordo personale. Durante un breve incontro con lui, mentre lo guardavo e stavo attento a cogliere il senso della sua risposta al problema che gli avevo posto, si soffermò un attimo ed abbassando di poco la voce, come se stesse facendo ricorso ad un intercalare, guardandomi intensamente negli occhi, sussurrò <<…..ma tu pendi dalle mie labbra….che grande responsabilità ho io verso di te….verso i giovani……>>

Di mons. Moietta colpiva innanzitutto il carisma che promanava dalla sua personalità. Anche fisicamente la sua persona, alta, agile, vigorosa, sempre sorridente, incuteva un senso istintivo di rispetto, di timore quasi, che però spariva subito non appena si veniva in contatto direttamente con Lui. Il tratto umano e il rapporto empatico che sapeva instaurare con le persone contenevano un non so che di rassicurante, che metteva a proprio agio l’interlocutore, amico o sconosciuto che fosse. Standogli vicino o accanto, si avvertiva la sensazione di trovarsi sì di fronte ad una persona dalle doti straordinarie, ma si percepiva anche che questo stato speciale di superiorità non gravava addosso in nessun modo ad alcuno; non metteva in soggezione, non trasmetteva timore riverenziale tale pag. 12

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Ed anche i suoi due diretti collaboratori, che lo avevano seguito da Casale Monferrato, il mite ed efficiente segretario, don Carlo Grattarola, direttore di “Orizzonti Nicastresi”, il giornale che mons. Moietta fondò ed incominciò a pubblicare immediatamente dopo il suo insediamento nella Sede vescovile nicastrese affinchè, come Lui stesso diceva, “la voce del Vescovo possa giungere a tutti….” e l’inesauribile don Ettore Galbiati (con cui alcune volte sono andato a sciare sulla pista di Gambarie d’Aspromonte), partecipavano di queste prerogative, che evidentemente il “Capo” aveva saputo loro inculcare con la sua attività pedagogica esplicata nel periodo di preparazione dei suoi due collaboratori nel seminario di Casale Monferrato di cui mons. Moietta fu per lunghi anni il direttore spirituale. La sua pedagogia prevedeva anche l’educazione all’energia nell’azione pastorale ed alla risolutezza nel governo della parrocchia, atteggiamenti a cui Egli stesso sapeva ricorrere quando, nel Lamezia e non solo

Nell’Episcopio, la casa di mons. Moietta, benché fosse aperto sempre ed a tutti, non erano ammessi pettegolezzi, dicerie, maldicenze. L’ambiente era sobrio, vivace, allegro, ma serio e riservato. Nessuno si sarebbe potuto permettere di recarsi da lui per raccontargli che del “tal dei tali” si dicesse questo o quest’altro ed immaginare ch’Egli lo stesse a sentire interessato ed a bocca aperta e che, a sua volta, ne propalasse il contenuto. Lo avrebbe, invece, cacciato in malo modo ingiungendogli di non avvicinarglisi mai più. Dico questo con una certa dose di amarezza perché ciò si è purtroppo verificato in seguito con qualche suo successore ed in un modo tale che la stessa istituzione ecclesiastica lametina di vertice ne ha risentito negativamente e n’è uscita screditata. Mons. Moietta era un gigante. Soprattutto dal punto di vista pastorale (un “Vescovo missionario” lo ha denominato don Pietro Bonacci tracciandone un breve profilo biografico….) ma anche nel governo della diocesi. Era, per sua stessa ammissione, il “motore mobile” che spingeva e faceva girare il meccanismo della Chiesa lametina perché tutti potessero partecipare alle attività religiose che venivano programmate e svolte. E perché anche in sua assenza essa, la Chiesa, non rimanesse ferma ad aspettarlo ma resa, consapevole dal suo esempio, potesse continuare con forza ed in profondità la propria missione. La “Sua” Chiesa doveva infatti dare il proprio contributo di preghiera e di azione efficace affinchè la Chiesa Universale, che stava per cominciare l’arduo ed inesplorato cammino del Concilio, fosse all’altezza dei compiti che l’ “Umanità intera se ne attende”. La sera del 10 ottobre 1962, all’omelia della messa celebrata in una affollatissima, (da credenti e non credenti…..altro miracolo di mons. Vittorio Moietta: l’avvicinarsi alla religiosità anche di moltissimi non credenti…) chiesa-cattedrale prima della partenza per partecipare all’apertura del Concilio Vaticano II, rivolgendosi in particolare ai sacerdoti, nel pronunciare l’Omelia che sarebbe rimasta impressa nei cuori di tutti i presenti, ed anche di coloro che, successivamente l’avrebbero letta per la profondità religiosa e l’intensità emotiva dei suoi contenuti, disse: <<Ho cercato di essere in questo anno il motore che corre, il motore che spinge e che con l’amore infiamma e dà energia. Benché assente, io spero che voi continuerete a compiere la vostra missione con sincerità, con sforzo, degni del momento che la Chiesa vive e degni dell’attesa che l’umanità intera porta in cuore……...>> La sua azione educativa, in particolare, era improntata al criterio dell’innovazione nella continuità e nel rispetto delle tradizioni del “Suo” popolo. Mai si sarebbe sognato di cancellare o abolire o semplicemente cambiare quelle che erano, ed ancora rimangono, le tradizioni religiose popolari della sua diocesi, che per molti versi costituiscono una autentica ricchezza della religiosità del popolo, senza prima avere tentato con ogni mezzo dialogico di “ascoltare” la gente e “capirne” gli intendimenti più autentici e profondi. Era troppo rispettoso e prudente; troppo avvezzo al discernimento e al dialogo per fare ricorso a metodi di sopraffazione o di intimidazione.

Non se li era fatti raccontare i problemi, ma si era inerpicato fin alle abitazioni più sperdute delle montagne lametine, si era rese conto della condizioni dei luoghi e conosciuto direttamente le persone che li abitavano: <<Sono uscito per le strade, mi sono inoltrato nei rioni più poveri, sono entrato con semplicità nelle case più misere, in quelle che non debbono essere chiamate col nome di case, perché sono semplici tuguri; sono arrivato improvvisamente nei nostri paesi, ove ho visto le popolazioni riversarsi per le strade e venirmi incontro con entusiasmo semplice ma travolgente; mi sono spinto su per le montagne dove vivono forti nuclei di famiglie, dove ho visto il volto triste della miseria, della fame, della disperazione e dell’abbandono; ho provato tutta la gioia di sentirmi assediato dai bimbi, dalle madri che invocavano la benedizione sulle loro creature……>> Di fronte al quadro desolante di estrema povertà di tanta parte della popolazione lametina, questo Vescovo, calato in Calabria dal lontano Piemonte, divenne immediatamente “meridionalista” e non si rassegnò. Non si atteggiò, tuttavia, come colui che – alla medesima stregua di tanti attuali farisei della nostra città – giudica e rimprovera. Non fece ricorso mai ad invettive colpevolizzatici. Lui, piemontese, uomo del profondo Nord, si rifiutò di soggiacere a stereotipi e pregiudizi antimeridionali – così diffusi in quel periodo in quasi tutte le regioni dell’Italia settentrionale – ma dopo aver cercato di capire le cause di tanta arretratezza pur in presenza di altrettante straordinarie risorse naturali e capacità umane, si diede da fare rimboccandosi le maniche. Si mise in contatto con alcuni suoi amici imprenditori del Nord e li andò a trovare di persona per sollecitarli e convincerli a scendere nel Sud, da noi, per investire e produrre nel Lametino delle cui bellezze naturali rimaneva incantato sia percorrendo i paesi della costa che i territori collinari e montani. La malattia e la morte non gli diedero né il tempo né la possibilità di continuare e completare l’opera che con tanta passione, ma con altrettante determinazione, aveva intrapreso. Mons. Moietta aveva in piena libertà scelto di compiere questo “intervento meridionalistico”, che esulava dallo stretto compito di un vescovo, non per dimostrare che un uomo del Nord fosse capace di fare per le contrade meridionali ciò che i loro abitanti, politici e non, non erano stati finora capaci di fare, ma per dare l’esempio di come bisognasse atteggiarsi in presenza di problemi drammatici, quali quelli del sottosviluppo e della miseria. Il suo fu un atto di amore per la nostra terra con il quale si proponeva di concorrere ed accompagnare con sollecitudine gli sforzi di quanti, in quei medesimi anni, stavano anche da noi adoperandosi per realizzare nei nostri territori un futuro migliore che sottraesse i figli del Sud al destino crudele dell’emigrazione e quindi del doloroso abbandono dei propri affetti, delle proprie case, delle tradizioni e valori di cui era piena la loro vita.

Dal primo momento in cui era giunto in Nicastro, si era reso conto delle condizioni di arretratezza del nostro territorio, sottosviluppato nell’ambito del più diffuso sottosviluppo delle regioni meridionali. Leggiamo questo brano tratto dalla sua seconda lettera pastorale. Se ne rimane sbalorditi ancora oggi per l’incisività e la perspicacia con cui aveva immediatamente compreso i termini autentici dei problemi della nostra arretratezza. Lamezia e non solo

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Nuovo Incontro della Rassegna Inchiostri d’Autore La calabresità, il divenire e l’ulteriorità in tre volumi di Filippo D’Andrea l’importanza della figura paterna all’interno della società patriarcale del tempo, ha sottolineato la pluralità di lettori cui il volume si rivolge, anche grazie alla presenza di contenuti inediti che hanno permesso al libro di ottenere già tanti apprezzamenti. Lunedì 20 Agosto 2018 presso la “tipografia Grafichèditore” sono stati presentati gli ultimi tre volumi di Filippo D’Andrea: “D’a cista d’u ciucciu. Semi di memoria di una famiglia del Sud delle terre e dell’emigrazione”, “Franco Costabile-I tumulti interiori di un poeta del Sud” e “Tutto torna. Poesie contemplative, aneddoti di senso, pensieri sapenziali per pratiche filosofiche”. Relatori Luciana Parlati, professoressa del Liceo Scientifico “Galileo Galilei” e poetessa dialettale, Giovanni Martello, dirigente scolastico del Liceo “Tommaso Campanella” e Domenico Caparello, studente universitario. Ospite artistica Chiara D’Andrea, docente e cantautrice. Ha moderato l’incontro Nella Fragale Perri. Gli interventi dei relatori sono stati intervallati dalla ammaliante e suggestiva voce di Chiara D’Andrea sulle note della chitarra di Filippo D’Andrea. Luciana Parlati ha confessato che ha spinto l’autore a raccogliere i vari aneddoti sulla sua vita in un libro, che si è rivelato di una forte emotività capace di suscitare, definendone con una sola parola il contenuto: “nostos”. Questa antica parola, vuole dire “ritorno” o anche “viaggio”, in un passato che però si accosta alla perfezione con il presente, anche per via della tematica principale, l’emigrazione, che per l’appunto tutti noi coinvolge e tocca seppur in maniera

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indiretta. All’interno del libro, continua la relatrice, vi è una rivisitazione del fenomeno dell’emigrazione di massa verso l’America dei canguri, che molte famiglie subirono durante il secolo scorso, secondo gli occhi di un bambino, l’autore per l’appunto, che visse l’esperienza in prima persona durante la tenera età. La prof.ssa Parlati, così come nella premessa al volume dalla stessa scritta, ha definito l’autore “aedo” (cantore) della quotidianità della spesso dura esistenza, sottolineando la forte relazione affettiva fra il prof. D’Andrea e suo nonno Gaspare, rilevando le difficoltà cui gli emigranti andavano incontro all’arrivo nella “nuova terra”, ma anche quelli che avrebbero incrociato al loro ritorno nel proprio paese natio. Ecco poi spiegato dalla Parlati il perché del titolo del volume: “D’a cista d’u ciucciu”. Difatti il nonno era solito portare con se il nipote in campagna e usava mettere il piccolo Filippo in una delle due ceste che si ponevano sul dorso dell’asinello. La parola è quindi stata affidata a Filippo D’Andrea, che ha sin da subito evidenziato la fedeltà ermeneutica dell’esperienza vissuta. Il preside Giovanni Martello, ha subito aggiunto suoi ricordi relativamente all’esperienza multiculturale in gioventù vissuta assieme al professore D’Andrea al

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ritorno di quest’ultimo dall’Australia alla sua Sambiase. L’intervento successivo è stato di un ex alunno del professore Filippo D’Andrea, Domenico Caparello, quest’ultimo ha evidenziato innanzitutto la pluralità di tematiche offerte dall’autore nel volume “Franco Costabile-I tumulti interiori di un poeta del Sud”, riguardo la biografia e la poetica del poeta sambiasino. È stata introdotta dal relatore la biografia di Franco Costabile, sottolineando le sofferenze che patì durante la sua esistenza: la lontananza della figura paterna, “l’abbandono” della moglie con le figlie, la morte della madre. A questa “solitudine” si aggiunse la consapevolezza cui molti intellettuali, soprattutto poeti, del tempo andarono incontro: l’allontanamento della società dalla poesia, a seguito della “massificazione”, della “omologazione”, cui la gente stava andando incontro, anche a seguito della modernizzazione, a cavallo degli anni ‘50/’60; fenomeno che ebbe poi l’apice durante il periodo del boom-economico. Tutti questi fattori portarono poi Francesco Antonio Costabile all’insano gesto: egli si suicidò il 14 Aprile 1965.

E’ seguita la parole del professore D’Andrea che ha evidenziato la presenza di tutte le poesie conosciute del Costabile, all’interno del volume, a partire dalla primissima ed inedita poesia “A Vittorina”. È stata quindi sottolineata la ricerca condotta dall’autore stesso nel cercare di identificare alcune delle possibili cause del suicidio del poeta sambiasino, analizzando perciò le amicizie del Costabile e le debolezze relazionali, che ebbero sicuramente il loro ruolo fondamentale nel gesto conclusivo dell’intellettuale sambiasino. Sono state illustrate anche alcune delle testimonianze inserite dall’autore all’interno del volume. Sono seguiti due interventi musicali da parte di Chiara D’Andrea, accompagnato alla chitarra acustica dal padre Filippo: il brano “Calabria” da lei composto, e la declamazione musicale di Filippo D’Andrea di “Via degli ulivi”. In seguito il preside Giovanni Martello, ha trattato il terzo volume “Tutto torna. Poesie contemplative, aneddoti di senso, pensieri sapenziali per pratiche filosofiche”.

È stata successivamente messa in evidenza la poetica di Costabile, volta a narrare le bellezza della sua lontana Sambiase, ma al contempo anche le contraddizioni ed il bigottismo nella società locale del tempo. Caparello dopo aver sottolineato

Lamezia e non solo

Lamezia e non solo

Il dirigente scolastico ha evidenziato la corposità dei contenuti, all’interno dei quali si rileva la “foga” della scrittura del prof. D’Andrea nell’esprimere tutto ciò che ha da illustrare e trasmettere. Il titolo “Tutto torna” simboleggia un “ritorno lineare” di concezione cristiana, non ciclico. Il pensiero dell’autore unisce razionalità e contemplazione, l’essere totale e il singolo, l’ente e l’essere, giungendo così poi all’autotrascendimento ed ascesi perenne. Un’ascesi che non indica sempre e solo la “salita”, ma anche “discesa” come analisi introspettiva per giungere alla propria interiorità. Ed

ecco la poesia che diviene un modo per ripercorrere il dolore, l’esistenza, per giungere alla verità e, accostandosi alla filosofia, diventa una forma di “cura” per l’uomo. Parlando così di un singolo che non è mai isolato, ma che fa parte della collettività con la quale deve interagire. Giovanni Martello accosta la filosofia del prof. D’Andrea, al “secondo ” Heidegger , il quale affidò alla poesia il disvelamento dell’essere, questo poiché inizialmente il filosofo tedesco sperimentò la filosofia come dimensione “incompiuta”, poiché mancante della “parola”, ovvero del mezzo per l’espressione della filosofia stessa. Una filosofia che dunque non è

più solo “sophìa” (“sapienza”), ma che diviene anche “phronesis” (“saggezza”) nella quotidianità, nella “praticità” dell’esistenza; e che lasciando le vecchie certezze, ormai trova “difficile” poter definire l’età contemporanea. Infatti, Baumann, illustra il periodo attuale un’era di “complessità”, irriducibile ai minimi termini, caratterizzata da una “modernità liquida, sfuggente, relativa”. Il libro del professore D’Andrea, asserisce il relatore, regala nuovi occhi ai lettori per guardare il mondo sotto nuovi punti di vista tramite delle “belle illuminazioni”, ed accosta il volume al noto leopardiano “Zibaldone”, definendolo una raccolta di pensieri e spunti, derivanti da riflessioni delle azioni anche più quotidiane dello scrittore, che divengono come delle “briciole filosofiche” capaci di aiutare a curare l’anima. Ha concluso la cantautrice Chiara D’Andrea con altre due canzoni: “Dove matura il grano” col testo poetico di Costabile, e “Un saccio”, in vernacolo e composta da Filippo D’Andrea. La serata si è conclusa con un rinfresco offerto ai presenti da “Grafichèditore”, nata nella storica tipografia diretta con generosità e vitalità dalla famiglia Perri.

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Associazionismo

Librando

Il Club del libro Il Book Club non si ferma neanche ad agosto: chiuso il Qmè, la riunione si tiene in un locale della costa lametina, con il coinvolgimento di lettori presenti in Calabria a trascorrere le vacanze. Nonostante se ne discuta in estate, il libro trattato è impegnativo: l’autrice è Donatella Di Pietrantonio, il titolo “L’arminuta”. L’opera, di recente pubblicazione per la casa editrice Einaudi, costituisce il terzo romanzo dell’autrice, è ambientato in Abruzzo e prende il nome da un termine dialettale traducibile in «la ritornata». Attraverso un linguaggio asciutto, caratterizzato da molti “regionalismi” ed a volte scarno (forse in maniera esagerata, secondo opinione comune del Book Club), Di Pietrantonio riesce nell’intento di costruire immagini e situazioni fortemente evocative. L’autrice, nel tentativo di rispecchiare lo spirito che caratterizza la sua terra d’origine, utilizza “… una lingua che predilige la sottrazione all’accumulo, ruvida, luminosa e aspra come quell’Abruzzo scelto dalla Di Pietrantonio come ambientazione delle sue storie” (cit.). In effetti, l’Abruzzo che fa da sfondo anche alla vicenda narrata ne “L’Arminuta” pur apparendo a volte, nell’evolversi della storia, una presenza alquanto velata, viene richiamato non con riferimenti a luoghi geografici precisi, bensì attraverso alcuni riferimenti a produzioni locali (gli arrosticini, la coperta abruzzese) e attraverso la parlata dialettale di alcuni personaggi. Tale ultima caratteristica, come già avvenuto in precedenza con riferimento ad altre opere oggetto dell’attenzione del Book Club, non è apprezzata da tutti gli intervenuti, soprattutto da coloro i quali tendono ad una visione “universalistica” della letteratura, che non può essere ancorata a linguaggi troppo caratterizzati dalla provenienza geografica dei personaggi che, in tal modo, perdono la propria fungibilità letteraria assoluta. Come premesso, il libro approfondisce il tema del rapporto madre-figlio nei suoi lati più anomali e patologici. L’Arminuta, in dialetto abruzzese, significa “la ritornata”, e la trama riguarda la storia di una ragazzina di tredici anni che, per motivi a lei inizialmente incomprensibili, viene riportata dagli zii che l’hanno adottata da piccola, facendola crescere in un ambiente agiato, colto, urbano e borghese, alla sua famiglia d’origine, una famiglia povera e contadina. Quella dei “bambini donati” dalle famiglie povere e numerose alle coppie sterili era una partica abbastanza diffusa, in Abruzzo (e in Calabria!) come anche in altre regioni italiane, nei decenni scorsi ed è rimasta in uso fino agli anni Settanta. La protagonista, trovatasi catapultata da un giorno all’altro in un ambiente a lei sconosciuto e estraneo, tra una madre, quella biologica, fredda e anaffettiva, un padre violento e assente e compagni di scuola ostili, dovrà fare i conti con il dolore, lo spaesamento, la perdita di identità dovuti all’esser stata abbandonata due volte, senza sapere perché; ma riuscirà a “salvarsi” e a scoprire la verità grazie anche all’aiuto della sorella minore, Adriana, con la quale instaurerà un rapporto speciale. Il romanzo, nel 2017 vince il Premio Campiello. L’autrice, come già nei pag. 16

suoi romanzi precedenti, mette l’accento sul variegato tema della maternità, che rappresenta (riportando testualmente le parole della Di Pietrantonio): “… la mia urgenza narrativa… un tema universale e antico, inesauribile. Mi interessa andare a guardarlo nelle sue pieghe nascoste, nelle parti in ombra, nelle anomalie. All’opposto dell’amore e del contenimento, la relazione madre-figlio può sfociare nell’abbandono, nel rifiuto, nella rinuncia. Così è da sempre, troviamo esempi nella mitologia e nelle fiabe, basti pensare a Medea, Pollicino, Hansel e Gretel. L’Arminuta, dopo la restituzione alla famiglia biologica, quindi dopo un doppio abbandono, dice di essere orfana di due madri viventi…”. La Di Pietrantonio, che ama definire il proprio stile come caratterizzato da un “non-metodo”, appare prediligere uno stie narrativo di estrema permeabilità verso il mondo, lasciandosi invadere da tutto ciò che arriva da fuori, per poi lasciare dentro di sé il compiersi di una selezione spontanea degli elementi che nel tempo potranno essere ricompresi nelle narrazioni (cit.). Le attività del Book Club “LectorInFabula” proseguono a settembre e ottobre con due autori: Vito di Battista, autore dell’opera “L’ultima diva dice addio”, che incontrerà i partecipanti al club del libro lunedì 17 settembre presso la Mondadori di Lamezia Terme, e Peppe Millanta, con il suo “Vinpeel degli orizzonti”, anch’egli ospite del Book Club il 7 ottobre. L’incontro con gli autori, oltre che divertente e stimolante, nell’esperienza dei lettori ha sempre rappresentato anche un servizio reso nell’interesse degli autori stessi: va da sé che i lettori attenti hanno una straordinaria capacità di accompagnare gli scrittori nelle zone del testo di cui essi stessi a volte non hanno avuto piena consapevolezza al momento della stesura. Il talento è indispensabile e non esiste scuola di scrittura che possa farlo nascere. Nondimeno, senza talento non c’è scrittore e serve comunque disciplinarlo, coltivarlo con la fatica, con il lavoro ed il confronto con l’utente finale, e cioè il lettore. In assenza di confronto con chi poi dovrà fruire dell’opera finita, qualsiasi autore non è in grado di definire il proprio stile particolare, e deve arrendersi alla mercificazione dell’opera letteraria, confezionata dai maestri dell’editing che lavorano per l’industria letteraria. Lo scrittore, per entrare in perfetta sintonia con il lettore, oltre allo studio, alla curiosità ed alla capacità di mantenere occhi e intelletto aperti sul mondo, necessita di un confronto continuo (a volte anche dialetticamente “brutale”) con l’indistinta platea dei potenziali lettori: anche a questo serve il Book Club LectorInFabula.

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Lamezia e non solo

Santuario Mariano di Conflenti eretto a Basilica minore per concessione di Papa Francesco “Dopo il monastero, il restauro della Querciola e del Santuario a Conflenti, la nascita del Rifugio di S. Maria della Bellezza, ora ho la gioia grande di annunciarvi che il 31 maggio, dopo aver presentato e scritto alla Congregazione competente, è stato firmato il decreto con cui il Santuario della Madonna della Quercia di Visora è stato eretto a Basilica Minore e pertanto gode di privilegi unici sanciti dal diritto e dalla legislazione canonica”. L’annuncio è stato dato dal Vescovo di Lamezia Terme Luigi Cantafora nel santuario diocesano di Conflenti nel giorno della festa della Madonna della Quercia di Visora. “Ad ottobre ci sarà la solenne elevazione a Basilica presieduta dal Cardinale Sarah a cui sono certo parteciperemo in grande numero e con gioia per il dono che viene fatto alla Chiesa e a Conflenti. Preghiamo per il Santo Padre e per la nostra Diocesi che qui a Conflenti si raduna per ricevere il conforto e la protezione di Maria”, ha aggiunto il vescovo lametino sottolineando come “la Diocesi di Lamezia Terme ha per la prima volta nella sua storia una Basilica e questo Santuario potrà fregiarsi del titolo di Basilica per concessione di Sua Santità Papa Francesco. Tutto questo è una grande onore, ma anche un onere. Significherà assicurare quotidianamente un servizio religioso all’altezza di una Basilica e un impegno da parte della comunità in una cura ancora più zelante. E forse questo potrebbe spingere le autorità competenti a volersi impegnare per rendere Conflenti sempre più raggiungibile e accogliente dal punto di vista delle strade”.

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Il titolo di “Basilica minore” viene attribuito dal Papa a Chiese e Santuari “dotati di una speciale importanza per la vita liturgica e pastorale”, esprimendo così un particolare vincolo con la Chiesa di Roma e il Sommo Pontefice. Nel dare l’annuncio dell’elevazione del santuario mariano della diocesi lametina a Basilica minore, il presule ha richiamato la “grande storia” di quella che può essere chiamata la città di Maria del Reventino, ricordando come “il Vescovo del tempo, Monsignor Pierbenedetti una volta lasciata Martirano per giungere a Roma come Canonico di Santa Maria Maggiore, al tempo delle apparizioni ha diffuso il culto della Madonna della Quercia a

Roma e nel Lazio e si è prodigato per arricchire il santuario, la cui fama è culminata con l’incoronazione da parte del Capitolo Vaticano. Privilegio molto

grande per quel tempo. La bellezza e l’imponenza del Santuario è stata tale che da sempre il popolo ha definito questo luogo come Basilica. Anche se non vi era mai stata la concessione di questo privilegio da parte della Sede Apostolica.”. Migliaia di fedeli sono giunti da varie parti della diocesi lametina e da tutta la Calabria a Conflenti nei giorni della festa, che culmineranno nella solenne processione di questa sera. In tanti da vari Comuni del Reventino hanno partecipato alla veglia mariana che si è protratta fino all’alba del giorno della festa tra preghiere e canti alla Madre di Dio. Nel corso della concelebrazione eucaristica, durante la quale il sindaco di Conflenti Serafino Paola ha offerto come ogni anno il cero votivo alla Madonna, Cantafora ha indicato Maria come modello della missione della Chiesa, una Chiesa che “deve stare lungo le strade degli uomini, accanto agli uomini che camminano alla ricerca della verità, alla ricerca di Dio”. E ha concluso “la vita ci ha ferito e i nostri occhi non poche lacrime hanno versato, abbiamo bisogno di ristoro dopo il caldo della fatica e la stanchezza del viaggio. L’ombra della Quercia, è per noi un rifugio. Lo sguardo della Madre è fonte di luce. Il grembo della Madre è sorgente di forza. Siamo venuti in pellegrinaggio, da questo cammino e da questo incontro con Maria e suo Figlio, riceviamo questo: ristoro, luce e forza per ripartire nella vita di ogni giorno. Siamo accompagnati dalla tenerezza di Maria, dalla sua protezione. Siamo portati in braccio dal suo amore.”

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Rubricando di… psicologia

Il cibo degli dei

riflessioni bibliche

NICODEMO

E ricominciamo da dove abbiamo lasciato, ora in settembre, dopo questa bizzarra estate…

LA R I CE R CA D E LLA VE R ITÀ

di Fernando Conidi

L’uomo moderno non è molto diverso da quello di duemila anni fa. I dubbi attanagliano sempre la vita umana, ma è proprio attraverso questi che, a volte, s’innesca un processo di cambiamento e di miglioramento. L’uomo mette in discussione se stesso, cerca, spera, trova e poi alla fine decide. La sua vita allora cambia, perché egli percorre la stessa strada con una consapevolezza diversa, oppure perché ne percorre altre che portano a nuove esperienze. La decisione è in ogni caso importante, senza di essa i dubbi rimarrebbero al loro posto, e la ricerca del miglioramento, della verità, pian piano, si assopirebbe, lasciando prevalere un lento e inesorabile assenso a tutte le cose. Nicodemo mette in discussione se stesso, lasciando prevalere l’onestà sull’ipocrisia e sulle sue certezze personali, che sembrano crollare davanti alle predicazioni di Gesù. La spinta al cambiamento, anche se a volte dettata dalle circostanze, parte sempre da una decisione interiore, da una scelta di rinnovamento, di miglioramento. DECIDERE COL CUORE La decisione di Nicodemo partiva dal suo interno, dal suo cuore. Egli pur essendo un fariseo, dottore della legge, non era come gli altri membri del Sinedrio, perché amava la verità. Nicodemo non sentiva la necessità di essere elogiato e adulato dal popolo, come desideravano invece gli altri farisei. Le sue profonde riflessioni lo porteranno lontano dall’ipocrisia farisaica, per cercare di capire se tutto ciò che aveva costruito nella vita appartenesse alla verità, oppure fosse solo un magnifico castello di sabbia, che improvvisamente poteva rovinare a terra. Nicodemo i dubbi li aveva tutti, ma aveva anche delle certezze su cui basare la sua decisione. Infatti, egli amava ascoltare le predicazioni di Gesù e credeva nei suoi miracoli. Lo zelo religioso di Nicodemo e la sua onestà gli impedipag. 18

parte seconda

vano di rimanere immobile davanti a quella decisione così importante per la sua vita: seguire Gesù o rimanere ancorato al Sinedrio, che invece lo definiva un falso profeta?

DOPO IL DILEMMA, LA SCELTA Così egli decise che doveva capire dov’era la verità, ma solo un’unica persona poteva dargli la giusta risposta: Gesù di Nazareth, amato dal popolo, ma disprezzato da tutta la casta farisaica. I farisei ostentavano giustizia e zelo per il Signore, ma compivano i peggiori delitti usando la legge di Dio a proprio piacimento. Nicodemo era onesto, cercava veramente il compimento della sua vita nei precetti della legge giudaica. Gesù per lui era un profeta, un figlio d’Israele, diverso da tutti gli altri, specialmente dagli appartenenti alle caste sacerdotali e farisaiche, che predicavano una cosa e poi facevano l’opposto, accumulando peccati contro il Signore. Nicodemo desiderava sapere se Gesù era un semplice profeta, oppure poteva essere addirittura il Messia di cui parlavano le scritture e che Israele attendeva da generazioni. Su quella risposta si basava tutta la vita di Nicodemo. GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

CERCARE LA RISPOSTA Egli sapeva che Gesù si ritirava di notte in luoghi appartati, dove pregare e riposare con i suoi discepoli; poteva essere quello il momento giusto per quell’agognato colloquio. Così Nicodemo si avvia, nel buio della notte, con la paura di essere visto e tra mille domande che tormentavano la sua mente e il suo cuore. Egli sapeva bene, che dopo quel colloquio non sarebbe stato più lo stesso. Il timore di essere visto e denunciato al Sinedrio come discepolo di Gesù lo terrorizzava, perché non aveva ancora avuto quella risposta. Temeva di perdere tutto, anche la dignità di uomo di Dio che aveva costruito su tanti anni di sacrifici, divenendo poi un membro autorevole proprio di quel Sinedrio che voleva liberarsi definitivamente di Gesù. SCEGLIERE LA VERITÀ Nicodemo non poteva sopportare una contraddizione così grande: uomini di Dio che condannano un profeta che parla solo d’amore e compie miracoli. Aveva provato a difendere Gesù davanti a tutti, ma lo avevano zittito accusandolo di non conoscere le sacre scritture (Gv 7, 44-52). Il Sinedrio non voleva giudicare Gesù, lo aveva già condannato prima di giudicarlo; non era questo ciò che pensava Nicodemo, ciò non proveniva dalla legge giudaica, ma dall’arroganza di uomini, che temendo di perdere il loro potere non esitavano a pensare di macchiarsi del sangue di un profeta, come fecero i loro stessi padri nel passato. Nicodemo cercava la verità che serve il Signore e non quella falsa propinata da uomini per servire se stessi. Ecco, che il cammino era terminato. Davanti a sé Nicodemo aveva Gesù e i discepoli, che avevano già fatto la loro scelta per la verità, adesso toccava a lui capire e decidere per la sua vita. Continua sul prossimo numero

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Partiamo dall’inizio, l’incipit della relazione tra gli uomini, ancestrale, misteriosa, dialogica, si invera già nel grembo materno. “E’ impossibile ricordare, si sa, ma l’idea di una condizione di Supremo benessere mai raggiunto dopo di allora, quella, si, ce l’ho sempre dentro e, come in un film, mi immagino beata nell’Utero della mia dolcissima Madre .Con Lei così vicina non sono stata più, mai. Nel liquido colloso e dolciastro, libera e nuda mi muovo, paga della mia acquosa solitudine, avvolta dal breve amplesso infinito di Chi ha scelto di proteggermi alimentandomi col fiore del suo sangue caldo e odoroso. Qui, dove il fluttuare è lento e senza scosse, non ho bisogno di nuotare, di sbracciarmi, di annaspare affannandomi per tenermi a galla, ma vivo in un’apnea di beatitudine dolcissima, tiepida e ovattata, serica come veste battesimale, che non ho più riscontrato in nessuna altra fase successiva dell’esistere. Il magma amniotico mi avvolge carezzevole e penetra in tutti i recessi del mio piccolo corpo in formazione e io mi sento crescere e mi vado completando in questo mare senza confini: eternità e finitezza della perfezione. A volte questo liquido mi trasmette suoni e sapori, sensazioni dolcissime di amorosa intesa con Qualcuno che vive la mia stessa vita , o meglio, mi passa la sua attraverso l’acqua in cui io, felice e inconsapevole, mi nutro e cresco. Nasco (Acqua H2O, Pina Maione Mauro). Il luogo del cibo e del convivium diviene spazio d’arte se supera la questione di genere, se struttura la consapevolezza dell’importanza della relazione, relazione “interessata” col cibo che ha il suo incipit nel gesto materno del nutrire dando, nel contempo, benessere. E allora nasciamo, alla ricerca delle relazioni e del benessere, perduti. Per avvalorare tale tesi in senso concreto è necessario cambiare punto di vista e partire dal basso, da un punto di vista umano, più umile, che rimanda al latino humus. La tavola è una delle più antiche metafore della mente umana. La tavola è vita integrale e integrata: mente e corpo, desiderio e necessità, natura e cultura, è olismo. E’ un’interrelazione interessata, una corrispondenza tra tutti i suoi attori; è correlazione di un soggetto molteplice; è un prodursi plurale che si fonda su relazioni tra uomini, e tra uomini e ambiente. E pur non procedendo, in questa sede, in un excursus esaustivo degli “intellettuali” che si sono cimentati in tale argomento mi limiterò, altresì, a trattare di coloro che ritengo abbiano segnato, nel corso della storia, i passaggi più significativi. E partirò da lontano, non senza uno slancio di identità e appartenenza, proprio dal sud, dalla Grande Grecia, terra che ha dato i natali ad Archestrato di Gela, poeta artista e gastronomo del IV secolo a.C. Archestrato è il primo, per quanto è dato sapere, che abbia fatto dell’arte gastronomica argomento di versi, in un poema intitolato

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Hedypatheia, composto presumibilmente verso il 330, di cui son giunti fino a noi numerosi frammenti. Nel Hedypatheia dopo avere esordito dicendo che ha percorso tutta la terra e tutti i mari per conoscere quali siano i migliori bocconi e i migliori vini, decanta le delizie della mensa e la felicità che ne deriva. A due secoli e oltre di distanza da Archestrato, Quinto Ennio da Rudiae, uno dei padri della Letteratura latina, tarantino di cultura, romano di adozione compose intorno al 189 a.C. una “sua” guida gastronomica, in esametri latini, palesemente ispirata, fin dal titolo, al capolavoro di Archestrato: si tratta dell’ Hedyphagetica, titolo grecizzante che vuol dire “i buoni bocconi”. Un frammento brevissimo è rimasto, ecco i versi superstiti: “[…]Buono è il sarago di Brindisi, se lo trovi grande, compralo. Sappi, il miglior pesce porco [l’apriculus] è di Taranto. L’elope di Sorrento fa’ d’acquistare, il glauco presso Cuma. Come ho dimenticato lo scaro, quasi cervello del supremo Giove?[…]”. E a un secolo e oltre di distanza Orazio con le sue Satire. Di nostro interesse quella rivolta all’amico Cazio, composta in occasione di un incontro immaginario con lui, filosofo e gastronomo, i cui precetti culinari, di grande attualità per i gourmet di oggi, suggeriscono l’ethos in tabula, la trasformazione del gusto in religione, per realizzare l’ideale di una vita beata. “Ma delle salse differenti è d’uopo La natura saper. Con olio dolce. La più semplice fassi, a quel mischiando Vin grosso e salamoja fermentata In orcio bizantin. Con erbe trite E zafferan si fa bollire, e poi Ch’è ben rappresa sopra vi s’infonde Licor da bacche venafrane espresso. A’ tivolesi cedono in bellezza I pomi del Picen, non in sapore. In chiusi vasi star la venusina Uva, e l’albana ama indurarsi al fumo. Io fui primo a insegnar, che in bei tondini Si dispongano attorno su la mensa L’uva e le mele, salamoja e alici, Pepe bianco ammaccato e sal nericcio. (Quinto Orazio Flacco, I secolo a.C.) In questa carrellata merita un cenno Marco Gavio Apicio, ricco e sofisticato romano vissuto nel I

secolo d.C., e passato alla storia per il suo manuale di cucina dal titolo De re coquinaria, composto da 478 ricette. Apprezzato da Plinio il Vecchio per le sue abilità di gastronomo, i suoi piatti erano destinati alla tavola dei ricchi che traboccava di ogni ben di Dio, anche di frutti e prodotti che giungevano dall’Oriente, grazie ad un altro buongustaio famoso, Lucullo, a testimonianza di quanto l’antica Roma apprezzasse le novità e quanto fosse aperta, già allora, alla relazione con altre genti partendo dalla tavola, dal cibo. Questi banchetti luculliani erano occasioni di incontri importanti in cui spesso, si decideva per la pace o per la guerra, per il destino di Roma e dell’Impero e, come ci è stato tramandato, si concludevano quasi sempre con un’orgia. Il piacere del cibo coniugato a quello del sesso, cosa che ha colpito la fantasia dei moderni in un’immagine del tempo così carica di sensualità fino a chiedersi , nella sovrapposizione cibo/ sessualità - impulsi biologici fortemente connessi- quale avesse il primato. Tale connessione cibo-sessualità è stata sicuramente valorizzata da Freud (1914) orientandola però sul versante strettamente pulsionale. In questo senso la pulsione sessuale fino ad Introduzione al Narcisismo oscura la precedente elaborazione fondata sulla differenza tra pulsioni dell’Io e pulsioni sessuali. Infatti fino al 1900 tale differenza dava maggiore equilibrio sia agli apparati costituzionali sia ai processi prettamente pulsionali. In questo senso le pulsioni dell’Io, avendo un carattere di autoconservazione, valorizzano la ricerca del cibo come la ricerca del piacere ma non nella sola dimensione ristretta dell’attività pulsionale. In seguito Freud, con la elaborazione della teoria strutturale, metterà in luce come le vicende pulsionali si iscrivano nel panorama molto comprensivo della pulsione di vita e della pulsione di morte. Qui l’eros riguarda la sessualità ma anche le dimensioni più profonde della vita, non necessariamente legate ad essa. Come dice Freud nel Compendio di psicoanalisi (1938) la pulsione erotica si organizza intorno al principio del legame. Esso è proteso a far vivere le cose, a generarle e ad integrarle. Il cibo s’iscrive in questa dimensione di processo erotico legato al piacere del vivere e del condividere. Il principio del legame, presupposto teoretico delle curvature sul piano esistenziale che assume la pulsione di vita, porta Freud a dare maggiore consistenza sia al desiderio nelle sue diverse sfaccettature, sia ad un ridimensionamento della pulsione sessuale come fattore totalizzante della vita psichica. Questo aspetto spesso viene oscurato fino ad essere inficiato da elaborazioni di sorvolo che relegano Freud a una visione riduzionistica della vita psichica. Ciò viene attestato dal fatto che la pulsione di vita, inevitabilmente, si impasta con la pulsione di morte ed emerge quel processo storico ed evolutivo che riguarda le esperienze di ognuno di noi: l’ambivalenza ed i suoi conflitti. Il cibo, come avremo modo di evidenziare successivamente, rientra in questo contesto… (continua)

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Sport

l’angolo di tommaso

L’amore violato Una scienza .11 calcio è una scienza: sono infatti regole complesse, ma quasi perfette,- che condensano naturalmente le diverse fasi di gioco e che, soprattutto, consentono una identificazione piena di tutti nei protagonisti dello spettacolo. Il calcio non è, infatti, praticabile da una ristretta élite di superatleti come il basket o il football americano: dal «nanetto tutto tìnte» alto uno e sessantacinque, al poderoso stopper alto uno e novanta, tutti uguali possono tentare l’avventura. Da amare, e ciascuno la può amare a modo suo, come si può - se si può - amare una «scienza». Si può amare per la storia stessa del nostro paese, per l’esasperato municipalismo su cui si è basato per lunghi secoli il nostro ordinamento e che pervade ancora la vita italiana e che ha reso le sfide tra metropoli e provincia quasi la ripetizione dei caroselli e delle giostre medioevali, oppure anche per un fatto politico, in particolare nelle città dove si disputano i derby tradizionali: Torino, Milano, Roma, dove, come si sa, ad esempio la Lazio rappresenta la destra e la Roma la sinistra.

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riflessioni poetiche

Ma più probabilmente è un amore cieco, che nasce come tutti i grandi amori da’ qualcosa di indecifrabile che ogni volta che tentiamo di comprendere ci sfugge o ci sembra banale. Dare calci ad un pallone non sembra più nobile o eccitante che tirare, che so?, una boccia vicino al pallino, eppure... è inutile tentare di capire, come è difficile spiegare il perché del tifo per una squadra piuttosto che per un’altra, è qualcosa che sembra essere nata nella notte dei tempi, del tutto irrazionalmente e inevitabilmente, provate a chiedere ad un tifoso il perché, credo che non esistano tifosi «pentiti», il che, a pensarci bene, è un po’ paradossale: pensate ai milanisti o ai laziali. Nel calcio il tradimento non porta mai alla rottura, al massimo ad una separazione momentanea, e d’amore si soffre, ma si è disposti a correre il rischio anche quando l’esito infausto è più che probabile. Nella vita difficilmente succede cosi. E alla fine è pur vero che il calcio è anche professionisti smaliziati e super pagati.

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Le dissi: “Perché mi hai amato?”, mi rispose: “ per solitudine”. Oggi in noi saudade... Tutto il reale appare smerigliato e ciò che vedi è musica lontana che non riconosci più. Mi dicesti che avevi un macigno sul cuore, ti invadeva la gola e la mente. Io ti dissi, è dolore? No, mi rispondesti, è malinconia, è rapsodia dei vuoti che sono stati e di quelli che verranno. È malinconia. E le lacrime che vedo? Domandai. Sgorgano solitarie e spontanee verso un destino ancora a me sconosciuto, mi rispose. Mi dicesti di non voler più guardare indietro, troppi rimpianti, mi dicesti di non voler più guardare avanti,

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troppe illusioni: cominciasti a dialogare con granelli di sabbia. Guardandoci negli occhi Esemplari della distruzione, Ci siamo fermati Prima del sogno. Non poteva essere diversamente.

La mente e il cuore non dovrebbero parlarsi, invece come la foce di un enorme fiume inondano l’anima, la mente rifiuta la luce, il cuore sembra sciogliersi e smarrirsi al calore del sole e nascondersi nella notte.

La tua solitudine, come un atollo disperso nell’oceano, non mi ha permesso di entrare nel tuo mondo.

Il vento disse alla foglia, vieni ti prenderò per mano e ti accompagnerò per sempre...

Noi così precari, disperati andiamo incontro al giorno, aspettando la notte per inventare una nuova favola, per poter affrontare un nuovo mattino.

Mi chiedesti di portarti in riva al mare, lì tutta la vita iniziò il suo film, le incertezze dei giorni si trasformarono in certezza di esperienza, fotogramma per fotogramma...

La vedi quella papera di plastica abbandonata nella piscina silenziosa e autunnale sotto la pioggia? Ti risposi di sì. Non avemmo altro da dirci.

Tutto ha il sapore di una elegiaca malinconia, di un tempo ormai perduto, di solitudini future.

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Spettacolo

Spettacolo

AL VECCHIO MULINUM: CIBI SANI SAPORI ANTICHI & GUSTOSI

ROBERTO VECCHIONI PREMIATO CON IL RICCIO D’ARGENTO AI “MITI DELLA MUSICA D’AUTORE” CHIUDE TRIONFALMENTE IL REGGIO LIVE FEST Roberto Vecchioni strega Reggio Calabria ed una splendida Piazza Duomo stracolma, regalando emozioni, grande musica d’autore, storie di amore, note di cultura, perle di vita. E’ uno straordinario successo, una serata da incorniciare, l’ultimo appuntamento del “Reggio Live Fest”, sezione estiva della sinergia tra “Fatti di Musica”, lo storico festival del Miglior Live d’Autore, ideato e diretto da Ruggero Pegna e “Alziamo il Sipario”, il festival dell’ Assessorato alla Cultura della Città di Reggio, entrambi riconosciuti “Eventi Storicizzati e Grandi Festival Internazionali” da Regione Calabria e Comunità Europea. Roberto Vecchioni, accompagnato dalla sua band di eccezionali musicisti, ha regalato un concerto speciale, con la sequenza di grandi successi di una discografia ineguagliabile, intrisi da monologhi intensi ed emozionanti, divertenti aneddoti, autentiche gemme che hanno arricchito un live premiato con il “Riccio d’Argento” della trentaduesima “Fatti di Musica”, il premio realizzato dal celebre orafo crotonese Gerardo Sacco, divenuto oramai un vero oscar della musica d’autore. A consegnare il riconoscimento nella sezione denominata “Miti della Musica d’Autore”, sull’immenso palcoscenico allestito in una inedita quanto affascinante Piazza Duomo trasformata in teatro, sono saliti il promoter Ruggero Pegna, il sindaco Giuseppe Falcomatà e Danilo Mancuso, anch’egli lametino, manager di Vecchioni.

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Evidente la soddisfazione di tutti, che hanno inteso rimarcare il valore e l’importanza della musica e della Cultura per la promozione della Calabria e la valorizzazione del suo immenso patrimonio artistico e paesaggistico. “La Calabria è storicamente terra di Cultura… Il primo luogo in cui si incontravano le più grandi culture del Mediterraneo e non solo!”, ha sottolineato Vecchioni, sommerso dagli applausi, esternando subito il suo noto amore per la Calabria e il Sud. “Qui nacquero città come Crotone, Locri, Reggio, con i loro mercati, templi, teatri… Questa terra è la terra più antica dove si è fatta cultura, mentre a Roma ancora pascolavano le pecore! In Calabria è nata la poesia, oltre alla filosofia…”. Quella del professore sembra, a tratti, una vera lezione di storia, un richiamo ai calabresi a riflettere sulle radici della propria terra. Un successo dietro l’altro, scorrono ricordi e la storia stessa della musica d’autore italiana, da “Stranamore” a “El bandolero stanco”, poi “La mia ragazza”, “Sogna ragazzo sogna”, “Luci a San Siro”, l’intramontabile “Samarcanda”, fino al vibrante “Chiamami ancora amore”. Al termine, una lunga standing ovation ha salutato il professore e la sua band: Ruggero Pazzaglia, batteria, Massimo Germini, chitarre, Antonio Petruzzelli, basso e alla direzione il grande Lucio Fabbri, con interminabili e convinti applausi.

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Vecchioni, nonostante le oltre due ore di concerto, si è poi concesso a tutti, al lato del palco, autografando le copie del suo ultimo e fortunato libro “La vita che si ama. Storie di felicità”. Il concerto indimenticabile di Vecchioni ha chiuso così in bellezza il “Reggio Live Fest 2018”, un progetto artistico, musicale e culturale variegato, che ha presentato, nella prima parte dedicata ad artisti internazionali, i live memorabili della sezione “Pianoman” all’Arena dello Stretto, con i formidabili pianisti Peter Cincotti, Matthew Lee e l’ungherese Peter Bence, nella sua unica data italiana e, poi, lo spettacolare megaconcerto dei Negrita in Piazza Duomo. Il gemellaggio tra Fatti di Musica e Alziamo il Sipario proseguirà i prossimi 30 novembre e 1 dicembre con la maestosa Opera Musicale “La Divina Commedia” di Marco Frisina al Palacalafiore e, a seguire, nei giorni 7 e 8 dicembre con il musical originale Flashdance al Teatro Cilea. Ruggero Pegna, il sindaco Giuseppe Falcomatà e Umberto Giordano, dirigente dell’Assessorato alla Cultura, a fine serata hanno espresso grande soddisfazione per la riuscita di un progetto complesso, che ogni anno lancia nuove sfide artistiche ma anche di fruizione, promozzione e valorizzazione di spazi importanti e beni culturali della Città, dall’Arena in riva allo Stretto a Piazza Castello, fino alla riqualificata Piazza Duomo di questa edizione. “Grazie all’Assessorato alla Cultura della Città di Reggio, che ha reso possibile un Festival unico e straordinario, anche imponente e complesso dal punto di vista dell’organizzazione sceno-tecnica – ha sottolineato Pegna – Grazie a tutti i miei tecnici e collaboratori, alla stampa e al pubblico che ci ha seguito con affetto ed entusiasmo! Appuntamento, ora, con la Divina Commedia, per la quale sono previsti, oltre ai serali, anche spettacoli mattutini per le scuole. Nonostante sia faticoso, il percorso e il progetto che unisce da trentadue anni eventi, musica, spettacolo dal vivo, cultura e molto altro, continua! Ancora – conclude Pegna - ho voglia di emozionarmi, insieme a chi crede nella bellezza e nei valori universali della musica, anche in una regione ‘difficile’ come la mia comunque bellissima Calabria!”. Lamezia e non solo

Originale serata quella trascorsa al Mulinum di San Floro: Luogo accogliente e rilassante in cui poter gustare pizze e focacce realizzate con farine non industrializzate, ma ricavate da grano locale, e cotte nel forno a legna, Antichi sapori e varietà di gusti. Qui si possono anche acquistare pane e farina. E’ indubbiamente un’ esperienza irrinunciabile sia per adulti che per bambini: Vi è infatti un ampio spazio esterno con tante balle di fieno per le degustazioni o per giocare. L’ Ambiente è accogliente sia all’interno che all’esterno e l’atmosfera piacevole per poter ritrovarsi in compagnia, degustando prodotti sani e gustosi, come: pizze e insalate di grano, panzanelle, pane, dessert e mousse di ricotta. La cucina gustosa, il personale garbato e cortese, l’ambiente sano e confortevole e l’ottima accoglienza, fanno del Mulinum un luogo d’eccellenza per la nostra città. Senza dubbio un nuovo modello di locale. L’azienda agricola è nata dall’ inventiva di Stefano Caccavari con l’ obiettivo di difendere il territorio e le antiche tradizioni. All’inventiva del giovane universitario di economia aziendale, con una solida attività agricola familiare alle spalle, portata avanti nelle proprietà di San Floro da trecento anni, si accostano l’uso delle tecnologie più moderne e la percezione di un futuro produttivo. Il suo sogno era macinare grani antichi in un mulino a pietra per produrre farine pure e sane come quelle di cento anni fa. Egli ha recuperato un’antica pietra da macina realizzando un mulino per produrre farine biologiche. Per concretizzare il suo obiettivo si è servito del web e di alcuni privati che lo hanno sostenuto finanziandolo. Per realizzare tutto ciò, egli ha iniziato cercando soci tramite Facebook nel 2016 e, mettendo a disposizione un terreno di famiglia a San Floro, vicino Catanzaro. In due giorni il “Crowdfunding”¹ gli ha fruttato 72.000 euro e in tre mesi mezzo milione: Più che sufficiente per realizzare il sogno. Il suo mulino è stato costruito di lì a poco, in circa quattro mesi, interamente di legno e con tecniche edilizie biocompatibili Iniziando da zero è riuscito a realizzare con la sua famiglia, la più grande filiera specializzata in grani antichi in Calabria: ‘Senatore Cappellì’, ‘Verna’, ‘Maiorca’,

Testata Giornalistica Di tutto un po’ - lamezia e non solo anno 26°- n. 46 - agosto/settembre 2018 Iscrizione al Tribunale di Lamezia Terme dal 1993 n. 609/09 Rug. - 4/09 Reg. Stampa Direttore Responsabile: Antonio Perri Edito da: GRAFICHÈditore Perri Lamezia Terme - Via del Progresso, 200 Tel. 0968.21844 - e.mail. perri16@gmail.com Stampa: Michele Domenicano Allestimento: Peppino Serratore Redazione: Giuseppe Perri - Nella Fragale - Antonio Perri Progetto grafico&impaginazione: Grafiché Perri-0968.21844

Le iscrizioni, per i privati sono gratuite; così come sono gratuite le pubblicazioni di novelle, lettere, poesie, foto e quanto altro ci verrà inviato. Lamezia e non solo presso: Grafiché Perri - Via del Progresso, 200 -

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‘Farro’, Segale. Stefano, giovane creativo e geniale, ha avuto ed ha come finalità promuovere il suo territorio recuperando le antiche tradizioni. Attualmente egli vende le farine sia on line, sia al Mulinum ed anche in alcuni negozi del circondario, tutti prodotti da forno: Pizze, focacce e un ottimo pane integrale detto ‘brunetto’. A partecipare al suo progetto, un centinaio di soci in maggioranza calabresi ma anche stranieri, con donazioni da 10.000 euro. Il 31 gennaio scorso è avvenuto il taglio del nastro e le macine hanno ricominciato a muoversi. Durante la prima fase sono stati utilizzati 200 quintali di grano ‘Senatore Cappelli’ coltivato dalla famiglia Caccavari nei terreni di San Floro , dove esiste anche un orto sociale con 150 soci Va apprezzata l’inventiva di Stefano nel coniugare il buon cibo con la tradizione: Si tratta di un vero e proprio mulino dove si possono anche acquistare farine e prodotti locali, dove la qualità e i sapori del grano, e dei cereali sono quelli della tradizione agricola del passato. La passione che questo ragazzo nutre per la sua terra e la tradizione traspare in tutta la struttura. La riscoperta dei grani antichi calabresi, la loro coltivazione, la macinazione e panificazione: Questo è è lo scopo di Mulinum e i prodotti in vendita sono eccellenti. Si organizzano inoltre eventi e aperitivi. In agosto visita guidata e gratuita al Mulinum di San Floro immersi nel verde e nel grano. in un luogo accogliente e rilassante dove poter gustare pane, pizze e focacce interamente realizzati con grano non trattato con diserbanti antiparassitari, farine non industriali e cotti col forno a legna: Azienda agricola che difende territorio e tradizioni calabresi, situata a 5 minuti da Catanzaro e dal mare L’azienda è sempre aperta: Mattina, pomeriggio e sera. Per la cena si può prenotare telefonando per prenotare il posto in pizzeria Tel. 0961291882, per la visita guidata c’è sempre la disponibilità, senza appuntamento. Mulino San Floro, Torre del Duca, San Floro a 3 Km dall’ Università Magna Grecia di Catanzaro (Germaneto) ¹) Crowdfunding = Fondi raccolti grazie alle offerte di massa

88046 Lamezia Terme (Cz) oppure telefonare al numero 0968/21844. Per qualsiasi richiesta di pubblicazione, anche per telefono, è obbligatorio fornire i propri dati alla redazione, e verranno pubblicati a discrezione del richiedente il servizio. Le novelle o le poesie vanno presentate in cartelle dattiloscritte, non eccessivamente lunghe. Gli operatori commerciali o coloro che desiderano la pubblicità sulle pagine di questo giornale possono telefonare allo 0968.21844 per informazioni dettagliate. La direzione si riserva, a proprio insindacabile giudizio, il diritto di rifiutare di pubblicare le inserzioni o di modificarle, senza alterarne il messaggio, qualora dovessero ritenerle lesive per la società. La direzione si dichiara non responsabile delle conseguenze derivanti dalle inserzioni pubblicate e dichiara invece responsabili gli inserzionisti stessi che dovranno rifondere i danni eventualmente causati per violazione di diritti, dichiarazioni malevoli o altro. Il materiale inviato non verrà restituito.

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La parola alla Psicologa

La Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA) Per comunicazione si intende il processo e le modalità di trasmissione di un’informazione da un individuo a un altro attraverso lo scambio di un messaggio elaborato secondo le regole di un determinato codice. Comunicare, infatti, non vuol dire solo parlare in modo corretto e trasmettere un messaggio ma significa anche entrare in sintonia con l’altro, scambiare informazioni, avere un contatto emotivo con se stessi e con gli altri, ascoltare, rispettare i diritti e le libertà di chi ci sta di fronte, arricchirsi interiormente. Non si può non comunicare ed ogni nostro comportamento è comunicazione. La comunicazione è un processo dinamico e transazionale, in cui i partner comunicativi si influenzano continuamente a vicenda nel corso dell’interazione. Proprio per questo motivo diventa estremamente importante saper comunicare in modo efficace. Alla luce di questa premessa, la Comunicazione Aumentativa e Alternativa, (detta anche CAA), indica un insieme di conoscenze, tecniche, strategie e tecnologie atte a semplificare ed incrementare la comunicazione nelle persone che hanno difficoltà ad usare i più comuni canali comunicativi, con particolare riguardo al linguaggio orale e alla scrittura. Rappresenta un’area della pratica clinica che si pone come obiettivo la compensazione di una disabilità (temporanea o permanente) del linguaggio espressivo; vengono infatti create le condizioni affinchè la persona con disabilità abbia l’opportunità di comunicare in modo efficace, ovvero di tradurre il proprio pensiero in una serie di segni intelligibili per l’interlocutore. Vengono utilizzate tutte le competenze comunicative della persona, includendo le vocalizzazioni o il linguaggio verbale esistente, i gesti, i segni, la comunicazione con ausili e la tecnologia avanzata. Viene definita Aumentativa in funzione del fatto che non si limita a sostituire o a proporre nuove modalità comunicative ma, analizzando le competenze del soggetto, indica strategie per incrementare le stesse (ad esempio le vocalizzazioni o il linguaggio verbale esistente, i gesti, nonché i segni). Viene, invece, definita Alternativa in quanto si avvale di strategie e tecniche diverse dal linguaggio parlato. Non si tratta, infatti, semplicemente di applicare una tecnica riabilitativa, pag. 24

ma di costruire un sistema flessibile su misura per ogni persona, da promuovere in tutti i momenti e luoghi della vita poiché la comunicazione è per ognuno di noi necessaria ed indispensabile in ogni momento. L’obiettivo primario della CAA è la creazione di opportunità di reale comunicazione e di effettivo coinvolgimento della persona; è un sistema multimodale che interviene nei vari contesti di vita e per questo dev’essere flessibile e su misura della persona stessa. Nello specifico deve: integrare, migliorare, accrescere, supportare e stimolare il linguaggio verbale. Vi è un delicato equilibrio tra la difficoltà e la volontà di comunicare. Se lo sforzo richiesto

è eccessivo, la volontà di comunicare diminuisce; al contrario, se si riesce a limitare lo sforzo il desiderio di comunicare aumenterà. Lo sforzo decresce utilizzando delle immagini, dunque un linguaggio visivo che viene utilizzato come sistema di comunicazione dalla CAA. E’ di fondamentale importanza intervenire, con strategie di Comunicazione Aumentativa, precocemente poiché la mancanza di comunicazione con gli altri ha gravi ricadute negative nello sviluppo della relazione, del linguaggio, nello sviluppo cognitivo e sociale. Al contrario, un tempestivo intervento può contribuire a prevenire un ulteriore impoverimento comunicativo, simbolico e cognitivo e la comparsa di disturbi del comportamento, altrimenti molto diffusi proprio come strategia di richiesta di attenzione. A riguardo, non ci sono prerequisiti minimi necessari nel bambino come un’età al di sotto del quale è sconsigliato iniziare o un GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

livello cognitivo minimo, vi sono invece prerequisiti del contesto, caratteristiche minime di collaborazione e di assunzione della responsabilità dell’intervento da parte dei servizi riabilitativi e dell’ambiente, che sono indispensabili. Nella CAA non esistono soluzioni universali adatte ad ogni soggetto. Al contrario, per ogni soggetto è necessario creare un intervento ad hoc: ogni strumento va scelto in base alle caratteristiche della persona e al momento particolare della sua vita in cui viene richiesto, e quindi lo stesso va migliorato, adattato o aggiustato secondo necessità, oltre ad essere personalizzato per la persona stessa. Ad esempio, uno degli strumenti per la CAA è l’utilizzo dei simboli nel quale i bambini devono avvicinarsi ad essi non attraverso l’insegnamento ma attraverso l’esposizione. Ai partner comunicativi è quindi richiesto di utilizzare gli stessi strumenti comunicativi e le stesse tecniche della persona non verbale in “entrata”. Il “parlare la stessa lingua” (condividendo il codice) è una delle strategie di CAA e viene definita modellamento. Per tali motivi la fase della valutazione, della progettazione specifica e dell’intervento nel caso della Comunicazione Aumentativa Alternativa sono fondamentali per dare un aiuto concreto e maggiori possibilità di comprensione e di relazione, a chi presenta disturbi cognitivi e/o di comunicazione. Pertanto, per un intervento di CAA efficace bisogna: lavorare con/nel contesto di vita dell’individuo; partire dalle abilità esistenti; strutturare un ambiente facilitante specifico (come strutturare routines e sequenze, cogliere minimi spazi di aggancio); affinare un sistema di indicazione/puntamento; costruire, condividere e aggiornare un vocabolario di immagini; coinvolgere le figure significative appartenenti ai diversi contesti di vita dell’ individuo; sviluppare un sistema di comunicazione multimodale “su misura”.

Dr.ssa Valeria Saladino Psicologa

Referente per la Provincia di Catanzaro della Società Italiana di Promozione della Salute (S.I.P.S.) Lamezia e non solo


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