Lamezia e non solo marzo 2019 Ferdinando Attanasio

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Lameziaenonsolo incontra

-Nella Fragale-

Ferdinando Attanasio

Parliamo sempre dei giovani, del loro essere la società del futuro, di quanto siano importanti, ed allora è giunto il momento di dedicare proprio ai giovani le interviste. Cominciamo con Ferdinando Attanasio, giovane, bello, medico, sposato con figlia, una per ora, ma è sposato da poco ... Intanto lo ringraziamo per avere accettato di farsi intervistare ed a voi il piacere di leggere e scoprire di più su di lui. Ferdinando Attanasio, medico odontoiatra, come facciamo per tutti: si vuole presentare ai nostri lettori? L’incipit iniziale alla mia risposta è stato già offerto; per l’appunto sono Ferdinando Attanasio, Medico Odontoiatra, e dopo aver frequentato il nostro liceo classico, F. Fiorentino, mi sono recato a Siena per studiare presso la facoltà di Odontoiatria e Protesi Dentaria. Durante la formazione universitaria ho avuto modo di specializzarmi nelle materie riguardanti le malattie Odontostomatologiche e la Chirurgia orale ed Implantologia frequentando assiduamente l’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese di Santa Maria alle Scotte e una volta conseguita la laurea ho effettuato un anno di formazione specialistica presso la S.D.O. Odontostomatologia e Chirurgia Clinica nella Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi di Firenze. Dopo aver completato gli anni di formazione universitaria e postuniversitaria sono rientrato a Lamezia Terme per iniziare a lavorare presso lo Studio Medico Odontoiatrico di famiglia, affiancandomi a mio padre prima e a mio fratello e mia cognata dopo. Quindi, si può affermare che l’odontoiatria è un vizio di famiglia, essendo, per l’appunto figlio di un bravissimo e stimato Dentista, quanto questo fattore abbia effettivamente inciso sugli studi da intraprendere? Credo che ogni genitore coltivi, dentro di sè, la speranza che il proprio figlio possa seguire il suo esempio professionale e non. Certamente la figura carismatica di mio padre, e anche l’esempio di mio fratello, hanno contribuito a rafforzare questo proposito che comunque era già ben radicato nelle mie convinzioni più intime. Cosa vuol dire essere figlio d’arte e lavorare a stretto contatto con i propri familiari? Lamezia e non solo

Detto così potrebbe sembrare un’impresa titanica, ma in realtà non lo è. In primo luogo, lo Studio Medico Dentistico Attanasio, oggi diventato di famiglia, in realtà lo è sempre stato in quanto, come è noto, è stato fondato da mio padre Tommaso Attanasio con l’ausilio di mia madre Laura Raddi, la quale è responsabile e direttrice amministrativa della struttura. Successivamente, sono subentrati contemporaneamente mio fratello Enzo e mia cognata Diletta Cristaudo e infine sono sopraggiunto io. Ognuno di noi si occupa di ambiti clinici odontoiatrici completamente diversi, quindi partendo da formazioni

e specializzazioni differenti l’attività professionale è armonizzata sulla base della formazione di provenienza, il tutto è inoltre coadiuvato dalla presenza di personale altamente qualificato e da strumenti tecnologici e non solo, di grande qualità e innovatività. Come molti giovani ragazzi del meridione si è laureato fuori, a fronte di ciò, quali sono i ricordi legati alla sua adolescenza e i ricordi legati alla vita universitaria? Quali sono le differenze tra gli uni e gli altri? Prima di tutto la scelta di andare a studiare fuori dalla Calabria non è stata una scelta personale, ma è stata dettata dal fatto che

dopo aver superato i test di ammissione alla facoltà di Odontoiatria e Protesi Dentaria, essendo il bando di concorso di ammissione alle facoltà sanitarie a base nazionale, in ordine alla graduatoria sono rientrato nella facoltà di Odontoiatria a Siena. Posso sicuramente affermare che ho avuto un’infanzia e un’adolescenza molto felice e serena, da sempre mi accompagnano le amicizie di una vita e sto parlando dei compagni di classe e delle amicizie fatte per gioco che si stringono alle elementari e poi durano all’infinito. Una volta arrivato all’università, come per tutti, ho avuto modo di fare nuove esperienze, di conoscere nuove persone ma soprattutto di apprendere il significato di molte che cose che, a discapito dei luoghi comuni, non appartengono dalla Regione di provenienza ma alla maturità e all’esperienza che si acquisisce crescendo di volta in volta. Come per ogni cosa, nel vivere e studiare fuori ci sono i pro e contro; a mio avviso studiare fuori può aiutare tantissimo, ma studiare qui da noi non vuol dire studiare di meno o studiare male, quanto piuttosto la differenza è data dal fatto che gli Atenei presenti nella nostra Regione sono ancora molto giovani rispetto a quelli delle altre Regioni d’Italia che esistono da secoli. Credo, per l’appunto, che la bravura di un professionista sia determinata più dalla propria volontà e dalle proprie attitudini che non dalla sola facoltà di provenienza, dopo tutto non tutti quelli che studiano ad Harvad o Yale diventano dei geni. Sappiamo che lei collabora e ha avuto modo di lavorare con l’Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro, cosa ci può dire in merito? Stante il fatto che mantengo sempre vivo l’interesse a migliorare il mio status e soprattutto di implementare le mie conoscenze e le mie esperienze in un contesto di più ampio respiro, nel 2014 ho frequentato un Master Universitario

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le quali mi hanno portato verso il conseguimento di un secondo Master Universitario di II livello in Implantologia e Parodontologia. In ultimo, con gli studenti in formazione tirocinante al VI anno di facoltà svolgiamo attività di ricerca scientifica per conto dell’Ateneo.

di II livello in Chirurgia Orale e in questa occasione ho avuto modo di conoscere e affiancarmi al Prof. Dr. Amerigo Giudice (medico specialista in Chirurgia Maxillo-facciale), nonché docente della materia di “Clinica delle patologie dento-parodontali” presso la facoltà di

Odontoiatria e Protesi Dentaria all’UMG. Da tale esperienza è nata una profonda stima e collaborazione lavorativa, infatti attualmente svolgo anche attività di insegnamento presso la predetta cattedra come “Cultore della Materia in Malattie Odontostomalogiche”; ovvero svolgo, altresì, attività di Tutor presso l’U.O. di Odontostomatologia – Reparto di Chirurgia Orale della Struttura Mater Domini di Catanzaro con il Prof. Dr. Leonzio Fortunato. I miei continui studi mi hanno portato a dover essere sempre in continuo aggiornamento migliorando e aumentando le mie attitudini lavorative, tali intenti hanno standardizzato le mie condotte, pag. 4

Parlando di attività scientifica, quali sono le nuove tecnologie e i nuovi strumenti e materiali nel suo ambito? Di sicuro la tecnologia computerizzata e i nuovi materiali biomedici hanno cambiato, migliorato e valorizzato la professione odontoiatrica. Per quanto riguarda l’ambito del settore di cui m’interesso, la riabilitazione orale del paziente è sempre più indirizzata verso lo

studio e una terapia individualizzante che si avvicini sempre di più non solo a supporti diagnostici multidimensionali, ma anche attraverso approcci non troppo invasivi e che possano armonizzarsi il più possibile con il distretto orofacciale oltre che oro-dentale. In ordine alle altre branche dell’odontoiatria sicuramente la tendenza alla GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

mini invasività è quella che domina il panorama terapeutico. Il rendere sempre più conservativo ogni intervento ha lo scopo di massimizzare il rispetto per i tessuti, minimizzare il disconfort per il paziente e rendere le sedute odontoiatriche sostenibili anche per pazienti fobici, per i quali tra le altre cose sono disponibili macchine e tecniche per la sedazione cosciente. L’estetica rappresenta l’altro caposaldo imprescindibile per una moderna odontoiatria ed anche in questo campo le moderne tecnologie sono diventate indispensabili si pensi, ad esempio alla tecnica di programmazione computerizzata dell’aspetto del sorriso, tecnica che prende il nome di “Digital Smile Design”, all’ausilio che danno gli Spettrofotometri, macchine in grado di registrare il colore dentale in modo oggettivo o, passando alla protesi, alle tecniche di presa d’impronte con telecamere digitali superando in tal modo il fastidioso passaggio delle impronte tradizionali che molti pazienti non sopportano. Molto importanti sono infine le tecniche di imaging digitale in radiologia che permettono di evidenziare, con dosi di radiazione bassissime, lesioni anche di piccolissime dimensioni e permettono, altresì, misure estremamente precise utili, ad esempio, per la chirurgia implantare effettuata senza tagli chirurgici. Come sarà il Dentista del futuro? Il ricorso a tecnologie sempre più avanzate renderà il nostro lavoro sempre più volto alla prevenzione ed all’intercettazione delle patologie nelle fasi iniziali. L’estetica avrà sempre più importanza ma mai avulsa dalla ricerca della funzionalità di organo. Del resto solo se funziona bene un corpo può essere anche bello! Immagino che il dentista del futuro avrà il compito di accompagnare i suoi pazienti cercando di trattare le cause che possono determinare

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le malattie prima che queste si manifestino ed eventualmente di curarle quando ancora non abbiano provocato danni importanti. Ma oltre che immaginare un odontoiatra concentrato sulla prevenzione, mi piace immaginare una maggiore attenzione da parte di tutti i pazienti alla propria salute orale perché solo da una collaborazione vera e puntuale tra paziente e medico in genere si ottiene il reale scopo della prevenzione. Dentisti si nasce o si diventa? Cosa consiglia ai nuovi diplomati che voglio intraprendere questa strada professionale? L’uno e l’altro; l’importante è studiare bene, formarsi bene ed essere preparati sempre. Ai giovani diplomati che vogliono scegliere questo percorso di studi consiglio di non sottovalutare l’importanza di questa nobile professione, la quale è sempre più minata da figure professionali abusive e da pratiche commerciali nonché pubblicitarie scorrette, vessatorie e aggressive. In particolare, il diritto alla salute è un diritto fondamentale e tra i più importanti del nostro sistema e che passa principalmente dalla bocca. Un paziente sano è un paziente anche con un sorriso e con una bocca sana. Con riguardo alle modalità di accesso alle facoltà sanitarie in generale, le sembra un sistema di selezione giusto? Assolutamente si, mi sembra più che giusto effettuare un test di ammissione a facoltà che ambiscono a formare giovani professionisti che si interfacciano con la cura e la tutela della salute e della vita in generale. È giusto garantire il diritto allo studio a tutti e offrire la possibilità ad ognuno

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di realizzare i propri sogni, ma ciò non significa abbassare il livello essenziale delle pretese culturali. È giusto adottare un metodo selettivo all’ingresso, sarebbe auspicabile estendere tale metodo selettivo anche nei confronti delle altre facoltà. Credo, infine, che la cultura e la formazione professionale debbano ritrovare gli standard e le pretese formative di una volta, solo così si possono garantire categorie professionali serie e altamente qualificate. Stante il suo percorso di studi, essendo anche un genitore, cosa pensa dei vaccini e dell’obbligo dei stessi? Da padre premuroso e da uomo che opera in ambito sanitario, non si può prescindere dall’importanza dei vaccini e del relativo obbligo. Arrivati nell’anno 2019, ovvero in una società fatta di scienza e di progresso

è da sciocchi pensare che i vaccini non servano a niente. I vaccini e il relativo obbligano assicurano e tutelano la salute non solo a beneficio del singolo, ma anche a beneficio prima di tutto della collettività. È importante comprendere che quando un bambino viene vaccinato entra in contato con una quantità minima di agenti patogeni rispetto alla quantità innumerevole di agenti che possano causare la malattia. Malattia per la quale si è riusciti a trovare un vaccino. Quindi, detto con parole semplici, una volta somministrati i vaccini simulano il contatto con l’agente infettivo che provoca la malattia stessa; pertanto con la vaccinazione si finge l’infezione naturale senza però causare la malattie d’origine con le sue complicanze.

Con il vaccino, a ragion di ogni veduta, si consente al nostro organismo di memorizzare la sequenza di quei microrganismi che causano la malattia e di respingerla velocemente quando il nostro organismo entra in contatto con essi. Cosa pensa dei social media, che rapporto ha con essi? È giusto che l’Odontoiatria e la Medicina in generale si interfaccino con queste realtà? Credo che i tempi della professione siano anche dettati dalla comunicazione mediatica, soprattutto se questa possa essere d’aiuto ai pazienti nei casi in cui si necessita l’immediata reperibilità del medico o nei casi in cui sia necessario rintracciare i dati di contatto del professionista o della struttura specializzata. Il mio è un rapporto normale, nonché oltremodo misurato. Più che altro non condivido l’eccesivo uso di tali mezzi per la strumentalizzazione e la diffusione di notizie attinenti alla salute o alla diffusione di dati particolari, meglio conosciuti come sensibili. Il più delle volte, mi imbatto nella lettura di articoli mal costruiti in cui si fa riferimento a notizie fuorvianti, non veritiere oltre che riferibili a casi imbarazzanti, se non del tutto inventati. Sono dell’avviso che quando si parli di tematiche che attengono ai dati riguardanti la salute è necessario attenersi alla sola lettura di pubblicazioni scientifiche che siano accreditate presso linee guida e buone pratiche adeguate al caso di specie. Non condivido, invece, l’uso smisurato che l’utente fa attraverso l’utilizzo dei motori di ricerca per ovviare al consulto con il proprio medico ed effettuare personalmente una diagnosi sanitaria

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le facessi? Si faccia la domanda, ci dia la risposta. Ferdinando Attanasio cosa cambierebbe della sua vita se potesse farlo? In realtà assolutamente nulla, però se potessi tornare indietro andrei fuori per fare un anno di formazione specialistica all’estero, magari in America o in Brasile, ma nella vita mai dire mai.

senza una approfondita conoscenza di base.

e

adeguata

Com’è la sua giornata tipo? Come ogni persona che lavora con amore e con impegno, la mia è una giornata lunga e piena d’impegni e proprio per questo sembra passare molto velocemente. Da giovane genitore e da giovane professionista come fa a conciliare le due cose? Quando torna a casa riesce a non pensare al lavoro? Fortunatamente mia moglie Lucia Francesca mi aiuta ad essere un ottimo genitore, ma per come lo sono stati mia madre e mio padre, o i miei suoceri ovvero anche mio fratello e mia cognata, non è sempre facile riuscire a conciliare bene entrambe le cose. Bisogna fare molti sacrifici e riuscire a non levare tempo alla famiglia che è il bene più prezioso. Sicuramente tra il padre e la madre, la madre è sempre la figura che si sacrifica di più e credo che il segreto sia riposto tutto nell’amore, nulla più. Per quanto riguarda il non pensare al lavoro quando si torna a casa, cerco di evitare di pensarci troppo ma quando fai un lavoro con passione sei sempre totalmente preso e assorbito dai tuoi interessi. Mi appassiona continuamente lo studio di nuovi articoli, nuovi casi o nuove tecniche lavorative; purtroppo per mia moglie, stacco la testa solo quando sono con nostra figlia.

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Se non le fosse stato possibile fare il Dentista cosa avrebbe fatto nella vita? Non lo so, sinceramente non ho mai pensato ad un altro tipo di opzione. Sicuramente il Medico perché, in realtà, la mia inclinazione è sempre stata quella di orbitare attorno a materie attinenti all’Odontoiatria. Spera che un giorno anche sua figlia voglia seguire la tradizione di famiglia? Credo che sia ancora troppo presto per

pensarci, ma ovviamente mi piacerebbe poter passare il testimone sia a mia figlia Laura e sia ai miei nipoti Ginevra e Tommaso. Comunque sia, e a prescindere da tutto, spero dal profondo del mio cuore che ella possa fare tutto ciò che più desideri e che le sue scelte possano essere sempre accompagnate dalla passione e dall’impegno. E concludiamo con un’altra domanda classica “alla Marzullo”, la domanda che non le ho fatto e che avrebbe voluto GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

Ed eccoci qua a tirare le conclusioni, nonostante la formalità dell’intervista, non posso concludere dicendo di non conoscere l’intervistato, di dovermi sforzare per cercare nelle parole dell’intervista quello che debbo scrivere. Lo conosco da tempo ed un sincero affetto mi lega a lui ed alle “sue” famiglie, quella dei genitori e la sua nuova famiglia. Che dire di Ferdinando? Magari ve ne fossero come lui! Un giovane dei nostri tempi che ha ben saputo coniugare il passato, mantenendone valori oggi quasi dimenticati, con il presente, figlio dei suoi tempi che sa divertirsi ma che non dimentica di essere un padre, un marito, un medico. E’ un ragazzo con una innata sensibilità nel porsi e tanta, tanta determinazione e tenacia. La frase per lui è di Anton Vanligt: “E a volte ci si accorge di aver superato traguardi a cui nemmeno si osava puntare all’inizio dell’avventura. Il fatto è che il cammino, se condiviso con le giuste persone, risulta leggero, piacevole, la fatica lascia il posto alla voglia di fare, di dare, di essere. E ci si ritrova a voltarsi indietro, in un giorno qualunque, e non credere ai propri occhi: quanta strada!”. E tanta altra gli auguro di percorrerne, con lo stesso entusiasmo, la stessa voglia di fare e ... la stessa sensibilità.

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Gianni Renda un dono di Dio per il Meridione nel volume “Gianni Renda. Il volto splendente di un giovane del Sud” di Filippo D’Andrea di Domenico Caparello

Giovedì 21 febbraio al culmine di una passeggiata nelle vie dove è cresciuto e dove si è formato Gianni Renda, un folto gruppo di conoscenti, curiosi, appassionati della cultura meridionale, al seguito dei relatori, si è fermato dinanzi la casa natia del noto avvocato lametino, tragicamente scomparso nel 1983, a soli 31 anni; e proprio lì, nella via dedicata ad un suo avo, in un mare di emozioni, la sorella Cinzia, il fratello Basilio e il cugino Vincenzino, hanno scoperto la targa commemorativa dedicata a Gianni, proprio in quel giorno che sarebbe stato il suo 67° esimo compleanno. Così come affermato a più riprese dal professore Filippo D’Andrea, la targa è frutto del ricordo, del pensiero e dell’omaggio di più e più persone, che conobbero Gianni, e che in poche e dense parole ne

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racchiude la poliedrica esistenza. Il frutto del lavoro di Gianni, il suo essere membro attivo e trascinatore della comunità è ancora palpabile ad oltre 30 anni dalla sua morte, infatti è stato possibile vivere durante quello stesso giovedì un energico e folto raccoglimento comunitario, nel salone del Convento di San Francesco di Paola di Sambiase, che ha ospitato l’evento, in cui sono intervenuti, per offrire una diretta e pensata testimonianza della vita e dell’operato di Gianni, l’autore del libro il professore Filippo D’Andrea, il professore Domenico Enrico Massimo, l’insegnante Fiore Isabella, il dottore Basilio Renda, l’editrice Nella Fragale Perri -Grafichèditore- , Don Armando Augello e Padre Vincenzo Arzente. Il professore Filippo D’Andrea dopo aver presentato alla platea i relatori, ha intro-

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dotto la figura di Gianni Renda, sottolineando sin da subito l’intenso rapporto comunitario che legava Gianni con la sua terra, con la sua comunità; tutto ciò portava a vedere il giurista lametino come un fratello per chi ha avuto la gioia di poterlo conoscere, il perché non è difficile intuizione, difatti Gianni è stato sempre molto attivo in comunità, sin da molto piccolo, a partire dalla parrocchia, che ha continuato a frequentare sino alla tragica scomparsa; come non citare poi l’impegno politico, e la partecipazione in varie associazioni locali, non come membro passivo, ma al contrario, spesso come trascinatore. D’Andrea ha quindi evidenziato la profonda laicità cristiana del giovane giurista, un fervore nei confronti del cristianesimo mai sfociato nel fanatismo, è stato quindi esempio di vita di chiara ispirazione evangelica, e probabilmente questo ha determinato l’enorme e duraturo affetto di tutti nei suoi riguardi. Di particolare spessore un passaggio del professore D’Andrea che ha definito l’avvocato lametino, un “piccolo grande giovane”, si rileva una profonda ricchezza nell’intervento, individuando l’umiltà di Gianni, la sua grande modestia, la semplicità, che hanno caratterizzato il suo vivere e il suo operare, elementi questi che oggi dovremmo riscoprire tutti, in un periodo dove la competizione genuina non scorre su sani e solidi principi, ma su una sciatta e inutile esibizione di “pennacchi”, che altro non sono se non futile manifestazione di scarsa saggezza. Quindi la grandezza di Gianni, che deriva da una semplicità non dovuta a scarse capacità, ma tutt’altro, si tratta di una semplicità capace di Lamezia e non solo


edificare l’uomo, ed elevare moralmente e spiritualmente l’individuo. È quindi seguito l’intervento del fratello Basilio, medico, che nel sottolineare la costanza e la grande determinazione di Gianni nel suo operato, ha evidenziato a più riprese che la morte di Gianni pone parte delle cause nell’aver sottovalutato i sintomi della propria malattia, proprio poiché troppo impegnato, troppo coinvolto, troppo dedito ai suoi innumerevoli incarichi. Quello del fratello scomparso è stato definito come un “sguardo splendido”, un volto che rispecchiava la sua essenza: “sincera”. Gianni era l’esatto contrario di tanti “giovani rampanti senza scrupoli”, apparsi in tempi recenti sulla scena politica. Egli fu un giovane attivo a 360 gradi, che sapeva bene ciò che faceva. Un giovane attento, preciso, puntuale, pieno di vita con le proprie radici nella famiglia. Difatti questo è il primo ambiente nel quale il fanciullo cresce, si forma, e si apre al mondo, e proprio i genitori sono i primi responsabili della sua formazione spirituale e sociale, ancor prima della formazione culturale. Il professore D’Andrea a conclusione dell’intervento del fratello Basilio, nel passare la parola all’editrice Nella Fragale, ha sottolineato la passione espressa nella realizzazione del volume. L’editrice ha quindi sottolineato sin da subito il calore e l’emozione che ha potuto percepire negli sguardi dei presenti, che si trovavano lì proprio per Gianni, un Gianni capace ancora oggi di raccogliere così tante persone per dopo 35 anni dalla dipartita: testimonianza del solco profondo che è stato capace di lasciare nella sua Lamezia.

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Successivamente la parola è stata affidata al professore Domenico Ernico Massimo, amico di infanzia di Gianni, che con forte commozione nel ricordo dell’amico scomparso, ha individuato in se stesso e nel proprio operato, tracce dell’avvocato lametino, proprio per via del forte carisma di Gianni, e per via della sua rara capacità di farsi amare, derivante dalla sua attenzione gratuita verso il prossimo. Questo suo profilo lo si individua in primis nella sua spontanea, gratuita e segreta vita caritatevole, militava infatti fra le file della Charitas. Nel concludere il proprio intervento il professore Massimo ha riconosciuto nella figura di Gianni un maestro di vita, che va oltre la sua breve esistenza, ma che continua tutt’oggi a permeare gli animi e l’operato di coloro che hanno avuto la grande fortuna di poterlo conoscere. La parola è stata quindi passata a Mons. Armando Augello, definito dal professore D’Andrea guida spirituale per tanti giovani sambiasini di allora e di oggi. Illuminante l’intervento di Don Armando che ha definito con forti parole la figura di Gianni Renda: “un dono di Dio” per la comunità, e si rivela quindi necessario individuare in Gianni l’operato divino. Il giurista lametino è stato, secondo Don Armando, capace di dare un volto umano al cristianesimo, che è una delle sfide più difficili per qualsiasi cristiano. Nel concludere l’intervento, è stato evidenziato come la presenza del giurista lametino, ponga le sue fondamenta nello spirito santo, che continua ad alimentare il suo essere. È seguito l’intervento dell’insegnante

Fiore Isabella, introdotto dal professore D’Andrea come avversario politico di Gianni Renda, ma un avversario con il quale si dava vita ad uno scontro pulito, sincero ed onesto, che è quanto di più bello possa caratterizzare lo scenario politico. Nell’esporre la sua esperienza con Gianni Renda ha sin da subito evidenziato la propensione di Gianni all’ascolto ed al dialogo, caratteristiche queste, che trovavano piena compiutezza nei loro dialoghi ricchi, profondi, e non banali o superficiali. Uno degli elementi caratterizzanti di Gianni era senz’altro l’attenzione e l’impegno che investiva in politica, e che divenivano tangibili, proprio nell’apertura all’altro. Difatti il confronto politico, sempre secondo l’insegnante Fiore Isabella, diveniva sempre occasione di mutuo accrescimento reciproco. In seguito Padre Vincenzo Arzente, ha ricordato sin da subito la determinazione di Gianni ove si rivelava necessario, proprio per via del suo ruolo da educatore in Parrocchia. Uno dei ricordi che Padre Arzente ha voluto condividere con i presenti, è il funerale del giurista lametino, durante il quale è stato possibile respirare e percepire un clima di sconcerto, per via di un evento surreale, paragonabile a lutti di scala nazionale, come l’assassinio di Aldo Moro o la morte di Papa Paolo VI. Quindi nel descrivere il libro del professore D’Andrea, elemento chiave secondo Padre Vincenzo, è la capacità dell’autore di guidare e spiegare meglio ove necessario determinanti concetti del volume, che per l’appunto testimoniano e manifestano l’amore speso dal professore D’Andrea nella stesura del libro. Padre Arzente,

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continuando nel suo intervento, ha sottolineato la semplicità di Gianni che individua le proprie radici nella famiglia, la quale è stata capace di renderlo vera persona umana. Il giovane Gianni è riuscito a divenire pieno rappresentante del proprio motto: “vivi come se dovessi vivere per sempre e morire domani”. Un giovane politico, caratterizzata purtroppo da una esistenza troppo breve, che come già detto, che ha ricoperto più volte nella sua vita incarichi presidenziali, non poiché desideroso di dare sfoggio di sé, ma per offrire un servizio di alto livello alla comunità; capacità e doti ammirevoli e rare, che egli fece sue sin dalla tenera età: sono questi probabil-

mente gli elementi chiave che gli permisero di farsi amare e ricordare. L’autore del libro, prof. Filippo D’Andrea, nelle conclusione del convegno ha colto che “ognuno con il proprio sguardo ha fatto una conferenza, partecipando con un coinvolgimento raro”. E facendo estrema sintesi dei contenuti emersi: Gianni ha espresso una “sana laicità evangelica, mediante il suo essere pienamente persona, modello di trasparenza di una umiltà illuminata, profondendo un impegno entusiasta nei diversi campi nei vari settori (chiesa, famiglia, società, politica) con un’esemplare semplicità relazionale, mo-

strandosi segno luminoso nel quotidiano, modello di giovane contemporaneo di San Francesco di Paola. Il professore D’Andrea ha concluso con un’immagine molto commovente: ricorda quando Gianni alle tre di pomeriggio usciva da casa, per andare a fare catechismo a marmocchietti, ora presenti tra il pubblico coi capelli bianchi e, stringendo fra le mani la Bibbia, percorreva saltellando, pieno di vitalità e allegria, le vie che lo portavano al vicino convento di San Francesco di Paola di Sambiase, dove doveva consegnare, attraverso la pienezza del suo essere persona umana, Dio stesso.

Satirellando

Ci si imbatte, a volte, in strani figuri, il cui insulso comportamento, risalta perché non si riesce ad intenderne la motivazione. Gente che conosci da anni, te la ritrovi improvvisamente davanti e, in certi contesti, fa finta di non sapere della tua esistenza,. Ci si chiede quali siano i meandri del cervello per cui, alla soglia della cosiddetta età della maturità intellettuale, al contrario, si tenda ad instupidire completamente. Per non dare troppa importanza alla cosa, conviene (come sempre) satirellare e riderci su… IL BIONDINO STAGIONATO Il biondino stagionato

ha vezzo di pavone turchino,

perché emerga sua baldanza… vedersi damerino piacente!

Crede che, tutto il Creato,

ma il risultato è da tacchino.

Caro mio, ma, senti qua,

s’inchini e stia ai suoi piedi,

Fa, per smorfia, un gran sor- hai guardato al di là riso, del tuo lungo e brutto becco: che dipinge sul suo viso ti prego, non restarci secco,

in tanti luoghi, in varie sedi! Ostenta puzza sotto il naso: nell’andatura, se fai caso, pag. 10

con estrema riluttanza,

Non sai che, pure i narcisi, finiranno ai Campi Elisi? Risata sardonica d’obbligo. AH, AH, AH!

se dico sia da pezzente

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LA CALABRIA, UNA TERRA DA AMARE

U N M I RACOLO CH IAMATO PR I MAVE RA di Ginevra dell’Orso

Emozione unica Non c’è nulla di più sorprendente ed emozionante della primavera in Calabria; potrebbe sembrare un’esagerazione, una forzatura, ma posso assicurare che è esattamente così. Un miracolo che si ripete anno dopo anno, ma che mai una sola volta riesce a passare inosservato. Dico sempre a tutti di visitare questa regione in Primavera perchè, nonostante l’estate offra un mare meraviglioso, niente è così sconvolgente come assistere alla nascita di un intero mondo all’interno del nostro mondo. All’improvviso, come fosse un incantesimo, tutto viene ricoperto di giallo. Sono loro, i fiori di acetosella, a fare da pionieri della nuova stagione. Sfacciatamente e senza alcun ordine apparente, si mettono in fila sui bordi delle strade, ai lati dei marciapiedi, tra le crepe dei muri, o tempestando ampie distese di verde. Cromatismi ipnotici Lentamente, giorno dopo giorno, i colori del giallo sfumano verso nuove tonalità, toccando tutta la scala cromatica. Sparsi qua e là, sulle colline, gli alberi che sembravano invisibili e tutti uguali, si trasformano in pennellate di colore. Bianche per il mandorlo, l’albicocco, il melo e rosa per il pesco e il ciliegio. Poi spuntano i cespugli di ginestra, lunghi e sottili, che vanno in fiore vestiti di giallo. E poi le mimose, imponenti e capaci di crescere alte e folte. Ma la primavera non è solo l’incanto delle piante: tutto è in mutamenLamezia e non solo

to, come se il mondo si togliesse un abito pesante, stretto, ingombrante e al suo posto venisse indossata un’impalpabile veste di lino, che svolazza leggera al vento.

Animali e insetti Ed è proprio lui, il vento e le sue brezze che arrivano da lontano, che sconvolgono ogni cosa, che puliscono il cielo, trasformandolo di un blu celeste che solo in primavera si può osservare e che diventa sfondo di numerose rotte di uccelli, che tornano da paesi lontani, impazienti di ubriacarsi di amore. I cornicioni delle case diventano il luogo di ritrovo di migliaia di rondini, che gridano, cantano, in un via vai continuo, ipnotico, incessante, dall’alba al tramonto. E poi ci sono

le tortore, i passeri, i barbagianni e i falchetti che volteggiano a spirale fino a toccare le nuvole bianche e spumose. È la volta dei lupi e delle volpi, che intonano i loro canti, e dei cinghiali che scendono al fiume in cerca di acqua... e poi il ronzio di tutti i milioni d’insetti, che diventa un sottofondo costante. Api, farfalle, coccinelle, mantidi, ragni colorati: un brulicare ansioso di vita e di profumi. Il Re Mare I raggi del sole raddrizzano la loro inclinazione, sono alti, e tutto appare sotto una nuova luce; gli ulivi sembrano argentati, i prati smeraldati, e persino il mare, Re supremo e onnipresente, si abbandona a nuove sfumature. Le sue onde diventano gentili, l’acqua è cristallina, e il riverbero solare sulla superficie, riesce persino a trasformarla in oro. In lontananza, si vedono i delfini saltare, le barche allontanarsi dalla riva, scomparendo in un tramonto che finalmente tarda ad arrivare. Una visione unica L’aria profuma di buono, di nuovo: ogni volta, è come se fosse la prima. Per questo credo che sia una specie di magia; alcune cose non vogliono fissarsi nella mente, forse per non perdere lo stupore, quasi infantile, che provocano certe sensazioni. Qui in Calabria la primavera è veramente uno spettacolo sempre inedito, un prodigio che si compie puntuale, che si fa attendere a lungo, ma per cui vale sempre la pena essere qui e non altrove.

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Spettacolo

“A che servono questi quattrini” o dell’inutilità del denaro di Giovanna Villella Catanzaro, 2 marzo 2019. Ancora un appuntamento con la rassegna teatrale Vacantiandu con la direzione artistica di Diego Ruiz, Nico Morelli e la direzione amministrativa di Walter Vasta. In scena Pietro De Silva e Francesco Procopio con lo spettacolo A che servono questi quattrini, un testo scritto nel 1940 da Armando Curcio, commediografo napoletano che fu anche collaboratore di Eduardo e che oggi ci viene proposto nella riscrittura scenica di Giuseppe Miale di Mauro che ne cura anche la regia. Pur rimanendo fedele alla versione originale questo nuovo allestimento si attualizza e si vivifica nella lingua con l’adozione di anglicismi e di termini propri dell’era digitale e con l’introduzione di un tema nuovo, quello della politica per offrire una satira sociale del nostro tempo. Il palcoscenico si denuda mostrando agli spettatori quello che si cela dietro le quinte e deprivando gli attori di ogni rifugio, di ogni protezione, di ogni rete di sicurezza. Tutto si svolge a vista, lasciando al pubblico la libertà, il piacere voyeuristico di “spiare” i rumori e gli umori fuori scena. Al centro del palco tre porte montate su scalini scandiscono l’entrata e l’uscita dei personaggi con la suggestiva tecnica della slow motion restituendoci una immagine quasi cinematografica rafforzata dalla presenza di grandi riflettori e luci profuse, varianti in localizzazione e intensità con effetto di ritmo, di rispondenze geometriche, di décor, laddove, in altre scene, i personaggi si raggelano in pose legnose come figurine di cartone. Nulla è concesso al facile folklore anche se la scena, nel primo atto, si serve di alcuni segni per suggerire un ambiente tipicamente napoletano come quella corda di poveri panni stessi in alto a indicare un esterno, un vicolo, una strada. Due famiglie, gli Esposito e i De Rosa, la miseria e la ricchezza, diverse e distanti che si apparentano per mero interesse. Una eredità fasulla. Un nobile decaduto, conosciuto come il professore, che si fregia di conoscere la filosofia e che parla per citazioni ricalcando il modus operandi degli ideologi del XXI secolo padri fondatori dei partiti del nulla che portano al potere uomini di paglia afflitti da bulimia comunicativa e zero titoli di cui Vincenzino è prototipo perfetto. E ancora, l’atavico, italico intreccio tra politica, imprenditoria e malaffare… Di spiccata carica interpretativa il Vincenzino pag. 12

Esposito di Francesco Procopio il quale, fin dalla sua entrata che avviene dalla platea e poi durante il suo cabarettistico comizio di ringraziamento, stabilisce con il pubblico un rapporto intenso e immediato. Il suo è un personaggio buffo che è un po’ diverso dal comico perché si carica di quella ingenuità e di quella follia che nella loro rudimentale saggezza sanno rivelare assurdi avvenimenti o crudeli verità. In maniera candida, entusiastica e pasticciona, Procopio dà fondo a tutta la napoletanità del suo personaggio attraverso il gesto esagerato e il suo dire convulso e precipitato che sottolinea, nella apparente assurdità delle sue ossessive iterazioni verbali, le contraddizioni della società colte sul punto di divenire esplicite e dirompenti pur rimanendo cantore di quell’universo popolare partenopeo fatto di fame eterna, miseria, quotidiana lotta per la sopravvivenza, umanità e volontà di riscatto sociale. Pietro De Silva, nel ruolo di Eduardo Parascandolo detto “O professore” si conferma attore capace di costruire un carattere in tutte le più minute sfumature. In quel suo incedere elegante ma dimesso, nei toni bassi e persuasivi della sua voce si cela, tuttavia, un abile manipolatore, un burattinaio, uno stratega. In un mondo dominato dalla logica del denaro a cui egli ha stoicamente rinunciato perché i soldi non danno la felicità, rivolge la sua attenzione verso un universo perduto, arcaico, anacronistico, indifferente ai bisogni materiali e alle mode predicando il non-lavoro e il riposo come condizione endemica dell’uomo. Così si tramuta in una sorta di grottesco dispensatore di sogni e perle di saggezza, un illusionista pronto a tirare fuori dal suo cilindro lo stratagemma per realizzare i desideri (le illusioni?)

tacco 12 mentre il suo orientamento sessuale, per quanto esplicito, è disegnato senza eccessi parodistici dalla spigolosa interpretazione di Andrea Vellotti. L’universo attoriale femminile è invece affidato alla brava Rossella Pugliese che ci regala una Carmela affettuosa e attenta ai bisogni del fratello ma pragmatica e realistica alla quale la ricchezza riesce solo a mettere in luce quel bisogno di vanità che è proprio di tutte le donne mentre la disinvolta interpretazione di Felicia Del Prete ci offre una Rachelina che, nata e vissuta nel benessere, si rivela una opportunista snob e disinibita la quale accetta di sposare Vincenzino solo per salvare l’azienda di famiglia e per sfruttarne l’influenza come nuovo leader politico sì da poter realizzare le sue velleità artistiche. Un morality play contemporaneo con il suo teatrino della politica e i valori misurabili in conti in banca ma anche un gioco scenico sulle “illusioni”. L’illusione della buona politica con le sue false promesse, l’illusione della ricchezza, l’illusione del potere, l’illusione della felicità dove il divertimento è assicurato dalla sagacità delle battute, dalla gran verve degli attori e da un ben congegnato meccanismo teatrale. Applausi a scena aperta e nel finale, sulle note de Le beatitudini di Rino Gaetano. Al termine della commedia l’omaggio della tradizionale maschera, simbolo della rassegna Vacantiandu ideata dal graphic designer Alessandro Cavaliere e realizzata dal maestro Raffaele Fresca, che il direttore artistico Nico Morelli e il direttore amministrativo Walter Vasta hanno consegnato a Pietro De Silva e a Francesco Procopio.

delle persone che lo circondano. Molto convincente ed efficace il Ferdinando di Antonio Friello, imprenditore dalla moralità ondivaga con il vizio del gioco che finisce nelle mani di De Simone, un temuto e rispettato strozzino femminiello la cui aria da malamente è mitigata da un rossetto cremisi e da un paio di décolleté GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

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Spettacolo

“Generazione disagio” quando la morte si fa gioco

di Giovanna Villella

Catanzaro, 14 febbraio 2019. In scena per la stagione teatrale organizzata da AMA Calabria al Teatro Comunale di Catanzaro Generazione Disagio. Dopodiché stasera mi butto di e con Enrico Pittaluga, Graziano Sirressi, Andrea Panigatti, Luca Mammoli, regia di Riccardo Pippa. Uno spettacolo pluripremiato che è risultato vincitore al Play Festival 1.0 2015 di Roma; vincitore del Bando Visionari 2015, Teatro Off di Como; vincitore della III edizione de Le Città Visibili di Rimini. Perché il teatro dovrebbe sempre rappresentare sentimenti buoni, eroici, assoluti? C’è una legittima istanza da parte di categorie “altre” che non rientrano nell’Olimpo del rappresentabile a chiedere attenzione? Se Baudelaire ha fatto altissima poesia con I fiori del male, perché non si potrebbe fare buon teatro con temi come disagio, precariato, malessere, depressione, sesso, suicidio demistificandone il senso? La risposta è un allestimento grottesco, perfido, crudo, irresistibi-

Disaffezione. Ed ecco allora il vuoto, il non risolto, l’impossibilità di realizzare e di realizzarsi sia psicologicamente che sessualmente con 3 aspiranti suicidi: il laureando (Luca Mammoli), lo stagista (Andrea Panigatti), il precario (Enrico Pittaluga) e un entertainer (Graziano Sirresi) in pied-de-poule, incrocio tra un guitto e un moderno clown (senza naso rosso) che brandisce un fallo a mo’ di microfono. Tra autoconfessioni – che possono essere continuamente reinventate nella dinamica scenica – e j’accuse, prove individuali e collettive è nel surplus di senso e nel nonsenso che si possono scoprire direzioni inedite del testo tra rimandi e citazioni colte (Hikmet, Pasolini e Gilles Deleuze), luoghi comuni e ribaltamenti di significato, tra permacoltura, resilienza e feng shui, decrescita felice e globalizzazione dei diritti in un continuo e vivace mescolarsi di registri alti e bassi. Il laureando, lo stagista, il precario. Le loro personalità, i loro stili

le dei rituali del teatro dove i codici vengono continuamente ribaltati, trasgrediti, irrisi (la voce fuori campo invita a non spegnere i cellulari) ma è anche l’affermazione dello spettacolo teatrale come drammaturgia in azione. Mutuando il format del quizzone televisivo con incursioni da avanspettacolo, sulle note di Stasera mi butto di Rochy Roberts si allestisce Dopodiché… per trasformare la morte in gioco e riaffermare il concetto di libero arbitrio. Il gioco è quello dell’oca, con le caselle che ti avvicinano o ti allontanano dall’ultima. La numero 30. Quella finale. Quella del suicidio perché la vita, malgrado i nostri sforzi e la buona volontà, è una menzogna… Una grande cerimonia funebre dove tre antieroi della sopravvivenza quotidiana, dispersi, avviliti e prossimi al rifiuto esistenziale, colti da febbrile e tattile volontà di arrivare per primi alla casella n. 30 partecipano, ritrovando in quella bara nera un nido di speranza. In palio c’è il suicidio… Addomestichiamo la morte, dunque. Portiamola “ad domus” nei pressi della casa ed esorcizziamone lo spettro con una risata perché nella morte e nella sua esibizione esiste sempre qualcosa di macabramente affascinante, soprattutto se questa è vissuta in modo collettivo. Distogliamo “l’uomo dalla perniciosa voglia innata di domandarsi quale senso abbia l’esistenza. Essa non ne ha alcuno…” “Homo faber fortunae suae? Cazzate…” Basta con l’apologia del vincente e la nevrosi del successo! Mettiamo in pratica la tecnica delle 3 D: Distrazione, Disinteresse,

diversi come le loro fisionomie si misurano sulla scena e si completano nell’esaltazione del gioco comico tra paradossi e gestualità, l’assenza di un copione rigido e l’abilità di mutare le strutture dello show giocando con gli spettatori di ogni età. Con il candore impertinente di 4 enfants terribles dall’adolescenza protratta all’infinito in questo nostro Occidente malato di senile immaturità, essi violentano la platea, profanano zone poco frequentate, si avventurano in terreni negati o rimossi, eccitano il pubblico che viene continuamente percorso da brividi, imbarazzi, rossori, risate e applausi liberatori. L’azione, pur rimanendo circoscritta al cadre perimetrato dalle quinte nere con stendardi rossi vagamente soviet touch che scendono dall’alto, si trasforma in un inventario multiplo dei malesseri contemporanei fino alla tracimazione dello spazio scenico in platea con coinvolgimento degli spettatori che, divertiti, reggono loro il gioco facendosi “pandizzare” e lanciando palline di plastica colorate in estenuanti round. Certo è molto più comodo mettere in atto poderosi meccanismi di rimozione che prendere coscienza dello svuotamento di senso cui oggi, tutti noi, siamo sottoposti ma spettacoli così servono a riattivare il rapporto tra linguaggio teatrale e vita reale. Negli anni ’70 sarebbe stato teatro d’avanguardia. Oggi è uno spettacolo politicamente, impudicamente, felicemente scorretto. Grandi. Applausi.

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Fermenti Filosofici

“Uomo, natura ed identità” al Cenacolo Filosofico

di Filippo D’Andrea

Sabato 2 marzo 2019 si è svolto il Cenacolo Filosofico, fondato e diretto dal prof. Filippo D’Andrea, nei locali del Sistema Bibliotecario Lametino coordinato dal dott. Giacinto Gaetano, sul tema “Uomo, natura e identità” trattato dall’avv. Francesco Bevilacqua, scrittore, Giornalista pubblicista, fotografo naturalista, alpinista e trekker per passione. Autore di una ventina di libri sulla natura e la paesaggistica calabrese, e sul rapporto uomonatura. Alcuni titoli: Elogio dello stupore, estetica, etica, sacralità della natura (2001); Gocce di rugiada, pensieri per la natura (2004); Calabria sublime, i paesaggi naturali della Calabria attraverso gli occhi di viaggiatori e descrittori (2005); Aspromonte, la montagna incantata (2007); Calabria viaggi e paesaggi (2009); Genius Loci, il dio dei luoghi perduti (2010). L’introduzione di Filippo D’Andrea ha illustrato il lungo percorso del Cenacolo Filosofico iniziato nel 1992 con innumerevoli relatori e temi e la costante del metodo del dialogo rispettoso e plurale tra i partecipanti. Sul tema si tiene presente l’enciclica di Papa Francesco “Laudato Sii” del 2015, divenuta manifesto imprescindibile d e l l ’ u o m o contemporaneo. L’avv. Bevilacqua si è subito portato nel vivo della tematica affermando che “E’ quantomeno dall’enigma di Eraclito (“La natura ama nascondersi”) che ci si interroga sul rapporto uomo-natura. Per gli antichi greci la natura era lo sfondo immutabile e increato, dominato da ananke (la necessità), sul quale si dipanava la vicenda dell’uomo come parte del Cosmo” “Negli ultimi due secoli, - continua Bevilacqua- l’uomo, grazie alla tecnica – utilizzata sempre di più a favore di quelle elite che, grazie all’accaparramento delle risorse del Pianeta, detengono tutto il potere e tutta la ricchezza - è stato in grado di portare la Terra – e se stesso - sull’orlo del baratro: inquinamento, mutamenti climatici, devastazioni ambientali, distruzione del pag. 14

paesaggio, conflitti, cancellazione di culture, diseguaglianze sempre più accentuate”. “Si è perciò avverato il monito di Bacone: “scienza è potenza”. Per questo motivo, proprio religione e filosofia – relegate in un cantuccio dalla tecnica, che predilige, appunto, la scienza - si interrogano disperatamente su come modificare il rapporto uomo-natura. Al punto che è stato necessario stendere, a livello mondiale, una “Carta della Terra” che si propone di ispirare in tutti i popoli un nuovo sentimento d’interdipendenza globale e di responsabilità condivisa per il benessere di tutta la famiglia umana, della grande comunità della vita e delle generazioni future”. E lo scrittore naturalista cita l’ecologia integrale di papa Francesco, che esorta a superare l’antropocentrismo conquistatore e ludico, predatore e distruttore irresponsabile ma l’uomo capace di “stupore, rispetto e devozione” verso il creato. Se l’uomo abbandonerà – conclude l’avv. Bevilacqua - “il paradigma antropocentrico oggi dominante ed assumerà una visione olistica ed animica del mondo, come l’ecologia profonda raccomanda da anni” ci sentiremo “fratelli di tutte le altre creature – nel senso del “Cantico delle creature” di Francesco d’Assisi”. Il prof. D’Andrea ha concluso rilevando che, dall’avv. Francesco Bevilacqua e dal dialogo socratico, sono stati dipinti paesaggi, visioni, orizzonti antropologici, filosofici, spirituali e teleologici, quasi citazioni indirette dei grandi precursori della coscienza universale lo scienziato teologo Teilhard de Chardin ed il filosofo teologo Hans Kung. Sono seguiti numerosi interventi atti ad approfondire ulteriormente ed in senso interdisciplinare. Il prossimo Cenacolo Filosofico è sabato 6 aprile, ore 18 al Chiostro san Domenico sul tema L’unità plurale della vita interiore: psiche, anima, intelletto” con relatori del campo filosofico, psicologico, medico, tecnologico.

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cultura

La narrativa combinatoria di Tommaso Cozzitorto

Nella nostra precedente chiacchierata ho accennato alla narrativa combinatoria, riferendomi a Calvino. Questa metodologia sperimentale nasce in Francia nei primi anni sessanta del novecento intorno al gruppo Oulipo tra cui spiccano Queneau e Perec mentre Calvino fa la conoscenza del Combinatorio durante gli anni del suo soggiorno parigino. La narrativa combinatoria si propone di smontare le tradizionali tecniche narrative rendendo la scrittura un gioco tale da rendere attivo il lettore e stimolarlo da un punto di vista intellettuale. Spesso possono celarsi messaggi difficili da decifrare dietro una costruzione lessicale fondata sulla mancanza di una vocale per tutto l’intero testo, messaggi non del tutto decodificati dopo molti anni dalla stampa del romanzo stesso e tutto ciò può rappresentare un esercizio culturale per tanti

lettori, una sorta di “ginnastica” della mente. Ma il metodo combinatorio può offrire delle chiavi di lettura efficaci anche per interpretare e analizzare i molteplici aspetti della vita, il gioco delle combinazioni delle esistenze degli esseri umani nei secoli; ognuno di noi costruisce i giorni del proprio cammino terreno, molte volte smonta il tutto, sperimenta nuovi sentieri, cambia le carte in tavola, diventa attore del proprio destino, modificandolo durante il percorso. Proprio così si farà trovare pronto quando è la vita stessa a cambiarlo, pronto a riposizionare e sperimentare strategie, pronto a ripescare le vocali e le consonanti di singoli pensieri sparsi nei minuti che compongono il tempo di tutti gli esseri viventi. Il Castello dei destini incrociati di Calvino e I Fiori blu di Queneau rappresentano i due romanzi più artisticamente riusciti di narrativa combinatoria.

l’angolo di ines

di Ines Pugliese In un paese lontano lontano vive un esemplare particolare,un mammifero, bello robusto, morbido e rotondo, sembra una bella palla di pelliccia, per questo piace tanto ai bambini. Questo animale si chiama panda e si trova soprattutto nei paesi della cina centromeridionale, si nutre di foglie di bambu’ ma anche di frutta di radici, di insetti Ipiccoli. Di giorno si fa delle lunghe dormite e la notte invece va in cerca di cibo. Il suo letto è il ramo di un albero dove si allunga lasciando le zampe a penzoloni. La coda l’ arrotola intorno al corpo fin sul capo e dorme tranquillamente. Nelle zampe anteriori ha un dito che somiglia ad un cuscinetto carnoso con il quale Agguanta i bambu’. Quando beve bagna la sua zampina nell’ acqua fresca del ruscello e poi la lecca. La mamma prima di mettere alla lice i suoi piccoli fa passare 130 Giorni, di solito nascono da uno a quattro cuccioletti bellissimi e tenerissimi. Hanno la testa rotonda e bianca, le orecchie piccoline nere, due occhioni neri, un Lamezia e non solo

Il Nasino bianco e nero e una boccuccia nera che sembra dipinta col cioccolato. Questo animale è veramente buffo per questo i bambini lo amano molto. Una volta un bambino è scappato da casa perche’ i suoi genitori lo picchiavano ed è vissuto per tanto tempo con un piccolo panda in un luogo misterioso della cina . Anche lui come il piccolo panda si nutriva di frutta e di foglie di bambu’e di notte. Dormiva su d’ un albero insieme al suo amichetto. Pensate che il panda per non far cadere il suo amico dall’albero mentre dormiva lo arrotolava Alla sua coda e tutt’e due domivano arrotolati intorno alla cima dell’ albero. Nelle zampe anteriori ha un sesto dito, che somiglia ad un cuscinetto carnoso con il

quale agguanta i bambù. Quando beve bagna nell’acqua fresca del ruscello la sua zampina e poi la lecca.Un giorno il suo amichetto aveva la febbre e chiedeva sempre acqua, il povero panda non aveveva un bicchiere, allora andava al ruscello bagnava la sua zampina e correndo la portava al bimbo per fargliela leccare. Quando nascono i piccoli pesano dai 90 ai 130 grammi,per la qualcosa la mamma deve star molto attenta per proteggerli perche’ chiunque puo’ far loro del male. Infatti difficilmente vivono tutti. Tutte le persone vogliono bene ai panda, perche’ sono animali pacifici,sono orsi ma orsi a cui non piace fare la guerra. Attualmente molti panda vivono in una grande riserva a chengdu,capitale della provincia di sichuan in Cina, lì sono protetti e amati perche è dovere degli uomimni proteggere la natura dato che nella natura oltre ai fiori alle piante, ai frutti al mare allaluna, alle stelle ci sono anche gli animali.

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Associazionismo

Il Club del libro di Andrea Parisi Il club del libro, in occasione delle celebrazioni per il suo secondo anno di attività, ha dato vita ad un’importante iniziativa culturale, di natura divulgativa, molto partecipata e ricca di spunti di riflessione per coloro che vi hanno preso parte. Il tema fondamentale dell’incontro (che, proprio per l’unanime apprezzamento, sarà riproposto anche in un prossimo futuro) riguardava il concetto di creatività, declinato specificamente nel campo della letteratura, ma riguardante l’arte in generale. Il primo relatore intervenuto, Francesco Calimeri, ha aperto la propria lectio illustrando una delle caratteristiche principali dell’essere umano, ovvero la capacità di formalizzare la conoscenza, poiché senza un’attività ordinatoria non è possibile tramandarla e far sì che il complesso delle conoscenze umane possa progredire nel tempo. Ma l’essere umano, in quanto tale e come essere vivente non riesce ormai da tempo a stare al passo con le innovazioni figlie di un sapere sempre più complesso, per cui l’arte rappresenta sempre più un tentativo di superare un limite, dettato della imperfezione dell’uomo, dal suo essere, appunto, limitato nelle sue facoltà cognitive e di rielaborazione delle informazioni provenienti dal mondo in cui vive. Ma la creatività, madre dell’arte, non è innata nell’essere umano, è frutto di processi interiori che necessitano anch’essi di essere governati razionalmente: dimostrazione pratica né è il fatto che sia gli artisti che gli scienziati, sottoposti a risonanza magnetica funzionale, dimostrano di utilizzare le medesime parti del proprio cervello. Tuttavia, proprio per la complessità della realtà moderna, impossibile da metabolizzare in toto per un singolo individuo, è necessario che l’uomo razionalizzi le proprie conoscenze e le condivida con i propri simili, affinchè la somma finale di tutti i saperi appartenenti ai singoli sia maggiore della semplice somma aritmetica dei saperi degli individui stessi, singolarmente considerati. Dimostrazione affine è data dal considerare la vita di un formicaio, in cui le abilità dei singoli componenti, sommata nel complesso, porta ad un risultato di gran lunga migliore rispetto alla sommatorie delle abilità dei singoli componenti non organizzati metodicamente e, si potrebbe dire, “scientifica”. La creatività, in definitiva, consente all’essere umano di cambiare il mondo in cui opera, e ciò può avvenire indistintamente attraverso l’arte o la scienza, tra le quali non vi è alcuna dicotomia, perché anche la capacità di creazione artistica

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si può apprendere ed affinare con lo studio metodico. Anche il secondo relatore, Francesco Polopoli, nel suo intervento ha avuto modo di prendere le mosse da tali ultime considerazioni di ordine generale e relative alla creatività. D’altronde, già con Hobbes, l’essere umano era definito dal suo essere animale dotato di ragione. Tuttavia, la creatività rappresenta concetto ben diverso dalla semplice fantasticheria, essa non è un navigare a vista, perché non può esservi creatività senza ratio. Pertanto, la scrittura creativa, etimologicamente riconducibile al latino “creare” (“poièo” in greco antico), è “poesia” da un punto di vista storico-etimologico. Ma “scrittura” è un termine dai vari significati, è un “non-nascondere”, consiste anche nell’esteriorizzazione dell’interiore (cit. Friedrich Fröbel), ma, per far ciò, bisogna che ci sia un ordine, che è dato dalla sintassi. Per Charles Baudelaire, la grammatica è stregoneria evocativa, restando pur tuttavia Omero il vero padre della scrittura creativa, poiché la sua opera rappresenta “la trama delle trame di cui non si può tramare”… Infatti, più o meno tutta l’arte moderna è costituita da un retaggio della logica passata, dal riprendere in qualche modo i retaggi narrativi del passato, un passato anche remoto che affonda le proprie radici nella cultura delle prime civiltà. Il prossimo appuntamento del club del libro è in programma per domenica 7 aprile, alle 18:30, nel salottino del Qmè, per confrontarsi con la lettura del libro di Simone Lisi “Un’altra cena”. Si tratta di un bel romanzo d’esordio dell’autore, libro caratterizzato da una coraggiosa struttura narrativa e una storia che, pur nella sua semplicità, non cade mai di tono o intensità. Di seguito, una breve descrizione tratta dalla quarta di copertina: “Un canarino liberato dalla gabbia. Una luce nella corte perennemente accesa. Esiste solo la vita borghese. Questi alcuni degli argomenti di conversazione di quattro amici a una cena qualunque. Discorsi interrotti, ripresi, lasciati a metà perché non portano da nessuna parte. Discorsi che tuttavia dicono di loro quasi tutto: del mondo segreto che li muove, di quello che saranno tra dieci anni, del loro destino. Ci sono le abitudini, le colazioni, le case, i mutui, i tic, i desideri. E sullo sfondo di una cena, divisa in quattro atti come un’opera di Mozart, si staglia placido il disastro, la fine di tutto, che malgrado si cerchi di tenere fuori dalla porta di casa, torna ad affacciarsi.” Gli appuntamenti del book club Lector in Fabula, come ormai noto, sono sempre aperti a chiunque voglia partecipare, anche semplicemente limitandosi all’ascolto di quanto viene detto dagli altri, perché è indubbio che – e questo è ormai quasi un motto o un marchio di fabbrica del gruppo di lettura – la condivisione della passione per la letteratura e la cultura in generale porta sempre buoni frutti e concorre alla promozione della socialità.

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la blogger

Pensieri di una blogger di Ippolira Luzzo Durante la manifestazione tenutasi di recente al Chiostro “Fuori da una stanza tutta per sé” ho avuto modo di leggere due miei Pezzi: Ho visto donne: sogno di un otto marzo che sia il Quarantotto dell’identità condivisa Ho visto donne Ho visto donne preparare tinozze d’acqua calda e strofinare suocere e mariti Ho visto donne che lavavano i piedi a uomini giovani, maturi Ho visto donne spadellare pranzo e cena, primo, secondo, contorno e frutta, senza sedersi, servendo mariti, cognati, figli. Ho visto donne preparare grandi bracieri dove loro non si sarebbero mai potute riscaldare, lavare lenzuola al fiume e lasciarli poi in grandi ceste con la liscivia a profumare, donne curve su camicie da stirare, su melanzane da tagliare. Ho visto donne partorire e rialzarsi perché lui era tanto stanco. Allattare pulire il piccolo e senza cibo riallattare, senza tempo per se stesse. Ho visto di tutto di più ed ho trascorso infanzia e adolescenza borbottando, ribellandomi e schifando un servilismo immondo anche per lo stesso uomo al quale era diretto. Mi rifiutavo di vedere, di crescere, di partecipare e mi isolavo scontenta nel Grande Meaulnes di Fournier, nel Signor Fogg, nella Jo di Piccole donne, sognando e risognando il giorno in cui sarei andata via Mi ero giurata che mai avrei perpetuato nessuno di quei gesti e così ho fatto, non per mia bravura, ma perché la modernità avanzava e disfaceva il feudalesimo con lavatrici, lavastoviglie e riscaldamenti. Questa è stata una rivoluzione facile, Carosello e i Pampers si portarono via i comportamenti più retrivi. Lamezia e non solo

E tutto si complicò da allora. Le donne hanno studiato, si sono laureate, ma la mente imprigionata ha imbracato, imbavagliato, le donne per metà. Il tempo delle donne è ancora a disposizione di un lui, di una famiglia, di un figlio, di un nipote. Il tempo delle donne è sempre tempo perso ad aspettare un lui che dice:-Sei pronta? Sto arrivando.Siamo pronte… ma Le donne ancora aspettano con costanza, senza nessun cedimento, senza accorgersi di ripetere le nonne, le mamme, le zie, tutte le altre donne che hanno condannato. Aspettano Anche le ragazzine, anche loro, che a noi sembrano scafate, sono sempre innamorate e come mi disse la mia più brava alunna:Professoressa, io continuerò gli studi solo se vorrà il mio ragazzo.Non meravigliatevi perciò se dico che ancora il cammino è solo un mettersi in cammino. Troppe donne vengono uccise, troppe donne vengono picchiate e tutte, proprio tutte, chiudono un occhio, anche due, sulle innocenti evasioni di un carissimo lui, basti che torni a casa. Basti che torni a casa La strada è lunga, è tanto lunga E passa per un solo sentiero ancora poco. Il sentiero del rispetto e della amicizia di

donne con le donne Questa è la mia riflessione sull’Otto marzo, sempre attuale nel 2016: un otto marzo che sia il Quarantotto dell’identità condivisa. Il nostro Quarantotto interiore. Una rivoluzione ancora da venire La vera mutua assistenza fra un femminile empatico ed un femminile pratico, un patto con le nostre emozioni e la realtà effettuale delle cose. E poi Io non sono una donna del Sud: Io non sono una donna del sud Non ho mai fatto la salsa di pomodoro Le melanzane ripiene, la conserva di peperoni. Non ho mai insaccato una salsiccia, non l’ho mai bucherellata Mi fa senso il sanguinaccio, non lo mangerei mai Non pranzo dalla suocera, però l’ho tanto amata Non vado a matrimoni, battesimi e prime comunioni Non vado neppure ai funerali. Come potrei salutare quelle persone Affrante messe lì, in fila indiana Non conosco il parentado, non ricordo i vari gradi Mi sfuggono gli intrecci, proprio quelli più succosi Mi distraggo e poi apro le finestre, t iro giù le tende Su balconi spalancati. Non spedisco barattoli a mio figlio, non stiro le camicie E poi non mi nascondo non dico - ho un impegnoE non ho mai gente a casa, a volte solo amiche Non ho mai abitato qui, non ho mai vissuto qui, ma ora che lo vedo, ne sono tanto fiera. Il sud lo porto nel sangue, nel suo colore, nel suo calore Nella storia, nel presente, nel mio viso da bambina Nel dolore delle mamme,delle donne Sempre attente, sempre pronte Sempre vigili e custodi di una cura sempre eterna Da Ippolita Luzzo pezzi dedicati a tutte le donne

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L’Istituto Comprensivo di S. Eufemia ha inaugurato il “Giardino dei Giusti” di Teodolinda Coltellaro Mercoledì 6 Marzo, in coincidenza con la “Giornata Europea dei Giusti”, l’Istituto Comprensivo S.Eufemia L. ha inaugurato un proprio Giardino dei Giusti con una cerimonia molto sentita e toccante che si è snodata in due distinti momenti, nell’aula magna prima e nel giardino della scuola dopo Essa ha rappresentato il coronamento di un percorso educativo alla legalità e al senso civico intrapreso dalle classi Quarte dell’Istituto. Queste classi, infatti, nell’ambito del progetto “Cittadini del mondo”, hanno già affrontato ampiamente il tema della Shoah, delle persecuzioni,

dei diritti violati, delle atrocità inenarrabili perpetrate da uomini contro altri uomini. In questo contesto educativo, gli alunni hanno capito quanto sia fondamentale coltivare la memoria, non smarrire il ricordo di quanto accaduto “perché un popolo che non ricorda il proprio passato è condannato a ripeterlo”. Nell’aula magna gli alunni hanno letto testi esplicativi dei valori e dei significati fondamentali della giornata, hanno declamato testi poetici composti da loro stessi sulle tematiche

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affrontate e cantato in forma corale “Gam gam” , canzone tratta da un salmo biblico e diventata anche un simbolo, uno degli “inni” più toccanti del genocidio degli Ebrei. Alla cerimonia, introdotta dalla dirigente scolastica Fiorella Careri e brillantemente condotta dalla giornalista Maria Scaramuzzino, hanno preso parte il sindaco Paolo Mascaro, l’Assessore

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alla cultura Simone Cicco e Padre Giuseppe Martinello. La dirigente scolastica nel suo intervento ha dichiarato: “ la Giornata dei Giusti non è una mera manifestazione celebrativa ma un edificante momento di riflessione sull’importanza della memoria come ricordo e insegnamento. L’educazione alla memoria è materia primaria della scuola che con il supporto delle istituzioni, della famiglia e delle parrocchie, deve educare le nuove generazioni e rieducare gli adulti, sulla necessità di liberare la nostra società dal quel gratuito odio che uccise e che purtroppo, continua a mietere vittime. L’inaugurazione del Gardino dei Giusti nel cortile della nostra scuola, rappresenta un momento simbolico di presa di consapevolezza e l’ulivo piantato, emblema di pace, rimanda a quel seme di giustizia che è stato seminato nel cuore dei nostri giovani studenti, partecipando così, alla loro crescita civica.” .Una nota d’orgoglio è giunta dal sindaco di Lamezia Terme, l’avv. Paolo Mascaro che ha sottolineato come l’istituto comprensivo di Sant’Eufemia, rappresenti un magistrale esempio di multietnicità, concreta aggregazione ed integrazione sociale. “Questa manifestazione – ha spiegato rivolgendosi agli alunni attenti e partecipi-

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riaccende i riflettori sull’importanza della memoria, del ricordo quale faro per il nostro agire Gli orrori ed i ricordi che appaiono in bianco e nero non rimandano allo sbiadito passato ma alla freddezza e disumanità che è sempre al nostro fianco. È necessario ricordare con lucidità i dettagli di particolari, la disumanità di ieri- ha continuato il sindaco – per non ripeterla nell’oggi. Gli studenti se pur giovani anagraficamente, nel loro piccolo, devono diventare adulti consapevoli di quanto accaduto e capaci di isolare ogni episodio di violenza e odio.” Il monito del sindaco agli studenti presenti è stato quello di lasciarsi contagiare dalla cultura della giustizia e da uno spirito di appartenenza che si schieri dalla parte

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della legalità e umanità. La seconda parte della cerimonia si è svolta in Giardino, dove è stato tagliato il nastro inaugurale e benedetto da Padre Giuseppe l’alberello d’ulivo dedicato al Giusto Primo Levi .I bambini delle classi quarte così hanno spiegato nei loro testi la scelta di dedicare a Levi il primo albero per un Giusto nel Giardino scolastico: ” la sua storia ci ha insegnato tanto. Anche lui ha vissuto la terribile esperienza di Auschwitz e, sopravvissuto, è diventato testimone delle tante atrocità viste e

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subite sentendo il dovere di raccontare perché tutti sappiano, tutti si domandino e riflettano. L’ha fatto attraverso le sue opere, soprattutto con il libro Se questo è un uomo, con la poesia Shemà ( ascolta, in ebraico) meglio conosciuta con il titolo stesso del libro di cui costituisce l’apertura. Levi ci invita a tramandare alla nuove generazioni la memoria e il ricordo di quanto è accaduto” Inoltre, essi hanno spiegato chi sono queste persone speciali definite Giusti. ” I Giusti non sono né santi né eroi, ma persone che spontaneamente hanno difeso i più deboli mettendo a rischio la loro stessa vita per salvare persone innocenti. Allora anche conoscere ciò che hanno fatto i Giusti aiuta la costruzione della memoria, quella capace di parlare anche alla mente e al cuore dei bambini”.

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Sport

ROYAL, SI LOTTERA’ FIN QUANDO L’ARITMETICA DARA’ SPERANZE Col rientro del sindaco Mascaro attese novità per la riapertura del PalaSparti di Rinaldo Critelli Si fa dura per la Royal Team Lamezia che nell’ultima gara di febbraio e nelle prime due di marzo ha subìto tre sconfitte, restando in terz’ultima posizione, quando mancano otto gare alla fine (al momento di andare in stampa a metà marzo) del campionato.

tiche varie, e che contro Grisignano nella ripresa si è rivista come si era abituati a farlo nella cavalcata della scorsa stagione, quando mise a segno ben 23 reti.

A fine febbraio al PalaMaiata è arrivato il Real Statte, squadra di Taranto alquanto blasonata con scudetti e Coppe Italia nel suo palmares. Tra l’altro, in questa stagione, quasi sempre a ridosso della capolista Kick Off, e solo ultimamente col freno a mano tirato esclusivamente per le defezioni in organico per infortuni. Com’è stato pure contro la Royal, vittima stavolta la forte nazionale Giuliano. Sconfitta per 3-0 subìta dalla Royal, che ha ripetuto in fotocopia la gara di andata. Allora come stavolta tre gol sul groppone nel primo tempo, dopo qualche buona occasione della Royal. Che ha lasciato campo libero nella prima frazione, salvo poi metterci più grinta e concentrazione nella ripresa, finito però senza gol. Senza vittorie anche le due gare di marzo: a Falconara (3-0) la squadra di mister Carnuccio ha palesato i soliti difetti, che il tecnico sta cercando di correggere. Ma quando gli stessi si materializzano sotto forma di errori sotto porta, allora c’è ben poco da fare se non metterci più concentrazione, sia in gara che in allenamento. Purtroppo la forte brasiliana Kale e la bomber Saraniti, rispettivamente 10 e 12 gol, hanno le polveri bagnate dalla vittoria di inizio febbraio contro Napoli e la squadra di conseguenza ne sta risentendo. Anche col Grisignano in casa la Royal non si è ritrovata: diciamo che era pure partita bene con Kale che ha colpito un palo. Ma le venete, trascinate dalle top Iturriaga (poker di reti per lei) e Fernandez (vecchia conoscenza ex Salinis), hanno chiuso il primo tempo per 3-0, mentre nella ripresa altri quattro gol, con l’unico lametino realizzato da Concy Primavera. E’ stata la siciliana tra le poche note liete della giornata: sul risultato di 0-5, l’ex Sassari ha saltato prima un’avversaria e poi il portiere corregionale Fama, depositando in rete da posizione decentrata con un preciso sinistro. Un bel gol, in verità valso a poco se non per tirare su di morale la sfortunata Primavera, finora alle prese con problema-

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Dunque poker di sconfitte per la Royal dopo la vittoria con Napoli, ora al momento di andare in stampa, è attesa dalla proibitiva trasferta di Firenze contro la corazzata Florentia. All’andata la Royal mise non poco in difficoltà la squadra toscana. S’iniziò ad ammirare infatti, il bel gioco della Royal di Carnuccio che, seppur perse 5-1, tenne sempre sul chi vive la squadra fiorentina, impaurendola pure con il gol di Furno che accorciò (2-1) le distanze, salvo poi mollare per due ingenuità difensive. Dopo la trasferta di domenica 17 marzo, ben due gare interne (dalla collocazione insolita) per la Royal nel giro di cinque giorni. Si inizierà lunedì 25 marzo alleo re 19, con l’anticipo richiesto dal Cagliari visto che domenica 24 si osserverà un turno di riposo. E si proseguirà sabato 30 marzo alle ore 21, sempre al PalaMaita ospitando il Flaminia Fano. Si proseguirà poi con le restanti sei gare: le trasferte con Ternana, Montesilvano e Lazio (all’ultima giornata il Primo Maggio), inframezzate dai match interni con Bisceglie e Salinis. Ovviamente fin quando l’aritmetica non condannerà la Royal (ricordiamo che sono ben 5 le retrocessioni previste, di cui una dai play out, un’enormità, un eccesso!), bisognerà lottare fino all’ultima goccia di sudore. Si era ben consapevoli che sarebbe stato alquanto difficile ottenere la salvezza: le risorse disponibili non consentivano strategie diverse, e secondo i canoni di serietà che ha sempre contraddistinto la Royal, ci si è impegnati per quanto possibile. Dunque quanto sta facendo la Royal del presidente Mazzocca è soltanto da elogiare e da applaudire: giocare da 15 mesi sempre fuori casa (a tal proposito ancora PalaSparti chiuso, col sindaco Mascaro che ha annunciato che a breve verranno risolte tali problematiche), oltre che allenarsi sempre tra Maida e Vibo ha comportato la triplicazione del budget iniziale, e per una Royal aiutata da pochissimi volenterosi è già tanto quel che si sta facendo.

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Sport

di Vincenzo De Sensi

Pre-Partita

Ricordo la strada di pietre c polvere, la chiesa in tondo alia via e i miei amici di tutte le razze inseguire sogni e aquiloni nell’ebbrezza di un futuro da modellare così lontano come le città dei nostri genitori ricostruite nelle lacrime e nei dolori, nel posacenere e nella cantilena del dialetto a rompere la solitudine. E noi bambini correvamo dietro nuvole e sortilegi e quel pallone, quel pallone leggero, scandiva il nostro tempo dall’affacciarsi del giorno alla vertigine della notte. Io sarò un’ala destra, la più forte ala destra dell’universo come quel campione dalle gambe storte e dal soprannome buffo, quel campione che dicevano allegria della gente e a ogni suo gol un povero cantava, un povero sperava, un povero stringeva ì pugni e diceva: anche noi vinceremo. Si. sarò un’ala destra bravo come l’idolo della mia squadra, maglia verde come la speranza, un’illusione, un vuoto a rendere, verde come il mare, onde adulte, onde caparbie e quel lungo viaggiare per trovare una risposta:

dov’è l’Italia, cos’è l’I’italia? nell’ozioso navigare una memoria, una scheggia di nostalgia, un’eco in lontananza. Italia anni sessanta del boom economico scandito dai cronometri dei cottimisti altro

che ottimisti! Lotte operaie, lotte sindacali, il sangue di Dallas e delle Pantere nere, il sangue del Vietnam, che roba Contessa. Volavano alti i lacrimogeni e i cross di Helmut Haller per la testa di Roberto Bettega mentre Anastasi illustrava la sua terra e il suo cielo. Pelo Bianco lo chiamavano. E io volevo diventare come lui, e correre nel vento, e correre nel tempo, alzare le braccia (non per un controllo dei

documenti, studia ragazzo, studia e non pensare, la politica lasciala ai grandi). Si, alzare le braccia dopo una rete al volo, una discesa in dribbling, dopo aver scartato il portiere. Sentivo di potercela fare, hai talento, giudicavano, prima di quel rigore sbagliato di quell’errore che mi lasciò solo, in quel deserto di sguardi e di rimproveri. Anche Anastasi ha sbagliato un calcio di rigore ripetevo nella notte senza fine, con quel portiere a occupare l’incubo a rovesciare i pensieri. Anche un rigore provoca dolore, segna un destino, rompe, frantuma, capovolge. Un ragazzo diventò adulto perché quelle bombe cancellarono la sua giovinezza, cancellarono la sua innocenza. Racconterò di città che avevano prati, spazi aperti, sospiri e tenerezze. Gli dirò di suo padre di quando urlò per la prima volta “libertà e tolleranza!!” calcio, è come la vita, che ti scivola tra le mani per l’ansia di possederla. E dopo il calcio di rigore ti resta soltanto un senso di smarrimento, la voglia di tornare indietro e dimenticare.

Le perle di Ciccio Scalise

A CIRZULLA HA RRISURGIUTU Alla Cirzulla sugnu turnatu, ntrà chillu silenziu chi tantu piaci, e llì ciarbella mi s’hanu ngumatu, Prigandu nSanta paci. A cchill’Oasi Divina, chi llà hanu fhaciutu, a ggenti s’abbicina, ppimmu Prega o ppì nnù minutu. Ppì bbuluntà i Ddiu, chilla Gghjiasulilla ha rrisurgiutu, sinnò un mmì spiagu iu, chill’operi cumu s’hanu Lamezia e non solo

fhaciutu. A ggenti chi s’abbicina, pua resta ppì Pprigari, pirchì i chilla Mamma Divina, parica si senti cchjiamari. Mù llà si Prega vodi, u Patri nuastru Santu, e mmù l’anima ni godi, nà mmandatu tantu. E cchilla Madunnella, chi llà è Bbinirata, un gguarda sà ggenti e brutta o bella, si ccù Ffedi veni Pprigata.

Puru chini Fhedi und’a, e ppì ccuriosità cci’ha jjiutu, quandu sì ndì và, e ccertu cumbirtutu. Pirchì Grazzii ndà ffaciutu, e avoglia quantu ndì fhà ancora, e ddì tuttu u mundu hanu vinutu, a ttruvari a Mamma di Visora. Tutti chilli Priaviti chi cci’hanu jiutu, quanta e qquanta ggenti hanu ricugliutu.

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Sport

Lamezia: 1989/2019 la ASD Fisiodinamic compie 30 anni

Compie 30 anni. Ebbene, sì! La ASD Fisiodinamic compie 30 anni. Per la ricorrenza gli insegnanti Luigi Nicotera e Lina Ferraro ringraziano gli associati con particolari e vantaggiosi abbonamenti. La ASD Fisiodinamic nasce nel 1989. In questo trentennio l’associazione ha divulgato e fatto appassionare allo sport molte generazioni creando un notevole fermento sportivo e ricreativo nella città, frutto di maturata competenza e professionalità in tutte le discipline tutto ciò supportato da uno staff qualificato ed esperto in Scienze Motorie. Lo staff Fisiodinamic è composto dalla Dott.ssa Martina Di Cello campionessa di karate, Ioana istruttrice di ZumbaAerobica-Step e di sala, Francesca Torchia personal trainer, Veronica Tirotta insegnante di Danza, l’arbitro nazionale AIA Gennaro Barresi, il dirigente sportivo Francesco Barresi, il maestro Antonio Ciliberto e altri. Quest’ultimo ha portato il pugilato nelle scuole insieme ai suoi colleghi, il prof. Pullia Giuseppe e il maestro Angelino Mascaro, il quale il 2 giugno 2018 è stato premiato sul ring durante una prestigiosa manifestazione di pugilato sul corso

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G. Nicotera: “4ª Edizione del Torneo Interregionale di Pugilato”. Inoltre, da suggerimento del maestro Antonio Ciliberto, gli atleti sono portati con costanza ad allenarsi in pineta per ottimizzare le prestazioni , per arrivare al top nelle varie competizioni. Tutto ciò è rafforzato dal Dirigente Sportivo Francesco Barresi e da Marco Di Matteo appassionato di arti marziali, entrato anche lui nello staff Fisiodinamic. Grandi successi stanno avendo gli atleti Yuri Boyka, campione ucraino, Ettore Talarico, ex ala destra del Gizzeria e Fortitudo, Francesca Leonilda Sesto, con esperienza maturata a Roma, Montuoro Giovanni, i quali sono entusiasti del progetto e ben seguiti dalla personal trainer Francesca Torchia e dall’arbitro nazionale Gennaro Barresi. Nella pineta dove gli atleti estendono il loro allenamento, si trova il “Parco Sorvolandia” gestito dal M° e Presidente Nazionale Enzo Failla, maestro di difesa personale e arti marziali presso tutti i corpi delle forze dell’ordine di Vibo e Roma. Il Maestro Failla collabora con il Maestro Ciliberto per migliorare l’allenamento e la preparazione tecnica degli atleti nei vari percorsi presenti nel “Parco Sorvolandia”. La ASD Fisiodinamic ringrazia il mitico e unico Maestro Failla per il contributo professionale dato. Il M° Antonio Ciliberto presta, inoltre, la sua competenza agli atleti del Palasport di Vibo Marina e alle Piscine “ASD PENTA” di Vibo Marina, strutture gestite dal professore Daniele Murdà, con il quale, il maestro, domenica 24 febbraio si è recato ai campionati di nuoto di Reggio Calabria. Buon occhio hanno avuto gli insegnanti Luigi Nicotera e Lina Ferraro, assicurandosi le prestazioni dei pluri titolati maestri, istruttori e personal trainer.

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Carissimi lettori, questa volta, il libro che vi propongo è davvero originale. Conoscete tutti Alessandro Borghese. Ho avuto modo di incontrarlo personalmente, in occasione della trasmissione più cliccata di Quattro Ristoranti, quella trasmessa da Squillace, in cui vinse la mia amica Caterina Milizia, de Le ricchezze del mare. Una persona speciale, di una bellezza e umiltà tutte sue, ma che, professionalmente, non lascia nulla al caso. Affabile, affettuoso, gentile, non ho timore di ammettere che sia l’unico chef che seguo in TV e, la mia amica Caterina, che ringrazio, ha voluto invitarmi, per la trasmissione. Con Angela Frenda, Alessandro Borghese, ha scritto CACIO E PEPE, un libro dal grande fascino, che può essere riassunto nella citazione di Henry Miller, posta nella pagina successiva al frontespizio: “Essere così totalmente se stessi, che si sarebbe vista solo la verità, che ora gli bruciava dentro, come un fuoco”. In effetti, la sincerità è il leitmotiv di tutto il volume. E’ stato bellissimo ritrovarlo, senza enfasi e senz’alcuna ridondanza, fra le pagine del suo libro: è come se, in casa mia, fosse entrato lui, senza arie: da amico. CACIO E PEPE sembra quasi un diario condiviso. Ritroviamo il maestro con i suoi ricordi,

le sue emozioni, le foto significative della sua vita, il suo sorriso. Perché, in un mondo pieno di livore, il sorriso del maestro Borghese è come il sole che squarcia le nuvole: è come se egli ti raccontasse personalmente la sua storia, le sue passioni, i suoi ideali e tutte le cose, da cui non prescinde mai. Il libro è suddiviso in cinque grandi capitoli, corredati da immagini che parlano come fossero caratteri scritti. Perché, comunicare, condividere e regalare sono i tre verbi che sintetizzano Borghese. Ricordo che, qualche anno fa, quando la sua carriera televisiva era ancora agli inizi, mi chiesero chi fossero gli uomini della TV che io ammirassi di più. Misi, fra i miei attori più amati, anche il mitico Alessandro, che pur non era un attore. Mi chiesero perché e risposi immediatamente, e senza esitare: “Per la sua naturalezza”. E’ esattamente per questo, che stimo l’uomo Borghese, quanto il professionista. E anche per la sua voglia di farsi da solo e di voler essere un uomo comune, pur essendo speciale. La stessa naturalezza, la ritroviamo nel suo volume. In ogni capitolo, egli parla di sé, ma rivela anche il segreto di molte sue ricette, quelle più personali, quelle che lo hanno fatto appassionare alla cucina e al cibo come amore per gli altri e per se stessi. E’ così bello perdersi fra quelle pagine di casa e cucina, in cui ritroviamo la sua infanzia, la sua adolescenza, ma, forse, anche un po’ tutto ciò che appartiene anche a noi: l’amore per l’educazione, per la famiglia, per gli ideali profondi. La sua famiglia d’origine, l’amore per la donna che ha sposato e le sue figlie, sono uno scrigno di tenerezza. E tutto questo è condito dal gusto conviviale del rivelarci tanto di sé, per stimolare una gioia che non deve perdersi: quella della cura e del benessere insieme e a tavola.

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Un capitolo che mi ha commosso è il primo: I mocassini di Gigi, ma anche i due dedicati, rispettivamente, alla moglie e alle sue bimbe. Si avverte in essi un amore speciale per gli affetti, l’assenza di quel sentirsi arrivato e il continuo voler tenere in considerazione ciò che, nella sua vita, rappresenta il cardine. Dietro la sua cura per ciò che vive e ciò che fa, non vi è mai espressione maniacale, ma grande rispetto. Alessandro Borghese è un bellissimo uomo, alto e raffinato, ma il suo sorriso te lo rende amico, quell’amico che dà importanza alle tue stesse gioie, che ha le tue stesse idee e che non trascura mai nulla, per far felice chi ama. Molto interessante il capitolo, in cui parla dei suoi collaboratori. Con stima: è un esempio per chiunque lavori e voglia creare un ambiente positivo intorno a sé, in cui sviluppare armonia e grazia. Nonostante la sua esperienza e la sua cultura, il maestro Borghese, che non ama l’appellativo di chef, proprio a causa dell’origine del nome francese (capo), egli vuole sentirsi inter pares e neppure tanto primus, perché ama mettere in comune, più che dettare leggi. Con la gentilezza che lo contraddistingue, consiglia, racconta, rimembra. Ed è un vero gioco del cuore, sentire il suo calore, anche attraverso la spiegazione delle ricette e le fotografie selezionate per noi. Aprire il libro è come ritrovarsi in un mondo pulito, ideale, colmo di speranza, dove qualcuno ci accoglie davvero e fa ancora qualcosa per noi. Leggere CACIO E PEPE è più un’esperienza dell’anima che una lettura amena. E il profumo dei piatti sembra elevarsi dalle pagine, per inebriarci di più, senza tecnicismi, ma con il miracolo antico del convivio. Che, secondo i suoi insegnamenti, non dobbiamo mai perdere. BUON PERCORSO e BUONA LETTURA A TUTTI VOI E UN SALUTO CARO PER IL MAESTRO.

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Spettacolo

“WE WILL ROCK YOU”

Il musical dei Queen premiato come miglior musical dell’anno nel festival “Fatti di Musica” di Ruggero Pegna

E’ stato assegnato a We Will Rock You, il celeberrimo musical dei Queen che ha incantato il pubblico dei principali teatri del mondo, il Premio come Miglior Musical del 2019 nella 33esima edizione di “Fatti di Musica”, il prestigioso festival del Live d’Autore ideato e diretto da Ruggero Pegna, che presenta e premia alcuni tra i migliori live di ogni stagione con il “Riccio d’Argento” del celebre orafo calabrese Gerardo Sacco. Il riconoscimento è stato consegnato ieri sera al Teatro Politeama di Catanzaro, dove il musical è arrivato sull’onda di uno straordinario successo. Dopo i numerosi sold out, tra cui quelli di Milano, Roma, Napoli, We will rock you ha incantato anche il pubblico del capoluogo calabrese. E domani si replica al Teatro Cilea di Reggio Calabria. Il promoter e direttore artistico Ruggero Pegna commenta così la serata: “Spettacolo unico ed emozionante, pubblico entusiasta, premio davvero azzeccato ad una grande produzione, una serata indimenticabile! Certamente è uno dei musical più belli di sempre, grazie ad una storia suggestiva e attuale e ad una colonna sonora di ineguagliabili successi dei Queen. Un live straordinario! Sono felice di averlo potuto inserire e premiare finalmente nel mio festival, ma soprattutto di aver visto il pubblico in delirio!”. Felice per il riconoscimento lo storico promoter Claudio Trotta che, per la sua Barley Arts, ha firmato la produzione dello spettacolo per l’Italia: “Abbiamo lavorato su mio input per attualizzare lo show, dare un messaggio forte soprattutto alle nuove generazioni a favore della vita reale contro la vita virtuale. Un messaggio positivo, culturalmente rock, perché abbiamo tutti un rock da vivere! Dal punto di vista musicale, abbiamo dato la massima attenzione alla riproduzione dal vivo dei suoni originali dei Queen, con bravissimi musicisti e

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un cast capace di cantare e recitare al meglio. Il risultato è uno spettacolo coinvolgente dai 4 anni, a qualsiasi età! Ringrazio – conclude Trotta – Ruggero per il riconoscimento del suo Festival e per l’ospitalità in Calabria! Ed ora mi auguro che anche a Reggio ci sia lo stesso entusiasmo! ” Bravissimi e applauditissimi tutti i compenenti del cast: Alessandra Ferrari (Scaramouche), Claudio Zanelli (Britt), Loredana Fadda (Oz), Massimiliano Colonna (Pop), Salvo Vinci (Galileo), Valentina Ferrari (Killer Queen), Paolo Barillari (Khashoggi), i ballerini Flavio Tallini, Paolo Ciferri, Giammarco Capogna, Francesco Venezia, Beatrice Berdini, Jessica Falceri, Greta Disabato, Gloria Miele e, infine, la band con Riccardo Di Paola (tastiere), Antonio Torella (tastiere), Roberta Raschella (chitarre), Federica Pellegrinelli (chitarre), Alessandro Cassani (basso), Marco Parenti (batteria e percussioni). Per loro, nella psichedelica conclusioone, una terminabile standing ovation scandita da applausi ed ovazioni. Lo spettacolo è stato prodotto da Ben Elton in collaborazione con Roger Taylor e Brian May. La storia, i personaggi e le musiche originali, sono stati affidati da Trotta alla regia di Tim Luscombe, candidato al Lawrence Olivier Award, il più importante premio teatrale inglese assegnato dalla The Society of London Theatre. Prestigiose tutte le firme: dalla scenografia concepita da Colin Mayes, alle coreografie curate da Gail Richardson e il disegno luci di Giancarlo Toscani. La Direzione Artistica è affidata a Valentina Ferrari, protagonista nel ruolo di ‘Killer Queen’, mentre Riccardo Di Paola è alla Direzione Musicale. La produzione esecutiva è di Cristina Trotta. Accattivante la storia del musical, che fa da filo conduttore, tra ironia e leggerezza. We

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Willl Rock You - the Musical è ambientato nel futuro fra 300 anni, in un luogo una volta chiamato “Terra” e ora diventato “Pianeta Mall”, vittima della globalizzazione più totale. Un pianeta dove il rock e la musica dal vivo sono bandite e i loro seguaci vivono nascosti. La Global Soft, capeggiata dalla spietata Killer Queen e dal suo collaboratore Khashoggi, cerca di stanare la “resistenza” di un gruppo di Bohemians che si nascondono nel sottosuolo e che, con l’aiuto dello stravagante bibliotecario Pop, tramandano ricordi sbiaditi del tempo glorioso nel quale il Rock regnava sovrano sulla terra. Attendono l’arrivo degli eletti che restituiranno la musica al Pianeta, l’ingenuo Galileo e la volitiva Scaramouche, predestinati a ritrovare lo strumento che l’antico dio della chitarra, ha nascosto in un luogo segreto. Gli ultimi biglietti per domani a Reggio sono ancora disponibili nei punti Ticketone, online e domani sera presso la biglietteria del teatro. “Fatti di Musica 2019” è realizzata con la collaborazione della Regione Calabria, nel quadro dei grandi Festival Internazionali Storicizzati e, per gli eventi a Reggio Calabria, in sinergia con il Festival Alziamo il Sipario dell’Assessorato Comunale alla Cultura. Partner Ufficiale FebAuto, concessionaria FCA, insieme al festival a sostegno dell’ Associazione Famiglie SMA - Genitori per la Ricerca sull’Atrofia Muscolare Spinale. Dopo We will rock you, Fatti di Musica 2019 proseguirà con l’attesissimo concerto dei Thegiornalisti, il 3 aprile al Palacalafiore di Reggio e ancora un musical, Peter Pan il musical di Edoardo Bennato il 25 aprile al Cilea di Reggio e il 27 aprile al Teatro Rendano di Cosenza.

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