Lameziaenonsolo agosto/sett. 2020 Galà della gratitudine

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Nicastro 1847

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2021

'U calendariu lametinu

«Le lingue romanze ufficiali, come l’italiano, sono in sostanza degli antichi dialetti che, per ragioni varie, hanno raggiunto un particolare prestigio: quanto mastichiamo nella comunicazione, in fondo, poi, nasce proprio dalle parlate locali di Dante, Petrarca e Boccaccio. Oggi, se è vero che i dialettofoni sono minori degli italofoni, corre comunque l’obbligo di ripercorrere all’indietro il fascino di tante nostre storie, fatte d’accenti ed espressioni intraducibili. Rinunciare a questa diglossia è perdere l’intimità col proprio territorio, finendo col distanziarsene; tutto ciò, appunto perché perdita, sarebbe un vero peccato, a mio dire!»

(Francesco Polopoli).


eventi

Essere riconoscenti con il

Galà della Gratitudine 2020

di Maria Chiara Caruso

In una società sconvolta dagli avvenimenti degli ultimi anni, in un mondo che cerca delle spiegazioni allo scoppio di guerre e pandemie, si insinua la riconoscenza, parola spesso sottovalutata. A Lamezia Terme, in un 2020 singolare in cui non si parla d’altro che di Coronavirus, nasce un premio che ha la peculiarità di essere tradizione pura della terra di Calabria, l’annuale appuntamento con il “Galà della Gratitudine”, che quest’anno ha raggiunto la sua undicesima edizione. Il premio è stato istituito e fortemente voluto dall’associazione culturale ST television, ed è diventata manifestazione di ampio respiro nazionale che, annualmente, premia i calabresi che si sono distinti nel mondo portando l’essenza del Meridione in

La conduzione della serata è stata affidata a Ketty Riolo e al campione di nuoto Massimiliano Rosolino, due professionisti diversi ma affini, che hanno saputo dare alla manifestazione un tocco delicato e brillante. Interessante la scelta di ideare un vero e proprio “Spazio delle interviste”, con collegamenti live condotti da Maria Chiara Caruso e Francesco Sacco, con l’obiettivo di conoscere le idee, i progetti futuri e la personalità dei premiati dell’undicesima edizione del “Galà della Gratitudine”. La kermesse ha abbracciato personalità uniche e differenti tra loro, che hanno svolto un lavoro fondamentale per l’intera nazione e la società tutta. Sul palco si sono susseguiti: Rocco Aversa e Tonino Marchio (Imprenditori), Il tenore Leonardo

ogni parte del globo terrestre, facendo respirare la cultura, la tradizione, l’innovazione, la creatività calabrese on the road. Un premio che non si è lasciato abbattere dall’emergenza epidemiologica causata dal COVID-19, e che ha saputo unire lo spettacolo serale al rispetto per le regole e distanze di sicurezza a cui questo periodo storico ci riconduce. L’evento, organizzato in collaborazione con il Comune di Lamezia Terme e la Regione Calabria, ha previsto la consegna di riconoscimenti a coloro che hanno svolto un ruolo fondamentale, con il proprio lavoro, nel migliorare o aiutare l’Italia e la nostra Calabria durante l’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia.

Caimi, Ennio Calabria (Odontoiatra), la scrittrice Laura Calderini (vincitrice del premio Dario Galli 2019), Carlo Cimbri (Amministratore Delegato UnipolSai), Agostino Cosentino (Imprenditore), Il regista lametino Mario Vitale, l’imprenditore Felice Saladini, Salvatore De Biase (Poeta), l’editore Nella Fragale, Giovanna Gigliotti (Amministratore delegato UniSalute), Marianna Milano (Ricercatrice), Ferruccio Paradiso (Imprenditore), Antonio Rocca (Imprenditore) e Giovanni Sirianni (Medico). Tante, poi, le associazioni premiate per il lavoro svolto in maniera continua e instancabile: Malgrado Tutto, Associazione Polizia di Stato, Emporio della Solidarietà, Radio Club Lame-

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zia, Associazione S. Nicola e Croce Rossa Italiana. La serata ha avuto l’onore di avere in collegamento esterno il Vescovo della città di Lamezia Terme, sua eccellenza Giuseppe Schillaci, e la partecipazione di Beppe Fiorello, protagonista del prossimo film di Mario Vitale, “L’afide e la Formica”, i quali hanno salutato la città di Lamezia Terme e ringraziato Giovanni De Grazia per l’organizzazione e l’ideazione di questo importante riconoscimento. Non è mancato il lato cabarettistico, che ha dato quel quid in più all’evento grazie alla partecipazione straordinaria del cabarettista Sergio Viglianese, in grado di far sorridere gli astanti e interpretare i suoi molteplici personaggi con l’abilità che lo caratterizza. Oltre ai premiati, di particolare rilievo lo spazio musicale dedicato alle esibizioni di alcuni talenti calabresi: primo fra tutti il cantautore e musicista Francesco Strangis, che durante il lockdown ha lavorato a un singolare progetto dal nome “

digitale Terrestre Globo TV. Un ringraziamento particolare va ad UnipolSai, in particolare al dottor Vincenzo Ferraro, collante tra la direzione generale con sede a Bologna e la filiale lametina, che ha affiancato questa undicesima edizione credendo nel valore alto della manifestazione e promuovendo i talenti che la Calabria ha, facendosi portavoce di un messaggio che fa dell’innovazione un punto di forza e della determinazione una certezza. Inoltre, fondamentale il contributo del graphic designer Arturo De Rosa, autore dell’intera grafica, e del direttore di palco Angelo Piccione. Il “Galà della Gratitudine” ci insegna tante cose e ci aiuta a non sottovalutare l’importanza di sentirsi grati per ogni passo che facciamo, ogni sguardo che percepiamo, per l’aria che respiriamo, grati per il battito del nostro cuore. Ci insegna che l’uomo possiede molteplici virtù e che ha sempre la capacità di

Lockdown voice messages beats” in cui raccogliere i messaggi vocali ricevuti e trasportati in musica componendo un’opera straordinaria e senza tempo. Stile differente ma allo stesso tempo irriverente, profondo, con uno sguardo che mescola passato e presente, quello del cantautore e frontman della band McKenzie Renato Failla, che durante il Lockdown ha raccolto le forze dandosi alla composizione di pezzi come “Bistrot”. Ultima esibizione quella della cantante e maestra di musica Alina Caruso, capace di coinvolgere il pubblico con le dolci note della tradizione musicale italiana. Un’undicesima edizione che ha lasciato il segno nel cuore di chi ha partecipato o ne ha solo sentito parlare, essere grati è ciò che più accomuna Giovanni De Grazia, organizzatore dell’evento, e la sua squadra che non si ferma ma va avanti allietando le giornate della popolazione lametina quotidianamente con una vasta programmazione televisiva sul canale 628 del

reinventarsi anche quando non sembra esserci una via d’uscita. Ci insegna che la Calabria è una terra ricca di sogni, speranze e belle idee, e che dobbiamo volerle più bene nel rispetto del prossimo perché, come afferma Marco Tullio Cicerone, “La gratitudine è non solo la più grande delle virtù, ma la madre di tutte le altre” .

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cultura

A Lamezia e Falerna la presentazione del

“Diario di una quarantena” di Salvatore D’Elia

di Salvatore D’Elia

Doppio appuntamento tra luglio e agosto per il libro di Salvatore D’Elia “Tra me e me, tra me e il mondo. Diario di una quarantena” edito da Grafiché Editore che,

i diversi temi del diario della pandemia del giornalista lametino che, nei mesi del lockdown, ha voluto tirare fuori attraverso la scrittura un mondo interiore che, di

nella sua prima pubblicazione da solo, a parlare di se stesso”, ha affermato in apertura dell’incontro la giornalista Giulia De Sensi, una delle prime persone ad aver let-

dopo le prime presentazioni in streaming, ha visto l’autore confrontarsi dal vivo con i lettori e il pubblico. Primo appuntamento a Lamezia, il 28

fronte a un tempo anomalo segnato dalla paura e dall’incertezza, si è confrontato con se stesso, con il proprio passato, con le contraddizioni, le attese e le speranze di

to il diario di Salvatore prima che venisse dato alle stampe. “Salvatore è al tempo stesso protagonista e spettatore di questa pubblicazione”, ha

luglio scorso, nel giardino della caffetteria “Falvo” in Via Aldo Moro. Nel corso del dibattito, coordinato dalla giornalista Giulia De Sensi, sono stati affrontati

questo momento storico. “In questo diario emerge Salvatore nella sua completezza, senza filtri, con uno stile particolare tutto suo. Ha avuto coraggio,

evidenziato nella sua approfondita e accurata relazione la professoressa Ippolita Lo Russo Torchia, che ha confessato di essere stata colpita in particolare da alcune pa-

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gine del diario, come quella dedicata alla madre, il tema del dolore e della sofferenza del Venerdì Santo che, per una sorta di “coincidenza letteraria”, trovava spazio in una riflessione scritta dalla professores-

ci ha mostrato quanto possa essere fragile l’uomo di oggi, quanto un minuscolo essere come un virus possa mandarci in crisi. Nel diario di Salvatore c’è spazio per la speranza, che ha la sua radice nella fede

dine francescano secolare di Lamezia, ha evidenziato il valore terapeutico della scrittura per l’autore nel tempo della pandemia e la fiducia in un Dio buono e compassionevole.

sa Ippolita Lo Russo Torchia proprio nel giorno in cui si ricorda la passione e morte di Gesù, giorno che in questo anno difficile della pandemia ha avuto un significato particolare per tutti. Per la Torchia, il diario di Salvatore “nasce dal bisogno di dare sfogo al mondo

in un Dio buono, che è Padre e ha cura di tutti”. Grande apprezzamento per l’opera dall’editrice Nella Fragale, per la quale “il diario di Salvatore è un libro che tutti dovrebbero leggere, una testimonianza di questo tempo che abbiamo vissuto, che richiama

Apprezzamento da parte del sindaco Paolo Mascaro che, partendo dalle riflessioni dell’autore, ha fatto proprio l’appello affinché il tempo della pandemia non ci lasci come ci ha trovati, in un orizzonte ristretto di critiche fini a se stesse e polemiche, ma ci spinga ad amare di più la nostra comu-

interiore, ai moti dell’anima, a quelle instabilità e fragilità che ci segnano. Un linguaggio che riflette la sua sensibilità e il suo equilibrio nel giudicare spaziando tra diversi temi, dai più intimi e personali a quelli di taglio sociale e politico, avendo come comune denominatore una parola: “umano”. Io resto umano, ripete tante volte Salvatore nel suo diario. La pandemia

valori universali, che racchiude pensieri e riflessioni in cui tutti possiamo ritrovarci”. Leggera e acuta, come sempre nel suo stile, l’intervento della blogger Ippolita Luzzo, con un pezzo dedicato proprio al tema dell’informazione e della comunicazione dal titolo “Il 5 maggio della Litweb”, mentre la professoressa Marisa De Sensi, maestra di formazione di D’Elia nell’or-

nità e ad impegnarci verso gli altri. Il 12 agosto tappa per Salvatore D’Elia a Falerna al residence “La Giungla” con Dina Caligiuri, Ippolita Luzzo e Salvatore Chirumbolo, biochimico clinico all’Università di Verona. L’iniziativa è stata promossa dall’associazione “Riviera dei Tramonti”. Chirumbolo, lametino oggi impegnato in prima linea nello studio scientifico del Covid-19, ha apprezzato la capacità di Salvatore di “mettere in rilievo come la questione Covid non sia solo una questione scientifica o medica, ma anzitutto umana. Nei giorni del lockdown abbiamo rinunciato a tratti fondamentali della nostra umanità”.

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Il nostro territorio

La rivolta di Reggio Calabria (luglio 1970 – febbraio 1971) ed il Piano Calabria. Le ricadute e le conseguenze per la Calabria e Lamezia Terme (prima parte)

del capoluogo della Calabria alla città dello stretto, e si concluse il 21 febbraio 1971. Durante quel periodo si assistette ad attentati e devastazioni di ogni genere, incendi ed assalti alle sedi dei partiti di governo, dei sindacati, della questura, di alcune banche; al trionfo del populismo, del qualunquismo e dell’anti-politica ed alla nascita di numerosi comitati (Comitato d’agitazione,

Ricorre quest’anno, a partire dallo scorso luglio, il cinquantesimo anniversario della rivolta di Reggio Calabria la cui popolazione, aizzata ed istigata da imbonitori, rivendicava per la Città dello Stretto l’investitura di capoluogo della regione Calabria e chiedeva che il Parlamento si pronunciasse in tal senso. La ricorrenza è stata ricordata da quasi nessuno; pochissime righe ho potuto trovare su qualche giornale. Forse perché nessuno o pochi ne ricordano o ne conoscono i gravissimi avvenimenti che sconvolsero la regione per lunghi sette mesi. D’altro canto coloro che nacquero quando i moti ebbero inizio, hanno oggi mezzo secolo d’età per cui se non hanno letto qualcosa sulle numerose pubblicazioni che in questi anni sono state scritte sulla vicenda non sanno nulla né dei fatti che si susseguirono giornalmente in modo spesso imprevedibile e drammatico, né delle conseguenze, negative, ch’essi produssero sia per la Calabria che per la nostra città. La rivolta ebbe inizio il 14 luglio 1970, al termine dell’ultima di tre giornate di sciopero generale indetto dall’ amministrazione comunale di Reggio, il cui sindaco era il democristiano Pietro Battaglia, per reclamare, come ho sopra ricordato, l’attribuzione pag. 8

di Giuseppe Sestito

in cui la lotta era organizzata entro parametri e schemi essenzialmente di classe e di appartenenza generazionale, furono, per la stessa natura rivendicazionista della protesta che portarono avanti, interclassisti e trasversali. Ha scritto Emilio Colombo, che in quella congiuntura si trovò ad essere il presidente del consiglio in carica: << [….] Lo stesso gruppo promotore inizialmente fu contraddistinto da una sostanziale eterogeneità: in esso vi erano esponenti della Dc locale, dell’associazionismo cattolico e popolare, dei partiti laici di governo, dei sindacati (Cisl e Uil) e della Chiesa. Anche il Pci reggino assunse verso i moti un atteggiamento non sempre lineare, avvicinandosi alla protesta, seppure per un brevissimo periodo, nell’ottobre del 1970>>. Ad assumere, però, la funzione nevralgica di guida nell’organizzazione dei moti, per tutta la durata delle protesta, furono i comitati civici egemonizzati dalla destra, in particolare dal Msi, che al grido di “boia chi molla” strillato a squarcia gola da Ciccio Franco - un quarantenne esponente della Cisnal provinciale, assurto al ruolo di capo-popolo - e dai suoi seguaci, si misero

Gruppo d’intesa, Comitato di salute pubblica, Comitato studentesco dell’istituto di architettura, Comitato d’azione, etc……) tutti a carattere rivendicazionista e, talora, eversivo. Furono create due repubbliche, “libere ed autonome”: quella di Santa Caterina, un quartiere a nord della città e l’altra di Sbarre a sud, la cui bandiera azzurra fu issata e sventolava sulle barricate mentre i pupazzi di esponenti politici calabresi di primo piano quali: Giacomo Mancini, Riccardo Misasi, Ernesto Pucci penzolavano impiccati in mezzo alla piazza. La rivolta di Reggio Calabria fu caratterizzata da un ricorso costante alla violenza con uso di armi ed esplosivi. La sua peculiarità consistette nella essenza stessa dei moti che, pur verificandosi in un periodo GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

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alla testa della rivolta programmandone e dirigendone le azioni dall’inizio alla fine. Finanziatori del “Comitato d’azione” di Ciccio Franco erano il produttore di caffè Demetrio Mauro e l’armatore Amedeo Matacena, che propose, addirittura, la costituzione di una nuova regione coincidente con la provincia reggina e capoluogo Reggio. Successivamente, tutti costoro, ritenuti responsabili di vari reati dalla questura, sarebbero stati denunciati, arrestati e processati. Mentre la protesta saliva d’intensità ed i partecipanti alle manifestazioni quotidiane raggiungevano cifre vertiginose… …fino a 10mila partecipanti….. cominciarono a farsi vedere negli ambienti reggini big politici di livello nazionale appartenenti a diverse aree politiche. Per esempio, il comunista Pietro Ingrao; il socialista Giacomo Mancini che tenne un comizio a Rosarno; il democristiano Riccardo Misasi, che parlò a Roccella Jonica; Junio Valerio Borghese del Fronte nazionale; Adriano Sofri, di Lotta continua; tutti alla ricerca di capire bene cosa bollisse in pentola e, di conseguenza, posizionare la loro azione politica in relazione un nuovo, prevedibile riassetto del territorio regionale ritenuto prossimo. Purtroppo, la ribellione causò anche un numero di morti, che molti o pochi che siano stati, rappresentano sempre un danno irreparabile per chi crede nel valore assoluto della vita umana. La prima vittima fu il ferroviere di 46 anni Bruno Labate, trovato morto la sera del giorno 15, successivo a quello dell’inizio della protesta. Ne seguirono altri. Nel pomeriggio del 22 del medesimo mese, a Gioia Tauro, deragliò il treno <<Freccia del Sud>> facendo sei vittime ed il feri-

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mento di altri settanta passeggeri. Nonostante la smentita delle autorità, fu avanzata l’ombra del sabotaggio e del collegamento della ‘ndrangheta con la protesta regina. Nella notte fra il 5 e il 6 settembre si verificarono quattro attentati dinamitardi; il 17 settembre morì Angelo Campanella, raggiunto al petto da un colpo di arma da fuoco; il 13 gennaio 1971 morì il poliziotto Antonio Bellotti, colpito da un sasso lanciato dal bordo della ferrovia. Ci furono altri morti in altre circostanze, ma sempre legati agli avvenimenti reggini. Una svolta in direzione del rallentamento e spegnimento della rivolta fu dovuto a due iniziative governative: innanzitutto all’energica azione di repressione adottata dal ministero Colombo, il cui ministro dell’interno Franco Restivo, impiegò massicciamente le forze dell’ordine, dirette in modo responsabile e professionale dal questore Emilio Santillo. Si ritenne necessario anche impiegare, in fasi diverse, alcuni reparti dell’esercito suddivisi in tre contingenti che raggiunsero il numero complessivo di diecimila soldati. L’esercito fu utilizzato non solo per coadiuvare le forze dell’ordine che erano giornalmente impegnate a contrastare le continue azioni di “guerriglia urbana”, ma anche per presidiare la linea ferroviaria Reggio Calabria-Sant’Eufemia Lamezia, facendo ricorso ai carri armati M113 dei carabinieri e prevenire eventuali sabotaggi, che dopo il deragliamento del 22 luglio, erano costantemente temuti. La linea ferroviaria tirrenica Reggio-Lamezia era insomma sorvegliata, quotidianamente, giorno e notte. La seconda deliberazione del governo Colombo consistette nell’adozione del “Piano Calabria”, più noto nelle cronache e giunto fino a noi con la denominazione “Pacchetto Colombo”, dal nome del presidente del consiglio che lo fece approvare in sede parlamentare. Il “Piano Calabria” che operò una redistribuzione istituzionale fra le tre storiche province, e disseminò il territorio calabrese di un quantitativo considerevole di grandi e medie industrie, che in seguito sarebbero tutte fallite, impattò in modo duro ed irreversibile nell’intero ambito regionale. La Calabria, per secoli organizzata, tramandata e storicamente conosciuta come le “Calabrie”, dopo l’effettuazione delle misure previste da quel Piano, o Pacchet-

to che dir si voglia, diventò ancora di più le “Calabrie” e non è mai divenuta, purtroppo, fino ai nostri giorni, la “Calabria”. Ed anche Lamezia, la Città della Ninfa Terina, creata solo due anni prima, con tante speranze e diverse ambizioni, vide tramontare le prime e fallire irrimediabilmente le seconde. Ma, di quali furono le conseguenze della rivolta di Reggio Calabria e del “Piano Calabria”, tutte a mio avviso negative, sia per la regione che per la nostra città, tratterò più ampiamente nella seconda parte dell’articolo, in ‘Lameziaenonsolo’, del mese di ottobre. Voglio concludere questa prima parte dell’articolo con il ricordo di un evento, che riguarda la mia vita privata ma che, nel mese di ottobre 1970, s’incrociò con i moti reggini. Da alquanto tempo avevo avviato una relazione d’affetto con Giovanna De Sensi, che poi sarebbe diventata mia moglie. Lei aveva vinto il concorso di assistente ordinaria e nel 1969 le avevano assegnato l’incarico d’insegnare “Antichità greche e romane” presso l’Università di Messina dove l’anno precedente si era laureata. Nel mese di ottobre del 1970, che insieme al successivo di novembre, fu il più tribolato e difficile di tutto il periodo della rivolta reggina, si trovava nella sede universitaria per dar corso e concludere il secondo appello degli esami. Completati i quali era suo ardente desiderio di ritornare a Lame-

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ma riuscì a prendere un traghetto e sbarcare a Villa San Giovanni. Da lì, però, non era possibile continuare il viaggio in treno perché l’intera linea ferroviaria tirrenica era stata bloccata e veniva sorvegliata, come ho scritto, dai mezzi corazzati dei carabinieri.

zia, dove oltre alla famiglia l’attendeva il sottoscritto. Se non che, proprio in quel mese si verificò il blocco di buona parte della Calabria (“L’Italia si ferma a Vibo”, Gazzetta del Sud dell’11 ottobre 1970) e l’isolamento della Sicilia. Era pressoché difficile, se non impossibile, rientrare perciò in Calabria. Ma lei, insieme all’amica Ida D’Ippolito, futura senatrice eletta in rappresentanza della circoscrizione lametina, che condivideva con Giovanna lo stesso appartamento messinese e stava completando gli studi universitari nell’ateneo della città peloritana, non si perse d’animo,

Che fare, quindi? Dopo una telefonata intercorsa tra me e Giovanna e tra Ida ed il suo fidanzato, Michele Vitale, decidemmo, Michele ed io, di raggiungerle in automobile a Villa San Giovanni per riportarle a casa. Lungo il viaggio, alla guida c’era Michele con la sua macchina, nell’approssimarci alla provincia regina per attraversarla, approntammo una specie di cartello su cui a lettere cubitali scrivemmo: “Siamo per Reggio capoluogo della Calabria” e lo posizionammo, bene in vista, sul parabrezza. Avevamo imitato, cioè, tutti coloro che, in quei giorni circolavano su veicoli per le strade della provincia regina e sui quali portavano scritta, messa in evidenza, la nostra stessa frase. Tanta era la paura, diffusa e giustificata, di incorrere in qualche azione di violenta rappresaglia, in uno dei tanti posti di blocco, costruiti dai dimostranti lungo la statale 18 che porta fino a Villa San Giovanni, contro coloro che non avessero manifestato, anche apertamente e pubblicamente, l’adesione alla causa di “Raggio capoluogo di regione”. Arrivati a destinazione, prelevammo le nostre rispettive “pulzelle” e ce ne ritornammo a Lamezia, liberandoci, naturalmente, del cartello inneggiante a Reggio anche per non fare torto a Catanzaro dove stavano cominciando ad apparire manife-

stazioni simili a quelle apparse a Reggio all’inizio della rivolta, che avevano allertato ancora di più le autorità governative. Il 13 gennaio del 1971, infatti, si era costituto un “Comitato d’azione per la difesa dei diritti di Catanzaro” ad opera dell’ordine degli avvocati della provincia. Ed anche a Lamezia, a fine gennaio 1971, si registrò una analoga iniziativa. Poi, però gli eventi presero un’altra piega e si conclusero nel modo che, come ho anticipato, vedremo in modo particolareggiato, nella seconda parte di questo articolo.

Satirellando e dintorni

L’estate non finisce con l’avvento di settembre, ma circa una settimana prima della fine del mese, ma vediamo ancora, sui litorali, numerosi bagnanti che si espongono al sole. La stagione estiva è profondamente nostra, di noi donne: è, infatti, una delle stagioni più belle e femminili, in cui possiamo sfoggiare colori, ma anche forme e bellezza. Ultimamente, però, ho deciso di satirellare su un aspetto esagerato della moda, che attiene al farsi notare e, partendo dai secoli precedenti, giungo a singolare conclusione, con la solita ilarità che la satira, grazie a Dio, permette ancora ...

MODE

Nel 1700, scollature su ampie crinoline,\ nell’ ‘800, spalle scoperte di signore e signorine.\ Nel ‘900, gli uomini fanno mille acrobazie,\ per scovar caviglie di donna, per le vie!| Il ‘900, però, è un secolo ribelle: le donne mostrano vari centimetri di pelle.\ Negli anni ’50, i registi lancian

“maggiorate”:\ Loren e Lollo son vieppiù ammirate.\ Gli anni ’60 e ’70, poi, sdognanano la gamba:\ con Raffa il tuca tuca e a Rio il samba!\ Negli anni ’80, tornano le spalle, ma son finte\ e i busti delle donne impettiti, in su le cinte.\ Nel 2000, ci si aspetta chissà cosa,\ dalle

belle donne e dalla “vita in rosa”,\ ma qualche buontempone di stilista,\ tenta la scalata, bene in vista,\ della classifica, contro ogni fifa blu,\ esaltando, oltremodo, le mele… del cucù!

Ridere, anche per noi donne, è d’obbligo! AH, AH, AH! pag. 10

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I Meridiani: Voci calabresi in serie e parallelo

Basta conoscere il lametino per arrivare alle nostre radici C’è uno stornello sambiasino che, molto verosimilmente, può essere etichettato come erede ideale di un genere letterario più antico: anche per questo, alla luce delle tradizioni popolari, che ne perpetuano oralmente la sua inveterata verve di novità, è utile aprire occasioni di dibattito, per rinvenire storie e memorie del nostro DNA sociale. Alli tua porti Arsira alli tua porti sugnu statu, l’acqua e llu’ viantu mi cci hanu sbattutu... Li trona mi parianu scupittati, li lampi mi parianu signi d’amuri. O Diu, manda na’ nuvula all’istanti d’acqua minutilla e viantu fhorti: accussì la genti si ‘ndi vanu intra e lla’ mia bella, mi rapiri lli’ porti! Ecco cosa mi viene in mente…

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di Francesco Polopoli

Il paraclausithyron (in greco antico: παρακλαυσίθυρον, paraklausíthyron, da παρακλαίω, radice παρακλαυ-, “piangere presso”, e θύρα, tiùra, “porta”: letteralmente “lamento presso la porta chiusa”), con cui comparo questo testo, tràdito da Francesco Giuseppe Longo, è un motivo letterario tipico della poesia elegiaca d’amore greca e romana, ripreso in seguito anche dalla poesia trobadorica della letteratura medievale. Consiste essenzialmente nel rappresentare l’amante (un exclusus amator, che a volte può essere il poeta stesso) in veglia notturna di fronte alla porta sbarrata della casa del custos, protettore-padrone della donna desiderata; l’amante si lascia andare alla disperazione per il divieto di incontrare la sua domina prima che sopraggiunga l’alba, non esimendosi dal lanciare imprecazioni contro il custode. Questo luogo poetico è spesso accompagnato da espedienti narrativi, quali il dialogo con la porta, che non vuole aprirsi, come avviene in Catullo, o il monologo della porta stessa (Properzio). Ovidio scrive un paraclausithyron negli Amores, in cui parla con uno schiavo messo a guardia della porta (ianitor). In Properzio e Tibullo la “porta chiusa” rappresenta un impedimento all’avventura amorosa; al contrario, nell’opera ovidiana, paradossalmente, il custos viene ringraziato, per aver fatto in modo di rendere più focosi e passionali gli incontri tra i due amanti. Passeranno i secoli e nel 1981 Eduardo De Crescenzo in Ancora di Migliacci-Mattone canterà: È notte alta e sono sveglio/e mi rivesto e mi rispoglio, /mi fa smaniare questa voglia/che prima o poi farò lo sbaglio/di fare il pazzo, venir sotto casa, / tirare sassi alla finestra accesa, prendere a calci la tua porta chiusa, chiusa… Nel nostro testo lametino il modulo classico è fortemente essenzializzato: medesimo è l’alone surreale che, nel nostro caso, guarda all’uscio come gestazione d’eros. Dio, il caso, la fortuna, le congiunture astrali sono messi in discussione a coronamento del canto orante d’amore: non convenite con me che anche grazie al nostro idioma possiamo risalire alle radici delle più profonde bellezze della civiltà mediterranea?

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scuola

#LA SCUOLA RIPARTE

di Teresa Goffredo

Durante questi ultimi giorni, molto si è detto e scritto riguardo la ripresa dell’attività didattica e tutti sentiamo il bisogno di ritornare alla vita normale, interrotta il 4 marzo scorso. Superfluo sottolineare l’assoluta necessità, per le studentesse e gli studenti, di ritornare in presenza per poter relazionarsi con i coetanei e sviluppare armoniosamente la loro formazione. La Scuola (in presenza) rappresenta una urgenza e tale esigenza parte soprattutto dai ragazzi. A meno di un mese dall’inizio della scuola, previsto per il 24 settembre, al Liceo Scientifico Galilei si lavora per garantire agli studenti un inizio tranquillo e in presenza. In realtà dirigenti e docenti di tutte le Scuole d’Italia sono stati operativi durante l’intero periodo estivo e hanno lavorato senza sosta. In ogni Scuola il team di docenti che si è occupato di mettere in pratica le linee guida dettate dal Ministero dell’Istruzione in materia di provvedimenti anticovid, ha incontrato anche i genitori per presentare le novità della scuola e descrivere come avverrà il rientro in piena sicurezza. Anche al Liceo Galilei si è lavorato alacremente e con grande voglia di ripartire. Nessun allarmismo dunque,

ma un rientro in piena tranquillità in aule che saranno più grandi e ariose. La noia e la solitudine che hanno accompagnato i bambini e i ragazzi di tutte le età saranno cancellate e la nostra priorità sarà educativa, una ri-nascita centrata sull’educazione. Ecco perché penso che si debba immaginare un progetto speciale di rientro, una risposta ad un periodo drammatico, ma fatto con la saggezza educativa di momenti formativi, pensati come ri-costruzione di fiducia, ottimismo, voglia di futuro e di tornare alla normalità. Sebbene le proposte che in questi giorni gli organi collegiali stanno valutando siano condizionati dall’ombra del Covid, tuttavia bisogna lavorare sulle strade educative possibili da percorrere per un ritorno alla vita sociale di studentesse e studenti. Ecco perché è necessario un solido e ben strutturato patto formativo, patto che deve essere condiviso dalle famiglie, dagli Enti locali, dalle Associazioni del Territorio e da ogni altro attore del Territorio. Sarebbe troppo riduttivo pensare solo alle classi e ai programmi. Ora l’emergenza è diversa e forse è giunta l’occasione anche per sfruttare al meglio la capacità straordinaria di molti insegnanti che hanno saputo offrire scenari di grande straordinarietà. Rinascere con un progetto speciale così come speciale è stato il periodo vissuto da quel 4 marzo giorno in cui la Scuola ha vissuto eventi spiacevolmente straordinari e inattesi. La maggior parte dei docenti, senza avere precise indicazioni, ha realizzato, con encomiabile spontaneità, un’azione educativa e didattica lodevole con risultati brillanti. Sono state create nuove alleanze tra Scuola e Famiglia, superando la distanza e l’isolamento. Ma ora bisogna ripartire e si potrebbe iniziare spegnendo i computer e ogni altra forma virtuale e tornare a riprendere in mano la penna, sfogliando il libro, mettendo temporaneamente da parte il digitale per privilegiare la corporeità. Insomma il Liceo Galilei lavora per trovare soluzioni!

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l’angolo di gizzeria

Teresa

Maruca e le sue cento primavere della vita, di Michele Maruca Miceli

Ha tagliato l’ambito traguardo dei primi 100 anni di vita nella casa della figlia Adalgisa nel comune di Endine Gaiano (BG) la nostra cara compaesana Teresa Maruca conservando la lucidità e la grinta di un tempo. Ella nasce a Gizzeria nel lontano 31 Agosto del 1920 dal padre Giovambattista (1879) e dalla madre Rosa Iera (1884) di Giovambattista e di Maria Giuseppa Falvo. Quartogenita della famigliola così composta : Maria Stella nata nel 1905; Mariano nato nel 1907; Elvira nata nel 1911; Teresa nata nel 1920 ; Barbara nata nel 1923 ed Oreste nel 1930. Nel 1939 sposerà Michelangelo Gigliotti (varrilaru) dalla cui unione nasceranno Battista nel 1941 e Adalgisa nel 1944. Periodi tristi di guerra e di disoccupazione piena di tante privazioni e sacrifici per vivere. Una famigliola quella della signora Teresa come tante famiglie calabresi che vivevano di stenti lavorando nei campi sotto il sole ed il freddo dell’inverno. Ella ancora oggi ricorda quanti sacrifici hanno dovuto fare i suoi genitori per crescere lei ed il resto della famiglia ,raccogliendo olive, dissodando il terreno, estirpando la barbabietola, raccogliendo fascine di ginestra per poi farne fibre tessili e ricavarne coperte, lenzuola e tovaglie. La zia Teresa nonostante il marito fosse partito in guerra non dispera, lavora nei campi con i genitori e successivamente verso gli anni 1960 viene chiamata ad aiutare nelle faccende domestiche presso il più importante Campeggio Internazionale “ Torre dei Cavalieri dell’avv. Trapuzzano in territorio di Gizzeria , dove zia Teresa familiarmente chiamata ,si distingueva in ogni lavoro, per non parlare poi del suo bel costume di pacchiana calabrese che indossava festosamente, Lamezia e non solo

come nelle foto sotto citate, divenendo l’attrattiva del campeggio nelle serate di tarantella che si andavano organizzando con i turisti. Il 31 Agosto 2020 attorniata dall’affetto dei suoi due figli, dei 4 nipoti e 4 pronipoti che quotidianamente l’assistono e la sostengono con dedizione e tanto amore ed alla presenza inoltre del Sindaco di Endine Gaiano sig. Marco Zoppetti che in veste Ufficiale cinto dal tricolore italiano, si è portato presso l’abitazione della centenaria per consegnarle personalmente la pergamena d’onore inviatale dal Comune di Gizzeria. La festeggiata ha soffiato con la forza e l’energia di un tempo, le candeline poste sulla gigantesca torta preparatale per la grande cerimonia A conclusione di questa festosa ed allegra cerimonia alla signora Teresa Maruca è pervenuto anche il saluto del Sindaco di Gizzeria f.f. Francesco Argento che le ha conferito la pergamena speciale attestante la sua veneranda età dei 100 anni. A questo saluto si è aggiunto anche quello di Michele Maruca Miceli, studioso ed attento ricercatore delle tradizioni popolari di Gizzeria che da tempo studia i fenomeni di longevità e migratori che caratterizzano il nostro paese, verso i vari continenti americani,australiani ed europei, proponendo ai nostri lettori sempre nuove e belle avventure come questa della cara Teresa alla quale va l’augurio di tutta la comunità di Gizzeria, affinché anche ella, con il suo primato dei 100 anni possa sedere al 15 ° posto dell’Olimpo dei Centenari e goliardi personaggi a cui il nostro paese ha dato i natali,dandole la forza di vivere con serenità e gioia i giorni che il Signore vorrà ancora concederle.

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eventi

DORIAN - LA CULTURA RENDE GIOVANI

FA RIVIVERE IL CENTRO STORICO DI SAMBIASE

di Giovanni Mazzei Per tre settimane di fila, nel pieno delle ferie estive, il centro storico di Sambiase in Lamezia Terme è stato culturalmente animato dalle iniziative del movimento culturale Dorian - la cultura rende giovani, che ha in tal modo ravvivato un centro storico dalle infinite possibilità m sempre più morente, confermandosi ancora una volta come punto di riferimento storico-culturale per la città di Lamezia Terme e per il quartiere di Sambiase in particolar modo. Nella serata di giovedì 20 agosto il movimento Dorian - la cultura rende giovani ha organizzato una passeggiata guidata nel centro storico di Sambiase, con lo scopo di rendere il borgo sambiasino vero protagonista dell’intera serata. Nei limiti imposti dalle normative anti-Covid, il gruppo di persone ha percorso i vicoli della vecchia Sambiase, ascoltando le storie dei suoi figli più illustri, ammirando la magnificenza delle sue chiese e dei suoi caratteristici vagli. Evento principe di questa tre settimane di appuntamenti targati Dorian, è stata la seconda edizione de La Rêverie degli Ulivi, tenuta lo scorso 27 agosto – per celebrare il 96° anniversario della nascita del poeta sambiasino Franco Costabile. Per comprendere e conoscere al meglio l’opera di un poeta come Franco Costabile la scelta migliore è immergersi nei luoghi che ne hanno ispirato i componimenti, incamminarsi nelle strade che hanno smosso i suoi sentimenti, incontrando quartieri, colori e ombre che sono stati tramutati in arte lirica dall’aedo calabrese. Per la prima volta sono state abbandonate le sedie dei convegni pomposi, per intraprendere un percorso tanto fisico quanto di conoscenza; sono state messe da parte le tribune autoreferenziali per calarsi nella realtà terrena e popolana dell’ispirazione e del sentimento poetico. Sotto la guida di Giovanni Mazzei, presidente del movimento culturale ed esperto conoscitore della vita e dell’opera costabiliana, il folto numero di partecipanti è stato guidato in un percorso

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cognitivo e sensoriale, apprendendo i grandi dolori e i traumi che hanno condizionato l’esistenza del Costabile, e ricevendo anche le chiavi ermeneutiche per decifrare le immagini e i simboli della sua poetica. Oltre ad ascoltare le vicende biografiche e critico letterarie, sono state lette le liriche raccolte nelle due sillogi che il Costabile ci ha lasciato: Via degli Ulivi e La Rosa nel Bicchiere. Le letture, come già avvenuto in altre iniziative di Mazzei, sono state totalmente spontanee, pescando a sorte da un sacchetto ricolmo di poesie. La prima lettura è stata eseguita dall’assessore alla cultura del comune di Lamezia Giorgia Gargano, intervenuta per un saluto. La casualità, forse guidata dallo spirito del Costabile, ha voluto che a conclusione della camminata, proprio sotto la casa natale del giovane Franco, sia stata letta “Per altri sentieri…” la prima poesia che appare nella sua prima raccolta, con il simbolico verso conclusivo “sono questi gli orti/i confini per ricordarci”. «Abbiamo voluto ricordare Franco Costabile percorrendo i suoi sentieri – dichiara Giovanni Mazzei, ideatore della serata su Franco Costabile – rivivendo le sensazioni dell’antica Calabria cristallizzata nei suoi versi. È stata la prima volta che l’arte di un poeta è stata descritta mediante una passeggiata ma posso dire, vista la soddisfazione e la gioia dei numerosi partecipanti, che è stato un incredibile successo!». Ma non è finita qui, la vera sorpresa della serata è stato il secretconcert organizzato all’interno dell’atrio Verdi di Sambiase. Una novità assoluta per il territorio di Sambiase, un concerto inaspettato, inatteso giunto a conclusione del nostro cammino conoscitivo. Un concerto reso ancora più prezioso dalla cornice del centro storico sambiasino. Una volta condotti nel vaglio, i partecipanti hanno trovato ad attenderli i due maestri di chitarra classica Luca Laganà e Paolo Isabella, della scuola di musica Liuto. La musica delle chitarre e le note eseguite dalle loro dita hanno intermezzato le letture dei componimenti più celebri di Franco Costabile, come Ultima Uva, Apologo, Il canto dei nuovi emigranti.

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Una esibizione elegante e una declamazione asciutta, senza fronzoli, priva di tentativi di folklorizzazione della poesia costabiliana: le chitarre non accompagnavano le letture, ma cullavano i silenzi, consentendo all’uditorio di interiorizzare gli echi e le suggestioni di Franco Costabile, permettendo all’ascoltatore di ricevere e vivere la rêverie costabiliana, il sogno ad occhi aperti che il poeta calabrese ha saputo tramutare in imperitura sublime arte. In conclusione di questi eventi, domenica 6 settembre, ci si è concentrati su uno dei principali beni immateriali delle comunità locali: il dialetto. L’evento in questione ha costituito, inoltre, la tappa finale dell’edizione 2020 del Festival delle Erranze e della Filoxenia, idea-

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to dall’avv. Francesco Bevilacqua. Nella amena cornice naturale di Parco Gancìa, nel rione Miraglia di Sambiase, si è parlato di poesia e vernacolo, con i componimenti dei poeti riuniti dal prof. Filippo D’Andrea nel volume da lui curato “La Terra Dentro – I poeti dialettali del lametino”, edito da GrafichÈditore di Antonio Perri. Le differenze dei vari idiomi locali: diversi eppure così simili. Le poesie dei mostri sacri come Vittorio Butera, Michele Pane, Salvatore Borelli e poi un focus sugli autori sambiasini con letture di De Biase, Davoli, Mazzei, il tutto accompagnato dalla presenza attiva e numerosa del pubblico, che ha ordinatamente partecipato a questa prima serata culturale settembrina nel cuore di Sambiase.

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arte

“Botticelli e l’arte femminile” di Antonio Perri

Immersi nella natura di un meraviglioso Casale del Comune di Gizzeria si è tenuto un vernissage di Sonia Bellezza ( padrona di casa) e di Patrizia Lo Feudo. L’evento inserito nell’ambito di un progetto dal titolo “Botticelli e l’arte femminile”, vede coinvolte le due artiste protagoniste ed è stato organizzato con grande professionalità da Angela Stranges. Ha relazionato sul tema Tommaso Cozzitorto, critico letterario e d’arte. La serata è stata arricchita da un ricco buffet e da una degustazione di vini. Dalla relazione di Tommaso Cozzitorto : “ Il percorso del Botticelli nella costruzione della figura femminile è stato lungo e complesso, infatti le prime opere risentono dell’influsso del suo maestro Filippo Lippi, quindi la sua ricerca continua con lo studio soprattutto prospettico del Verrocchio, del Pollaiolo e di Piero della Francesca. Ma è con l’adesione all’Accademia neoplatonica che il Botticelli giunge ad un’arte matura e compiuta con i capolavori di Venere e della Primavera. Il tutto parte dal concetto che gli uomini e le donne, attraverso la ragione possono elevarsi verso il divino o regredire verso la materia in una continua lotta tra vizio e virtù. Ecco perché le donne botticelliane pur inserite in una cornice mitologica trasudano umanità e malinconia. Le nostre artiste presenti si sono impegnate in una interpretazione personale della femminilità rappresentata da Botticelli ma hanno esposto anche altre opere di diversa ispirazione. Sonia Bellezza utilizza lo stucco e il colore per comporre volti e situazioni che pag. 16

si manifestano agli occhi di coloro che guardano soprattutto da lontano e riesce a costruire con una tecnica “artigianale” sguardi ed espressioni intensi, realistici e

colmi di pathos, leggendo in senso universale la Storia delle donne di ogni tempo e la sua personale esperienza di vita. Patrizia Lo Feudo dimostra una profonda preparazione tecnica di impostazione neoclassica con figure femminili di armonica eleganza e bellezza ma oltre il concetto di bello possiamo leggere il dolore consapevole che spesso non si può esprimere né in parole orali né attraverso la scrittura : solo la pittura può esprimere, a volte, tutto questo. Viene così superato il concetto di bello fine a se stesso, tanto invasivo nella odierna società. Due donne molto diverse ma che hanno in comune estro e preparazione, desiderio di comunicare e di mettersi artisticamente in gioco “.

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riflessioni

QUESTO SUD NON SI SALVERÀ

di Alberto Volpe

Chissà quanti soggetti, istituzionali e non, farà sobbalzare e storcere il muso, con avverso ed opposto posizionamento anche politico, il mio assunto ! Tanto è il suo critico, se non proprio pessimistico, senso ed orientamento. Eppure, come a più di uno verrà alla memoria, era questa la severa conclusione cui perveniva amaramente il grande statista pugliese Aldo Moro, ucciso dalle Brigate rosse oltre 40 anni fa. E la “sinistra” riflessione aveva come legame logico e condizionante una “stagione dei diritti e delle libertà” che si fosse rivelata effimera. Parole che vanno oltre il tempo, e che trovano ancora oggi reale condivisione, a ben osservare fatti e comportamenti. E questi, ad insegnare magistralmente e trascinare verso il bene o verso il male, più di ogni altro discorso, è quello che viene e discende emblematicamente dalla Politica. Certo, i comportamenti individuali non sono meno ininfluenti rispetto a quell’obiettivo alto e supremo, come deve essere il vivere sociale, in ogni contesto ambientale. Fatti salvi i buoni esempi di “eroici” imprenditori, giornalisti,medici,docenti,genitori, e perché no, politici, che pure servono a tenere accesa la fiammella della speranza verso i massimi sistemi della giustizia e della democrazia, ciò detto e premesso non va né criminalizzato,né liquidato come “normale” il farsi beffa di regole e leggi, magari con la spocchiosa prosopopea del “lei non sa chi sono io”. Ma pure “guai a quel Paese che ha bisogno di eroi” per affermare la sacralità delle regole, che siano esse in ambito scolastico, in quello giudiziario, od anche in quello sanitario. E, per tornare al nostro assunto iniziale, in una Democrazia rappresentativa, non necessariamente pletorica ed inefficiente o sprecona, a voler attentamente osservare ed analizzare la condizione di un Sud che ancora oggi arranca, quando ripetuti esempi di scioglimento di Enti locali, per evidenti infiltrazioni mafiose, appalesa un problema (piuttosto che questione) di civiltà. Il

termine è grosso ed importante, ma il quadro complessivo conduce diritto ad una stagione dei diritti e di libertà che stenta ad affermarsi in questo nostro Sud. E la Politica è indifferente in ordine a simile condizione sociale ? Può, essa, chiamarsi fuori da ogni colpevolezza o responsabilità ? Proprio No ! Per essere concreti, perché poi le idee si servono delle gambe dei soggetti umani per muovere i passi nel tempo, sono proprio i loro ambivalenti, bugiardi od anche complici atteggiamenti a svuotare di fatto la credibilità delle istituzioni da coloro rappresentati, e rendendo vani gli sforzi di costruire un “corpus iuris” che non discrimini per censo,genere o funzione sociale. Nella mia Nota del mese scorso denunciavo il sistema di corruzione che invade il sistema politico-istituzionale. Ma va proprio a colpire i riferimenti etici e morali che regolano il vivere sociale quel genere di far politica che per il malaffare della disonestà ,della criminalità, ed oggi del rampantismo politico ad ogni livello, che finisce per indebolire agli occhi del popolo quei riferimenti, che sono la garanzia del rispetto del vivere sociale. E vorremmo che proprio dal Sud venisse uno scatto di “rivoluzionaria” affermazione di quella stagione di diritti e di doveri, se è vero come è vero che una cultura giuridica e filosofica della Magna Grecia ha visto proprio questo Sud quale alveo fecondo di diffusione delle idee che devono governare una convivenza civile e democratica. Una eredità, questa, come il monito, sempre attuale, di Aldo Moro, che cerca terreno fertile dove possa affermarsi una nuova stagione della pluralità politica, di cui possa giovarsi il bene comune, possibile se non si permette all’alta finanza di usare e sfruttare le risorse umane ed ambientali per propri profitti. Ma una deriva di tal genere da quale Politica sarà arginata se scompaiono storiche “scuole di partito” ?

riflessioni

Il caso Floyd e i Monumenti giustiziati

di Alberto Volpe

Egregia Collega Macrì, converrai con me che non può essere derubricato a semplicistico evento di cronaca la protesta che viene portata dalla popolazione di colore, oltreoceano come oltremanica. Forse e senza forse molto più significativamente “culturale” a Londra e dintorni. E tuttavia, in entrambe le “piazze” oseremmo dire che da quel movimento popolare viene una richiesta di revisione della Storia. E non si tratta di un gruppuscolo di facinorosi, o di liberi e scapigliati manovratori sovvertitori. La marea di persone che attraversa ponti e staziona sulle principali “piazze”, sia essa Huston o trattasi delle adiacenze della Casa Bianca, quel Popolo vuole “gridare” ancora una volta No alla violenza, e No al razzismo. Dunque si ribatte al superpotere delle armi, anche da parte di chi dovrebbe usarle per prevenire ogni genere di violenza, come più significativamente si vuole contestare la “violenza” predicata da una Presidenza con la costruzione di “muri” . In Italia (v. caso Cucchi) come nella cosiddetta democratica America, devono servire a prevenire, e non a provocare violenze e omicidi, specie se espressamente portati contro soggetti di colore. E contro il razzismo, come contro chi di quel fenomeno ha fatto motivo di armata, per affermare una supremazia geografica e di sfruttamento coloniale, avverso,quei soggetti, pure osannati con prosopopeici piedistalli monumentali, si è diretta la protesta a Londra, con l’abbattimento di personaggi dittatoriali come lo schiavista Edward Colston, piuttosto che Robert Milligan, od anche il belga Leopoldo II. Ma la lista potrebbe includere anche Vittorio Emanule II, come Saddam Hussein. Perché, ci chiediamo, la Politica è sorda a prevenire l’abbattimento di effigi provocatorie, col proposito di affermare una autentico percorso democratico ?

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cultura

Il “Baco da sera” di Pasquale Allegro

Una poesia raffinata, smorzata, crepuscolare

di Tommaso Cozzitorto

Una poesia raffinata, smorzata, crepuscolare; le parole si pongono sulla carta lievi e timide, quasi a scusarsi, a stare attente a non occupare troppo spazio, parole che non vogliono essere invadenti, sono come dei dolci vecchietti che si stringono in se stessi sul divano per risparmiare un tempo che diventa colpevole man mano che la vita si allunga. “ Baco da sera “ è un teatro visto dal basso, una prospettiva che allunga e distorce. Solo apparentemente i sentimenti, le emozioni, “iltuttoquellochemicirconda” sembrano solcare i mari del “misurato”, sembra tutto rientrare nella giusta taglia, anche la sensualità di “È come avere la tua pelle addosso” e di “ È la bellezza “, invece dietro ogni levità si scorge una inquietudine e una ricerca come una tenaglia che ti si avvicina lentamente e non sai il secondo in cui sentirai la sua morsa. La notte del Baco da sera è ovattata e dal “tocco setoso” sol perché Pasquale abbassa il volume per non farci ascoltare il frastuono delle battaglie, le evoluzioni della guerra, lo scintillio delle armi. Il Nostro Poeta in realtà abbatte le inferriate delle prigioni dell’anima, apre il ponte levatoio del pensiero e giunge nel luogo inquietante per eccellenza, il lago: luogo di filosofico immobilismo ma che nasconde gelosamente i segreti nel fondo delle sue acque. Le poesie dei piccoli addii nascono dal fondale del lago, gli addii sono misteri, non avranno mai colori accesi, sono tante piccole percentuali di morte che viviamo nel corso della nostra esistenza. L’ultimo addio lo diamo a noi stessi con “un ultimo sguardo” quando fuggiremo definitivamente dalle nostre prigioni. “Baco da sera” di Pasquale Allegro è la parabola della notte, di quelle anime che nel buio e nel silenzio della notte si librano per scorgere la loro alba.

Fermenti Filosofici

La pietra del giudizio di Filippo D’Andrea Si accorse che la pietra sul muretto della scuola elementare era quella posta da sempre nella fontana della piazza ed andò a controllare per averne conferma. Era proprio così, la pietra non era più al suo posto. Dopo qualche minuto di riflessione per capire cosa fare, chiese ad un gruppo di persone che chiacchieravano lì vicino, un aiuto per riportarla al suo posto. Ebbe inaspettatamente un rifiuto ed un cenno di scherno. Non si scoraggiò, non cedette nell’intenzione. E così si rivolse ad un’altra frotta che parlava animatamente di calcio all’angolo opposto della piazza, ma i nuovi interlocutori risposero distrattamente e col sorriso ironico in boc-

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ca. Allora, nonostante avesse seri problemi di salute, prese quella pietra pesante ed a tappe riuscì a trasportarla, andandola a posare nella vasca della fontana, proprio dove era prima. Sentì salire un grande senso di soddisfazione per l’azione compiuta che gli rimane ancora dentro, tanto che mi raccontò l’episodio con la fierezza di chi sa di avere compiuto un gesto importante. E torna ogni tanto con orgoglio a controllare se la pietra è sempre al suo posto. In effetti da tempo qualche benemerito pulisce la vasca periodicamente e controlla se il circuito idrico è funzionante, e non manca neanche l’attenzione spontanea di un gruppetto di bravi giovani che quotidianamente si ritrova in piazza. Un’azione civile di bellezza etica, profumata da una genuina perseveranza nel compiere una missione minima ma colorata da un valore dimenticato: quello di sentirsi partecipe della vita comunitaria attraverso un segno spontaneo di responsabilità verso una semplice pietra che è della città tutta. E questo, malgrado l’assenza di collaborazione unta da sarcasmo. Mastro Vincenzo, nella sua genuinità disarmante, ha dato una lezione di civiltà e di buon senso a tutta la società con un semplice sasso divenuto pietra angolare dei comportamenti anonimi, nascosti nel quotidiano e nella marginalità. Una pietra insignificante eletta pietra del giudizio.

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comunicati stampa

Passaggio di consegne al Rotary Club Lamezia Terme: Carmela Dromì succede a Natalìa Majello Passaggio delle consegne al Rotary club di Lamezia Terme: la prof.ssa Carmela Dromì ha infatti accolto il collare indossato lo scorso anno dalla prof.ssa Natalia Majello. Una cerimonia inusuale, considerato l’emergenza Codiv, avvenuta infatti in videoconferenza, con la partecipazione di numerose autorità rotariane, soci del club e tanti graditi ospiti. A tracciare il bilancio dell’attività svolte nell’anno appena trascorso e gli obiettivi raggiunti nonostante i problemi legati a causa del coronavirus è stata la presidente uscente Majello: «Aver presieduto il Rotary Club è stato per me un grande orgoglio. Nonostante questo momento di grande smarrimento e disorientamento il Rotary non si è fermato, attuando una raccolta fondi a sostegno dell’ospedale nella lotta contro il Covid-19». La parola è passata poi alla neo presidente Carmela Dromì che ha delineato il programma del nuovo anno, che ha come motto “il Rotary crea opportunità”. «Siamo stati tutti travolti da una crisi inattesa – ha affermato Dromì – capace di contagiare ogni aspetto delle nostre vite. Il Rotary offre l’opportunità di servire nei modi e negli ambiti in cui ognuno è più propenso. Il potere di un’azione combinata non conosce limiti ed è per questo che avvertiamo il bisogno di servire al di sopra di ogni interesse personale con una particolare attenzione agli ultimi che, come sempre accade, sono coloro che avvertono in maniera maggiore le conseguenze delle situazioni di criticità. In un momento difficile le azioni di bene sono moltiplicatrici di speranza”. Un anno importante, ha aggiunto Dromì, in quanto verranno

celebrati i 50 anni di vita e di service del club lametino: “Mezzo secolo di azioni sul territorio”. Poi un passaggio sulle linee programmatiche che intende intraprendere e concretizzare con l’apporto del direttivo e di tutti i soci. “Oltre all’impegno a portare avanti alcuni progetti distrettuali a valenza nazionale ed internazionale – ha proseguito – sono molti i progetti ad impatto locale che si intendono realizzare per rafforzare l’immagine del Rotary sul territorio, mentre relativamente ai convegni ed ai focus che costituiscono alcune delle più importanti attività del Club, l’attenzione verrà rivolta a temi di attualità riguardanti la salute, l’ambiente, il lavoro, rispondendo alle naturali vocazioni del Rotary tanto sul piano sociale che sul piano culturale. Le linee programmatiche per quest’anno hanno un focus: la crisi ecologica che viviamo è una drammatica conseguenza dell’attività dissennata dell’essere umano che sfrutta la natura, rischia di distruggerla e ne diviene vittima. Esse saranno il contributo nel nostro Club a ricreare l’antica alleanza tra uomo e ambiente, temi su cui si confronteranno le Commissioni di questo club da me istituite e composte da soci competenti che, in sinergia e all’insegna dell’operosità e della concretezza, produrranno progetti a favore del nostro territorio, in armonia con le forze sane nel rispetto del territorio stesso”.

Concluso anno giubilare nel millenario del Santuario di Dipodi Con la solenne celebrazione presieduta dal rettore del santuario don Antonio Astorino, si è conclusa la festa annuale della Madonna di Dipodi e l’anno giubilare straordinario indetto un anno fa in occasione del millenario dalla fondazione del Santuario. Per tutto l’anno ai fedeli giunti al Santuario, alle consuete condizioni stabilite dalla Chiesa, è stata concessa l’indulgenza plenaria. Nel pieno rispetto delle norme anti-Covid, anche quest’anno i fedeli sono giunti sulla collina dove sorge il Santuario, risalente secondo le fonti all’anno 1020, uno dei luoghi simbolo del rapporto di amore e devozione che lega il popolo della diocesi lametina alla Vergine Maria e uno dei santuari mariani più antichi della Calabria.

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Un “anno di grazia” , quello celebrato in occasione dei mille anni dalla fondazione del Santuario, che per il rettore del Santuario “ci invita a mantenere sempre con noi quello stile di accoglienza verso tutti che ci ha accompagnati in questo anno. Tanti pellegrini sono giunti qui per riconciliarsi con il Signore e affidare alla Madonna di Dipodi le loro attese e preghiere. Soprattutto i più anziani devono sentire il bisogno di tramandare il legame con questo luogo alle nuove generazioni, perché qui da secoli il popolo di Dio si avvicina al Signore attraverso la sua Madre Santissima. Qui tanti fedeli trovano pace e ristoro, da qui si ritorna alle proprie occupazioni rinnovati e più disponibili ad andare incontro alle necessità dei fratelli, ripetendo insieme a Maria il nostro sì al Signore nella vita

di ogni giorno”. Dal rettore un particolare ringraziamento ai collaboratori del Santuario, che hanno accolto i pellegrini, alle diverse associazioni di volontariato che hanno consentito lo svolgimento delle celebrazioni nel rispetto delle norme di sicurezza, ai sindaci dei Comuni di Feroleto e Pianopoli. La sera del 14 agosto, vigilia dell’Assunta, la celebrazione è stata presieduta dal vicario generale don Adamo Castagnaro. Durante il tempo del novenario e la festa, la Chiesa lametina, ai piedi della Madonna di Dipodi, ha pregato per il vescovo Giuseppe affidando alla Madre di Dio la sua persona e il suo ministero. La celebrazione si è conclusa con la chiusura della porta santa dell’Anno giubilare.

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IL VOLTO SPIRITUALE DELLA CALABRIA

CATERINA BARTOLOTTA PIETRE COME PERLE PREZIOSE di Fernando Conidi

Con questo numero riprendiamo a raccontare la storia di Caterina Bartolotta, interrotta per dare spazio alla pubblicazione dell’intervista sui tempi difficili che tutta l’umanità sta attraversando.

LA STORIA Sono passati più di tre anni dal 12 luglio 1973, giorno in cui Caterina ha avuto la prima apparizione della Madonna. Non aveva ancora compiuto dieci anni e nessuno avrebbe mai potuto immaginare che nel piccolo paese di Settingiano, in provincia di Catanzaro, la Santissima Vergine avrebbe scelto una fanciulla di un’umile famiglia per apparire e portare un grande messaggio di pace, amore e conversione. SEGNI DI UNA PRESENZA VIVA Caterina, ormai tredicenne, vive le sue giornate come qualsiasi ragazzina di paese, ma, nella sua mente e nel suo cuore, il primo e l’ultimo pensiero della giornata sono sempre rivolti alla Madonna. Lei è sempre in gioiosa trepidazione, nell’attesa delle apparizioni giornaliere. Sono in molti ad andare a trovarla, dal pomeriggio presto, verso le ore 15:00, fino a tarda sera, quando, intorno alle ore 20:00, termina la preghiera subito dopo l’ultima apparizione. I segni della presenza della Madonna si susseguono e ogni giorno c’è qualcuno che, con grande emozione, racconta la propria esperienza. C’è chi si converte, sostenuto dalla grazia di una guarigione fisica o spirituale o dalla risoluzione di un grave e annoso problema, e chi, invece, ancora incredulo, si pone ancora molte domande, lasciando più spazio ai dubbi che non alla certezza delle sincere e spontanee testimonianze di coloro che seguono Caterina già da qualche anno. Assieme ai fedeli, molti curiosi, ogni giorno, vanno a trovarla per assistere alle apparizioni. Una sorta di silente ricerca

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Settingiano, 1978: Caterina, in mezzo alla gente, sulla via di casa. Sulla destra - in primo piano nella foto - poggiato alla parete, Giuseppe Bartolotta, il padre di Caterina

interiore spinge alcuni di loro, pur non credendo, a incontrare la giovane veggente. Vanno in cerca di un segno, di un evento che possa cambiare la loro vita per colmare quel vuoto interiore che sentono, per uscire da quel tunnel in cui precipita chi rimane senza valori morali o religiosi. È una ricerca affannosa della verità, quasi come l’affanno di un assetato che, avvolto nell’arsura del corpo e della mente, sente venire meno le forze. È proprio a queste persone che Caterina parla con tutta la dolcezza che ha nel cuore; davanti a loro assume un atteggiamento non di contrasto, ma di amore fraterno. Pur avendo solo tredici anni, la giovane veggente percepisce lo stato d’animo delle persone anche solamente guardandole negli occhi. Lei non lascia nessuno senza una parola di conforto, riaccendendo così la speranza nella vita, quasi sopita dalla troppa incuria della propria anima. Sentendola parlare, sia il fedele che il curioso avvertono una fede viva, che lascia trasparire la presenza della Madonna, che si lascia cogliere come un fiore profumatissimo e disseta come quella brocca d’acqua che

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toglie l’arsura a un cuore malato, lontano da Dio; un cuore troppe volte abbattuto, distrutto da cattivi pensieri, da azioni e atteggiamenti che mettono ai margini la presenza divina che è nell’intimo dell’uomo. Proprio a costoro, che sono alla ricerca di una prova per convertirsi, la Madonna continua a dare segni della sua presenza. UN SEGNO MATERIALE Siamo agli inizi del 1977 e già da qualche anno, durante la Settimana Santa, Caterina ha le stimmate che si manifestano davanti agli occhi di tutti, anche di coloro che non credono alle apparizioni. Un altro segno sta per aggiungersi a questo; un segno che, come per le stimmate, porterà una nuova sofferenza a Caterina. È una giornata qualunque, Caterina è in attesa dell’apparizione della Madonna. Quel giorno però non sta bene; dopo una forte colica addominale si accorge che assieme all’urina ha espulso delle pietruzze di varie dimensioni. Giuseppe Bartolotta e Vittoria Virgillo, i genitori di Caterina, nel vederle, pensano a dei calcoli vescicali, ma quelle

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IL VOLTO SPIRITUALE DELLA CALABRIA strane pietruzze, composte da granelli molto piccoli come la sabbia, non sembravano affatto dei calcoli. Così decidono di effettuare degli accertamenti, ricoverando Caterina, prima presso l’ospedale di Catanzaro e poi all’Ospedale “San Camillo” di Roma. Dagli accertamenti diagnostici Caterina risulterà affetta da calcolosi renale, ma nel suo organismo non vi era alcuna traccia di quelle strane formazioni, molto simili alla sabbia, che lei espelleva dal suo corpo. Già da una prima analisi visiva era chiaro che, per forma, colore e dimensioni, non potevano essere state prodotte dall’organismo e non avevano nulla a che fare con i quattro calcoli, grandi quanto un seme d’oliva, riscontrati nel rene destro di Caterina. Sarà la Madonna a rivelare a Caterina che quel fenomeno dell’espulsione delle pietruzze era un segno del Signore e che la sofferenza che lei viveva in quei momenti serviva per la salvezza delle anime. Tutto era divenuto chiaro: sia la giovane veggente che i suoi genitori erano oramai consapevoli che quello era un fenomeno soprannaturale, un ulteriore segno della presenza di Dio nella piccola e umile casa di Giuseppe Bartolotta. Così tutto continua normalmente; Caterina non si lascia abbattere dalle vicissitudini, quando sa perfettamente che sono volontà del Signore e, con grande forza e coraggio, nonostante la sua giovane età, continua a portare avanti la

Particolare della cartella clinica dell’Ospedale “San Camillo” di Roma, in cui vengono descritte le pietruzze espulse da Caterina

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missione affidatale dalla Madonna, ignara che un’ulteriore sofferenza stia per manifestarsi. UNA PORTA CHIUSA Giuseppe, dopo gli oltre tre anni dalla prima apparizione, non riesce più a tollerare quell’andirivieni continuo di persone che entrano nella sua casa per le apparizioni della Madonna, privandolo dell’intimità e della libertà familiare che aveva sempre avuto.

Giuseppe Bartolotta, in una foto degli anni Settanta

Granelli espulsi da Caterina, raccolti e conservati in una bustina di cellofan

Lui sente di non farcela più a reggere quella situazione. Una sera, stanco di tutto ciò che stava succedendo, manifesta a tutta la famiglia la sua ferma intenzione di chiudere definitivamente la porta della sua casa a tutti, cercando, così, di recuperare la sua normalità quotidiana. Ciò significava interrompere la missione che la Madonna aveva affidato a Caterina, poiché le apparizioni erano finalizzate proprio ad aiutare tutti coloro che cercavano la Madonna e che, invece, Giuseppe voleva tenere, a tutti i costi, fuori dalla sua casa. Egli aveva riflettuto abbastanza, sapeva che avrebbe provocato un grande dolore a Caterina, ma gli era impossibile accettare che tutta quella gente estranea entrasse nella sua casa. Si sentiva come privato di una parte della sua stessa vita e della sua autorità, poiché non era più lui a decidere chi potesse entrare nella sua abitazione. Un giorno, un esaltato con dei problemi psicologici, in preda all’euforia, lo aveva colpito con un pugno, e

Giuseppe non riusciva a dimenticare quell’umiliazione. Aprire la porta della propria casa a una persona che poi ti aggredisce, questo, lui, un uomo tutto d’un pezzo, dal carattere forte e volitivo, non poteva permetterlo. Giuseppe non voleva l’interruzione delle apparizioni, anche se non era pienamente consapevole della natura divina degli eventi che si verificavano nella sua casa. Avrebbe permesso, comunque, a Caterina di dedicarsi alla preghiera e alle apparizioni della Madonna, ma senza tutta quella gente, che, per oltre cinque ore al giorno, riempiva tutte le stanze della sua umile casa. Egli, ogni giorno, tornando dal lavoro, trovava sempre qualcuno davanti all’uscio della sua casa, in attesa di entrare. Questo gli provocava un enorme disagio. Giuseppe avrebbe voluto accogliere tutti, ma l’afflusso di persone era troppo grande. La sua quotidianità era stata sconvolta proprio a causa delle apparizioni della Madonna. Non poteva più fare nulla nella sua casa, senza che ci fossero estranei a guardarlo, a sentirlo. Non aveva più la libertà di poter girare per le stanze, senza trovarsi a stretto contatto con persone sconosciute. La situazione, fisicamente e psicologicamente, gli era divenuta insostenibile. CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO

Fonte: “Il Segno del soprannaturale”, n. 350, agosto 2017, Edizioni Segno - Autore: Fernando Conidi

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Sport MASSIMO MORGIA PER LA RINASCITA DELLA VIGOR LAMEZIA

“Allenare. Educare. Trasmettere: questa e’ la mia vocazione” La scelta a sorpresa del presidente Saladini per il nuovo corso biancoverde,

di Rinaldo Critelli

affiancato dal ds Giannarelli reduci da Chieri

I sogni hanno l’aria di essere delle utopie ma ai confini delle utopie si collocano i grandi progetti, ed il mio vede il calcio ancora e nonostante tutto - come un insieme di valori e simboli positivi. E’ uno stralcio dell’introduzione ‘Ricominciamo a giocare a pallone’, alquanto identificativo, dell’autore Massimo Morgia… “Sono venuto a Lamezia non per l’Eccellenza, né per la Serie D o C. Sono qua perché il presidente ha un progetto e qualsiasi sia la categoria è quella che ho accettato, quindi sono orgoglioso. Io sono qua per quel progetto. Ho scelto la persona, le sue idee, che sono poi anche le mie. A me la categoria non è mai interessata quando ero un allenatore in carriera figuriamoci se mi interessa adesso. Siamo privilegiati nel fare questo lavoro”. Visti i chiari di luna attuali, queste somigliano a dichiarazioni di un ‘marziano’ piuttosto che a quelle del nuovo allenatore Massimo Morgia, romano di 69 anni compiuti ad aprile, a cui il presidente Felice Saladini ha affidato la rinascita della Vigor Lamezia. Personaggio verace Morgia, baffoni che di primo acchito incutono timore, incastonati in un volto scafato e aduso a mille battaglie. Una fisionomia che racconta la sua passione per questo sport, se tale il calcio può ancora definirsi. Te ne accorgi subito la sera del 31 luglio scorso, in una sala ‘calorosa’ non solo per il rinato entusiasmo dei tanti tifosi presenti. Braccio destro il giovane ds Giannarelli, assieme la scorsa

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stagione al Chieri. Lungo e variegato il pedigree in panchina per Morgia: intanto una promozione in C1 col Marsala (’98) e due dalla D in C con Pistoiese (2014) e Siena (2015). In C1 due volte secondo con Palermo e Mantova (perdendo poi i play off con la Pro Sesto). Poi tra le altre Foggia, Juve Stabia, Catanzaro (2001-02), Savoia, Nocerina, L’Aquila, Poggibonsi, Pavia. ‘Da 5 mesi mi rifiutavo di vedere calcio in televisione perché asettico come quello allora è meglio non farlo per niente, senza pubblico è play station; voglio allenare anche i più piccoli delle giovanili per levarli dalle strade’. Due stralci di quella sera che spiegano lo spessore del personaggio Morgia. Di allenatori ne abbiamo visti tanti al D’Ippolito: Canetti, Zurlini, Biagini, Baroncini, Facco, Sereni, Ardemagni, Ernesto Costantino, Orlandi, Trapasso, Galluzzo, Amato, Boccolini, Massimo Costantino, Erra. Ma uno come Morgia, atipico e sui generis (in senso positivo ovviamente) ancora ci mancava. La conferma quando gli diciamo che il suo passato di allenatore anticonformista si sposa bene con questa voglia di rinascita di una piazza storica come Lamezia. Lui serafico sbotta: “Ma tutti mi descrivono anticonformista, io mi sento una persona molto normale, che vive il calcio in maniera normale, con passione, senza atteggiarsi. Sono abituato a parlare sempre un solo linguaggio. Diretto. Coi tifosi, coi

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giornalisti, col presidente e coi miei giocatori. Quindi non mi sento anticonformista ma una persona che esprime sempre e comunque il suo pensiero”. Serviti. E ancora: “Voglio che ognuno sia Re nel suo Regno e siccome di regni ce ne sono tanti nel calcio, una perfetta organizzazione vuole persone competenti in ogni ruolo. Il mio compito è organizzare ma soprattutto stare sul campo ed allenare. Ci starò dalla mattina alla sera, anche coi bambini del 2007. Questa è la mia vocazione. Allenare. Trasmettere ed educare”. Chapeau. Chiudiamo con la passione... “Vengo dai quartieri più malfamati di Roma: nato alla Garbatella, vivevo a San Paolo, giocavo a Tor Marancia, l’altra parte confinante era La Magliana e quaggiù c’era l’ippodromo di Tor di Valle. Anni dopo lì nacque la banda della Magliana ed a me, pur frequentando questa gente, il calcio mi ha preservato, soprattutto da quando a 18-19 anni sono andato a giocare in giro per l’Italia. Molti dei miei amici invece sono finiti a Regina Coeli o rimasti sulla strada. Ecco, più passano gli anni e più il mio dovere è restituire qualcosa, specie al Sud il calcio deve levare i bambini dalle strade perchè non ci sono più oratori e da Roma in su c’è solo cemento. Voglio che il calcio ritorni ad essere per i ragazzini un modo sano di stare insieme, educazione alla vita che manca, specie ai genitori di oggi. Questa è la mia passione”.

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Sport

PA L E S T R E di lotta e di pace, dalle loro palestre i giovani addestrano la memoria e si allenano al futuro.

È rimasta nei secoli la memoria dei monasteri-università, dove si insegnavano materie laiche come matematica, astronomia, scienze naturali, musica, lingue, E attività fisica: quello sport che «libera dai pensieri parassiti e apre la mente a nuove esperienze», Se per le ragazze era d'obbligo l’apprendimento della musica e delle arti, ai giovani maschietti era riservata l'attività ginnica obbligatoria e la pratica dell'esercizio fisico associata all'esercizio mentale degli scacchi. Lo sport ha cosi accompagnato gli Armeni al percorso di socializzazione nel tempo, a cominciare dalla lotta, espressione primaria della possibilità di imbrigliare l'aggressività attraverso una serie di regole. Sino alle molteplici pratiche di sport spettacolari nelle arene, nelle palestre e negli stadi dove a prevalere erano competizione, prive di forza e resistenza fisica. Vivere a contatto con etnie e popoli diversi,

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di Vincenzo De Sensi

ha offerto l'opportunità di diventare cosmopoliti e di rafforzare la propria identità tramandando tradizioni e culture. Lo sport è stato sicuramente un pilastro fondamentale. L'apertura all'altro e il processo di civilizzazione sono stati facilitati dall'adozione del Cristianesimo. Nell’età moderna, poi, la cultura sportiva è cambiata in rapporto alla condizioni politiche, sociali e culturali dello stato di appartenenza. Lo sport si orientò verso tutte le spedalità: caldo, basket, volley, boxe, wrestiling, sollevamento pesi, judo, nuoto, con il caldo che fa da traino, rinascono altre spedalità: box, sollevamento, pesi, tennis, wrestiling, judo. Lo sport, nel bene e nel male, può essere mezzo di comunicazione politica e sociale. I ragazzi dalle loro palestre guardano al futuro, anche attraverso lo sport.

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La parola alla Psicologa

L’OSSESSIONE DEL PULITO di Valeria Saladino - Psicologa Mantenere un aspetto pulito e curato rappresenta un elemento costante nella vita di tutti noi, che risponde a precise regole legate all’accettazione e alla convivenza sociale. In alcuni casi tale tendenza si configura come una condizione costante che influenza la routine quotidiana in quanto sfocia in una vera e propria ossessione per il pulito. Tale condizione è mossa da particolari dinamiche psicologiche che, per chi ne soffre, rappresentano un tentativo di controllo sui propri stati interiori. Infatti, l’ossessione per il pulito e l’ordine è una forma di ansia che nasconde il bisogno di avere tutto sotto controllo perché nulla deve sfuggirci e minacciarci. Mamme che continuano a mettere a posto i giochi dei figli; mariti che ripassano con metodicità sulle cose già riordinate dalla moglie; donne che non riescono ad andare a letto la sera se non hanno concluso tutte le faccende domestiche; persone che sul lavoro tengono la scrivania libera e pulita come un tempio. Certo saper tenere in ordine l’ambiente in cui si vive è una cosa importante, ma c’è un punto superato il quale questa capacità diventa ansia, fino al disturbo ossessivo compulsivo relativo alla pulizia maniacale, ovvero quando non si può fare a meno di mettere sempre tutto a posto, quando non si riesce a smettere, quando un po’ di disordine può rovinare la giornata creando una sgradevole sensazione di “incompiutezza” che porta dritti all’ansia. L’ossessione del pulito può rappresentare una delle tante espressioni del Disturbo ossessivo Compulsivo (DOC), quadro di rilevanza clinica che si discosta fortemente da un’eccessiva attenzione all’igiene. Tale disturbo è caratterizzato da due componenti specifiche: la presenza di ossessioni, ovvero di pensieri frequenti e intrusivi riguardanti la pulizia e il timore di essere contaminati da germi e batteri, e compulsioni, ovvero atti comportamentali che la persona esegue nel tentativo di evitare la contaminazione. Chi soffre di queste particolari ossessioni tende ad attuare comportamenti tali da garantire la pulizia costante della propria persona e/o della casa. L’atteggiamento compulsivo acquisisce nel tempo un valoTestata Giornalistica Di tutto un po’ - lamezia e non solo anno 28°- n. 65 - agosto-settembre 2020 Iscrizione al Tribunale di Lamezia Terme dal 1993 n. 609/09 Rug. - 4/09 Reg. Stampa Direttore Responsabile: Antonio Perri Edito da: GRAFICHÈditore Perri Lamezia Terme - Via del Progresso, 200 Tel. 0968.21844 - e.mail. perri16@gmail.com Stampa: Michele Domenicano Allestimento: Peppino Serratore Redazione: Giuseppe Perri - Nella Fragale - Antonio Perri Progetto grafico&impaginazione: Grafiché Perri-0968.21844

Le iscrizioni, per i privati sono gratuite; così come sono gratuite le pubblicazioni di novelle, lettere, poesie, foto e quanto altro ci verrà inviato. Lamezia e non solo presso: Grafiché Perri - Via del Progresso, 200 -

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re ritualistico: la persona tende a sviluppare una precisa routine dedicata alle attività di pulizia secondo standard rigidi e ripetitivi. I rituali influenzano negativamente la vita della persona a livello individuale, relazionale o lavorativo. Inoltre, si configurano come una componente imprescindibile per quest’ultima, che tende ad agire in modo compulsivo e a provare enorme disagio nel caso in cui fosse impossibilitata ad attuare le operazioni quotidiane di pulizia. Oltre alla componente ritualistica legata all’igiene personale o domestico, la persona tende a modificare tutto il suo comportamento in funzione dei pensieri ossessivi. Il risultato è l’attuazione di comportamenti inconsueti quali, ad esempio, evitare di cucinare per non sporcare la cucina o obbligare familiari e coinquilini a seguire precisi percorsi per spostarsi da una zona all’altra della casa, al fine di ridurre il rischio di contaminazioni esterne. Coloro che soffrono di queste ossessioni riconoscono la disfunzionalità dei comportamenti messi in atto. Il pensiero ossessivo è collegato a stati emotivi di tipo ansioso e ha natura egodistonica: la persona vorrebbe resistere ai contenuti intrusivi ma sente di non poter fare a meno di attuare i comportamenti ritualistici. Come è facile immaginare, ciò comporta innumerevoli svantaggi ma, allo stesso tempo, rappresenta per la persona un vantaggio immediato. Il rito della pulizia consente infatti di alleviare l’ansia e di contenere l’angoscia derivante dai propri processi psichici, trasformandosi in uno strumento che le consente di sbarazzarsi del disagio associato. Il sintomo è sorretto da un’angoscia che nella maggior parte dei casi non ha alcun collegamento diretto con la pulizia: tali compulsioni agirebbero pertanto come una sorta di “parafulmine” che consente di trasferire l’angoscia su un canale esterno. Ciò consente di ridurre l’intensità del disagio associato e di operare un controllo immediato sui propri stati emotivi. L’ossessione del pulito, così come quella dell’ordine, possono essere trattate efficacemente con la psicoterapia. 88046 Lamezia Terme (Cz) oppure telefonare al numero 0968/21844. Per qualsiasi richiesta di pubblicazione, anche per telefono, è obbligatorio fornire i propri dati alla redazione, e verranno pubblicati a discrezione del richiedente il servizio. Le novelle o le poesie vanno presentate in cartelle dattiloscritte, non eccessivamente lunghe. Gli operatori commerciali o coloro che desiderano la pubblicità sulle pagine di questo giornale possono telefonare allo 0968.21844 per informazioni dettagliate. La direzione si riserva, a proprio insindacabile giudizio, il diritto di rifiutare di pubblicare le inserzioni o di modificarle, senza alterarne il messaggio, qualora dovessero ritenerle lesive per la società. La direzione si dichiara non responsabile delle conseguenze derivanti dalle inserzioni pubblicate e dichiara invece responsabili gli inserzionisti stessi che dovranno rifondere i danni eventualmente causati per violazione di diritti, dichiarazioni malevoli o altro. Il materiale inviato non verrà restituito.

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