Lameziaenonsolo giugno 2020 Sant'Antonio

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Paradiso dal 1971

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Lamezia Terme – Tel. 0968.53096 www.paradisogroup.it pag. 2

Editore: Grafichè di A. Perri

Lamezia e non solo


lametine

La Tredicina di S. Antonio, immagine di una città che si rimette in cammino. di Salvatore D’Elia

Sobrietà, responsabilità, desiderio di ricominciare. Si può riassumere in queste tre parole lo spirito dei tanti fedeli lametini che dalle prime ore del 31 maggio, ma già nei giorni precedenti cominciando ad avvertire l’ “odore della festa”, si sono recati al Santuario di S. Antonio di Padova per l’inizio della Tredicina in preparazione alla festa del Santo Protettore di Lamezia. “Non è come gli altri anni” è la frase che si sente ripetere spesso. Ma ciò che è nuovo, o meglio, ciò che è diverso rispetto alle tradizioni consolidate, non necessariamente rappresenta qualcosa di negativo o un passo indietro. Anzi. Lo ha ben chiarito il guardiano del convento di S. Antonio fr. Bruno Macrì che, nell’accogliere i fedeli alla prima messa delle ore 6 del 31 maggio, ha invitato il popolo lametino a vivere questa tredicina “in obbedienza alle leggi dello Stato e soprattutto per dare il nostro contributo al bene comune” e “a cogliere nello stile sobrio che caratterizzerà la celebrazione di quest’anno un’occasione per tornare all’essenziale della vita dello Spirito: l’ascolto della Parola, la partecipazione all’Eucaristia, il bisogno di aprirsi alla grazia del Signore per camminare sull’esempio di Antonio da Padova”. Predicatore della Tredicina di quest’anno, fra Umile Caudana, della comunità dei Piccoli fratelli e pag. 3

grande valore che questo periodo dell’anno ha sempre rappresentato per Lamezia. La devozione al Santo di Padova, un patrimonio della comunità lametina che il tempo non riesca a scalfire e che, come una eredità preziosa, si trasmette dai genitori ai figli. Lo si vede particolarmente quando ogni anno, in occasione della benedizione dei bambini, quegli stessi bambini che venti o trent’ anni fa vestivano il saio del Santo per la benedizione, ora portano in braccio i propri figli che a loro volta indossano il sorelle della Via, che ha subito coinvolto i fedeli in un cammino che, giorno dopo giorno, attraverso l’ascolto della Parola di Dio, partendo dalla Tredicina deve estendersi alla vita di ogni giorno, all’ordinario, a quella santità che non è meta per pochi o ideale impossibile da raggiungere ma è la vocazione a cui ogni cristiano è chiamato. Una tredicina “diversa”, dicevamo. Ma carica di tutti quei significati di GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

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vestitino del santo padovano. Una devozione con radici secolari, risposta della popolazione più umile alla protezione del Padovano sulla città in occasione di diverse vicende travagliate dei secoli, a cominciare dal terremoto del 1638. Ma anche lo slancio del cuore verso il Santo alla cui intercessione probabilmente tutti i lametini ricorrono da sempre. Quell’ “O Santantoni miu” sulle labbra anche di chi magari non ci crede fino in fondo. Ma poi: chi siamo noi per dire chi ci crede davvero e chi non ci crede? I Santi ci ricordano, con la loro vita, che il cielo non è poi così distante e che possiamo portare in questa vita così caotica “frammenti di cielo” nelle piccole e grandi azioni di ogni giorno. Quella santità della porta accanto, di cui parla Papa Francesco

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E dai terremoti alle vicende personali di tante donne e uomini della nostra città che ogni giorno rivolgono il loro sguardo verso il Colle, arriviamo all’oggi. All’anno della

grande pandemia. Chissà quante preghiere avrà ricevuto il Santo di Padova in questi mesi da parte di tanti lametini, in una città come tutta l’Italia oppressa dall’angoscia e dalla paura, impietrita di fronte ai “bollettini di guerra” che ogni sera abbiamo ascoltato, di fronte GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

a un presente e a un futuro che a molti di noi per diverse settimane sono sembrati terribilmente oscuri. La città ha guardato ancora una volta al suo Santo, segno di speranza, affidando a lui preghiere, affanni e speranze. Da qui la responsabilità e la voglia di ricominciare. Responsabilità di tanti fedeli che si sono prenotati per partecipare alle Sante messe e stanno vivendo già da queste prime ore le celebrazioni con quell’attenzione all’altro che, più che una prescrizione normativa, assume i tratti di un atto di sincera carità. Ma la Tredicina di S. Antonio è segno di una comunità che vuole ricominciare. Di una città che si rimette in cammino. Vedere le persone tornare a salire verso quel Colle, quel Colle che per tante settimane hanno potuto osservare solo da lontano

indirizzando una preghiera o una richiesta di aiuto, è l’immagine di tutti noi che, chiusi in casa e bloccati da tante restrizioni, abbiamo continuato a camminare con il cuore. E ora fisicamente ritorniamo lì, per continuare a pregare, per ringraziare, per interrogarci sul nostro presente e sul futuro. Un presente e un futuro che ha ancora tante incognite. Ma che per noi lametini ha una certezza: S. Antonio continuerà a camminare con noi. E guardando a quel Colle, tutti ci sentiremo ancora comunità. Lamezia e non solo


l’angolo di tommaso

Riflessioni ... di Tommaso Cozzitorto Mai come in questo momento storico, caratterizzato dall’emergenza, si è disquisito sul “dopo”: ripartire, ricominciare, regolamentare, andare incontro a nuovi modelli di vita e così via. Il tutto accompagnato da incertezza, paura per un drammatico accadimento, il coronavirus, che in realtà non è ancora concluso. Il tutto accompagnato da una gran confusione politica e amministrativa tale che entrare in polemica sarebbe come sparare sulla croce rossa. Ci manca quel senso di protezione statale attuato da sempre, per esempio, nella società elvetica. La sensazione, nonostante i proclami e i decreti, è che bisogna affrontare tutto da soli. Inoltre, quella speranza iniziale, di un cambiamento morale e spirituale, un cambiamento che avrebbe portato a stili di vita più razionali e meno ego-individualisti vanno scemandosi, a mio parere, man mano che ci stiamo avvicinando alla seminormalità. Non credo che la colpa sia esclusiva-

mente da annoverare a noi singoli cittadini ma anche alla scarsa qualità dell’80 per cento del mondo dell’informazione, all’aver voluto far leva sulla paura piuttosto che sul ragionamento critico, all’aver accolto alcuni momenti di preghiera e spiritualità nel senso dell’immediata commozione e non come inizio di una riflessione consapevole in modo da poter aprire la nostra anima a soluzioni autenticamente nuove. Forse si sta perdendo l’occasione per ripensare a modelli economici diversi, per ripensare ad una Unione europea che possa avere un senso e un ideale e superare così la odierna istituzione che può essere considerata un tradimento del pensiero dei padri fondatori dell’idea di Europa unita. Dopo tanto dolore e disagio il rischio che questo tempo critico possa rappresentare una ennesima occasione persa è alquanto reale e tangibile.

Ripartenza: Occasione perduta?

Educazione Civica ,,, Una sconosciuta?

L’educazione civica di sé non si costruisce dal nulla o da superficiali esemplificazioni ma dall’esempio delle Istituzioni a tutti i livelli, dal Comune via via fino al potere centrale ed europeo. A mio parere, il Comune, con il suo portato storico che proviene dal Medioevo, è il segmento politico/ amministrativo più incisivo nella crescita e costruzione degli alti ideali civili e politici. Se il cittadino, specialmente quello giovane, non intravede la passione, la preparazione, la giustizia, la chiarezza, la vicinanza autentica e vera, la politica nel senso eticamente alto, non può diventare un consapevole cittadino. Attraverso l’etica si conquista la vera libertà e di conseguenza la piena realizzazione di se stessi. La politica e la cultura dovrebbero essere in un connubio e in un confronto costante, permanente, altrimenti non esiste direzione proficua e progettuale. La Politica di Platone e le Vite Parallele di Plutarco dovrebbero essere i pilastri per costruire la nostra educazione civica, dovrebbero essere il libro sul comodino di ognuno di noi, di ogni politico. “Il livello di allarme si raggiunge quando lo scadimento etico della politica non è neppure più percepito come dannoso” (Carlo Maria Martini).

L’OMS, Organizzazione mondiale della sanità, in questi mesi di pandemia, ha dato tale prova di sé da deludermi profondamente. Rappresentava per me un punto di riferimento importante nell’ambito della tutela della salute sul nostro Pianeta, avevo la sicurezza della sua competenza e del suo essere sopra le parti, una Organizzazione oggettiva, rivolta esclusivamente al bene degli abitanti di questa nostra Terra. Invece, le ombre sulla gestione del virus, ombre divenute palesi realtà, hanno dimostrato al Mondo particolarismi politici-economici Lamezia e non solo

che non le fanno onore: presidenza filocinese, coperture varie, conseguente danno a tutti i Paesi per una tempistica volutamente errata. E sappiamo che in una pandemia dilatare i tempi può creare ( come in effetti è avvenuto ) ulteriori gravissimi danni. Diventano chiare anche le modalità per raggiungere la presidenza, gli interessi e i compromessi, il mettere in secondo piano l’alta finalità a cui l’OMS è chiamata. Una scadente ragion di Stato che insulta l’intelligenza dei cittadini critici e pensanti, vuole nascondere una evidenza: si tratta di un virus da laboratorio

O. M. S. con tutte le conseguenze del caso. È avvilente vedere, a parte poche eccezioni, il mondo della comunicazione completamente asservito a questa ragion di Stato. L’OMS ha dato il peggio in questo momento storico di emergenza, la sostituzione della presidenza già sarebbe un positivo segnale di cambiamento e di rinascita etica.

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amici della terra La riapertura delle scuole dovrà garantire la tutela della salute e della pubblica incolumità ai nostri ragazzi e a tutto il personale di Mario Pileggi Con l’inizio dell’attuale Fase 2 dell’emergenza coronavirus si ripropone il tema della riapertura in sicurezza delle scuole. E per rendere concretamente sicure le attività del prossimo anno scolastico, oltre alle misure sanitarie per evitare contagi c’è la necessità della messa in sicurezza sismica delle strutture degli stessi edifici scolastici. Una necessità ineludibile per prevenire e fronteggiare eventi naturali sia di origine biologica come le malattie infettive

epidemiche mutazioni dei virus patogeni sia di origine geologica come i movimenti della crosta terrestre che provocano terremoti ed eruzioni vulcaniche. Eventi naturali inevitabili e con i quali si può e si dovrà convivere evitando i prevedibili effetti disastrosi. Per l’individuazione degli interventi di prevenzione e prepararsi al dopo emergenza Covid-19 è da ricordare che il tema dell’agenda di Governo sotto i riflettori, prima dell’insorgere della stessa emergenza, era il Piano per Sud da 100 miliardi di euro con misure per il rilancio economico dell’intero Bel Paese. Con la priorità “l’investimento nel capitale umano” e “scuole aperte tutto il giorno” il Presidente Conte, per la presentazione dello stesso Piano, ha scelto Gioia Tauro una cittadina della Regione a più alta pericolosità sismica e con il maggior numero di edifici scolastici ad accertata vulnerabilità sismica. Una scelta avvenuta dopo un lungo periodo in cui le scuole sono state chiuse in pag. 6

molti comuni calabresi per le scosse e sequenze sismiche, iniziate nei mesi scorsi, con epicentro in varie zone del Territorio e dei mari della stessa Regione. Scosse e sequenze sismiche registrate anche nel giorno della presentazione del Piano e ancora in atto e con le quali dobbiamo imparare a convivere realizzando i necessari e molteplici interventi di prevenzione idonei ad evitare quegli incubi notturni che, in più occasioni, ha dichiarato di aver avuto l’attuale Capo della Polizia Gabrielli quando era a Capo della Protezione Civile. Evidentemente non si possono dormire sonni tranquilli senza prima affrontare la priorità di “mettere in sicurezza le quindicimila scuole delle zone ad alto e altissimo rischio sismico frequentate da otto milioni di bambini e ragazzi”, priorità sottolineata, in occasione del decennale del crollo della scuola di San Giuliano di Puglia, dall’allora Capo della Protezione Civile Nazionale. Come non si può continuare ad ignorare la “viva preoccupazione” per la “non adeguata considerazione del problema della sicurezza sismica degli edifici scolastici” manifestata al Ministro della Pubblica Istruzione del Governo Conte I dai Presidenti delle regioni Umbria, Lazio, Marche in occasione di uno dei tanti rinvii per la definizione di un accordo quadro in materia di edilizia scolastica. La scelta del Presidente Conte e l’accertata vulnerabilità sismica della maggior parte delle scuole del Sud impongono a tutti di agire responsabilmente per informare e preparare le popolazioni esposte sul che fare prima durante e dopo per fronteggiare GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

la naturale attività sismica del territorio connessa ai ben noti e inarrestabili processi geodinamici in atto. E di agire concretamente e con urgenza per mettere in sicurezza tutti gli edifici pubblici in particolare le scuole e gli ospedali già accertati vulnerabili e non idonei a resistere a forti terremoti come quelli che si sono già verificati nel passato nelle regioni del Sud. Al Presidente Conte e al suo Governo con il più alto numero di ministri meridionali s’impone la necessità di decidere tempi e modalità per l’adeguamento di tutti gli edifici scolastici certificati vulnerabili dopo le approfondite verifiche tecniche documentate già nel 2005 con le “Analisi di Vulnerabilità e Rischio Sismico” effettuate nelle scuole dei 1.510 comuni delle regioni: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia (provincia di Foggia) e Sicilia orientale (province di Catania, Ragusa, Siracusa e 67 comuni della fascia orientale della provincia di Messina)”. È da ricordare che l’inidoneità sismica dei vari edifici scolastici delle Regioni sopra indicate, è documentata e certificata ad incominciare dal 1999 nella “Graduatoria della Vulnerabilità” del noto e dettagliato “Rapporto Barberi” e nelle successive analisi e approfondimenti pubblicati nel 2005 in due volumi: “Inventario e vulnerabilità degli edifici pubblici e strategici dell’Italia centro-meridionale” e «Analisi di vulnerabilità e rischio

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sismico” dell’Istituto Nazionale di geofisica e Vulcanologia e Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti. Da questi documenti, tra l’altro, si rileva che il 70,6% degli edifici scolastici dello stesso Sud è stato classificato a vulnerabilità alta e medio-alta; in particolare 3.576 scuole sono state incluse nella classe ad alta vulnerabilità mentre 5.632 in quella a medio-alta vulnerabilità. In particolare, per la Calabria, regione a più elevata pericolosità sismica del Bel Paese emerge che il 74% degli edifici scolastici è stato classificato a vulnerabilità alta e medio-alta con ben 1.221 scuole incluse nella classe ad alta vulnerabilità mentre 1.736 in quella a medio-alta vulnerabilità. Riguardo alla non idoneità sismica degli altri edifici pubblici censiti, come ad esempio, gli ospedali è emerso che il 95% degli ospedali calabresi è stato considerato a vulnerabilità alta e medio alta, con 142 ospedali inclusi nelle classe ad alta vulnerabilità e 139 ospedali a medio alta vulnerabilità. Dal contenuto degli stessi documenti emergono inefficienze e responsabilità dei precedenti Governi nazionali e dell’intera classe dirigente calabrese; inefficienze e responsabilità confermate dai numeri delle scuole non antisismiche censite successivamente nella Regione Calabria: 879 nella Provincia di Cosenza; 514 nella Provincia di Reggio Calabria; 466 nella Provincia di Catanzaro; 263 nella Provincia di Vibo Valentia e 219 nella Provincia di Crotone. Questi dati e i previsti effetti di eventuali forti terremoti nella regione a più elevata pericolosità sismica del Bel Paese impongono al Governo, prima di tenere le “scuole aperte tutto il giorno”, di rendere le stesse scuole sicure e idonee ai vigenti standard sismici per prevenire i disastri delineati nei vari scenari di rischio del Dipartimento della Protezione Civile presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. In pratica oltre all’emergenza sanitaria, per la prevenzione sismica e un’Italia più sicura “c’è un’altra urgenza, quella dei terremoti che verranno, che continua a non comparire nelle agende della politica e dei Governi”. Evidentemente non basta l’annuncio di apertura di una nuova sezione dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) in Calabria; sezione comunque utile e da attrezzare per lo studio della specificità geotettonica del contesto geologico-strutturale dell’Arco Calabro-peloritano. Un contesto di notevole interesse scientifico e caratterizzato, tra l’altro, dal fatto che la metà degli otto terremoti e maremoti più disastrosi e di massima intensità elencati nei più aggiornati CaLamezia e non solo

taloghi italiani sono localizzati nel territorio calabrese. E che il terremoto con la magnitudo più elevata registrata strumentalmente in Italia (Ml =7.9, secondo Dumbar et al., 1992; Ms=7.47, secondo Margottini et al., 1993) è quello del 1905 con epicentro nel Golfo d Sant’Eufemia, oscurato dagli effetti disastrosi del successivo terremoto del 1908. Specificità che unitamente alle condizioni di degrado del patrimonio edilizio esistente, al diffuso e grave dissesto idrogeologico e alla mancanza di preparazione delle popolazioni esposte contribuiscono a rendere elevati i rischi naturali di origine geologica nella Regione. La rilevanza dei processi geodinamici e della pericolosità sismica emerge dall’entità e localizzazione dei molteplici movimenti rilevati. Movimenti sia di sollevamento, dell’ordine di un metro ogni mille anni, sia di spostamenti orizzontali di un metro ogni cento anni, nello zona dello Stretto di Messina. Si stima che l’Aspromonte negli ultimi 700 mila anni si è sollevato di circa 1.500 metri; la Catena Costiera di oltre 600 metri; la Catena del Pollino di oltre 500 metri e la Sila di circa 500 metri. Questi dati si riferiscono ad un intervallo di tempo, geologicamente, molto breve e successivo ad altri periodi ed ere caratterizzate da movimenti ancora più rilevanti. L’entità dei movimenti in atto attualmente in corrispondenza delle aree che ospitano le scuole si può rilevare con la mappatura satellitare degli edifici scolastici da parte dell’Agenzia Spaziale italiana e del CNR attraverso il sistema Cosmo-Skimed, che permette di misurare spostamenti al decimo di millimetro delle stesse scuole.

Dati utili anche per individuare gli edifici a maggior rischio e le priorità su dove e come intervenire senza dover sottostare alle decisioni delle Regioni più forti e meglio tutelate politicamente che pretendono ripartizioni delle risorse pubbliche per la messa in sicurezza basate sul numero delle scuole e degli alunni invece che sul grado di vulnerabilità e rischio degli alunni e del personale presente nelle stesse scuole. E’ vero che non è possibile prevedere dove e quando avverrà il prossimo terremoto ma è da irresponsabili pensare che non ci saranno più scosse come le tante che nei secoli scorsi hanno già colpito tutti i comuni dell’Italia centro-meridionale. D’altra parte, nelle stesse scuole non mancano i libri con dati e testimonianze che documentano le distruzioni e i morti provocate in tantissimi comuni meridionali da terremoti come ad esempio quelli del 1638, del 1783, del 1805, del 1833, 1857, del 1905 del 1908, del 1930 e del 1980. Come non mancano le disponibilità informatiche per accedere ai dati dei più recenti studi e pubblicazioni scientifiche sull’assetto geodinamico e sui vari processi di evoluzione geologica e tettonica in atto in particolare nel territorio e nei mari della Calabria. La storia e specificità dell’attività sismica con le varie scosse e sequenze in atto nella nostra stessa Regione, il diffuso e grave degrado idrogeologico del territorio, l’accertata vulnerabilità degli edifici scolastici e l’indicazione di “scuole aperte tutto il giorno” del Piano per il Sud richiedono al Governo e all’insieme delle classi dirigenti nazionali e regionali di mettere in agenda risorse e strumenti per l’adeguamento sismico delle scuole accertate vulnerabili e per la messa in sicurezza dei bambini, ragazzi e tutto il personale scolastico esposti al rischio terremoto. Fino a quando non si provvederà a questa messa in sicurezza non si potranno dormire sonni tranquilli e sarà da irresponsabili pretendere “scuole aperte tutto il giorno”. Evidentemente per la tutela della salute e della pubblica incolumità, nel corso di questa Fase 2 e con le ingenti risorse economiche destinate dalle autorità nazionali ed europee per la ripresa economica del Bel Paese, si può e si dovrà realizzare quel “Piano shock” di interventi pubblici non per accrescere la cementificazione ma per l’adeguamento sismico del patrimonio edilizio, per sanare il diffuso e grave dissesto idrogeologico e tutelare il prezioso patrimonio ambientale, paesaggistico e storico-culturale del nostro Territorio. Geologo Mario Pileggi del Consiglio Nazionale di Amici della Terra

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lamezia racconta QUALE LA MIA, TUA, NOSTRA SCELTA SE FOSSIMO STATI IN QUELLA PIAZZA “BARABBA O GESÙ DETTO IL CRISTO?” di Francesco De Pino Il VENERDI’ SANTO è il” Giorno dei Giorni” dell’Uomo cristiano e non cristiano in cui si consuma il più grande crimine dell’Uomo avviluppato di potere per mantenerlo: quello in Gerusalemme dei Sommi Sacerdoti assetati di Potere! Tutti insieme, in una Piazza, con un Popolo fagocitato, dimentico, questi, che giorni prima, aveva accolto... il “Reo” con gli Osanna, con tappeti e rose al Suo passaggio per giungere in Città, ove consumare la Pasqua, con i Suoi Discepoli, perchè, grati, per avere il “MAESTRO”, cosi chiamato da quel Popolo: Insegnato l’Amore fra gli uomini, tutelato il lavoro; difeso i primi; biasimato il “fariseismo”, ovvero l’ ipocrisia in loro, saccenti e intoccabili; messo all’indice la ricchezza come “status” e casta, vissuta nell’egoismo e nell’oppressione, asservendo l’uomo; guarito i ciechi, gli zoppi, i lebbrosi, stigmatizzato, se avesse operato nel giorno di Sabato, sacro! Gerusalemme di quella “piazza “si prende la rivincita su Betlemme, dove un Dio s’incarna nella povertà, testimoniata, in” quella mangiatoia”: con un messaggio di “Gloria a Dio nell’alto dei cieli”, in uno di Pace, di Amore e fratellanza fra tutti gli uomini. Cui diedero, il primo apporto di Uomini con la maiuscola, i Magi, venuti da lontano Oriente, seguendo la scia delle Cometa per onorarlo. La loro una devozione, sentita, cui segui la saggezza, non ritornando da Erode! Cristo sarebbe stato ucciso, appena, nato, tant’è sfuggi merito loro, per primi, alla strage degli innocenti”! Non fu da meno, Giuseppe, padre putativo, avvertito nel sonno da un Angelo del Signore: “ Giuseppe, figlio di Davide, alzati, fuggi, porta, immediato, il bambino in Egitto…” E Giuseppe, obbedii immediato. In Lui l’orgoglio, di essere stato chiamato, “Figlio di Davide”, per dire, come Dio, sa come chiamarci per seguirlo, “ vocati ” me, te, noi tutti pur laici! Un collegamento, questo con Gerusalemme, per cui non può che non essere definito, “ “Besalemme”, pur nei loro distingui: la Povertà e l’Avidità di potere, il dare e il possedere, l’Amore e l’Odio, il Perdono e la Vendetta! E’ quanto si consuma, da sempre, nel mondo fino ai giorni nostri. Quel sacrificio, quel “Golgota”, che racconto di seguito, descrivendo i quadretti di quella “Piazza” che cede al Golgota e questi alla Resurrezione, al Bene che vince sul male, perchè non c’è “Golgota” senza “Resurrezione”. . E’ quanto mi pervade oggi, ci pervade, ogni giorno nel mio, nel tuo, nostro operare; nel mio, tuo, nostro essere in noi “ Uomo”: fu giustizia quella di condannare un innocente? Una pena, peraltro, cruenta, quella della Crocifissione, al tempo solo per i malfattori? Era malfattore Cristo? Era stato dalle pare degli ultimi, predicando l’ “Amore”, operando con gesti di ”Amore”! “Statti contento, sorridi”. Il mio nipotino, Angelo, quattro anni e mezzo appena, al tempo, aveva invitato a casa sua un suo amichetto. Io ero là, in un cantuccio, così, come si conviene a un nonno, gustavo, compiaciuto, quel mondo meraviglioso di cui cercavo di cogliere i segreti di quella vita semplice e gioiosa, che i protagonisti vivono intensamente, quasi, da adulti. Quando, a un tratto, Angelo, rivolto al suo piccolo ospite, lo scrolla amorevolmente, dicendogli: “Statti contento, sorridi”, mentre gli accarezza il volto. Quindi, lo invita giocare mettendogli a disposizione

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i giocattoli migliori. Guardai con attenzione quel suo amichetto, diventato, nel frattempo, anche mio. Era, effettivamente, triste. Però le parole di Angelo, pian, piano gli avevano donato un accenno di sorriso, per tornare, completamente, su quel volto di bambino. Mio nipote sprizzava gioia, era riuscito nel suo intento. “Che lezione di vita”, mi sono detto. Angelo mi parlava dall’alto dei suoi quattro anni e mezzo. Come sarebbe stato gradito quell’invito a Cristo, là solo nel Sinedrio, mentre interrogato, ”taceva e non rispondeva nulla”, salvo alla domanda ulteriore del sommo sacerdote: ”Sei Tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?”, lapidario rispondere: “Io lo sono”. E, così da Pilato, alla stessa domanda “ Sei tu il re dei Giudei?”. “ Io lo sono”, la sua risposta, mentre Pilato non aveva trovato in lui nessuna colpa, i sommi sacerdoti e le guardie gridavano: “Crocifiggilo, Crocifiggilo”. Per cui Pilato “Prendetelo Voi e crocifiggetelo ;io non trovo in lui nessuna colpa”. Gli risposero i Giudei: “ Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio”. Pilato, a sentire quelle parole ebbe ancora più paura ed entrato di nuovo nel pretorio disse a Gesù: ”Di dove sei?” Ma, Gesù non gli diede risposta. “Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in Croce?”, sicché Pilato ne resto meravigliato. Peccato che Angelo non ci sia stato, altrimenti, l’avrebbe rincuorato con il suo “Statti contento, sorridi”. Gesù, certamente, gli avrebbe sorriso, e sarebbe stato gratificato, nientepopodimeno, che da un bambino. Bambini che egli amava tanto da dire MT.18“ … Se non vi convertite e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà grande nel regno dei cieli e chi accoglie anche uno di questi bambini in nome mio, accoglie me”. Per la festa il preside era solito liberare un carcerato, chiunque chiedessero. C’era allora un detenuto famigerato di nome “Barabba”. Pilato adunque disse a quelli che erano radunati: “Chi volete che vi liberi, barabba o Gesù chiamato il Cristo?” Sapeva, infatti, che per invidia glielo avevano consegnato. Or mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: ” Non ti impicciare nelle code di quel giusto, perché oggi in sogno ho sofferto molto a motivo di lui”. I principi dei sacerdoti e gli anziani, però, persuasero il popolo a chiedere Barabba e a far perire Gesù. Il preside allora, ricordandosi disse: ” Chi dei due volete che vi rilasci? “E questi dissero: ” Barabba”. Pilato: “ Che devo fare di Gesù che chiamano Cristo?” Risposero tutti: ” Sia crocefisso”. Replico loro il preside: ”Ma che ha fatto di male?” Quelli, però, vieppiù gridavano: ”Sia Crocefisso” E Pilato, vedendo che nulla otteneva, anzi che il tumulto si faceva maggiore, prese dell’acqua e si lavò le mani dinanzi al popolo, dicendo: ” Io sono innocente del sangue di questo giusto. Pensateci Voi”. E tutto il popolo rispose dicendo: “Il sangue di lui cada su di noi e sui nostri figli”. Allora rilascio loro Barabba, e, fatto flagellare Gesù, lo abbandonò a essi, perché fosse crocefisso”. MT 13-26 LE RIFLESSIONI La piazza Leggo e rileggo questa meravigliosa, pagina del Vangelo, pur con il pianto in cuore, dove l’evangelista

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descrive quell’aula del tribunale del tempo che sovrasta la piazza con un pubblico fomentato e tumultuoso, dimentico di quanto aveva ricevuto dal Cristo e alla mercé dei principi dei sacerdoti e degli anziani dai quali abilmente era stato persuaso. Così, come succede nei giorni nostri quando siamo in balia della politica con la minuscola, dei voltagabbana o “ frontalieri della politica” che in tal modo danno continuità alle proprie fortune e abbandoniamo, gli onesti, i competenti, quelli votati al servizio della “res pubblica”. Le donne Ancora, le donne ben rappresentate dalla moglie di Pilato. Esse intuiscono il vero senso delle cose, dimostrando che poi, oggi come allora, non sono “il sesso debole”, tutt’altro se, è vero come è vero, che quel Pilato, marito nelle vesti di preside del Tribunale, fa il possibile ad aiutare quel “Giusto”, così come definito da quell’intuito femminile manifestatosi in un sogno premonitore. Mentre, abile, fa ricadere la colpa sulla Piazza, dopo essersi accertato della loro volontà, e pone quel “ referendum” storico Barabba o Gesù, detti Cristo, poi, platealmente si lava mani, per trovare una scusante con la moglie, a sera Le dirà, certamente, ” Ho fatto tutti il possibile, come hai visto e notato”! Giuda e Pietro Due discepoli del Maestro: il primo, Giuda, lo tradisce per trentatré denari, il secondo, Pietro, lo rinnega nell’atrio del Sinedrio, smentendo le sue ardenti dichiarazioni di fedeltà assoluta. Il primo è suicida, pur essendosi pentito, dopo essere andato dai Sommi Sacerdoti a restituire, tutti interi, i denari ricevuti, ma è respinto da questi, malamente. Ormai, non serve più! Il secondo, Pietro, nel sentire il gallo cantare dopo averlo rinnegato ben tre volte, come gli aveva anticipato il Maestro, si pente amaramente, ricordandosi della misericordia di Gesù. Due modelli comportamentali diversi. due modi di vivere il Cristo misericordioso, che sulla “Croce” si rivolge al Padre e chiede “Padre perdona loro non sanno quel che fanno”. E pur lo conoscevano, peraltro, con ruoli di responsabilità tra i discepoli. Pietro, sempre loquace e affettuoso, riceveva affetto e compiti in quella che sarà la Chiesa di Cristo, la nostra Chiesa: “ Tu es Petrus e super hancam petram edificabo ecclesiam meam…. dabo tibi clives regni”. E Gesù nell’investirlo dell’incarico, pur sapeva, che l’avrebbe rinnegato, da anticiparglielo: “Prima che il gallo canti tu mi avrai rinnegato tre volte”! Giuda era amministratore del gruppo dei dodici discepoli. Tant’è che, nell’ultima cena, i discepoli, quando Gesù gli dice: ” Va disbrigati, fai quello che devi fare”, pensarono a qualche incombenza amministrativa ricevuta da Giuda. La regalità di Cristo: “Il mio regno non è di questo mondo. “ (Giovanni 34) .Cristo, regale, dinanzi a Pilato, quando Gli chiede, interrogandolo:” Sei Tu il re dei Giudei? Gesù gli rispose, “Dici questo da te, oppure, altri te l’hanno detto sul mio conto?-Pilato, rispose “Sono forse io Giudeo?” La Tua gente e i sommi sacerdoti Ti hanno consegnato a me: che cosa hai fatto?-Rispose, Gesù “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei, ma il mio regno non è quaggiù”- Pilato rispose:” Allora, Tu se re?”-“ Tu lo dici! Io sono Re! Per questo sono venuto nel mondo per rendere

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meditazioni

La strada maestra del venerdì santo di Ippolita Lo Russo Torchia

Se c’è un problema, su cui tutti gli uomini credenti e non credenti, si ritrovano concordi è sulla esistenza del dolore, sulla sua ineluttabilità, sul fatto che la sofferenza inonda la terra e, prima o dopo, attraversa ogni umana esistenza. Basta riflettere un momento su quanto di grave, di doloroso, di inaspettato sta accadendo in tutto il mondo in questi giorni. Sul mistero del dolore, la Fede ha qualcosa da insegnare e non lo fa con teoremi, con tesi filosofiche, ma presentandoci una persona, un uomo che conosce il “soffrire” e che dai profeti è stato in anticipo chiamato “l’uomo dei dolori”: Il Figlio di Dio. E’ l’uomo che il Venerdì Santo, da anni vediamo passare per le nostre strada, appeso ad una Croce o rinchiuso in una bara, accompagnato solitamente da una donna vestita di nero, che riassume la sofferenza ed il dolore di tutte le madri del mondo. Quest’anno purtroppo, tutto ciò non lo vedremo! Però sappiamo che tante sono le mamme, le persone nel mondo che hanno il cuore infranto dal dolore. Gesù ha preso su di se le nostre colpe, si è fatto carico della nostra miseria, percorrendo fino in fondo l’itinerario della sofferenza “fino alla morte di croce”.

testimonianza alla verità. Chiunque è della verità, ascolta la mia voce! E detto questo andò verso i Giudei a dire ”Io non trovo in Lui nessuna colpa… ….”.Che regalità in Cristo!” L’uomo Cristo solo Cristo, la Sua presenza, non solo regale, come si conviene a un “RE”, ma, eloquente, dinanzi a Pilato, mirato, pur con un velo di ironia (.tu l’hai detto!), silente, a volte. Non profferisce parola: da uomo avrà avuto un sussulto di speranza, quando Pilato apre quello spiraglio “Chi volete che vi liberi, Barabba o Gesù,detto Cristo?” Era, certamente, speranzoso ritenendo di godere dei favori della folla che, nell’entrare a Gerusalemme, l’aveva accolto con gli “Osanna” per il suo trascorso, volto a sollevare la gente dai bisogni e dalle ingiustizie, primi fra tutti gli operai, tutelandone, primo nella storia, il diritto alla mercede e, certamente, presenti tra la folla. In quella piazza, infatti, molti erano stati i beneficati e, moltissimi, tutti, avevano assistito ai prodigi. Così, non fu! Quella stessa gente, che pur conosceva l’infondatezza delle accuse mosse, non è con Lui, ma fu allettata, per paura o per favori da ricevere, da chi era al potere. Quel Cristo, ormai, non poteva dare più nulla: i principi dei sacerdoti e gli anziani si! Oggi, come ieri! Immaginate, la Sua delusione come uomo.

Lamezia e non solo

In questo senso nessun giorno è più significativo del “venerdì Santo”. Il Calvario di Cristo ci fa pensare, capire, in questi giorni terribili, il calvario del mondo il mondo oggi turbato, annientato dal dolore e dalla morte. Ma c’è qualcosa di più. Diciamolo! Dal Calvario e dalla Croce di Cristo sorge un invito alla solidarietà, alla condivisione, all’accoglienza, all’aiuto di chi soffre, all’ascolto delle grida che vengono da ogni parte della terra in questi giorni martoriata e prostrata da chi? Perché? La Croce, allora, per noi cristiani costituisce la speranza vera, una speranza nuova che possa aprirci varchi sicuri per sopravvivere alle sofferenze di questi giorni di difficile prova. Oggi, Venerdì Santo, ho fatto queste riflessioni perché personalmente ho tante dolorose, ma dolorose sofferenze fisiche, umane, affettive... Avrei voglia di dire “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonata? Ma so che non è, non sarà mai così Ippolita 10 aprile 2020 Venerdì Santo

Ieri come oggi, quando vai a difendere, a dare tutele. Quelle persone per cui ti sei speso sono dall’altra parte. E’ la figura di Cristo, solo, in quel Tribunale che ti aiuta a continuare, nonostante, tutto, a essere cristiano fervente. Intanto, la mala burocrazia, dei giorni nostri, imperversa sui cittadini, povera gente. E’ paura? Ma quale? da parte di chi ? Dare voce a chi voce ha, perché non può parlare, temendo rappresaglie: un dovere per un Cristiano! . Le Autorità L’autorità, rappresentata da Pilato, allora, se ne lava le mani: pensa a Roma, ai suoi interessi che potevano consolidarsi, purché fosse riuscito a tenersi buona la classe che conta: questo il suo mandato. Così, come oggi nella burocrazia: “Evadere” la pratica, raggiungere il budget a tutti i costi, pur calpestando la Costituzione (l’art. 23) e… l’immagine dello Stato! E’ preminente su tutti e tutto, non pensando che in quella pratica, in quel fascicolo c’è un uomo che soffre, un’azienda che chiude. Diversamente da come ebbe a dirmi un giorno un Gip del Tribunale di Lamezia: “Veda, ragioniere, in quei fascicoli c’è il dramma di un uomo. Io non posso e non devo sbagliare. Lei, CTU, ( Perito del Giudice, nella causa. Dr.) non può non deve sbagliare”. Che lezione di vita da parte di quel Giudice dai risvolti umani, pervaso da Dio, si chiama Giacomo Gasparini, oggi non più a Lamezia, tornato alla sua Fano.

Quale sarebbe stata la mia, la tua, la nostra scelta se fossimo stati in quella piazza? Tutto questo mi porta a una riflessione finale: Quale sarebbe stata la mia, la tua , la nostra scelta se fossimo stati tra i presenti in quella piazza. “Chi volete che vi liberi, Barabba o Gesù?”. Certamente, se oggi stiamo dalla parte dei forti, dei mestieranti, di chi gestisce potere, in quella piazza, decisamente, avremmo scelto “Barabba”. Se, invece, abbiamo il coraggio di stare con quanti sono ritenuti deboli, con i poveri, condividendo le povertà e i bisogni; oppure, se scegliamo la politica dal volto onesto e che per questo non ci riempie di promesse, allora in quella piazza avremmo scelto a squarciagola Cristo, il Giusto! “Chi volete che vi liberi,Barabba o Gesù?”: Questa è la scelta che ogni giorno nella piazza della vita siamo chiamati a fare. Siamo dalla parte giusta, anche se dovessimo rinunciare ai vantaggi che i non giusti promettono, anche se i deboli per paura lasciano cadere nel vuoto il nostro aiuto: hanno paura, ancora, delle rappresaglie di chi si ritiene, a torto, forte. Insistiamo, rafforzandone la fiducia. Hanno patito troppo per credere dicendo loro nella condivisione, così come Angelo al suo amichetto cui diede tutto di sé, “ Statti contento, sorridi”. Francesco De Pino

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Aspettando la sera

Riflessioni in versi e in prosa Ieri /Oggi di Angela Frontera A un secolo di distanza una nuova pandemia! Ieri la Spagnola, oggi Covid 19. Non esiste memoria storica personale: coloro che hanno vissuta la pandemia della Spagnola non ci sono più. Io sono una superstite che ha ricevuto il racconto da parte di mia mamma, Caterina Costantino, che all’epoca della pandemia aveva 4/6 anni, in età in grado di ricordare e di descrivere il clima di disperazione, d’impotenza, di perdite, di lutti, di privazioni che la Spagnola aveva imposto a una popolazione già provata, stremata, esausta dalla 1^ guerra mondiale. Il racconto di mia mamma si ripeteva ogniqualvolta qualcuno dei familiari, e in particolare qualcuna delle figlie, si ammalava d’influenza; emergeva nella sua memoria l’antico ricordo di un pericolo nascosto, imminente e possibile, che bisognava scongiurare. Riviveva l’esperienza che l’aveva segnata da piccola, la parola spagnola ritornava sulle sue labbra, quando una banale influenza, complicatasi in bronchite o addirittura in polmonite, aveva portato a morte parenti e amici. Eravamo ormai lontani da quell’evento nella mia infanzia, c’eravamo messi alle spalle la seconda guerra mondiale, ma poteva ancora ripetersi che una influenza mal gestita si complicasse in una polmonite, mettendo in pericolo la vita in epoca in cui non c’erano ancora gli antibiotici. Le precauzioni erano tante, dall’isolamento, al controllo della febbre con bagnoli d’acqua e aceto, senza farla abbassare con antifebbrili, perché “la malattia” diceva mia madre: “doveva fare il suo corso”; al cambio continuo degli indumenti personali e del letto, sterilizzati dal bucato, con 100 gradi di lissia (acqua e cenere bollente); al ricambio d’aria della stanza, al cibo leggero e sostanzioso, alle tisane calde e spettoranti. Di solito non si chiamava neanche il medico, tanto si sapeva che era l’influenza. Stare a casa si doveva, al riparo, e soprattutto stare ancora attenti durante la convalescenza sia per evitare ricadute sia per non contagiare gli altri; dopo sfebbrati e senza tosse, almeno tre giorni in casa si doveva restare. Il controllo delle spalle, a guarigione avvenuta, per qualche residuo di tosse, era opera dal medico curante per precauzione a garanzia della perfetta guarigione. Il tutto era ben integrato dall’amoroso accudimento materno, che finalmente si esprimeva con baci, carezze, contatto sulla fronte e sulla guancia, volto nel volto, sguardo nello sguardo, con parole premurose e piene d’affetto “cara mia, cara, cara, come ti senti”, pag. 10

(in tempi in cui i figli si baciavano solo quando dormivano); amoroso accudimento che rendeva la malattia non solo sopportabile, ma addirittura piacevole. Poi…con l’arrivo dell’antibiotico l’influenza non è stato più uno spauracchio. Da mia madre è stata considerata sempre una malattia insidiosa… ha sempre sostenuto che una “l’influenza poteva trasformarsi … in polmonite, pericolosa soprattutto per le persone di una certa età ”. E ne aveva le prove: ogni influenza stagionale portava via molti vecchietti, nonostante gli antibiotici. La spagnola fu veramente una gravissima pandemia d’influenza, che colpì il mondo alla fine della 1^ guerra mondiale; “ è ritenuto uno dei maggiori disastri sanitari, per morbilità e per mortalità, che abbia flagellato l’umanità negli ultimi secoli”, durò alcuni anni, dal 1918 al 1920/21. Le foto, pubblicate dal telegiornale primo canale e giunte fino a me attraverso i social, sono del 1920. La statistica mondiale porta 40 milioni di morti, e un miliardo di contagiati. Ma quasi con certezza il numero reale di vittime e di contagiati è stato di molto più alto, considerando che le statistiche in continenti come Asia, Africa, America del Sud non erano attendibili. Ad aggravare il disastro furono le condizioni sanitarie generali, militari e civili, che erano all’estremo a causa della guerra. inoltre con i mezzi di comunicazione di allora non si è potuto operare tanto con la prevenzione e con i mezzi di protezione. La circolazione di mezzi e persone e quindi di possibilità di contagio era allora di gran lunga inferiore rispetto ad oggi. L’epidemia fu chiamata all’epoca spagnola* perché fu la Spagna, paese neutrale e quindi senza censura militare, a dare la notizia nella sua nuda e cruda realtà, nella primavera del 1918. I paesi belligeranti, per non fiaccare il morale della popolazione e per non fornire al nemico informazioni strategiche, operarono con la censura ed autocensura degli organi di stampa. Con i mezzi di circolazione di oggi, che la globalizzazione ci offre, le occasioni di contagio sono innumerevoli e possono crescere in modo esponenziali finché in qualche parte del mondo infuria il coronavirus e non ci sono confini politici che ci salvano. Il contagio si evita evitando il contatto e proteggendoci con il distanziamento sociale e le mascherine. Ogni persona è un possibile untore, da cui tenersi a distanza ottimale.

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Lamezia e non solo


Tra le quattro mura Sola…a tremar di paura. Mi aggiro tra le stanze vuote e…ascolto il mio cuore…battere forte, forte…sempre più forte. Provo a gridare e a chiedere aiuto, ma le mie labbra restano mute, Sola! Sola! Poi…una voce dal fondo del cuore: “ci sono io con te”. E’ la voce dell’anima che mi rincuora. “Prega!” con forza mi dice, “per gli ammalati e i bimbi reclusi, pei carcerati e i senzatetto, per quelli che han fame e non san come fare”. “Prega ancor più pei moribondi, portati via come il vento, senza un bacio d’addio da figli e parenti, a morir come Cristo

Lamezia e non solo

OGGI: Io resto a casa In solitudine amara.

Per loro il conforto dei camici bianchi impotenti a sconfiggere un male oscuro, da lontano venuto per morte portare. Si chiama coronavirus”. Silenzio intorno a me… La mia preghiera s’innalza e…Incontra Dio… E… incontra gli altri e…il loro dolore. Continuo a pregare E chiedo aiuto… e…mi sento forte… sempre più forte insieme agli altri e al loro dolore, al mio dolore e dico a me stessa: “ Fiducia! Speranza! Dio è con noi!”.

Prega ancor più per i moribondi Portati via come il vento Senza un bacio d’addio Da figli e parenti A morire in solitudine estrema Come Cristo in croce, per loro il conforto dei camici bianchi impotenti a sconfiggere un male mortale, il coronavirus. Silenzio intorno a me … E la mia preghiera s’innalza E incontra Dio, e incontra gli altri e il loro dolore… continuo a pregare…e mi sento forte insieme agli altri e al loro dolore, sempre più forte e dico a me stessa “Feducia, fiducia. Dio è con noi”. *Per le notizie sulla spagnola: Tratto da “le infezioni nella storia della medicina”- “The spanish influenza” pandemic. Autori Sabbatani – Fiorino – Policlinico S. Orsola Malpighi di Bologna, Italy.

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scuola

INTERVISTA a NUCCIO ORDINE di Federica Palmieri

Nell’Italia del “tutti a casa” l’emergenza ha imposto il grande balzo della didattica a distanza con una mobilitazione eccezionale da parte del sistema scuola, il segnale è chiaro: la scuola c’è . Chiusi dentro casa, pendolari tra la cucina e la loro stanza, i ragazzi resistono .Resistono al contagio e alla claustrofobia, guardando il mondo dal balcone e da infiniti oblò: computer, smartphone e tablet e attingendo alle loro risorse migliori per dare un senso di normalità a questi giorni che normali non sono. Proprio per testimoniare che la scuola c’è ed è vicina ai suoi ragazzi il Liceo Scientifico Galileo Galilei nella persona della dirigente TERESA Goffredo ha voluto tenacemente che l’incontro, già fissato per il 20 di marzo a scuola, tra il professore Nuccio Ordine, letterato ed accademico italiano, professore ordinario di letteratura italiana presso l’università della Calabria e alcuni degli studenti del liceo avvenisse comunque, anche se in maniera virtuale. Giorno 30 aprile infatti l’incontro è avvenuto via Skype . Sei giovani visi sorridenti (Cesario Giada , Greco Francesco, Palmieri Federica, Papatolo Sara di terza B, Renda Paola, Scardamaglia Anna, Torchia Rebecca, Isabella Valeria di quarta A ) capitanati dalla Dirigente professoressa TERESA GOFFREDO e dalla loro docente professoressa FALVO hanno accolto il prof Ordine e lo hanno intervistato. Ha aperto l’incontro la dirigente Goffredo che, salutando il professore, si è dichiara onorata dalla possibilità concessa e che, in attesa, che con la fine della pandemia ci si possa incontrare a scuola, ha lasciato poi la parola al dottor Ordine e alle domande dei ragazzi. “Grazie alla Dirigente GOFFREDO, grazie alla collega FALVO,per l’invito, grazie ai ragazzi, in effetti nei giorni scorsi ho pubblicato diversi articoli, sul Corriere della Sera, sull’insegnamento digitale. Per me è una questione molto pag. 12

importante perché si sta creando adesso una confusione enorme, non solo in Italia ma anche in altri paesi del mondo. Esistono purtroppo professori, colleghi che insegnano nelle università, anche qualche ministro, che stanno approfittando della pandemia per dire

che in effetti non potremmo più tornare indietro, che ormai il digitale dovrà far parte della nostra maniera di dover concepire l’insegnamento. Bene, io penso che questi colleghi siano degli irresponsabili, perchè trasformare l’emergenza in normalità per me è una cosa inconcepibile. A me mancano i miei studenti e la videolezione che stiamo facendo adesso non è assolutamente la stessa cosa, io ho bisogno di guardare i miei studenti negli occhi, non solamente i due o tre che mi appaiono adesso sullo schermo, ma di vederli tutti. Voglio vedere come muovono le mani, dove guardano quando io sto parlando, perché io ho ricordato più volte che i professori imparano dagli sguardi, dalle posture dei loro studenti mentre fanno lezione. Se sono dei bravi professori sanno che GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

un professore è sempre uno studente, perché non deve studiare, altrimenti sarà un professore ignorante, ma è studente perché a sua volta impara dai suoi allievi. L’insegnamento infatti è frutto dell’esperienza umana nella comunità, e nella classe dove voi compagni parlate e dove gli studenti dialogano con i professori e viceversa, che si può seminare qualcosa, nel rapporto vivo e umano, non nel rapporto virtuale sostituito dagli strumenti digitali, e questo discorso vale anche per la lettura dei classici. Esistono dei neuroscienziati che anno dimostrato che leggere l’ “Orlando furioso” attraverso un dispositivo digitale e leggerlo su un libro sono due cose completamente diverse. Uno può dire il libro è lo stesso, ma è la maniera che noi abbaiamo di interagire con la carta e con lo schermo che è diverso, perché voi ragazzi lo sapete bene che leggendo su uno schermo arriva un messaggio potete andare avanti e indietro potete cliccare da un’altra parte, questo significa che queste possibilità abbassano la soglia della vostra attenzione, voi siete distratti, ed essendo distratti e abbassando la soglia dell’attenzione la vostra capacità di penetrare e di stare attenti alle cose che state leggendo diventa inferiore, l’attenzione che noi dedichiamo all’opera è diversa. Ecco perché io ancora rivendico il diritto che i classici debbano essere letti su carta e poi dopo le integrazione che possiamo fare con il digitale vanno bene, il digitale può essere utile per tante cose. La pandemia in questo momento ci ha fatto capire che il vero beneficio di lusso nella nostra società oggi sono le relazioni umane, le stiamo perdendo, le abbiamo perdute con la pandemia, siamo chiusi nelle nostre case, voi ragazzi non vi potete frequentare, io ho mia madre che vive a 100km, è chiaro che con la videochiamata posso sentirla Lamezia e non solo


però non è la stessa cosa. Quando la pandemia finirà, io prenderò la macchina e andrò a trovare mia madre. Ecco l’augurio che faccio è questo: di non confondere l’emergenza con la normalità. Nell’emergenza è giusto che usiamo questi dispositivi, però io penso che i cantori del progresso, i cantori dell’insegnamento digitale, i cantori di whatsapp e delle videochiamate, come forza di rafforzamento delle relazioni umane, siano delle persone che non hanno un briciolo di umanità e che non hanno capito niente, assolutamente niente di che cosa significhi insegnare, e di cosa significa avere relazioni umane.”Dopo le parole iniziali del professore i sei visi sorridenti e attenti si animano e cominciano le domande: Nel libro “Gli uomini non sono isole” lei crea un ponte fra i testi di ieri ed il mondo attuale. Crede che ci siano testi scritti da autori moderni che possano diventare dei classici in grado di parlare agli uomini di tutti i tempi? Certo, la nozione di classico non riguarda solo e soltanto gli autori classici, cioè del mondo greco e latino. Sono dei testi che entrano in un canone, il quale diventa un punto di riferimento per tutte le generazioni. Oggi un classico, ad esempio, è Italo Calvino, un autore del ‘900 che ha scritto dei libri meravigliosi, e quindi dire che Italo Calvino appartiene al canone dei classici, secondo me, è una cosa giusta ed esatta. Tra i classici inserirei anche qualche autore ancora vivente, che ha scritto però libri straordinari, come ad esempio Milan Kundera. Era anche un classico, fino a prima che morisse una decina di anni fa, Gabriel Garcia Marquez, che ha scritto “Cent’anni di solitudine”, che è un libro straordinario e che oggi è considerato un punto di riferimento nella letteratura mondiale. Quindi la nozione di classico, lo ricordava anche Italo Calvino, è una lozione che oscilla nel tempo ma che può prevedere anche autori contemporanei che si siano imposti come “autori di riferimento”.

Lei nel libro diffonde un grandissimo messaggio di solidarietà, vedendo l’umanità come un grande insieme unito e solidale. Crede che la società odierna, gravata dal Covid 19 si stia dimostrando tale o ritiene che questo concetto sia ancora astratto e messo spesso in secondo piano? Proprio grazie a quest’esperienza che stiamo vivendo possiamo capire di più quello che hanno scritto autori come Seneca, quando dice nella bellissima lettera a Lucilio: “Solo se tu vivi per gli altri stai vivendo per te stesso”. Cosa

significa? Significa che quello che io faccio per gli altri fornisce un senso alla mia vita, perché la generosità, il riconoscere gli esseri umani come un unico continente, non come isole separate, infatti il titolo del libro, come sapete, prende spunto dalla meditazione di un grande poeta inglese, Jhon Donne che dice: “Nessun uomo è un’isola”. Significa che noi non siamo isole separate, che noi siamo un unico continente, il continente dell’umanità, e che mai come adesso, nel momento della pandemia, stiamo comprendendo che lo spirito di comunità è una delle cose più forti della nostra vita, della nostra esistenza. Il virus non si batte con un unico individuo, il virus si batte se insieme lavoriamo per rispettare delle regole, per isolarlo, per distruggerlo. Non basta, dunque, la solidarietà tra me e le persone che abitano nel palazzo, non basta la solidarietà tra le persone del

palazzo e le persone del quartiere, tra le persone del quartiere e tutta la città, tra la città e le altre città che le stanno vicina, tra la regione e le altre regioni, tra l’Italia e le altre nazioni europee, tra l’Europa e gli altri continenti. Quindi come vedete battere il virus significa sentire una comunità che val al di là di ogni confine geografico e politico, perché quello che accade in America, in Cina riguarda anche noi in questo momento, e allora la cosa che stiamo comprendendo in questo momento di chiusura delle nostre case, è che gli altri ci mancano, e che non è vero quello che i politici ci hanno raccontato negli ultimi venti o trenta anni, cioè che dobbiamo pensare a noi stessi. Gli slogan terribili che abbiamo visto: “Prima gli italiani”, “America first” in America, in Brasile “El Brasil asima di tudo”… sono slogan menzogneri che raccontano un’immagine terribile, negativa, distruttiva dell’umanità. Non è vero che io debbo essere egoista per rivendicare i miei diritti e non pensare anche ai diritti degli altri. Stiamo comprendendo quindi una cosa, che la così detta globalizzazione ha ridotto le distanze geografiche ma ha creato delle distanze enormi tra Stati e Stati, fomentando il nazionalismo, e ha portato delle distanze enormi tra individui e individui, fomentando l’egoismo. Oggi, in un momento difficile come questo della pandemia, stiamo imparando invece che l’umanità è una. Camus nel ’47 scrisse un romanzo, divenuto adesso uno dei più letti, “La peste”. Ambientato in una città dell’Algeria dove scoppia la peste, nell’ultima egli pagina scrive che dobbiamo comprendere che nelle sofferenze, nel vedere gli altri morire, vedendo sparire un’intera generazione di persone di 80/90 anni tutta l’umanità è più povera , per questo voi giovani dovete restare a casa, non perché il Covid 19 vi possa provocare qualcosa, i giovani come i bambini sono quelli meno aggrediti dal corona virus, ma potreste essere portatori sani, e se usciste avendo un nonno o una nonna in casa, potreste portare il virus nell’ abitazione e potreste ucciderli, e penso


che questo sacrificio che ci chiedono per salvare una generazione, è un sacrificio che noi dobbiamo fare, perché nella nostra società, sembra che gli anziani e gli ammalati non abbiano nessun ruolo...invece no, hanno un ruolo importantissimo, fondamentale. Voi tutti avrete letto il secondo libro dell’Eneide, quando c’è Troia in fiamme : Enea è pronto a partire per poter fondare Roma. Mentre Troia è in fiamme lui prende sulle sue spalle il vecchio Anchise, suo padre. Compie quindi un gesto “ fondatore”.La saggezza di Anchise è fondamentale per Enea. Lo chiamo un gesto fondatore perché, il futuro non è possibile coltivarlo senza tener presente l’importanza del passato. La saggezza di Anchise è fondamentale ecco perché i classici ci insegnano. Rileggere l’Eneide oggi, in particolare questo episodio di Enea che prende il padre sulle sue spalle e lo porta fuori dall’incendio di Troia, deve essere d’insegnamento, è quello che dovremmo fare noi oggi… prendere sulle spalle le persone più deboli e sostenerle perché nel loro cammino anche le persone più deboli, gli ammalati, sono coloro di cui abbiamo bisogno e che dobbiamo difendere. Dobbiamo coltivare la nostra umanità per creare una società più giusta. Camus ci ricorda che noi durante la peste vedendo le sofferenze degli altri, abbiamo imparato a conoscere anche gli aspetti più positivi degli esseri umani. Quante volte voi nel vostro condominio vi siete incontrati con persone con cui magari neanche vi scambiate il saluto?Adesso invece in tutta Italia nei condomini le persone si abbracciano virtualmente e cantano insieme, facendo una serie di iniziative che mantengono vivo il senso della comunità, per dire : “ Siamo qui, stiamo tutti male, abbiamo paura, stringiamoci insieme per difenderci. Questa è la bellezza della solidarietà umana, questa è l’importanza delle cose che la letteratura da sempre ci ha ricordato. Camus ci dice che durante la pandemia la cosa che abbiamo imparato è che gli uomini hanno più cose positive che cose negative. La pandemia fa venir fuori le cose positive degli esseri umani. Certo, la pandemia può anche pag. 14

far venir fuori le cose negative, infatti racconta Camus ne’ “La peste”, che c’era un signore felicissimo della peste. Perché…? Perché durante la peste vendeva in nero i prodotti che non si trovavano, facendo speculazione di ogni genere, come coloro che oggi stanno vendendo le mascherine a 300 volte il prezzo originale. Queste persone sono delinquenti, perché pensano di fare soldi in un momento in cui l’umanità soffre, e quando tu approfitti della sofferenza e della paura che una persona ha, per rubargli dei soldi, sei un delinquente dieci volte di più. Ecco perché ho scritto questo libro, perché ci fa capire che la letteratura è uno strumento, non per superare un esame a scuola, va

studiata non per farvi interrogare dai professori, o per prendere il diploma, se così fosse io proporrei di chiudere le scuole e le università, ma deve essere studiata (Virgilio, Camus, Ariosto) perché le cose che leggete servono a dare risposta alla vostra vita, alle cose di cui avete bisogno, a trasformarvi in donne e uomini colti e soprattutto solidali, capaci di coltivare una solidale umanità. Prendendo spunto dal rapporto che vi è tra il Piccolo Principe e la volpe, in cui si parlava dell’arte dell’addomesticare, torna in mente un’accusa che spesso lei muove ai giovani e cioè che materializziamo i GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

rapporti. In un periodo come questo in cui il contatto umano è molto limitato, lei cosa farebbe? Quello che io rimprovero ai giovani è che voi i rapporti non li materializzate, li virtualizzate, che è una cosa diversa. Partendo dall’incontro tra la volpe e il Piccolo Principe, che è uno degli incontri più belli della letteratura, viene fuori che io non posso “addomesticare” una persona su facebook o con whatsapp, la relazione che si crea tra due esseri è una relazione che ha bisogno di essere coltivata con l’incontro vivo. La volpe dice al bambino di venire sempre alla stessa ora, c’è il rito, “se tu e io abbiamo un appuntamento alle 16:00, io alle 15:30 inizierò a essere felice perché penso che alle 16:00 vieni tu”, questi sono sentimenti che voi tutti vivete: quando voi avete un appuntamento importante con una persona, un fidanzato, un amico, un parente a cui volete bene e non vedete da tempo, e lo dovete vedere alle 16:00, alle 15:30 il vostro cuore comincerà a battere, perché lo aspettate. Perciò se quella persona alle 16:00 non arriva, provocherà una delusione terribile, un forte senso di ansia e di angoscia, di perdita. Queste cose la volpe le spiega in maniera chiara, dicendo al piccolo principe: “vieni sempre alla stessa ora”, perché noi abbiamo bisogno dei riti. I riti sono molto importanti nella nostra vita, i riti che abbiamo a scuola quando entriamo in classe per esempio, la pacca sulla spalla, l’incontro con l’amico che esce di casa con il quale ci incontriamo in un angolo della strada ogni giorno alla stessa ora per fare 200m insieme, per andare a scuola…queste sono le relazioni umane. Stare chiusi nelle proprie case davanti a un computer senza coltivare questi riti, non significa avere rapporti,ovviamente nell’emergenza non possiamo fare diversamente, meglio così che niente, però pensare che l’amicizia sia un “mi piace” su Facebook, è una stupidità enorme, è una banalizzazione dell’amicizia. Quando io chiedo ai miei studenti: “ Ragazzi perché siete su Facebook?”, loro mi dicono : “Professore, perché facciamo tanti amici con Facebook”. Non si possono Lamezia e non solo


avere 1500 amici nella vita, l’amicizia che cos’è? Quando io premo con il dito il pulsantino per diventare amici? …non può essere questo. Quando uno muore, alla fine della sua vita e fa il bilancio dicendo di aver avuto tre amici, tre veri amici, è una persona ricchissima. Facebook fomenta l’illusione che tu sei connesso 24 ore su 24 con tutti i tuoi amici, ma la connessione è una pura illusione, perché voi siete chiusi nelle vostre stanze e coltivate una terribile solitudine; i social stanno creando una terribile solitudine nella gente, la gente non si vede più. Io quand’ero ragazzo, uscivo con i miei amici per strada, dovevamo incontrarci, giocare insieme, mi ricordo ancora che giocavamo a nascondino la sera e avevamo 18/19 anni. Adesso queste cose umane si stanno perdendo e voi non potete avere l’illusione di poter coltivare un’amicizia chiusi nella vostra camera. Negli Stati Uniti d’America i fidanzamenti e i matrimoni avvengono su piattaforme virtuali. Con la situazione che stiamo vivendo il suo libro è diventato estremamente attuale. Oggi nessun uomo può essere un’isola, il bene del singolo dipende dalla volontà altrui. Aveva mai pensato a qualcosa di simile quando lo ha scritto? “Io insegno da trent’anni e non avrei mai potuto immaginare di non poter incontrare i miei studenti, i miei colleghi, di non vivere la vita comunitaria e di dover rimanere chiuso a casa due mesi, io poi sono uno che viaggia moltissimo…per me è inconcepibile. Ogni settimana prendo un aereo per fare una conferenza, adesso sono due mesi che non mi muovo da casa. Devo dire che il mio cane di questo è molto felice, praticamente si gode la mia presenza, adesso è qui con me nello studio e lui è stupito di ciò, perché quando mi vede partire con la mia borsa a rotelle lui abbassa le orecchie e gli occhi diventano rossi perché capisce che sto partendo. Quindi dicevo… Lamezia e non solo

non avrei mai potuto immaginare tutto questo, però quello che avevo capito, ecco perché poi ho sentito l’urgenza di scrivere il libro, è che il mondo stava andando in una direzione pericolosa, perché vedevo partiti politici vincere le elezioni, partiti che sostenevano il razzismo, un nazionalismo feroce, una sorta di antisemitismo, forme di disumanità incredibile. I calabresi che hanno votato questi partiti politici, che venivano offesi anni fa, perché oggi il capro espiatorio sono i migranti, ma 15 anni fa erano i meridionali, questa è una logica assurda e mi ero reso conto che il mondo stava sempre di più, per finire nelle mani di governanti ignoranti. Voi avete visto la figura del

presidente degli Stati Uniti d’America, la più grande potenza del mondo, un semianalfabeta, ignorante, pericoloso, che sostiene in conferenza stampa davanti a milioni e milioni di persone che il disinfettante è meglio berlo, perché “bevendolo ammazzi il virus e non capisco come gli scienziati questa cosa ancora non l’abbiano capita”. Vi rendete conto che abbiamo il presidente di una grande potenza che avrebbe potuto scatenare il finimondo?Pensate ad un vecchietto, a una persona che ne capisce poco e ascoltando queste scemenze si beve l’amuchina. Io sono molto preoccupato, e lo ero anche prima. Adesso chiaramente la

situazione della pandemia ha fatto venir fuori la stupidità e la menzogna di questi racconti che abbiamo avuto dell’organizzazione della vita sociale, facendo leva sull’egoismo, sul razzismo, sul nazionalismo. La pandemia ha mandato in crisi queste idee, ecco io spero veramente che dopo la pandemia rimarrà la coscienza, come diceva Camus, delle cose che abbiamo imparato. La letteratura ce lo racconta sempre, noi nel passato abbiamo imparato delle cose e finita l’emergenza queste cose le abbiamo dimenticate, se noi dimenticheremo ancora una volta le cose imparate adesso durante la pandemia, per noi non ci sarà salvezza. Nel suo libro “Il libro del riso e dell’oblio” Milan Kundera, dice una frase molto bella: “La lotta dell’uomo contro il potere è la lotta della memoria contro l’oblio”. Se noi dimenticheremo non diventeremo migliori, se noi dimenticheremo non faremo tesoro delle cose ce abbiamo imparato, la letteratura è la maniera migliore per ricordarci l’importanza della memoria e la letteratura è da sola memoria delle cose che noi possiamo imparare e lo abbiamo visto citando l’episodio del secondo libro dell’Eneide.” Si inserisce sull’onda della risposta la Dirigente GOFFREDO che , rivolgendosi al professore chiede: Lei ha detto bene, abbiamo una classe politica che non ci sa governare, perché non solo sono incapaci ma sono ignoranti, ora io le chiedo: “La scuola quanta parte di colpa ha nel formare queste generazioni che poi ci governano?. Dunque è vero che molti non sono laureati e quindi non parlo delle Università ,ma proprio della scuola secondaria di secondo grado, la scuola secondaria può avere il compito di creare coscienze e di creare menti illuminate, perché mi pare che stiamo un po’ fallendo, visto quello che ci circonda Lo so, la scuola purtroppo sta perdendo la sua autonomia. Un tempo la scuola

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non era la cassa di risonanza delle idee dominanti della società, la scuola era anche un luogo critico, dove alcune idee venivano criticate e dove gli studenti venivano abituati a mettere in discussione i luoghi comuni. Oggi la scuola invece è il frutto di una ideologia dominante che è quella dell’utilitarismo. Ai ragazzi non vien detto:”studiate per voi, studiate per diventare migliori, studiate per imparare, perché solo chi sa può vivere con dignità nella società.” Ai ragazzi viene detto: “prendete questa facoltà e poi andate a guadagnare dei soldi”, quindi molti studenti mi dicono quando vado a fare videoconferenze nei licei: “Professore io voglio studiare latino e greco, ma poi papà e mamma mi dicono ma che ci fai con il latino e il greco, prendi medicina, prendi ingegneria, prendi informatica..” Ecco allora questo è il modello che noi stiamo dando ai nostri allievi, di fargli credere che la scuola non è uno strumento di formazione ma uno strumento per imparare un mestiere e andare a fare dei soldi. C’è la perdita totale della funzione educativa della scuola, perché è chiaro che gli studenti debbano anche imparare un mestiere però il mestiere non è il fine utile, il mestiere è l’effetto di uno studente che ha studiato con la coscienza di diventare colto. Non è un caso che le persone che siano uscite dagli studi classici e che hanno frequentato scuole dove si è fatto anche il latino è il greco, poi siano diventate i migliori medici, i migliori ingegneri, i migliori architetti, i migliori fisici, i migliori scienziati. Grazie a Dio in Italia abbiamo avuto generazioni di professionisti colti che purtroppo non abbiamo più, allora qual è il tema? Se la scuola continua a perdere tempo con questa ideologia di una valutazione quantitativa, di una valutazione dovuta solo e soltanto a dei risultati da raggiungere, io penso che noi abbiamo perduto la battaglia e che la scuola non è più una scuola formativa. Noi sforneremo delle persone con delle nozioni, ma non sforneremo dei cittadini colti, questa purtroppo è la direzione verso cui stiamo andando. Ora non è che un professore possa cambiare il percorso di queste cose, però io penso che il nostro ruolo sia quello di opporci e di insegnare con quella passione e con quella concezione che noi abbiamo dell’insegnamento e io pag. 16

sono sicuro che come è accaduto per me e per tanti altri, solo i professori ci possono cambiare la vita, questo dovrebbe essere lo scopo della scuola e penso anche che ancora noi abbiamo dei margini con il nostro entusiasmo, la nostra passione, la nostra intelligenza di riuscire a cambiare le vite dei nostri studenti nonostante quello che stiamo vivendo, è chiaro che la scuola non assolva questa missione ma, un singolo professore può nella sua classe e nella sua autonomia riuscire a cambiare la vita dei propri studenti. Lei sostiene che un libro possa far viaggiare più di un vascello. Crede che anche altri tipi di arte come il cinema o la pittura possano far fare lo stesso? Il viaggio è un tema che molti letterati hanno sviluppato Dickinson,Baudelaire, e tantissimi altri, anche nello stesso Ariosto. Ariosto come sapete è un autore che non vuole viaggiare, non vuole muoversi. In una satira, dice: “degli uomini son vari gli appetiti/ a chi piace la chierca, a chi la spada, a chi la patria *(perdonate gli eventuali errori)*, a chi gli estranei lidi/ chi vuole andare intorno, intorno vada/ a me piace abitar la mia contrada”. Lui non voleva andare in Garfagnana per assolvere delle funzioni di tipo diplomatico, voleva stare a casa, eppure ha scritto uno dei libri di avventure, di viaggi, più bello della storia della letteratura. Anche Baudelaire diceva che lui scriveva le poesie come quel fanciullino che col dito guardava la mappa del mondo e mettendo il dito in quel punto ci andava con la fantasia, a visitarlo. Affermava che la fantasia ti permette di viaggiare meglio perché arrivi subito e perché puoi andare nei posti dove gli altri non possono andare. Ecco perché la letteratura ha, tra le altre virtù, questa, di farci viaggiare, e tale virtù la possono avere la musica, il cinema, un quadro (l’arte), vedere un monumento, tutte forme che stimolano la nostra idea di bellezza di felicità e ci invitano quindi a viaggiare. È una cosa molto importante perché la bellezza, proprio perché è qualcosa che noi non possiamo possedere materialmente, ci fa capire quando siano sbagliate le regole della nostra società, le quali ci dicono che solo chi ha, è. Cioè che tu esisti se possiedi, se hai soldi. Ecco io penso GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

che questo è sbagliato, e che io posso godere di qualcosa che non possiedo. E la bellezza ti insegna a godere. Non c’è bisogno, se vado al Louvre, di portarmi a casa la Gioconda, per godere di essa. Voi, se andate a un concerto non avete bisogno di portarvi i Beatles a casa: ascoltate la loro musica. Si può essere felici, si può imparare a godere, senza possedere. La bellezza ti insegna che la gratuità e il disinteresse sono le vere molle che dovrebbero muovere la nostra vita. Ecco, questo è quello che vi voglio dire, per cui studiate, leggete, ma non con l’idea che dovete fare i soldi, o dovete imparare un mestiere. Studiate con l’idea che le cose che imparate e le cose che leggete servono a rendervi migliori, più umani, e quindi anche persone in grado di poter esercitare con etica e competenza la vostra professione. Ecco perché vi dico che quello che facciamo è molto importante, e mi provoca una tristezza enorme sapere che le scuole sono chiuse, e sono chiuse le università. E devo dire anche un’ultima cosa. Ci sono state delle proteste perché non sono aperte le chiese, ecco io penso che invece è più grave vedere chiuse le scuole e le università. Perché questo? Perché io a casa posso benissimo parlare con la Madonna, con San Giuseppe , raccolto nella mia intimità, ma se noi professori non incontriamo gli studenti, e se gli studenti non incontrano i professori in classe, non ci può essere nessuna trasmissione di sapere, ecco perché ogni giorno che perdiamo stando lontani, è un giorno che indebolisce la nostra forza e la nostra missione di imparare insieme per diventare migliori. Allora grazie di questo invito, di questa opportunità, e speriamo alla ripresa, di organizzare un incontro dal vivo, che i tempi possano permettercelo, in maniera da scambiarci le nostre esperienze di lettura insieme. Un abbraccio a tutti, e grazie alla Dirigente e alla collega Falvo.” L’incontro si conclude così con un affettuoso arrivederci e la speranza di un incontro ravvicinato e caloroso. Federica Palmieri (3 B ord Liceo Scientifico “ G. Galilei)

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riverberi

Sentimenti del tempo di Augusta Caglioti

I sogni Merita la tua vita ancora sogni? E meritano i sogni la tua vita? Non perderti nel labirinto di assurde domande. “La vida es suen~o leggesti in tempi ormai lontani. E allora. Adelante! Accantona i rimpianti. Non c’è età per i sogni. Non rubare la vita degli altri. A tutti serve l’onirico inganno! Risogna se vuoi i tuoi sogni. Scambia come spesso ti accade la notte Lamezia e non solo

col giorno. E ridipingi di giorno i sogni delle tue brevi notti. Lamezia 22/4/2020

Il tempio dell’ amore Vivo la religione dell’amore, maestoso tempio di accoglienza per chi cerca conforto a un suo dolore. Tempio dalle sicure fondamenta che non crolla se infuria la tempesta. Non facile però scorgerne la via, ma, assieme a Lui che, ahimè non ha più vita, l’ho trovata, chimera assai agognata! L’ho trovata nelle straziate grida di una madre, nei disperati pianti di bimbi tra le bombe, nei barconi della bugiarda salvezza, In uno squallido letto d’ospedale, nella cella di chi, smarrito nella nebbia, ha arrecato male. Camminiamo, dunque, fratelli nel dolore, camminiamo insieme, fratelli senza patria, verso il tempio maestoso dell’amore!

Può accedervi chiunque, se apre il cuore, senza paura dell’appartenenza, senza paura del suo proprio colore. Accoglie tutti questo sacro tempio, sulla cui porta una dura nota avvisa “È vietato l’accesso a chi, malvagio, sfrutta il fratello a suo proprio vantaggio.” E... in questo straordinario luogo d’accoglienza, non prevarrà la legge del tuo Dio. Una sola è la legge, uno il Comandamento. Ama il prossimo tuo senza riserve. E quando parli usa spesso il Noi. Qui è tollerato poco il blaterante IO che impone un egoismo che non serve! Ascolta, fratello. Tutto quanto ho detto, in questo doloroso e speranzoso andare, è emerso dall’insondabile fondale del tormentato mio mondo interiore. A tutti coloro che, come me, credono nell’amore universale e in un Dio che è di tutti. Lamezia 14/3/2020

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riflettendo

Il presente ed il futuro del sistema d’istruzione italiano tra crescente innovazione ed irrinunciabile tradizione

di Pierluigi Mascaro

Il sistema scolastico italiano si sta ormai da diversi anni evolvendo attraverso profondissimi cambiamenti strutturali e funzionali, sia per quanto riguarda l’offerta formativa dal punto di vista del rapporto conoscenzecompetenze, sia per gli aspetti concernenti l’approccio più strettamente metodologico. Dal primo punto di vista, il nostro sistema d’istruzione sembra sempre più orientato a sviluppare nei nostri studenti competenze direttamente inerenti ad uno specifico savoir faire piuttosto che – se non addirittura a discapito di – una tanto generale quanto poliedrica connaissance di più o meno ampie aree del sapere socio-umanistico e matematico-scientifico; si compiono simili scelte in nome di una sempre crescente settorializzazione e specializzazione delle competenze dei nostri giovani, sperando in un futuro placement dei medesimi nel mondo lavorativo, che possa avvenire in maniera quanto più possibilmente rapida, stabile ed ottimale dal punto di vista qualitativo. Non si può tuttavia negare che, secondo questa via, il nostro sistema nazionale d’istruzione corra il rischio di sacrificare eccessivamente lo sviluppo unitario di quei processi logico-induttivi e fenomenico-deduttivi che provengono dallo studio sistematico e critico-analitico di quelle discipline, come le lettere antiche o la geometria, che apparentemente sembrano appesantire ed irrigidire senza alcuna utilità pratica il bagaglio didattico e d’apprendimento dei nostri studenti. Dal secondo punto di vista, invece, anche gli approcci metodologici d’insegnamento-apprendimento stanno cambiando profondamente, in maniera particolare per quanto concerne l’impiego sempre più massiccio dei diversi strumenti informatici (ormai alla portata della stragrande maggioranza di tutti noi) da parte tanto degli insegnanti, quanto degli studenti e delle loro famiglie; si pensi, solo per fare alcuni esempi, all’utilizzo ormai generalizzato delle LIM (lavagne interattive multimediali) in tutte le aule scolastiche, dei registri elettronici pag. 18

dei docenti, delle piattaforme informatiche che sempre più spesso fungono da intermediario tendenzialmente esclusivo tra i docenti e le famiglie degli studenti. L’impiego delle tecnologie informatiche nell’ambito della metodologia didattica sta risultando, forse quanto mai prima, di vitale importanza, al fine di non arrestare il processo formativo didattico scolastico ed universitario, a causa della chiusura di tutte le attività scolastiche ed accademiche sur place, a partire dai primi di marzo fino alla fine dell’anno scolastico, al fine di contrastare la gravissima ed inaspettata emergenza sanitaria da Coronavirus. Lezioni scolastiche e corsi universitari, nonché addirittura le discussioni delle tesi di laurea, si stanno svolgendo in modalità da remoto, tramite piattaforme interattive che mettono in contatto a distanza docenti e discenti, permettendo così di non arrestare irrimediabilmente il processo didattico-formativo. Regole eccezionali per fronteggiare una situazione eccezionale, giustamente si dice. Ma attenzione! La buona riuscita della sperimentazione della totale sostituzione della didattica frontale con procedure telematiche deve pur sempre essere considerata a carattere di strettissima eccezionalità e temporaneità (si spera per il più breve tempo possibile!!); bisogna tenere ben presente che il mondo scolastico-accademico è una laboratorio in continua evoluzione, un cantiere sempre aperto dove quotidianamente si confrontano conoscenze, coscienze, idee, personalità; dove si formano persone; dove il processo di arricchimento non è mai univoco; dove insomma, per dirla col pensiero platonico espresso nel mito della caverna, il sapere è tanto più grande quanto più ampiamente è condiviso. E tutto ciò può essere sicuramente implementato dagli strumenti informatici, ma non potrà mai prescindere dal riunire fisicamente Comunità di studenti e docenti nei luoghi elettivi del sapere, le nostre scuole e le nostre università.

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LA CALABRIA, UNA TERRA DA AMARE

L’influencer che vorrei di Ginevra dell’Orso

Ci sono storie che andrebbero raccontate, in questi tempi bui: storie di persone che non hanno fatto scoperte scientifiche, che non hanno vinto premi Nobel, che non scrivono libri, non appaiono in tv e non sono famosi sui social. Storie di persone semplici, così tanto semplici da passare a volte inosservate, senza sapere quanto siano ricche le loro vite. Andrebbero ascoltate oggi più che mai, nell’epoca del grande sonno dello spirito, dove sono tutti in cerca di modelli da seguire, di miti da enfatizzare, di eroi da imitare. Tra tutti gli scorci esistenziali che ho ascoltato e osservato in questi anni, in questi luoghi, quelli che più di tutti mi hanno entusiasmato sono le vite dei pastori, l’amore per il loro lavoro, e l’innata saggezza che un po’ gli appartiene, come se venisse dato loro un riconoscimento dall’alto. Ho sempre fatto caso, viaggiando su e giù per la Calabria, a quelle bellissime chiazze di bianco in movimento, che si vedono sulle colline lungo la costa, o tra le montagne che salgono alle terre alte: ma fino a poco tempo fa, i pascoli mi sembravano un decoro ornamentale di un mondo rurale antico, quasi un abbellimento del paesaggio stesso. Il piccolo pastorello Poi un giorno ascoltai la storia di un mio caro amico, ora novantenne, e della sua infanzia, quando doveva portare le capre e le pecore al pascolo. Era solo un bambino, di appena undici anni. Viveva in alto, a quasi mille metri, e praticava la sua transumanza dall’alto al basso, e viceversa, a seconda delle stagioni. Impiegava giorni, e si fermava a dormire in qualche rifugio per pastori, dentro a qualche cava. Le Lamezia e non solo

pascolava su e giù dalla montagna, portandosi dietro il cibo, i suoi cani, tutto da solo, perso nella sua errante solitudine. Credevo fossero storie di altri tempi, appartenute ad un retaggio contadino anteguerra. Poi ho iniziato a conoscere ragazzi, uomini, donne, tutti pastori: le loro vite hanno qualcosa di segreto, come tutti quelli che decidono di fare una scelta estrema, per certi versi surreale, anacronistica, persino un po’ folle.

Giuseppe Qualche anno fa stavo cercando delle ricottine di pecora per fare un dolce, e parlai per la prima volta con Giuseppe, uno dei tanti pastori che vivono nella mia zona. Dopo aver preso un po’ di formaggi sopraffini, gli chiesi cosa lo avesse portato a scegliere una vita così solitaria. Ricordo bene la sua risposta spiazzante: “io non sono mai solo. Con me ci sono le mie pecore, le mie capre, i miei cani. E tutto quello che mi sta intorno”. Mi raccontò delle sue gior-

nate mai scontate che incontra ogni giorno: trovare il posto giusto per i suoi animali, le intemperie, i lupi, la mungitura, le discussioni con i proprietari terrieri, la pioggia. E poi i parti delle pecore, la neve, il caldo torrido, la tosatura, il vento tagliente sulla faccia, il senso del gregge, i versi per chiamarlo all’ovile.. Mi disse che il suo cervello va a mille, e ogni volta che gli sembra di aver collegato tutti i puntini, accade qualcosa per cui deve correre e trovare una soluzione a quello che sta accadendo. Il tempo, mi disse, non è mai abbastanza. L’eterno ritorno Giuseppe è la storia di tanti altri pastori, incontrati per caso, o per necessità, con cui scambiare qualche parola; sono le loro storie fantastiche, le loro scelte di vita, di cui non si pentono neanche un istante, che mi fanno pensare a come sarebbe diverso se tra le miliardi di icone patinate che ci propinano ogni giorno, apparissero le loro storie, le loro foto, i loro racconti, le loro dirette... quanto sarebbe più interessante? Quanta verità e intensità si potrebbero provare, anche solo guardando o ascoltando? Quanta magia ci stiamo perdendo? L’eterno peregrinare dei pastori, questa forma di nomadismo a tratti, che non è mai eterna, perché alla fine si torna a casa: anche se là fuori, con la terra sotto i piedi e il cielo alto sulla testa, là è casa. P.S. Mio padre, da piccola, quando sulla strada incrociavamo un gregge, mi diceva di salutare le pecorelle, perché portavano fortuna. Non so quanto ci sia di vero, ma lo faccio ancora oggi.

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ricordi

Alla scoperta delle chiese montane di Sambiase di Giovanni Mazzei

Dalla centralissima piazza V Dicembre (già piazza Diaz), sita nel cuore di Sambiase, è possibile ammirare i profili di alcuni antichi edifici, che emergono dal tessuto urbano lasciando trapelare le loro sacre forme. Mi riferisco ad alcune antiche chiese, le quali hanno scandito il profilo etnografico della stessa sambiasinità: il santuario di San Francesco di Paola, le chiesette dell’Immacolata e dell’Annunziata e la chiesa Matrice dedicata a San Pancrazio. Quattro sono le chiese che sono state menzionate, quattro chiese a pochissima distanza l’una dall’altra, quattro chiese visibili dalla piazza: ebbene qualche decennio fa ben cinque erano, e non quattro, le chiese era possibile ammirare da piazza Diaz! La quinta, quella più vicina al nostro punto di vista, era un’antichissima chiesa: la chiesa di San Rocco. A conferirci ulteriori informazioni circa le origini di questa antica chiesa sono lo storico Enrico Borrello e il suo libro Sambiase – Storia della città e del suo territorio. Nel suo testo, Borrello parla della chiesa dedita al culto del santo francese come una filiale della chiesa Matrice, già romitaggio. «A causa di un’alluvione del fiume Cantagalli, fu chiusa per molto tempo, quindi riaperta dall’arciprete Renda», dichiara Borrello, specificando anche come la chiesa fosse già “sepolcro gentilizio della famiglia Renda”; non è dato sapere se le due menzioni alla famiglia Renda fossero riconducibili allo stesso ceppo familiare. Inoltre pare che a Sambiase, nei secoli passati chi subiva una morte violenta veniva seppellito dentro la chiesetta di S. Rocco, anziché nelle comuni fosse funerarie. Borrello, riporta anche la presenza di una Platea dei Beni della Venerabile Chiesa di S. Rocco, rinvenuta nell’archivio comunale, è databile al 1769. pag. 20

Lo studioso non si sofferma sul contenuto di tale inventario, non considerandolo utile; l’aspetto che egli ci tiene maggiormente a mettere in risalto sono delle date rinvenute su due piccole campane. La più piccola fra le due, non riporta il nome dell’offerente, ma reca su incisa la data del 1494. Presente sull’altra campana è invece una dedica ecclesiae Sancti Rocci, nonché il nome del dedicatario: don Giuseppe de Fiore. L’aspetto di maggior interesse che presenta questa campana è però la datazione che vi è incisa, ovvero 1401! Data tale indicazione, riportiamo il pensiero di Borrello: «ci pare di poter desumere che la chiesa di San Rocco è una delle più antiche del luogo». L’antica chiesa di San Rocco, nel periodo a cavallo tra gli anni ’60 e’70 del Novecento, fu demolita, vista la pericolosa vicinanza con lo scorrere del fiume e per motivi legati alla rampante urbanizzazione dell’epoca. Laddove un tempo sorgeva la vecchia chiesa ora è possibile osservare un grande palazzone. A ricordo dell’antico santuario nel punto originario resta solo una statua votiva recante la data del 1987, posta in una teca e affissa su muro opposto alla sede originaria. Grandi furono i moti di delusione della popolazione e vibrante la protesta, tant’è che – forse per compensazione o scrupolo verso il sacro – una chiesetta nuova dedita al culto del pellegrino di Montpellier fu edificata in piazza Kennedy, al centro del complesso abitativo denominato Villaggio Kennedy, costruito dell’architetto Mario De Renzi, del consorzio INA Casa. Questo episodio segnò profondamente la coscienza collettiva del popolo sambiasino, tanto che il suo cantore per eccellenza, il poeta dialettale Salvatore Borelli raccolse tali moti emotivi in alcuni suoi versi: […] ‘U bruttu vèni mò, ccu ‘stu zziànu mia! Jìa ‘n cèrca ‘i pìgni e gghjìasa e ‘un lli vidìa. Parìa ‘na tìrga, ‘i dìanti ‘i sdirruzzàva Quandu ha bidùtu ‘a gghjìasa cha mancava. «Fhànu palazzi… e nnùllu ‘ha carculàtu, pòvaru Santu Rùaccu hànu sfrattàtu! I Santi cchju ‘mpurtànti nissùnu ‘ha gimintàti, su’ fforti, cchjù sintùti e affibbiàti! Rùaccu ccu llu jinùacchju ‘un s’ha rijùtu Ed ogni ventarìallu l’ha putùtu». ‘U fhòrti l’hànu sempri… rispittàtu, ‘u cani ha muzzicàtu a llu strazzàtu!

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La costruzione del suddetto palazzo che sorse al posto della chiesa non fu semplice, subì infatti forti ritardi e incidenti; altrettanti difficoltà interessarono direttamente la famiglia dei proprietari dell’attuale palazzo. Questa serie di imprevisti fece pensare alla popolazione quasi a una vendetta, o comunque un impedimento, da parte del Santo che si era visto sfrattato dalla propria secolare dimora. Per molto tempo i lavori di costruzione furono fermi, solo di recente si è giunti a una definitiva ristrutturazione dell’immobile. Questo clima di suggestione e superstizione, trovava un già fitto sostrato di leggenda sempre imperniato sui luoghi in esame. Vox populi, infatti, vuole che antichi rituali di iniziazione alla picciotteria locale fossero svolti proprio presso la chiesa di San Rocco. Uno in particolare è legato al periodo del brigantaggio, fenomeno che ha avuto nel nostro territorio una decisa presenza, come testimoniano le vicissitudini del brigante Lorenzo Benincasa. Tornando al rituale iniziatico, questo era atto a saggiare coraggio, audacia, sfrontatezza nonché l’obbedienza agli ordini dei nuovi accoliti della banda. Esso consisteva nel recarsi di notte – le notti

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di allora, nelle quali l’unico bagliore che rischiarava la strada erano la luna e le stelle – di fronte al santuario di San Rocco e una volta giunti innanzi al portone della chiesa, estrarre da una borsa un martello e un grosso chiodo: la prova (segretamente sorvegliata dai “padrini”) consisteva nel conficcare il chiodo completamente all’interno del legno del portone; durante le martellate andava recitata la seguente formula: Ti ‘nchijuavu e ti schijuavu ma ‘i cca ‘unn mi muavu! L’umidità della notte appesantiva le vesti lise, mentre ombre allungate affondavano nel freddo fulgore selenico. I racconti dei paesani – quasi rasentando la blasfemia – raccontavano di manifestazione fisiche di San Rocco, il quale, nascosto nel buio, con urla, calci, morsi e strattoni metteva in fuga i malintenzionati dalla propria dimora. Causa povertà e aspirazioni troppo rampanti, molti giovani si affacciavano ai nuclei di briganti dell’epoca. Diversi giovani si rifiutarono di sottoporsi alla prova per paura dell’ira del Santo, alcuni scapparono soltanto dopo aver appena poggiato il chiodo al sacro uscio, altri superarono la prova. Pare che uno di questi tanti giovani fu rinvenuto il mattino seguente privo di vita di fronte il portone; anziché essere accasciato in terra però, il corpo fu ritrovato in una strana posizione semi eretto con un braccio teso, attaccato al portone. La ricostruzione dei fatti evidenziò come il giovanotto, nella buia notte, con la fretta di finire il rituale, suggestionato dalle voci che si rincorrevano, intimorito dai rumori del buio, inavvertitamente infilzò col chiodo la manica della propria camicia affiggendola al legno. A lavoro ultimato, nel tentativo di fuggire via velocemente si sentì trattenere dal braccio, pensando alla rivalsa del santo, materializzatosi per vendicare l’onta della profanazione o credendo di essere stato catturato da uno spirito emerso dalle fosse funebri delle vicinanze, il cuore non gli resse e cadde a terra come corpo morto, con il braccio affisso al sacro portone. Una storia che fra principi religiosi violati, iniziazioni profane, condotte di vita dedite al malaffare, mostrano come a subirne le conseguenze maggiori, in fondo, siano sempre gli umili, disposti a tutto pur di cambiare in meglio la propria vita.

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sport

La posizione (in) naturale del braccio di Vincenzo De Sensi

Le nuove regole Uefa sul fallo di mano nel calcio si scontrano con le conoscenze della neurologia, secondo le quali alcuni movimenti degli arti in coordinazione non possono essere controllati. Durante là Domenica Sportiva della seconda giornata di campionato l’indimenticabile Pablito Rossi, capocannoniere del mondiale di Spagna ‘82, ha dispensato perle di saggezza ai telespettatori che seguivano la trasmissione. Presente negli studi di Rai-2 come commentatore ha criticato la nuova norma introdotta dalla Uefa secondo la quale va sanzionato non solo il tocco di mano volontario ma anche la posizione innaturale del braccio, che sussiste quando l’arto è in linea 0 sopra le spalle e comunque lontano dal corpo, anche se involontaria, a prescindere dalla distanza tra chi tira e chi poi colpisce la palla con la mano. La discussione ha preso il via da quanto accaduto nel derby Roma-Lazio. Milinkovic è stato colpito sul braccio omolaterale alla gamba con cui aveva cercato di opporsi a Dzeko. Il suo braccio però era in estensione per un meccanismo di reattività posturale spontanea che il cosiddetto test di Collins orizzontale, usato in neurologia pediatrica per valutare la coordinazione psicomotoria del bambino, evidenzia già a 6-8 mesi di vita: se si tiene sospeso un neonato per gli arti da un lato, lui estenderà prima il braccino e poi la gambetta libera dell’altro lato assumendo il cosiddetto atteggiamento dello schermo. E’ questo uno dei principi base dello svi-

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luppo psicomotorio che portano alla locomozione dell’adulto caratterizzata da buon controllo posturale, corretti meccanismi di raddrizzamento e di equilibrio, movimenti armonici e fasici, cioè finalizzati al sostegno e all’equilibrio quando ci si sta muovendo. La locomozione è infatti la capacità di spostare il corpo (e quindi il proprio baricentro) nello spazio conservando l’equilibrio: si tratta di una funzione attiva e non di una situazione passiva. “Né si possono ignorare la risposta d’equilibrio e il meccanismo di protezione contro le cadute commenta Alberto Priori dell’università di Milano, professore di neurologia all’Università degli Studi di Milano- ospedale San Paolo. Una situazione patologica che spiega che cosa può succedere in assenza di questi meccanismi automatici è la cosiddetta Sindrome della Spinta o Puscher Syndrome, una situazione paradossale che fa aumentare il disequilibrio in alcuni pazienti colpiti da ictus che nelle prime fasi dell’evento acuto usano l’arto superiore e inferiore risparmiati dall’ictus per spingersi lontano dalla metà sana del corpo invece di spostare il carico da quella parte e recuperare un po’ di equilibrio. Ciò perché i naturali meccanismi automatici sono saltati. Paolo Rossi che non è un neurologo ma ha una lunga esperienza sul campo di pallone, in trasmissione ha detto assai saggiamente che il movimento del braccio non è affatto innaturale, ma assolutamente naturale. La coordinazione posturale degli arti è infatti addirittura

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automatica e ciò taglia fuori anche il vecchio concetto di volontarietà: “Chi ha messo a punto queste norme calcistiche non ha idea di quale vespaio è andato a risvegliare dal punto di vista neurologico prosegue Priori. C’è ad esempio un disturbo del movimento chiamato atassia caratterizzato da mancanza di ordine e indica incoordinazione e goffaggine dei movimenti, i quali risultano alterati sia nella misura sia nella direzione, compromettendo le sinergie di postura e di equilibrio che sono sotto controllo sia conscio sia inconscio di sistemi centrali e periferici, come varie aree del cervelletto e del cervello, il sistema visivo, quello vestibolare e il sensitivo, superficiale e profondo. Quest’ultimo è a sua volta legato alla funzionalità dei nervi periferici, dei cordoni posteriori del midollo spinale, del tronco encefalico e del sistema talamico parietale. Come vedete non è affatto semplice. Anche se da come l’hanno descritto il cosiddetto movimento innaturale inventato dall’Uefa ricadrebbe nella categoria dei movimenti atassici ovviamente non lo è affatto e forse sarebbe stato meglio inventarsi una regola per cui da oggi in poi i giocatori debbano entrare in campo con le mani legate dietro la schiena come nell’Ullamaliztli degli antichi aztechi oppure usare il tronco invece delle gambe come fanno i messicani di oggi nel tradizionale gioco dell’Ulama dove si contendono la palla a colpi di ventre.

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riflessioni

1-Non chiamatela “Questione” ma Problema meridionale 2-“Adda passà a nuttata” MA NON SARA’ COME PRIMA! di Alberto Volpe

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E’, questa, una mia convinzione, e sul piano letterario che, più segnatamente, politico-sociale. Da meridionale, e calabrese, sono stato sempre contrario a quell’assioma che mi sa di beffa, oltre che di puro e vuoto slogan. E’ vero che in tanti hanno costruito fortune letterarie con quella definizione che sintetizzava la condizione del Sud, su un piano di confronto rispetto al resto del Paese. E’ ancora altrettanto vero che tanti esegeti, della letteratura e della politica, hanno scritto approfondite pagine di analisi circa la secolare empasse economica del Meridione d’Italia. Non v’è dubbio che dietro quelle ricerche-ricette vi era il quadro reale di un Sud che esprime ancora oggi un neo-feudalesimo. Ma, e qui la mia contrarietà ad iterare quella emblematica definizione, poiché non è giovato a rimuovere quei tanti lacci e lacciuoli, vien da chiedersi se ha senso continuare a chiamarla,appunto, “questione”, o se non fosse il caso affondare il bisturi, una volta individuata la motivazione, e definirla piuttosto e più concretamente e ragionevolmente “problema” meridionale. Tanto in considerazione del fatto che al meridionale piace avere un “padrone”. Sarà anche

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anacronistico. Ma di fatto, nel proprio delegato istituzionale,spesso con appartenenza politica saltuaria ed indifferenziata, si vuole riconoscere la certezza di un affrancamento, al solo scopo di ottenerne dei “favori”, e scorciatoie furbesche per scavalcamenti burocratici, economiche e /o giudiziarie, e certo di poterlo chiedere, pretendere ed ottenere. Così come non sa che, trovandosi nella posizione dell’altro,diverso o in contrapposizione al suo status, l’ottenimento di quelle “favorie” o favoritismi equivalgono alla negazione di un diritto equivalente,legittimo e certo. Ed è anche il burocrate o il politico di turno, con la sua “permeabilità” al ricatto e alla corruzione, che finisce per radicalizzare nel cittadino-contribuente la “convenienza” di quelle “corsie preferenziali” rispetto ad una corretta fruizione dello stato di diritto. Ed è proprio in funzione di quella sorta di privilegio puntualmente promesso e per lo più mantenuto, che le “parti” ,quella istituzionale che dovrebbe assicurare la legalità, e l’altra di utente di un riconosciuto servizio, è quel gioco delle parti che è alla base di una condizione retrò stagnante sotto il profilo democratico al Sud. Concetto ripre-

Una pandemia, pur se da Coronavirus, non è per sempre. L’intelligenza umana, e la ricerca l’avrà vinta un giorno,speriamo presto, sulla ennesima lotta contro il “nemico” invisibile di questi mesi. E, questa, sempre che le fameliche Case farmaceutiche troveranno una tregua ed un accordo per liberare l’affermarsi dello specifico vaccino antivirus. Tanto premesso ed auspicato, il futuro prossimo che ci attende non sarà all’insegna dello spreco e della corsa alla efficienza o al superfluo. Sempre più segnali ci vengono, dal mondo degli osservatori ed interpreti del contesto storico in fieri, e che parlano di recessione o depressione. Due termini di non positiva interpretazione, e neppure di facile digeribilità. Eppure ci si deve abituare che molto cambierà nelle nostre abitudini interpersonali, come nella tradizionale accezione valoriale dei beni comuni. Molto verosimilmente si tratterà di un Anno Zero che imporrà una rotta che dovrà far rivedere i “fondamentali” di una economia,sempre più globale, come globalmente è la epidemia che sta colpendo il mondo ed il pianeta. Quel virus che non chiede e “non ha passaporti”, per dirla con l’economista statunitense e Premio Nobel, Joseph Stiglitz, di fatto andrà a determinare una “crisi di sistema” governativo di ogni Paese. Crisi che va affrontata senza protezionismi discriminatori e discriminanti, ma sempre più alla ricerca di interventi metodologici nella economia mondiale che salvaguardino e tutelino il lavoro di tutti, quale reale ed unico strumento per quella “solidarietà” universale invocata e lapidariamente concepita dall’art 2 della nostra Costituzione. Si dovrà scegliere, ma la scelta sarà obbligata, su binomi come Lamezia e non solo

so con acume dalla scrittrice sarda Michela Murgia, quando riconosce al meridionale in genere una ammirevole capacità lavorativa nell’arte di arrangiarsi per una economia domestica e famigliare, pari a quella sorta di “fai da te” nel farsi giustizia da sé. Uno status che si traduce in vincolo e condizionamento nella direzione di un positivo e progressivo iter di una democrazia reale. Una “funzione educante”,questa, che dovrebbe sottintendere il “modus facendi” di amministratori pubblici e degli analisti dei fatti di cronaca politica. L’informazione, quella non asservita alle logiche di potere, ma quella ontologicamente fedele al suo ruolo e servizio, essa dovrebbe assicurare il compito e la grande responsabilità di far emergere le contraddizioni “problematiche” ancora restie a trovare soluzione al Sud. Un modo come indicare responsabilità individuale verso generazioni,prossime e future, che,spezzando e spazzando via una sorta di “analfabetismo di ritorno”, trovino la soluzione del “problema meridionale”, bruciando anche dei tempi, atteso che “non progredi, regredi est”, di agostiniana memoria. Ed, infine, LIBERIAMO tutti il Sud !

lavoro e profitto, su salute ed efficienza, e su questa ed sicurezza. In quella direzione e obbligatorietà di scelta si incontreranno dei “nervi scoperti” del nostro modus vivendi fino ad ieri. Si tratta di una battaglia non indolore nel momento in cui si dovrà virare verso la svolta che le condizioni stesse sarà indicata. Il cosiddetto “mercato” o la stessa finanza globale si dovrà piegare al bisogno vitale di un mondo che chiederà tutele per tutti. Ci vorrà CORAGGIO, che si dovrà cercare in chiunque e da parte di tutti alla ricerca di quei nuovi equilibri imposti dallo shock del post Coronavirus. Coraggio nel costruire una vera realtà socio-politica che dovrà essere degli Stati Uniti d’Europa, pronta e determinata senza tentennamenti ad intervenire per sostenere il debito pubblico di ogni partner. Tutto all’insegna di affrontare le criticità proprie, accumulate da una Politica poco accorta ma molto “sensibile” ai cosiddetti “mercati”. Sostegno al lavoro e ai salari, come indicava il giornalista economico Stefano Feltri, di cui non si può far carico solo lo Stato, e certamente non reiterando gli errori di pompare denaro pubblico verso aziende pubbliche palesemente in perdita costate, o con compensi liquidatori ad amministratori delegati senza scrupoli. Insomma, ci si presenta una “ripartenza” sacrificale, che richiederà sicuri quanto proporzionali sacrifici in ogni settore produttivo della Comunità nazionale ed europea. Asservire il profitto ad una politica dei bisogni: questa la “lezione” che viene dalla pandemia sanitaria in corso, senza dimenticare la “lezione” storica di solidarietà data proprio ad una Germania all’indomani dell’ultimo conflitto mondiale. “Qui aures habet, audiat” !

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sanità

EMERGENZA SANITARIA - COVID 19 - IN ITALIA RIFLESSIONI -12/03/2020/18/05/2020

di Annamaria Davoli

L’Emergenza sanitaria causata dal Covid 19, con le sue caratteristiche di diffusione rapidissime, gravissime e sconosciute, ha indebolito alcune certezze ormai affermate; ha fatto vacillare infatti, il modello di ‘Globalità sicura, forte e immune contro ogni patologia, interconnessa e onnisciente‘. Purtroppo, a causa di un virus sconosciuto e della sua capacità di mutazione e di rapida diffusione, in un mondo privo di difese immunitarie certe, questa sicurezza è divenuta incertezza. Paradossalmente l’ epidemia è stata sottovalutata e paragonata inizialmente a una banale influenza; quando ci si è resi conto delle sue caratteristiche molto più aggressive e letali, è stato troppo tardi: Il virus ha avuto così la capacità di diffondersi rapidamente, contagiando l’intero pianeta e uccidere migliaia di persone. Per quel che riguarda gli interventi sanitari, immensa ammirazione merita il personale medico e paramedico di ogni regione d’Italia, tra cui molti che, pur conoscendo il pericolo, non si son risparmiati, rimanendo inevitabilmente contagiati e spesso vittime dell’ epidemia. Le differenti istituzioni sanitarie, presenti sul territorio nazionale, nonostante la carenza di strutture adeguate, hanno dimostrato prontezza e capacità organizzative sia nei ricoveri sia nelle rianimazioni in terapia intensiva, manifestando complessivamente un’ottima ricezione nell’affrontare efficacemente l’assistenza ai pazienti. COM’E’ RISULTATO IL COMPORTAMENTO DI NOI CITTADINI ? CI SIAMO CONFORMATI ALLE NORME IMPOSTE ? IN CHE PERCENTUALE ? Gli Italiani sono stati in gran parte rispettosi delle regole, del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte il quale ha adottato come strategia opportuna e adeguata per limitare la diffusione di un virus sconosciuto e rapido, contenendo in qualche modo il contagio, il cosiddetto ‘lock down’ ovvero chiusura o quarantena: E’ stata vietata ogni uscita non necessaria ed essenziale per oltre due mesi, dal 23 marzo: Fase 1: ‘Lock down’ , fino al 18 maggio: Fase 2 , che non significa però, ‘liberi tutti di far quel che si vuole’, ma di uscire mantenendo comunque le distanze di circa un metro, indossando la mascherina protettiva. Probabilmente durante la ‘quarantena’, il pensiero di dover affrontare un nemico pericoloso, dovendo anche rinunciare a quasi a tutte le nostre abitudini quotidiane, ci ha un po’ sconvolto: Uscire, fare la spesa, incontrare i nostri cari o gli amici, abbracciandoli, esser costretti a lavarci continuamente le mani, a rimanere chiusi in casa per lunghi mesi: queste imposizioni purtroppo, il nostro inconscio non pag. 24

le ha accettate, ed ha attivato invece, talvolta delle risposte avverse e contrarie. Un momento di crisi, come quello che stiamo vivendo, può spingerci a volte ad agire in maniera irrazionale. Molte persone hanno infatti, violato le norme imposte; secondo le stime, le denunce di inflazione sono più di 130.000; questa cifra ci fa riflettere sul motivo di tale comportamento. Se migliaia di medici e infermieri si sono prodigati rimanendo vittime del virus, esiste un’altra parte d’Italia che anziché rispettare le norme imposte per fermare il virus, vìola tali norme, mettendo a repentaglio la salute di tutti quanti si siano sacrificati per mesi, rispettando invece le norme imposte dagli esperti? Cosa ha spinto queste persone ad assumere questo atteggiamento errato? L’ emergenza ha evidenziato molte cose, tra cui l’evidente difficoltà in un momento di crisi, di agire in maniera razionale, creando un ordine tra le reali esigenze e necessità, collocando in primo luogo il benessere della collettività, rispetto al proprio, che invece si è cercato di far prevalere. Come ho avuto modo di leggere su Facebook, qualcuno ha commentato negativamente riguardo la ‘quarantena‘ e la necessità o l’ opportunità di uscire, scrivendo questo: “ Dopo mesi di chiusura, mi sembra legittimo uscire e respirare un po’ d’aria, o andare al bar e bere un caffè “ Probabilmente alcuni non si rendono conto che, durante la Fase 2 e ancora per molto tempo, dovremo convivere col virus, come sostengono gli esperti; occorrerà quindi essere molto più prudenti, evitare assembramenti e continuare a rispettare le norme, prioritariamente per il benessere della collettività e poi per il nostro. Riflettiamo su questo: ......: Se in Italia vivono più di sessanta milioni di persone e se tutte insieme avvertono il desiderio di uscire a prendere un caffè, oppure di andare a correre o di andare al parco (desideri legittimi),se tutti agissero senza rispettare le norme, il virus come si comporterebbe ? Il virus non è razionale, noi sì. Cerchiamo di rispettare le norme per essere più veloci del virus e per sconfiggerlo e.... ANDRA’ TUTTO BENE!

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Lamezia e non solo


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