lameziaenonsolo ottobre 2020 incontra Paolo Giura

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L I À R I E USC

R B M E V A NO

O I R A D N E L A C O O N M I I T R E P M A L O T T IA E P O L C A A I IN D RENOTA LA TU BRERIA Nicastro 1847

P LI N I , E A T L N O E C I M TTA E IN ED R I D DO N A M A 44 8 1 2 . 8 6 O CHI 9 ALLO 0 Via del Progresso - Lamezia Terme • 0968.21844

2021

'U calendariu lametinu

«Le lingue romanze ufficiali, come l’italiano, sono in sostanza degli antichi dialetti che, per ragioni varie, hanno raggiunto un particolare prestigio: quanto mastichiamo nella comunicazione, in fondo, poi, nasce proprio dalle parlate locali di Dante, Petrarca e Boccaccio. Oggi, se è vero che i dialettofoni sono minori degli italofoni, corre comunque l’obbligo di ripercorrere all’indietro il fascino di tante nostre storie, fatte d’accenti ed espressioni intraducibili. Rinunciare a questa diglossia è perdere l’intimità col proprio territorio, finendo col distanziarsene; tutto ciò, appunto perché perdita, sarebbe un vero peccato, a mio dire!»

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Lamezia e non solo (Francesco Polopoli).


lameziaenonsolo incontra

di Nella Fragale

Paolo Giura

Giornalista, conduttore, autore, produttore radiotelevisivo, cercando Paolo Giura in rete si legge questo, sbaglio nel dire che l’amore verso “queste professioni” comunque legate fra di loro, le hai ereditate da tuo padre? Credo proprio di sì, mio padre oltre ad essere uno stimato professionista nel suo campo (era geometra) nel tempo libero non perdeva occasione per dedicarsi a qualche passatempo particolare, disegnava, scriveva, pubblicava poesie, articoli di giornale, veniva chiamato anche in Rai grazie a lettere interessanti inviate a trasmissioni che seguiva. Era geniale. Credo che con le opportunità di oggi forse avrebbe scelto un altro mestiere. Visto che abbiamo parlato di tuo padre, vogliamo fare un salto nel passato cominciando con un ricordo ? Chiaramente potrei scrivere tantissime pagine. Un momento particolare lo voglio ricordare. Ero veramente “incasinato” perchè avendo trovato la via giusta per proporre un programma radiofonico presso la sede regionale di Cosenza della Rai ancora non avevo ben chiaro, cosa di originale, proporre. Un giorno prima di andare al lavoro, io ancora nel lettuccio, mi svegliò e mi disse -...Perchè non proponi una versione radiofonica di candid camera, non lo ha fatto mai nessuno e potrebbe pia-

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cere...- Beh, era l’idea giusta mi inventai il titolo “Radiospia” e grazie all’intuito di mio padre lavorai per tre anni sull’allora Radioverderai quando ancora si potevano trasmettere programmi dalle varie sedi regionali. Che bambino è stato Paolo? Un bambino diligente o dispettoso? Ti divertivi a tirare i capelli a Rita? Rita in pratica era la prima “mission” di disturbo della mia vita, le stavo sempre dietro e se lei portava amichette a casa io ero sempre tra i piedi, diciamo piuttosto dispettoso. Cosa ricordi della tua fanciullezza? Dopo i 5 anni ci trasferimmo da Taranto a Lamezia e come tutti i ragazzi della mia generazione uscivamo di casa la mattina e tornavamo la sera tardi, scuola permettendo. Infinite partite a pallone, ogni angolo della città era buono e tanti, tanti, amici. E che studente è stato Paolo? Ti piaceva studiare? Questa parte evitate di farla leggere a mio figlio perchè ero uno studente piuttosto esuberante. Scappai dall’asilo nido delle “Monachelle” più volte per poi farmi ricorrere su tutto viale Primo Maggio. Alle elementari parlavo troppo e ogni tanto facevo qualche danno ai miei compagni di classe. Alle medie il pomeriggio scavalcavo ed entravo nelle cortile della Pitagora che frequentavo la mattina per giocare a pallone rompendo i vetri della scuola sistematicamente con successiva sospensione da parte del preside. Alle superiori fui bocciato un anno ed entrai a far parte di organizzazioni giovanili che certo non erano arrivate dalla parrocchia della chiesa vicina. In definitiva come profitto “ottimo” fino alla media, un disastro alle superiori e mi iscrissi anche all’università a Catanzaro a medicina... poi la radio mi “ammaliò”

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La scuola ieri ed oggi. E’ cambiata tantissimo, tu credi in meglio? E’ cambiata tantissimo ma credo che una parte fondamentale la debbano avere i docenti. Bisogna cercare di coinvolgere i ragazzi in qualche modo, il solo nozionismo non funziona e se i ragazzi vengono stuzzicati faranno la loro parte. Recentemente mi è arrivato un messaggio, che mi ha quasi emozionato, da un istituto di Corigliano Rossano dove ho effettuato, come formatore, un corso di “Public Speaking”. Spiegavo ai ragazzi come eliminare la paura di parlare in pubblico e come porsi nella vita reale e professionale davanti ad interlocutori anche sconosciuti. Li ho visti interessati, curiosi ed in effetti la tutor del corso mi ha poi scritto (erano ragazzi di quinta) - “Sicuramente ti stanno fischiando le orecchie, durante le interrogazioni da parte della commissione di esame stanno mettendo in pratica i tuoi suggerimenti e quando gli chiedono di qualche corso che hanno realizzato e che gli è piaciuto parlano in particolare del tuo...”.- Beh, una soddisfazione… Capisco che con latino, topografia, greco o diritto sia difficile ma se ci si pone bene con gli alunni, gratificando, investendoli in maniera positiva nelle lezioni per la materia in corso, la strada è in discesa. Il voto deve essere l’ultimo baluardo di arrivo. La risposta alla domanda è “sì, credo in meglio, credo negli studenti diventati formatori e nella nuova generazione”. Paolo tu sei sposato, hai un figlio, secondo te lui seguirà le tue orme? Così come i miei non mi hanno imposto nulla, anche io non impongo e non imporrò nulla ma la mia esperienza gli deve servire per capire bene quale strada affrontare e quali sono gli errori da non commettere. Sinceramente, dovesse chiedermi, non gli consiglierei di intraprendere la professione di giornalista, forse come hobby, nulla di più... Tornando a te, al tuo lavoro, quando hai deciso di muovere i passi verso questa professione cosa hai fatto? Le radio locali degli anni 70/80 mi hanno fatto innamorare di questa arte. Ricordo ancora quasi tutti i programmi dei vari speaker di allora. In effetti ci ho scritto anche un libro dal titolo “E passiamo

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alla prossima dedica” che parla in maniera approfondita della radiofonia locale dell’epoca. Sei giornalista da tanto tempo, ritieni che esista ancora la libera informazione? Difficile rispondere. Quando lavori per una testata comunque devi rispondere ad un editore ed alla sua linea editoriale che tu scriva per il Corriere della Sera o per lamezia.it. Ritengo invece che debba esistere la molteplicità delle testate giornalistiche in modo che la notizia esca fuori da angolazioni diverse in modo che il lettore abbia una idea a 360 gradi di ciò che viene pubblicato o detto. Sempre come giornalista ti è capitato di incontrare “ostacoli” per qualche tuo intervento? Bastoni fra le ruote imposti dalle forze dell’ordine, dalla censura o perché no, dalla politica? No, poche volte ma per cosucce non importanti e tutte le volte ho bypassato la richiesta di mitigare o togliere la notizia e gli editori con cui ho lavorato non mi hanno mai posto paletti rilevanti cioè che potessero ledere la mia dignità o autostima. Devo dire che non occupandomi di cronaca nera ed ‘ndrangheta questo mi ha un po’ facilitato le cose. Cronaca nera, cronaca rosa, cronaca “grigia” (esiste?), c’è un tipo di informazione da dare ai tuoi lettori verso la quale ti senti più propenso? Tutti i tipi di informazione sono un diritto per il lettore. Non ne esiste una in particolare per cui “mi sento più propenso”. Negli ultimi anni quella che parla di ambiente, ecologia ed economia circolare mi ha dato più soddisfazioni. Se tu dovessi parlare di te come giornalista come ti definiresti? Eclettico e poco propenso alle discipline di settore. La più grande soddisfazione e la peggiore delusione in questo ambito? Soddisfatto per aver trasformato un hobby in una professione. La delusione sostanzialmente la devo al mio operare. Sono stato da sempre un aziendalista, ho sempre corso per far vincere la squa-

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dra per cui lavoravo per me la priorità erano l’azienda ed i colleghi, considerando anche il tutto come una famiglia. Ho sbagliato e senza specificare chi e quando, visto che ho lavorato per più aziende, non mi aspettavo alcuni comportamenti. Dovevo tirare di più l’acqua al mio mulino pensando meglio al futuro, mio e della mia famiglia. Conduttore televisivo e radiofonico, ricordo ancora le trasmissioni televisive di “Video Soccorso”, mi permetto di dire che se aveste messo il copyright su quel tipo di programma, forse, oggi voi (e per voi intendo gli ideatori del programma) sareste ricchissimi perché, è innegabile, avete anticipato di anni programmi come “striscia la notizia” e “le iene”. Un ricordo particolare di quel periodo? Video Soccorso, in questo momento non può che farmi ricordare i colleghi scomparsi prematuramente, Marcello Le Piane, Alberto Ragozzino e Gianni Antonio Ruberto. Hai ragione, con quella trasmissione siamo stati precursori di tanti programmi nazionali che hanno avuto qualche spunto geniale che noi avevamo già realizzato. Gli episodi sono innumerevoli e tutti divertenti. Li sto appuntando in un nuovo libro che sto scrivendo, questa volta non

scorso rimandato allora, torniamo all’intervista. Hai condotto altri programmi, sia per emittenti lametine che nazionali, anche per la RAI sede calabrese, l’essere un giornalista aiuta nel mestiere di conduttore, sia televisivo che radiofonico? Cioè ti aiuta ad affrontare meglio un intervistato, a riferire le notizie, magari a saperti regolare con i tempi televisivi e radiofonici? Del giornalismo puoi imparare la parte tecnica, come impostare un articolo, come aprire una telecamera ma l’intuito, essere al posto giusto al momento giusto, capire che una storia o una persona può essere interessante, condurre una trasmissione capire quando stare zitto per far parlare l’altro, la tempistica radiofonica sono tutte cose che devi avere di tuo, in tanti con il tesserino in pochi con l’ingegno giornalistico. Non posso che darti ragione ... ci sarebbe molto da dire in proposito ma sorvoliamo. Oggi si scrive e si stampa molto meno, spesso si sente di testate storiche che chiudono i battenti e, chi continua ancora a stampare, offre anche la versione on-line. Credi che il giornalismo sarà sempre più un prodotto destinato ad internet? Purtroppo sì. Bisogna approfondire e capire meglio come la rete stia trasformando il nostro mestiere. Quando effettuo interviste, l’interlocutore non mi chiede più a che ora va in onda la stessa intervista per potersi rivedere in televisione ma chiede esclusivamente un link di riferimento su whattsapp e questo è un dato di fatto.

sulle radio ma sulle televisioni regionali calabresi, è quasi pronto mi manca l’ultimo capitolo che a breve terminerò prima però devo cercare un avvocato disponibile a lavorare per me gratuitamente per contrastare eventuali querele... e qui ci vorrebbe a seguire un bel faccino di emoticon con risata cinica. A proposito poi cercherò un editore, ne parliamo? Ne parliamo? Ovvio che sì. E da parte nostra massima apertura, nessuna censura, al limite ci rivolgeremo anche noi ad un avvocato (e questo non è un problema visto che ne abbiamo uno in famiglIa) per difendere i tuoi ed i nostri interessi! DiLamezia e non solo

Purtroppo, hai detto bene. E cosa rischia l’Informazione reale in questo caso visto che alcune “fake news” sono date per vere anche da importanti testate? Questo dipende dalla scelta dei giornalisti delle testate importanti ecco perché un professionista, pagato in base a contratti nazionali certificati, può effettuare la verifica della notizia e rendersi così autorevole. La promiscuità, contratti miseri, abbassano il livello di scelta delle notizie e del modo di raccontarle da parte di chi lavora nei siti internet e nei giornali allontanando di molto la verità. Tu sei anche, come abbiamo detto, autore e produttore radiotelevisivo, secondo te, la comprensione di quanto tu esponi è diversa fra chi segue le notizie in radio, tv o sulla rete e fra chi le legge sulla carta stampata? Ogni notizia, ogni forma di racconto deve essere impostato in base al mezzo di diffusione per essere compreso in maniera sicura. Veloce, in radio ed in video sui social, con maggiore approfon-

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dimento sulla carta stampata o in tv. Ritengo però che in tv se racconti in prima persona l’evento sia la forma migliore per esporre le notizie, il tuo modo di parlare, di esprimerti, di comunicare è molto più incisivo rispetto alla forza del contenuto e l’esposizione diventa più convincente per ciò che stai raccontando. Fra i programmi, da te ideati/condotti, ce n‘è uno che vorresti non avere fatto ed invece uno che vorresti continuasse nel tempo? Non ho pecore nere nelle trasmissioni effettuate, per l’aspetto positivo certo che, Video Soccorso, con la sua sottile ironia, poteva essere un buona arma per raccontare nefandezze e incongruità della nostra terra anche oggi ma Pierluigi Conte non ha più il furgoncino bianco per la troupe che ogni volta rubavano al fratello Raffaello e potrebbe essere difficile ripetersi… Si può affermare, senza tema di smentita, che oramai siamo sempre connessi, indipendentemente dall’età, dal lavoro che si fa, dalla cultura che si ha. Insomma conosciamo e, a volte commentiamo i fatti, senza assicurarci della loro veridicità, in tempo reale. Tutta questa informazione è positiva o ha lati negativi? A tirar le somme la considero positiva. E’ una forma immensa di democrazia che certamente ha i suoi buchi neri. Pensate ai governi autoritari in questi anni quante volte hanno bloccato facebook e i social in alcuni momenti particolari di protesta nei loro paesi. Preferisco una “abbuffata” di informazione piuttosto che l’infor-

mazione di un unico organo di partito. Ti sei mai pentito di questa tua scelta lavorativa? Mai...o meglio...ni.....insomma della scelta professionale di fare il giornalista no, delle scelte fatte nel privilegiare questo o quel tipo di comportamento, sì. C’è una peculiarità caratteriale che chi fa il tuo mestiere deve avere? Caparbietà, conoscenza del territorio e delle persone. Non si può stare dietro ad una tastiera per essere un buon giornalista, devi girare, conoscere, chiedere, capire ma sulla strada, tra la gente. Che futuro per la Calabria? Il Corona virus ci metterà ancora più in ginocchio di quanto già si sia? Spero positivo, tendenzialmente vedo sempre il bicchiere mezzo pieno. Il turismo potrebbe essere volano di successo per il nostro territorio ma lo diciamo da anni ed il covid certo non ci aiuta. Un dato è sicuro, niente più “lockdown” generalizzato perchè ci sarebbe una rivolta sociale incontrollabile. Spero nella scienza. Negli uomini che hanno fatto grande l’umanità e che possono dare un contributo effettivo per debellare questo virus. Poi penseremo nello specifico alla Calabria, all’Italia ed al mondo intero. Qual è la piaga peggiore che stiamo affrontando ? La burocrazia negli atti della pubblica amministrazione e l’incapacità ed inettitudine di alcuni impiegati pubblici. Sei impegnatissimo con il tuo lavoro, l’informazione non si ferma nei week-end o durante le feste, come riesci a conciliare gli impegni lavorativi con la famiglia? Spero di essere stato e di essere tuttora un padre e marito presente. Non mi sono mai fatto sopraffare dal lavoro. Questo equilibrio diventa complicato sulla parte economica. Ci sto lavorando...altra emoticon con risatina Che rapporto hai con la religione? Sono cattolico, cattivo praticante. Credo fermamente nello spirito religioso. Ritengo però che il mio spirito caratteriale, comprensivo mai superbo o invidioso e tollerante il

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più delle volte possa portarmi un giorno a fare richiesta di santità ...e qui emoticon che sbatte la mano in fronte. E di Papa Francesco cosa pensi? Mi piace. E’ un bene per l’umanità che ci sia. Ma … Paolo Giura nel tempo libero che fa? Legge, segue i programmi TV, va al cinema, ai concerti o … si gode la famiglia cercando di lasciare fuori tutto il resto? Lascio fuori tutto il resto anche se è difficile. Un po’ di tutto quello che hai detto, prediligo anche il calcetto, il mare... ed il cibo, sigh !! Non credi che l’epoca che stiamo vivendo abbia dei ritmi troppo veloci? Sì, ma tutti noi abbiamo la possibilità di scegliere se rallentare o continuare vertiginosamente, l’auto, allegoria dei nostri tempi, può essere veloce sta a te se premere l’acceleratore, io prediligo le discese a folle per non consumare benzina Domanda che faccio a tutti nel concludere: qual è il tuo sogno nel cassetto? Per esempio, svegliandoti domani … Ne ho tantissimi, alcuni si sono realizzati altri sono pronti per essere vissuti ed altri ancora probabilmente non si realizzeranno mai. Credo che la perseveranza sia l’anima per raggiungere un proprio sogno ed averne troppi a volte pregiudica il tuo vivere quotidiano. Cesare Pavese scrisse una piccola verità “le cose si ottengono quando non si desiderano più”. Proprio vero quello che ha affermato Pavese, quando smettiamo

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di volerle le cose accadono. Peccato non ricordarlo sempre! Paolo Giura, lo conosco da quando il padre, con entusiasmo e abnegazione ci aiutava, consigliava, supportava, ai tempi dell’uscita del nostro mensile, quando ancora si chiamava “di tutto un po’”. Paolo gli somiglia molto, non solo fisicamente (come si può notare dalla copertina che gli dedicammo quando ci lasciò) ma anche nel modo di pensare, di porsi, di essere. Paolo Giura svolge il suo lavoro con grande passione e, come è giusto che sia per chi fa la sua professione, ed è sempre pronto ad intervenire per fornire notizie reali. Per come la vedo io un giornalista è una persona “curiosa”, che vuole sapere, è una persona colta, non potrebbe non essere così, è una persona che deve stare al passo con i tempi, adeguandosi al mutare di essi, NON è una persona che chiudendo la porta lascia tutto dietro ad essa come se, fra vita lavorativa e personale vi fosse un muro e, a mio avviso, Paolo queste caratteristiche le ha. Inoltre è estremamente garbato e gentile e, forse, nonostante le irruenze giovanili, un po’ timido, comunque non riesco ad immaginarlo iracondo! Nel cercare la frase per chiudere l’intervista sono stata indecisa fra questa ed una di John Lennon, poi ho scelto questa perchè mi pare che rispecchi il suo modo di essere, non una vita vissuta alla ricerca spasmodica della felicità o del successo ma una vita vissuta con coerenza, con garbo e rispetto verso il prossimo. Dite la vostra verità, con gentilezza, ma senza reticenze e riserve. Vivete la vostra verità, con dolcezza, ma in maniera totale e coerente. Cambiate la verità con disinvoltura e in fretta quando la vostra esperienza vi porta nuove chiarezze. Neale Donald Walsch

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amici della terra

La STORIA della TERRA e degli UOMINI DOCUMENTA CONTINUI CAMBIAMENTI CLIMATICI (2)

Geologo Mario Pileggi del Consiglio Nazionale Amici della Terra - geopileggi@libero.it

Sulle oscillazioni climatiche che caratterizzano la storia della Terra e degli uomini e per le finalità evidenziate nel precedente numero di “LAMEZIAENONSOLO” sono da ricordare alcuni aspetti che hanno caratterizzato il passaggio tra le due epoche della più recente Era geologica, il Neogene. Tra la fine del Pleistocene e l’inizio dell’Olocene, si verificarono cambiamenti climatici con notevoli effetti sugli assetti idro-geomorfologici, sull’ambiente e sulla diffusione e sviluppo delle varie specie degli esseri viventi. Durante i periodi molto freddi e le Glaciazioni del Pleistocene, in particolare durante il massimo glaciale di 20000 anni fa, i ghiacciai, ovunque molto estesi, ricoprivano gran parte del territorio del Centro e Nord Europa, l’intero Canada, la Groenlandia e la zona settentrionale degli Stati Uniti. I ghiacci artici si estesero su gran parte d’Europa fino alle latitudini della Germania settentrionale, i ghiacciai alpini occupavano superfici molto più grandi rispetto a quelli odierni e anche le vette appenniniche erano avvolte da ghiacci perenni. I ghiacciai alpini erano cosi estesi che scendevano con i loro fronti fino alla Pianura Padana dove sono stati rilevati i depositi morenici.

La presenza di ghiacciai è documentata anche sui rilievi della Calabria. Tracce evidenti di vari Ghiacciai sono state rilevate tra 1900 e 2100 metri sul massiccio del Pollino, nel settore nord-occidentale della Regione e sui rilievi del massiccio silano. Alcune regioni del nord e centro Italia, come il Friuli Venezia Giulia, il Veneto, l’Emilia Romagna e l’Abruzzo, attualmente pag. 8

confinanti col Mare Adriatico, erano senza coste. Senza sbocco a mare era anche l’attuale Croazia. Sulle terre emerse si allungava il corso del Fiume Po. Nel periodo compreso tra 12.800 e 11.500 anni fa, denominato Dryas Recente, la temperatura media annuale sulla Terra era più bassa di circa 6-7 °C rispetto all’attuale. A causa dell’abbassamento del livello mare le terre emerse erano estese molto di più rispetto alle attuali e molte delle odierne isole e arcipelaghi erano uniti alla terra ferma dei vari continenti. L’abbassamento del livello del mare era stato così rilevante che i due continenti Europa e Asia erano uniti anche sul Bosforo; e il Mar Nero era diventato un lago di acqua dolce. Tra la fine della fase dell’ultima Glaciazione Wurm e l’inizio dell’Olocene, si registra un forte cambiamento climatico. Un cambiamento climatico che ha portato alla formazione dei principali assetti idro-geomorfologici e dell’ambiente attuale. Dopo l’inizio dell’Olocene, 11.700 anni fa, e la fine del Dryas Recente il clima cambia ed inizia il riscaldamento globale che porta agli attuali assetti geo-ambientali. Nei primi decenni l’aumento di temperatura annuale media fu di circa 7 °C. Le cause del cambiamento climatico e l’aumento delle temperature non sono state ancora ben individuate anche se molti dei massimi esperti le attribuiscono all’aumento dell’attività solare. La grande rilevanza del riscaldamento globale dell’inizio dell’Olocene è ben evidenziata nella seconda metà del secolo scorso da Alfred Heuß e Golo Mann, autori di un testo di Storia Universale dove si legge: «la transizione dalla forma di economia del Paleolitico superiore a quella mesolitica avvenne in tempi proporzionalmente rapidi e fu condizionata da grandissimi cambiamenti climatici». Di grande interesse in proposito risultano le descrizioni dei cambiamenti climatici e degli effetti sugli assetti idro-geomorfologici, sull’ambiente e sulla diffusione e sviluppo delle varie specie degli esseri viventi nei vari testi come The Singing Neanderthals e The Prehistory of the Mind: The Cognitive Origins of Art, Religion and Science scritti da Steven Mithen docente di Archeologia presso l’Università di Reading. Durante l’Olocene e con l’inizio del riscaldamento globale i ghiacciai incominciano a sciogliersi e inizia ad alzarsi il livello dei mari. Si modificano gli assetti idro-geomorfologici con la riduzione della estensione delle terre emerse mentre aumenta la superfice ed estensione dei mari. Con la crescita del livello del mare i continenti iniziano ad assumere l’aspetto che hanno attualmente. La varie forme di vita terrestre e acquatica, con rilevanti fenomeni di spostamenti e migrazioni, si diffondono e sviluppano adattandosi alle nuove condizioni climatiche e differenti assetti geo-ambientali. Sull’entità delle modifiche e arretramenti delle linee costiere prodotte dall’innalzamento del livello dei mari è da considerare la scomparsa dei Ponti naturali come quelli che univano Africa e Madagascar, Giappone e Asia, India e Ceylon, Nuova Guinea e Australia. Col cambiamento climatico l’acqua del mare scioglie i ghiacciai presenti nella Baia di Hudson e nel Mar Baltico e si formano sia nuovi bracci di mare come il Golfo Persico e il Mar Rosso sia nuovi stretti come lo Stretto della Sonda, il Mar di Marmara e il Mare di Bering. Intorno al 7.500 a.C. avviene la nascita del Canale della Manica che separa Gran Bretagna e Irlanda dal continente europeo. Intorno al 6000 a.C. le acqua del mare invadono la Baia di Hudson e mille anni dopo inizia l’inondazione dell’esteso deposito morenico del Dogger Bank. Intorno a 7000 anni fa le isole greche si separano

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dall’Anatolia. Nello stesso periodo le acque marine sommergono l’antico “Ponte naturale” che univa la Sicilia alla Penisola del Bel Paese e, quindi, al continente europeo. La Sella sommersa nello Stretto di Messina è attualmente situata a una profondità di 81 metri e le acque marine separano la Sicilia dalla Calabria.

Sulla rilevanza dei processi di evoluzione geomorfologica nell’area dello Stretto di Messina, anche in relazione al recente richiamo del Governo al progetto di collegamento e alla campagna “Io Non Rischio” di questo mese di ottobre 2020 della Protezione Civile, è utile ricordare quanto evidenziato dall’Ing. Cortese nel capitolo dedicato alla “Geotettonica e Sismologia” della “Descrizione geologica della Calabria”, considerata l’opera scientifica più importante sulla geologia della Regione. Nello stesso volume, Cortese, oltre a spiegare l’andamento di tutte le fratture e i dislocamenti dell’Arco CalabroPeloritano, evidenzia la stretta relazione tra i danni provocati dai terremoti e le imponenti faglie che attraversano la Calabria. E, tra l’altro, indica perché “le azioni più forti, e quindi le rovine maggiori, si raggiungono in strisce parallele alle linee di frattura”. Per favorire il recupero della memoria storica, necessaria per stimolare le classi dirigenti ad agire per i necessari interventi di prevenzione sia per i cambiamenti climatici che per la sismicità che caratterizzano il territorio, giova richiamare la rilevanza dei fenomeni di sollevamento e abbassamento osservati nello Stretto dall’Ing. E. Cortese, scienziato di fama internazionale e autore, tra l’altro, degli studi per la realizzazione d’importanti opere come le prime ferrovie e in particolare la Eboli - Reggio Calabria. Cortese, evidenzia come: “A Sud di Punta del Pezzo il bradisismo sussiste ancora ma produce abbassamento invece che sollevamento. E il movimento è chiarissimo e relativamente rapido. Le sue testimonianze sono manifeste anche a chi come lo scrivente dal 1880 ha soggiornato sulle rive dello stretto, e citeremo quelle osservate, insieme ad altre tolte dal libro del Carbone-Grio.” Lo scienziato, ad esempio, cita: “La rada di Pentimele va a scomparire perché sparisce la punta che la chiudeva a Sud”; e “La spiaggia di Giunchi si immerge gradatamente, e tutte quelle davanti a Reggio sono in continuo abbassamento”. Poi prosegue: “Dove si fanno gli stabilimenti di bagni, la spiaggia compresa tra il mare e la ferrovia va continuamente restringendosi, e ciò è visibilissimo nei pochi anni tacche la ferrovia fu costruita.” Nella dettagliata descrizione dei rapidi movimenti del suolo Cortese fa due esempi di edifici che si abbassano: - uno storico di antica realizzazione: “Il Castello a mare di Reggio è per metà demolito; le mura cadono a mare; eppure nel 1848, mentre le artiglierie erano rivolte contro la città, i giovani insorti lo girarono dalla parte del mare, a piedi asciutti, perché vi si stendeva la spiaggia.” - e l’altro di realizzazione recente: “Il nuovo macello costruito 10 o 11 anni sono, è in parte demolito dal mare che ha già preso possesso di una parte delle fondazioni.” I molteplici e rapidi processi di evoluzione morfologica nello Stretto di Messina rilevati da Cortese, tra l’altro, documentano rilevantissimi Lamezia e non solo

episodi alluvionali delle fiumare e contemporanea riduzione dei litorali reggini. Processi di notevole importanza anche scientifica e specifici del contesto che Cortese così descrive: “dalla Punta del Pezzo a Capo Spartivento, la costa riceve grosse fiumare le quali, nell’ultimo trentennio specialmente, hanno fatto danni enormi per le grandi quantità di materiali detritici che hanno portato, devastando coltivati, seppellendo vigne e giardini. È incalcolabile il volume di materie solide che quelle larghissime fiumare hanno trasportato in mare, e tuttavia le spiagge non solo non sono in aumento, ma vanno notevolmente diminuendo.”

“Il Capo Cenidio - aggiunge Cortese - appartiene dunque ad una linea di fulcro, intorno a cui la Calabria fa attualmente un movimento di altalena, alzandosi a Nord ed abbassandosi al Sud. Dico attualmente, perché è probabile che in un epoca anteriore il movimento fosse diverso, e assolutamente l’opposto dell’attuale.” Dopo aver spiegato il motivo dell’alternarsi del verso dei movimenti, Cortese evidenzia come “di questi palpiti della superficie emersa specialmente in regioni prossime a linee o centri sismici abbiamo molti esempi.” I notevoli fenomeni dei rapidi sollevamenti e abbassamenti rilevati dall’Ing. Cortese sono confermati dai moderni strumenti di misura satellitari. Così come trova conferma il progressivo allontanamento della costa calabrese da quella siciliana negli ultimi duemila anni. In particolare, al tempo in cui Plinio il Vecchio scriveva la “Naturalis historia”, circa 2000 anni fa, la distanza, tra Capo Peloro e Capo Cenidi (Punta Pezzo) risultava di 12 stadi, cioè circa 2,2 Km. Attualmente, invece, la distanza tra Calabria e Sicilia è di circa tre Km. La rilevanza dei movimenti nello Stretto e sulle coste della Regione non si limita alle terre emerse. Assieme ai palpiti ai quali accenna Cortese ci sono da considerare anche i rapidi movimenti di grandi masse di acqua salata: i maremoti che hanno sempre accompagnato i forti terremoti nella zona. Eventi ben evidenziati, ad esempio, in un sito a Sud di Scilla, dove un masso ricoperto di coralli, delle dimensioni di 20 metri cubi e del peso di 5 tonnellate, è stato spinto 2 metri sopra l’attuale livello del mare. Lo stesso sito, ignorato da molti calabresi, è oggetto d’interesse e visite guidate di studiosi di vari centri di ricerca italiani e stranieri.

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cultura

Salamina 2500 anni fa: la battaglia che decise le sorti dell’Occidente e il suo lascito per l’oggi di Giovanna De Sensi Sestito dalla consapevolezza di altre, latenti, minacce analoghe capaci di coinvolgere tutta la popolazione del pianeta. Non sappiamo ancora se e quanto ne usciranno rafforzate le politiche sovranazionali di difesa comune dell’economia, dell’ambiente, della popolazione mondiale, o se piuttosto si aprirà la strada ad ancor più forti polarizzazioni e diseguaglianze economiche, contrapposizioni ideologiche e quant’altro. In questo anno 2020 ricorrono 2500 anni da quel 480 a.C., che segnò per la Grecia uno spartiacque, nulla sarebbe più stato come prima. In quell’anno la Grecia si trovò ad affrontare un evento epocale che avrebbe deciso il suo annientamento o la sua sopravvivenza. Un evento che sancì l’appartenenza dell’Europa all’Occidente e pose allora le basi dell’Europa di oggi.

tacco persiano (490 a.C.). La morte (484 a.C.) aveva impedito a Dario di sferrare un secondo e più potente attacco contro tutti i Greci, ma s’era incaricato di portarne a termine il disegno il figlio Serse: aveva radunato centinaia di migliaia di truppe e navi in Asia Minore per invadere la Grecia e aveva fatto costruire sul Bosforo due ponti di barche per consentire il passaggio dell’immenso esercito in Europa. Nel giugno del 480 a.C. l’esercito persiano attraversava l’Ellesponto e la flotta veleggiava verso il porto di Terme in Macedonia, il cui re, Alessandro I, s’era affrettato a fare atto di sottomissione al Gran Re. Di fronte al pericolo incombente, diversi

2.L’evento storico 1.Premessa.

Nell’ancora breve storia del XXI secolo l’anno in corso, il 2020, sarà ricordato come l’«annus horribilis» della pandemia mondiale da Covid 19, dell’adozione di dolorose misure di contrasto alla sua diffusione, di provvedimenti eccezionali e restrittivi della libertà personale nel tentativo di mitigarne gli effetti devastanti sul tessuto sociale ed economico dei vari stati, ma anche come l’anno della moltiplicazione di ricerche congiunte da un capo all’altro del mondo per scoprire terapie efficaci e vaccini possibili, sotto la regia dell’organizzazione mondiale della sanità, dell’obbligato riconoscimento dell’interdipendenza globale e della riscoperta necessità di una forte e decisa risposta comune ai problemi globali (difesa dell’ambiente, riscaldamento globale, inquinamento, povertà, migrazioni di massa ecc.). È fuor di dubbio che ci troviamo di fronte ad un evento storico di portata epocale, di quelli che possono essere considerati tali in quanto capaci di sconvolgere gli assetti esistenti e di innescare esiti imprevedibili i cui effetti si misurano nel tempo. Non sappiamo ancora quanto durerà, quando potremo dire di essercela messa alle spalle, quanto ci lascerà segnati da una minaccia globale, sperimentata per la prima volta e pag. 10

L’onda d’urto della potenza persiana protesa a creare un impero universale, che sotto Ciro il Grande e sotto il figlio Cambise aveva travolto regni e città dell’Occidente asiatico e del Mediterraneo orientale inglobando Babilonesi, Lidi, Greci d’Asia minore, Fenici, Ebrei e l’Egitto dei Faraoni, premeva ormai minacciosa sul confine dell’Europa. Il re Dario aveva spento la velleitaria rivolta degli Ioni che s’erano proclamati indipendenti con la distruzione di Mileto (499-494 a. C.) e la sua spedizione punitiva contro le due sole città greche che avevano osato portare aiuto ai compatrioti, Eretria ed Atene, era riuscita solo contro la prima, perché a Maratona gli Ateniesi avevano eroicamente respinto l’at-

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popoli greci, sospeso ogni conflitto in corso tra loro e all’interno delle varie città, si erano già riuniti sull’Istmo di Corinto per predisporre una difesa comune sotto il comando di Sparta e di Atene Pochi erano i passaggi abbastanza stretti per poter sbarrare la strada ad un esercito tanto numeroso. La scelta di tentare una linea di difesa alle Termopili abbandonò

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nelle braccia del Persiano i popoli della Grecia settentrionale, Tessali e Beoti. L’eroica e tragica resistenza di Leonida e dei 400 spartani alle Termopili alla fine di luglio non risparmiò ad Atene la furia distruttiva di Serse, ma le diede il tempo di evacuare la popolazione e metterla in salvo nell’isoletta di Salamina. L’intuizione di Temistocle di provocare la battaglia navale negli spazi ristretti tra l’isola e l’Attica, fu un capolavoro di lungimiranza strategica e di capacità di persuasione da lui esercitata sui comandanti spartani: davanti a Salamina l’agile flotta degli Ateniesi e degli altri greci potette intrappolare e distruggere gran parte della sovrastante flotta del re persiano e costringere alla fuga il resto delle navi e lo stesso Serse. L’anno seguente ci sarebbe stata anche la vittoria campale a Platea e altri successi navali nelle acque dell’Egeo sarebbero venuti dopo, ma fu la vittoria di Salamina a cambiare il corso degli eventi e a determinare l’esito della guerra.

3.Le sue conseguenze

Atene, coi campi devastati e la città distrutta, ne usciva vittoriosa e consapevole che si sarebbe giocato il suo futuro sul mare, contendendo l’Egeo ai Persiani e facendosi campione della libertà di isole e città greche dell’Asia Minore, creando allo scopo la prima grande lega navale. Ne usciva vittorioso nel suo complesso il fronte ellenico, che nell’unione sperimentata nella difesa comune delle patrie, delle case, dei templi degli dei, della propria civiltà e cultura, aveva riscattato la libertà di tutti, anche di quelli che s’erano consegnati al Persiano, e aveva finalmente trovato più forti e profonde ragioni di identità comune, del sentirsi e chiamarsi tutti «Hellenes», appartenenti a varie stirpi e a un migliaio di città, ma tutti orgogliosamente «Greci» contrapposti agli altri che ‘balbettavano’ altre lingue, e dunque «Barbari». Ne usciva vittoriosa e libera l’Europa, che il Re persiano aveva pensato di poter sottomettere e aveva provato ad aggiogare all’Asia con ponti di barche, commettendo agli occhi dei Greci un sacrilegio punito dagli dei, come ci ricordano “I Persiani” di Lamezia e non solo

Eschilo. Da allora in poi la Persia avrebbe tentato di ripristinare il proprio controllo almeno sulle coste dell’Asia Minore alimentando con le sue ricchezze le divisioni tra i Greci fino a quando, 150 anni dopo, Alessandro Magno non si incaricò di abbattere quanto restava della potenza persiana e di estendere la cultura ellenica fin quasi all’Indo. Della supremazia allora acquisita dai Greci sull’Oriente si sarebbe fatta erede per molti secoli Roma.

4.Attualità del messaggio nell’Italia e nell’Europa di oggi

Merita sottolineare che l’Occidente, con la sua civiltà, la sua storia, i suoi valori irrinunciabili, ha la sua prima radice in quella

vittoria di Salamina, che ha ancora qualcosa da rammentare agli Europei e agli Italiani di oggi. Di fronte a una minaccia comune, la prima cosa da riscoprire è la propria identità, che contiene in sé le ragioni dell’unità. C’è voluta la pandemia che sembrava accanirsi contro le nostre regioni più dinamiche e produttive per assistere a quella esplosione di «italianità» di cui ci siamo sentiti tutti partecipi, da un capo all’altro del paese, nei mesi della chiusura totale o «lockdown»: accantonati d’incanto i particolarismi regionali, abbiamo sperimentato il valore patriottico dell’Inno d’Italia e della bandiera tricolore, con tutt’altra intensità e partecipazione corale che per qualsiasi altra occasione, da una partita della Nazionale di calcio ai volteggi delle Frecce tricolori. E dell’identità italiana abbiamo riscoperto il valore attraverso i tanti video sulle straordinarie risorse naturali e culturali e sulle eccellenze italiane che in forma virale hanno intasato la rete e alimentato un orgoglio nazionale che conti-

nua ancora a scaldarci il cuore. Di fronte alla minaccia comune, anche l’Unione Europea sembra aver riscoperto le ragioni nobili e ideali di unità dei padri fondatori, a lato se non proprio fuori dalle logiche economicistiche, nella solidarietà comune, nella condivisione dei problemi e dei rischi, nel sostegno dei paesi in maggiore difficoltà, nella collaborazione scientifica solidale nella ricerca di un vaccino da rendere disponibile per tutti ecc. Nel vincolare la destinazione delle ingenti risorse messe a disposizione dei vari paesi, Italia in primis, sta mostrando lungimiranza strategica a sostegno della ripresa economica, della formazione delle nuove generazioni, dell’innovazione tecnologica e della difesa ambientale, della difesa della libertà e del valore della democrazia contro gli assolutismi e gli egoismi nazionalistici. Di analoga lungimiranza strategica ha bisogno l’Italia per trasformare, come fece l’Atene distrutta ma vittoriosa a Salamina, per trasformare un pericolo estremo e una rovina materiale in una straordinaria opportunità per rinsaldare le ragioni dell’unità nazionale ed europea, allargare gli spazi della democrazia, rilanciare su nuove basi l’economia, potenziare il suo sistema di formazione, dalla scuola all’università e alla ricerca, che ha perduto colpi per scimmiottare sistemi stranieri ma resta uno dei migliori sistemi nel mondo, come dimostrano i tantissimi giovani professionisti e scienziati italiani che hanno cercato la loro strada nei vari stati del pianeta. C’è solo da auspicare che la ragion d’essere dell’Occidente, coi suoi valori e la sua tradizione plurimillenaria, resa possibile dalla vittoria di Salamina, esca rinnovata e rafforzata da questa pandemia e che il 2020 sia ricordato in futuro come l’anno della svolta verso un ordine mondiale più equo, più solidale, più rispettoso dell’ambiente e delle popolazioni mondiali: ne va della sua stessa sopravvivenza.

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eventi

La storia di Sergio Dalla Volta.

Morire SOLI per rispetto dei protocolli. di Salvatore D’Elia

L’emergenza sanitaria – ho avuto modo di raccontarlo nelle pagine del mio diario di quarantena (“Tra me e me, tra me e il mondo. Diario di una quarantena. Grafiché Editore) – ha stravolto alcuni aspetti che riguardano l’intimità dell’uomo, alcuni gesti quotidiani e normali che contraddistinguono la natura più profonda della nostra umanità. Ma ce n’è uno in particolare che ha fatto venir meno, nei mesi più duri della pandemia e ancora oggi, quell’atteggiamento connaturato all’uomo che esprime la pietas umana, quella compassione che sostiene e dà forza nel momento culminante della vita di ogni persona: l’essere vicini a chi si sta spegnendo, a chi chiude gli occhi a questa vita. Ancora oggi è così. Lo è stato nei mesi tragici di marzo e aprile, quando le terapie intensive erano piene e l’attenzione mediatica era monopolizzata dalle immagini di ospedali in cui donne e uomini morivano separati dal resto del mondo, da una grigia stanza e da una lastra di vetro. Ma lo è ancora oggi. I protocolli emergenziali non sono cambiati. Ancora oggi sono fortemente limitate, spesso a un solo accompagnatore, le presenze negli ospedali per stare accanto a chi soffre e si sta curando. Nei casi di positività al Covid-19 la situazione è praticamente rimasta identica: si muore soli e isolati. Vanno dritte al cuore le parole di Maurizia Dalla Volta, una delle due figlie di Sergio Dalla Volta, cardiologo di Padova di fama mondiale, colpito da infarto ad agosto, ricoverato in terapia intensiva all’ospedale di Padova e lì risultato positivo al Covid 19. “Intubato, sofferente e solo come un Cristo in croce. È morto così nostro padre, senza il conforto della mano di una figlia sulla sua, in una sofferenza psicologica disumana di cui ero testimone quando lo vedevo sul tablet, pur essendo a cinque minuti dall’ospedale…” così descrive al Corriere della Sera le ultime ore del padre Sergio, mostrando ancora una volta il dolore su dolore di una morte isolata, lontana dagli affetti più cari, dove il desiderio di donare un’ultima carezza al proprio padre o alla propria madre deve bloccarsi di fronte al protocollo per essere sostituito dal tocco freddo dello schermo di un tablet. Sergio non era propriamente un paziente Covid: è la stessa figlia a ricordare, nell’intervista al Corriere, che suo padre aveva scoperto la positività al virus in seguito al ricovero in ospedale e che il tampone evidenziava una carica virale piuttosto bassa. Ma è scattato immediatamente il pag. 12

protocollo. Sergio Dalla Volta, che ha speso tutta la vita per studiare e tentare di guarire i cuori degli altri, se ne è andato con una ferita nel cuore che nessuno avrebbe mai potuto curare: la distanza dai figli, l’impossibilità dell’ultimo abbraccio, dell’ultima carezza. Unica deroga concessa alle due figlie di Sergio, la possibilità di rendere omaggio alla salma del padre. Da qui l’appello di Maurizia Dalla Volta: “Proprio in virtù di questa fattibilità chiederei alle autorità italiane di rendere regolarmente accessibile alle famiglie la possibilità di vedere un’ultima volta i loro cari. E chiederei anche che venga concessa, con le dovute precauzioni, la visita ai parenti in fin di vita. Non averlo potuto fare per nostro padre resta un trauma dolorosissimo perché viola una necessità fondamentale iscritta da sempre nel dna dell’essere umano. È una crudeltà inutile e ingiustificata dai numeri. Ma quale deriva etica terrificante è quella di una società in cui queste cose sono permesse al consumatore, all’homo economicus, al quale si aprono bar, ristoranti e stadi con la sola accortezza di una mascherina, mentre ai figli non è concesso di andare a salutare i padri morenti, neppure bardati come astronauti?” Le parole di Maurizia Dalla Volta ci mettono per l’ennesima volta di fronte a una realtà che, pur nella parziale normalizzazione di questi mesi, continua a restare “disumana”. Se le ragioni della salute pubblica impongono determinate scelte, l’altra faccia della medaglia è una vita in cui anche i gesti più naturali, che riguardano la compassione umana, vengono regimentati attraverso dei protocolli. L’epidemiologo dell’Università di Pisa Pierluigi Lopalco ha parlato del “pericolo enorme di una sanità pubblica difensiva”, che manda in tilt tutto il sistema. Ma soprattutto manda in tilt le nostre vite. Non priviamoci della nostra umanità per “eccesso di prudenza.” E l’appello delle figlie di Sergio non è caduto nel volto. L’azienda ospedaliera di Padova, la prima in Italia, ha iniziato a rivedere i protocolli per consentire le visite dei familiari ai loro cari nelle ultime ore di vita. In una vita dove, come scriveva Leopardi, è a rischio di morte persino l’atto stesso di venire al mondo, non priviamoci della compassione dell’ultimo saluto, dell’ultima manifestazione di affetto. Restiamo umani, fino alla fine. Soprattutto alla fine.

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cultura

Celebrata al santuario di S. Antonio la solennità di S. Francesco d’Assisi

“Sull’esempio di Francesco, siamo chiamati a farci promotori di una cultura della fraternità anche nella nostra diocesi. L’enciclica di Papa Francesco ci indica una direzione: fratelli di tutti e con tutti. Nessuno escluso”. Così il vescovo Giuseppe Schillaci che ha presieduto la celebrazione eucaristica nella solennità di S. Francesco d’Assisi al santuario di S. Antonio di Padova. La sequela di Cristo “sulla strada della piccolezza, imitando Gesù che si è spogliato per farsi servo di tutti”, accogliere l’invito alla fraternità universale, consacrarsi al servizio degli altri come Cristo si è fatto servo sono i tratti della figura di Francesco richiamati dal vescovo che ha sottolineato come “per Francesco d’As-

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di Salvatore D’Elia

sisi esisteva una sola regola: seguire il Vangelo di Gesù Cristo sine glossa. Spesso anche noi siamo tentati di fare intellettualismi sul Vangelo, di immaginare chissà quali programmi per il nuovo anno, ma in realtà la strada è una sola: seguire il Vangelo come lo ha seguito Francesco. O si prende sul serio il Vangelo oppure si rischia di annacquarlo. Dopo la sua conversione Francesco aveva fisso nella mente e nel cuore soltanto il desiderio di conformarsi a Cristo e dalla comunione con Cristo nasceva la sua fratellanza con tutti gli uomini. Se pensiamo che Francesco chiamava fratello persino il lupo, ci rendiamo conto di cosa sia la fratellanza che siamo chiamati a vivere con tutti. Francesco ci indica la strada per seguire Cristo: la strada della piccolezza, dell’umiltà, del servizio, della fratellanza”. Dalla crisi della pandemia, per il vescovo Schillaci, “ne usciremo. Ma ne usciremo solo insieme. Come persone aperte le une alle altre, creando una cultura della fraternità” All’inizio della celebrazione, a nome di tutta la comunità dei padri cappuccini di S. Antonio, il nuovo guardiano del convento fr. Giuseppe Sinopoli ha salutato monsignor Schillaci ringraziando il vescovo “per la presenza in un giorno particolare per noi frati cappuccini, in cui festeggiamo il padre e fondatore della grande famiglia francescana. Ci sentiamo accompagnati dalla sua presenza paterna e vogliamo sentirci sempre più Chiesa, nello stare insieme e nello spirito di fraternità”. La sera del 3 ottobre, a celebrare il transito del padre S. Francesco, momento di preghiera che tutta la comunità francescana vive ogni anno in comunione con i frati di Assisi, il vicario generale della diocesi don Pino Angotti. La festa del Patrono d’Italia al santuario di S. Antonio è stata preceduta dalla novena animata dalla fraternità dell’Ordine Francescano Secolare “S. Elisabetta d’Ungheria”.

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riflettendo

L a C alabria celebrata dai versi di Pierluigi Mascaro R affaele T alarico Mani contadine/ hanno fatto le tue colline/ e canti di donne/ modulato gli orizzonti/ e fresco di labbra/ i verdi silenzi/ e profondi occhi/ i tuoi tramonti/ e schegge di preghiera/ i brevi monti/ e lacrime d’attesa/ il verde mare/ e le tue madri/ disperato amore,/ sole zagare e vento/ il tuo parlare. E’ questa, Calabria verdi silenzi, una delle liriche più belle, a mio modo di vedere, tra quelle composte da Raffaele Talarico, poeta, artista e fine intellettuale calabrese di nascita e di cuore, al fine di celebrare la nostra amata, affascinante e a tratti misteriosa terra. Devo ammettere che ho conosciuto l’Autore solo recentemente, in occasione della presentazione dell’ultima raccolta antologica che porta il suo nome, “Le radici del tempo”, curata dal Professor Filippo D’Andrea ed edita da Grafiché Editore a Lamezia Terme, e sono rimasto sin da subito profondamente toccato dalla straordinaria forza comunicativa insita nei suoi versi, dalla loro naturale attitudine a stimolare riflessioni profonde, a suscitare sensazioni originali e autentiche nella mente e nel cuore del lettore o, meglio ancora, dell’uditore, giacché le liriche di Raffaele Talarico si prestano più ad essere decantate, con tono deciso e fluido, ma al contempo dolce e familiare, che lette, al fine di poterne assaporare fino in fondo la grandezza di significato e l’armonia di stile, attraverso un orecchio attento, acuto ed ispirato. In Calabria verdi silenzi, l’Autore omaggia la terra natìa pag. 14

di

mettendo in risalto, sin dai primi versi del componimento, l’inscindibile vincolo che la lega a noi calabresi, tanto a quelli che mai hanno smesso di abitarla, quelle mani contadine che, con incessante lavoro e sudore di fronte, hanno plasmato i verdi paesaggi collinari, quanto a quelli che, come lo stesso Poeta, anche quando si sono allontanati fisicamente, hanno lasciato in Calabria parte pulsante del proprio animo e desiderano ardentemente farvi ritorno, simboleggiato dal verde mare fatto di lacrime d’attesa, dal disperato amore che anima le madri nell’attesa di riabbracciare i figli che a malincuore hanno dovuto lasciar andare incontro al destino. In questa lirica, è la Calabria stessa a sembrare personificata, è la terra che si identifica col frutto delle proprie viscere: così i tramonti mozzafiato sulla costa tirrenica sono mirabilmente assimilati dal Poeta ai profondi occhi di una giovine donna che sperimenta il primo amore, o il vento, che teneramente accarezza un soleggiato e profumato agrumeto, diviene metaforicamente il tuo parlare, la voce materna e soave con cui la terra di Calabria chiama a sé i propri figli ovunque si trovino. Credo che le numerose liriche di Raffaele Talarico dedicate alla Calabria possano essere considerate, nel loro insieme, una sorta di “manuale d’istruzioni” al fine di conoscere, ricordare e principalmente amare la nostra meravigliosa regione.

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associazionismo

Passaggio della Campana Lions Club Lamezia Terme Host Distretto 108Ya - Anno sociale 2020/2021 Governatore Dott. Antonio Marte

di Antonio Perri In data 24 Luglio 2020, nella suggestiva cornice di Villa Grandinetti a Nocera Marina (CZ), si è svolta la cerimonia del Passaggio della Campana del Lions Club Lamezia Host tra la Presidente outcoming Avv. Anna Motricca e la Presidente incoming Prof.ssa Annamaria Aiello. La cerimonia si è tenuta alla presenza di prestigiose autorità Lionistiche quali il Vice Governatore Avv. Francesco Accarino, il II vice Governatore Prof. Franco Scarpino, l’immediato Past Governatore Ing. Nicola Clausi, i Past Governatori Dott. Paolo Gattola, Dott. Antonio Fuscaldo ed Avv. Michele Roperto in sede, il Presidente della Decima Circoscrizione Dott. Roberto Iuliano, il Presidente della Zona 21 Ing. Raffaele Pane, la Cerimoniera per la Calabria Prof.ssa Maria Bitonte. Hanno inoltre partecipato numerosi Presidenti di Clubs, Officer distrettuali e circoscrizionali operanti nel Distretto 108Ya,

sidente uscente Avv. Anna Moricca, prima del passaggio di testimone con la neo Presidente Prof.ssa Annamaria Aiello, ha esposto come, nonostante le difficoltà dovute alla pandemia da Covid-19, insieme ai soci è riuscita ugualmente a portare avanti le attività di servizio che contraddistinguono i Lions. Prende poi la parola la neo presidente Prof. ssa Annamaria Aiello che, richiamando l’incisivo eco della storicità del Club Lamezia Host che ha già alle spalle 60 anni di attività finalizzata a dare concretezza al “WE SERVE”, afferma che il suo impegno sarà quello di non dimenticare il passato ed allo stesso tempo di guardare al futuro e, quindi, di coniugare la tradizione all’innovazione. “Le progettualità di questo nuovo anno – continua ancora la neo Presidente – muoveranno dalla forza del club, per arrivare alla comunità tutta, comprendendo come sia necessario un dialogo costante tra

nonché Autorità civili e religiose quali rispettivamente il Sindaco della città di Lamezia Terme avv. Paolo Mascaro, sempre vicino al mondo lionistico e che non manca mai di sottolineare l’importanza della sinergia tra Istituzioni e Associazioni, e Don Adamo Castagnaro, vicario del Vescovo della Diocesi di Lamezia Terme Sua Eccellenza Mons. Giuseppe Schillaci, che ha rimarcato quanto la Comunità tutta ha bisogno di spirito di servizio ed ha concluso incoraggiandoci a camminare sulla via del bene. In un clima di serenità e amicizia, la Pre-

Lions, Istituzioni, Associazioni e cittadini. Ognuno di noi sarà chiamato a rafforzare il senso civico e di legame alla comunità mondiale, partendo però dalla propria città e dalla rete Lionistica. Prioritaria sarà l’attenzione che porrò nel rafforzare i legami fra Clubs e l’em-

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patia emozionale fra soci. In questo anno mi auguro ci possa essere la condivisone di service, così come dei riconoscimenti distrettuali che già in passato sono stati rivolti ad alcuni dei soci del nostro Club, con grande umiltà e fierezza, sperando che lo spirito lionistico possa sempre prevalere” “È con questo spirito – conclude il neo Presidente – che mi accingo a guidare il Club, con semplicità di forma e complessità di sentimenti.” Il direttivo del Lions Club Lamezia Host, per questo nuovo anno sociale 2020/2021, sarà così composto: Presidente: Prof.ssa Annamaria Aiello Immediato Past Presidente: Avv. Anna Moricca Primo Vicepresidente: Ing. Davide Gambarotti Segretario: Avv. Roberto Rocca Tesoriere: Dott. Nicola Morelli Secondo Vicepresidente: Avv. Donatella Amicarelli Presidente Comitato Soci: Dott. Nicola Mercuri Presidente Comitato Service: Ing. Luigi Guadagnolo Presidente Marketing e Comunicazione: Avv. Manuela Leuzzi Cerimoniere: Dott. Raffaele Grasso Censore: Prof.ssa Cettina Strangis Vespier Consiglieri: Dott. Francesco Caglioti, Dott. ssa Chiara Puteri, Dott. Silvio Serrao del Compasso, Avv. Flavio Godino, Dott.ssa Giovanna Rizzo

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Aspettando la sera

Scuola e Società. La virtù della prudenza. di Angela De Sensi Frontera

Cosa rappresenta la scuola in una società? “La cinghia di trasmissione della cultura tra una generazione e l’altra, tra una civiltà e l’altra”, da essa principalmente dipende infatti la civiltà di un popolo e sua continuità nel tempo. Cosi scrivevo nel mio libro “Per una cultura del dialogo”, (Ed. EUR, Roma 1996), mettendo in risalto come lo sviluppo di una società dipende moltissimo dal buon funzionamento della scuola, dai modelli educativi adottati, dai mezzi di comunicazione in essa operativi. E’ importantissimo in un sistema l’organizzazione, il tenere insieme armonicamente e in modo funzionale le varie componenti di persone e cose. Ancora più complessa e difficile si presente l’organizzazione nel sistema scuola, dove le persone sono tutte in fieri, sia gli alunni che i docenti, che inesorabilmente vengono coinvolti nell’evoluzione del processo culturale di cui sono i protagonisti. La scuola è un sistema dinamico, molto dinamico, che risente dei mutamenti sociali e delle innovazioni tecnologiche per la centralità in essa della comunicazione e per avere, come componenti attivi, persone nell’età dell’infanzia e dell’adolescenza, molto sensibili al mutamento, e, nello stesso tempo, capaci di produrre il mutamento e anche di controllarlo. Radicata nel passato, di cui trasmette la cultura, la scuola è proiettata verso il futuro, verso il quale i giovani sono protesi. La sua buona funzionalità ai fini dello sviluppo sociale dipende dal giusto equilibrio che riesce a creare tra passato, presente e futuro; tra scuola e mondo del lavoro; tra il sapere e la promozione dell’uomo e della sua qualità di vita. Oggi la scuola vive un momento difficilissimo, a causa della pandemia, eppure la società non può fare a meno di essa, non può fare a meno della cultura che la scuola trasmette e sa trasmettere, non può fare a meno delle abilità cognitive e relazionali, che su i banchi di scuola gli alunni sviluppano, delle conoscenze che i futuri cittadini di domani debbono acquisire per poter domani far funzionare la società e delle specifiche competenze indispensabili per far funzionare lo Stato e la Comunità

tutta. Il rischio che la pandemia riprenda è alto, ma la scuola deve continuare a funzionare. Come? Ispirando la sua condotta a una delle virtù più antiche indispensabili alla sopravvivenza dell’Umanità: la prudenza. Per Platone la prudenza é una delle virtù fondamentali per la vita dell’uomo, insieme al coraggio (fortezza), alla temperanza, alla giustizia. Queste virtù vengono riprese e reinterpretate dalla filosofia cristiana e diventano le quattro virtù cardinali. E’ la prudenza che guida l’uomo nelle circostanze concrete a discernere il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo. Sono proprio La prudenza e il rispetto delle regole da essa dettate che ci salvano la vita in tanti ambiti in cui operiamo, ad es, quando guidiamo, ecc..ecc.. Gli uomini di oggi sembra che l’abbiano dimenticati; nuovi valori regolano l’azione: l’efficacia, l‘efficienza, il successo, il raggiungimento dell’obiettivo a tutti i costi, ecc. ecc. Oggi è necessaria recuperare la virtù della prudenza, per sé e per gli altri; prudenza in tutti gli ambiti, specialmente a scuola, se vogliamo che questa continui a realizzare le sue finalità, indispensabili a preservare la civiltà e ad assicurarne lo sviluppo. Rispetto di regole, dunque, che salvano la vita, garantiscono la salute, proteggono l’individuo e la comunità. Scuola e famiglia, alleate, debbono collaborare al buon funzionamento della scuola, nonostante questa situazione difficile della pandemia. La prudenza in questa situazione da virtù etica è diventata regola di condotta di carattere giuridico, con sanzioni penali per chi non la rispetta. Troppo alto è il valore da proteggere: la salute pubblica. e…e…preludi l’Eterno. (Dedicata a Elisabetta Priolo, presidente Fidapa di Lamezia Terme).

L’alba sullo Jonio Mi culla il mare col suo mormorio, respiro alle prime luci dell’alba. E’ l’alba sullo Jonio. Si tinge di rosa l’orizzonte coi raggi del sole nascente. Impallidisce la luna e tramonta, e… le stelle spariscono dal firmamento.

Si torna al presente…all’oggi,: all’età senile; quella ricchissima di ricordi, di saggezza inutile, di pause di riflessione, di pensieri profondi, di non detto ancora, di non fatto ancora, prima della dipartita finale.

Giunge da lontano il canto del gallo, un suono d’altri tempi riscalda il mio cuore, e…richiama la mia infanzia: il mio risveglio mattutino, la voce della mamma e il suo bacio augurale del nuovo giorno.

Che meraviglia quest’alba sull’Ionio! Che colori! Che tepore! che stupore! Che emozioni… da condividere, Ma…quanto significato in quell’orizzonte!

Mi perdo tra le memorie del passato… “Sveglia! Il tempo è bello, presto, presto, si va a scuola, la colazione è pronta, presto! A scuola.”

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E ancora un… bacio, di saluto questa volta e incoraggiante in vista della fatica scolastica.

Cielo e mare si confondono e ti fanno preludere l’eterno. Ti lasci invadere dall’emozioni…

E poi? E poi…si dileguano i ricordi. GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

Angela De Sensi Frontera

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riflessioni

Il Cristo emblema della Compassione di Vincenzo De Sensi

Non ha apparenza né bellezza / per attirare i nostri sguardi, / non splendore per provare in lui diletto. Disprezzato e reietto dagli uomini, / uomo dei dolori che ben conosce il patire, / come uno davanti al quale ci si copre la faccia, / era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. / Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, / si è addossato i nostri dolori / e noi lo giudicavamo castigato, / umiliato / Maltrattato, si lasciò umiliare / e non aprì la sua bocca; / era come agnello condotto al macello,/come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, / e non aprì la sua bocca. / Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; / chi si affligge per la sua sorte? L’Uomo dei Dolori visto e cantato dal profeta Isaia è il giusto ucciso da un mondo ingiusto; il capro espiatorio che paga per tutti; lo scartato, il debole,l’inutile. Come un vecchio o un malato al tempo della peste: troppo debole per dedicargli le poche forze che abbiamo. E poco importa se ne abbiamo poche per scelta, per un dissennato suicidio di massa che da decenni ci induce a pensare che non la persona umana, ma il denaro sia misura di ogni cosa. Chi si affligge per le morti inevitabili, male minore, contenimento del danno? Per secoli in quelle parole ispiratissime si è visto un ritratto profetico del Cristo: vero uomo, e uomo giusto. E dunque condannato a perire ingiustamente.

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E per secoli gli artisti hanno tentato di dar forma a questo specialissimo Cristo, che non è riducibile precisamente a nessun momento della Passione. Così, l’autore di questo piccolo dipinto straordinario un autore probabilmente da identificare con il giovane Albrecht Dùrer, vale a dire con uno degli artisti più grandi che abbiano camminato nelle vie degli uomini - immagina Gesù nel sepolcro, come un prigioniero nel ventre angusto della morte. Non giace, esanime: peggio. E ridotto all’impotenza: Lui, il Signore onnipotente della vita. Risorgerà! Ma questa è l’ora delle tenebre, e più di tutto ci strazia lo sguardo pieno di tristezza che quest’Uomo dei Dolori dirige verso ognuno di noi. Uno sguardo nostro. Profondamente umano: perché è uno sguardo insieme impotente e carico di futuro. Uno sguardo capace di esprimere il nucleo più profondo della nostra umanità: la Compassione. La capacità di condividere la passione degli altri: dei contagiati, dei carcerati uccisi, dei medici e degli infermieri straziati dalle scelte cui tutti noi li abbiamo condannati. Sentire il dolore degli altri, sentirlo come proprio, sentire in questa comunione la vera essenza del nostro essere umani. È questa l’unica resurrezione di cui questo Cristo troppo umano sembra capace. Come noi.

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LA CALABRIA, UNA TERRA DA AMARE

Nascita di un nuovo autunno di Ginevra dell’Orso

Alcuni mesi, prima di venire a vivere in Calabria, avevano un significato e un’emozione completamente differenti da come ce l’hanno ora. L’autunno, in generale, mi aveva sempre evocato un po’ di tristezza, di chiusura interiore, una lieve ma costante malinconia. I cieli umidi e plumbei del nord, le nuvole basse, la pressione atmosferica che schiaccia e contorce i pensieri: questo era il mio autunno. A Ottobre iniziavano i primi freddi notturni, quelle serate da mettere un maglioncino di cotone, di un certo spessore, e magari una coperta in cui nascondersi la sera. E poi c’era Novembre, il mese dell’introversione più profonda, quella che capita che scenda qualche lacrima, al semplice ascolto di una canzone. Solo le milioni di lampadine della città riuscivano a farmi sentire meno riversa in me stessa. Il rosa dei gigli Poi, all’improvviso, le regole e le leggi del mio organismo, decisamente meteoropatico, sono state sovvertite. Arriva l’autunno e il mio piccolo mondo prende vita. Quel caldo opprimente e sciroccoso dell’estate, se ne va al primo vento di Maestrale. Le colline dorate, arse dal caldo, si trasformano in una nuova primavera; spuntano fiori che solo in questi mesi si possono ammirare. Come i gigli rosa, pag. 20

che salgono dalla terra dritti e impettiti, certi di attirare l’attenzione dei passanti, con i loro colori decisi e un profumo seducente. E poi ci sono le calle, alte e sinuose, con quel collo alto che sembrano i cigni dei fiori. I fiumi tornano a cantare, si rimboccano gli argini e quel silenzio che scalda la mente, trova un senso profondo.

Le montagne e gli alberi intonano inni alla gioia, vestiti da tutte le tonalità di verde che la mente umana possa immaginare: danzano sotto la pioggia, circondati da migliaia di funghi. Tutta la natura ringrazia il sole e benedice l’acqua, padrona indiscussa di tutte le vite. La frenesia della vita L’estate rallenta ogni cosa, placa il flusso della mente, e nel frattempo partorisce frenesia di vita: così nasce l’autunno, dove

persino le nuvole corrono veloci in cielo, non hanno tempo di fermarsi a guardare cosa accade giù in basso. Anche i cinghiali corrono veloci, per paura che arrivi l’esecutore della loro morte: corrono nei boschi più fitti, e così le volpi, i lupi, le pecore, i topi, i ghiri, sua maestà il Barbagianni, la fata della notte, la Civetta, e il grande gufo che veglia frenetico su tutto il paese. I grandi castagni si apprestano a mettere al mondo i frutti di cui gli uomini si nutriranno con la dolcezza sulle labbra. E poi ci sono i corbezzoli, le noci, le nocciole: c’è il profumo del vino di chi fa la vendemmia, dei frantoi, della fagiola nella tiana che bolle sopra la stufa delle nonne... e c’è la luce del mattino che sale piano, senza minacce, e intaglia gli ultimi sogni prima del risveglio. I miei gatti tornano a vivere sul divano, e di notte il cielo profuma di legna. Eppure, nonostante questo, il mare è ancora caldo di tutta la luce ricevuta: ed è bello passeggiare a piedi nudi sulla sabbia, sdraiarsi ad ascoltare il suono della meditazione, raccontarsi a qualcuno osando persino un bagno improvvisato. Pensavo che non avrei mai amato una stagione come l’autunno, ma ogni cambiamento di vita porta a nuove considerazioni personali.. e qui, in Calabria, è avvenuto un altro piccolo miracolo.

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Comune di San Pietro a Maida

Città dell’olio di Oliva di Loretta Azzarito Sabato 12 Settembre, abbracciata dalla più piacevole temperatura estiva , si è svolta a San Pietro a Maida “La Giornata di Relax ai Mulini”. L’ evento organizzato dall’Amministrazione Comunale in stretta collaborazione con la PRO LOCO Sampietrese e l’ Associazione Culturale La Compagnia di via Bologna, ha avuto inizio nella mattinata con una passeggiata tra Fiume e Mulini con pause di didattica naturalistica a cura di Domenico Spano’, esperto trekking e vitalizzata dal forte entusiasmo dei partecipanti di diverse generazioni. Una viva realtà quella dei Trappiti nel Sampietrese, che può vantare un percorso storico e naturalistico che negli anni è stato punto di riferimento della zona lametina per la macinazione delle olive. Attraverso la rivalutazione del vecchio frantoio è possibile percepire la fatica, ma allo stesso tempo la festa di portare a casa il frutto del proprio lavoro. Il percorso con la più suggestiva cornice della natura incontaminata tanto da farne un tutt’uno, è ben organizzato con cartelli e corrimano in legno e porta a fondo valle dove il torrente di acqua limpida, lambisce la struttura in pietra che colpisce per le sue dimensioni e per la sua disposizione interna. A seguire vi è stata la pausa ristoro, in quanto l’area circostante è adibita con punti pic-nic con arrostitoi, panchine e tavoli coperti da belle tettoie in legno e tegole

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in cotto. Nell’occasione il Sindaco Domenico Giampà ringraziando anche l’instancabile lavoro di molti volontari che adorano il posto, ha precisato che quella dei Trappiti è una sfida difficile proprio perché riguarda l’ambiente, il turismo e l’uvicultura, ma che si vuole vincere, per dare merito ad un territorio che ha tutte le carte per brillare. Scoprire il turismo di prossimità è l’obiettivo, aggiunge il Sindaco, in quanto quello che per i Sampietresi è abitudine, per l’intero comprensorio può diventare interessante. La giornata si è conclusa con l’eco live del brillante cantautore calabrese Santino Cardamone, momento altresì curato dal consigliere comunale Fabrizio Azzarito. Il cantautore, attraverso l’amore per la musica con lo strumento della sua vita, la chitarra, ha consegnato ai giovani e meno giovani la chiosa finale più energica della giornata. Con il suo stile interpretativo inconfondibile, con i suoi testi pieni di voglia di riscatto della gente del sud e dei loro amori, di ingiustizie, di potere, di sacrifici e voglia di riscattarsi ha innalzato la bandiera del coinvolgimento più emotivo e sinergico. Natura, relax, didattica, storia, entusiasmo, condivisione e suggestione sono questi i presupposti cui partire per trascorrere una giornata nell’incantata Valle dei Trappiti.

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lamezia racconta

“OOOOH…ISSAAAA!”

L’incitamento dei lavoratori al porto utile oggi per tirare l’Italia dall’orlo del baratro!

di Francesco De Pino “OOOOH… ISSAAAA!”, è l’incitamento che si danno all’unisono i lavoratori del porto nel sollevare un peso. Con “OOOOH” essi si coordinano per essere pronti nel tirare e con “ISSAAAA”, tirano con tutta la forza all’unisono. Oggi, per tirare l’Italia dall’orlo del baratro non è altrimenti. Per riuscire, però, occorre che tutti noi siamo “Cittadini” nel dettame Costituzionale, non già “popolo” in mano a Masanielli; “Amministratori” con la maiuscola, insieme, avere il senso dello Stato e cercare “il bene comune”! Certamente, nel tempo, chi più chi meno, abbiamo delle responsabilità, quando: Da cittadini, abbiamo fatto nostre le leggi per “sfruttarle”, non già applicarle nel senso voluto dal legislatore, ovvero, da lavoratori abbiamo “costruito” in modo fraudolento un diritto previdenziale accompagnandolo all’evento per godere di prestazioni INPS (indennità di disoccupazione; malattie immaginarie, maternità a rischio; ridurre l’attività lavorativa e/o pretendere giornate in meno per costruire l’ISEE), da cui “Welfare“ indebito”. Se datori di lavoro, pur in costanza di prestazioni lavorative da parte lavoratori in forza, chiedere per gli stessi la CIG (Cassa Integrazione Guadagni); oppure, fare elusione fiscale, comportamento (diverso dall’evasione) diretto ad aggirare il fisco con espedienti formalmente ineccepibili Tutto questo ha inasprito e inasprisce la spesa pubblica, riduce le entrate dello Stato, ovvero, di noi tutti. Da amministratori della “res pubblica”, non abbiamo operato nella congruità della spesa e nel rapporto costi benefici; abbiamo riempito di personale gli Enti per dare risposte a promesse elettorali, accantonando le competenze e le professionalità ivi presenti. Così. In tal modo, non solo non abbiamo favorito l’efficienza della macchina pubblica, ma ne abbiamo aumentato la spesa corrente improduttiva che contribuisce a impinguare l’indebitamento spropositato dei giorni nostri. Certamente, occorre in loro l’esempio, essenziale per la democrazia! “Praticare ciò che si proclama”, operando nel rigore della legalità, se politici dalla “sana” ambizione! Giuseppe Dossetti, Padre costituzionale, poi Sacerdote, ammoniva: ”Non può essere guida e maestro chi non è di esempio”. Non era da meno, Giorgio La Pira, parimenti, Padre costituzionale, Sindaco illuminato di Firenze, ora Beato, la necessità in Lui, nello scendere in campo per servire l’Italia nelle macerie della seconda guerra mondiale: “Affinare i propri strumenti di lavoro, riflessione, cultura, parola”. Non fu da meno De Gasperi, Togliatti e tutti gli altri “Padri costituenti”. Togliatti, Segretario del PCI, dalla cameretta di un ospedale, dopo l’attentato subito nel 14 luglio 1948, bloccò i compagni di partito, sul nastro di partenza, pronti a scatenare una guerra civile di risposta all’attentato. A calmare la tensione sociale fu provvidenziale in quella stessa giornata del 25 luglio del 1948, la vittoria insperata all’ultima tappa, pur distanziato e molto dalla maglia gialla, del 37enne, Gino Bartali al Tour de France. Quella serata da cruenta fu trasformata in festa sportiva! Tanto per dire dei politici nell’Italia post-bellica, quella che avviò la ripresa e, con Alcide De Gasperi, Presidente del Consiglio, (dopo la pag. 22

vittoria del suo partito, la Democrazia Cristiana, 18 aprile 1948) il miracolo economico italiano, cui contribuirono i nostri emigranti operando nel triangolo industriale, mentre, al tempo, mentre, non furono da meno le rimesse dei nostri emigranti. Quegli uomini politici furono “ Guida e Maestri”, ebbero l’attitudine a essere per gli altri e di contribuire con i loro talenti al bene comune. In quel loro operare hanno dato efficacia alla rappresentanza, le Istituzioni rese vicine al cittadino e Il cittadino alle Istituzioni! Una per tutte: pur avendo essi patito dal Fascismo esilio, carceri, purghe, morti cruenti con l’eccidio dell’On. Matteotti, don Minzioni ecc. ecc.) lasciarono in vigore del “Regime”, nel nostro Ordinamento Giuridico: nel Penale, il Codice Rocco; nella Pubblica Istruzione, la Legge Gentile, nel Lavoro, i Contratti Corporativi con valenza di Fonti del Diritto fino al 1954 con valore “erga omnes” (verso tutti, ndr.) La politica, la loro, come dedizione concretamente esercitata per cui creò servizio, realizzazione di programmi di lavoro, di socialità, di giustizia distributiva, perciò di vera libertà liberante. Questo il testimonio che ci è stato “lasciato” dai quei “Liberi e Forti”. Ora la Politica è mortificata dalla necessità del successo di parte, dalle incompetenze manifeste nelle funzioni ministeriali, assunte in modo disinvolto, pur se onesti”, ma agendo per “istinti”, ora impegnati in un consiglio generale se assumere o no responsabilità di governo per risalire la china, perchè praticare la contestazione, gridare e rivendicare crea consenso, ahimè! Altro, dal parlare spropositato, sentirsi nei pieni poteri, mentre abbiamo corso il rischio di perdere il ruolo nel contesto UE, noi tra i fondatori. Nel suo partito han preso le misure, “ affiancandolo”! Dimenticano, che Il 4 di marzo 2018, l’elettore non sapeva più a quale santo votarsi, dopo aver dato in quel 25 maggio 2016 il 40,6% dei suffragi su 57,5% dei votanti, al partito uscito indenne dalla Prima Repubblica, con “perizia” (cambiando sigle e/o acronimi, mimetizzandosi dietro i “Cespugli”), mentre “Mani Pulite” buttava l’acqua con tutto il “ bambino”. Gli unici a non essere responsabili di quanto sta accadendo sono le persone oneste, dovunque esse sono chiamate a operare, i Cittadini. Sono tali, perché operano nel civismo, rispettano le leggi curandone gli adempimenti, pur nella scarsità delle risorse personali; si danno gli

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o parola allo psicologo

Il tempo senza fretta….. di Raffaele Crescenzo Ci serve per la ripetizione delle azioni, per capire e capirci, per consentire il rinnovamento delle nostre esperienze quotidiane. Esso, il tempo, non deve essere per forza tanto, bensì di qualità e sano e deve poter camminare con noi senza fretta per ascoltarci ed ascoltare, per “darsi e dare il tempo”. Quando ciò succede, casualmente o intenzionalmente, che uno dei due interlocutori si apre all’altro, ecco che qualche cosa avviene. Il tempo si ferma, non è più il tirannico orologio con le sue lancette a scandire la durata dell’incontro, ma è un tempo intimo, interiore e soggettivo, per cui pochi istanti possono durare un’eternità, o un tempo molto lungo passare in un batter d’occhio. Quando si incontra l’altro e si lascia momentaneamente da parte la maschera sociale, infrangendo i limiti imposto dal ruolo, e si è pronti ad un dialogo più autentico, mettendo in gioco qualche cosa di più vero di se stessi, si crea uno spazio relazionale che rende tutti più ricchi nella loro umanità, sia chi parla, sia chi ascolta. E anche quando il tempo ci sarebbe, è l’abitudine alla “autenticità” di essere con gli altri, che si sta perdendo. Perché fino a quando l’attenzione rimane tutta incentrata su noi stessi, fagocitata dal rumore sociale circostante, dall’ipertrofia del nostro “io” non c’è veramente lo spazio per sentire il mondo dell’altro. La comunicazione si fa allora superficiale, banale, legata alla contingenza, senza arricchire nessuno degli interlocutori. Infatti… “Vanno di fretta.1* Le persone vanno di fretta senza tempo per godere il piacere delle piccole cose. Non parlano più con se stessi, non parlano più tra loro; non hanno più la capacità di ascoltare e comprendere, di ta* 1 tratto da “Parole in chiaro scuro”, R. Crescenzo, Ed. Prometeo (CS), 1997

“arresti domiciliari” perché lavorano instancabili, zelanti nel proprio “facere” di servizio, anche, se ignorati, mentre costituiscono lo zoccolo duro dell’Italia da cui ripartire. Vivono nella sacralità della famiglia, educando i figli con l’esempio, pronti a tendere la mano all’altra sofferente. Ovvero, operano da Cittadini nel Dettame Costituzionale, mentre gran parte di essi, ancora, da “popolo” in mano a Masanielli. Dispiace vedere, quando, questi si dilettano al tiro al piccione al Governo dimentichi che si va a nozze con “fichi secchi”, salvo la ciambella dell’Unione Europea, mentre si era sull’orlo del baratro che avrebbe travolto tutto e tutti se avessero prevalso i “ Masanielli” di piazza, avvantaggiando gli interessi di parte, nella realtà tragica che Lamezia e non solo

cere e guardare negli occhi. Vanno di fretta. Attraverso il viale della confusione, passando da un luogo all’altro, da un’esperienza all’altra senza gusto per nessuna, da un piacere all’altro scambiato per felicità. Camminano con i loro dubbi, con le loro continue incertezze, incapaci di scegliere, senza saper spendere le proprie giornate e restano con le mani in mano su una panchina di ricordi, immersa in un parco di niente. Vanno di fretta. Impoltroniti dalla noia, osservando un tempo che non passa mai, che lentamente scandisce le ore di una provvisorietà della vita, di un cristallizzato presente….. Vagano alla ricerca di una libertà per decidere chi essere… senza difficoltà divengono figli del nostro tempo, plasmati da ideali carosellati, prede di mode fatue e tragiche; corrono verso terre promesse inciampando ogni volta sull’orlo di possibili baratri profondi. Vanno di fretta. Parlano attraverso slogan, scelgono soluzioni sommarie e frettolose, non si curano delle risposte da dare alle angosce dell’anima, si dirigono verso scelte che non prevedono un umile ascolto, una ricerca paziente e serena nella consapevolezza dei propri limiti….. Vanno di fretta. Credono di essere evoluti, di essere più colti di coloro che li hanno preceduti, per i quali il semplice rappresentava qualcosa. Ritengono di avere a disposizione elementi sufficienti per confinare i valori, inscatolare le idee e paralizzare l’interiorità; pensano che bastino frasi ricercate per indignarsi, per comprendere le cause della sofferenza…. Credono fermamente nelle loro ragioni, nel fare accettare il loro credo “liberatorio”, nonostante l’angoscia continui a crescere, rafforzando la negazione della speranza”.

siamo chiamati ad affrontare, che il “Covid” inasprisce. Dinanzi ai sacrifici imposti dalla drammaticità del momento, abbiamo tutti, nessuno escluso, il dovere di essere un tutt’uno con lo Stato perché una sua “default” travolgerebbe tutto e tutti, una “débâcle” nazionale! Perciò urge quel corale “OOOOH….ISSAAAAA!”, oggi dovuto. La nuova legge elettorale deve permettere di scegliere la politica dalla “sana ambizione ”pur presente a livello nazionale e in Calabria, ma ognuno di noi deve accantonare il voto di scambio. Francesco De Pino

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di Maria Palazzo Carissimi lettori, penso, nella mia vita, di non aver mai perso il cosiddetto punto di vista del bambino. Ciò mi fa sentire, a volte, un pesce fuor d’acqua nel mondo dei grandi… Ciò, spesso, mi porta a comprendere meglio i bimbi e i ragazzi, come se riuscissi a sentire le stesse voci e sapessi rincorrere gli stessi loro pensieri. Gli adulti, in generale, guardano a me con meraviglia, come se venissi da un mondo lontano: non adotto quasi mai il pensiero dell’adulto, se non nel fornire sicurezza e punti fermi, ma, non nascondo che è bello, ora che ho un luogo e un tempo di osservazione diversi, accorgermi che non ho perso la capacità di comprensione verso il mondo dei piccoli e mi sento di dover essere grata, per questo piccolo dono. Non sempre, nel mondo degli adulti, è facile trovare qualcuno che mi sostenga o che mi stia vicino, nel cammino che, spesso, percorro a scuola, riconoscendo, nei miei allievi, ciò che, nel passato, ho vissuto anch’io. Non esiste, a parer mio, il cosiddetto salto generazionale, esiste, invece, il fatto che, il più delle volte, si dimentichi il vero di un tempo e si idealizza ciò che è stato. Invece è bellissimo condividere i sentimenti vissuti e confrontarli con quelli che si vivono ora. I nuovi giovani non sono affatto diversi da noi. Non sono massa, come vengono descritti dai media (che mettono in luce solo gli aspetti abnormi e patologici, che fanno notizia), non sono per nulla lontani. Ascoltandoli, sorridendo, non giudicandoli, viene fuori tutto ciò che siamo stati. Penso che noi docenti, per esempio, abbiamo il grande privilegio di vivere tante giovinezze, quante sono le generazioni che incontriamo. Ne troviamo, nel corso della nostra lunga carriera, alcune più simili, altre meno simili a noi, ma, di fondo, non è la generazione, ma il modo di filtrare il tempo della stessa, a darci la vera dimensione giovanile e infantile, di ogni epoca. Era da tanto che avrei voluto leggere il volumetto QUEI DUE NEL MIO ORECCHIO, di FRANCESCA NUNZI. Francesca è un’attrice molto nota, diplomata al laboratorio di Gigi Proietti; un’attrice di talento e preziosissima, per il teatro italiano. Nonostante la sua giovane età, possiede l’amore per il teatro, che ho avuto la fortuna di apprezzare nei nostri grandi attori e nelle nostre grandi attrici dal nome ormai storico. La definirei la nuova Giuliana Lojodice, che, per me, è sempre stata un vero mito. Con Francesca, magicamente, siamo diventate amiche. Ci scriviamo e ci sentiamo, quando è possibile. Ma, quel che è bello, è che siamo in contatto spirituale: a volte non abbiamo il tempo di stare al telefono e ci mandiamo messaggi vocali o qualche commento veloce sui socials, ma, quando ci ritroviamo, è come se fossimo state in contatto perenne. Ha scritto questo libro, Francesca, nel 2019, ma io che, lo confesso, non so ritirare i libri da Internet, ho finito col leggerlo soltanto adesso, grazie ad un mio amico, Ferdinando Gatto (che non ringrazierò mai abbastanza), che lo ha ritirato per me. QUEI DUE NEL MIO ORECCHIO è un libro che possiamo portare in borsetta come un’agendina: piccolo, ma densissimo. È un concentrato di meraviglia e tenerezza: è l’infanzia che ritorna. Non con la visione di un io adulto e non con la rimembranza tipica di chi ha l’ha vissuta tempo fa; non è un bagno idilliaco nel passato e neppag. 24

pure quella voglia di ricordare, in maniera nostalgica. Definito più volte favola, è, invece, sempre a parer mio, una specie di sogno, anzi, una vera, autentica dimensione. Si entra, attraverso la porta magica della copertina: apri e, come Alice, si viene un po’ inghiottiti nel Paese del come eravamo e, staccarsi da quel mondo, poi, non è facile. Non perché sia tutto favoloso, ma perché ci si trova a pensare come da bambini e, a vedere tutto, come se il tempo si fosse fermato. QUEI DUE NEL MIO ORECCHIO è la storia di un’ansia. La paura dei bambini, nei riguardi dell’imponderabile, dell’infinito, del timore di crescere. Il senso della notte che scende…E gli adulti non sanno, o hanno dimenticato, che, quando cala il sole, le ombre mettono agitazione. Gli adulti classificano con nomi altisonanti le paure dei bimbi. Le temono e consultano vari specialisti, anche per piccole cose: in realtà, forse, non sanno più mettersi in ascolto. I bambini non parlano delle loro paure: non sanno parlarne. Amplificano, con le loro conoscenze, che vengono, un po’ dalle favole, un po’ da quell’iperuranio che hanno lasciato, tutto ciò che li circonda. Il bambino è un po’ come l’uomo primitivo: sente e vede le cose, ma non ha ancora gli strumenti giusti per spiegarle. Sta agli adulti, comprendere. Che esista un’ansia infantile, si sa da poco tempo. In genere, sparisce con l’età e, spesso, neppure si ricorda. A meno che non intervenga un evento traumatico. Leggendo il libro di Francesca, è come fare un viaggio a ritroso e riportare alla luce ciò che si è già visto e ritrovarlo in chi è venuto al mondo dopo di noi. Occorrono genitori illuminati, come Sergio, il papà di Francesca, per trasmettere quella sicurezza, per superare la barriera dell’infanzia e riuscire a ricordare, anche ai propri figli, che quella barriera va superata, per diventare adulti sereni. Un percorso obbligato, una sorta di rito di passaggio, per restare umani, sempre, non dimenticando mai, parafrasando il Pascoli, il nostro fanciullino, ma affrontando la vita, senza renderla più drammatica di quanto già sia… Nella bimba che, poggiando la testina sul cuscino, sentiva frastuoni nelle orecchie, mi sono rivista io stessa. Specie quando, a pagina 40, ho letto: “A noi bambini non piace la vita dalle 21 in poi” … Ho riso di cuore, ricordando che una sera, mi si bloccò il respiro e, da allora, quando mi sentivo in ansia, dicevo a mia madre che mi tornava “quella cosa di quella sera”. Fino a che lei è vissuta abbiamo sempre riso, ricordando le mie antiche paure. È bello, nel leggere il libro di Francesca Nunzi, ascoltare noi stessi. Non riandare al tempo passato, ma riparlare con esso. Ritrovare se stessi e ricongiungersi con tutta la nostra vita e rivedere, negli occhi dei bambini, non solo la bellezza che ci affascina, ma anche tutto ciò che li attanaglia, che noi abbiamo, pian piano, imparato a gestire. Molti dei nostri lati umani, restano molto vicini a quel che siamo stati nei nostri primi anni di vita… Ma, di questo, parleremo la prossima volta, attraverso il secondo libro di Francesca Nunzi, LIBERI ECCESSI DI FANTASIA TRA PADRE E FIGLIA, nel nostro prossimo appuntamento librario, fra un mese. Buona lettura e buona immersione nel nuovo Paese delle meraviglie.

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