Lameziaenonsoloaprile2021 agela gaetano ritratto di un'attrice

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Spettacolo

Compagnia teatrale I Vacantusi

Angela Gaetano, ritratto di una attrice di Giovanna Villella

Lamezia Terme, 27 marzo 2021. In un Teatro Grandinetti vuoto e silenzioso si è svolto, on line, il Galà finale per premiare i vincitori della V edizione del Gran Premio del Teatro Amatoriale Italiano ospitato per la prima volta in Calabria e organizzato dalla FITA nazionale in collaborazione con la compagnia teatrale I Vacantusi di Lamezia Terme e il patrocinio della Regione Calabria. L’evento è coinciso con la celebrazione della Giornata Mondiale del Teatro con l’augurio che si possano rialzare i sipari in tutti i teatri d’Italia e si possa ritornare a condividere l’emozione dello spettacolo dal vivo e il calore degli applausi. Sul palcoscenico la giornalista/conduttrice Ketty Riolo, sempre elegante e professionale e il proteiforme attore/cabarettista Gennaro Calabrese che ha dato vita ad otto esilaranti personaggi (Giuseppe Conte, Luca Giurato, Cristiano Malgioglio, Papa Francesco, Alessandro Borghese, Gigi Marzullo, il governatore Vincenzo De Luca e un mix di voci canore famose) ognuno dei quali ha ricevuto simbolicamente il premio per ciascuna delle otto categorie vincitrici: Miglior attrice protagonista Ornella Girimonti con “Filumena Marturano” della Compagnia Archivio Futuro (Napoli) che ha ottenuto anche il premio per la Miglior attrice non protagonista a Elena Maggio e quello per il Miglior allestimento scenografico, Miglior attore non protagonista Nicola Marconi con “Ben Hur” - Compagnia La Moscheta (Verona), Miglior attore protagonista Bruno Perroni con “Il nome” della Compagnia Piccolo Teatro di Terracina (Latina) la quale si è anche aggiudicata i premi per il Miglior adattamento drammaturgico di un testo noto, Miglior regia a Roberto Percoco e Miglior spettacolo. In nomination come Miglior attrice non protagonista anche Angela Gaetano per l’interpretazione di Flaminia nello spettacolo “La cameriera brillante” della Compagnia teatrale I Vacantusi con la regia di Imma Guarasci, spettacolo vincitore del Premio FITA Calabria 2019 e finalista, insieme ad altre tredici compagnie provenienti da diverse regioni italiane, al GPTA 2020.

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La nomination è già un premio e per Angela Gaetano, grande donna e attrice poliedrica, non è la prima. Nel corso della sua ormai decennale carriera iniziata nel 2001 in un’aula della scuola dell’infanzia “G. Rodari” di Lamezia Terme dall’incontro occasionale di un gruppo di persone accomunate dalla stessa passione per il teatro in vernacolo con l’intento di preservare e di trasmettere la memoria linguistica del dialetto lametino, ha già avuto varie nomination e vinto prestigiosi premi. Dopo le prime commedie dialettali che fanno registrare il tutto esaurito, nel 2005 si costituisce ufficialmente l’Associazione teatrale I Vacantusi. Si organizza la prima rassegna teatrale “Vacantiandu” con il patrocinio della Città di Lamezia Terme e del club Unesco e si coinvolgono compagnie teatrali amatoriali provenienti da tutta l’Italia del Sud. Poi la svolta, I Vacantusi si allontanano dalle classiche produzioni che costituiscono il repertorio trito ma rassicurante delle compagnie filodrammatiche, osando e scommettendo su testi (quasi) interamente in lingua italiana di autori contemporanei sotto la direzione di registi professionisti. Nel corso degli anni I Vacantusi crescono, acquisiscono maggiore consapevolezza del loro “essere” attori trasformando quello che era un “diletto”, un “passatempo” in un “lavoro felice” perché frutto di una scelta e di una responsabilità. Ma consolidano anche la loro capacità progettuale e organizzativa con la rassegna teatrale “Vacantiandu” impegnandosi in uno sforzo di qualità in grado di soddisfare le esigenze di un pubblico sempre più numeroso che partecipa con entusiasmo a tutti gli eventi proposti. E così, dalla “ruga alla villa”, il percorso di Angela Gaetano segue simbioticamente la parabola evolutiva della compagnia de I Vacantusi che, nell’ottica di una crescita professionale, organizzano e frequentano laboratori con attori e registi teatrali di fama nazionale ottenendo sempre più consensi di pubblico e di critica e prestigiosi riconoscimenti. La comare pettegola e ridanciana della ruga in cui sono ambientate le prime opere in vernacolo diventa la rissosa

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villana travestita da dama nella farsa diretta da Sasà Palumbo Francesca da Rimini e poi l’indimenticabile e irascibile nonna Pernella del Tartufo di Molière con la regia di Mario Maruca dimostrando una tenuta interpretativa e una maturità artistica non più “amatoriale” ma prossima ormai al professionismo. Si conferma caratterista a tutto tondo nella commedia Cesare, due figlie, tre valigie con la regia di Giovanni Carpanzano. Angela ci regala la figura di Caterina, una cameriera sciancata che diventerà baronessa. Una interpretazione magistrale, dinamica, divertente, di “corpo” e di “cuore” che le vale la nomination come miglior attrice non protagonista al Premio Nazionale Portici in Teatro. Per l’intera durata dello spettacolo recita simulando una vistosa zoppia che non le impedisce di attraversare il palcoscenico usando vari mezzi di locomozione e rovinando in cadute e capitomboli che si concludono con il tormentone “Non mi sono fatta niente”. Originali le scene dietro il divano dove scompare e compare misteriosamente e “vero pezzo di teatro” il duetto con Cesare, basato su un equivoco linguistico che sancisce la sua bravura anche come attrice “di parola”. Sempre più brava ed eclettica nella commedia Il morto è vivo con la regia di Giovanni Carpanzano nella quale interpreta più personaggi femminili. Nella realtà scenica è la pudica Donna Letizia castigata in un abito accollato che non lascia scoperte neanche le caviglie, in sogno diventa Jessica Rabbit inguainata in un conturbante e sexy tubino rosso con spacco vertiginoso o la Marilyn di “Quando la moglie è in vacanza” in abito bianco svolazzante e generoso décolleté. Angela gioca con i suoi personaggi con ironia e maestria, modulando i registri linguistici che sono propri di ciascuno e raggiungendo punte di assoluta ilarità negli innesti in dialetto verace. Damina incipriata e vezzosa è invece la sua Flaminia de La cameriera brillante con la regia di Imma Guarasci. Una interpretazione che la premia come Miglior attrice non protagonista alla V edizione del Premio FITA Bronzi di

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Riace dedicato alle migliori compagnie calabresi di teatro amatoriale. Angela si presenta in scena con graziose movenze e mostra un candore che si riverbera nel pallore del viso nimbato da una vaporosa parrucca bianca e nei riflessi serici del suo abito a bustier con ricami floreali. Dotata di straordinaria mimica facciale e sapiente gestualità Flaminia/Angela sa ben coniugare i tratti infantili e capricciosi di una bimba (adorabile la scelta dei calzettoni rosa confetto) con i desideri della donna in un alternarsi di ingenuità, stupori e lacrimevoli pene d’amore per il suo innamorato Ottavio. Financo la voce, colorata di variazioni timbriche e modulazioni con finali prolungate che virano al birignao, concorre alla definizione psicologica del suo personaggio. Ma la sua versatilità di attrice la fa eccellere anche in ruoli drammatici quali la cattivissima kapò, incisivo “cameo” nel vibrante spettacolo di Giovanni Carpanzano Il silenzio dei vivi tratto dall’omonimo libro di Elisa Springer sulla Shoah. Angela ama il teatro e ama fare teatro. Si cala in ogni personaggio con rigore e passione. Prova, riprova, si adombra, si esalta, si detesta, si accetta e si diverte. Sa mettersi in discussione con l’umiltà dei grandi, riempie la scena e la domina con naturalezza arrivando al cuore del pubblico, sa essere generosa e altruista e crede nella forza e nel lavoro di gruppo. Ecco perché ogni sua vittoria è la vittoria di tutti.

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scuola

di Anna Rosa

Il Dantedì al Liceo Scientifico G. Galilei

Il 25 marzo celebra il Dantedì, giornata recentemente istituita dal Governo per rendere onore al Sommo poeta, nel giorno in cui si ritiene sia iniziato il viaggio nell’Inferno. Il Liceo Galilei di Lamezia Terme, sempre pronto ad accogliere momenti così importanti per la crescita educativa-formativa degli studenti, ha accolto con entusiasmo l’iniziativa. Ciò si palesa anche dalle parole del Dirigente Scolastico, Teresa Goffredo, che nel ringraziare i docenti e gli studenti per le significative iniziative progettate, evidenzia come il suo Istituto abbia voluto dedicare ben tre giorni allo studio del “grande poeta. A causa di questo particolare momento, i propositi di tutti coloro i quali hanno partecipato si sono trasformati in un gioco virtuale, e, grazie alla creatività di docenti di letteratura italiana, nonché alla ecletticità di studenti, è stato realizzato un articolato e composito programma, in maniera non proprio accademica, anzi, quasi spettacolare, con lo scopo di destare attenzione e ammirazione verso Dante. Nella giornata di martedì 23, è stato dato il via alle celebrazioni del poeta, che si sono concluse il 25 giorno 25. I lavori ideati sono stati tanti e variegati. Si è iniziato con una spettacolare coreografia, sulla lettura di versi del primo canto dell’inferno, per continuare con la rivisitazione di Beatrice e Francesca da Rimini, attraverso due monologhi, che hanno dimostrato come Dante possa essere interpretato e reinterpretato. In uno assistiamo ad un monologo classico di Francesca da Rimini ed il suo strazio d’amore ,nell’altro un autore moderno , Stefano Benni, fa parlare una Beatrice molto poco angelicata e molto più pragmatica: una ragazza moderna e desiderosa di leggerezza che non vuole in alcun modo mancare di rispetto al suo alter ego più serio, ma solo dimostrare che i classici possono essere anche affrontati con un sorriso. Ma la figura di Dante è riuscita a diventare protagonista anche in un momento così particolare, quale quello che stiamo vivendo, non senza un pizzico d’ironia: gli studenti hanno immaginato il poeta in un nuovo viaggio dantesco nel regno infernale, per invitare l’Umanità a rispettare le regole e per poter poi finalmente tornar a “rivedere le stelle”. Dante diventa una guida per uscire dall’inferno della pandemia, proprio lui che l’inferno ha già brillantemente superato. Tutto ciò in un video pieno di situazioni e personaggi noti, ma con un pizzico di ironia. L’approccio ironico al mondo dantesco è continuato poi con una microcommedia, la “Mediocre commedia” nata interamente dall’estro e dalla fantasia di un’alunna, che, pur con tutte le difficoltà della distanza, è riuscita a coordinare scrittura, realizzazione e montaggio del lavoro, riuscendo a coinvolgere anche i compagni più timidi della sua classe. Quest’ultima ha presentato anche un lavoro sui mostri danteschi che avevano preso vita l’anno scorso ma che a causa del Covid non avevano visto “le stelle”.... Il mondo infernale è stato protagonista anche con la rappresentazione dei peccati e delle loro punizioni, in ambito artistico. Partendo dal sentimento

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della paura che, purtroppo, domina la nostra quotidianità, è stato realizzato un percorso che ha evidenziato il viaggio di un’anima tormentata, attraverso l’analisi di alcune delle maggiori opere d’arte, ritraenti i vizi capitali e le loro punizioni, cosi come li aveva rappresentati Dante.Diverse sono state poi, le presentazioni multimediali, attraverso le quali, sono state ricostruite la storia e la curiosa attualizzazione, nel cinema, serie tv e videogiochi di personaggi danteschi. Per questo incontro e per celebrare il sommo poeta, gli studenti hanno approfondito le figure di Francesca da Rimini, Pier delle Vigne, il conte Ugolino e Lucifero ricostruendone, attraverso una presentazione multimediale, la storia e la curiosa riattualizzazione e trasposizione moderna in cinema, serie TV e videogiochi. Alcuni elaborati hanno poi approfondito la lingua e lo stile dell’opera dantesca, realizzando alcuni elaborati multimediali . Sulla scia del critico Gianfranco Contini, che parla di plurilinguismo per indicare la varietà di registri e di stili, gli studenti hanno condotto un’accurata indagine, che ci permette di definire la Commedia come il primo grande laboratorio linguistico. E ancora, dall’approccio a nuove forme di comunicazione, da parte di un gruppo di studenti, è stato sperimentato, il social reading: attraverso un’app si è dato vita ad una lettura condivisa dell’Ulisse dantesco, dimostrando come sia possibile avvicinare la letteratura al mondo social, a cui i ragazzi sono particolarmente legati. Per realizzare questo esperimento è stato scaricato un’app della casa editrice Pearson. Partendo dal canto dantesco e seguendo le indicazioni di approfondimento suggerite dall’app e con contributi personali, è stato , quindi realizzato un particolarissimo prodotto multimediale . Ha concluso i lavori il Webinar tenuto da studenti del quinto anno e rivolto alle classi quinte, sul pensiero politico di Dante Alighieri. Il discorso e’ stato ricostruito sulla scorta dei testi danteschi che spaziavano dalla biografia del sommo poeta, noto per l’appassionato impegno civile e politico al trattato del “De monarchia” , fino ai sesti canti dell Divina Commedia. Gli studenti,i in un interessante format, contenente l’ esposizione della questione, domande, risposte, proiezione di immagini in videoconferenza live hanno illustrato la modernità delle posizioni di Dante, riguardo al rapporto tra “i due massimi sistemi” , il papato e l’impero che sono state avvicinate all’idea della laicità dello stato. A conclusione dei tre giorni dedicati all’evento del “ Dantedì”,, particolare soddisfazione è stata provata dalle docenti di Lettere che hanno accompagnato i loro studenti nell’esecuzione dei lavori, ribadendo che oggi più che mai è importante ricordare Dante, con un forte coinvolgimento delle scuole, degli studenti, molti dei quali impegnati nelle lezioni a distanza. Dante è l’unità del paese,, Dante è la Lingua italiana, Dante è l’idea stessa di Italia e in un momento difficile come questo, la giornata del Dantedì si è presentata come l’occasione per tenere unite tutte le comunità scolastiche del Paese. Gli studenti, soprattutto quelli che studiano l’opera di Dante e ne hanno assaporato l’eterna bellezza, con lodevole piacere, hanno dato il loro importante contributo alla riuscita di un così importante evento.

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amici della terra RESTRIZIONI DEGLI SPOSTAMENTI PER COVID-19 E SPECIFICITÀ DEL PREZIOSO PATRIMONIO NATURALISTICO DEL TERRITORIO Geologo Mario Pileggi del Consiglio Nazionale Amici della Terra - geopileggi@libero.it

Le varie limitazioni degli spostamenti per ridurre la diffusione del contagio da Covid-19 possono rappresentare l’occasione da non perdere, in questa stagione primaverile, per conoscere le preziose specificità naturalistiche presenti nei luoghi che circondano il territorio di residenza all’interno della propria Regione. Tra i luoghi d’interesse naturalistico e confinanti col territorio lametino c’è il sistema montuoso della Catena Costiera che dalla Valle del Savuto si sviluppa verso Nord per circa settanta chilometri parallelamente alla costa tirrenica. La Catena Costiera, anche se meno nota della Sila, dell’Aspromonte e delle Serre è caratterizzata da specificità idro-geomorfologiche e interesse naturalistico e paesaggistico non inferiore a quelli dei più noti sistemi montuosi della Regione. Tra le specificità più significative i laghi naturali, unici in tutta la regione, presenti, in particolare, intorno all’area di Monte Caloria. Gli otto laghi naturali e i due artificiali presenti sono: il lago dei Due Uomini, il lago Trifoglietti, il lago Frassino, il lago Paglia, il lago Fondente e il lago Astone, tutti ricadenti nel territorio del comune di Fagnano Castello; il lago Pressico nel comune di Cetraro, ai limiti del confine con il territorio di Fagnano Castello; il lago Pantano della Giumenta nel comune di Malvito; il lago Penna nel comune di Sangineto e il Laghicello nel territorio del comune di San Benedetto Ullano. Di rilevante importanza naturalistica i Laghi di Fagnano presenti intorno al Monte Caloria nel comune di Fagnano Castello, sono Sito di Interesse Comunitario Codice Natura 2000 IT9310060 segnalato anche dal FAI. Il sito è conosciuto anche a livello internazionale per la presenza, in particolare nel Lago dei Due Uomini di una nuova specie di tritone, il “Triturus alpestris inexpectatus”, scoperta nel 1982 dall’erpetologo francese Alain Dubois.

Lungo le strade che collegano le vette della Catena Costiera con le spiagge del Tirreno e le Valli dei corsi d’acqua presenti si possono osservare rocce di tutte le origini e di tutte le età con la più ricca varietà di minerali ed acque sorgive di tutta la penisola. pag. 6

Una ricca geodiversità tipica dell’Arco Calabro-peloritano che, oltre a contenere i segni delle principali “tappe” della nascita ed evoluzione della Penisola, alimenta e sostiene la più rilevante biodiversità del BelPaese. La struttura cristallina pre-paleozoica e paleozoica della Catena Costiera è rappresentata prevalentemente da Scisti Filladici nei due estremi meridionale e settentrionale, a Sud di Falconara Albanese e a Nord di Cetraro, da Micascisti e Gneiss granatiferi e da Scisti verdi e violacei nella sua parte centrale. Scisti granatiferi formano la cresta che da Cozzo S. Gineto arriva fino a sud di Fagnano Castello. Altre rocce molto antiche affiorano in corrispondenza del crinale della Catena Costiera che, a sud del Passo dello Scalone, è segnato dalle seguenti sommità: Cozzo Sangineto (1092 mt.), Sierra La Penna (1037 mt.), Monte Cerasella (1014 mt.) che degrada fino a Passo della Contessa a quota 912 metri s.l.m. per poi risalire fino a 1035 alla vetta di Monte Contessa, Sierra Palombo (1023 mt.), Sierra Nicolino (1250 mt.), Sierra Pantanolata (1120 mt.), Monte Cervello (1390 mt.), Monte Luta (1258 mt.). Lo spartiacque superficiale verso sud prosegue fino al Passo di Rende San Fili a quota 960 metri s.l.m. e la vetta (1150 mt.) dell’omonimo monte, passando per Monte Martinelli (1100 mt.), Cozzo Tunno (1175 mt.), Cozzo Londro (1104 mt.), La Stellara (1150 mt.), Le Scalille (1240 mt.), Cozzo Sodano (1126 mt.), Monte Cozzolino (1180 mt.), Monte Trefaghi (1220 mt.). Da qui la Catena si biforca con un tratto verso sud-ovest con il Monte Cocuzzo (1542 metri) visibile dall’antico faro di Messina, il Cozzo Sisma (1094 mt.), e La Serralta (1165 mt.); l’altro tratto continua verso sud est, mantenendo l’allineamento della Catena principale, con Sierra delle Grandini (1090 mt.) che degrada verso il Passo di Potame (1010 mt.), Monte Scutari (1291 mt.) e Monte Serratore (1236 mt.). La sella tra questi due ultimi monti, a quota 1130 metri, segna il Passo di Giuffrida da dove il crinale prosegue in direzione Est degradando fino a quota 627 metri del Passo di Pian del Lago. Qui lo spartiacque superficiale segna il confine tra i bacini del Crati e del Savuto e, quindi, anche la separazione della Catena Costiera con il Massiccio della Sila. Le rocce dell’Era Mesozoica sono prevalentemente costituite da Calcari dolomitici e Calcari marmorei con noduli di selce e piccoli affioramenti di Scisti sericitici e Filladi. Su questi complessi più antichi si appoggiano le rocce dell’Era Cenozoica e Neozoica con i terrazzi marini e le alluvioni recenti in prossimità del litorale tirrenico. Per quanto riguarda le rocce metamorfiche di più antica formazione dell’ordine di molte centinaia di milioni di anni, tra il Savuto e Paola e nella zona di Cetraro, sono molto diffuse le Filladi contenenti argento, rame grigio e galena. Nella zona di S.Agata d’Esaro, alle falde del Monte Cocuzzo e da qui verso Cosenza prevalgono gli Scisti Granatiferi con l’aspetto di chinzigiti, mentre, nella zona di Paola, presentano l’aspetto di micascisti a mica bronzata con piccoli cristalli di granato. Bellissimi e con varietà di colori tra il verde ed il viola sono gli Scisti diabasici osservabili sulla costa tra Intavolata ed Acquappesa, nelle incisioni vallive come quella dell’Esaro dove sembrano

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marmi variegati, e sulle pareti dei promontori nella zona di Paola, S. Agata e Mongrassano. Nei pressi di Guardia e nelle zone di Santa Caterina Albanese, Mongrassano e Sant’Agata, queste rocce di origine metamorfica, sono attraversate da filoni di Pegmatiti Granatiferi o coperti di grandi masse di Graniti. Nella Valle del Crati e tra Paola e Fuscaldo, ad esempio, il Granito presenta un’aureola di contatto metamorfosata e grandi fratture e con minerali di topazio.

Sia questi Graniti, sia le bellissime Serpentine di S. Angelo, Fagnano Castello e Malvito, denominate anche “marmi verdi” e da millenni utilizzate come pietre ornamentali, sono rocce che indicano come masse di magma risalendo dal mantello si introducevano all’interno dei depositi di argilla e sabbie che, centinaia di milioni di anni fa, si andavano accumulando sotto l’acqua dell’antico mare della Tetide. Le rocce prepaleozoiche senza le tracce delle antiche forme di vita sono sprofondate, ricoperte di nuovi sedimenti, fino a raggiungere zone dove forti pressioni ed elevate temperature le hanno trasformate in complessi cristallino-metamorfici. Le rocce del Mesozoico, iniziato 225 milioni di anni fa, ricche di Alghe e di fossili marini, documentano le fasi di sedimentazione di un ciclo di geosinclinale accompagnato da imponenti fenomeni vulcanici e sono rappresentate prevalentemente da Calcari di vario aspetto e colore affioranti sia nell’acqua del mare come quelli delle isole di Cirella e Dino, sia sulle più elevate vette del Monte Cocuzzo. Altri tipi di rocce sempre dell’Era Mesozoica sono le Arenarie della zona di Amantea e gli Scisti della zona di Cirella vecchia. Negli scisti sono presenti filoni metalliferi, di quarzo e di baritina. Gli stessi filoni di quarzo e di dolomia sono spesso accompagnati da accumuli di Cinabro e di minerali di ferro come la pirite e la calcopirite (minerali utilizzati nelle antiche industrie metallurgiche di San Donato di Ninea). All’inizio del Terziario, 65 milioni di anni fa, l’Italia non era ancora emersa mentre l’Europa e l’Africa erano separate da un mare profondo e stretto, detto Tetide, comunicante con l’Oceano Indiano. In questo mare e per milioni di anni si depositarono spessori di migliaia di metri di materiali erosi dai due continenti. Questi depositi, intorno a 55 milioni di anni fa, per effetto del lento movimento di avvicinamento della zolla di crosta africana a quella europea, furono stretti in una poderosa morsa ed incominciarono a corrugarsi ed emergere. Cinquanta milioni di anni fa emergevano dalle acque solo alcuni lembi dell’attuale Catena Costiera e degli altri rilievi dell’Arco Calabro-Peloritano. Questi stessi lembi e le altre terre emerse dell’Europa meridionale si trovavano allora nei pressi dell’equatore con fauna e flora tipiche della fascia climatica equatoriale. Ai cicli di trasgressione e regressione marina iniziati intorno ai dodici milioni di anni fa sono connesse le rocce sedimentarie che si appoggiano a quelle ignee e metamorfiche più antiche. Con il ritiro del mare si sedimentano i depositi di spiaggia arenarie e sabbie con resti di conchiglie e altri fossili. Con l’avanzata del mare Lamezia e non solo

sulla terra ferma si formano sedimenti caratteristici di ambiente lagunare. L’ingressione delle acque marine comporta il deposito di elementi più fini e di argille marnose caratteristici di ambiente di mare aperto. L’ulteriore scivolamento della zolla africana verso quella europea, durante l’Oligocene, fece emergere gran parte della Catena Alpina e della Calabria mentre nel resto della penisola dominava il mare ed una fossa oceanica in corrispondenza dell’Appennino centrale e settentrionale. Per l’evolversi di vari processi geodinamici alla fine del Miocene, circa sette milioni anni fa, l’ossatura dell’intera penisola era delineata. Altro evento di grande rilevanza del Neogene è che la Calabria e l’intero Bel Paese che si erano trovati sempre a sud dell’equatore, per la “migrazione dei poli”, vengono a trovarsi nell’emisfero nord vicino al tropico. Di questi imponenti processi di evoluzione geologica e dei cambiamenti del paesaggio e del clima risentono ovviamente le varie forma di vita e, quindi, animali e piante degli stessi territori e del mare circostante. Com’è noto e documentato dalla Storia della Terra e degli uomini le varie forme di vita e i Paesaggi che circondano, osservati dal punto di vista fisico, biologico e antropico sono, da sempre, in continua trasformazione. All’inizio del Pliocene, ad esempio, il mare ricopriva molte aree attualmente occupate dal territorio della penisola e l’aspetto del paesaggio in quel periodo è ben ricostruito e descritto da molti autori come E. Cortese.

In corrispondenza dell’attuale territorio della Calabria esisteva un Arcipelago formato da isole costituite esclusivamente dalle rocce azoiche e paleozoiche che oggi formano i più elevati rilievi della Regione.

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“La prima isola, che si estendeva dal sito in cui oggi sorge Diamante ed arrivava in giù fin dove è oggi Cetraro - scrive Cortese - aveva forma quasi triangolare, con la base ad occidente sul Tirreno e l’apice ad oriente sul Jonio; la seconda correva da Fuscaldo al Capo Suvero, quasi in forma rettangolare dall’uno all’altro mare; la terza andava da Filadelfia a Rosarno, la quarta da Palmi al Capo d’Armi e la quinta era rappresentata dall’odierna Sicilia. Questi confini però non debbono esser presi alla lettera, ma devono valere solo come dati approssimativi e probabili della topografia sì delle isole come dei Canali esistenti in un epoca distante dalla nostra parecchie migliaia di secoli. E quando parliamo delle Isole costituenti la Calabria di un epoca così remota, non dobbiamo certamente immaginare le Calabrie come sono formate oggi, con le loro larghe sponde ed i loro banchi di calcari, di marne, di sabbie e di argille che formano il sostrato delle loro vaste pianure. Tutto ciò è l’opera di formazioni non molto antiche, che trassero fuori dell’ambiente pelagico sedimenti di fondo marino più recente, spoglie di esseri a noi più vicini e molto somiglianti alle specie ora viventi. Occorre invece raffigurarsi la Calabria come un ammasso di rocce antiche gigantesche, rotte, frastagliate, perfettamente nude e costituenti delle isole separate da canali più o meno profondi e tortuosi: rocce che, quando avvennero verso la fine del terziario i sollevamenti che colmarono i canali e ridussero l’Arcipelago in Continente, dandogli presso a poco una forma simile all’odierna, erano già da centinaia di secoli allo scoperto ed avevano tratto sul loro dorso di granito fondo di mare assai più basso e vestigia di più vecchi viventi.

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Le acque del Tirreno s’insinuavano allora in mezzo a queste terre formando dei veri canali, dei quali il primo divideva la prima isola calabrese dalle terre della odierna Basilicata e da una piccola parte del Cosentino settentrionale, estendendosi tra Scalea e Diamante ad occidente, Trebisacce e Sibari ad oriente. Il secondo canale attraversava il sito ora occupato dalle terre tra Cetraro e Fuscaldo ad occidente, Corigliano e Rossano ad oriente. Il terzo canale corrispondeva agli odierni terreni estesi tra Capo Suvero e Filadelfia ad occidente, Marina di Catanzaro e Squillace ad oriente. Il quarto canale era tra Rosarno e Palmi ad occidente, Roccella Jonica e Gerace ad oriente. Il quinto era rappresentato dallo Stretto Peloritano.” Sui fianchi dei rilievi più antichi ed elevati che costituivano l’arcipelago pliocenico si possono osservare i depositi e i fossili che si sono accumulati sui fondali marini sia durante la “crisi di salinità” del Messiniano sia nella successiva epoca pliocenica, compresa tra i 5,3 e 2,8 milioni di anni fa, quando si registra un rilevante innalzamento del livello del mare a seguito della riapertura dello Stretto di Gibilterra. Ulteriori e rilevanti modifiche provocate da vari e concomitanti fenomeni di emersioni, scorrimenti ed accavallamenti, dal Pleistocene ad oggi, hanno portato all’attuale conformazione dei Paesaggi della Regione. Sempre sulle pagine di questo mensile “LAMEZIAenonsolo”, continueremo a proporre ulteriori dati e immagini che documentano le specificità del patrimonio naturalistico e dei processi di evoluzione geomorfologica in atto nei vari paesaggi che ci circondano.

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Aspettando la sera

Sulla senilità Al tempo del Covid 19 Nella Storia, mai come in questo periodo, la fascia d’età over ottanta è stata all’attenzione di tutti nel mondo. E’ la fascia d’età prediletta dal virus covid 19, che sta mietendo vittime senza fine. La vita umana si è allungata per il miglioramento delle condizioni esistenziali, per cui quella che un tempo era considerata terza età a decorrere dai sessantacinque anni è stata spostata a decorrere dai settantacinque anni.(Congresso nazionale della società italiana di Deontologia e Geriatria a Roma( SIDG 63), 28/11/2018. Oggi un ottantenne è ancora attivo, autonomo, in grado di prendersi cura di sé e degli altri, di partecipare alla vita sociale, politica, economica del proprio paese con contributi significativi, proprio perché espressione di saggezza ed esperienza. La perdita di tale apporto culturale a causa della pandemia è un grande impoverimento per la società contemporanea e futura. L’età senile per molti è da dedicare all’essere nonni, a viverne il ruolo storico, le responsabilità generazionali con le relative incombenze, la gioia dell’esserci per i nipoti e per i figli/genitori. Tutto questo è stato sconquassato dalla pandemia. Ci ha costretti a vivere reclusi in solitudine, arroccati ad difendere l’ultimo tratto di vita, che vita non è senza figli e nipoti, nella speranza di sopravvivere a questa tempesta e recuperare gli affetti, e con essi il senso e il significato dell’esistere. Il silenzio e la solitudine favoriscono la meditazione, il ripiegarsi su sé stessi, l’esplorazione interiore, il ritorno con la mente al passato, a rievocare e richiamare alla coscienza immagini dei tempi lontani, in particolare quelli della gioventù. Bellissimo! Tutto ciò ti fa sentire bene, ti alleggerisce il peso degli anni, e perfino giovane. Ricordare a volte diventa un rivivere , e provare ancora sentimenti autentici positivi, di gioia, di spensieratezza, di stupore, d’incanto, misti a un senso di possanza, tipici della giovinezza, Rivivere senza poter condividere, attraverso il narrare a qualcuno che ti ascolta, senza poter trasmettere essenze di vita, come sono i ricordi, è una amara esperienza che esaspera la solitudine. E così comprendi che non siamo nati per vivere soli, ma in relazione con gli altri. L’uomo per natura è “ un animale politico”.

di Angela De Sensi Frontera

Comprendi che siamo nati da una relazione, che è sempre una relazione che ci mantiene in vita, quella genitori/figli, e che, nel corso dell’esistenza, cerchiamo altre relazioni, tra cui quella generativa di altre vite. La persona è un sistema di relazioni. “Nessun uomo può vivere solo a meno ché non sia un bruto o un angelo”. Ma… la solitudine è provvisoria, la reclusione è provvisoria. Quali sono i limiti della nostra finestra di tolleranza? Li conosciamo? Provi a farti compagnia da sola. “Sono in compagnia di me stessa”, ti dici, “mi prendo cura di me e della mia casa”, e lo fai; e provi a sorridere alla vita, a metterti in contatto col mondo intero attraverso i social, a seguire radio e televisione, e scopri come la sofferenza tocca tutto il genere umano. E ti poni in un atteggiamento di attesa, di fiducia nella scienza e nella politica, di speranza che la rinascita e la ripartenza avvengano presto, presto. Tutto procede a rilento, continuano i contagi, il numero dei morti e lo sforzo immane dei sanitari, impegnati fino allo spasimo a salvare vite umane. I colori imperano, rosso, arancione, giallo, e decidono della tua vita e della tua qualità di vita, della tua libertà, delle tue opportunità, della tua salute e della tua sopravvivenza. E piano, piano ti arrendi all’evidenza, a non poter comunicare in presenza, a non poter trasmettere non solo il passato, col narrare, ma neanche il presente col vivere insieme il quotidiano. Quante conoscenze, competenze, abilità si trasmettono col vivere insieme! La cinghia della trasmissione della “cultura come modus vivendi” tra una generazione e l’altra è frammentata. Chiusi tra le pareti domestiche, intenti a salvare la vita, stiamo venendo meno al nostro ruolo storico principale: trasmettere la vita e la cultura che ci mantiene in vita. Perfino le nascite si sono notevolmente ridotte. Sono venute meno per i giovani e adulti le occasioni d’incontri sentimentali, dove nascono progetti di vita in comune fondati sull’amore, amore fecondo, generatore di vita. Torniamo alla vita per la vita, “insieme”, “presto”, in sicurezza.

NUOVO PUNTO DI RITIRO

PRESSO

Bar il Miraggio Luca Fragale - Via A. Volta, 22 - cell. 339 6953497 - Lamezia Terme Lamezia e non solo

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Sport

AMARCORD Due stagioni in biancoverde: ’80 e ’99 prima calciatore e poi diesse. SORACE: “LA VIGOR NEL CUORE. NEGLI OCCHI IL D’IPPOLITO STRACOLMO “Ricordo il gol all’Irpinia, lo stadio per poco veniva giù. Quell’anno persi papà: società, squadra e veri tifosi lametini presenziarono al funerale”.

di Rinaldo Critelli

Ci sono ex calciatori biancoverdi che avresti voluto ammirare dal vivo, tanti sono i riscontri positivi di cui godono. Tra questi c’è Angelo Sorace, per il quale il detto ‘la classe non è acqua’ si rafforza ancor di più guardandolo oggi, 62enne, fisico integro da fine numero ‘10’, come quando col suo sinistro deliziava le platee. Sorace è di Polistena e quanto fatto in carriera, sia da calciatore che da direttore sportivo, è tutto frutto di propri sacrifici ed umiltà, oltreché di competenza. Spezia, Cosenza, Catanzaro, Reggina, Palmese, tra le altre, in ordine sparso, ma soprattutto due annate alla Vigor Lamezia. La prima, ’80-81, da calciatore allora 22enne; la seconda da diesse nel ’99-00. Da qualche tempo lo si è notato frequentare il ‘D’Ippolito’ a stretto contato col dg Martino della Vigor di cui è grande estimatore. Al momento di andare in stampa, fine marzo, ancora nessuna ufficializzazione al riguardo. Angelo, iniziamo dalla tua carriera… Reduce dalle giovanili del Polistena allora 15enne, sono passato alla Reggina Primavera dove giocavano già i miei fratelli gemelli Michele e Giuseppe. Poi Lucchese (c’era pure Morgia, fortissimo), Rosarnese e Polistena. Quindi nell’80-81 acquistato dalla Vigor Lamezia del presidente Dattilo e del diesse Antonio Carlei. Non c’erano retrocessioni, in panca il grande Rodolfi. Anno bello ma particolare per me: a gennaio persi papà. Noi alloggiavamo negli appartamenti del D’Ippolito: un mercoledì di gennaio bussarono i miei parenti, allora non c’erano i cellulari, dandomi la triste notizia. Non ho mai detto che tutta la Vigor, società, squadra, e diversi grandi tifosi lametini vennero al funerale. Rientrai mattina di sabato perché c’era la rifinitura della gara interna con la Nissa. Tutti mi dissero che potevo stare a casa, ma a papà piaceva il calcio e sicuramente era contento che continuassi a giocare. D’accordo col mister non fui titolare, entrai nella ripresa e facemmo 0-0. Poi tante altre tappe… L’anno dopo Canicattì (D) due anni: prima voluto da mister Busetta, poi da Alvaro Biagini, passato alla Vigor dopo qualche anno. Facemmo secondo e primo posto, qui con Busetta subito dietro con l’Acireale. Passai dopo in C allo Spezia di Rodolfi che mi volle con lui, ci salvammo dopo un bel torneo. Anche il secondo anno buon torneo a Spezia con Ezio Galbiati (ex Reggina) e il dg Alberto Michelotti ex arbitro, che mi voleva gran bene. Avevo 25 anni, stavo andando forte e mi ero accordato in C col Parma

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di mister Perani e Sogliano senjor ds. Ad un certo punto però presero Roberto Mussi al mio posto, più giovane di 5 anni: il Parma vinse il campionato, poi in B andò Sacchi che stravedeva per Mussi e andarono in A, portandoselo poi al Milan e in Nazionale. Per dire certe volte i famosi ‘treni’ che passano. Quell’anno lì invece io litigai con lo Spezia, messo fuori rosa e al mio posto presero Bepi Pillon e andarono in C2. A novembre tornai al Canicattì, poi Miglierina di Spezia (D), Nuova Igea e Calcio a 5 col Reggio Calabria Cadi. Poi inizi da direttore sportivo. A Lamezia che ambiente c’era quando giocavi? Ricordo un D’Ippolito, in terra battuta, sempre pieno di gente in gradinata e tribuna: segnai contro l’Irpinia e per poco lo stadio non veniva giù dall’entusiasmo. Per compagni il portiere Condorelli, Sinopoli, Rocca, Spadaro, Giovanni Condemi, D’Agostino, Lagrotteria, Pulice, Saladino, Olimpio, giocatori importanti, alcuni continuarono ancora con la Vigor”. C’erano i due punti a vittoria e dalla D ne salivano due, Akragas e Modica quell’anno; Vigor 13esima con 31 punti. Il tuo ruolo? Ero un ‘dieci’ tutto mancino, dietro le punte. A Spezia mi cambiarono ruolo: c’era gente più brava e per ritagliarmi un posto mi adattai ad esterno. Allora correvo tanto e lì giocai in diversi ruoli, rifinitore ma anche mediano incontrista, come si diceva allora.

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Che allenatore ricordi con piacere? Da tutti ho appreso qualcosa, ma Busetta e Biagini furono importanti per me. Passiamo invece alla carriera da dirigente a Lamezia, eri direttore sportivo… Nel ’97 già da tre anni collaboravo col Torino che mi diede l’ok per fare il ds a Lamezia nel ’99-00. Fui chiamato da Cantafio e Gaetano e come allenatore c’era Alberto Spelta. Avevamo iniziato alla grande, supportati dal solito caloroso pubblico vigorino (in una foto proprio Sorace con Lio, attuale vice di Vargas alla Vigor – ndr), 17 punti nelle prime 9 gare. Alla sconfitta interna col Corigliano (0-2), ricordiamo che Spelta alzò le mani in segno di resa e si dimise, ma la responsabilità era di tutti. Poi ci ripensò (e questa è una notizia – ndr) ma avevamo già preso Pallavicini, che io conoscevo per essere un ex Torino, e nelle ultime gare Pulice. Avevamo una squadra forte: De Sensi, Lio, Granata, Galetti (14 gol), Parentela (12), Budellacci, Perrelli, Nosdeo, Marco Foderaro. Facemmo un gran campionato: terzi dietro Potenza e Igea Virtus di Auteri promossa, con i vari Doudou, Baratto, Riganò. A Barcellona P.d.G. subito dopo Corigliano (con Pallavicini in tribuna) ci rubarono la partita, pareggiando (1-1, prima Parentela, e poi Montesano su punizione) a pochi minuti dalla fine. Ricordo che ci presero a sassate il pullman alla fine. Abbiamo dato filo da torcere anche al Ragusa di Pasquale Marino (7°), facendo 16 vittorie in 34 gare. Quell’anno la Reggina in A (c’era Vargas in rosa - ndr) fece solo un’amichevole in Calabria, proprio qui a Lamezia contro la Vigor, sotto un temporale”. Dopo la Vigor? Era l’anno di Lamezia tappezzata dei manifesti ‘Cantafio vattene’. Io andai alla Reggina in A del ds Martino, affiliando la mia scuola calcio. Poi Cosenza in D, portai Beppe Sannino compagno a Spezia. Con la riammissione del Cosenza ‘14 la piazza si divise e a dicembre andammo via dopo aver pareggiato in casa col Modica di Rigoli, che vinse il campionato. Eravamo secondi con giocatori come Aruta, Melillo, Tankoua, Ginobili, Gallicchio. Poi Focevara in D. Quindi rientrai in Calabria facendo l’osservatore e scuola calcio. Poi la chiamata del presidente Cosentino a Catanzaro, vincendo un campionato grazie a quella vittoria allo scadere proprio contro la Vigor di Costantino, gol di D’Anna, ma l’uscita prima di Mancosu ci fece respirare.

. Vigor attuale: si è dimesso Morgia sostituito da Vargas, era arrivato già il ds Martino che tu conosci bene. Cosa prevedi? Il Direttore Martino è la persona che stimo di più nel calcio. Per chi non lo conoscesse potrebbe apparire burbero dall’esterno, invece è persona amabile e, soprattutto, competente, la carriera parla da sola. La Vigor ha fatto un ottimo acquisto: intanto è un aziendalista. Ha fatto grande la Reggina, con tante plusvalenze: Perrotta preso a 14 anni e venduto alla Juve e poi campione del mondo. Cirillo, Belardi, Cozza, Mesto, Rolando Bianchi. Quindi l’esperienza a Perugia e quella con la Lazio di Lotito. Il direttore è il Maradona del nostro calcio. So che il presidente Saladini è molto ambizioso, vuole fare tantissimo per Lamezia, spero che il direttore Martino possa riuscire in questo intento. Ai tifosi cosa dici? La Vigor mi ha cresciuto, allora avevo 22 anni: a casa ho in bella mostra una sciarpa biancoverde e la maglia nera del Nucleo. Quando arrivai alla Vigor da calciatore, venne a giocare a Polistena Angelo Mammì, ormai a fine carriera, compagno l’anno prima di mio fratello a Pagani. Spesso Mammì veniva a cena a casa mia per cui ci raccontava delle sue stagioni al Catanzaro, del gol alla Juve: così mi è nata la naturale simpatia per il Catanzaro. Poi ho avuto anche la fortuna di vincere un torneo lì. Ma la Vigor la porto sempre nel cuore, ai tifosi dico di stare tranquilli perché con un presidente come Saladini e un direttore come Martino il futuro è roseo. Curiosità: le due foto con Marini e Beccalossi sul tuo profilo Fb a cosa si riferiscono? Ad un’amichevole con l’Inter di cui – sorride – sono simpatizzante, non sfegatato però, venne organizzata per ricordare una tragedia di militari spezzini, con un bus in un burrone mentre erano soliti andare a vedere i nerazzurri a San Siro. Perdemmo 3-0, marcai Beccalossi, mentre a Marini, che era stato alla Reggina coi miei fratelli, avevo vergogna di chiedere la maglia. * pubblicate Castillo, Galetti, Sinopoli, Gigliotti, Scardamaglia, Sestito, Forte, Lucchino, Rogazzo, Ammirata, Samele. continua…

Domanda difficile: Lamezia perché non è mai arrivata in B? Nella mia stagione del 2000 mi ero permesso di avanzare la proposta di fare una sola squadra forte. Non capivo la rivalità col Sambiase, specie poi oggi non ha ragione di esistere. Ci sarebbero tutte le condizioni geografiche ed economiche per puntare ad alti livelli, l’unione fa la forza. Allora non erano maturi i tempi, oggi credo di sì perché il mondo è cambiato e bisogna organizzarsi Lamezia e non solo

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scuola

Nella Vienna del 1815... Il primo Summit moderno di Tommaso Cozzitorto Le alunne e gli alunni della seconda I Ardito Don Bosco hanno costruito un documento storico sulla Restaurazione, utilizzando diversi strumenti quali mappe, sintesi, scalette. Abbiamo voluto condividere il risultato con voi lettrici e lettori, grazie. Proporre la Storia attraverso una metodologia laboratoriale significa attivare nelle allieve e negli allievi un approccio critico verso la disciplina, affrontare una argomentazione con l’utilizzo del “problem solving” al fine di imparare ad analizzare un Documento storico autonomamente e di acquisire il pensiero complesso. In tal modo gli studenti potranno essere capaci di mettere in confronto periodi storici diversi, di attualizzare un fatto storico, di avere chiaro il concetto di Storia con la giusta prospettiva spazio /temporale. Inoltre essi sapranno orientarsi nell’ambito della Storia e della cronaca individuando le due tipologie e di conseguenza avere la capacità di utilizzarle e interscambiarle, appunto, in prospettiva. In questo modo, il testo di Storia si trasforma in strumento di ricerca e approfondimento, fatto salvo il suo impiego come studio di tipo più “tradizionale”. Il Documento sulla Restaurazione, per esempio, non mette in luce solo l’aspetto prettamente storico in cui predomina il ritorno all’Ancien régime, ma anche quello per cui il Congresso di Vienna può essere considerato il primo “summit” della Storia moderna per il modo in cui si è svolto soprattutto dal punto di vista sociale e organizzativo.

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“La storia è testimonianza del passato, luce di verità, vita della memoria, maestra di vita, annunciatrice dei tempi antichi.” Cicerone

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eccellenze lametine

Tagli selvaggi in città, parliamone di Salvatore D’Elia

Tagli selvaggi, chiome rigogliose decapitate da un giorno all’altro, viali alberati in centro o in periferia improvvisamente trasformati in un panorama quasi “spettrale”, con proteste di cittadini e associazioni. Perché, alla vigilia della primavera, a Lamezia si tagliano gli alberi in maniera così apparentemente indiscriminata? Se ne è parlato nel webinar promosso dal movimento “Lamezia Bene Comune” con l’intervento, tra gli altri, del presidente dell’Ordine degli Agronomi e Dottori Forestali della provincia di Catanzaro Antonio Celi. Di “tagli delittuosi” ha parlato il presidente Celi sottolineando come “questi tagli selvaggi vengano effettuati a Lamezia e in altri comuni della provincia di Catanzaro. In tanti punti del nostro territorio, la manutenzione ordinaria e straordinaria del verde pubblico non è realizzata con competenza. Bisogna tenere ben presente che un albero capitozzato ha poche possibilità di contribuire all’ecosistema generale e quindi alla vita della comunità: l’albero reagisce secondo natura a questi tagli indiscriminati che sconvolgono la fisiologia della piante. Nelle amministrazioni comunali, occorre inserire e ridare centralità alla figura dell’agronomo che oggi troppo spesso manca. Solo una figura professionale come quella dell’agronomo e del dottore forestale è in grado, ad esempio, di effettuare la diagnosi di stabilità di una pianta o comunque di orientare in maniera adeguata le amministrazioni comunali in questi tipi di intervento”. “La capitozzatura non è una potatura – ha chiarito l’agronomo lametino Antonio Buonconsiglio da sempre in prima linea sulle tematiche del verde pubblico a Lamezia – è una tecnica usata da tante amministrazioni comunali che in un primo momento può apparire veloce, ma successivamente si rivela un’operazione costosa in quanto la pianta tende a riprodurre la chioma rendendo necessari ulteriori interventi e quindi ulteriori costi. In una città un’operazione come quella della

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capitozzatura non dovrebbe avere luogo in città. Pensiamo a immagini come quelle che abbiamo visto in queste settimane a S. Eufemia oppure sul corso vicino alla Cattedrale: si compie un delitto per la pianta e un pugno negli occhi per chi vuole ammirare il verde pubblico di una città” Ha ripercorso i diversi passaggi amministrativi nella gestione del verde pubblico a Lamezia Lidia Gilberti, dall’affidamento alla Lamezia Multiservizi al progetto pilota con le cooperative di tipo B, sottolineando come “quando si parla di verde pubblico, le norme parlano di servizio: gli interventi sul verde non possono essere trattati alla stregua di qualsiasi altro lavoro. Affrontare la questione dei parchi e del verde pubblico è anzitutto un fatto culturale, che richiede il coinvolgimento dei cittadini, delle associazioni, delle cooperative. E’ un tema che riguarda direttamente la vivibilità urbana, l’attrattività della nostra città, la valorizzazione dei luoghi. Sappiamo benissimo che i Comuni hanno poche risorse: per questo è necessario attivarsi sul fronte delle risorse comunitarie. Un articolo del regolamento comunale del verde prevede la figura stabile dell’agronomo: occorre, appena le condizioni dell’ente lo consentiranno, dotarsi di una figura professionale che sappia orientare e programmare gli interventi sul verde pubblico”. “Quando si progetta l’impianto di una qualsiasi essenza, bisogna ragionare nel lungo periodo, per evitare di dover abbattere degli alberi per evidenti incompatibilità con il contesto urbano-architettonico” ha evidenziato Dina Caligiuri, architetto e presidente di “Lamezia Rifiuti Zero”, sottolineando “il valore straordinario degli alberi e del verde pubblico da considerare non come un costo, ma una ricchezza di cui beneficiamo tutti. Gli alberi vanno salvaguardati e moltiplicati. Non rassegniamoci a una città che, in alcuni punti, ormai è senza fiori e anche un’aiuola appare come una sorta di lusso”.

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lingue morte...

“Studiare Latino e Greco? È rock!!” di Antonella Caruso

No,non è mia la frase ma del grande Roberto Vecchioni. Cantautore, ex insegnante di Italiano in pensione , scrittore, poeta, paroliere. Il 18 luglio 2019 al 'Festival dell' Antico' a Cosenza, il cantore è ospite d'eccezione, non per cantare ma per esaltare gli studi classici del latino e del greco. Studi intesi come la migliore preparazione alla vita. Esagerato? "Tutto ciò che noi adulti trasmettiamo a voi giovani - afferma Vecchioni - non è nato dalla rivoluzione industriale, dall'Illuminismo o da altro, ma dal Mediterraneo. Il mondo nasce nel Mediterraneo". Non posso non condividere questa assoluta verità La vita, tutto quello che abbiamo, le interrelazioni, le comunicazioni, le idee, le parole, la loro stessa costruzione, le radici, viene da questo mondo fantastico che è il Mediterraneo. Siamo il fulcro, l'essenza del mondo. È inutile fare i chimici, i matematici, i medici o altro se non sappiamo da dove veniamo. Oggi manca una coscienza della memoria, il rispetto del passato. Non si può accettare una gioventù che non apprezzi i vecchi, perché sono la nostra storia, le nostre fondamenta, i giganti sui quali poggiamo. Tutto ciò che facciamo e il modo in cui pensiamo è forgiato in quella cultura. Sarai un ottimo tecnologico che sai come si fanno le cose ma non perché le si fanno. Lingua morta? Niente affatto. Viva più che mai. Nell'Accademia "Vivarium Novium", Centro di Alta Formazione Umanistica di Roma, ogni anno, studenti provenienti da tutto il mondo, spesso con situazioni familiari difficili, parlano correntemente il latino.... La Nostra lingua! Con essa si fa musica, teatro, hi-tech di progetti multimediali. Sono quasi un centinaio gli Atenei e le istituzioni culturali di tutto il mondo che collaborano con la Vivarium Novium. Un'altra realtà la troviamo in Spagna con il "Movimento di cultura classica" che oggi conta almeno 8 mila persone che parlano il latino fluentemente. In Croazia ha affascinato circa 6mila studenti. All'università di Pechino è nato l'Istituto Latinitas Sinica, dove si studia questa lingua con passione. Il nostro latino! Lamezia e non solo

Negli Stati Uniti e nel Brasile, formati dall'Accademia di Roma, oggi insegnano Latino nei rispettivi paesi per tramandarlo come bagaglio culturale in futuro. Dopo gli attentati del 13 novembre 2015, Parigi ha deciso di comunicare il proprio dolore e al tempo stesso la propria forza attraverso la frase:"Fluctuat Nec Mergitur", la nave che "è sbattuta dalle onde ma non affonda". Per riprendersi alla vita Parigi si è affidata alla mediazione di una 'lingua morta'. Anche se pare sia recente la notizia della sostituzione dei numeri romani nel museo di Carnavalat, con quelli arabi per una maggiore comprensione (indubbi francesismi). E quello che potrebbe apparire un controsenso non lo è affatto, perché il latino ti apre una porta dove dentro trovi il tempo e per costruire un presente vero e' necessario aprire queste porte. È un controsenso il disconoscimento della classe politica italiana verso questo patrimonio che invece di valorizzarlo lo affossa eliminandolo come materia di studio da alcune scuole. In Italia il latino ora è considerato una lingua di serie B, proprio nella culla della cultura europea. Mentre all'estero c'è un' altro approccio che valorizza questo studio poiché da allo studente la capacità di comprendere testi complessi oltre a fornire un'apertura mentale più profonda. Volenti o dolenti siamo eredi degli antichi romani :non lo dobbiamo dimenticare, soprattutto, non dobbiamo permettere che i futuri liceali lo ignorino. Se i nostri studenti si annoiano o trovano difficile lo studio del latino è, indubbiamente, colpa di alcuni insegnanti che non si evolvono, che continuano ad insegnarlo come quarant'anni fa. La didattica del latino, come del resto la didattica in generale, è cambiata. Ci sono molti modi per renderlo accattivante. Il latino è racchiuso dentro le parole che pronunciamo ogni giorno. Fa parte della nostra storia e del nostro presente. Bisognerebbe cambiare prospettiva e considerare il latino per quello che è :una Scienza. La scienza della parola e della nostra identità. Qualsiasi scelta scolastica abbiate fatto, siate autodidatti. Aprire un libro di latino. Incuriositevi. Lo amerete!

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l’angolo di gizzeria

Il maestro di sempre di Michele Maruca Miceli - storico - ricercatore Il maestro elementare Giuseppe della valle di “Crozza”, incantato Cacozza nasce a Gizzeria il 26dai favolosi tramonti serali, da cui 08-1935 dal padre don Federico non volle mai allontanarsi sino alla e dalla madre donna Angelina sua morte avvenuta il 22-03-2019 Trapuzzano. Entrambi genitori, nella sua tenuta di Campojenzo, figli della locale nobiltà, hanno lasciando increduli i suoi cari, gli sempre concorso a dare da lavoamici, gli avversari politici, i suoi rare e da vivere a tanta gente del concittadini e i suoi ex alunni orpaese attraverso le vaste proprietà mai diventati grandi. Fra le centidi famiglia, che necessitando di naia di messaggi di cordoglio inmanodopera giornaliera, venivano viate sul social facebook, ci hanno date in coltura oppure alla giornata colpito le bellissime e significative permettendo a numerose famiglie parole di un suo ex alunno che si che vi prestavano servizio, di è congedato dal suo maestro nel Scolaresca del maestro Cacozza Giuseppe anno 1969 da sbarcare il lunario. Il maestro giorno del suo funerale.” Addio sx Saverio Mendicino- Michele Pallone - Sandrino Falconsegue il diploma magistrale maestro dei miei primi passi. vo- Aurelio Paola - Mario Sauro - Ettore Cicco- Aldo Raso presso l’Istituto “De Nobili” di Addio uomo nobile e tanto umi-Villella - Umberto Ammendola - Giovanni Renda - GiovanCatanzaro e successivamente si le che hai completato la bellezza ni Saporito - Umberto Muoio - Giuseppe Caterina - Franlaurea in Pedagogia presso l’Udella mia prima infanzia. Addio cesco Maruca - Giovambattista Falvo - Fiore Crapis niversità di Messina. Nel 1955 maestro di vita che hai aperto le inizia la sua carriera di maestro strade di tanti fanciulli. Che gli elementare come supplente nel angeli più belli del paradiso ti Circolo di Gizzeria e poi di Sant Eufemia Lamezia. Nel 1967 va accompagnino al fianco del nostro Signore dove lì, potrai abbracad insegnare a Verzino, circolo del crotonese, dove conoscerà la ciare i tuoi cari e continuare a farci da guida maestra pregando per moglie ed insegnante Adriana Fabiano che sposerà nel 1969 e dal- noi che restiamo ciechi più che mai. Ti porterò nel mio cuore fino la quale avrà due figlie Angela e Stefania. Nel 1969 viene trasfe- a quando ci rincontreremo, come le persone più care che il tempo rito alle scuole di Gizzeria ove continuerà la sua grande didattica mi ha rubato. Addio Maestro ! Riposa in pace carissimo maestro che si concluderà nel 1996 anno del suo pensionamento. Un uomo don Giuseppe Cacozza e che la terra ti sia più lieve ..il tuo piccolo tutto di un pezzo, ricco di tanta bontà, di tanta umiltà, lo si vedeva alunno Michele Pallone - In una chiesa gremita più che mai di parlare con tutti e senza distinzioni di classi sociali. Nonostante gli tante persone, accorse da tutto il paese per porgere il loro saluto impegni scolastici, egli dovette dedicarsi anche alle cure dei po- al maestro di ogni tempo, sono state molto incisive le parole dette deri familiari, attività prima svolta dal nonno, poi dal padre morto dal padre brasiliano Helcio Roberto dos Santos durante l’omelia, prematuramente (1938) quando lui aveva solo 3 anni e poi dalla che ha tracciato un lungo ricordo della personalità del grande mamadre donna Angelina. “Don Giuseppe” familiarmente chiamato estro elementare e del grande uomo, del suo carisma che ha saputo e riverito da tutti, era un pilastro, un uomo sul quale ci si poteva dare valido supporto sia alla scuola che al paese con le varie caricontare, con lui la parola data valeva più della carta bollata. Dal che istituzionali a garanzia di equità e democrazia. 1980 si mise a disposizione del suo paese, presentandosi nelle file della Democrazia Cristiana e ricoprendo varie cariche politiche quali: 1) Segretario politico della Sezione D.C. dal 1985 al 1995. 2) Consigliere Comunale nel 1990 nelle liste della DC. 3) - Riconfermato Consigliere Comunale nelle elezioni del 1995 con la lista civica di centro destra.4) - Riconfermato Consigliere nel 1997 e nel 2002 con lista civica di centro destra. - 5)-Eletto Presidente del Consiglio nel 2004. Nel 2005, dopo ben 25 anni di politica attiva, stanco, cede il passo alle nuove leve che gravitano intorno al centro destra ritirandosi a vita privata. Ma nel 2010, quando ormai credeva di aver chiuso il capitolo “politica”, viene richiamato da esterno per occupare l’importante ruolo di vice Sindaco resosi vacante per delle problematiche sorte all’interno del Comune. Fervente cattolico e praticante. Non c’era Domenica che non lo si vedesse leggere il vangelo in chiesa e che non si comunicasse. Della sua Gizzeria, ne era entusiasta, innamorato, affascinato dalla sua gente, inebriato dai suoi ulivi secolari e dalle gialle ginestre pag. 16

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blaterando

Ditelo con un fiore. di Anna Maria Esposito «Ditelo con un fiore», recita un vecchio adagio. Per comprendere al meglio la Natura, la sensualità, la bellezza di ogni suo essere, ci viene incontro il linguaggio dei fiori. Gli estimatori sanno bene quanto sia importante non fare gaffes con i messaggi floreali. Tanti i versi dedicati alle differenti varietà di petali profumati. Il Maestro Innocente Foglio, poeta crepuscolare contemporaneo, con al suo attivo parecchie raccolte ed antologie, ci darà una sua personale interpretazione di alcuni fiori. Ad ogni donna e uomo la sua corolla. Rosa Tu Rosa come torre invalicabile, generosa di profumo. E a tua protezione spine che rendi morbide, solo al coglierti di mani innamorate. Tulipano Tulipano, i tuoi petali come mani congiunte in preghiera. Da lontano i mulini a vento, ti portano il profumo di una terra fertile che odora di antico. Girasole Tu Girasole, alto e superbo, come sovrano di terre dorate, chini la tua nobile corolla solo al tramontar del sole. Crisantemo I tuoi piccoli petali, stretti come un pugno di lacrime, tu Crisantemo spesso accompagni, chi alla vita dice per sempre addio.

Geranio Io Poeta a te umile Geranio, ti porto il saluto di mia madre, che abbellivi il piccolo balcone, ed è per questo che prego la rugiada che posandoti su di te formi lacrime, che si confondono con le mie. Stella Alpina Stella Alpina, per te la terra si è elevata fino a formare un’alta montagna, affinché il tuo cadere dal cielo sia stato un dolce e lieve posarsi. Mughetto I fili d’erba nel vibrare del mattino, suonano la bella stagione e Tu fragile Mughetto ne sei il principe, quasi, ma non da me, da tutti dimenticato. Fiori di scarpata ferroviaria Anche per voi, un dolce pensiero, Guccini, poeta vi paragona ad una giornata triste e solitaria, si, siete voi fiori di scarpata ferroviaria.

Garofano Hai fatto sfoggio nei taschini di uomini liberi, il tuo intenso profumo, e sventolato nel vento, tu Garofano da sempre, baluardo di gente in cerca di libertà. Margherita Tu Margherita testimone, di lacrima e bacio e decidi allo sfogliar di petali, a secondo della dolcezza verso di te usata una lacrima od il sogno d’amore. Orchidea Orchidea, fiore dai mille volti, i nomi a te dati, se ben composti, formano la poesia più bella, che tu con l’eleganza che a te solo appartiene, danzi e la luce del sole fa a gara per renderti ancora più bella.

Ringraziando ancora il Maestro Innocente Foglio per le sue sublimi riflessioni floreali, io vorrei ricordare che i fiori accompagnano sempre un’emozione, riceverli e donarli è un gesto semplice, ma ricco di messaggi che vengono trasmessi attraverso la loro bellezza. Ognuno di loro ha un proprio significato, unico e profondo, fatto di colori, profumi, forme e sensazioni che arricchiscono il valore simbolico di un momento importante o di un dono speciale, d’amore, di amicizia, di ringraziamento, di affetto. Concludendo ogni fiore può essere un maestro di vita, basti pensare che alcuni riescono addirittura a crescere alle pendici dei vulcani o in mezzo all’asfalto, dimostrando che le avversità si possono superare con la sola forza di volontà.

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gemme e non solo

LE GEMME di Palma Colosimo Le pietre preziose sono state utilizzate dalla notte dei tempi. I popoli dell’antichità conoscevano bene l’utilizzo delle energie delle gemme. Essi ne facevano un uso terapeutico, ma anche magico. Con il tempo molti degli usi e delle pratiche svolte da queste culture del passato vennero dimenticate. Una debole fiamma dell’antico sapere ha attraversato i secoli ed è pervenuta fino ai giorni nostri. Oggi le gemme sono state rivalutate per i loro poteri curativi e sono molto usate in cristallo terapia. L’ origine delle gemme risale a quella del nostro pianeta, esse infatti contengono l’ energia primordiale della Creazione. Infatti milioni di anni fa, quando il nostro pianeta non era altro che una massa incandescente in trasformazione, dal cuore del nucleo, il magma si spinse in superfice, portando con se preziosi componenti, che, raffreddandosi si cristallizzarono secondo schemi diversi . Nacquero cosi’ i quarzi i corindoni ed il carbonio dal quale si estrae la pietra più preziosa, il diamante . All’ interno delle gemme sono presenti elementi che troviamo anche nel nostro corpo come ad esempio ferro, rame magnesio fosforo e molti altri ancora. Gli antichi, conoscevano bene il loro potere curativo, e le utilizzavano per produrre dei farmaci. Oggi questi elementi sono prodotti all’ interno di laboratori farmaceutici, anche se alcuni, come ad esempio l’acido succinico, un potente antinfiammatorio, viene estratto ancora dall’ambra baltica ed è utilizzato dalle case farmaceutiche. La caratteristica che attrarre dei cristalli sono i loro colori . Sono gli stessi colori dei nostri Chakra. I Chakra sono dei punti energetici che si trovano nel nostro corpo., Essi sono come delle porte invisibili, attraverso le quali, l’energia vitale dell’universo,cioè, la luce scomposta nei sette colori dell’arcobaleno, penetra nel nostro corpo andando ad agire nei vari apparati fisici .I Chakra sono sette, per ognuno di essi vi sono delle pietre corrispondenti io ne illustrerò alcune . 1 Chakra (plesso sacrale) Posizionato alla base della spina dorsale, tra gli organi genitali e l’ano, colori nero e rosso scuro pietra LA TORMALINA NERA, lo scudo. Pietra protettiva, come uno scudo ci protegge dalle radiazioni senza assorbirle, ma anche dalla negatività. Non solo da quella che proviene dall’ambiente esterno, ma anche da quella generata dentro di noi come la rabbia e aggressività .Aiuta a consolidare l’autostima, ad attenuare gli stati dolorifici delle ossa, soprattutto della colonna vertebrale ed ad aumentare lo stato energetico dell’ organismo consiglio di indossarla attraverso bracciali e anelli 2 Chakra (plesso riproduttivo) Posizionato sopra il pube all’altezza del basso ventre, colori rosso e arancio pietraLA CORNIOLA l’equilibrio. Il suo nome deriva da carneus, ispirato dal colore dalla gemma che spesso ricorda un incarnato femminile . il suo colore varia dall’arancio striato all’ arancio scuro . Infonde vitalità ottimismo ed allegria . Ci insegna a bilanciare gli opposti e a trovare un equilibrio. Aiuta a risolvere i problemi della zona dell’addome, stomaco reni e organi riproduttivi. E’ anche in grado di stimolare gli impulsi sessuali, rafforza il coraggio ed era considerata un porta fortuna nell’antichità. Può essere indossata in anelli e bracciali, che oltre a farvi fare bella figura rafforzano l’autostima. 3 Chakra (plesso solare) Posizionato all’altezza dello stomaco colore giallo pietra L’AMBRA la finestra del mondo. Non è una pietra, ma una resina fossile di una tipologia di pianta il Pinus succinifera estintosi milioni di anni fa. Al suo interno si possono trovare inclusioni di fiori e insetti. Grazie alle sue proprietà elettrostatiche fin dai tempi antichi fu ritenuta una pietra pag. 18

magica, in grado di attirare il bene così come attirava gli oggetti, ha proprietà antinfiammatorie, regolarizza reni e intestino. Ne esistono in commercio dei falsi, ma la si riconosce dal tipico odore di pino se strofinata. Una collana d’ambra preserva dalle malattie respiratorie aiuta a mantenere il proprio equilibrio psicologico preserva da malocchio e fatture 4 Chakra (plesso cardiaco) Posizionato in mezzo al petto all’altezza del cuore. colori verde e rosa pietra II QUARZO ROSA la pietra del perdono. E’ una pietra molto femminile legata alla fertilità. Era uso che la indossassero le donne incinte o che avevano il desiderio della maternità . La sua energia è quella dell’amore incondizionato tipico della mamma per il suo bimbo. Viene chiamata anche la pietra per la cura delle ferite del cuore sia in senso affettivo che fisico. Aiuta a perdonare gli altri ma anche se stessi. Aiuta la circolazione ed a regolarizzare il ritmo cardiaco. Schegge di questo quarzo messe a contatto con creme di bellezza aiutano il tono della pelle e a guarire le cicatrici 5 Chakra (plesso tiroideo) posizionato al centro della gola colore azzurro pietra. TURCHESE la pietra della comunicazione. È la pietra non trasparente più apprezzata fin dall’antichità, ma è molto delicata e può scolorirsi se lasciata al sole o a contatto dell’acqua di mare o sudore. Si dice che cambia colore per avvisare il proprietario di un pericolo incombente. E’ la pietra dell’ottimismo e della comunicazione porta stabilità saggezza e pace. questa pietra dovrebbe essere indossata al contatto della pelle all’altezza della gola, per donare sicurezza e equilibrio nell’esporre le proprie idee. E’ uno splendido regalo, in quanto regalerà al ricevente grande felicità. 6 Chakra (plesso pituitario o terzo occhio) Posizionato tra le sopracciglia alla radice del naso colore viola pietra AMETISTA la pietra della spiritualità. È una pietra elevata che può aiutare la persona ad intraprendere percorsi spirituali. Veniva definita la pietra dei Cardinali e dell’ equilibrio è’ collegata al terzo occhio ed aiuta ad affinare l’intuito aiutando a vedere oltre le apparenze. Va indossata in previsione di una scelta importante Combatte l’ insonnia e stimola la mente degli studenti aiuta a guarire infiammazioni e disturbi dermatologici. 7 Chakra (plesso pineale o centro della corona) Posizionato sulla sommità del cranio colore bianco e oro pietra QUARZO IALINO. È la pietra più diffusa su tutta la terra, il suo nome deriva dal greco Kristallos Hyalos e significa “ghiaccio trasparente”, infatti i greci credevano che fosse acqua ghiacciata tanto compressa da non potersi più sciogliere. Questa pietra è un ponte con la madre terra e ne mantiene ancora il potere. Veniva usata per le sfere dei veggenti e per i pendolini, è lo strumento attraverso il quale i guaritori “vedono” le malattie. Aiuta la circolazione del sangue stimola le ghiandole endocrine, rafforza il sistema nervoso e linfatico, allontana febbri e mal di testa. Amplifica l’energia degli altri cristalli e li purifica. Le gemme descritte sono solo alcune delle pietre che sono collegate ai nostri chakra. Mi piace pensare che ogni volta che indosserete la vostra gemma, non vedrete solo un oggetto decorativo ma avrete la consapevolezza che essa possiede una energia curante e benefica.

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Sport

SEMPER IMMOTA FIDES Gli anni cinquanta essere tifoso della Juventus era quasi una provocazione, a chi sfotteva dicendomi che tifavo la squadra di Agnelli rispondevo che era la squadra degli operai della Fiat (almeno di quelli meridionali) e che anche Togliatti era in corso nella stessa “deviazione” .Mi sono chiesto a volte come mai uno rimane tifoso della stessa squadra pur sapendo che, stagione dopo stagione, cambiano i suoi giocatori, i risultati e un po’ tutto. Quando ci sono ragioni di campanile tutto è chiaro. Ma nel caso della Juve? è soltanto la sua intimità con il successo? non credo, c’é un fascino sottile, un’atmosfera, uno stile, insomma quello che con gergo commerciale si dice un’immagine, inconfondibile, perfezionata con gli anni, tramandata con le generazioni. La Juve è una squadra che non recrimina, non se la prende (salvo rare e condannate eccezioni) con l’arbitro o con la sfortuna; non abbandona i suoi campioni quando hanno un periodo di declino e dà loro il tempo di recuperare; il cambio dell’allenatore è una rarità e non corrisponde mai, o quasi, alle esigenze dello scaricabarile quando le cose vanno male. Insomma Juve vuol dire efficienza ed eleganza, fiducia

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in se stessi, capacità di durare. Juventus come gioventù, ma una gioventù da adulti più che da teen-agers. Due partite sono rimaste nella mia memoria. Una splendida vittoria per 4 a 1 sulla Lazio da parte della Juve di Charles, Sivori e Boniperti della partita contro la Lazio ricordo soprattutto uno dei goal: Charles ricevette la palla dalle mani del portiere appena fuori della sua area, cominciò subito a sgroppare, quasi in linea retta, come un cavallo di razza che sa di arrivare primo al traguardo, gli avversari erano come paralizzati, invano a turno gli andavano contro. Dopo averne saltati tre o quattro o forse cinque, Charles arrivò al limite dell’area laziale e fece partire una cannonata che allibì il portiere avversario. Ricordo anche, quando si era sul 4 a 1, i giochetti di Sivori che palleggiava di testa e di piede in mezzo a tre laziali, faceva passare la palla in mezzo alle gambe di un avversario, la recuperava, ricominciava a palleggiare come se si trovasse sotto il tendone di un circo, suscitando nel pubblico laziale un sentimento complicato di odio e di amore. Il calcio non è un oppio dei popoli ma uno dei giochi più belli che l’uomo abbia mai inventato. È una straordinaria combinazione di organizzazione collettiva e di esaltazione dell’estro

di Vincenzo De Sensi

individuale. Il successo può dipendere dalla preparazione meticolosa come dalla fortuna più sfacciata, non mi ha mai convinto la sbrigativa condanna di certi ambienti «sinistresi» o, peggio, di certi intellettuali, sempre con la puzza sotto il naso, i quali, scambiando cause per effetti, considerano il calcio come una terribile malattia sociale. Ferdinando Gabeira, già protagonista in Brasile del sequestro dell’ambasciatore americano ai tempi più bui della dittatura militare, nel suo fortunatissimo che ti succede compagno? racconta la delusione sua e dei suoi compagni per il fallimento di uno sciopero generale a Rio de Janeiro: nel luogo indicato dai volantini per dar vita a una manifestazione (era un primo maggio) i pochi coraggiosi furono travolti da una folla che accorreva festosa allo stadio Maracanà per esaltarsi con le gesta di Pelò. Ma, pur rimanendo identica la passione per il calcio, qualche anno più tardi gli operai brasiliani hanno dimostrato di saper scioperare e scendere nelle strade anche a rischio di finire in galera obbligando il regime militare a promettere una «apertura democratica».

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SANTI E BEATI

SAN GIUSEPPE DA COPERTINO L’ELEVAZIONE DELL’UMILTÀ

prima parte

di Fernando Conidi

La vita di san Giuseppe da Copertino è stata un esempio di umiltà, carità, obbedienza e soprattutto amore. Sin da bambino anelava alla santità; quando guardava l’immagine della Madonna, si sentiva pienamente assorbito nel corpo e nell’anima da Colei che chiamava “la mia vera Mamma”. Bistrattato e perseguitato dagli uomini, ha dato prova della sua santità percorrendo un cammino difficile, entrando per la porta stretta della salvezza e non per quella larga della perdizione (Mt 7, 13 -14; Lc 13, 24). Il Signore lo esaltava per la sua umiltà, e umiliava invece i potenti e i superbi che non si convertivano (Lc 14, 11), pur vedendo un povero frate librarsi in volo nell’aria e compiere molti prodigi. San Giuseppe da Copertino, con la sua vita, ha dimostrato a tutti che non è la cultura umana, né l’esaltazione del potere di questo mondo, che conduce a Dio, ma la santa umiltà, che salva sempre, vincendo sul maligno e sui suoi seguaci, precipitati dal cielo per la loro superbia. LA STORIA Giuseppe Maria nacque il 17 giugno 1603, da Felice Desa e Franceschina Panaca. Il padre era un lavoratore onesto, al punto che i marchesi Pinelli, di Copertino – paese in provincia di Lecce – decisero di affidargli l’incarico di custode del loro castello. L’indole troppo buona di Felice lo spinse a firmare delle cambiali in favore di alcuni amici, i quali, però, non onorando i debiti, lo misero nei guai, costringendolo a darsi alla macchia per evitare il carcere. In seguito, Franceschina, donna autoritaria e dal carattere forte, per sfuggire ai soldati, che cercavano il marito per confiscarne i beni, si nascose in una stalla, e lì, in preda

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San Giuseppe da Copertino in estasi, (Giuseppe Rapisardi, 1830) Chiesa di San Francesco e dell’Immacolata - Catania

alle doglie del parto, fece nascere Giuseppe. Felice e Franceschina ebbero sei figli, ma i primi quattro morirono prematuramente; restarono solo Giuseppe e la sorella Livia. La sofferenza e il desiderio di santità Egli, da bambino, dava l’idea di essere piuttosto trasognato, al punto che un giorno, durante una lezione di canto, ascoltando il suono dell’organo, rimase come estasiato, e gli amici gli affibbiarono subito il nomignolo di “boccaperta”. Poco dopo aver iniziato la scuola, all’età di sette anni, sarà costretto a la-

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sciarla a causa di un tumore che lo costringerà a rimanere a letto per quattro anni. Sarà proprio in questo lungo periodo che, attraverso i racconti della madre, s’innamorerà della vita di san Francesco, maturando il desiderio di recarsi ad Assisi e seguire, se possibile, le orme del santo. Una guarigione prodigiosa La madre era una donna dotata di una grande fede, che la spinse a portare Giuseppe presso la chiesa di Santa Maria delle Grazie, nel vicino paese di Galatone, per chiederne la guarigione alla Santissima Vergine, a cui era mol-

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SANTI E BEATI

Interno della Basilica di San Giuseppe da Copertino - Osimo (AN)

to devota. Lì, dopo aver ricevuto l’unzione con l’olio della lampada votiva, Giuseppe si sentì immediatamente meglio e il giorno dopo poté tornare a Copertino sulle sue stesse gambe, col solo aiuto di un bastone. Rifiutato dal mondo, amato da Dio Giuseppe, nel 1619, intorno ai sedici anni, provò ad apprendere il mestiere di calzolaio, ma l’esperienza fu fallimentare. Nel suo cuore ardeva sempre il desiderio di diventare un frate francescano, così si rivolse allo zio, padre Franceschino Desa, frate minore conventuale, chiedendo di entrare nell’Ordine di San Francesco, ma fu giudicato inadatto. Chiese allora di essere ammesso tra i frati cappuccini, dove fu accolto come “fratello laico” e, nel mese di agosto del 1620, entrò nel convento di Martina Franca per l’anno di noviziato, prendendo il nome di fra Stefano. Dopo otto mesi, però, fu reputato inetto alle mansioni assegnategli, di sguattero e ortolano, ed espulso dall’ordine. Quest’ultima umiliazione era troppo grande

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da sopportare e così decise di non tornare a Copertino, ma di recarsi nuovamente dallo zio, p. Franceschino, dal quale venne a sapere della morte del padre e che i soldati lo stavano cercando, poiché, per la legge dell’epoca, i debiti dei genitori ricadevano sui figli ed egli avrebbe dovuto scontare la prigione al posto del padre. Lo zio lo tenne con sé per un periodo, poi lo riportò in gran segreto a Copertino dalla madre, che, non disdegnando le maniere forti, lo rimproverò molto duramente per le sue apparenti incapacità. Franceschina amava profondamente il figlio, e nel tentativo di salvarlo dal carcere, sperando nell’aiuto della Santa Madre di Dio, lo condusse al convento di Santa Maria della Grottella, dai frati minori conventuali. Lì, tra molte preghiere e lacrime, riuscì a convincere i religiosi ad accettarlo presso di loro, quale unico modo possibile per evitare che venisse imprigionato.

no 1622. I frati, vedendo i suoi comportamenti, ebbero compassione per lui, poiché manifestava un’umiltà inconsueta, obbedendo amorevolmente e pregando molto. Quando raggiunse i ventidue anni, gli fu concesso di entrare tra i chierici dell’Ordine francescano e, indossato l’abito religioso, col nome di fra Giuseppe, il 19 giugno 1625, iniziò il suo noviziato. Anche se con difficoltà, riuscì a completare l’anno, apprendendo i rudimenti del latino e imparando la Regola di San Francesco. Per colmare le sue molte lacune, e l’evidente differenza di preparazione con gli altri frati, la notte, di nascosto, invece di dormire, studiava. Egli dimostrò a tutti di sapersi adattare alla vita austera del convento e all’obbedienza della regola. In tutto ciò che faceva, chiedeva aiuto alla Madonna, che amava profondamente e che considerava la guida del suo cuore per arrivare degnamente a Cristo.

Una grande umiltà Giuseppe indossò quindi l’abito di “oblato terziario”, e fu destinato a umili compiti di servitù; era l’an-

continua sul prossimo numero Fonte: “Il Segno del soprannaturale”, n. 364, ottobre 2018, Edizioni Segno Autore: Fernando Conidi

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la parola allo psicologo

L’emotività espressa (EE) nel contesto famiglia* di Raffaele Crescenzo - Pedagogista - Già Giudice Onorario del Tribunale per i Minorenni di Catanzaro. Autore di libri e articoli sul disagio giovanile. La storia di ogni famiglia è caratterizzata da piccole e continue trasformazioni, esistono situazioni che provocano cambiamenti consistenti, rendendo inefficaci le modalità che, in un primo tempo, erano funzionali all’andamento familiare. Nel suo percorso di vita, la famiglia, può essere coinvolta in eventi quali cambiamenti economici, problemi relazionali, dolori e sofferenze tendenti ad alterare l’equilibrio omeostatico che hanno costituito. Quando scopre che al suo interno un membro è malato, si trova a dover affrontare una criticità che richiede una riorganizzazione interna faticosa e complessa che, deve avvenire a molti livelli e richiede un particolare sforzo, non solo per ripristinare una certa “normalità” familiare, ma anche perché ciò avvenga nel minor tempo possibile al fine di affrontare una sorta di “confusa sofferenza” che impedisce la mobilitazione di risorse interne del sistema famiglia. La sofferenza è una esperienza che si colloca all’interno delle relazioni familiari ed, al suo interno, si può trovare comprensione, ascolto, aiuto, ma anche aggressività, diffidenza, disconferma; se tali manifestazioni emotive non trovano ascolto, sostegno con molta probabilità l’esperienza del dolore finisce per diventare una continua lacerazione, una sensazione di colpa rispetto al sistema relazionale familiare. Solo venendo a contatto con la realtà familiare tramite interventi specifici, siamo in grado di capire come la sofferenza, il dolore, la malattia incide sulle emozioni e sui processi relazionali. La rilevazione dell’EE (emotività espressa) è intesa come “(….)la misurazione di alcune caratteristiche dell’ambiente emotivo familiare nel corso di varie patologie, disturbi o problemi (….)”(Bertrando,1997), non ha come punto di partenza il malato, ma gli altri membri della famiglia per valutare“(...) l’indice dell’emotività espressa (…..) come indice della “temperatura emotiva” nell’ambiente familiare: un indicatore dell’intensità della risposta emotiva del familiare in un dato momento temporale. (...) Essenzialmente l’indice è un rivelatore della mancanza di affetto del familiare o del suo interessamento eccessivamente invadente nei confronti del paziente” (Vaughn,1988) L’Emotività Espressa è un costrutto scientifico costituito da componenti, fattori negativi e positivi, di rifiuto e di accettazione. La critica, l’ostilità è una generalizzazione del commento negativo, oppure un rifiuto della persona di cui si parla, oppure di entrambi questi atteggiamenti, si critica la persona per quello che è, piuttosto che per quello che fa. L’ipercoinvolgimento emotivo inteso come tutte le manifestazioni di eccessivo coinvolgimento dell’intervistato verso la persona di cui si parla, risposte emotive eccessive, drammatizzazione, iperidentificazione, auto sacrificio. Più schematicamente la definizione si fonda su precisi elementi: una famiglia; un problema non transitorio, rilevante per la famiglia stessa e riferibile a un singolo familiare; l’emotività, il grado di coinvolgimento che gli altri familiari rivolgono verso il portatore del problema; infine, la possibilità di misurare e quantificare la presenza e il grado di tale coinvolgimento emotivo. In tal senso, si distinguono i familiari ad alta e a bassa emotività espressa in base a determinate caratteristiche: i familiari ad alta EE sono tendenzialmente intrusivi, cercano il contatto senza tener conto delle effettive esigenze e richieste, vogliono esercitare un controllo, si sostituiscono in tutto e per tutto, senza tenere in debito conto delle necessità relazionali del congiunto. Quelli a bassa EE sono più in grado di adattarsi alle richieste e ai bisogni espressi del congiunto, maggiormente quando il calore affettivo nei

suoi confronti è molto elevato. Il confronto con la malattia: i familiari ad alta EE considerano il congiunto responsabile di tutte o quasi tutte le sue azioni, anche quelle che chiaramente costituiscono sintomi, una propensione a trovare una colpa o comunque un problema da addossare all’altro, un “capro espiatorio” che elude e nasconde i propri problemi di accettazione e di ostilità. La percezione dell’ “altro” che mette in evidenza tutti i limiti che hanno i membri della famiglia che, in realtà, sono “i limiti dell’esperienza del sé” (Napier & alt.,1978). Quelli a bassa EE cercano di costruirsi una spiegazione razionale di quello che sta accadendo, dei comportamenti del congiunto, riconoscendo maggiormente quelle dettate dalla sua malattia (Leff e Vaughn,1985). Infatti, questi familiari sono in un certo senso “avvantaggiati” dalla capacità di potersi al meglio spiegare “il disturbo con una interpretazione della malattia come una patologia organica. Tale comprensione toglie il mistero delle cause della malattia e agevola la condivisione dei programmi” (Cazzullo,1997). Le famiglie ad alta EE nutrono in genere aspettative molto alte per il congiunto sofferente, indipendentemente dai problemi e limiti di quest’ultimo, spesso drammatizzano le proprie reazioni ai sintomi e tendono ad avere modalità di risposta rigide ai momenti di crisi; mentre quelle a bassa EE nutrono aspettative realistiche, e sono in grado di controllare l’emotività e di adottare risposte flessibili. Infine, lavorare sull’emotività espressa porta in evidenza anche quel che si pensa delle famiglie e delle persone con cui si opera, sull’idea che ci facciamo di ogni singola famiglia con cui entriamo in contatto, in che modo osserviamo la sofferenza senza rischiare di “poter chiudere una famiglia nella descrizione “scientifica” ultima, definitiva”. Osservando in che modo i componenti di un sistema familiare interagiscono tra di loro e reagiscono nella “situazione congiunto ammalato”, ci troviamo di fronte a diversi stili relazionali. Nel tentativo di mantenere l’omeostasi (Jackson,1957) la famiglia cerca di adattarsi alla malattia seguendo un processo che implica l’attraversamento di fasi che spesso sono parallele a quelle che vive il paziente stesso. Ruoli confusi, negazione delle conseguenze legate alla malattia al fine di mitigare una realtà avvertita come intollerabile, famiglie rigide con individualizzazione esasperata profondamente tesa a mantenere lo “status quo ante”, negando che ci sia bisogno di cambiamento per affrontare il problema (Minuchin & alt.,1978). Atteggiamento iperprotettivo ed eccessivamente coinvolto con manifestazioni di ansia marcata nei confronti del sofferente. Molti caregivers affermano che il loro scopo principale è mantenere il loro parente a casa, finché sia possibile, provvedendo all’assistenza. Scarsa spinta all’autonomia con atteggiamento distaccato per cui si preferisce, per proteggersi dall’ansia, delegare o nascondere il tutto, soffocando il conflitto esistente. Altre famiglie assumono posizioni ambigue di fronte all’assistenza domiciliare del proprio congiunto, tanto da essere considerata come una cosa positiva e, nel contempo, come una cosa negativa. Una contraddittorietà che manifesta una sorta di colpevolizzazione delle famiglie per aver delegato ad “altri” la cura del proprio congiunto ammalato, considerando ciò un modo per respingerlo ed abbandonarlo. Allo stesso tempo sono consapevoli di non poter sostenere sufficientemente il percorso assistenziale. Nonostante questa consapevolezza, le famiglie avvertono un senso di angoscia di fronte al pensiero di mettere“il loro malato” nelle mani di estranei, di persone che si occuperanno bene o male di lui, mal sopportando il fatto che essi abbiano dei rapporti, delle relazioni di vicinanza con loro. Una

*R. Crescenzo (Psicopedagogista), “L’”emotività espressa” nel contesto famiglia”, pubblicato in Gruppo di ricerca in Pedagogia della Salute Dipartimento di Scienze Pedagogiche, Psicologiche e Didattiche dell’Università del Salento http://www.pedagogiadellasalute.it, 2011.

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sorta di invidia nei confronti del personale sanitario, e con frequenza esperiscono ogni tentativo per imporre e far valere il proprio parere, con l’unica finalità di dimostrare che il malato appartiene, in ogni caso, a loro. Tanti sono gli ammalati che ritornano nel proprio ambito familiare. Tante le famiglie che non possono, non riescono ad assisterli sentendosi indifese, impotenti e disperate. Alcune manifestano la propria non accettazione, incomprensione, rabbia ed impazienza nei confronti del malato. Altre, oramai logorate e stanche, gettono la spugna ed abbandonano. Necessitano interventi pedagogici ed educativi mirati, programmi di arricchimento relazionale, approcci comportamentali che favoriscano l’orientamento verso una precisa attenzione verso la definizione di un sostegno sociale che quel particolare nucleo familiare richiede per poter fronteggiare l’assistenza del familiare ammalato. In tal senso, i modelli pedagogici e psicoeducativi devono sempre più essere sviluppati in relazione ai nuovi bisogni di assistenza nella comunità determinati dal fenomeno della deospedalizzazione e delle degenze sempre più brevi. Offrendo alle famiglie strumenti semplici, soprattutto di tipo conoscitivo, per convivere con il congiunto ammalato, per accettarlo e per affrontare i periodi di crisi. Insegnare ai componenti della famiglia ad affrontare i comportamenti, le comunicazioni contraddittorie e gli atteggiamenti problematici caratteristici dell’assistenza. Questi modelli assumono come centrale il rapporto educativo con le famiglie e, non esplicitano un intervento psicoterapeutico o psicologico, sono mirati a coinvolgere le famiglie, a rompere il loro isolamento, a cambiare il rapporto con il servizio, a potenziare la famiglia come luogo di assistenza, a spostare su di essa alcune definite competenze e ad attivare potenzialità che altrimenti rischiano di rimanere latenti e chiuse al suo interno. L’umanizzazione dell’assistenza è tanto più possibile quanto maggiore è la solidità della famiglia. Non è pensabile chiedere alle famiglie di assistere in casa i propri ammalati e poi abbandonarli al loro destino con l’inevitabile rischio di disgregarla. L’intervento deve coinvolgere la famiglia, in specialmodo quando si tratta di affrontare un programma assistenziale lungo e doloroso, oppure quando la malattia del congiunto necessita di interventi immediati. Il coinvolgimento attivo familiare oltre a permettere la realizzazione dell’intervento nell’ambiente di vita del malato, fornisce agli operatori l’osservazione e la valutazione del “clima” emotivo e relazionale intrafamiliare. Ciò è fondamentale per evitare che i componenti del nucleo familiare possano essere sottoposti a stress, per l’eccessivo carico di responsabilità e di lavoro psico-fisico, che potrebbe condurre al rischio di “bruciarsi” o “cortocircuitarsi” e per ridurre, nondimeno, la possibilità di una crisi profonda e lacerante. Da questo punto di vista un sostegno concreto che provenga dal contributo di operatori dell’aiuto appare particolarmente importante per le famiglie, le quali possono costruire un rapporto personalizzato con l’operatore che le aiuta, senza avvertire la sensazione di perdere il controllo nella situazione di cura. L’operatore diventa per la famiglia una persona con cui condividere ansie e incertezze. Egli sembra in grado di raccogliere e di riconoscere quei bisogni dell’intera famiglia. Inoltre, sembra rappresentare per molte famiglie una maniera per accedere nuovamente a una “normalità” relazionale frequentemente abbandonata a causa della malattia, un riavvicinarsi a relazioni sociali frequentemente trascurate a causa del totale assorbimento relativo all’assistenza. Dunque,utile a due livelli. Sul piano pratico aiuta la famiglia a iniziare un dialogo con i servizi per eventuali momenti di assistenza, di contatto, nella presa di decisione. Inoltre sul piano psicoeducativo aiuta i famigliari a elaborare nuove modalità di approccio relazionale con il congiunto malato, permette di avere dei momenti di dialogo con qualcuno, sostenendoli nei momenti critici e di sconforto. La famiglia e la sua centralità, è il luogo dell’intervento psicoeducativo che rappresenta una risposta flessibile ed innovativa al disagio familiare, Lamezia e non solo

poiché adotta risorse, metodi e strumenti tali da poter prevenire e riparare dinamiche relazionali alterate che troppo spesso sono fonte primaria di rischio dell’equilibrio emotivo intrafamiliare. L’obiettivo prioritario, pertanto, è quello di garantire il massimo sostegno alla famiglia in difficoltà intervenendo sul suo disagio con un approccio relazionale globale, che garantisca lo sviluppo di un processo di mediazione tra individuo in difficoltà e le altre persone. In tal senso, i familiari sono visti come alleati e co-protagonisti, non viene loro attribuita alcuna colpa o responsabilità, si riconosce, piuttosto, il fatto che sopportano un carico e molte limitazioni in conseguenza del disturbo del congiunto e che debbono essere aiutati a migliorare le loro strategie di gestione del disturbo e di comunicazione con gli altri, affrontare meglio lo stress della vita di tutti i giorni accanto al congiunto ammalato. All’inizio del trattamento vi è un intervento psicoeducazionale strutturato, seguito da incontri con la singola famiglia o con gruppi di famiglie, con cadenza almeno quindicinale e/o mensile, che continuano per periodi a medio e lungo termine. Un approccio psicoeducativo integrato (Faloon,1992) per la valutazione dei punti di forza e dei lati deboli del nucleo familiare, per l’insegnamento di abilità di comunicazione e di un metodo strutturato di soluzione dei problemi, come migliorare il modo di discutere e affrontare insieme i problemi. L’operatore che segue la famiglia più da vicino incoraggia, mostra/propone di decidere insieme a trovare soluzioni ai loro problemi, tranne nei periodi di particolare difficoltà o grave crisi, in cui interverrà direttamente con le sue conoscenze proponendo i metodi più adatti, ma più spesso egli si comporterà come un “consulente di processo”(Schein, 1992), un “case manager”1* che aiuterà i familiari a trovare da soli le risposte (Folgheraiter, 1993). Ai membri della rete familiare viene richiesta la partecipazione a riunioni settimanali con uno o due operatori; durante gli incontri con gli operatori vengono valutati i progressi e le difficoltà incontrate. Gli effetti positivi e duraturi di tali incontri, oltre all’efficace fattore informazione, sono quelli riconducibili alla solidarietà tra famiglie, alla condivisione di problemi comuni, ansie, timori, alla “catarsi”(rebirthing) intesa come liberazione dalle passioni attraverso la rappresentazione e la condivisione di vicende che suscitano forti emozioni, al fine sollevare e rasserenare l’animo (De Luca, 1995), poter esperire le proprie emozioni senza esserne sommerso, può “sentire intelligentemente” e “capire sentimentalmente”, una scarica emozionale con la possibilità di comprensione intellettuale e recupero di preziose energie vitali fino a quel momento impegnate in meccanismi di difesa, tesi a mantenere gli equilibri in un contesto di sofferenza (Falzoni Gallerani, 1992). Le funzioni essenziali e gli obiettivi di tale intervento sono quelli di sostenere la famiglia nei momenti di difficoltà, fornendogli gli strumenti per fronteggiarle e rimuoverle; aiutandola quindi a scoprire le proprie potenzialità, riconoscere i propri bisogni, acquisire capacità di agire in autonomia; valorizzare e potenziare le dinamiche relazionali all’interno della famiglia in quanto “se il comportamento del malato viene profondamente e costantemente influenzato in senso positivo dalla realtà assistenziale(….) e familiare possiamo riscontrare espliciti miglioramenti clinici, riacquisizione di energie individuali e collettive(….)”(Cazzullo,1997); costruire una rete di legami “community-oriented” (Calvaruso, 1994) per sostenere la famiglia in difficoltà, mettendola in condizioni di recuperare il suo ruolo e di operare in autonomia; promuovere le capacità progettuali della famiglia senza esigere nuovi paradigmi con la convinzione che ”invece di portare un metodo di lavoro con me……(paradigma), cerco di catturare un discorso fresco e differente con ogni famiglia, in ogni sessione (sintagma)” (Di Nicola, 1993). 1 * Il "Responsabile del caso" è un operatore che si assume la responsabilità del controllo dell'attuazione degli interventi previsti nel programma assistenziale personalizzato (è il garante del piano assistenziale individualizzato). Rappresenta anche il primo riferimento "organizzativo" per l'assistito, la sua famiglia operatori dell' équipe assistenziale. E’ una figura di raccordo all’interno dell’équipe assistenziale, garantendone l’integrazione, tenendo le fila della comunicazione tra i suoi membri e assicurando che gli interventi assistenziali sul singolo caso siano effettuati in maniera coordinata senza sovrapposizioni, intralci reciproci e/o vuoti di assistenza. Cura il rapporto con la famiglia dell’utente con il referente familiare fornendo la più ampia informazione sul programma assistenziale che deve essere dalla famiglia pienamente condiviso, al fine di attivare la massima collaborazione e di raccogliere tutte le indicazioni utili e/ le richieste di aiuto e di supporto.

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di Maria Palazzo Carissimi lettori, abbiamo appena festeggiato il DANTEDÌ e l’eco dantesco, grazie a Dio, si fa sentire un po’, finalmente. A 700 anni dalla sua morte, si sente ancor più la sua presenza, non tanto nel bisogno di studiare il sommo Poeta, quanto nel sentirlo vicino… Personalmente, ammetto, senza alcuna vergogna (perché è la verità), di non essere una grande conoscitrice di Dante. Ho letto solo la VITA NOVA, l’INFERNO e una parte delle RIME, solo alcuni canti del PURGATORIO e del PARADISO… anni fa. Come ho scritto anche in un post del mio profilo Facebook, di quel pochissimo che, su Dante, so, non faccio mai sfoggio, sentendomi infinitesima, di fronte al Sommo, proprio perché ho poca canoscenza di lui… Quel che penso è che, oggi, Dante sia esponenzialmente più moderno che mai. E, più che sentire il bisogno classico e antico di

volerlo studiare, ultimamente credo che si senta il bisogno di sentirlo vicino. Per esempio, a me non piace sentir citare Dante come se fosse un sostegno a cui appoggiarsi. Amo sentire Dante come fosse vivo… Mi piace ascoltare la lettura che si fa, dei suoi versi e dei suoi scritti, ma non mi piacciono le citazioni di chi si fregia di lui, per spocchia culturale! Così come non mi piace l’erudizione che aleggia intorno a Dante, come se fosse privilegio di pochi! Dante scrisse in volgare, proprio per poter essere letto da tutti e, che ora diventi irraggiungibile, proprio non mi sta bene! A tal proposito, per il Dantedì, ho fatto un acquisto che mi riproponevo da tempo: il volume di tutte le opere dantesche, edito da GIUNTI-BARBÈRA, senza alcun commento, a parte l’introduzione dello scrittore Marco Malvaldi, . Il solo piacere di leggere Dante, non perdendomi nelle spiegazioni che, comunque, mi

allontanano dal testo è nel mio intento… Una lettura rivoluzionaria che mi suggerì, anni fa, un caro amico e di cui, oggi, faccio tesoro. Molti sorridono di fronte a questa scelta, ma è proprio così che sto facendo: stravolgere i canoni e, se è il caso, non comprendere proprio nulla, ma sentire il suono di tutte quelle parole che, nel quotidiano, quasi nessuno ascolta più, magari alzando il volume della mia stessa voce, piuttosto che leggere con gli occhi… Forse è così che dovremmo leggere Dante, se non lo si può studiare: apprezzandone, almeno i versi e le risonanze che essi provocano in noi. Non accordandoci, per forza, al brusìo delle analisi colte. I versi, persino oltre il loro ampio significato, ma solo per la loro bellezza e forza intrinseca. Per farli scorrere in noi, come un fiume che ci lambisca l’anima, almeno un po’… Per non trascurarlo, dunque, per non sentirlo lontano o semplice appannaggio di pochi, rivendico il nostro diritto di semplici lettori, di non essere studiosi, ma di avere una personale libertà, una nostra opinione, sia pure infima e infinitesima, che contribuisca a scoprire nuovi orizzonti danteschi, che possano illuminarci…E allora, buon viaggio dantesco a tutti noi… Non ce ne pentiremo.

Le perle di Ciccio Scalise

Ciarti sindachi mancati Avimu darti sindachi mancati, chi sì sentinu a panza chjina, pirchì, datu cà i Lamitini ull’anu vutati, llli, u paisi stanu purtandu alla ruina. A virità bbera, chi tutti sapimu, è, cà è nnutali chi alti specchji n’acchjiapamu, tutti ni putimu prisintari, ma cchi bbulimu?, si pua mancu u votu dà muglieri pigliamu. E ffacimu ricorsi e rribbialli, e scrivimu articuli artisunanti, pag. 24

divintamu assai piajiu di guagliunialli, spirandu i cumbinciari a tutti quanti. L’unica cosa c’aviti uttinutu, è cà, a Llamezia l’aviti ruinata, allu cunsigliu mancu cci’aviti jiutu, e a Mmaddamma, un bbì ccià fhaciti nà cacata. A prisunzioni, è nnà bbrutta malatia. chi po’ ffari mali, mali assai, ognunu avera ddì misurari u passu ppi lla via, ppì llà prusupupea, un ss’anu i causari guai. GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

Mò, scialativindi, quantu siti, guardativi allu specchjiu e ssintitivi appagati, girati u paisi paisi, accussì cuntu vi rinnditi, a mmanu i chini, i Lamitini l’aviti cunsignati. Aviti fhattu nà bravata senza guali ppì ddispiattu dà muglieri, mò, tagliativi i gginitali.

Lamezia e non solo


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