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Lamezia e non solo


Lameziaenonsolo incontra

Basilio Perugini

Nella Fragale

L’idea di intervistare Basilio Perugini mi è venuta proprio durante la preparazione dei festeggiamenti per i 50 anni di Lamezia, sia per il fermento creatosi intorno all’evento, sia per le discussioni suscitate dallo stesso, quasi che dovessimo cospargerci in capo di ceneri per quanto successo alla città invece di sollevare il mento e dire a noi stessi “si continua, Lamezia non sarà fermata da niente e da nessuno”. Da tramite ha fatto un comune amico, Giuseppe Ascolese e poi il resto è venuto da sè. Ed ecco una nuova intervista per i nostri lettori, un modo per conoscere appena “un po’ di più” personaggi legati alla nostra terra che, anche se non ce ne rendiamo conto, con il loro fare, potrebbero influenzare anche una parte della nostra vita

La prima domanda che le voglio fare è questa: perché ha lasciato Lamezia per trasferirsi a Roma? Una conseguenza degli studi, per amore, per lavoro? Quando andai a Roma, dove vivevano i miei nonni paterni, per studiare avevo 10 anni, era l’ottobre del 1957. Fui iscritto al Collegio San Giuseppe dove studiai sino alla maturità, quindi mi iscrissi alla Facoltà di giurisprudenza dell’Università “La Sapienza”, dove mi laureai quattro anni dopo. Li conobbi una giovane studentessa, Rosa Maria Schillaci, che ho sposato nel 1973 e dalla nostra unione, che dura felicemente ormai da tanti anni, sono nati due figli, Arturo e Dario. Questo è stato certamente il motivo più importante per restare a Roma. Ma un altro motivo altrettanto importante fu il desiderio di realizzarmi da solo, di costruire la mia vita, anche professionale, senza dover contare sulla mia appartenenza ad una famiglia nota e l’essere figlio di un grande e noto avvocato. Ciononostante ho sempre mantenuto vivi i miei rapporti con i luoghi e gli amici della mia infanzia e adolescenza. I ricordi da bambino a Lamezia? Quando ero bambino Lamezia Terme non esisteva. Vivevo con i miei a Nicastro. I ricordi sono tanti. Su tutti quelli della mia famiglia e poi tanti ricordi, anche marginali ma vividi. Ricordo la sirena della scuola elementare, che suonava all’entrata ed all’uscita degli scolari. Ricordo che si sentiva in lontananza lo sbuffare delle locomotive a vapore che transitavano

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dalla stazione. Ricordo il mio amatissimo maestro Raffaele Sonni. Ricordo i miei cari compagni di scuola, con alcuni dei quali mi incontro ancora. Ricordo lo “struscio” sul corso. Ricordo, nelle serate estive, i dialoghi dei film proiettati all’arena

Grandinetti, che entravano dalla finestra della mia cameretta. Ricordo i giochi con fratelli ed amici nel cortile della nostra nuova casa di Piazza Stocco dove ci trasferimmo nel 1953. E così tante altre cose. Come mai ha scelto di iscriversi alla facoltà di Giurisprudenza?

E’ stata una scelta più che naturale. Appartengo ad una famiglia di avvocati. Il primo della famiglia a laurearsi in “utroque iure” fu il bisnonno di mio nonno, “Domenico Peruggini” il 9 luglio 1793 all’Università di Napoli. La relativa pergamena di laurea è affissa nel mio studio. Anche i miei figli, Arturo e Dario, sono avvocati patrocinanti in Cassazione. Ci vuole parlare, sia pure brevemente, della sua storia professionale? Laureato a 22 anni con il Prof. Giuliano Vassalli e come relatore il Prof. Aldo Casalinuovo, ho fatto la mia pratica forense, iscritto nel registro dei praticanti procuratori tenuto dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Nicastro, nello Studio di mio Padre. Sono iscritto all’Albo degli Avvocati di Roma dal 1972 ed all’Albo speciale dei patrocinanti in Cassazione e davanti alle altre Magistrature Superiori della Repubblica dal 27 febbraio 1987. Sono anche iscritto nel Registro dei revisori contabili sin dalla sua istituzione (12 aprile 1995). Sono stato addetto alle esercitazioni pratiche degli studenti alla Cattedra di diritto pubblico del Prof. Salvatore Foderaro presso la Facoltà di Economia e Commercio dell’Università La

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Sapienza. “La legge è uguale per tutti”, in genere questa frase troneggia nelle aule dei tribunali, ma è davvero così? Si ha la sensazione che le leggi siano strumenti dei bravi avvocati e magistrati e che, spesso purtroppo, avvocati e magistrati incompetenti portino a non avere fiducia nella legge. Lei che è parte in causa che ne pensa? Anzitutto, in una prospettiva più esatta, non si dovrebbe dire che “la legge è uguale per tutti” bensì che “tutti sono uguali davanti alla legge”. Ho sempre creduto che la Legge, e per questo intendo il sistema giuridico, sia l’unico strumento che consente un ordinato svolgimento della vita della comunità e sulla base di questo principio ho esercitato la mia attività professionale con onore, disciplina e rispetto verso la legge, verso i cittadini che ho rappresentato, verso i colleghi e verso gli organi giudiziari. Ed anche se, talvolta, sono stato preso dallo sconforto per un provvedimento che ritenevo errato o ingiusto, non mi sono mai arreso ed ho proseguito nell’esercizio del mio mandato, convinto che, comunque, la

corretta applicazione delle norme consente di ottenere giustizia. Purtroppo, per le cause più varie (la giustizia è pur sempre un’attività umana e come tale fallibile) talvolta non si riesce a raggiungere un traguardo positivo. Ma questo non è sufficiente a cancellare la fiducia nella legge, senza la quale saremmo quotidianamente in balia del caos più dannoso. Nello svolgimento della sua professione le è mai capitato di sentirsi minacciare? Se sì come ha reagito? È accaduto un paio di volte, la prima delle quali molto grave perché la minaccia era estesa ai miei cari. Mi sono immediatamente rivolto all’Autorità Giudiziaria ed ho ottenuto la punizione dei colpevoli. Per un periodo fui costretto ad assumere ogni genere di cautela e ad accompagnare i figli pag. 4

a scuola seguendo ogni giorno itinerari diversi; adottando molte altre precauzioni. Le assicuro sono vicende che non fanno vivere bene e che cancellano ogni certezza. Fortunatamente le ho dimenticate. Lei è nato prima che la rete, che internet dilagasse, ed è, se così vogliamo dire, un “avvocato vecchio stampo”, cosa ne pensa di tutti questi studi legali, di questi giovani avvocati, che offrono i loro servigi “on-line”? Internet ha un grande valore e ha cambiato il mondo, ma da qui a legittimare l’offerta pubblica di servizi legali online ci corre; credo che il fenomeno determini sia lo scadimento della dignità del professionista sia quella della preparazione, inflazionando la presenza di personaggi che si inventano qualsiasi cosa pur di acquisire clientela.

nihil sub sole novi. Nel 2016 ha deciso di candidarsi per l’Assemblea Capitolina alle Elezioni Amministrative di Roma, ci vuole parlare di questa esperienza? Fui invitato a mettermi in gioco per contribuire alla costruzione di una diga che potesse contenere o, almeno, rallentare la marea montante dello scontento indiscriminato, ma con tutta la buona volontà non ci siamo riusciti. Ed ora la nostra Capitale è una “nave senza nocchier in gran tempesta”

Comunque, a proposito di rete, ho visto che lei ha sia un profilo su FB che su Twitter, li trova utili per comunicare? Certo, ma sono anche utili a soppesare la serietà e la credibilità di tanti.

C’è un Basilio Perugini co-autore di un libro intitolato Sarnér, una raccolta di poesie, nome presente anche in altre raccolte di poesie. E’ lei? Non sono io. D’altra parte ho tanti omonimi perché Basilio è un nome di famiglia che si tramanda da secoli da nonno a nipote. Per restare più vicino ho due cugini, figli dei fratelli di mio Padre, che si chiamano Basilio. Ce ne sono tanti altri appartenenti ad altri rami della Famiglia.

E sempre a proposito di comunicazioni on-line che ne pensa dei politici che

Lei è l’attuale Presidente dei Lions Capitolium ed è impegnato in altre

affidano a questo mezzo le loro campagne elettorali? Guai se non lo facessero. Si comunica là dove va la gente e la gente va su internet. Non ci vedo nulla di male. Il problema è che la passione per la vera politica è morta. Basta vedere il livello di chi ci rappresenta. A proposito di politica, pensando a quella italiana, lei cosa vede all’orizzonte? Una linea piatta che non si muoverà perché gli interessi di chi va al potere sono sempre gli stessi, o qualcosa potrebbe (il condizionale è d’obbligo) muoversi? Se coloro che non hanno cambiali da pagare (e sono pochi), che non devono soddisfare in politica i loro interessi materiali ed i loro fallimenti nella vita (e anche questi sono pochi) riuscissero a convincere gli elettori ad ignorare la pletora dei ciarlatani, certamente la nostra comunità progredirebbe. Ma, purtroppo,

attività sociali, quali le ragioni di questo suo impegno? È la terza volta (1990 – 2012 – 2017) che mi è stato concesso l’onore di presiedere il Lions Club Roma Capitolium, un club prestigioso a livello internazionale, che annovera tra i suoi soci tre Governatori distrettuali e un Direttore Internazionale. Le associazioni di servizio, come i Lions, sono molto importanti perché con la loro opera rendono importanti prestazioni non solo nelle comunità in cui operano territorialmente, esercitando anche una funzione di stimolo e di supporto alle Autorità, ma contribuiscono anche alla realizzazione di progetti per realtà degradate proposti dal Board Internazionale e sostenuti da tutti i Clubs del mondo. Il mio impegno, comunque, non si limita a questo perché, nel 2007, ho fondato, con autorevoli e validi personaggi,

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l’Associazione “Impegno Civico”, che, tra i suoi scopi, ha anche quello di favorire la partecipazione dei cittadini alla vita politica, finalizzata anche alla formazione di una presa di coscienza non solo dei diritti ma anche dei doveri. In occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia la Presidenza della Repubblica ha concesso all’Associazione, per il suo programma sul tema, di fregiarsi del relativo logo. Privilegio concesso a soli 80 enti in tutta Europa. Come è nata l’idea del Comitato 4 Gennaio? Nel 2013 è stata dedicata una lapide marmorea alla memoria suo padre e lei era presente. Nacque in quell’occasione il desiderio di festeggiare poi i 50 anni di Lamezia Terme? No. L’idea fu dell’ultimo Presidente del Consiglio Comunale, Salvatore De Biase, che propose di istituire una giornata festiva, il 4 gennaio, per commemorare ogni anno l’istituzione della Città. Anche se ha vissuto a Roma ha sempre seguito le vicissitudini di Lamezia. Insomma un cordone ombelicale che mai si è spezzato del tutto? Non ho mai spezzato neppure parzialmente il legame con la mia Città. Ho cercato in più occasioni di proporre e favorire alcune iniziative, a mio avviso, utili per il nostro territorio, e devo ammettere che non ho mai trovato ascolto. Ciò non toglie che io nutra per Lamezia un amore smisurato, un grande orgoglio, ed un solido sentimento di appartenenza.

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Un primo bilancio delle manifestazioni di avvio dedicate ai 50 anni di Lamezia Terme? Le prime manifestazioni celebrative sono state caratterizzate da una grande partecipazione di Autorità e Popolo. La giornata del 4 gennaio 2018 ha avuto una ricca agenda fatta di tante manifestazioni che hanno abbracciato l’intera giornata. L’evento finale al Teatro Grandinetti è stato poi caratterizzato da una grande e calorosa manifestazione di popolo, alla presenza delle autorità istituzionali, militari e religiose e dei rappresentanti di quasi tutte le forze politiche della città. E gli apprezzamenti disinteressati sono stati tantissimi. Basti pensare che dalle ore 16 alle ore 20 del 4 gennaio, la postazione di Poste Italiane nel Teatro Grandinetti ha rilasciato circa 2.000 annulli filatelici speciali emessi per celebrare l’evento. A proposito del Comitato, i cui nomi erano già noti da quando è stato formato, come sono stati scelti i componenti? Sono stati indicati due da ogni partito e due dal Vescovo. Ma vorrei qui ringraziare la magnifica squadra che mi ha affiancato e mi affianca anche con sacrifici di ordine economico, nell’interesse della Città e che è composta da Nello Sofi, Massimo Sdanganelli, Antonella Costantino, Giuseppe Ascolese, Maria Scaramuzzino, Marco Cerminara, Riccardo Viola. Dimentico sicuramente qualche nome, ma sono certo che altri concittadini di buona volontà e che amano Lamezia si

aggiungeranno per aiutarci a realizzare le iniziative che organizzeremo nei prossimi mesi a partire da febbraio. Come spiega lo stillicidio dei componenti del comitato? Sono stati trattati male?, non hanno avuto voce in capitolo nelle scelte o logica conseguenza dello scioglimento del nostro Comune? Non c’è stato nessuno stillicidio. Un membro benemerito è molto attivo e propositivo, il Prof. Tonino Jacopetta è purtroppo deceduto ed uno solo, peraltro spesso assente, scarsamente propositivo ed ancor meno attivo, si è dimesso. Peraltro, sin dalla prima riunione, ho precisato e lo confermo ancora, che il Comitato è aperto al contributo di tutti i cittadini. Mi preme anche segnalare le tante adesioni pervenute alla pagina facebook del Comitato stesso. Una domanda cattiva: quanti soldi pubblici ha avuto il Comitato per le manifestazioni dei 50 anni di Lamezia Terme? Non è una domanda cattiva perché per consentire la realizzazione di tanti progetti il sostegno finanziario pubblico sarebbe stato doveroso e necessario. Comunque non abbiamo avuto nulla dagli Enti pubblici e solo pochi amici generosi, tra i tanti imprenditori, professionisti e privati interpellati, hanno contribuito con somme peraltro modeste. Con il senno di poi, se potesse tornare indietro, accetterebbe ugualmente la

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Presidenza del comitato? Certamente. Servire la mia Città è un onore e lo farò sino in fondo con il massimo impegno personale anche per onorare la memoria di mio Padre. Visto che stiamo parlando di Lamezia … cosa ha da dire sull’ultimo commissariamento? Lo scioglimento non può certamente procurare gioia, perché trascina la Città in una situazione di straordinaria emergenza. Ritengo che la Commissione Prefettizia non debba essere avversata per consentirle di operare a tutela degli interessi della Comunità. Si tratta di competenti funzionari dello Stato ai quali sono stati affidati compiti doverosi e difficili. Cerchiamo di non aggravarne l’adempimento. Cosa vorrebbe suggerire ai futuri amministratori della Città? Più che ai futuri amministratori suggerisco a chi formerà le liste di valutare severamente i candidati ed agli elettori di scegliere con giudizio coloro che avranno la responsabilità di risollevare Lamezia C’è speranza per Lamezia e, più in generale, per la nostra bella Calabria? La speranza non deve mai venir meno. Ma la sua realizzazione è sempre in mano agli elettori che dovranno esercitare con coscienza il loro diritto di voto.

Città, se e quando mi venga richiesto e, naturalmente, nei limiti delle mie possibilità.

Siamo giunti alla fine dell’intervista e voglio ringraziare l’avvocato Perugini per essersi lasciato intervistare. Un dubbio mi attanaglia ora: del figlio di un attore che intraprende la stessa carriera del padre si dice che è “figlio d’arte”, lo stesso si dice per figli di pittori, scultori, cantanti, musicisti, scrittori, “figli d’arte” perchè quelle professioni sono ritenute appartenenti alle “arti”, di un avvocato, con alle spalle un’intera genealogia di avvocati si può dire che è “figlio d’arte”? Nel caso di Basilio Perugini credo di sì, un figlio d’arte che ha fatta sua la professione che esercita con abnegazione. Ascoltandolo, sentendolo parlare si intuisce

che ama quel che fa, e che fa l’avvocato per passione. Non ho avuto molte occasioni per ascoltarlo ma quando parla riesce ad attirare l’attenzione, senza bisogno di alzare la voce o gesticolare. Lo si ascolta con piacere per quello che dice, per come lo dice, per il tono della voce, tipico di chi è sicuro di sè, di colui che sa di cosa sta parlando e lo argomenta senza incertezze, un eloquio che ... affabula! E’ altrettanto palese che ama Lamezia Terme, pur avendola lasciata quando ancora non si era fusa con gli altri comuni continua a portarla nel cuore. I suoi ricordi di quando ancora abitava a Nicastro hanno risvegliato anche in me ricordi sopiti e, a distanza di anni, non si possono avere ricordi vividi se non di ciò a cui si è legati. E poi, ad ulteriore conferma, c’è il “Comitato 4 Gennaio”, festeggiamenti per i 50 anni di Lamezia Terme che lo vedranno impegnato per tutto l’anno perchè non è finito tutto il 4 gennaio 2018, ci saranno altri incontri, altri riconoscimenti, altri premi, tanto altro e, visto che nessuno lo costringe, e visto che non ci sono soldi da spartire, anzi ... La frase che ho scelto per concludere questa intervista è di William Earnest Henley: “Non importa quanto stretto sia il percorso. Quanto piena di problemi sia la vita. Io sono il padrone del mio destino: Io sono il capitano della mia anima...”.

Il suo rapporto con la Religione? Sono convintamente credente e cattolico praticante. Nonostante le mie tante fragilità ed i miei tanti difetti mi affido con fiducia a Dio ed anche nei momenti più difficili e sconfortanti non ho mai perso la speranza e prima o poi ho sempre visto la luce. E le se proponessero di diventare sindaco di Lamezia Terme? Direbbe di sì? Non ho più l’età per quello, ma sono sempre disponibile a servire la mia pag. 6

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Istruzione Università Pegaso

L’Evoluzione Telematica della Città di Lamezia Terme Pegaso, l’Università Telematica nella Città di Lamezia Terme è divenuta una realtà dinamica e poliedrica. Là dove la Politica ha tentato senza successo, è riuscita una Impresa privata evidentemente sollecitata dalla società civile, desiderosa di beneficiare delle moderne proposte formative. La nuova Sede è stata inaugurata il 29 gennaio 2018 nel complesso architettonico che accoglie il Seminario Vescovile alla presenza delle autorità, dei professori e della cittadinanza, fra i quali Il Provicario Generale della Diocesi di Lamezia Terme Mons. Tommaso Buccafurni, il Presidente della Provincia di Catanzaro Enzo Bruni, il Vice Prefetto di Catanzaro Costanza Pino, il Vice Questore di Catanzaro Angelo Paduano, i rappresentanti dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e del Reggimento Aves Sirio. Numerosi gli interventi tra i quali spiccano quello della Responsabile della struttura di Lamezia Terme Caterina Carbone che ha presentato e descritto il lavoro fatto ed i risultati conseguiti “Pegaso e la nostra sede rappresentano un presidio di cultura, avvertendo in essa le opportunità di rinnovarsi di fronte alle sfide dell’Europa”, quanto ancora affermato dalla dottoressa Carbone. Il Viceprefetto Costanza Pino ha evidenziato i progressi di

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una popolazione, quella Lametina, che può grazie alla Pegaso beneficiare di nuovi corsi Universitari, fondamentali per lo sviluppo sociale. “Lamezia - ha affermato - sconta tante criticità, ma ha anche tanti pregi e tante potenzialità. Pertanto, aggiungere qualità non può che far crescere un territorio. La presenza di un Ateneo a Lamezia Terme che genera cultura e che lo fa con strumenti tecnologici avanzati è una eccezionale opportunità per accedere più facilmente al “sapere superiore”. Il fondatore della Pegaso Università Telematica, Danilo Iervolino, ha risposto alle tante domande, poste dai numerosi relatori ed in particolar modo ha descritto e raccontato, con un pizzico di ironia, quella che all’origine fu una sua pazza idea: dare l’opportunità di conseguire una laurea a tutti, nessuno escluso, favorendo così l’apprendimento delle materie in qualsiasi luogo, in qualsiasi ora, in qualsiasi giorno senza distinzione di età, lingua o classe sociale. Una opportunità culturale universale nata nel Sud, nella città di Napoli da sempre fucina di idee ed iniziative di successo ed in questo particolare caso un successo tutto Meridionale.

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Spettacolo

Un Dapporto grande grande per un borghese piccolo piccolo Comunale Grandinetti Lamezia Terme, 25 gennaio 2018, Teatro Comunale Grandinetti. In scena, per la Stagione di Teatro organizzata da AMA Calabria con il patrocinio della Citta di Lamezia Terme, lo spettacolo Un borghese piccolo piccolo tratto dall’omonimo romanzo di Vincenzo Cerami con Massimo Dapporto, Susanna Marcomeni, Roberto D’Alessandro, Matteo Francomano, Federico Rubino e con le musiche originali di Nicola Piovani. Regia di Fabrizio Coniglio. Un racconto di ordinaria quotidianità per un commedia nera che mette in scena vaghe e inquietanti atmosfere drammatiche, una straordinaria tenuta del linguaggio teatrale condensato in un atto unico, le infinite connessioni di un testo con il suo tempo. Il décor, firmato da Gaspare De Pascali, è costituito da elementi che rappresentano dei singolari interni/ esterni senza soluzione di continuità: un capanno per gli attrezzi in campagna, una cucina, un ufficio ministeriale. I tagli dello spettacolo fanno pensare alle sequenze del cinema con un chiudersi e riaprirsi rapido di flash di luce, quasi che lo spettacolo si proponesse non all’occhio dello spettatore ma a quello di una macchina fotografica il cui otturatore scattasse periodicamente. In questo volume di buio, solo fasci di luce, nel rigoroso disegno di Valerio Peroni, ad illuminare alternativamente spazi, ambienti e personaggi. Luce sul proscenio per una tranquilla scena di pesca tra un padre e un figlio che panificano il loro futuro. La meritata

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pensione per il padre, un posto di lavoro “sicuro” al Ministero per il figlio. Luce incerta nel capanno degli attrezzi, rifugio trasformato in camera di tortura. Luce perpendicolare sul tavolo della cucina, spazio di intimità e di dolore. Luce al neon nell’ufficio ministeriale, fredda e cinica come il burocrate che vi lavora.

Immenso Massimo Dapporto nell’interpretazione di Giovanni Vivaldi. Un personaggio costruito per sottrazione. Sospeso fra coloritura e ironia, realismo e metafisica, mitezza e crudeltà, misurata incertezza e drammatica leggerezza. Una figura che si transustanzia nei

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particolari, nei piccoli gesti di attenzione come quelli che si ritrovano nel suo amore ingenuamente giovanile nei confronti della moglie o nel tentativo di discuria nei confronti del figlio. Eccessi calibratissimi e movimenti banali ma ricchi di motivazione e di senso. Una esistenza piana, la sua, improntata al “senso del dovere” fino a quella scelta che lo spinge a contravvenire alla propria legge morale per poter aiutare il figlio. Una scelta che lo sovrasta e lo inquieta come quella enorme porta color arancio al centro del palco che deve varcare per diventare fratello tra i fratelli. Poi l’imprevisto, quella morte “per caso” che lo porta ad una sorta di schizofrenia dell’anima: marito amorevole e lucido torturatore dell’assassino di suo figlio, mantenendone inalterate l’allure e la compostezza di uomo qualunque. Fino alla scena finale che lo restituisce a sé dopo aver ricomposto nella morte il suo universo disgregato. Commovente l’Amalia di Susanna Marcomeni che ci regala un ritratto di donna di antico pudore. Vita riflessa, la sua, “educata” alla devozione maritale e alla protezione filiale. Vita di attese, scandita dai rientri e dalle uscite dei suoi cari in quel perimetro domestico che è spazio femminile per eccellenza. Vita che si spegne con un urlo alla notizia della morte del figlio e si calcifica oltre il silenzio, nell’immobilità del dolore con una presa emotiva che fende il buio come una lama. Grande il dott. Spaziani di Roberto D’Alessandro, metafora perfetta dell’apologia del potere come condizione

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del sistema sociale. Pachidermico e viscido, sollecito e benefico, persuasivo e intemperante, brusco e clemente è il burocrate corrotto e corruttore. Trascorre la sua vita nel suo microcosmo polveroso tra pile di pratiche inevase laddove quel suo gesto reiterato di ingollare affettati è la voracità dell’homo homini lupus in una comunità dove le leggi umane fanno posto ad uno scatenamento di ruberie e finzioni, di parole che mascherano i comportamenti quotidiani, di idee contrabbandate per ideali. Una afasia di sentimenti dove la scelta registica di connotare il personaggio con un marcato (quanto naturalissimo) accento calabro/cosentino - di per sé caratterizzato da un andamento cantilenante nella curva prosodica - enfatizza il gioco di perenne ambivalenza della realtà. Tenero il personaggio di Mario nella bella e convincente interpretazione di Matteo Francomano in perfetto equilibrio tra candore e desiderio di non deludere i propri genitori. Di straziante dolcezza il fotogramma che fissa la scena della sua morte in una posa plastica che ricorda Cristo in pietà sorretto da Dio Padre. Sine verbo ma incisiva la presenza di Federico Rubino nel ruolo dell’assassino soprattutto nella scene di tortura dove il raccapriccio e l’orrore sono risolti ellitticamente con

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un capovolgimento di ruoli tra vittima e carnefice. Nella genialità di una regia rigorosa in cui affiorano essenzialità disadorne, Fabrizio Coniglio ci restituisce un testo che da eccessivo e sovrabbondante nello straordinario romanzo di Vincenzo Cerami si trasforma, qui, in un noir letto in filigrana, una sorta di revenge play

con stoccate di ironia tese ad alleggerire la vis drammatica in cui è immersa la

vicenda. La pièce sembra, infatti, vivere di una poetica precisa che è quella del “frammento” e durare per “lo spazio di una illuminazione”, fornire stimoli, consolidarsi sui dettagli e svanire. In questo buio espanso si stagliano le dramatis personae nei bei costumi di Sandra Cardini. Viene così rintracciato l’invisibile filo che lega le parole, le frasi, le une alle altre e si isolano dei segnali che diventeranno poi i segni riconoscibili della rappresentazione. Fra questi la malinconia. Che non è solo dei personaggi ma appartiene ad un universo malato, stanco, esistenzialmente destinato a finire o a riproporre continuamente il suo moto perpetuo. Anche il linguaggio è ripartito su più piani. C’è quello quotidiano, fatuo, a volte indolente; quello tecnico del diritto e della burocrazia; quello alto, sonoro, teatrale della Massoneria e poi c’è quello del silenzio, unico rifugio dalle secche dell’esistenza dove il passato non è altro che la ricostruzione di gesti mancati in attesa della morte mentre le splendide musiche di Nicola Piovani creano un paesaggio sonoro che fa da contrappunto espressivo alle scene. Uno spettacolo di altissima tensione emotiva e intensità interpretativa. Applausi lunghissimi e liberatori.

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Associazionismo

Il Club del libro Il club del libro compie un anno, è quindi maturo per far parte della rete nazionale #gruppodiletturaday, utile a condividere esperienze e riflessioni con altri appassionati di lettura provenienti da ogni parte d’Italia. L’essere stati ammessi a detto circolo virtuale è notizia che inorgoglisce i membri del club e stimola ancor di più, se mai ve fosse stato il bisogno, la voglia di dibattere sull’ultima lettura proposta: “La resistenza del maschio”, di Elisabetta Bucciarelli. Il libro, come spesso accade tra i presenti, raccoglie recensioni sia positive che negative, lasciando briglia sciolta ai pensieri in libertà: chi si stupisce della bellezza descritta del blu di Klein e chi sottolinea che il figlio dell’Uomo (ovvero, il protagonista del romanzo) sia la sua carriera, per poi aggiungere che le vere protagoniste dell’opera sono le donne, perché se oggigiorno il genere maschile è cambiato rispetto a pochi anni addietro, tale cambiamento è risultato indotto dalle donne. In altre parole, gli uomini cambiano perché rimbalzano sui cambiamenti delle donne. L’autrice articola il romanzo in descrizioni dettagliate delle sensazioni e degli ambienti, in maniera quasi cinematografica, restituendo ai lettori una visione intima dei pensieri dei vari personaggi, delle loro quotidiane lotte frutto di convinzioni estreme. Le prospettive descritte, di conseguenza, sono sia maschili che femminili, essendo il romanzo è un accordo di cori, di voci diverse, non il classico soliloquio di una voce narrante. In tutto ciò, le donne sono comunque descritte come le Parche della mitologia classica, tessono il destino degli uomini, che “resistono”, o quantomeno ci provano, perché sono le donne che lasciano o si fanno lasciare, scelgono, indirizzano i rapporti con l’altro sesso, “registe” (come in un film, se è vero che il mondo è il palcoscenico delle nostre esistenze) della cita dei propri compagni, mariti, amanti, amici… Elisabetta Bucciarelli costruisce le vite dei suoi personaggi legandole alle loro identità irripetibili, anche nel caso del protagonista maschile, tanto pedante basare la propria quotidianità su misure, distanze, angolazioni, che rappresentano le curve della vita che ci sorprendono, ci spiazzano gettandoci nel caos, percorsi di dubbi ed incertezze, vita da percorrere. Le donne, come emerso nel corso della discussione, seguita dalla lettura di alcuni brani del racconto, sono descritte come tessitrici di un invisibile filo di Arianna, che se si spezza non dà più ritorni. «Siamo una poesia sbagliapag. 10

ta» commenta la Moglie nel romanzo. «Ecco dove ci troviamo». Il passaggio, che riassume la trama, evidenzia la contrapposizione su cui è basata l’opera. Vi è il marito, l’Uomo, il Maschio che resiste del titolo, che non pensa minimamente ad avere dei figli, e una moglie, sua moglie, che invece vorrebbe un figlio a tutti i costi, al punto da tendergli continui e velati agguati portando in casa culle, giocattoli per bambini ed enormi box. Una coppia che si era sposata per amore, sicuramente, ma che ora si sta sgretolando sotto questa pensate e forse inconciliabile contrapposizione. La discussione, tra i soci del book club, li ha portati inevitabilmente a schierarsi, anche se ci si è trovati d’accordo sul fatto che l’Uomo non ha mai smesso di amare la moglie, semplicemente non riescendo a soddisfare un suo desiderio di maternità. Ed ancor di più si è assistito al crearsi di opposti schieramenti al momento della trattazione del secondo libro proposto: “Lo specchio nello specchio” di Michael Ende. A chi lo ha definito uno dei cinque libri più formativi nella mia esperienza di lettore si è contrapposto qualcun altro che ne ha ricavato la sensazione di dover vagare tra i vari paragrafi, neanche titolati, come da uno specchio all’altro, richiamando polemicamente il titolo del libro. Il prossimo appuntamento di LectorInFabula è fissato per il 18 febbraio, come di consueto alle 17:30, ovviamente al Qmè. Si parlerà dell’opera di un giovane autore calabrese, Nicola H. Cosentino, il cui titolo, davvero curioso, è “Vita e morte delle aragoste”. Chi lo ha proposto, lo descrive come un racconto ambientato tra la provincia calabrese e Roma, e tratta di sogni di gioventù, appartamenti condivisi, viaggi, storie d’amore, ambizioni letterarie, legami che nascono e rapporti che si sfaldano. Chi vorrà unirsi alla discussione, anche senza aver letto il libro, sarà il benvenuto.

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Associazionismo

Lavori di donne in mostra ad

Altrove

Inaugurata l ‘otto dicembre e proseguita in gennaio, una mostra molto originale si è svolta a Lamezia Terme con sede a Casa Lissania e dedicata alle donne, organizzata dalla prof.ssa Anna Cardamone, presidente dell’ Associazione “Altrove” che ha devoluto il ricavato della vendita dei suoi ricami all’ Associazione Italiana persone down Pisa. Le opere presentate: Decorazioni a punto croce su tela coloratissime, ritraevano 23 donne di differenti epoche e Paesi, emerse nello spettacolo e nella cultura grazie alla buona volontà messa in atto per raggiungere i propri desideri. Tutte ebbero un obiettivo comune: L’Amore. Amore per: Cultura, Arte, Bellezza, Natura, Prossimo. UnAmore forte e sicuro ma anche malato e scarso amore per sé; sempre però un grande Amore. Una delle tante raffigurate è stata l’Angelo Azzurro, Marlene Dietrich: donna sicura e trasgressiva, ben integrata nella società russa, affascinante che sfida ogni convenzione: Rinuncia a marito, figlio e alla posizione sociale per un amore tormentato e malato, ma sarà vittima di se stessa e finirà gettandosi sotto un treno per placare la sua anima inquieta. Segue la bellissima e sorridente Marylin, sempre in cerca del vero amore, che purtroppo non trovò mai: Donna incerta e timida, così bella da diventare un mito. La seguono Anna Karenina e poi due donne note e importanti del Divino poema dantesco: Francesca da Rimini, vittima di un matrimonio infelice, che pagò con la vita la colpa di un amore impossibile e Beatrice, creatura angelica, simbolo dell’ amore spirituale che reca l’uomo alla salvezza eterna. Segue Dora Markus, fascinosa ragazza ebrea austriaca perseguitata dai nazisti: Personaggio immaginario, creato da E. Montale come

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una creatura dolce e irrequieta, vittima della sua “fede ” il nazismo. Giovane irrequieta poi donna matura vittima di un destino ineluttabile. Siamo negli anni ’30, è il turno di Susan Gaylord, che durante la sua vita rinunciò in parte alla sua carriera, per riprenderla poi a tempo pieno, riuscendo in parte a cambiare i suoi obiettivi: Da giovanissima fu scultrice per divenire poi moglie e madre, rinunciando in parte alla sua car-

riera, che riprese a tempo pieno alla morte del marito, diventando poi donna emancipata ed indipendente. L’ inatteso amore per lo scultore egoista e prepotente le

fece perdere di vista l’ obiettivo della sua vita. Comprenderà presto che l’amore del suo uomo è un amore malato poiché egli l’ha plasmata proprio come una sua statua , soffocandone il talento e sminuendo la sua bravura. Si renderà presto conto finalmente che potrà affermarsi soltanto quando sarà finalmente pronta a liberarsi dei compromessi dedicandosi esclusivamente all’arte. Pearl S. Buck fu la sua fu la creatrice di questo personaggio, insignita del Nobel per la letteratura. L’ultimo personaggio della mostra è Athena , la misteriosa Strega di Portobello: Donna insolita, inquieta e speciale, alla ricerca di sé stessa e il suo carisma innato la porta ad incantare chiunque percorra il suo cammino. Il suo creatore Paulo Coelho e Franca Rame, l’autrice dello splendido monologo “ Chiamatemi strega “ . La sfilata è quasi conclusa, con le note di “Michelle “ dei Beatles. Siamo rimasti soli: Ognuno di noi può rimanere solo, affrontando un percorso difficile, scontrandosi a volte con angeli o demoni e lottando con una giustizia ingiusta ma può trovare sempre conforto negli angeli, nei propri amori e nei propri desideri. Le persone e gli eventi possono cambiarci profondamente, maturandoci e facendoci crescere e nel bene e nel male. Così com’è avvenuto ad ognuno di noi. …Ma …rimane ancora da vedere la ventitreesima donna, chi sarà mai ? Con un elegante cappello nero e un bel sorriso rosso ? Ma è … Anna Cardamone, l’ Organizzatrice della mostra e di tanti eventi culturali e musicali ! Grazie Anna, Hai sempre qualche bella sorpresa da farci assaporare, hai sempre un sorriso, una parla dolce, grazie Anna.

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Spettacolo

Un tuffo nei mitici anni ‘70 grazie alla poliedrica e talentuosa michela andreozzi Lamezia Terme, 10 gennaio 2018 – Un tuffo nei mitici anni ‘70. Raccontati da chi allora era una bambina, una di quelle che giocava a campana in giardino o in strada, che impazziva per Sandokan e che improrogabilmente andava a letto dopo Carosello. Ha riscosso un grandissimo successo la poliedrica Michela Andreozzi che al teatro Grandinetti di Lamezia Terme ha portato in scena, dopo otto anni in giro per l’Italia, l’ultima replica di “A letto dopo Carosello”, con la regia di Paola Tiziana Cruciani. Uno spettacolo autobiografico, scritto dall’attrice con il contributo di Giorgio Scarselli e Max Viola, coinvolgente e interattivo, tanto da portare gli spettatori a intonare le canzoni più in voga del momento, a condividere i propri ricordi, e persino a sfidarsi in una sorta di Sarabanda dedicata ai Caroselli. Una pièce divertente, inserita nella rassegna regionale “Vacantiandu” diretta da Nicola Morelli, Diego Ruiz e Walter Vasta., per ricordare, per chi quegli anni li ha vissuti, e un invito ad incuriosirsi e a documentarsi per coloro che di quel decennio ne hanno solo sentito parlare. Con pochi e piccoli accessori e con un uso impeccabile

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della voce, la Andreozzi veste i panni dei più diversi personaggi che hanno accompagnato la sua crescita, in un viaggio su e giù per l’Italia con i suoi dialetti: la madre napoletana, la maestra calabrese, il ragazzino di Forte dei Marmi, la proprietaria dell’alimentari sotto casa a Roma. Divertenti racconti scanditi da momenti musicali, accompagnata dal maestro Greggia, che mettono in gioco le abilità canore dell’artista romana che da Marcella Bella al “TestaSpalla” di Don Lurio, arriva ad omaggiare Mina, Gabriella Ferri fino a riproporre uno sketch di quella che – dice – è la cosa più bella che Milano abbia regalato all’Italia: Franca Valeri. Il tutto con una scenografia minimal: una tenda e il profilo di una TV d’epoca a fare da sfondo. Quanto basta a Michela Andreozzi per raccontare la sua infanzia: le ciabatte intelligenti della madre, lanciate all’occorrenza come punizione a qualche disobbedienza; la zia divorziata e per questo destinata all’inferno; la penna rossa della maestra che, scorrendo sul registro di classe scegliendo chi interrogare, finiva sempre su Andreozzi, all’ultimo banco, chiacchierona e sempre con la testa nella televisione. Quella televisione che diventava compagna di vita: i jingle dei Caroselli, gli sceneggiati all’insegna dell’avventura, il mondo di paillettes del varietà del sabato sera. E infine i suoi miti: da Tarzan a Orzowei, da Sandra e Raimondo a Delia Scala, da Raffaella Carrà a Bice Valori. Uno spettacolo che ha divertito il pubblico, che le ha tributato applausi scroscianti, facendo rivivere a molti la nostalgia di questi anni passati.

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Spettacolo

ASPETTANDO IL LAMEZIA FILM FEST:

JODOROWSKY

UN CINEMA D’ARTE SENZA FINE Nel 1953 lasciava il Cile e si trasferiva a Parigi, in Europa: da allora ha partecipato alla vita culturale della capitale francese senza mai smettere di lasciare il segno con la sua attività nel teatro sperimentale prima e nel cinema di avanguardia poi, con capolavori che sono rimasti nella Storia del cinema e che per la Settima arte rappresentano oggi dei veri e propri punti di svolta epocali. Parliamo ovviamente di Alejandro Jodorowsky, il genio nato nel 1929 a Tocopilla, scrittore, fumettista, saggista, drammaturgo, regista teatrale, cineasta, studioso dei tarocchi, compositore e poeta cileno naturalizzato francese. E proprio a questa leggende del cinema che il Lamezia Film Fest dedica il suo evento invernale. Nonostante i riflettori dell’ LFF4 si siano spenti a novembre, dopo aver ospitato, tra gli altri, Abel Ferrara, Vinicio Capossela e Valentina Lodovini; e nonostante il sipario si alzerà sulla quinta edizione non prima del novembre 2018; il Lamezia Film Fest non si ferma, e continua a proporre cinema di qualità anche e soprattutto in un contesto politico sociale particolarmente difficile per Lamezia. Infatti la recente (e ancora in corso) rassegna cinematografica dell’Associazione UNA dedicata ai film in lingua originale apre ogni sua proiezione con uno dei cortometraggi che sono passati in concorso durante la quarta edizione della kermesse lametina, cortometraggi provenienti da ogni parte del mondo. E ancora sabato 17 febbraio, presso il TIP Teatro di Lamezia Terme, sarà sempre l’ LFF a presentare un altro grande appuntamento: la prima visione -unica in Calabria- del film Poesia Sin Fin, l’ultimo capolavoro ad oggi del Maestro Jodorowsky, primo appuntamento di una mini rassegna dedicata al regista. Jodorowsky è un artista incapace di accettare compromessi: ha scandalizzato i benpensanti con opere di sapore surrealista come El Topo e La Montagna Sacra, ma è stato anche costretto a stare lontano dal cinema per 22 anni. Negli ultimi tre anni è tornato alla grande con La Danza della Realtà e ora con Poesía Sin Fin, opera autobiografica che racconta gli anni giovanili del regista. A Nicolas Winding Refn, che lo ha eletto suo mentore, Alejandro Jodorowsky ha detto Lamezia e non solo

chiaramente di scegliere tra arte e cinema commerciale. Ma cosa significa scegliere l’arte? “Se rispondessi a questa risposta, poi morirei. Non conosco me stesso così bene e credo che sia un bene conoscersi poco alla volta. Ho dato sempre il massimo in tutto ciò che ho fatto e ho fatto ciò che amavo di più in quel momento. Sono sempre stato ciò che volevo, senza compromessi. Per me il cinema è la più completa delle arti, ma è nato come business ideato per fare soldi”. Jodorowsky sa meglio di chiunque altro quanto il cinema sia vincolato al denaro, visto che è stato fermo per anni. “Per girare Poesia sin fin ho avuto solo due mesi di tempo

perciò dormivo solo 5 ore a notte. Abbiamo girato in 45 giorni, senza avere possibilità di reshoot. Sono consapevole che oggi in sala ci si scontra con i blockbuster americani, ma non mi spaventa continuare così”. Poesia sin fin è stato realizzato grazie al supporto del crowdfunding, che sta prendendo sempre più piede nel caso di produzioni complesse e anticommerciali come la pellicola densamente simbolica di Jodorowsky. “Quando faccio i miei film sono sempre costretto a pagare gli attori il minimo. Quando lavoro vado in trance. La casting

director mi porta 4 o 5 donne, io in questa specie di trance sento il personaggio. Non scelgo il miglior attore, scelgo la persona che è quel personaggio e poi la lascio libera di esprimersi. Prima di optare per il crowdfunding sono stato a Hollywood con 50 copie della sceneggiatura. 50 copie per i 50 idioti che decidono quali film fare e quali no. Nel mio caso gli idioti hanno detto no, così h Una vita contro. Contro il controllo della censura, contro la società borghese e i benpensanti, contro i canoni e il mercato. Anni di studi che hanno avvicinato Alejandro Jodorowsky alla filosofia e alla psicomagia facendolo assurgere a ruolo di guru spirituale. “Arte e vita sono una cosa unica. Noi abbiamo un potenziale incredibile” afferma il regista “ma dobbiamo imparare ad ascoltare il nostro io interiore, la parte migliore di noi. Imparare ad amare se stessi e gli altri, ma non confrontarsi con gli altri. Occorre saper riconoscere il valore degli altri, altrimenti è impossibile evolvere”. La saggezza che adesso Jodorowsky sfodera l’ha raggiunta in anni di esperienze difficili, scontri con produttori, rapporti complicati con le tante donne avute e un figlio morto di overdose a 24 anni. “Dalla vita ho preso tante botte, a tratti è stato l’inferno. Anche sul lavoro ci sono stati alti e bassi. Una società di Hollywood ha comprato il mio primo film, ma ha tagliato tutte le parti surrealiste. E’ stato un fallimento totale, e pensare che Hollywood era il mio sogno. Volevo spiegare che quello non era il mio film, ma nessun giornalista ha voluto intervistarmi. E’ stato un fallimento, ma dopo tre giorni mi sono ripreso e ho detto ‘Vado a fare un film western in Messico così tutti vorranno intervistarmi’. Quel film era El Topo. Non è davvero un western, ma ci ho messo una specie di John Wayne mutilato”. “L’arte non ha nazionalità, non è una squadra di calcio, non deve rappresentare un paese, ma l’umanità. Le frontiere sono un pregiudizio, ma necessario perché il nostro cervello è abituato così. Forse tra un secolo saremo un pianeta libero”. L’appuntamento con Poesia Sin Fin di Alejandro Jodorowsky è quindi per il 17 febbraio presso il TIP Teatro di Lamezia Terme, in via Aspromonte alle ore 18 e alle ore 21: per info e prenotazioni, 0968521622, o 39220049304

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volontariato animalista

Da Canile a Famiglia sola andata Da Canile a Famiglia, sola andata.Siamo di fronte a una sfida culturale. Possiamo provare a cambiare le cose. Queste sono le idee che ci passano per la mente ogni volta che ci fermiamo a riflettere su come sta evolvendo la condizione umana, travolta da cambiamenti profondi che modificano il modo di vivere, comunicare e intendere le relazioni; relazioni che diventano sempre più frenetiche e virtuali e sempre meno sentite, autentiche, reali e profonde. In un panorama che si muove a tentoni sulla superficie delle cose noi proviamo a sondare quanto siamo andati in là e soprattutto ci impegnamo per cercare di capire se si può tornare un po’ in qua, verso chi siamo veramente, verso ciò che ci fa sentire davvero vivi.Che cosa c’entra un progetto sui cani in canile con tutto questo? C’entra eccome. Il cane è forse l’unico essere autentico che ogni giorno cerca disperatamente di tenerci vicino a ciò che siamo e lo fa pagando un prezzo altissimo. Inoltre un progetto di questo genere aiuta a comprendere che esiste un modo diverso, più virtuoso e soprattutto meno costoso per la collettività e le Amministrazioni Pubbliche di approcciare, affrontare e tentare di risolvere il dilemma del mantenimento dei cani senza proprietario. Non ambiamo a fornire una ricetta completa ed esaustiva; per questo rimandiamo agli esperti che già hanno studiato il fenomeno e prodotto strategie interessanti e realistiche (cfr. Luca Spennacchio, “Canile 3.0”). Il nostro obiettivo è molto più modesto ma carico di significato e importanza: riaccendere l’interesse della collettività per una relazione, quella tra uomo e cane, che in questi ultimi tempi è stata decisamente travisata, storpiata, mistificata e infangata conferendo al migliore alleato dell’uomo un ruolo che non gli appartiene, quello di “problema”, “peso”, “costo”. Con questo progetto che nel suo piccolo rappresenta un punto di partenza ambizioso per cambiare il pensiero comune, vogliamo restituire alla Società, luogo naturale di dimora del cane, tre pag. 14

soggetti ospiti del Canile Rifugio Fata di Lamezia Terme. Ciò che rende questo progetto qualcosa di davvero speciale è l’idea di fondo che il cane sia un valore per la collettività e che sia dovere della collettività stessa (come del resto la legge dice a chiare lettere) aiutare i cani ospiti dei canili a reinserirsi nel tessuto sociale, urbano, rurale, turistico, del territorio in cui vivono. Ed ecco entrare in gioco la competenza, la professionalità e la buona volontà di persone che si sono messe a studiare e a praticare divenendo veri esperti della relazione con il cane in grado di aiutare umani e quattrozampe a trovare una nuova dimensione di coesistenza in cui, come è sempre stato, ci si stimi a vicenda. Gli educatori del Canile Rifugio Fata hanno perciò selezionato tre soggetti che, attraverso una valutazione iniziale, e un percorso di training personalizzato, dovranno acquisire le competenze necessarie per essere adottati sul territorio nel giro di 4 mesi a partire dal 1° gennaio 2018. I tre cani seguiranno ciascuno un percorso costruito su misura che li renderà perfettamente compatibili con il substrato sociale dimostrando da un lato la loro adattabilità e dall’altro la professionalità delle persone che li

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prepareranno. Le adozioni seguiranno un iter preadottivo ideale che, oltre a favorire l’inserimento graduale in famiglia, responsabilizzerà gli adottanti rendendoli pienamente consapevoli del gesto che compiranno. Cani educati provenienti da strutture canile, famiglie informate, professionisti appassionati e preparati: ci sono tutti gli ingredienti per agire su di un territorio per certi versi ancora restìo a riconsiderare il ruolo del cane e per informare le Amministrazioni Pubbliche che le astronomiche voci di costo legate al mantenimento dei canili possono essere ridotte a favore della collettività e del reinserimento e controllo della popolazione canina nel tessuto sociale anche attraverso azioni che valorizzino i cani e che creino cultura sviluppando nuove professionalità e aprendo la strada alla creazione di nuovi posti di lavoro. Noi un pezzo del puzzle ce l’abbiamo, interessa? E adesso scusateci, dobbiamo andare a lavorare: abbiamo solo 4 mesi per comprare a queste tre meraviglie un biglietto di sola andata per una vita migliore, in famiglia!

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Sport

PORTE CHIUSE FINO A QUANDO? Da più di un mese (27 dicembre) è la chiusura al pubblico di quasi tutti gli impianti cittadini, più dei risultati, a tenere desta l’attenzione tra gli appassionati sportivi in città. La domanda ricorrente è sempre la stessa: “Quando riapriranno al pubblico?”. Difficile dare una risposta esaustiva visto come funziona la macchina burocratica non solo in città. La problematica della sicurezza degli impianti sportivi, ma anche di altre strutture o luoghi di pubblico interesse, non si può risolvere con una chiusura drastica e generalizzata, che seppur fondata su una legittima decisione giuridica, non tiene conto di quelle che sono le realtà cittadine e del danno causato a chi ha deciso di investire in questo o quel settore. I motivi della chiusura, ad esempio del Palasport, sono legati ad una diffida dello scorso marzo, vigilia della Final Eight di Coppa Italia di calcio a 5 femminile, quando si scoprì tutto d’un tratto quello che tutti sapevano, in primis gli uffici tecnici comunali.

quel filo conduttore della solidarietà e collaborazione tra chi ne è colpito, con tutte le società lametine che, finalmente, mettendo da parte ogni distinguo hanno costituito un Comitato Spontaneo denominato “Sì allo Sport”. Un Comitato subito attivo a trecentosessanta gradi che ha fatto da stimolo alla terna Commissariale per rendersi conto in prima persona, al di là delle procedure burocratiche, della situazione venutasi a creare. Il lavoro del Comitato è sfociato anche in una Pubblica Manifestazione, lo scorso 23 gennaio in cui Giove Pluvio non ha dato scampo, con tanto di corteo che ha raggiunto la Casa Comunale, a cui ha partecipato non solo il mondo dello sport ma anche quello studentesco ed associazionistico. Partiti dal capolinea dei pullman ed in marcia fino a Palazzo Maddame, i manifestanti hanno voluto dire no alla chiusura delle

In quella circostanza, il Sindaco prese in mano la situazione, e tamponò le falle evitando una figuraccia colossale alla città per un evento trasmesso a livello nazionale dai media. Con la fine dei vari campionati nel mese di maggio, in molti, avevano pensato che nei mesi estivi, da giugno a settembre, le tamponature fossero diventate veri e propri interventi di ripristino al fine di scongiurare eventuali altri futuri problemi. Niente di più sbagliato; l’immobilismo di chi è preposto a garantire la funzionalità e fruibilità degli impianti è regnato sovrano. Così, con l’arrivo dei Commissari Prefettizi, s’è dato seguito a quella diffida con provvedimenti che non hanno tenuto conto delle conseguenze, non solo logistiche, a cui sarebbero andate incontro le società sportive. Un duro colpo per chi con tanti sacrifici, anche personali, da anni opera nel settore. Nelle difficoltà capita però che si riesca a trovare

strutture sportive per non far morire una delle poche cose sempre positive in questa città. A fine corteo una delegazione, di società e studenti, è stata ricevuta dalla Triade Commissariale che, guarda caso, proprio quel giorno era impegnata in un’apposita riunione di tecnici e vigili del fuoco sulla questione-impianti e sicurezza per manifestazioni pubbliche. Da qui si è iniziato a muovere qualcosa; finalmente si è cominciato a fare chiarezza su quelle che sono le criticità da eliminare nei vari impianti per poterli riaprire al più presto, al fine di garantire la pratica sportiva costituzionalmente garantita, e consentire alla varie società di proseguire l’attività. Certo le cose non si risolveranno in un batter d’occhio ma, con l’aiuto e la collaborazione delle stesse società sportive, tutte le procedure nonché i lavori potrebbero velocizzarsi. Nel frattempo in città è ritornata Striscia la Notizia

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Sport

SORPRESA 2018 PER LA ROYAL: LA ROYAL ALLUNGA IN VETTA ED E’ IN FINALE DI COPPA ITALIA Mister Ragona esaustivo: “Le squadre che vincono sono quelle che hanno sempre fame!” in città, proprio per questa gravosa problematica Striscia la Notizia, un ulteriore modo per sensibilizzare e tenere all’erta chi per dovere pubblico, oltre che morale, e per la specificità propria del suo ruolo deve intervenire per rimuovere gli ostacoli e far rispettare così il dettato costituzionale che, in vari articoli, garantisce la pratica sportiva. E’ iniziato con due vittorie il 2018 per la Royal Team Lamezia: intanto il 7 gennaio con la semifinale di Coppa Italia contro il Rionero, l’unica che aveva battuto la squadra di Ragona in campionato. 6-1 il risultato a favore della Royal (gol di Corrao, Manitta, De Sarro, 2 Linza e Ierardi) che vola quindi in finale, in programma probabilmente mercoledì 14 febbraio, contro il Martina, dopo incroci di reclami col Napoli. E poi alla ripresa del torneo domenica 28 gennaio per la 2/a di ritorno, derby ‘interno’ col Cus Cosenza superato per 10-0. La novità, già annunciata nell’ultimo numero di Lameziaenonsolo, è che la Royal è costretta a giocare al PalaPace di Vibo Valentia, com’è stato in queste ultime due gare. E’ noto infatti, che il PalaSparti (assieme ad altre strutture sportive cittadine) è stato chiuso al pubblico con ordinanza prefettizia lo scorso 27 dicembre. Da lì in poi le stesse società sportive si sono costituite spontaneamente in un Comitato dall’eloquente titolo “Sì allo Sport”, per cercare di far valere le proprie ragioni, ma soprattutto collaborando con la terna commissariale per la risoluzione delle relative problematiche. E’ stata anche organizzata una Manifestazione pubblica, lo scorso 23 gennaio, con corteo irrobustito dagli encomiabili studenti della città e con la grande sensibilità dei dirigenti scolastici. Alla fine del corteo, in marcia sotto la pioggia dal capolinea dei bus fino al Comune di località Maddamme, una delegazione delle società e degli studenti è stata ricevuta dai Commissari. L’ex Prefetto Alecci ha stabilito un crono-programma con i dirigenti e funzionari comunali, dai più additati quali i veri ‘responsabili’ delle inefficienze delle varie strutture. Il Comitato dal canto suo sta partecipando attivamente al fine di far riaprire al più presto il PalaSparti. Intanto però, mercoledì 31 gennaio, ha fatto capolino Lamezia e non solo

Ritornando al calcio giocato, nella giornata del 28 gennaio scorso, la Royal vincendo col Cosenza ha portato il vantaggio sull’immediata inseguitrice a 7 punti. Si tratta del Napoli, che s’è imposto con forza per 3-1 sul campo del Martina, di fatto scalzandolo dal secondo posto ed ora a 8 punti dalle lametine. La Royal ha dimostrato di crescere in ogni partita: al di là della differenza di valori col Cosenza, ultimo in classifica, la squadra di Ragona è stata cinica

Fede-gol dopo il derby col Cosenza -, siamo un bel gruppo, unito, che vuol vincere tutto quello che ci andremo a giocare da qui a maggio prossimo”. Nelle altre segnature si rivede il bomber principe, ovvero Sharon Losurdo: l’atleta piemontese rientrava dopo lo stop per qualifica prima della sosta (al di là della Coppa col Rionero), e s’è ripresentata con una doppietta. Quindi in gol Fragola, giunta a sei gol stagionali, che abbelliscono ancor di più l’ottimo torneo giocato finora. Quindi Concyta Primavera: l’atleta siciliana è giunta a quota 15, vice bomber della squadra, brava sottoporta dove potrebbe segnare molto di più, ma oltremodo preziosa nell’economia di squadra. Il tocco sotto in occasione del gol al Cosenza è una delizia per i cultori del calcio. In gol anche altre due valenti atlete: Ierardi, sesto personale e Denise Sgrò ala prima segnatura, ma positiva anche per la vivacità ed il dinamismo nel corso del match. “Ovviamente c’è sempre da migliorare: non voglio perdere punti con nessuno, e dobbiamo giocare sempre con la stessa intensità sia contro le prime che contro quelle più modeste. Le squadre che vincono sono quelle che hanno sempre fame!”, così sentenziò Mauro Ragona, tecnico trascinatore di una splendida Royal Team Lamezia. Prossimi impegni il 4 febbraio ad Afragola, quindi altro turno di riposo singolo e finale di Coppa Italia col Martina, con tutta probabilità ancora a Vibo Valentia.

e concreta, chiudendo il primo tempo già in vantaggio per 6-0. Opera poi completata nella ripresa segnando altre 4 reti. Tra le goleador in evidenza la baby bomber Federica De Sarro: la 16enne lametina ha fatto il botto, nel senso che ha realizzato ben 4 gol in sette minuti. La ragazzina da promessa è ormai diventata una piacevole conferma. Certo guai a montarsi la testa, ma De Sarro ascoltando le indicazioni di mister Ragona sta mostrando evidenti progressi e non potrà che migliorare ancora. In totale ora per De Sarro i gol stagionali sono ben 11, e per una giovane che appena 5 mesi fa ammirava le sue attuali compagne dalla tribuna del PalaSparti, il tutto può davvero definirsi un’avventura eccezionale. “Non svegliatemi, continuo a sognare. E’ tutto bello, sono felicissima – così GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

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Carissimi lettori, ho incontrato Adriana Lopez, circa un anno fa e ho subito apprezzato la sua schiettezza, simpatia e l’immenso calore umano che trasuda da ogni suo poro. Se dovessi identificarla con un colore, la identificherei col mio colore preferito, il rosso: in tutte le varianti e sfumature. Adriana è una fiamma, una torcia vivente d’amore, una fiaccola di coraggio e di forza trascinante: un vulcano benevolo, ma anche travolgente, un fuoco a cui ti scaldi, senza bruciarti, se hai un cuore palpitante come il suo; riducendoti in cenere, se non hai onestà d’animo. E rossa, infatti, è la copertina del suo incredibile volumetto: LA SCELTA, Ed. La Rondine, Catanzaro. Meno di cento pagine, col testo a fronte in spagnolo, lingua caliente, e ricco di incanti, suggestioni e verità crude, come l’esistenza, ma avvolgenti e cullanti, come il coraggio degli eroi. Per eroi, siamo abituati a raffigurarci antichi guerrieri con la spada in pugno, ma nessuno, neppure il più grande dei condottieri, a

parer mio, ha combattuto le sue battaglie, come Adriana. Nel suo libro narra, con pathos fiero, la sua reale vicenda umana che, se fosse di fantasia, non potrebbe mai essere più bella del narrato autobiografico. La sua penna sfiora le pagine e sembra liquefare il dolore, renderlo fluido, ma non meno atroce. Se è vero che la poesia non è sfogo, ma contemplazione, possiamo dire che la scrittura di Adriana Lopez sia contemplativa, ma non secondo lo schema virtuale dell’osservanza di sé e del suo stesso animo, ma secondo quello della fiamma interiore, che trasforma tutto in qualcosa che brucia, senza mai consumarsi. Del passato magma doloroso, non resta nulla di distruttivo e, nonostante il tumulto, ci si ritrova, fra le pagine, come sulla sponda di un fiume silente, vasto, dalle rive misteriose, non calmo, eppure che calma trasmette, col suo fluire, col suo rumore incessante: portatore di senso e di parole non dette fino in fondo. Le saette che la vicenda di Adriana ha traversato, e i

tuoni sordi del dolore, si stemperano nella forza di una consapevolezza colma e vitale. Nulla sembra intaccare le certezze costruite coi mattoni, uno per uno, del dolore. E avvertiamo un tono pieno di saggezza: quella di chi è passato attraverso, di chi ha varcato il limite, di chi guarda al di là del contingente, per afferrare l’arcobaleno dell’anima, anche oltre le tempeste. Di chi non indietreggia di fronte allo schianto degli uragani, ma cerca sempre una riva ascosa, in cui trovare asilo di vero Amore, per sé e per chi ama. I legami, i sogni, le speranze, s’intrecciano, senza mai disperdersi. Nel richiamo attuale e ancestrale madrefigli, Adriana spende ogni sua energia, ma ricaricandosi continuamente, nel momento esatto della spesa energica. E ricarica anche noi. Il ciclo dell’Amore è salvo, non s’interrompe mai: è sempre preludio di altro Amore per sé e per il mondo… L’espediente del testo a fronte in spagnolo, poi, nella seconda edizione del libro, non spezza il ritmo narrativo, anzi lo rilancia: oltre a fornire uno spettro più ampio delle emozioni, anche a chi non conosce bene la lingua, sembra quasi far, a tratti, riposare il racconto, altrimenti incalzante fino a togliere il respiro, che sembra, dunque, volare, come un gabbiano libero, oltre la linea dell’orizzonte… Buona, tenera, esaltante, fantasmagorica, lettura…

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ippolita dixit

A schema libero del collettivo Lou Palanca a Lamezia Terme Nicola Fiorita, uno dei componenti del collettivo Lou Palanca, è venuto il 25 Gennaio a Lamezia Terme per presentare il libro A schema libero, edito Rubbettino. Il libro è un docufiction, calato nella realtà di Reggio Calabria dagli anni settanta al 2012 . Per narrare fatti veri successi si costruiscono dei personaggi forse poco plausibili, però necessari al racconto. Uno è la figura dell’enigmista: L’uomo che risolve il cruciverba a schema libero era arrivato a Reggio Calabria dalla Polizia di Stato ai Servizi durante i moti di Reggio di quaranta anni fa. Margherita, giovane giornalista freelance da Roma decide di tornare a Reggio Calabria. Ha appena letto del suicidio Fallara. Il neofascista, colui che ci racconta dal di dentro come la rivolta di Reggio Calabria per avere il capoluogo di regione si sia saldata con un disegno eversivo della destra, e Vincenzo Dattilo “Vincenzo Dattilo, un professore “mezzo matto”, che si occupa di storia locale, come il caso dei cinque ragazzi anarchici di Reggio” A schema libero. Dall’intervista con Giuditta Casale, blogger, Nicola Fiorita dice “Questa storia è la storia degli ultimi quarantasette anni della Calabria. Un lungo periodo di tempo fatto di trame, segreti, alleanze torbide, misteri, intrecci tra neofascismo, servizi deviati e criminalità organizzata che hanno trasformato la ndrangheta in una delle più potenti organizzazioni criminali del mondo, che hanno costruito la fortuna di una nuova classe sociale (la borghesia mafiosa) e che hanno incatenato la Calabria ad un destino più rosso sangue che grigio” I moti di Reggio Calabria:18 luglio 1970 dal diario dell’enigmista “Dal giorno dopo gli scontri alla stazione fu davvero guerra aperta. Presidiavamo il centro. Bloccavamo gli accessi. Da tutte le parti venivano contro gruppi di manifestanti , mentre nei rioni popolari le barricate. I ferrovieri aderirono allo sciopero. Non circolava più un treno. C’era una rivolta di popolo. Il corpo martoriato di Bruno Labate fu trovato poco prima della mezzanotte di mercoledì in via Lagoteta. Un ferroviere iscritto alla Cgil, picchiato duramente. Il primo morto di una rivolta virata a destra era un militante della sinistra” Sabato 26 settembre 1970 l’incidente Lamezia e non solo

in cui perdono la vita cinque anarchici che da Reggio Calabria stanno andando a Roma per portare documenti scottanti sulla strage del treno di Gioia Tauro. I documenti non furono mai ritrovati e loro morirono sull’autostrada del Sole. A schema libero Mercoledì 15 dicembre 2010 a Reggio Calabria una donna, Orsola Fallara, dirigente del settore Finanze e Tributi del comune di Reggio Calabria, ha appena convocato una conferenza stampa per denunciare ciò che sapeva, ha ancora documenti scottanti da portare in procura ma le ruberanno il telefonino, le forzeranno l’auto, la troveranno moribonda per ingestione di acido muriatico. A schema libero Nello schema libero troviamo le parole per definire ma poi la comprensione resta sempre a chi legge gli avvenimenti e sa legare le cause con i fatti, i legami terribili che avvennero fra criminalità e politica, fra assalto alle istituzioni e uso privato di cosa pubblica, assalto allo Stato. Sottostare con definizione assoggettarsi. Tutti ci assoggettiamo e la Calabria, e Reggio Calabria ha forse interpretato nel modo più cruento delle altre province calabre questo verbo. Si è assoggettata alla ‘ndrangheta, alla criminalità, consegnando la città, già negli anni settanta, ad oscuri e terribili disegni. Paolo Romeo, l’anima nera di Reggio Calabria, procurò a Franco Freda il passaporto falso per fuggire in Costarica e poi divenne senatore del partito socialdemocratico. “Ne vedrete di picchiatori fascisti fare gli assessori comunali e regionali, ne vedrete maga-

ri molto più scomposti di me” la profezia del neofascista si avvera tristemente e nel 1989 il 13 novembre una cosca, una loggia, un’organizzazione politica estremista, si accordano. Ad Agosto l’omicidio Ligato, presidente delle ferrovie dello Stato. Che fine ha fatto quella presidenza? Nel libro sono presenti stralci del processo a Piazza Fontana, e nella palestra del carcere minorile di Catanzaro arriveranno nel marzo del 1974 Freda, Ventura... trame nere. Freda ospitato e nascosto a Reggio Calabria. Scrivendo mi sento male, mi distrugge questa storia terribile di violenze e di accaparramenti, di una tristezza senza pari, vedere che la politica fu conquistata da criminalità assoluta al di là del bene e soprattutto nel male. Dopo la lettura del libro mi sono andata a leggere un libro di Fabio Cuzzola, professore di Reggio Calabria, uno dei fondatori dei Lou Palanca. Dice Nicola Fiorita sempre nell’intervista a Giuditta Casale “Fabio è stato fondamentale per tutto quello che abbiamo pensato, scritto e detto. Se possibile, lo è stato ancor di più in questo libro che si apre con il richiamo alla vicenda dei cinque anarchici del sud – che lui raccontò prima che ci incontrassimo – e che si chiude con le parole di un personaggio che lui ha creato.” Nicola saprà trovare per noi le parole per creare uno schema libero diverso, con le parole legalità e rispetto, in cui crediamo, nonostante tutto. Ippolita Luzzo

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La parola alla Nutrizionista

Influenza di stagione, combattiamola con l’alimentazione!

Influenza di stagione, combattiamola con l’alimentazione! Come ogni anno l’epidemia influenzale ha lasciato a letto milioni d’ Italiani , gli esperti stimano che il picco verrà raggiunto nei prossimi giorni. Per questo motivo è fondamentale conoscere i rimedi naturali per prevenire il contagio. Per prima cosa chiariamo che la febbre non è una malattia ma un sintomo che il nostro organismo mette in atto quando si trova in situazione di ‘’pericolo’’. Generalmente questo accade quando le nostre difese immunitarie si riducono , ed il nostro corpo viene maggiormente colpito da fattori esterni come virus o batteri. Fondamentale è quindi in questo periodo aumentare le nostre difese immunitarie tramite un’alimentazione equilibrata che non sia carente di nutrienti indispensabili per l’organismo come Vitamina C , D, zinco . Questo è il periodo infatti di agrumi , arance , pompelmi , limoni. Un’ottima idea è una spremuta in quanto è utilissima sia nella prevenzione sia per recuperare gli elettroliti persi durante uno stato febbrile. L’insieme dei tre frutti è

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superiore ovviamente a quello di uno solo , ma attenzione a non esagerare perché la spremuta apporta un elevato quantitativo di zuccheri semplici! Oltre che negli agrumi la Vitamina C è presente in kiwi , lattuga , peperoni, peperoncino , fragole, lamponi , ribes. La scorza degli agrumi oltre a contenere vitamina C che ricordiamo essere un antiossidante è ricca di limonene una molecola ad azione antinfiammatoria. Un ottimo rimedio naturale in caso di influenza può essere una Tisana aglio e limone. L’unione dell’allicina , un potente antibatterico e degli oli essenziali come il limonene, fanno di questo rimedio un toccasana in caso di febbre , dolori

muscolari da raffreddore. Come si prepara? Prendere un limone intero, preferibilmente non trattato: se non biologico, bisogna lavarlo con molta attenzione, per togliere ogni traccia di pesticidi e di additivi messi sulla scorza -uno spicchio d’aglio, intero e non pelato -acqua.

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Pulito il limone, metterlo in un pentolino stretto ed alto, aggiungere lo spicchio d’aglio e coprirlo a pelo con l’acqua. Far bollire per 7 minuti esatti, scolare e bere, tiepida o fredda, senza dolcificare in quanto lo zucchero favorisce la replicazione batterica. Uno dei rimedi infallibili per guarire dai sintomi influenzali ci viene tramandato dalle nostre nonne ed è il brodo di pollo! Come si prepara? Si utilizza un pezzo di pollo intero con le ossa che viene messo a cuocere in acqua fredda con cipolla, sedano, carota, chiodi di garofano e uno spicchio d’aglio. A cottura ultimata si può aggiunge pastina per renderlo un piatto completo .Le ossa rilasciano cisteina, un amminoacido che fluidifica il muco. Questo piatto è un vera e propria bomba antiinfiammatoria e antivirale. In caso di influenza con nausea e vomito è fondamentale invece un’alimentazione semplice come riso, olio e parmigiano. Quest’ultimo, ricco di calcio e sali minerali favorisce un rapido ripristino degli elettroliti persi. In un’alimentazione antinfluenzale non dovranno mancare inoltre broccoli , cavolfiori appartenenti alla famiglia delle crucifere , zucca e barbabietole ricchissimi di carotenoidi , yogurt ricco di Lattobacilli e Bifidobatteri che aumenteranno le nostre difese intestinali. Alma Battaglia Biologa Nutrizionista Vice presidente SIPS delegazione Calabria FB Centro Nutrizione Sport Salute

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Rubrica di Antonio Saffioti totosaff@gmail.com

Il carnevale Calabrese I caratteri del carnevale hanno la loro origine in festività assai antiche: come per esempio le dionisiache greche (le antesterie) o i saturnali romani. Durante le feste dionisiache e i saturnali si realizzava un temporaneo scioglimento dagli obblighi sociali e dalle gerarchie per lasciar posto al rovesciamento dell’ordine, allo scherzo e anche alla dissolutezza. L’elemento caratterizzante di questa festa è da sempre il mascheramento. Più che altrove, in Calabria, il Carnevale, è la festa della burla e dell’allegria. In essa si colgono quelle antiche motivazioni libertarie, di cui si accennava prima. La festa del Carnevale è legata alle attività contadine e alle produzioni agricole. Essa cadeva, infatti, nel periodo d’uccisione del maiale, evento centrale nella vita, nell’economia, nella cultura dei contadini calabresi. In una realtà in cui regnava un’alimentazione di tipo vegetariano, Carnevale significava l’allontanamento dall’abituale regime, per concedersi un abbondante pasto a base di carne. Non a caso questa festa veniva così tanto amata ed elogiata dal popolo. Tra il carnevale e la Quaresima c’è dunque un legame: la parola “carnevale” deriva dal latino “carnem levare” (“eliminare la carne”) poiché anticamente indicava il banchetto che si teneva l’ultimo giorno di carnevale (martedì grasso), subito prima del periodo di astinenza e digiuno della Quaresima. Il Carnevale si svolgeva, e si svolge tutt’oggi, in tre giorni: il giovedì grasso, la domenica e il martedì di Carnevale. Questi giorni costituiscono ancora, in ricordo dei luculliani banchetti di un tempo, l’occasione per affollate riunioni di famiglia e di amici intorno ad una tavola riccamente imbandita per gustare la carne di maiale appena macellata, cotta in mille modi e innaffiata da un buon vino rosso

locale. I piatti tipici variavano da paese a paese, con ricette tipiche e dolci gustosi che concludevano il pranzo: ad esempio si cucinavano: i “turdulìji”, fatti con farina, uova e zucchero; le “nicatole”, fatte con ingredienti semplicissimi: farina, acqua e sale, il tutto mescolato e poi fritto. I giorni che andavano da sabato a martedì grasso erano chiamati: “juarni de l’abbuttu”, proprio per sottolineare l’abbondanza di cibo a tavola prima che iniziasse la Quaresima, dove si rispettava il digiuno e l’astinenza. Com’è noto, si viveva di ritualità, per cui il primo giorno di Quaresima, le donne di un tempo, lavavano tutte le stoviglie in maniera straordinaria con la cenere, per fare in modo che non rimanesse alcun residuo di carne e come segno di purificazione. Piccoli e grandi centri, a sera, erano, poi, palcoscenico per maschere improvvisate. La “mascherata” di solito rispettava una regola ben ferma nella tradizione: il maschio indossava vestiti femminili, la donna indossava vestiti maschili. In alcune comunità vi era l’uso di inscenare delle rappresentazioni teatrali. Maida, assieme a Pizzo Calabro, ha goduto, in ogni tempo, di gran notorietà per la realizzazione delle farse popolari. Carnevale in queste rappresentazioni è, inevitabilmente, un malato in agonia che muore per aver mangiato troppa carne di maiale (salsicce, cotiche, polpette, braciole …); egli il più delle volte è attorniato da frotte di dottori tanto indaffarati quanto ridicoli ed inconcludenti. Queste farse spesso rivelano il disprezzo della gente per la Quaresima (Corajìsima) brutta e secca, dispensatrice di erbe e legumi. A Maida, nel periodo di Quaresima, vi era la tradizione di appendere alle finestre della propria casa, una bambola di pezza che indossava un abitino di stracci, con in testa un fazzoletto, una piccola scopa in mano e tre penne di gallina tra i capelli, proprio a dimostrazione della povertà e delle ristrettezze alimentari del momento. Le farse venivano recitate nelle piazze del paese anche più volte nella stessa serata. I “fharzzàri”, ossia gli attori, alternavano parti recitate a versi cantati; questi ultimi erano accompagnati da antichi strumenti: fischietti fatti di canne, mandolini, chitarre. A conclusione di spettacolo gli attori, salutando il pubblico, si esibivano in un’allegra tarantella.

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La parola alla Psicologa

La depressione Anni addietro il temine di uso comune era “esaurimento nervoso”, intendendo qualunque disturbo riguardante la sfera psichica. Fortunatamente questa espressione è andata anch’essa in disuso, ma nel linguaggio comune vi è la tendenza ad utilizzare il termine “depressione” per indicare un disturbo psichico di qualunque genere. In realtà la depressione è qualcosa di ben preciso, è un disturbo del tono dell’umore, cioè di quella funzione psichica che accompagna l’adattamento al nostro mondo interno, psicologico e a quello esterno: il tono è alto quando siamo in condizioni piacevoli, va verso il basso quando viviamo situazioni sgradevoli. La depressione è stata spesso definita “la malattia del secolo”, e in Italia sono circa 4,5 milioni le persone che soffrono di questa patologia; ad oggi è certamente la patologia che crea maggiore allarme sanitario. A scatenare la patologia depressiva, concorrono una serie di fattori di natura diversa: ambientali, biologici, genetici, traumi subiti o periodi di stress, situazioni familiari complesse. Recenti studi dimostrano che solo una piccola percentuale di persone si rivolge allo specialista di competenza, interponendo fra sé e il percorso di guarigione un grande nemico: il pregiudizio! Questo ostacolo può essere davvero ostico da superare, proprio perché permeato da un sentimento molto forte di vergogna, capace di inibire anche la semplice ricerca di informazioni. La pratica clinica quotidiana conferma che questi pregiudizi sono talmente radicati nell’immaginario collettivo da costituire una vera e propria barriera fra chi cura e chi soffre. Un’altra grande barriera è rappresentata dall’idea comune e diffusa che gli psicofarmaci siano dannosi. In realtà questo è assolutamente falso. E’ scientificamente dimostrato infatti, che gli antidepressivi non danno dipendenza e che la loro sospensione, graduale e controllata, non determina nessuna sindrome da astinenza. L’evoluzione scientifica ha fatto si che oggi la depressione sia una malattia curabile, disponiamo infatti di strumenti terapeutici e farmacologici molto raffinati e certamente più efficaci rispetto a qualche anno fa. Durante la fase acuta un intervento farmacologico, ben dosato e calibrato sulla persona, è in grado di attenuare i sintomi, ma non di estinguerne le cause.

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La depressione è caratterizzata da una serie di sintomi, di cui l’abbassamento del tono umorale è una condizione costante. Nelle fasi più lievi o in quelle iniziali, lo stato depressivo può essere vissuto come incapacità di provare un’adeguata risonanza affettiva o come spiccata labilità emotiva. Nelle fasi acute, il disturbo dell’umore è evidente e si manifesta con vissuti di profonda tristezza, dolore morale, disperazione, sgomento, associati alla perdita dello slancio vitale e all’incapacità di provare gioia e piacere. I soggetti depressi avvertono un senso di noia continuo, non riescono a provare interesse per le normali attività, provano sentimenti di distacco e inadeguatezza nello svolgimento del lavoro abituale. Tutto appare irrisolvibile, insormontabile, quello che prima era semplice diventa difficile, tutto è grigio, non è possibile partecipare alla vita sociale, nulla riesce a stimolare il minimo interesse. La persona lamenta di non provare più affetto per i propri familiari, di sentirsi arido e vuoto, di non riuscire a piangere. La nozione del tempo è modificata e il suo scorrere continuo rallenta fino ad arrestarsi. I disturbi del sonno, il rallentamento motorio, la riduzione dell’appetito e della libido completano la cornice dei sintomi. Sono moltissime purtroppo, ancora oggi, le persone che hanno una qualità di vita inferiore alle loro possibilità a causa di questi disturbi; tutto questo viene spesso avallato dai familiari che, incapaci di dare aiuto, tentano di spronarli invitandoli a reagire o peggio a rimproverarli. È necessario che anche i familiari divengano consapevoli che la condizione psicofisica del proprio caro necessita un aiuto specialistico. La terapia farmacologica va coadiuvata da un percorso terapeutico, capace non solo di inibire i sintomi ma di arrivare alla causa profonda, eliminando le ricadute. Dr. ssa Valeria Saladino Psicologa Referente per la provincia di Catanzaro della Società Italiana di Promozione della salute (S.I.P.S.)

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