Lameziamese settembre 2021 Sonia Bellezza

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confidenze

Sonia Bellezza di Tommaso Cozzitorto

Sonia Bellezza è un’amica, è una donna che ha saputo solcare mari in tempesta, ritrovando se stessa e le sue passioni, infatti questa donna, bellissima e intelligente, si caratterizza per i suoi molteplici interessi, una donna attiva, protagonista della sua vita. Le sue opere pittoriche, sulle quali ho scritto più volte, si basano su una tecnica originale: immagini che si compongono a distanza, sguardi intensi di donne, storie che si dipanano in un susseguirsi di emozioni, il tutto ti affascina e ti rende partecipe al lavoro dell’artista. Ed ecco, qui di seguito, la nostra chiacchierata davanti ad un caffè, alla presenza, anche, di Nella Fragale, entusiasta come sempre ad ascoltarci con interesse e partecipazione. [16:03, 6/9/2021] tommaso cozzitorto: Sonia, che piacere incontrarti, per fare una chiacchierata insieme, qualche Confidenza qua e là. Quali sono i tuoi interessi, qual è il mondo di Sonia Bellezza? La mia vita è piena di interessi, non so cosa significhi “annoiarsi” anzi ho il problema opposto, quello di non avere Lamezia e non solo

tempo per fare tutto. Da quando sono andata a vivere in campagna, io che fino ad allora mi ritenevo essere un “polletto da allevamento” ho scoperto un mondo nuovo. Ho scoperto che esiste la terra… e che dalla terra nascono anche i frutti. Vivendo in città questa associazione si fa sui libri, vivendo in campagna si assiste in prima persona a questo miracolo e la terra è diventata dunque la mia mamma adottiva. Vivendo

in campagna ho potuto sentire il profumo della terra che ha allietato le mie giornate, ho scoperto quanto sia bello vivere le stagioni immersi nella natura e sono stata consolata in alcuni momenti persino dal silenzio degli alberi che mi dicevano

quello che volevo sentirmi dire… niente… Questa premessa per dire che uno dei miei primi interessi è occuparmi in prima persona della mia terra, con tanto di motocoltivatore per fare l’orto. Ma l’interesse che al momento mi assorbe maggiormente è la pittura, quando mi immergo con le mani nella materia vivo quasi un’astrazione benefica che mi induce a fondermi con il soggetto che sta per nascere e l’idea che dalle mani e dalla materia si generi un soggetto emozionale mi fa sentire mamma ogni volta, un pò come la terra Cosa rappresentano le persone per te? Cosa ti incuriosisce e cosa non ti piace del genere umano? Le persone sono una risorsa fondamentale della nostra esistenza. Relazionarsi con gli altri ci restituisce la nostra identità, ci fa capire chi siamo e ci fa uscire dal nostro “Io” spesso trabordante. Le persone rappresentano la diversità, conoscere e ascoltare gli altri arricchisce la nostra vita, ognuno ha una sua storia e ognuno ha qualcosa da insegnare dunque le persone per me rappresentano il mondo delle emozioni, quelle che cerco

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di rappresentare attraverso le mie opere. Del genere umano mi incuriosisce la resilienza che caratterizza alcune categorie disagiate di persone che pur raschiando il barile della sofferenza riescono appunto a risalire. E’ un’arte anch’essa… Ho avuto la fortuna di incontrare, nel mio percorso di vita, persone molto brave in questo che mi hanno insegnato a riemergere in alcuni momenti difficili della mia vita. Mi hanno insegnato ad apprezzare ogni singolo giorno e ad emozionarmi allo stesso modo come se fosse la prima volta ad ogni tramonto. Quello che invece non mi piace del genere umano è quando tra le loro priorià non sono considerati al primo posto gli affetti.. Cos’è la vita senza gli affetti? Se hai voglia di rilassarti con un libro, che genere di letture preferisci? La lettura che mi rilassa di più sono i romanzi, mi piacciono soprattutto quelli che inducono ad un’introspezione personale e che mi trasportano nel mondo dei protagonisti. Quando leggo un bel

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libro sono vorace, entro nel personaggio e sarei capace di non dormire per finirlo. La lettura è senza dubbio un altro dei mie interessi preferiti Come ben sai, sono rimasto folgorato dai tuoi quadri, opere, a mio parere che intersecano arte e artigianato, creando uno stile molto originale, a cosa ti sei ispirata e qual è stata la “spinta” iniziale affinché tu potessi creare tutto questo? Sembrerà strano ma tutto nasce dal restauro eseguito in prima persona del casale in cui vivo. Quando decisi di cambiare vita e andare a vivere in campagna trovai un rudere disastrato, immerso tra i rovi e segnato dalle intemperie. Era una casa che portava con sè i segni dell’incuria e dell’abbandono ed io mi innamorai subito di quella struttura martoriata e della sua storia, pensai che voleva rivivere e solo l’amore avrebbe potuto farla rinascere. In quel periodo anche io mi sentivo un rudere… ci siamo restaurati a vicenda. Partecipando attivamente al restauro di questa casa ho associato l’uso della

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materia alla rinascita della mia casa e capii che io avevo bisogno di toccare la materia per creare qualcosa, l’associazione manimateria-vita era perfetta e costituivano il punto di partenza per quello che sarebbe stato il mio futuro artistico La donna è spesso Protagonista nelle tue opere. Perché? Perchè la donna porta con se il segreto della maternità dunque della vita. La donna ha un ruolo sociale importantissimo ed è capace di provare molte emozioni anche intense. La donna rappresenta la “mamma” di tutti e a me piace dare importanza a questa figura che fino a qualche decennio fa stentava ad avere un ruolo sociale. Ultimamente, in seguito ad un triste episodio di cronaca, ho dedicato un’opera ad una giovane donna di nome Saman che raffigura il dolore più straziante di una vittima di violenza. Sono stata profondamente colpita dalla sua storia che la obbligava a sposare un uomo che non voleva e ho provato a raffigurare il suo volto nel momento in cui

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ha subito la violenza estrema, ho cercato di rappresentare appunto il suo urlo disperato. Questa opera, pur nella sua profonda drammaticità, è tra le opere che preferisco. Cosa significa essere donna per te? Essere donna è stata per me una grande responsabilità. La donna deve essere forte, sempre e comunque e a volte avrei voluto concedermi il lusso di non esserlo… Se tu dovessi dare una definizione della Vita... La Vita è un regalo meraviglioso. Essere vivi significa avere avuto la possibilità di conoscere questo mondo, abbiamo avuto la possibilità di amare, di emozionarci e dobbiamo esserne consapevoli. Molti non sono mai nati, molti non sono vissuti abbastanza. Ce lo dovremmo ricordare ogni giorno quanto siamo fortunati ad esserci anche se a volte la vita ci mette a dura prova. La vita si apprezza man mano che passa il tempo e forse anche per questo gli si da più valore ogni giorno di più Il dolore è davvero o è sempre motivo di crescita personale? Il dolore ci pone di fronte ad un dilemma, o ci schiaccia o ci rende più forti. Solo attraverso il dolore si possono

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appprezzare alcuni valori della vita e l’arte molto spesso è l’espressione di uno stato più o meno doloroso dell’artista che vive la percezione della realtà in maniera amplificata. Il dolore è inevitabile, ci dobbiamo convivere, ognuno di noi porta in tasca i segni di un trascorso doloroso e l’arte può essere un valido aiuto per elevare il nostro animo in alto laddove si può anche fare pace con il dolore Sonia, tu sei molto bella, è un dato oggettivo, quanta importanza hai dato alla bellezza ( cognome docet) nel corso della tua vita? La bellezza secondo me si avvale di due componenti. Una è quella che ereditiamo geneticamente e sulla quale non possiamo fare molto per modificarla, l’altra è tutto il “valore aggiunto” che sta alle nostre capacità individuali integrare per migliorare e accrescere il proprio essere. Il valore aggiunto è dato dalla eleganza, dalla dolcezza, dall’armonia, dalla cultura, dal sapere accettare le avversità, dal saper perdonare, dal curare il proprio corpo e nutrire la propria mente. Il valore aggiunto rende ogni essere più bello e attraente al di là delle sue fattezze fisiche. Il valore della bellezza, considerato in entrambe le sfaccettature è importantissimo Per vivere è necessario avere forza coraggio, sensibilità... Oppure? Continua

tu... Per vivere è necessario amare, l’amore è energia e l’amore ci rende capaci di tirare da dentro quella forza che non sapevamo di avere. Il coraggio viene dall’amore, pensiamo al coraggio di una mamma che difenderebbe a tutti i costi i suoi figli e non esiterebbe a mettere in gioco anche la sua vita per questo. E se l’amore è necessario per poter vivere e superare anche i momenti difficili la sensibilità è la caratteristica necessaria a far scaturire l’amore in ognuno di noi. Ci puoi parlare del tuo prossimo progetto di scrittura? Di cosa si tratta? Ho avuto una vita molto intensa, a trentaquattro anni ero già stata “ragazza madre” “sposata” “separata” divorziata” “risposata” e “vedova”, un’altalena di condizioni dagli estremi emozionali forti e con un finale drammatico. Mi sono sentita spesso dire “devi scrivere un libro della tua vita” e se deciderò di farlo non sarà per il semplice motivo di mettere nero su bianco le montagne russe della mia esistenza ma per emanare un messaggio di resilienza e per dire a tutti che ce la si può fare anche quando si arriva al punto che “ un po’ di più” ed è meglio morire. Se ti dico la parola Amore, tu cosa mi rispondi? Amore è il sentimento propulsore

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dell’umanità, provo grande dispiacere per chi non ci riesce ad amare. L’amore va inteso in senso generale, può essere per l’arte, per lo sport, per il prorpio compagno, per il proprio lavoro… l’amore è una condizione. Provo enorme dispiacere per quei figli che sono intrappolati in sentimenti di risentimento verso i propri genitori e non riescono ad amarli, ne conosco tanti e mi dispiace per loro Il sentimento della solitudine fa parte di te? Certo ma ora non mi fa più paura. Ho conosciuto la solitudine quando l’ultimo dei miei figli è andato via da casa per studiare all’università. È stato in quel momento che ho realizzato di essere veramente sola e ho avuto molta difficoltà all’inizio ad accettare questa

nuova condizione, tornare a casa e sentire il rumore del silenzio più assoluto era desolante e rendeva il mio cuore strozzato dal dispiacere. Poi mi sono detta “ hai sempre avuto la passione della pittura e non l’hai mai potuta realizzare per via dei tuoi impegni… bene cara Sonia, è arrivato il momento” ed è così che ho iniziato a dipingere, ho tappezzato i muri di casa mia con tanti personaggi e quei personaggi erano ricchi di emozioni. Entrando in casa non mi sentivo più sola. La mattina con il caffè in mano facevo un giro a salutarli e loro erano lì presenti ad arricchire la mia vita. La nascita artistica dei miei lavori ha origine da un sentimento di solitudine che ha paradossalmente arricchito la mia vita C’è qualcosa che non ti ho domandato e che tu vuoi esprimere?

No Tommaso, mi hai chiesto tutto… Tu sei un agronomo, anche, cosa ti interessa di questo mondo che io trovo molto interessante e affascinante? Attraverso i miei studi di Agraria ho cercato di capire il linguaggio delle piante che era il giusto modo di ringraziare la natura per l’aiuto che avevo ricevuto da lei grazie all’energia che mi aveva trasmesso. Ho anche brevettato un sistema di protezione per ortaggi che al momento è oggetto di una causa giudiziaria in corso per contraffazione e dunque in stand by. Di questo mondo mi affascina appunto hdla natura e tutto quello che ne fa parte. In passato l’uomo aveva pensato di poterla dominare ma ora finalmente siamo consapevoli che la natura ha le sue leggi e che vanno rispettate. La natura si è ribellata e l’uomo sta cercando di riparare i suoi danni. La natura ci insegna che le priorità non sono i soldi ma il rispetto, bella lezione di vita Dopo le nostre “Confidenze”, Sonia mi è ancora più cara, si è aperta con sincerità, senza sovrastrutture, proprio come mi aspettavo. Se è vero che il dialogo dovrebbe essere soprattutto feeling, incontrando Sonia tutto ciò è avvenuto in modo semplice e naturale. Ognuno di noi, d’altronde, è un lago di emozioni, basta sapersi reciprocamente leggere e ascoltare. Emotion upon Emotion.

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collana calliope

Schegge di vita di Gaetano Montalto

di Italo Leone Grafichéditore, 2021 L’Associazione culturale “Un Anthurium nel cuore in memoria di Francesco”, ha istituito un Concorso letterario per ricordare l’insegnante lametina Valeria Montalto, scomparsa improvvisamente il 29 maggio di due anni fa. Gaetano Montalto, il papà di Valeria, per ricordarla a chi l’ha conosciuta ma, io credo, soprattutto per sé, ha pubblicato Schegge di vita, un racconto innovativo che si distingue, nell’ambito della letteratura lametina e nazionale contemporanea, per le caratteristiche peculiari dello stile e l’intensità dei sentimenti. Schegge di vita non è un romanzo, perché l’autore non racconta una storia: consiste piuttosto in una serie di brani in prosa apparentemente irrelati fra loro, che costituiscono un racconto nella forma del monologo interiore, un dialogo con se stessi che interviene soprattutto quando un pensiero che ci turba torna continuamente alla coscienza. Il linguaggio è volutamente semplice e quotidiano: le proposizioni si susseguono, separate da una serie di puntini sospensivi, una a fianco all’altra, come se non ci fosse un inizio e una fine del racconto, ma solo un succedersi di ricordi richiamati alla memoria da un’immagine, da un suono, da un personaggio, da un paesaggio: schegge di vita appunto, come recita il titolo. Mi è sembrato naturale pensare a La ricerca del tempo perduto di Marcel Proust scritta circa un secolo fa. Anche per Gaetano Montalto, come per Proust, emerge improvvisa la consapevolezza del tempo che modifica e distrugge ogni cosa. Un tempo ormai perduto, rivissuto con la consapevolezza della maturità, e che lascia intravedere, a chi sa leggerlo, i segni premonitori della sorte umana. E tuttavia questo tempo perduto può diventare un tempo ritrovato attraverso la memoria: riemergono allora dall’oblio le persone care, le sensazioni che avevamo dimenticato, i momenti felici cancellati dal tempo. Ma in questo tempo riscoperto da occasionali ricordi, Gaetano Montalto non ritrova un filo conduttore che colleghi gli eventi e li componga in una visione organica, in una storia ordinata dalla ragione o sorretta dalla fede nella Divina Provvidenza. La fede c’è nella cultura e nella vita dello scrittore: aiuta, ma non spiega. Il racconto procede in uno stile singhiozzato, in un susseguirsi di impressioni e ricordi, seguendo il ritmo del cuore, col sottofondo di una commozione appena trattenuta, nella consapevolezza dell’inevitabile usura che il tempo imprime su tutto: sugli esseri viventi come sulle realtà non viventi. Tutte le cose e tutti gli eventi riappaiono alla memoria nel loro vano affaticarsi a resistere all’inevitabile dissolvimento del tempo. Un libro, questo di Montalto, che non ha un vero inizio e una fine, e che solo a lettura conclusa, ti rendi conto che è proprio nella conclusione il senso del racconto, nella dolorosa e costante consapevolezza della improvvisa scomparsa di Valeria, la figlia. ...E poi... qualcosa o Qualcuno, brutalmente... giorno dopo giorno... fino all’ultimo agognato attimo... ti spinge nel baratro del Lutto... diventato dimensione di ogni tuo respiro... la solitudine del Lutto... in cui i “perché”, inutili e disperati, affiorano... senza risposta... sconti tenerezza... smarrimento... incredulità... spossatezza... ti aggrappi alla speranza del “ritrovarsi”... Lamezia e non solo

alle preghiere promesse... alla dolcezza delle condivisioni... al sorriso dei cuccioli... la “solitudine”... inesorabile dimensione... nella consapevolezza del breve sentiero da percorrere... nessun momento vorresti che scorresse senza il lenimento della comprensione e dell’affetto... il dolore... amaro... confortante... compagno di ogni battito... le lacrime sembrano essersi consumate dopo quell’imprevisto... maledetto 29 maggio... Perché a volte capita che la vita sconvolga la nostra routine di vita e in attimo tutto ci crolla intorno, come è avvenuto a Gaetano esattamente due anni fa, il 29 maggio del 2019, per la morte improvvisa e imprevedibile di Valeria. Noi eredi di Prometeo, il titano amico degli uomini che secondo il mito ha regalato all’umanità la sua capacità di agire in previsione del futuro (questo il significato letterale del nome Prometeo), di fronte ad un dramma improvviso, come quello di chi perde un figlio o una figlia, sentiamo che non è naturale che i figli muoiano prima dei genitori. Il ritmo della natura è sconvolto e, mentre la proiezione prometeica verso il futuro si confonde e scompare, la psiche ripiega sul passato nel tentativo di recuperare brandelli di vita, di ricostruire faticosamente un senso, di strappare al tempo che distrugge ogni cosa, quanto la memoria sofferente può recuperare. Passeggio tra pensieri... immagini... eventi... banalità... viali di facebook... umanità che affolla le solitudini... era il mio giorno onomastico... un messaggio vocale, allo scoccare della mezzanotte... una vocina... ancora desta: “auguri, nonno... buon onomastico... ti voglio bene...” e... allora... t’accorgi che, sia pure con un testo stantio e logoro... il sipario deve rimanere aperto... pur tra dolorosi, esacerbanti monologhi... nel deserto delle mille vacuità travestite da rituali di estivo, usuale intrattenimento... e, allora, ti rintani tra le “quinte” di un palcoscenico che senti non tuo... e pensi a quei giorni di agosto... a quel Suo compleanno... quarantesimo... felice... gioioso... ingiusto... beffardo... ultimo... E’ questo il percorso tormentato e doloroso che Gaetano Montalto ci ha proposto in Schegge di vita. Ma, anche nella più triste condizione, la cultura, quella vera, ci fa ritrovare le parole per esprimere la condizione umana, ci spinge a constatare che la vita prosegue: lo dobbiamo agli altri che ci vogliono bene, ai figli, ai nipoti perché, conclude Gaetano che ha sempre amato il teatro, nel palcoscenico della vita, anche se abbiamo a disposizione un testo stantio e logoro... il sipario deve rimanere aperto...

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Sport

AMARCORD L’ex ds vigorino: “Con Pulice un miracolo sportivo. La Vigor di Boccolini&Castillo la più forte di tutte” ZIZZA: “AMO IL LAVORO DI DIESSE E HO VOGLIA DI RIMETTERE IN CAMPO L’ADRENALINA CHE HO ADDOSSO!”

di Rinaldo Critelli

Sull’Fc Lamezia Terme aggiunge: “Operazione nobile ma serviva più rispetto per Vigor e Sambiase”. E ancora: “Con Chievo e Cosenza esperienze top, a Cosenza tornerei subito”

Un libro. Un giorno lo scriverò…Che parli e racconti di onestà e trasparenza nel calcio. Di gavetta e campi polverosi. Di talenti veri, segnalati e magari non scelti, con tanto di rimpianto per chi non l’ha fatto! Tutto ciò si confà perfettamente a Silvio Zizza, professione direttore sportivo. Inoccupato, per il momento. Riprendendo il nostro Amarcord è lui il protagonista di questo mese e l’excursus non può non toccare l’argomento Vigor Lamezia, dove il buon Silvio ha lavorato – ma la sua biancoverde era passione pura – per un decennio tra serie D e C. Iniziamo subito dalla novità: c’è in città una nuova realtà calcistica, cosa pensi della nascita dell’FC Lamezia Terme? “Operazione nobile: quando avviene un’unione tra tre quartieri così importanti quali Nicastro, Sambiase e Sant’Eufemia non si può che dire bene. Avrei da ridire sui modi perché comunque si deve portare rispetto di due società gloriose quali Vigor e Sambiase. Ho letto che la storia sarebbe solo quella di Serie A, non sono d’accordo, la storia si fa pure in serie D. Forse questa operazione andava fatta in maniera diversa, non dalla sera alla mattina ma coinvolgendo tutti, tifoserie, delegazioni varie, parti sociali della città, per cercare veramente di unire, invece sembra una cosa fatta in fretta e furia. Ovviamente non esiste la violenza e condanno l’aggressione al presidente Saladini ed al suo vice”. Non si può parlare di fusione ma di cambio di nome da Sambiase in Fc Lamezia Terme, anche se l’intento è quello di unire la città. “Esatto. Dò atto a te che con Giuseppe Zangari e Tonino Scalise già nel lontano 2000 siete stati precursori di un tentativo di unione di quelle sei squadre lametine. Non se ne fece nulla perché se ancora adesso ci sono resistenze figuriamoci allora. Concordo che non si tratta di fusione, anche sul piano tecnico non vedo giocatori ex Promosport che continua a fare il suo torneo, al contrario delle altre due squadre. Ho visto che c’è stata una presentazione in grande stile, ma al di là di queste cose penso che l’Fc debba conquistare la gente sul campo con i risultati, avendone tutte le possibilità, e non prima perché se dovesse andar male sarebbe un fallimento. Ovviamente gli auguro ogni bene”. Parliamo di Vigor Lamezia, ma com’è nato il tuo approdo ai pag. 8

biancoverdi? “Erano i tempi del C.V. Lamezia, anni ’95: Fabrizio D’Agostino amico del ds Carmine Donnarumma responsabile dell’area tecnica col duo presidenziale Cantafio-Gaetano, me lo fece conoscere e bontà sua mi volle nello staff tecnico, partendo dal settore giovanile, da lì iniziò tutto”. L’annata che ricordi con più piacere? “Ne dico due. La prima è quando i due anzidetti presidenti finirono in rotta, ma noi squadra col grande mister Pulice facemmo un miracolo sportivo, con quel rigore storico di Lio a Sciacca (in foto). E addirittura con qualche tifoso in campo come Antonio Mercuri, un terzino sinistro anche molto bravo, ed i vari Fanello, Sdanganelli, Burgo, A.Caputo, i due Foderaro e tanti altri. Affidammo la parte finale del campionato a Fabrizio Maglia come presidente pro-tempore, perché era bravo a rapportarsi col presidente Cantafio, mentre io mi occupavo più della squadra. Ad un certo punto le casse societarie piangevano, però nonostante tutto ci siamo salvati con merito. L’altra annata è quella di mister Boccolini (2004-05), quando seppur dalla porta secondaria arrivammo nell’agognata C2. Ricordo la finale play off col Modica, vincendo prima lì e poi in casa con due gol strepitosi di Pino Tortora che scatenarono un’invasione entusiastica. Negli spogliatoi eravamo come sardine. Fu un’emozione unica. Penso sia stata la Vigor più forte con i vari Castillo, Rogazzo, Alessandrì, Lio e tanti altri”. La favola-Vigor si interrompe bruscamente una mattina di maggio 2015 con la vergogna di Dirty Soccer. Cosa pensi? “Rimasi sconvolto perché vedere, anche in maniera ingiustificata, su Sky, Rai e Mediaset e giornali sempre quelle immagini della sede della Vigor, oltre agli arresti e le volanti della polizia, è

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stata una brutta pagina per Lamezia. Mi duole il cuore solo a ripercorrere quei momenti, specie per uno come me da sempre tifoso della Vigor. Sicuramente chi ha sbagliato per Dirty Soccer ha pagato, non so se più o meno del dovuto, però non tutte le squadre coinvolte pagarono. Ce ne furono altre che fecero più danni della Vigor ma sono rientrate subito, al contrario la Vigor venne costretta alla D e poi retrocesse”. L’ingratitudine sta di casa nel calcio: proprio tu potresti essere l’esempio di ciò. Pensi di aver dato più di quanto hai ricevuto dal calcio? “Nel 2009 sono retrocesso con la Vigor avendo anche iniziato bene ma poi tante vicissitudini pesarono. Da allora sto ancora pagando dazio visto che non mi ha più chiamato nessuno. Colleghi invece retrocedono un anno e quello dopo trovano già posto, magari in categoria superiore. Evidente che siano legati al ‘carrozzone’! Io non mi so ‘vendere’, nè voglio farlo. Ciò nonostante abbia conseguito il patentino di ds a Coverciano con 108 su 110, e per colleghi di corso Paratici ora al Tottenham, Antonelli al Monza ed altri. Sarà anche colpa mia ma soprattutto è perchè non scendo a compromessi ed il calcio ne è pieno. Non direi mai ai miei giocatori che quella domenica ‘bisogna’ perdere, e purtroppo accade oggi come ieri. Per me è valso il detto ‘nemo propheta in patria’, tanto che lasciai la Vigor nel 2009 in maniera tutt’altro che trionfante. Comunque ho ancora l’adrenalina addosso, quella che mi faceva chiudere la giornata stanco ma desideroso di ricominciare presto l’indomani. Come ora: sono legato al mio lavoro, fatto sempre con passione e, credo, competenza”. L’esperienza al Chievo cosa ti ha insegnato? “Molto. Dopo la Vigor nel 2009 il Chievo Verona mi offrì la possibilità di fare l’Osservatore per il Sud fino al 2015. Andai a vedere in Italia e all’estero i migliori giovani di allora. Che entusiasmo! Non pensavo potesse esserci così tanta adrenalina nel vedere i giovani, al contrario apprezzi la loro genuinità nonostante qualche procuratore abbia rovinato il calcio”. Perché? “Loro su un prodotto ‘A’ bravissimo, devono caricarti anche B, C, D di contorno e tu società devi prenderli. Talvolta i presidenti invece di fidarsi del proprio direttore sportivo che fa i suoi – del presidente che lo paga – interessi e ne capisce, si fidano dei procuratori. Ho avuto la fortuna di lavorare al Chievo col ds Sartori ora all’Atalanta e Costanzi resp. del settore giovanile: non è un caso che da quando siano andati via loro il Chievo abbia fatto una brutta fine. C’era anche Pellissier, bravo che oggi ha fatto ripartire il Chievo dalla Terza Categoria. Sarò sempre grato al Chievo che mi diede la possibilità di andare in giro e sentirmi Lamezia e non solo

importante: quell’esperienza mi fece curriculum, tuttora dispongo di un database fornitissimo. Certo come osservatore è bello però ti manca il campo che senti invece nella direzione sportiva di una squadra”. Poi anche l’opportunità col Cosenza di patron Guarascio? “Un anno fa lo conobbi per motivi extra-calcistici: mi disse che ero competente di calcio vedendomi in qualche trasmissione sportiva come opinionista e che prima o poi avrei potuto lavorare con lui. Detto-fatto, avvenne poco prima del Covid: rimasi nove mesi al Cosenza come capo scouting, osservai 300 giocatori, ne segnalai una ventina e gli allenatori dello staff, tra cui Carnevale, approvarono. Ricordo un torneo a Riva del Garda dove altri addetti rimasero piacevolmente sorpresi di come una squadra del Sud, appunto il Cosenza, fosse presente a tornei così importanti, e c’ero io a rappresentarlo. D’un tratto arriva un nuovo collaboratore di Guarascio, il mio lavoro non viene valutato, anzi si interrompe. Tanti di quei giocatori da me segnalati passarono a Catanzaro, Sassuolo, Genoa. Comunque ho ringraziato il presidente Guarascio, essendogli grato poiché mi fece rientrare nel giro che conta. A Cosenza tornerei subito, mi sono trovato bene e già all’epoca vidi una società con i conti a posto e proprio per questo ha riconquistato la Serie B a tavolino”. Torniamo al Lamezia Terme: quanto sarà difficile vincere il campionato? “Tanto, ma non impossibile: ripenso al Rende che vinse contro di noi nel 2004. Individualmente quella Vigor era superiore, ma vinsero loro. Al pari della Cavese l’anno prima. Quindi non servono solo i grandi nomi, nonostante l’Fc abbia fatto un’ottima squadra ed è tra le favorite, però occorre calarsi nel clima infuocato del girone I, che io conosco bene. Come sempre il campo darà la sentenza”. Chiusura: ma quando ti rivedremo come ds?

“Ho avuto qualche richiesta sia in D, C e per tornare a fare lo scouting in qualche società importante. Per il momento non si è concretizzato, lo spero vivamente perché mi manca il campo e vorrei tornare a dimostrare le mie capacità di persona competente ma soprattutto perbene. Vorrei che nel calcio si parlasse più di competenza ed onestà”. * pubblicate Castillo, Galetti, Sinopoli, Gigliotti, Scardamaglia, Sestito, Forte, Lucchino, Rogazzo, Ammirata, Samele, Sorace, Rigoli, Zizza.. continua…

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Lettera a Nella quando le parole carezzano l’anima è bene condividerle Il grande spazio quasi introvabile per chi come me non conosce la città. Una porta a vetri. Un gradino e mi sono ritrovata in un luogo magico dove ci sono tante cose.

Francesca Ferragine

protettivo è grande come un gigante. È lei che muove ogni filo di un telaio complesso che è l’Editoria.

I libri, la scrivania molto grande, timbri, carte, fogli sparsi.

Rimango affascinata come quando per la prima volta a Louvre mi sono trovata di fronte “Le nozze di Cana” di Veronese, mentre la folla avanzava per osservare poco più avanti la Gioconda.

L’inevitabile computer.

Il suono della sua voce mi riporta alla realtà.

Uno spazio dove un bambino avrebbe trovato tante cose per affidare la propria fantasia. Eppure non ci sono giocattoli, ma cose e colori.

Una voce che mi accoglie con parole semplici che mostravano l’arco di un’intera vita vissuta tra libri, pensieri e cultura.

Il sole penetrava appena attraverso la vetrata, ma sembrava scura.

La vetrata mi sembrava più colorata e meno buia di come l’avevo vista entrando.

Dalla parte opposta alla vetrata il sapore grigio di giorni di lavoro.

L’ho guardata con stima e affetto improvviso e simpatia.

Girando lo sguardo a destra fotografie, litografie. Lo sguardo più avanti una porta che indica alla mia immaginazione un varco per entrare là dove le macchine lavorano. Costruiscono i libri. La porta del destino finale delle parole messe insieme, dei pensieri di uomini e donne, di immagini semplici e complesse.

Mi è sembrata in un solo istante un grande libro fatto di immagini e parole rilegato in oro. Grazie cara Nella per come sei e come appari. Mi hai restituito in un unico incontro la gioia di ritrovare l’umanità, la saggezza, la capacità lavorativa, la grazia, l’eleganza, la tenacia, l’orgoglio non disgiunto dall’umiltà delle donne della mia Terra.

Una folla di idee mi assale in un attimo. Vorrei andare al di là della porta ma non oso. Mi sembra di vedere l’inchiostro che passa attraverso i fogli poste nelle macchine che velocemente trascrivono i pensieri. Improvvisamente una “Donna” appare come un’icona d’altri tempi ai miei occhi. Elegante con il suo vestito rosa antico, i preziosi gioielli, sandali colorati. Lineamenti raffinati, occhi penetranti, sguardo intelligente capace di cogliere ogni sfumatura di chi è lì ignaro di tanto talento. È Lei la “signora Nella” tanto immaginata! È lei, lei che dirige, lei che pensa, lei che accoglie, lei che comprende l’animo umano, lei che annidata dietro un velo pag. 10

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I Meridiani: Voci calabresi in serie e parallelo

Una canzone mariana: tra devozione e letteratura sacra di Francesco Polopoli

si vede sullo sfondo attraverso una finestra. La Vergine tiene in grembo il Bambino ed indossa un manto azzurro con la stella cometa ricamata sulla spalla, al di sopra dell’usuale veste rossa. Il piccolo, invece, tiene in mano un melagrano aperto, da cui ha staccato alcuni chicchi, che gli cadono dalla

Madonna del Mare Recentemente, il 12 settembre scorso, per l’esattezza, è stata la festa della Madonna di Porto Salvo: nell’omonimo Santuario, situato nelle campagne di Sambiase, ex Comune di Lamezia Terme (CZ), si raccoglie, da sempre, una forte e calorosa devozione plurisecolare. Mi piace pensare ad un filone documentario che vede erigere il tempietto per volere di un nobile feudatario di nome Gregoraci che, sopravvissuto a una tempesta, mentre navigava al largo del golfo di S.Eufemia, si sai prodigato alla sua realizzazione a grazia ricevuta: tuttavia, il vaglio storiografico è tuttora aperto, motivo per cui taccio la parola, aprendomi al Verbo. Ad ogni modo, il mare non è peregrino nell’iconografia mariana: basti pensare alla Madonna del Mare, un dipinto attribuito a Sandro Botticelli o a Filippino Lippi, dell’ultimo venticinquennio del 1400 (quest’opera deve il suo nome al soffuso paesaggio marino che Lamezia e non solo

manina sinistra. Il frutto simboleggia la fertilità e la regalità di Maria, e il colore rosso degli acini prefigura il sangue della Passione). Immaginetta votiva della Madonna di Porto Salvo L’epiteto Stella Maris le appartiene, insomma, da un lungo asse diacronico, intrecciato ad innumerevoli altri titoli, che sovente sentiamo recitare nelle litanie. Detto ciò, spesso, nel cantato popolare, non meno di quello canonico

o ufficiale, si trovano tante tracce devozionali intrise di significatività (persino nella leggerezza di qualche incolpevole storpiatura, come ad esempio: “Liberandisdomini”, da “libera nos, Domine! Liberaci, o Signore!;”nsècula ‘nseculòrum”, da “in saecula saeculorum - nei secoli dei secoli”;”reculammàterna”, da “requiem aeternam - eterno riposo”), tali da arricchire il repertorio mariologico col semplice magistero dell’anima popolare. Spessissimo, e in non poche circostanze, siamo di fronte a poesie sopraffini, baciate a rima o per assonanze: il codice linguistico è un dialetto che, seppur elementare, s’appaia elegantemente con le regole della metrica classica. È il caso di una preghiera cantata che, davanti alla statua votiva della Santissima Vergine, a Sambiase, si sente ancora intonare, nella dolce quiete dei colori naturalistici di quella stradicciola periferica lametina, che porta a Porto Salvo: Madonna mia di Portu Sarvu a chini aiuti e a chini sarvi, fammi passari ’sta malatìa, fha stari bona ’a famigljia mia. Madonna mia, di ’st’alma tu chi sìadi ’nta ’sta campagna, iu m’alluntanu e tu m’avvicini, fammi la grazia, o Rigina! Quanto spirito cristiano passa attraverso il canto dei nostri nonni: fede e spontaneità son tutte lì, vestite di ascolto. Restituirsi al vero, nella tensione passeggera di tante nostre giornate, può essere una grossa fortuna, ascoltando semplice-mente: non si perdano occasioni d’apprendimento come queste! Si prendano, semmai, per la propria formazione: l’identità è fragile senza radici, null’altro più!

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di Maria Palazzo

Carissimi lettori, rieccoci a settembre, mese che non amo, ma che sopporto, grazie alle buone letture. Sto leggendo, contemporaneamente, due libri, di cui vi parlerò più avanti. Perché leggo due libri, contemporaneamente? Perché mi piace così, non c’è un perché a tutto… AH, AH, AH! Ho incontrato Gioacchino Criaco, che non ha bisogno di presentazioni, per ben due volte, quest’estate. Al Magna Graecia Film Festival, a fine luglio e al Teatro Comunale di Soverato, a fine agosto. Ho letto, tutto d’un fiato, il suo libro appena uscito: L’ULTIMO DRAGO D’ASPROMONTE. Insieme a lui, ho conosciuto il Maestro Vincenzo Filosa, artista per eccellenza e aulico illustratore del libro. Perché aulico? Qui, un perché esiste. Vincenzo Filosa non si limita al tramutare le parole in immagini, come avviene spesso, ma vivifica proprio l’istante di lettura. Il suo non è solo un rendere omaggio, ma un allungare, se così si può dire, le emozioni che un testo scritto scatena.

da bolla narrativa e, quando ho portato a termine la lettura, mi sentivo frastornata. Quasi come se tutto fosse stato sogno e incubo, al tempo stesso… L’ULTIMO DRAGO D’ASPROMONTE, apparentemente di facile lettura (la storia scorre, vuoi arrivare presto fino in fondo), ha un linguaggio su cui soffermarsi e, se ti soffermi, rischi di rimanere nel bosco, a contemplare… È immaginifico, tale linguaggio, e Filosa ne ha colto l’essenza, come un Merlino, senza bacchetta, ma dalla magica matita… La scrittura immaginifica è tipica dei poeti, specie di quelli simbolisti. Mi ha ricordato Rimbaud: semplice solo in apparenza, che arriva come un gran colpo emotivo: dritto al cuore, anche se la mente vorrebbe opporre resistenza… Gli scrittori lucidi, come dicevo alla mia cara Amica Savina Ruberto, che ha avuto il pregio di farmi conoscere Criaco come scrittore, quasi mi fanno paura, non nel senso di spavento, ma come sacro timore reverenziale: essi vedono oltre. E il lettore avverte quella paura, che altro non è, se non stupore…

Mi ha colpito molto, L’ULTIMO DRAGO D’ASPROMONTE. Mi ha lasciato dentro un po’ di dolce e un po’ di amaro. Il dolce della nostra terra e l’amaro dell’incomprensione, di cui è sempre stata fatta oggetto. Un lavoro senza tempo, originalissimo, in cui tutto sembra pulsare e vivere sotto i nostri occhi… A volte, leggendo, mi sembrava di non capire nulla, presa dal vortice delle parole di Criaco e delle immagini di Filosa: mi sentivo immersa in quella splendipag. 12

Nello stesso sorriso, che definirei acuto e bonario al contempo, Gioacchino Criaco trasmette curiosità di mistero. Poi leggi i suoi libri e lo ritrovi, come se avessi appena parlato con lui… e non è solo uno che ama la sua terra, è uno che la riaccende. Uno che, quando sente che, sotto la cenere, arde brace viva, allontana ogni polvere e fa risplendere ogni face: ogni minimo brillìo torna ad essere luce… Nel romanzo si parla anche di fuoco, nel capitolo di pag. 153: “L’inferno più orribile è quello del castagno” … Fuoco tanto

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orribile e tanto attuale: “Uno dei tanti fetenti che vivono nei dintorni della mia casa, per pulire la terra dai rovi e farci un orto, ha appiccato il fuoco. In mezzo alla terra c’era un castagno; il castagno è troppo alto perché il fuoco delle sterpaglie ne lambisca i rami, ha pensato. E, in effetti, le fiamme si erano spente, oltre ai rovi nessuno ci aveva rimesso le penne. Non lo sapeva – e allora non lo sapevo nemmeno io – che i castagni hanno un tallone d’Achille: le loro radici assorbono anche il minimo calore, lo trasmettono come fili di rame e lo portano nel cavo del tronco. Fanno lo stesso quando incontrano il fuoco, accendono braci invisibili, che covano dentro silenziose e subdole. Esplodono a distanza di tempo, con una forza incontenibile, provocando un incendio inestinguibile. Bruciano per settimane, consumandosi lentamente come candele di cera. […] Io non so se l’inferno esiste, ma se c’è, la brace che ne alimenta il calore è per forza di legno di castagno.” (cfr. pag. 155-156). Ogni creatura ha una sua voce, un suo canto, un suo sussurro. Mi ricorda il sommesso alitare della terra, che lessi da bambina nei racconti di Mario Rigoni Stern, pubblicati col titolo de IL BOSCO DEGLI UROGALLI, ma con Criaco, complice la nostra terra, a volte aspra e impenetrabile, misteriosa e di non fa-

cile descrizione, la narrazione si fa drammatica, intensa, vibrante. In lui, mai è sopito il senso di mistica emozione che la Natura trasmette… E la Natura non è solo familiare rifugio, poetica visione, ma stregato incanto, magica incognita, rebus, busillis arcano… Ecco perché, nella lettura, ci si immerge totalmente: si ascoltano anche i rumori più lievi e si avverte ogni bisbiglio, ogni rumorio, anche il più impercettibile, il più sommesso e tutto ha una voce intima, accattivante, simile al canto enigmatico e attraente delle sirene… Poesia pura, che non si rinchiude nel verso, ma spazia in una prosa larga, senza confini, che non restringe mai il suo orizzonte. Per questo, Criaco e Filosa rappresentano un connubio perfetto, inscindibile, che genera musica propria, perfetta, pur senza partitura definita: concerto fatto di cori, voci e infinita armonia. Che definisce intimamente, e dall’interno, la nostra terra, lontano da ogni retorica: nella purezza della nascita del Sole, ad Oriente e del suo tramonto, ad Occidente. Con l’ultima pagina si è come davanti a un “consummatum est”… Si ha la sensazione di aver vissuto un’esperienza irripetibile, quello che Giacomo Casanova definiva, nelle sue celebri Memorie, come “un attimo che valga una vita” … In punta di piedi, vado via e vi lascio alla lettura.

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SANTI E BEATI

SAN FRANCESCO DI PAOLA SERVIRE DIO CON SEMPLICITÀ di Fernando Conidi

San Francesco, (Paola, 27 marzo 1416 - Plessis-Lès-Tours, 2 aprile 1507), il grande santo calabrese, fondatore dell’Ordine dei Minimi, patrono della Calabria e della gente di mare, nel corso della sua vita operò molti miracoli. Il Signore gli aveva concesso molti carismi, per la sua santa umiltà e per la grande carità che aveva nel cuore. Francesco, infatti, desiderava che gli altri lo considerassero un semplice, povero, servo di Cristo e nulla di più. Quando compiva atti miracolosi, lo faceva con grande naturalezza, come se fossero semplici gesti quotidiani. Egli percepiva la presenza divina in tutto il creato e, con i suoi comportamenti, invitava gli altri a fare altrettanto, soprattutto cercando Dio nelle cose più semplici. Il Signore, infatti, prediligendo gli umili e i semplici, esprimeva la sua potenza per mezzo di un uomo con addosso solo un saio grezzo e rappezzato. UN VERO SERVO DI CRISTO Francesco insegnava il Vangelo con l’esempio, più che con le parole; attraverso i suoi gesti, e la rigida Regola a cui si sottoponeva, indicava a tutti il cammino della semplicità, dell’umiltà e della carità, che portano a Cristo. Il Signore lo ricambiava con un amore senza fine, mostrando a tutti che la presenza di Dio si manifesta soprattutto nell’umiltà, e va cercata a partire dalle piccole cose. Per questo Francesco operava prodigi con la semplicità e l’umiltà, che sconfiggono sempre la superbia. A volte sanava gli ammalati facendo mangiare loro delle erbe o dei frutti, cercando di nascondere la santità che si celava nel suo spirito e nelle sue stesse mani. Per operare nel Nome del Signore, infatti, non servono gesti eclatanti, ma soprattutto la semplicità di cuore e l’amore che

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nario; nella sua particolare ed elevata dimensione mistica, si mostrava quasi come un mendicante. Umile di cuore, ma dal carattere forte, e dotato di una grande autorevolezza, si disponeva per servire solo il Signore e le “pecorelle di questo mondo”, per le quali Cristo ha dato la vita. OPERATORE DI GRANDI PRODIGI Francesco nella sua vita terrena operò moltissimi prodigi, tutti con un unico fine: mostrare l’amore e la misericordia di Dio per l’uomo, e così rafforzare e convertire quanti ne avessero bisogno. Francesco amava la natura, in particolare gli animali. San Francesco di Paola

conduce sempre a Cristo. Sono innumerevoli i fatti raccontati nei vari processi di canonizzazione di Francesco, dove molti testimoni hanno raccontato ciò che hanno veduto con i loro stessi occhi. San Francesco di Paola era un santo straordi-

Il covo di vipere Una volta gli operai, intenti a costruire il convento, scavando, trovarono un covo di vipere e mentre si apprestavano a ucciderle furono fermati da Francesco, che li tranquillizzò dicendo che il giorno dopo non sarebbero più state lì. L’indomani, egli prese a mani nude le vipere e le ripose lontano dal costruendo convento.

Santuario di San Francesco - Paola (CS)

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SANTI E BEATI Le trote redivive Un’altra volta, un pescatore gli portò delle trote infilzate per la gola ed egli vedendole gli disse: “Guardate cosa avete fatto a queste povere creaturine”; poi le prese e le adagiò una ad una in una vasca, ed esse ripresero immediatamente vita. Il fuoco amico Nessuna forza della natura si opponeva al santo, anzi sembrava che esse fossero creature addomesticate, per come ubbidivano al tono fraterno della sua voce. Il fuoco, in particolare, si sottometteva alle sue semplici parole e ai suoi gesti. Infatti, accendeva le candele semplicemente toccandole e lo stesso faceva con i carboni, che molte volte maneggiava a mani nude senza subire alcun danno. Avvolto dalle fiamme, ma illeso Francesco aveva fatto costruire dagli operai una fornace per la calce, che serviva per la costruzione del convento. Essa già ardeva da ventiquattr’ore, quando i fornaciai si accorsero che, per la violenza del fuoco o per difetto di costruzione, le pietre con cui era stata costruita si erano smosse e stavano per cadere. Allarmati, temendo che essa rovinasse a terra, corsero ad avvisare Francesco, il quale dopo una semplice preghiera entrò nella fornace ardente e la riparò, uscendone com-

pletamente illeso davanti agli occhi degli operai che erano stati testimoni di quel grande prodigio. La fonte miracolosa Il luogo dove Francesco stava facendo costruire il convento non aveva acqua potabile. Durante un’afosa giornata estiva, dopo alcune ore di preghiera, Francesco, appoggiato al suo bastone, si recò dove gli operai stavano lavorando. Essi appena lo videro iniziarono a lamentarsi perché sul posto non avevano acqua da bere. Egli, senza scomporsi, rispose loro di non affligersi che il Signore avrebbe provveduto. Si avvicinò così a un masso tufaceo e, battendoci sopra con il suo bastone, ne fece scaturire subito una vena d’acqua. Quella fonte, chiamata volgarmente della “Cucchiarella”, dall’arnese utilizzato per attingerne l’acqua, viene ritenuta miracolosa.

rono l’agnellino, e, facendosi beffe di Francesco, ne buttarono la pelle e le ossa nella fornace ardente, per fare scomparire ogni traccia del loro misfatto. Egli al suo ritorno, informato dell’accaduto dai suoi compagni, dispiaciuto, rispose che Martinello era talmente ubbidiente che al suo richiamo, dovunque si trovasse gli sarebbe subito corso incontro, e, avvicinandosi alla fornace, gridò: “Martinello, vieni fuori”. Improvvisamente, dalla porta della fornace, si vide saltare fuori l’agnellino Martinello che, vivo e belante, gli corse subito incontro. Gli operai che assistettero al miracolo, e ben sapevano che fine avevano fatto fare al povero agnellino, si buttarono ai piedi di Francesco, chiedendo perdono della loro ingordigia. Il Signore aveva permesso tutto ciò per la loro conversione e perché tutti capissero che a Dio nulla è impossibile e nulla rimane senza ricompensa. Attraverso un semplice animale, il Signore aveva salvato delle anime e per l’amore del suo servo aveva fatto ritornare in vita l’agnellino che Francesco amava molto. Al Signore era piaciuto che l’amore di Francesco per Martinello continuasse ancora ad ardere, come il fuoco dell’amore e dello Spirito Santo che ardeva nel cuore di San Francesco per Gesù Cristo.

Fonte della “Cucchiarella”

Fornace di San Francesco

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L’agnello resuscitato L’ingordigia umana molte volte fa dimenticare Dio e i suoi santi, per dare spazio ai vizi e alle debolezze umane. Si verificò, infatti, che alcuni operai, intenti a costruire le celle per i compagni di Francesco, avessero fame e non accontentandosi di ciò che avevano, pensarono di uccidere e mangiare il povero Martinello, l’agnellino di Francesco, che egli amava molto. Così, approfittando della sua temporanea assenza, uccisero e mangia-

San Francesco con l’agnellino Martinello Opera di Matteo Curcio, 2015 (Collez. privata) Fonte: “Il Segno del soprannaturale”, n. 365, novembre 2018, Edizioni Segno - Autore: Fernando Conidi.

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blaterando

Gianluca Bordiga di Anna Maria Esposito

Gianluca Bordiga, Presidente della Biblioteca Comunale di Polpenazze del Garda, consigliere comunale di Idro, Presidente della Federazione delle Associazioni che amano il fiume Chiese ed il suo lago d’Idro e non solo. Non ha mai abbandonato l’attività volontaria in difesa dell’amato lago d’Idro, che svolge ininterrottamente dal 1985. Quando ci siamo sentiti al telefono per invitarti ad una chiacchierata a Radio CRT, mi hai fatto vivere momenti di bellissima poesia nel raccontarmi alcuni dialoghi con il tuo papà, quando ha dovuto dirti che finita la scuola dell’obbligo, avresti dovuto optare per un lavoro. Ce ne vuoi parlare? Mio papà aveva un carattere carismatico, sicuramente temprato dalle immani difficoltà patite e superate sin da quando era bambino: la malattia di poliomielite, la perdita della mamma quando lui aveva 12 anni e il suo papà era sull’isola di Pantelleria, a lavorare nelle miniere di zolfo, per guadagnare il sufficiente per comperare la casa dove abitava la famiglia, ed il periodo della guerra, due volte fatto prigioniero dai Nazisti e dai Fascisti. Tutto questo gli aveva anche generato una empatia quotidiana che non perdeva mai, nemmeno quando morì mio fratello a 23 anni, investito da una automobile sul marciapiede davanti alla porta di casa. Il mio papà di mestiere faceva il sarto, imparato in una sartoria durante la guerra. Lui pag. 16

non era abile per gli strascichi della poliomielite, ma in età abbastanza giovane si ammalò di diabete e a 54 anni non aveva più la forza di stare in piedi a tagliare e fare il suo lavoro come serviva. Sentiva la responsabilità di garantire sostentamento alla famiglia, in quanto mia mamma era casalinga, non aveva un lavoro, al che quando io stavo terminando la scuola dell’obbligo, un giorno in cui io e lui eravamo soli in casa, mi chiese di andare a sedermi sulle sue ginocchia, e accarezzandomi lungo la schiena con immensa simpatia mi disse: “lo so che ti piace andare a scuola e che riesci bene, ma io sono costretto a chiederti un sacrificio forte perché non più la forza degli anni scorsi, devo chiederti di andare a lavorare, non possiamo permetterci di mantenere la scuola superiore, ho bisogno del tuo aiuto per portare una entrata sicura in casa”. Davanti a queste parole e alla sua dolcezza, io ricordo bene che risposi: “Va bene papà”. Ancora oggi ho davanti a me quel momento, di cui ne vado fiero di aver obbedito. Operaio in una tipografia, Presidente della Biblioteca Comunale di Polpenazze del Garda poi, ora anche autore di un libro uscito a Luglio 2021, “L’ultima fila in alto”. Sembra quasi un filo conduttore di eventi. Quale la trama? La trama è il grandissimo desiderio di comunicare pubblicamente a 360 gradi, per trattare le tematiche della convivenza civile, per affrontare le situazioni di degrado ambientale. Ho avuto l’opportunità di avere la disponibilità di una Casa Editrice, la Echos Edizioni di Torino, alla quale mi ha presentato il poeta Innocente Foglio, mio conterraneo che vive da 40 anni a Torino. Quella opportunità l’ho colta con tutta l’energia che sono riuscito a dare in questo periodo, e ne è venuto un romanzo realistico che ho scritto in terza persona, tutto a memoria, in 4 mesi da marzo a giugno 2020, col quale rivedo e racconto la storia di mio papà, poi passo alla mia adolescenza con le gioie e gli strazi della perdita del fratello, del papà e della mamma, e poi inizia il mio impegno pubblico all’età di 22 anni. Impegno per la promozione della cultura e del territorio, impegno divenuto subito anche ampio movimento di

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dalla richiesta di poter prelevare anche di più per attività irrigue, concessione che lo ha portato al limite della morte biologica nel 2003, ma che grazie ad un immenso impegno pubblico, al quale ho contribuito in prima persona anch’io, lo abbiamo salvato e ora si sta pur lentamente rigenerando.

salvaguardia del patrimonio ambientale del territorio dove sono nato e dove ho abitato fino al 2007, ovvero all’età di 44 anni. Dunque la trama è il racconto di 3 generazioni della mia famiglia, con al centro il mio impegno in difesa del patrimonio ambientale del lago d’Idro terra delle mie origini, impegno iniziato nel 1985 e che è tutt’ora in corso. Presente nelle Istituzioni, consigliere comunale a Bagolino per due mandati negli anni 90, attualmente consigliere comunale di Idro. Dal 1985 non hai mai abbandonato l’attività volontaria in difesa dell’amato lago d’Idro. Ci vuoi dire brevemente il male che è stato fatto dall’uomo a questo lago? Sono cresciuto nel Comune di Bagolino, nella frazione Ponte Caffaro che si affaccia sul lago d’Idro, e sin da bambino ogni giorno andavo da casa mia al lago in bicicletta, circa 2 chilometri di strade più che altro interne. Ogni giorno mi fermavo a guardare il lago ed il suo orizzonte affascinante, con la foschia della lontananza sullo sfondo, e ogni estate lo vedevo scendere rapidamente ogni giorno, ogni giorno gli veniva tolta acqua in quantità grande, si capiva che era tanta l’acqua che veniva tolta perché il lago è grande e 15-20 centimetri di calo ogni giorno d’estate erano tanti. Questa situazione mi impressionava, e mi ha formato una domanda intimamente, una domanda e anche una voglia grande di impedire questo brutto fatto. Così quando ebbi il primo incarico pubblico, all’età di 22 anni nel 1985, mi occupai subito del caso, e il caso mi prese moralmente e materialmente, portandomi ad appassionarmi in difesa del lago e del suo territorio e del suo fiume immissario che è il fiume Chiese, che ne è anche emissario. Al lago hanno fatto molto male con un Regio Decreto del 25 ottobre 1927, concedendo per 70 anni di trasformarlo in un serbatoio per l’energia elettrica, concessione che poi è stata aggravata Lamezia e non solo

Quali le soluzioni possibili per salvare il lago d’Idro e l’economia dei comuni che vivono intorno ad esso da centinaia di anni? La soluzione non è difficile, ma serve che l’immenso comparto agricolo dei 40 Comuni della pianura medio alta orientale lombarda inducano i propri agricoltori a diversificare le colture e a introdurre sistemi irrigui moderni, non più a scorrimento com’è adesso, affinché la gestione dell’acqua dolce sia oculata, bensì coscientemente a rispettare i corsi d’acqua e gli specchi d’acqua. Ma come viene utilizzata dal compatto agricolo l’acqua in generale? Irrigano inondando i campi, e coltivano quasi totalmente in quell’area dei 40 Comuni solo Mais da fare trinciato per nutrire le vacche da latte e le centrali a biomassa. Io, da non addetta ai lavori, ho sentito parlare di irrigazione a gocce”, un metodo che dovrebbe evitare gli sprechi d’acqua, di che si tratta? L’irrigazione a goccia è realizzare impianti, grazie alle moderne tecnologie, che non sprecano acqua e che portano alla radice della pianta solo il quantitativo che gli basta per svilupparsi. Galante, educato, pacato, aperto al dialogo, Presidente della Associazione Amici della Terra lago d’Idro Valle Sabbia, nonché Consigliere Nazionale di Amici della Terra d’Italia, riconosciuta dal Ministero dell’Ambiente, consigliere della Banda Musicale di F. Marchiori di Polpenazze del Garda, Presidente della Federazione delle associazioni del fiume Chiese e del suo lago d’Idro, ma come fai a coordinare tutte queste attività? Eh, è vero che è molto impegnativo ma è anche vero che l’energia e la voglia di comunicazione che sento profondamente dentro non mi fanno sentire la fatica; le soddisfazioni che vengono quando ci sono momenti di pubblica aggregazione coprono ampiamente ogni fatica, rigenerano, sono tutto per me. Grazie per la piacevole chiacchierata e lunga vita al lago d’Idro.

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spettacolo

Grafiché Editore a Firenze per la Settimana della Cultura di Emozionote. Tanti gli autori lametini intervenuti di Luisa Vaccaro

Una presenza positiva per l’editoria lametina e calabrese, alla rassegna “Settimana della Cultura”, promossa dall’associazione Emozionote, diretta da Chiara D’Andrea in collaborazione con l’associazione culturale La Limonaia, e con il patrocinio del Comune di Firenze. Dal 25 agosto al 7 settembre al centro dell’attenzione, realtà musicali, artistiche e culturali da tutta Italia, spaziando da presentazioni di liberi a performance teatrali e musicali. Due le serate dedicate ai libri della casa editrice Grafiché Editore. Nella serata del 27 agosto in particolare, è stato dato spazio alle opere degli autori presenti all’evento: Antonio Carchidi con “San Pietro a Madia storia, sapori, usi e costumi da scoprire”; Mariannina Amato con “A parrata da mamma”; Salvatore D’Elia con “Diario di una pandemia” e “La Tracheotomia: scelta e sfida per una vita indipendente”, quest’ ultimo scritto con il compianto Antonio Saffioti, per il quale erano presenti la sorella, Maria Rosaria, la mamma, Maria Vittoria ed il papà Pino. Sabato 28 agosto invece, si è parlato dei libri di Laura Calderini, “Il profumo dell’alloro” e “Due”; della produzione di Vittorio Branca con i suoi “Tortuosi Meandri”; di Gaetano Felicetto, “MagiAliena 2 Quinta dimensione”; per Francesca Giurleo, “L’abbazia benedettina di Sant’Eufemia Vetere”. Gli autori intervenuti hanno conversato con la direttrice della rassegna, Chiara D’Andrea, la docente Grazia Laganà, pag. 18

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l’editor Sara Riamo e con i rappresentanti della casa editrice Nella Fragale, Giuseppe e Antonio Perri. Conversare per dare voce a quelle parole scritte portatrici di sentimenti gelosamente nascosti nell’interiorità, e che solo la scrittura può restituire alla realtà, con vibrante musicalità. Un’occasione di confronti

e artista affermata, ha sottolineato grata soddisfazione. Sono emozionata – ha evidenziato la docente per la presenza, all’interno della rassegna promossa dal sodalizio fiorentino, di una realtà editoriale come “Grafiché”, che scommette sulle energie positive del territorio, sostiene i propri autori e contribuisce a una

tra autori, editori, lettori, tre dei punti cardine della necessaria comunicazione culturale ed emozionale. Due serate arricchite dalla musica degli artisti di Emozionote, in un contesto particolarmente suggestivo a pochi metri dal centro di Firenze. La direttrice della rassegna, Chiara D’Andrea, lametina, docente

narrazione positiva di Lamezia Terme ed in generale della Calabria, al di fuori dei confini regionali. Non poteva che arrivare la medesima emozione da parte della famiglia editoriale lametina. Una partecipazione – sottolinea infatti, Nella Fragale – che sì, ci inorgoglisce, ma che anzitutto, ci investe di respon-

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sabilità e della missione più grande, quella cioè di testimoniare la straordinarietà della Calabria, terra fertile dell’illuminante connubio di mente e cuore. I libri – conclude la Fragale – rappresentano per noi tutti, creature da tutelare, impreziosire e poi lasciar andare, affinché ognuno di essi possa partecipare del

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turbinio emozionale che solo la cultura può innescare. Durante l’evento, si è poi ed inoltre, parlato del libro di Mario Voci, “Linguaggi a confronto, termini francesi e del dialetto di Gasperina con excursus storici ed etnografici”; del libro di Fabio Voci, “Il colore dei cavallucci di gomma; di Filippo D’Andrea, “Sole d’arancia” e “Le radici del tempo di Raffaele Talarico”; e di Giovanna De Sensi Sestito e Stefania Mancuso con “Lamezia Teme: un percorso illustrato della città”, autori che, per problemi dell’ultimo momento, non hanno potuto essere presenti. Una presenza dunque, che nello spaccato della vivacità culturale italiana e nella suggestività della cornice fiorentina, segna un punto di partenza importante ed essenziale per la vitalità artistica della città di Lamezia Terme.

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Aspettando la sera

Sul “Trauma Cumulativo” di Angela De Sensi Frontera

Conosciamo allo stato attuale gli aspetti psicologici della pandemia? I danni psicologici da essa determinati? No, solo in parte. Questo nuovo stile di vita, imposto dalle restrizioni legislative per contenere il contagio e salvare vite umane, quali conseguenze ha provocato e continua a provocare sul morale della popolazione e di ognuno di noi? Tante. Tutto è allo studio: la ricerca nell’ambito delle Scienze Umane è all’opera, ma…è bene informare prima possibile sui risultati di essa, in modo divulgativo, affinché pervengano a tutti e non solo agli addetti ai lavori.

E’ così infatti, e nessuno si auspica una vita piatta, inerte, senza fini da raggiungere e ostacoli da superare. E allora? E’ una questione di misura. Un eccesso di stress fa male, non lo stress in sé. Un eccesso… per qualità, per quantità e durata.

Certamente lo stress del contesto pandemico è alle stelle; si coglie facilmente osservando come vivevamo prima e come viviamo oggi. Lo stress? Una componente essenziale e normale della nostra vita. Non è eliminabile. Crea quella tensione salutare che rende piacevole la vita, perché la anima e la energizza.

a) Vivere con la paura del contagio; organizzare le operazioni della nostra giornata non solo in vista dei fini da raggiungere ed essere efficienti, ma soprattutto da realizzarle in maniera sicura, per non contagiarsi e non contagiare. Efficienza e sicurezza sono inscindibili, in particolare in questo momento storico.

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Si possono cumulare gli stati di stress? Si, e a lungo andare possono strutturare patologie mentali, o anche riattivare malesseri superati o semplicemente sopiti. Quali sono questi stress che si possono cumulare? Eccoli; relativi al nostro momento storico.

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b) La restrizione dei contatti umani; l’abbraccio senza abbraccio. Non poter abbracciare tua madre, tuo padre, tuo fratello/sorella, tuo figlio/figlia, l’amico/amica, anche quello/a che viene da lontano, è una privazione forte, ai limiti della sopportazione, perché richiede un contenimento di un movimento spontaneo, direi impulsivo, dettato da emozioni profonde della sfera affettiva, che impone un dispendio di energia. Rinunciare alla salutare stretta di mano, attraverso cui passano tanti sentimenti non detti, di affetto, di stima, di consolazione, di incoraggiamento, di alleanza, di condivisione, è dura; significa inibire una parte espressiva di sé, una parte importante, che è difficile tradurre in parole. Lo scontro/incontro pugno chiuso non sostituisce certo la calorosa stretta di mano. c) Il distanziamento sociale, che certamente garantisce la distanza di sicurezza e riduce la paura del contagio, a sua volta però ostacola la comunicazione e quindi la relazione. I rapporti interpersonali, che vengono non solo ridotti, resi difficili, in alcuni casi proibiti, sono proprio loro che rendono piacevole la vita sociale delle persone, perché vissuta spesso nel gioco, nello sport, nella cultura, nello spettacolo, nelle festività, vale a dire nella sfera creativa e ricreativa della persona. E’ facile comprendere come queste serie di inibizioni, privazioni di godimento, privazioni di “valvole di scarico”, aumentano a dismisura lo stress. L’uomo è “un animale sociale”, diceva Aristotele. La socialità è essenziale all’uomo. d) Restare a casa, altra restrizione terribile, sempre imposta per garantire salute e vita, prioritarie in questo momento storico rispetto alla libertà, per molte persona ha costituito una imposizione troppo dura da rispettare, quasi ai limiti delle possibilità umane. Privare l’uomo della libertà è considerata da tutti nel tempo la pena più gravosa. (vedi Diritto Penale, la pena e le Carceri).

dalla maggior parte degli alunni vissuta come esperienza fredda e mortificante, perché priva di quella vita scolastica, costituita principalmente di contatti umani, dell’affettività, che si vive nella classe con i compagni e professori, del clima classe, che è lo sfondo facilitante gli apprendimenti e le relazioni. In alcuni allievi, addirittura, la didattica a distanza ha causato il totale blocco degli apprendimenti, dovuto alla presenza fredda e tecnica dello strumento comunicativo. Altri alunni, per la difficoltà incontrata nel seguire i programmi a distanza, hanno abbandonato la scuola. f)

Lo smart working, il lavoro facile da casa, anche questo da molti vissuto come freddo, stressante, privo di contatti umani in presenza, molto intellettualizzato e con tecnologia avanzata. In molti casi il rendimento è migliorato, e per le donne più tempo da dedicare alla famiglia, ma tutti lamentano più solitudine e lontananza dalla fonte operativa.

g) Le difficoltà economiche in cui sono precipitati persone, famiglie e imprese. Lascio immaginare il lettore l’aumento del livello di stress in questi casi. E’ aumentato notevolmente il tasso dei suicidi a livello mondiale. Ecco come si struttura nel tempo un “trama cumulativo”, che possibilmente va trattato con la psicoterapia, approccio E.M.D.R., metodo elettivo per la cura del Disturbo Post Traumatico da Stress, e idoneo a promuovere la resilienza. Ora i vaccini, mettendoci in parte in sicurezza, sempre nel rispetto delle norme antipandemiche, hanno ridotto lo stress e promosso la ripresa. Rimane però da riparare il danno provocato in precedenza, si percepisce un “disagio sociale generalizzato”, tanto che il presidente dell’Ordine degli Psicologi di Italia, Davide Lazzari, ha proposto come rimedio ”L’uso sociale della Psicologia”.

La Storia è considerata in filosofia come “l’itinerario dell’uomo attraverso i secoli verso la conquista della libertà”. Per alcuni “il restare a casa” ha costituito un regresso storico oltre che esistenziale. e) Nell’ambito scolastico la didattica a distanza, Lamezia e non solo

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riflessioni

Lo sport come Diritto di Alberto Volpe

Nulla di nuovo sotto il “sole” di uno Stato che si regge sul sistema democratico e quindi nella condizione del diritto di ogni cittadino che di quella Comunità è parte integrante. Ha, perciò un senso, richiamare quel principio fondante di una democrazia, sì sempre imperfetta, ma non per questo perfettibile. Un richiamo ed una memoria quanto mai ragionevole e motivata dopo le “rivelazioni” della trasmissione-inchiesta che solo su Rai Tre, ancora, sono possibili. Un tipo di informazione assolutamente in linea con quel “SERVIZIO” che deve garantire una Rai che si regge con il contributo, anche obbligatorio, dei cittadini. A questi, infatti, si deve la

verità sui sistemi che tengono in piedi economicamente un servizio pubblico. E quello della informazione è quanto mai vitale per la vita stessa della democrazia. Ebbene, per tornare al tema che ci siamo proposti di sviscerare questa volta, la “macchina” che muove le varie specialità ginnico-sportive del nostro Paese vada in tutt’altra direzione di quella che giuridicamente ed espressamente viene indicata nella Carta costituzionale. Già nell’antichità era definita la finalità dello sport, come qualsiasi forma di attività fisica che, mediante una partecipazione organizzata o meno, abbia come obiettivo il miglioramento delle condizioni fisiche e psichiche, lo sviluppo delle relazioni sociali o il conseguimento di risultati nel corso di competizioni a tutti i livelli. Dunque uno svago sul piano fisico, attraverso il quale mira a formare ed educare i giovani ai valori quali il rispetto per gli altri con il rispetto delle pag. 24

regole,per un qualificante lavoro di squadra, il che crea autostima. Tutti criteri e principi che sottintendono e devono influenzare la crescita globale dei ragazzi. Un panorama culturale che raramente vediamo diventare pratica onesta e trasparente ai livelli ‘alti’. Anzi, proprio quella coraggiosa inchiesta giornalistica di “Presa diretta” ha potuto dimostrare e denunciare come quei principi ispiratori dello Sport vengono puntualmente traditi dalle voraci spirali della finanza che alimenta carriere sportive e inevitabili complicità politiche. Il “rosso” dei bilanci economici dei grandi Club, ha fatto dire a qualche libero economista e tributarista, fosse capitato a aziende e società a capitale privato avrebbero fatto dichiarare il fallimento delle stesse. Siamo, quindi, in presenza di un colosso dal piedistallo di argilla che si regge grazie a manovre ed escamotage finanziarie non di meno foraggiate da soldi pubblici. E fino a quando complicità istituzionali potranno far fronte a quei meccanismi diabolici in cui bilanci e giocatori virtuali vengono utilizzati per bilanci assolutamente non trasparenti ? Intanto, a differenza di quanto si garantisce oltralpe (v. in Francia) il DIRITTO allo Sport resta solo sulla carta, a tal punto che neppure il fallimento di fatto e la scomparsa di storici club sportivi, ma anche delle periferiche realtà dilettantistiche riesce a scuotere qualche libera coscienza, perché a partire dalla Suola e con la formazione di autentici professionisti si assicuri una sana e formativa attività fisica, con altrettanti attrezzati “palestre” diventino tali per una sana e ragionevole competizione fisica che includa e non escluda i meno dotati e fortunati, per non permettersi “scuole” di ginnastica. Quanti dei candidati di questi momenti preelettorali includono nelle loro facili promesse elementi di tale fondamentale portata democratica?

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