Lameziaenonsolo febbraio 2022 Emanuela Folino e Carlo Fontanazza

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confidenze

Emanuela & Carlo di Tommaso Cozzitorto Essere genitori oggi... Una fatica immane, anche perché quello che è da sempre il mestiere più difficile del mondo, oggi lo è diventato ancora di più, dal momento che la famiglia deve confrontarsi con modelli alternativi di comportamento che vengono proposti ai ragazzi, in modo molto allettante, tramite i nuovi canali comunicativi, con i quali spesso è difficile per i genitori competere. Ma è anche, ovviamente, una gioia immensa.

Sono contento di condividere le Confidenze con una coppia che stimo molto e che mi ispira una istintiva simpatia, Emanuela Folino e Carlo Fontanazza. Quali sono gli interessi che condividete e quelli, invece, che coltivate individualmente? Ci piace soprattutto viaggiare, non solo come momento di svago, ma di vero e proprio arricchimento personale attraverso il contatto con luoghi, culture e modi di essere diversi dal nostro. Amiamo anche molto andare al cinema e per musei. Un’altra passione comune, che però coltiviamo separatamente, è quella per la lettura. Sul punto ognuno di noi due ha gusti diversi e spesso non ci troviamo d’accordo sul giudizio da dare ad un romanzo o ad un saggio. I valori portanti sui quali avete costruito il vostro rapporto? A costo di essere banali, ovviamente l’onestà e la comprensione reciproca. Ma alla base del nostro rapporto c’è anche la stima che nutriamo l’uno per l’altra e la condivisione degli stessi valori. Se vi dico che siete una coppia “rassicurante”, voi cosa mi rispondete? E: Credo che ciò sia dovuto soprattutto al componente maschile della coppia… Carlo è da tutti considerato una persona in grado di infondere sicurezza e nella quale riporre fiducia!

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Che cosa vi emoziona, cosa emoziona Lei, Emanuela, cosa emoziona Lei, Carlo? E: Sono tante le cose che mi emozionano… la bellezza di un paesaggio o di un’opera d’arte, ma anche un gesto di coraggio o di altruismo, un risultato raggiunto da chi si batte per dei valori giusti, il sorriso sul volto di chi ha pochissimo e avrebbe tante ragioni per non sorridere, ma riesce a farlo nonostante tutto… C: Forse sarà un sintomo di una vecchiaia che comincia a fare capolino ma mi emozionano tanto i ragazzi. Loro che costruiscono con fatica il loro futuro, in mezzo alle difficoltà del mondo che gli abbiamo consegnato, ma che non perdono la speranza. Emanuela, il suo lavoro è particolarmente delicato, a mio parere, ce ne vuole parlare? Lei è un giudice dei minori, sicuramente sarò stato generico e poco esatto. Spieghiamo bene il tutto? Quale altro lavoro avrebbe fatto? E: È vero, è un lavoro che richiede un grande sforzo di equilibrio in situazioni delicatissime, ma a volte anche un pizzico di coraggio nel fare certe scelte, sapendo che alcune decisioni possono cambiare, in un senso o nell’altro, la vita di una persona. Gli interrogativi sono sempre tanti, ma il faro da cui cerco di farmi guidare è quello dell’interesse superiore del minore. Oltre ai procedimenti civili che riguardano minori, il giudice minorile si occupa poi anche del settore penale, perché a partire dai 14 anni è riconosciuta l’imputabilità e quindi si risponde anche di

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eventuali reati commessi da minorenne. La finalità del processo penale minorile è però più quella di recuperare ed educare, che quella di punire. In definitiva, il lavoro del giudice minorile è un po’ un “viaggio sentimentale”, per dirla alla Sterne, un lavoro in cui si deve applicare la legge, ma che non può non coinvolgere ed emozionare. Carlo, cos’è per Lei la Magistratura? Una vita in questo campo... Ho una curiosità: umanità, sensibilità, fanno parte del suo mondo professionale? Di cosa si occupa in particolare? E Lei, quale altro lavoro avrebbe fatto? C: Per me come per altri miei colleghi della stessa età, la scelta della magistratura è arrivata nei primo anni 90, quasi come una missione, quando ancora studenti universitari abbiamo assistito alle stragi di Capaci e di Via D’Amelio e lì abbiamo deciso che dovevamo fare la nostra parte, per i valori che allora non si potevano che non condividere: lo Stato, la legalità. Insomma, nella Sicilia del 1992, si doveva scegliere se stare con lo Stato e con la Mafia, e la risposta ci apparve scontata. Poi, con il passare degli anni, la visione si fa più matura e soprattutto si capisce che il mestiere del magistrato è difficile e di grande responsabilità. Se ci pensiamo, nessun uomo avrebbe il diritto di giudicare l’altro e quello che rende sopportabile questo paradosso e che il giudizio del magistrato non è “suo”, ma deriva dallo Stato, che il magistrato serve meglio che può. Attualmente lavoro in Corte di Appello, sempre nel campo del diritto penale. Se non avessi fatto il magistrato mi sarebbe piaciuto fare lo scrittore, ma per fortuna, non avendo grandi capacità narrative, ho avuto l’opportunità di avere questa alternativa. Come si evolve il sentimento dell’amore? Forse è scontato dirlo, ma sicuramente in una coppia, dopo la fase iniziale, romantica e passionale, subentra qualcosa di meno adrenalinico, ma di più importante e cioè l’intimità, la condivisione, il fare affidamento sull’altro, il cercare di resistere insieme agli urti della vita. Arriviamo ad una domanda “cult”! La vostra canzone... Perché quella? Da dove nasce? Difficile scegliere. Forse “La canzone del sole” di Battisti e Mogol, che abbiamo spesso cantato insieme. Come vi difendete dalle “brutture” del mondo circostante? Invece, cosa vi piace della società di oggi? E: Personalmente, cerco di difendermi guardando anche a quanto di bello e di grande c’è nell’essere umano. L’uomo è capace di terribili atrocità, ma anche di opere di grande bellezza. Credo, poi, davvero nell’idea che i valori di una società più giusta avranno la meglio se ognuno di noi, ciascuno nel suo ambito, si impegnerà per svolgere il proprio compito al meglio. La società odierna è comunque sicuramente frutto delle grandi battaglie del passato per i diritti e le libertà fondamentali compiute da chi ci ha preceduto e non dobbiamo dimenticare che se oggi possiamo goderne è proprio grazie a quei processi storici, per cui da questo punto di vista siamo dei privilegiati. C: Da buon siciliano, credo che la mia pag. 4

ancora di salvezza sia l’ironia, e, ovviamente la sua forma più difficile quella dell’autoironia. Davanti ad una situazione sgradevole cerco di trovarne il lato più leggero, sdrammatizzando, cambiando la prospettiva. Esclusa quella odierna, in quale epoca avreste voluto vivere? E: In epoca rinascimentale, periodo che amo perché caratterizzato da un profondo umanesimo e dal fiorire delle arti e della letteratura. Uno dei libri che preferisco e che descrive bene quell’epoca storica è “Rinascimento privato”, di Maria Bellonci, incentrato, tra l’altro, proprio sulla figura di una donna, Isabella d’Este, che visse da vera protagonista quel tempo. C: Mi è piaciuto molto il film di Woody Allen “Midnight in Paris”. Ecco, probabilmente la Parigi degli anni ’20 fu un periodo di grande fervore intellettuale ed artistico, ancora ignaro della tragedia totalitarista che avrebbe sconvolto da lì a poco l’Europa. Quanto è importante l’aspetto esteriore per voi? Siete Edonisti o esteti? O autoironici del fashion style? E: È sicuramente importante prendersi cura dell’aspetto esteriore, senza esagerazioni, anche per sentirsi a proprio agio con se stessi. Mi diverte seguire la moda, anche perché è un modo per esprimere creatività e fantasia, ma sempre rapportandola al mio modo di essere.

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Cosa vi indigna profondamente? Ogni violazione della dignità dell’uomo, lo sfruttamento dei soggetti più deboli, la corruzione, il continuo deturpamento dell’ambiente. Solo che, forse, com’è stato detto da altri, ormai Lamezia e non solo


Una coppia può vivere il senso della solitudine? La solitudine, sia individuale che della coppia, quando diventa una condizione permanente è sempre da evitare, anche se talora può apparire uno spazio confortevole in cui vivere.

Il vostro “I care” e il vostro “I’ve a dream”... Il nostro “I care”: tentiamo, sperando di riuscirci a sufficienza, di fare la nostra parte come cittadini, anche tramite il lavoro che svolgiamo, inteso non come esercizio di potere, ma come servizio. Il nostro “I have a dream…”: sebbene banale, un mondo con meno diseguaglianze e dove tutti possano aspirare a realizzare il loro diritto alla felicità.

Emanuela e Carlo, come vi divertite e cosa vi diverte? Un film dei nostri attori comici preferiti, parlare con un amico simpatico, ma anche cogliere i piccoli e grandi aspetti comici presenti nella quotidianità, in primo luogo in noi stessi.

È ancora tempo di famiglia? Sarà sempre tempo di famiglia? Siamo sicuri che sarà sempre tempo di famiglia, che è la primitiva formazione sociale dove l’individuo si sviluppa. Per tale ragione le famiglie vanno aiutate ad assolvere al loro difficile compito,

indignarsi non basta, servono movimenti di idee condivise in grado di ottenere risposte efficaci.

Il vostro rapporto con la Spiritualità... Un parroco che ci è stato vicino ci diceva sempre, nei nostri momenti di dubbio, che la Fede è come una sorgente, alla quale si può attingere con uno scolapasta o con un bel secchio capiente. Ecco, noi nel corso della nostra vita, fino ad ora, siamo andati di volta in volta lì con l’uno o l’altro degli strumenti, ovviamente con diversi risultati. Le espressioni artistiche che preferite... Che valore date alla Cultura? Entrambi la pittura, probabilmente perché il sentimento dell’artista arriva all’osservatore in via diretta. La cultura è senza dubbio importantissima per la crescita di ogni persona. Ed anche se a volte sembra che la velocità dell’informazione contemporanea possa prescindere da una riflessione più matura, invece riteniamo fondamentale che ogni cittadino abbia gli strumenti culturali per comprendere la realtà che lo circonda e per esercitare un pensiero critico. Quanto è importante il coraggio nella vita? Il coraggio è ovviamente importantissimo ma “il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”. Se mi permetto di chiedervi: Siete felici? Cosa mi rispondete? Tenendo conto dei tempi, siamo “cautamente” felici. Io diffido delle certezze. Voi coltivate il dubbio? Vi mettete in discussione? Certamente la capacità di mettersi in discussione e di praticare l’arte del dubbio è fondamentale, sia in campo professionale, diffidando di cui ha solo granitiche certezze, sia nelle relazioni personali. Peraltro, dialogare nella consapevolezza che l’altro potrebbe avere ragione, è il principio fondante della democrazia.

La nostra chiacchierata volge al termine. Ho scoperto una coppia che ha posto l’umanità quale principio e fondamento della loro vita. Due persone ricche interiormente e di conseguenza ricche anche di contenuti. Ascoltandoli, “insieme” diventa un concetto tangibile e concreto. Grazie, Emanuela e Carlo, auguro ogni bene a voi e ai vostri figli. “E da allora sono perché tu sei, e da allora sei, sono e siamo, e per amore sarò, sarai, saremo.” versi tratti dal sonetto LXIX Pablo Neruda Ti ho vista Oltrepassare l’oceano Fino all’ultimo Orizzonte. Non ho immaginato La tua metamorfosi, Se la tua zattera Leggera, Compagna di viaggio, Ti sia stata compagna Sulle acque Dei nuovi perché, Eppure Ho difeso il mio amore. Tommaso Cozzitorto

Il Tempo della Vita. Il vostro rapporto con il Tempo? Andando avanti con gli anni, il tempo sembra scorrere sempre più veloce. Dai pomeriggi infiniti dell’adolescenza, si passa, quasi senza accorgersene, ad una frenetica routine in cui, dopo un attimo, sono passati venti anni. L’importante è vivere sempre il presente, senza rimpiangere troppo il passato e non attendere che il futuro decida per noi. Lamezia e non solo

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collana calliope

Dall’Impressionismo alla Street Art La rivoluzione nell’arte (prima parte) Qualche tempo fa, l’Uniter - Università della terza età di Lamezia Terme - ha organizzato la visita guidata di Diamante, paesino del cosentino noto per essere uno dei centri più noti della street art, l’arte figurativa dei murales. L’arte contemporanea, a chi ha fatto studi classici, appare spesso di difficile comprensione, anche perché noi italiani siamo troppo abituati ai grandi capolavori dell’arte antica, dal Medioevo al Rococò. In un certo senso, e con le differenze prodotte dalle variazioni culturali nel corso di circa duemila anni, il modo in cui noi europei abbiamo considerato l’arte, e la definizione stessa di arte, sono rimasti sostanzialmente invariati: l’arte per Platone era imitazione della natura, che per lui era copia imperfetta del mondo delle idee; anche per Aristotele l’arte era imitazione della natura, ma rappresentava il verosimile “e perciò la poesia è più filosofica e più elevata della storia, perché la poesia esprime piuttosto l’universale, la storia il particolare” (La poetica). A tali teorie si è richiamata sostanzialmente anche l’arte cristiana, che ha giustificato l’attività artistica assegnandole una finalità formativa per i fedeli, che trovavano rappresentate nelle chiese, in forma più semplice e comprensibile, le verità di fede presenti nei Testi sacri. È il Romanticismo, nei primi anni dell’Ottocento, a proporre una nuova concezione dell’arte che supera il concetto di imitazione della natura e di imitazione dei grandi modelli classici del passato. Nel nuovo assetto della struttura socio-economica della società del Settecento, il terzo stato – il popolo – aveva ormai acquisito consapevolezza del proprio ruolo ed intraprese la lotta contro i privilegi della nobiltà e del clero, per la libertà e l’uguaglianza di tutti i cittadini. Queste aspirazioni si concretizzarono con la Rivoluzione francese del 1789 e l’affermazione del Terzo Stato. L’altra grande rivoluzione europea, quella del 1848, segnò il trionfo di quella parte del Terzo Stato che noi chiamiamo borghesia, e contemporaneamente l’annuncio di una nuova rivoluzione: quella del proletariato che ambiva anch’esso all’uguaglianza, alla libertà dal bisogno, ad una nuova struttura della società e del governo della società (Marx. Manifesto dei Comunisti, 1848). Contemporaneamente, con le nuove scoperte scientifiche e l’affermarsi dell’industrializzazione, nella seconda metà dell’Ottocento il volto delle grandi città mutò profondamente e assunse quell’aspetto che oggi il turista scopre a Londra, Parigi, Vienna, Milano, New York.

Claude Monet - Ninfee pag. 6

di Italo Leone Le Metropoli affollate erano anche centri attivi di produzione industriale e attività commerciali, luoghi di promozione culturale e artistica, ed anche luoghi del divertimento È nella Parigi della seconda metà dell’Ottocento che questo nuovo ambiente sociale produce la prima grande rivoluzione dell’arte figurativa: lo consentivano i nuovi ideali di libertà che investivano ormai tutti i campi, dalla politica all’economia e al sociale. Lo consentivano le teorie sull’arte che da I. Kant all’estetica romantica consideravano il prodotto artistico frutto del genio individuale dell’artista, capace di superare gli schemi del passato per rappresentare una realtà nuova guardata con occhi nuovi. Se nel passato l’artista o il letterato erano stati al servizio dei grandi Signori o della Chiesa, che erano i maggiori committenti delle opere più importanti, nella nuova realtà sociale ed economica delle grandi città l’artista vuole esprimere la propria sensibilità, e trova i committenti nella borghesia cittadina: il soggetto della sua ispirazione sono paesaggi, scorci del paesaggio urbano o gli stessi abitanti della città, colti nella loro vita di ogni giorno. Il quadro, come quell’arte nuova che proprio allora si diffondeva, la fotografia, documentava ciò che prima il pittore ufficiale o il ritrattista erano chiamati a rappresentare. Monet, Renoir, Degas, Manet e poi Matisse, Cezanne, e molti altri che a questi si ispirarono, furono definiti “impressionisti”, termine che inizialmente ebbe un valore dispregiativo, e che riprende il titolo del quadro Impression. Soleil Levant di Claude Monet, presentato nel 1874 alla prima mostra degli impressionisti, nello studio del fotografo parigino Nadar. L’impressionismo vuole rappresentare sulla tela, come dice il termine, un preciso momento del paesaggio o della vita urbana così come si imprime nell’animo del pittore. L’arte non è più imitazione del vero ideale o della tradizione consolidata nel chiuso dell’atelier, ma è pittura all’aria aperta che “fotografa” gli effetti di luce e di colore sull’animo degli artisti. E questo fu possibile anche perché l’evoluzione della tecnica consentiva al pittore di portarsi appresso i colori già pronti nei tubetti contenitori: ne scaturiva una rappresentazione vivace nei colori così come mai si era visto in passato. Il disegno dei contorni perdeva la sua classica linearità e il caratteristico chiaroscuro per una tecnica che privilegiava la pennellata intensa e il contrasto del colore, costringendo lo spettatore a ricostruire mentalmente l’insieme. Se nel passato erano stati l’ideale religioso o politico-sociale e la funzione pubblica dell’arte a prevalere, con l’impressionismo era l’artista stesso, con la propria sensibilità e la propria visione del mondo, a porsi in primo piano.

Camille Pissarro Parigi Boulevard Montmartre

Auguste Renoir Bal au Moulin de la Galette

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“Vita semplice di fra’ Francesco di Paola in Calabria”

È stato presentato a Maida, presso il salone biblioteca scolastica, il saggio “Vita semplice di fra’ Francesco di Paola in Calabria (1416-1483) tra storia, nuove ipotesi e flashback Minimi” di padre Giovanni Cozzolino, edito da Grafichéditore di Antonio Perri. L’evento moderato dal professore Leopardi Greto Ciriaco, è stato arricchito dai saluti del sindaco di Maida Salvatore Paone e dall’intervento dell’editore Nella Fragale che ha ricordato la lunga e fattiva collaborazione della sua casa editrice con l’autore fin dai tempi in cui padre Giovanni è stato correttore e parroco del convento dei minimi di Sambiase. Ha fatto seguito l’intervento dell’architetto Mimmo Mazza che ha presentato la sua accurata ricostruzione tridimensionale del convento dei Minimi di Maida, per come si presentava alla data del 1650. Ricostruzione virtuale resa possibile grazie al riscontro dei rilievi metrici dell’esistente con la relazione che padre Pietro Talamo trasmise ad Innocenzo X nel 1650 in risposta alla bolla Inter coetera. Il tutto per ridare vita e giusta attenzione ad uno dei primi conventi del santo, testimonianza viva dell’amore dei maidesi al loro protettore e patrono. Il filosofo e teologo Filippo D’Andrea, autore della postfazione, ha evidenziato i tratti salienti del lungo ed approfondito lavoro di padre Giovanni, per dare nuova luce storica agli eventi della vita ed al carisma del santo. Padre Cozzolino, nato a Corigliano Calabro nel 1958, attualmente correttore e rettore del Santuario diocesano di San Francesco di Paola in Pizzo Calabro, si è particolarmente distinto nell’impegno della pastorale giovanile promuovendo tantissime iniziative. Non va dimenticato il grande lavoro di restauro in favore dell’eremo di Corigliano Calabro, con la riconsegna di una parte di esso ai Minimi dopo quasi due secoli. “Vita semplice di fra’ Francesco di Paola in Calabria...” è l’ultimo dei tanti lavori dell’autore su san Francesco, dedicato al padre in occasione del centenario della nascita in terra (1921-2021) e del quarantesimo dalla nascita in cielo (1981-2021). In 232 pagine tra narrazione semplice e belle immagini del pittore ucraino Yuri Kuku, l’autore ripercorre la vita del santo attraverso dettagli, sfumature, elementi nuovi ed ipotesi ponderate, presentandola nella prospettiva dello studioso, del ricercatore, del Minimo. Il libro presenta Francesco nella quotidianità del nostro tempo e nel linguaggio dei nostri tempi, in 27 focus, così l’autore suddivide i capitoli e 10 flashback. Sulla scia delle innovazioni storiografiche apportate da padre Galuzzi scrivendo sull’Ordine dei Minimi, padre Cozzolino evita ogni facile riferimento apologetico ed agiografico e, pur attenendosi scrupolosamente alle fonti Minime ed alla scarsa documentazione pervenutaci, riesce a formulare, con Lamezia e non solo

di Roberta Buccafurni

coraggio, nuove e suggestive ipotesi. Questa metodologia che a tratti non concorda con quella degli “storici puri” ha il vantaggio di rendere viva e palpitante l’immagine di un Francesco eremita dinamico che non s’inquadra in schemi definiti, rimanendo vivo nella memoria e nell’affetto dei contemporanei più che nelle pagine e nei documenti ufficiali. Pur non di meno, sapendo e volendo ricercare, dalle pieghe degli archivi e dalla tradizione orale e scritta ancora oggi emergono pagine della vita di Francesco che arricchiscono e completano i tratti salienti della vita del “santo vivo” nel periodo della sua permanenza in Calabria che è proprio l’oggetto della pubblicazione. Furono infatti i tanti viaggi, i contatti con persone di paesi e villaggi, il carisma penitenziale, l’eccezionalità della sua vita e delle sue opere, la fama di operatore di miracoli ad entusiasmare, tra gli altri, anche i maidesi tanto da richiedere ed ottenere la costruzione di un eremo. E fu la fama di taumaturgo a provocare la richiesta del re di Francia, la conseguente dolorosa partenza senza ritorno di Francesco e l’abbandono della propria terra da parte del più santo dei calabresi e del più calabrese dei santi.

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blaterando

Francesco Curcio Personal Trainer di Anna Maria Esposito

Ippocrate ha detto: “Se si riuscisse a dare a ciascuno la giusta dose di nutrimento ed esercizio fisico, avremmo trovato la strada per la salute” Quale la figura professionale più idonea per promuovere uno stile di vita sano ed equilibrato che, abbinato allo sport, regala benefici sia al corpo che alla mente? Sicuramente il Personal Trainer. Io vi presento il mio: Francesco Curcio. Ciao Francesco, grazie per aver accettato il mio invito ed iniziamo subito con l’intervista. Chi è il Personal Trainer? Ciao Anna, grazie a te. Il Personal Trainer, convenzionalmente indicato dalla sigla PT, è la figura professionale preposta a gestire in maniera individualizzata l’allenamento di coloro che praticano attività fisica per migliorare il proprio stato di salute psicofisico. Un’altra importante area di intervento del personal trainer è relativa all’educazione a stili di vita salutari, la salute attraverso attività fisica ed alimentazione corretta, e al ruolo di motivatore nel raggiungimento degli obiettivi prestabiliti, aumentando così l’autostima. Inoltre il PT, nelle fasi di allenamento del proprio allievo, gestisce la tecnica dei movimenti e, a volte, funge da spotter, quindi d’aiuto nei sovraccarichi. Ma la cosa più importante, lo ribadisco, la spinta a non mollare mai neanche nei percorsi più difficili. Il personal trainer deve essere carismatico, trasmettere positività e buonumore, ma deve anche essere un buon psicologo e non deve evidenziare le problematiche fisiche del proprio allievo, ma lavorare con costanza per ottenere dei risultati. Infine il PT entra in simbiosi con il proprio allievo anche per quanta riguarda la routine giornaliera, aiutandolo a raggiungere uno stile di vita sano e corretto. Quante volte a settimana occorre allenarsi? Cominciamo col dire che non c’è una regola fissa. Per chi è alle prime armi si consiglia di iniziare con 2 giorni a settimana, affinché il corpo cominci ad abituarsi sia fisicamente che mentalmente, per poi passare a 3 volte, per iniziare ad avere dei benefici. Per gli atleti invece si passa da 5 a 6 volte a settimana o anche a doppi allenamenti perché si abbina il cardio. Importante allenarsi sempre ed essere costanti nel tempo. Meglio esercitarsi sempre e poco, e non strafare, allenandosi ogni pag. 8

giorno per due mesi e poi mollare. Quindi costanza e determinazione allontanano la frustrazione. Chiaramente il tutto viene valutato con l’allievo in base agli obiettivi prefissati. Dunque si va dai 2 al massimo 6 giorni di allenamento. Come si fa a dimagrire senza perdere massa muscolare? Si, si può dimagrire senza perdere massa muscolare. Chiaramente affidandosi ad un Personal Trainer che coordina l’allenamento e la programmazione, integrandoli ad un piano alimentare, che possa contrastare il catabolismo muscolare, evitando la formazione di cortisolo, l’ormone dello stress. È importante nutrire il muscolo nel pre e post allenamento, a colazione al risveglio e prima di andare a dormire. Per quanto riguarda la durata dell’allenamento non deve superare i 60 minuti, deve essere breve, ma intenso, lavorando con i pesi e con un cardio ad alta intensità, per bruciare solo il grasso e non intaccare i muscoli. Proibitivi i sovrallenamenti e gli allenamenti di 2 ore senza programmazione perché si andrebbe a vanificare il lavoro e l’allenamento svolti per il muscolo e anche l’enfasi sul dimagrimento. Come accelerare il metabolismo? Per accelerare il metabolismo è importante aumentare la massa muscolare. Massa muscolare che si ottiene, oltre che con un allenamento mirato, con una corretta e sana alimentazione e con una buona dose di pazienza e costanza. È molto importante curare il post allenamento. Per avere un aumento della massa muscolare, accelerare il metabolismo e bruciare i grassi non bisogna eccedere con il cardio. Quale l’alimentazione per chi decide di allenarsi regolarmente? Molti si chiedono quale sia l’alimentazione più corretta da seguire. Spesso si parla di “dieta” e non di “sana alimentazione”. Nell’immaginario comune «mettersi a dieta” vuol dire quasi sempre privazione e rinuncia ai cibi che più preferiamo mangiare, diventando così un sinonimo di restrizione alimentare, genera un senso di frustrazione. Ognuno di noi deve trovare un equilibrio alimentare, basandosi sul proprio stile di vita, se sedentaria o frenetica, sul lavoro che si svolge e, se necessario, occorre calcolare un deficit calorico che ci consente di dimagrire. Una volta raggiunto il nostro peso forma, potremo seguire un’alimentazione varia, mangiando un po’ di tutto. L’importante è mangiare sano. Se due o tre volte a settimana, si desidera mangiare qualcosa di diverso, anche per “accontentare la mente”, si può. È importante, ribadisco, mangiare sano, per restare in salute e non cadere in frustrazione. In quanto alle diete, sono tantissime e tutte aiutano a dimagrire, ma inevitabilmente si

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giunge ad una fase di stallo, in cui non si riesce più a perdere peso rischiando di ritornare a deprimersi. Forse dovremmo imparare ad essere più flessibili: si agli sgarri occasionali, ma continuare poi con una sana alimentazione e non con una “dieta restrittiva”. La connessione mente-muscolo è importante durante gli allenamenti? A livello fisiologico i nostri muscoli sono connessi al nostro cervello, la connessione mente - muscolo si riferisce infatti al collegamento tra il sistema nervoso e la fibra muscolare. Questa connessione è una capacità che sviluppiamo e che ci permette di concentrarci su un singolo muscolo mentre lo alleniamo, così da seguire correttamente il movimento e la seguente contrazione. Il nostro cervello è in grado di focalizzare l’allenamento su un musco-

corridoio dicono di te:

lo ben preciso. Spesso molti ragazzi che si approcciato ad un’attività fisica, senza avere un personal trainer, non applicando la connessione mente-muscolo, che coordina il movimento sia eccentrico che concentrico, non svolgono gli esercizi correttamente, non raggiungendo così gli obiettivi prefissati. Grazie Francesco per questa chiacchierata, ma sappi che voci di

“La sicurezza avvincente. Dei tuoi movimenti armonici, Denota prestanza fisica E voglia di vivere. Sprigiona energia Allo stato puro Che travolge e stimola, Creando... Un “moto perpetuo” Nell’anima e nel corpo”. Grazie di cuore Anna e alla redazione di Lamezia e non solo!..

Satirellando Adoro Sanremo e lo seguo in TV dal 1969, ininterrottamente… Non sopporto gli atteggiati, quelli che fanno finta di non vederlo, ma poi la curiosità li divora e vanno a sbirciare sui social o su Raiplay… di Maria Palazzo Se non vi piace, non dovete neppure parlarne. Ok? Io, per esempio, detesto la fiction L’AMICA GENIALE che, per me, è una specie di copia e incolla della lunga fiction Le stagioni del cuore, solo con una trama diversa, e non ne parlo mai! Chi parla di qualcosa che detesta opera, a parer mio, quella che viene comunemente definita negazione freudian. In sostanza… negando, per affermare! E, dato che tutti i salmi finiscono in gloria, non mi resta che… satirellare! AH,AH, AH!

SANREMO Chi la vuole cotta, chi la vuole cruda: hanno il cuore di ricotta e la bile lor trasuda… a chi non vuole dare spazio al regno che fu, di Fabio Fazio! Ora c’è il grande Amedeo, Amadeus per gli amici: Lamezia e non solo

egli non è un gran babbeo e pensa: “Veni, vidi, vici!”! In effetti, il suo trionfo, sta nel voler rinnovare, non ha avuto nessun tonfo: tutto vuole ognor svecchiare! Vedo, la manifestazione dal 1969:

per me, è proprio un’emozione, non mi perdo neppur le prove! Alla faccia di chi blatera, con starnazzi da gallina o con quelli della papera, per sembrare re o regina! Di Sanremo, il bel talento, è di cantare, a cento a cento!

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La nosta storia

Madonna degli Abbandonati in Soveria Mannelli

di Matteo Scalise

Questo culto verso la Madre di Dio è, storicamente parlando, il più recente per invenzione. Infatti tutto iniziò nel 1880 quando presso la località San Tommaso, nel comune di Soveria Mannelli, un contadino del posto, tal Raffaele Chiodo, per sua personale devozione finanziò la costruzione di una icona votiva all’Arcangelo Michele, patrono del suo paesello in una zona boscosa detta “località Mannise”. Quando morì, suo figlio Angelo, accortosi che l’icona paterna era in grave stato di abbandono decise di costruire altra icona, ma stavolta vicino al tratto stradale che collega Soveria con Colosimi, Bianchi e la Sila in generale (SP 241), inizialmente a San Michele ma poi dedicata al culto della Santa Vergine poiché nel frattempo il Chiodo rinvenne nella macchia boschiva vicina un dipinto su lastra di zinco rappresentante la Vergine col bambino Gesù e un frate genuflesso nel pregarli. Inizialmente lo nascose in un pagliaio di sua proprietà, poi, non avendo ritrovato il proprietario decise di porla a pubblica venerazione nella sua edicola votiva. Sicché la popolazione cominciò ad indicare questo nuovo ritrovo di devozione mariana col toponimo “Madonna abbandonata” e quindi “Madonna degli Abbandonati”. Nel 1896 un tale Ippolito Caligiuri (alias “Vamparella”) affermò pubblicamente di esser stato miracolato dalla Vergine degli Abbandonati in quanto la pregò per sapere se suo figlio, andato a combattere in Africa (in occasione della guerra d’Eritrea in cui l’esercito italiano fu clamorosamente sconfitto ad Adua dalle truppe abissine al comando del negus Menelik II) fosse ancora vivo o meno e in breve tempo ricevette notizie positive. Così, sicuramente

con l’aiuto in giornate lavorative ed economico di gran parte della popolazione di Soveria Mannelli e previa autorizzazione del vescovo di Nicastro del tempo, monsignor Domenico Maria Valensise (1891 – 1902) avvisato in ciò dall’allora parroco di San Michele rev. Don Angelo Caligiuri (1877-1903) si costruì l’attuale chiesetta, la cui fabbrica finì soltanto nel 1937, quando vescovo di Nicastro era monsignor Eugenio Giambro (1916-1955) che la consacrò e parroco di San Michele rev. Don Basilio Pettinati (1904 -1941). La festa liturgica fu fissata all’ultimo sabato e domenica di luglio. Tutto inizia con la Novena che inizia il 20 luglio. Poi il venerdì, l’immagine della Vergine, conservata durante l’anno nella chiesa di San Michele è portata in processione alla chiesa degli Abbandonati fino alla domenica quando ritornerà a San Michele. Oltre al rosario e alle messe, fra sabato e domenica vi sono lo svolgimento di giochi popolari e mentre attorno al luogo sacro vi è grande afflusso di devoti da Soveria Mannelli e dal circondario, si svolge soprattutto una piccola Fiera dove un tempo si vendevano animali da cortile, prodotti della terra e artigianato vario, oggi basata soprattutto nella presenza di stand gastronomici dove si possono gustare ottima panini tradizionali, spezzatino di carne e baccalà fritto (i cuatti). Attuale rettore della chiesa Madonna degli abbandonati in Soveria Mannelli è il canonico don Roberto Tomaino, che è anche parroco di San Giovanni Battista, San Michele e rettore del recente Santuario dedicato nel 2017 alla Madonna di Fatima.

Il silenzio l’angolo di ines

di Ines Pugliese

Scusate voglio rompere il silenzio nell'aria spenta della sera. Voglio sentire il suono delle campane spandersi nella valle Il pianto d' un bimbo, la nenia d' una mamma. Il canto degli uccelli il rumore del mare. Il soffio delle bianche nuvole nel cielo azzurro.

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Ascoltare il fischio del vento fra i rami avvizziti degli alberi. Il grido festoso d' una scolaresca in libertà. VOGLIO RUMORE. Il silenzio ormai è insopportabile vorrei gridare, ma non posso L'angoscia mi strizza il cuore. OMICRON, DELTA, COVID 19 vagano muti nell'aria spezzando il respiro degli uomini..

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Datemi per piacere i miei gabbiani mentre distendono le ali per ricoprire col loro volo un mare in tempesta. Ridatemi il cielo, la terra in fiore. Voglio uscire da questo incubo che blocca i miei pensieri serra le mie labbra mentre il mondo si dilegua davanti ai miei occhi

Lamezia e non solo


il salotto di piera

di Piera Messinese

La virgola!

Una virgola...”Vedete le parole sono come le note. Non basta metterle insieme. Senza regole, niente armonia, niente musica. Soltanto rumori. La musica ha bisogno di solfeggio, così come la parola ha bisogno di grammatica.”Questo breve brano è tratto dal libro di Erik Orsenna dal titolo “La grammatica è una canzone dolce”. Fui incuriosita dal titolo e lo lessi circa tre anni fa. Si racconta la storia di un naufragio di due fratelli su un’isola tropicale. Si tratta di un luogo particolare perché su una spiaggia sperduta esistono dei negozi che vendono parole, un municipio dove vengono celebrati i matrimoni tra gli aggettivi e i sostantivi, una struttura ospedaliera per curare le parole malate, una piccola fabbrica per costruire le frasi, con dei distributori automatici di orologi a pendolo e diversi articoli per i modi verbali. I due naufraghi imparano a parlare in un modo nuovo. Su questa isola scopriranno la vera esistenza delle parole e della gente del posto che fa di tutto per mantenerle in vita. Grazie a questo libro mi sono accostata ad uno studio più approfondito della punteggiatura che gioca un ruolo importantissimo per formulare e interpretare correttamente una frase o un periodo. Mi piace ricordare un famosissimo spezzone tratto dal film “Totò, Peppino e la malafemmina” che ci ha regalato un divertentissimo siparietto, una delle scene più indimenticabili del cinema italiano... “Punto e virgola... punto... due punti. Ma sì... fai vedere che abbondiamo. Abbondandis ad abbondandum...”Totò dettava a Peppino una lettera destinata alla “malafemmena”, la fidanzata del loro nipote, con lo scopo di farle prendere le distanze da un rapporto considerato insano. Il principe della risata, in accordo con Peppino, aveva volutamente esagerato con i segni di interpunzione perché non voleva che loro due venissero considerati provinciali e quindi “tirati”. Non si può dire che la lezione di grammatica di Totò sia stata illuminante, abbia chiarito ogni dubbio in merito all’uso della punteggiatura, tutt’altro.”La grammatica ha lo stesso sapore della nostra infanzia quando la incontriamo per la prima volta. Come allora, con le sue regole e le sue eccezioni, ci appare una materia difficile che suscita spesso una naturale diffidenza.”La grammatica ci fa immergere in un mondo interessante perché stimola la nostra curiosità. È un mondo in cui ci troviamo a tu per tu con una lingua che, pur conservando la propria storia, la propria identità, si avvia verso un inevitabile processo di evoluzione. È mondo in cui ci sono regole inequivocabili che devono essere rispettate e che camminano, però, a braccetto con le eccezioni. L’armonia di un testo si esprime grazie alla punteggiatura che sta alla base della buona scrittura per cui risulta del tutto naturale che un suo uso scorretto indichi quasi sempre poca dimestichezza sia con la scrittura che con la lettura. La funzione della punteggiatura è anche quella di portare nella forma scritta il ritmo e l’espressività del parlato. I principali segni di interpunzione sono il punto, la virgola, il punto e virgola, i puntini di sospensione, i due punti, le virgolette, gli apici, il Lamezia e non solo

punto esclamativo, il punto interrogativo, la barra, le lineette, le parentesi. In questo articolo voglio soffermarmi sull’uso della virgola. A tal proposito c’è da dire che viene adoperata, spesso e volentieri, in modo improprio. Si tratta di un segno di interpunzione debole e indica una pausa breve. Quando si deve adoperare la virgola? Generalmente, si impiega nei seguenti casi: nelle enumerazioni, negli incisi, prima e dopo un complemento di vocazione, prima e dopo un’apposizione, per separare le proposizioni coordinate introdotte delle congiunzioni “anzi, ma, però, tuttavia”, per separare la proposizione principale dalle subordinata. La virgola non si deve usare tra soggetto, tra predicato e complemento oggetto. Quando vi sono fenomeni di evidenziazione che comportano una modifica all’ordine delle parole, questa norma viene meno e l’inserimento di una virgola serve a segnalare la particolare intonazione e la pausa che separa l’elemento evidenziato dal resto della frase. La virgola non va mai usata tra predicato principale e proposizione soggettiva, oggettiva, interrogativa. Una virgola può anche cambiare il senso di una frase o addirittura può salvare una vita...”C’era una volta una virgola seccata dalla poca considerazione in cui tutti la tenevano. Perfino i bambini delle elementari si facevano beffe di lei. Che cos’è una virgola, dopo tutto? Nei giornali nessuno la usa più. La buttano, a casaccio. Un giorno la virgola si ribellò. Il Presidente scrisse un breve appunto dopo un lungo colloquio con il Presidente avversario: “Pace, impossibile lanciare i missili” e lo passò frettolosamente al Generale. In quel momento la piccola, trascurata virgola mise in atto il suo piano e si spostò. Si spostò solo di una parola, appena un saltino. Quello che lesse il Generale fu: “Pace impossibile, lanciare i missili”. E scoppiò la Guerra Mondiale.(Bruno Ferrero, Il segreto dei pesci rossi).Ecco un altro divertente esempio. La forma corretta sarebbe ... “Vado a mangiare, nonna” e non “Vado a mangiare nonna”. Poiché l’assenza della virgola potrebbe essere causa di una terribile tragedia e noi vogliamo salvare la povera nonna, facciamo il tifo per lei, è opportuno inserire la virgola al posto giusto. Concludendo, non ci resta che stare attenti alle virgole, non facciamole soffrire...!

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Sport

L’Avvento di Vincenzo De Sensi «Quando una festa si avvicina, gli uomini si preparano per celebrarla, ognuno a modo suo. Ce ne sono molti e anche Benedikt aveva il proprio, che consisteva in questo: se il tempo lo permetteva, la prima domenica d’Avvento, si metteva in viaggio». Cosi comincia il bellissimo romanzo breve dello scrittore islandese Gunnar Gunnarsson: «Il pastore d’Islanda», edito da Iperborea, che andrebbe riletto ogni anno in questo periodo. «Avvento» ha la stessa radice di avventura. Adventus infatti (da advenio, da cui il nostro avvenire) era l’incontro / scontro con qualcosa di straordinario che un uomo medievale, a seguito delle sue avventure nella selva (della vita), finalmente raggiungeva per diventare cavaliere: un evento tale da far morire il vecchio io e farne nascere uno nuovo, cosi come accade nei momenti chiave della nostra esistenza. E nel caso di Benedikt, un povero contadino islandese, con un cane di nome Leó e con il suo montone Roccia, di che cosa si tratta? In un periodo dell’anno freddissimo, a cavallo tra novembre e dicembre Benedikt si avventura tra le montagne per trovare le pecore smarrite durante i raduni autunnali delle greggi, prima che il gelo le inghiotta: «Dovevano morire di freddo e di fame solo perché nessuno aveva la voglia o il coraggio di cercarle e riportarle a casa? Erano pur sempre esseri viventi. E Benedikt aveva una specie di responsabilità nei loro riguardi ». Perché? Responsabile viene da rispondere. Chi risponde? Solo chi riceve un appello. Quella di Benedikt non è infatti una gita o un diversivo, ma un avvento. Lui, contadino, affronta l’avventura in cui mette a repentaglio la sua stessa vita per un motivo semplice e decisivo per la trama di ogni esistenza, rispondere alla domanda: per cosa vale la pena vivere? Per quale «avvento» sono in gioco? Che cosa aspetto? Il desiderio, fuoco della vita, è ancora acceso? Infatti ogni «avvento» mira a un «natale». Nella cultura cristiana è Dio che si fa trovare, tra le montagne, come un bambino qualunque e bisognoso di tutto, cosi che i primi a diventare protagonisti dell’avventura / avvento sono i meno protagonisti della storia umana: poveri pastori che vegliano nella notte sul loro gregge. Ma questo vale per ciascuno di noi. Ognuno, come Benedikt, sente che c’è qualcosa di buono da fare della e nella propria vita, e che questo qualcosa, di cui l’avvento è la ricerca, ha bisogno di un «Natale», cioè

Testata Giornalistica Di tutto un po’ - lamezia e non solo anno 30°- n. 81 - febbraio 2022 Iscrizione al Tribunale di Lamezia Terme dal 1993 n. 609/09 Rug. - 4/09 Reg. Stampa Direttore Responsabile: Antonio Perri Edito da: GRAFICHÈditore Perri Lamezia Terme - Via del Progresso, 200 Tel. 0968.21844 - e.mail. perri16@gmail.com Stampa: Michele Domenicano Allestimento: Peppino Serratore Redazione: Giuseppe Perri - Nella Fragale - Antonio Perri Progetto grafico&impaginazione: Grafiché Perri-0968.21844

Le iscrizioni, per i privati sono gratuite; così come sono gratuite le pubblicazioni di novelle, lettere, poesie, foto e quanto altro ci verrà inviato. Lamezia e non solo presso: Grafiché Perri - Via del Progresso, 200 -

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di una nascita: nostra e altrui. E la strada è la risposta a cose e persone che hanno bisogno di noi, che ci chiamano, anche se sono mute, come, per Benedikt, le pecore disperse nel gelo: «Il suo scopo era semplice: trovarle e ricondurle a casa sane e salve prima che la grande festa portasse la sua benedizione sulla terra». Il racconto, da leggere in poche ore al calore buono di casa, mentre magari fuori cresce una notte buia e fredda, si snoda in una ricerca che, passo dopo passo, diventa un’epica del bene. E quando sembra che tutto si metta male, accade sempre qualcosa che rilancia la scommessa fatta dal protagonista, proprio perché si imbatte in qualcun altro, come lui, che si sta prendendo cura un altro pezzettino di mondo, ferito e disperso. La somma di tutte queste quotidiane e piccole cure operate dai giusti salva «il mondo», che è semplicemente ciò che abbiamo attorno e che troppo spesso ignoriamo, ma che Benedikt trova anche in una candela che lo ha guidato nel buio: «Prima di passare in casa, strinse lo stoppino tra due dita. È un atto di compassione verso la luce, non lasciare che si consumi invano ». È questo il segreto dell’avvento, cioè di ogni avventura che prepara una (ri)nascita: il coraggio e la compassione per un pezzettino di mondo ferito o semplicemente dimenticato. Ed è sorprendente scoprire quanto salvare quel pezzetto di mondo salvi un pezzetto della nostra anima, Benedikt lotta con una natura aspra che tenta in tutti i modi di congelare il suo desiderio di bene, ripetendogli: ma a che vuoi che serva? E credo che lui non risponderebbe «alle pecore smarrite», ma: «a non smarrirmi io» nel gelo del cuore. Per vivere infatti non basta restare in vita, ma occorre essere vivi: nascere e rinascere sempre. Il racconto del contadino islandese regala al lettore il senso di questa compassione quotidiana che, in mezzo a tanto gelo, accarezza e riscalda la pelle del mondo. «A Natale sono tutti più buoni», un luogo comune che nasconde solo una cosa vera, a Natale ci ricordiamo di poter essere un po’ più «presenti» (che in italiano vuol dire anche regali): chi ha bisogno delle nostre cure e attenzioni (più che mai in un Natale inevitabilmente segnato da tante ferite e solitudini dovute al periodo attuale): Se leggerete la storia di Benedikt vi verranno in mente le risposte; dove l’autore arriva inizia l’avventura del lettore, il suo coraggioso avvento, il suo possibile natale.

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