Lameziaenonsolo febbraio 2022 don fabio stanizzo

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Comune di San Pietro a Maida Lameziaenonsolo incontra

Don Fabio Stanizzo

direttore Caritas diocesana di Lamezia Terme.

A Lamezia Terme presso il complesso interparrocchiale San Benedetto ha avuto seguito l’inaugurazione dei nuovi locali della Mensa Caritas, cui sono intervenuti assieme al Direttore della Caritas diocesana Don Fabio Stanizzo, il Vescovo di Lamezia Terme Monsignor Giuseppe Schillaci e il Direttore di Caritas Italiana Don Marco Pagniello. Un messaggio d’amore concreto e di speranza per tutti, un dono speciale per le persone sole, per i più indifesi, per chi soffre, ma anche un grande passo in avanti questa nuova realtà lametina che è prova di quanto la Chiesa sia molto presente sul territorio, non solo con il culto, ma anche con gesti concreti nel cui fine rispecchiano l’umanità dell’intera comunità. La concretizzazione di questo progetto voluto fortemente da Monsignor Giuseppe Schillaci e da Don Fabio Stanizzo è stata possibile anche con i contributi dell’8x1000. I pasti caldi sono assicurati da un budget annuale, dalle generose offerte di viveri di prima necessità da parte delle catene commerciali sempre attente alle famiglie più bisognose e da molte donazioni private. Il complesso interparrocchiale è strutturato con la capacità di andare incontro all’altro nella generalità dei bisogni umani ed è rappresentato a tal fine da più locali e da più ambienti e spazi, da quelli alimentari, a quelli igienico-saLamezia e non solo

nitari, da quelli sociali a quelli ludicoricreativi, necessari alla cura della persona nella sua totalità. Oltre alla mensa rientrano e rientreranno nel complesso, un centro di ascolto, un ufficio per le questioni legali, un’area docce, un vestiario, un’area dedicata a spettacoli teatrali. Dunque gli ospiti della mensa avranno l’opportunità di raccontarsi, di proporsi nuove aspettative per il futuro con il prezioso supporto e l’operatività di volontari Caritas e figure professionali. Ecco allora che a pochi mesi dall’apertura della Mensa Caritas Lameziaenonsolo incontra il Direttore della Caritas diocesana Don Fabio Stanizzo per conoscere meglio la struttura e la sua organizzazione e per approfondire l’intraprendenza di un giovane uomo impegnato nella fede, ma da sempre attento al valore della dignità della persona e alla virtù della carità verso i poveri, i malati e gli esclusi. Ne abbiamo parlato con Don Fabio Stanizzo giovanissimo parroco della Chiesa San Nicola di Bari in San Pietro a Maida, Presidente della fondazione Ca-

di Loretta Azzarito

ritas. Già direttore dell’ufficio pastorale sociale del lavoro e Pastorale Giovanile diocesano dei Laboratori della Dottrina Sociale della Chiesa nonché autore del libro “La Dottrina Sociale della Chiesa. Uno strumento per camminare insieme”: Don Fabio, lei che è apprezzato per le sue qualità del servizio reso alla sua comunità cristiana, ma aggiungerei anche civile, nonché per la squisitezza del suo infaticabile impegno per i più deboli riconosciuta da tutti, indubbie le sue capacità di uomo prima di tutto per far fronte a delle grandi responsabilità sia pure così giovane, ma a cosa si è dovuto affidare per intraprendere e realizzare questo virtuoso progetto pastorale di accoglienza dei bisognosi? Mi sono affidato al Signore perché è un’esperienza prima di tutto di fede. Il servizio che mi è stato chiesto di portare avanti da parte del nostro vescovo Monsignor Giuseppe Schillaci, il quale lo ringrazio per la fiducia che ha riposto nei miei confronti è un atto di fede

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perché soprattutto oggi nella condizione culturale e sociale che ci troviamo, noi dovremmo assumere sempre di più due atteggiamenti fondamentali, quello dell’ascolto e poi quello del servizio. L’ aspetto della fede per noi cristiani e per me sacerdote è quello fondamentale perché è la preghiera quotidiana, la lettura spirituale, è la meditazione per curarsi e poi curare anche gli altri. Successivamente è importante creare una squadra valida di collaboratori, quindi, essere capaci di fare rete sia con la comunità religiosa ad intra, ma anche ad extra con la comunità civile, passando dall’io al noi. Penso che il cristiano quindi anche noi sacerdoti e i vescovi viviamo in un contesto culturale e sociale che non possiamo abitare in parte, ma siamo chiamati ad abitarlo a 360° ed è molto bella l’immagine che Papa Francesco ci dona nell’Evangelii gaudium dove sottolinea la preferenza di una Chiesa in uscita ed incidentata piuttosto che una Chiesa chiusa e ammuffita, quindi l’esperienza di una Chiesa che esce che si confronta che dialoga e fa i conti con tutti i limiti della società, dell’uomo e della persona, dando per questa via il proprio contributo per la crescita spirituale umana sociale culturale. Questo è l’esempio che provo a mettere in atto nella comunità dove sono chiamato a vivere e a dare il mio contributo da uomo e da sacerdote. “Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere”. Leggiamo questo versetto del Vangelo di Matteo sulla targa che accoglie gli ospiti della nuova mensa e su una parete della sala è fissata un’opera del Prof. Maurizio Carnevali, qual è il significato e l’importanza della loro presenza? In questo anno di pandemia che

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dobbiamo purtroppo tenere come punto di riferimento e come spartiacque, ci sono stati rivolti all’interno della Chiesa lametina tante domande, allora ci siamo messi in un primo momento a leggere il territorio e a chiederci quali sono i bisogni che emergono all’interno. Ecco per la targhetta che abbiamo posto davanti alla mensa noi ci siamo ispirati al testo del vangelo di Matteo, alle opere di misericordia corporale dove in questo testo Gesù nel Vangelo ci giudica concretamente in quello che facciamo e su quanto amiamo il prossimo. “Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, perché ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, ero carcerato e malato e mi siete venuti a visitare”, nelle opere che abbiamo realizzato in comunione con il nostro Vescovo, con la nostra Chiesa diocesana anche all’interno di un’altra struttura dotata di servizio docce, servizio vestiario e servizio lavanderia, abbiamo dato questa attenzione, declinando il testo del vangelo di Matteo all’interno della nostra realtà. Si. Il quadro è un opera del Professore Maurizio Carnevali ed ha ricevuto una bellissima lettura da parte di Don Giancarlo Leone, “Al di là del tempo e della storia”. L’ opera è stata realizzata utilizzando della creta che rimanda alla terra,alla creazione dell’uomo, simbolo della profonda unione tra terra e un uomo e fa pensare che alla Creazione deve seguire la Ri-creazione e la redenzione che si attua cogliendo l’amore e donando amore. Passato e presente si fondono nel Cristo che spezzava e spezza il pane che diventa dono. In mezzo alla folla vengono raffigurati un monaco che distribuisce il pane ed un altro che spezza il pane della Parola, a ricordare che non di solo

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pane vive l’uomo. Scorgiamo anche le figure di tre vescovi che rappresentano tutti i vescovi della nostra diocesi che si sono spesi per assistere i più poveri. Le madri che si prendono cura dei loro figli e l’anziano che si prende cura di un cane rappresentano i Custodi del mondo facendo emergere la pietà e il prendersi cura dell’altro. Davvero una bellissima opera quella del professore Maurizio Carnevali che rappresenta al meglio l’essenza dei nostri propositi. Questo progetto di accoglienza è stato realizzato in un periodo non facile, lei stesso in occasione dell’inaugurazione della mensa ha sottolineato che le povertà sul territorio sono aumentate al punto che se finora l’utente Caritas lametino che si recava alla mensa rappresentava 15% delle richieste, oggi ne rappresenta il 50%. A distanza di pochi mesi dall’apertura quanto è necessaria la solidarietà e che volto sta assumendo? La pandemia è un punto fondamentale di una nostra analisi socio-culturale. Prendendo i dati quotidianamente delle persone che usufruiscono di tutti i servizi della Caritas Diocesana di Lamezia Terme, abbiamo rilevato che dal 15% - 20% delle persone siamo passati subito dopo la pandemia al 50%. Questa è una sfaccettatura di diverse povertà non solo materiali, ma anche povertà immateriali. Spesso si incontrano all’interno della mensa, non solo le persone che non hanno la possibilità materiale di acquistarsi il pasto, ma anche persone che hanno bisogno di relazionarsi, di incontrarsi, di dialogare con altri. E questo è un dato che dobbiamo tenere sott’occhio e monitorare perché la pandemia oltre alla povertà materiale ha fatto emergere tante altre povertà come la solitudine e la depressione.

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In questo tempo abbiamo anche sperimentato il volto bello della carità di tante persone che si sono fatte prossime all’altro incarnando per tale via il principio di solidarietà e sussidiarietà, perché le persone che fondamentalmente sono più fortunate delle altre hanno condiviso con chi ha più bisogno qualcosa, offrendo il loro servizio o donando beni di prima necessità, medicine vestiti. Questo dato è emerso ed è il volto di una Diocesi, di una Chiesa, di un popolo e di cittadini che sono attenti al bisogno concreto dell’altro. Ecco vorrei dire grazie a tutte queste persone, ricordando che l’esperienza e il servizio della Chiesa e della Caritas sono aperti a tutti e colgo l’occasione di invitare ad essere parte coloro che desiderano offrire anche un’ora a settimana del loro tempo per

l’altro, certamente in questo periodo, prendendo tutte le precauzioni possibili a causa della pandemia e del covid. Nel suo excursus come direttore dell’ufficio Pastorale del lavoro ha dato attenzione all’ascolto delle fatiche, delle preoccupazioni e delle speranze dell’uomo nel suo vivere strutturato e sociale, attuando politiche specifiche di intervento. Un agire che non la coglie, oggi, impreparato a far fronte alle necessità degli ospiti del complesso interparrocchiale. Quali sono le loro aspettative, i loro sogni dopo un pasto caldo e la vicinanza nell’ascolto? I sogni e le aspettative dei nostri ospiti sono di avere un documento quindi un’identità, di avere un lavoro regolare, ricongiungere il proprio nucleo familiare, avere delle cure sanitarie e realizzarsi nella loro vita, perché la dignità delle persone deve essere sempre messa al primo posto. Noi Lamezia e non solo

cerchiamo attraverso i nostri servizi di rispondere loro bisogni. Sì. Vengo dall’esperienza della pastorale sociale del lavoro, un ufficio che ho servito per quasi sette anni e facendo il passaggio da un ufficio all’altro penso che sul primo c’è stata la teoria sul secondo c’è la pratica. E posso dire che il Magistero sociale della Chiesa si vive concretamente proprio nella carità e nell’attenzione al prossimo. Il complesso interparrocchiale San Benedetto così come pensato nella sua progettualità abbraccerà presto l’accoglienza assurgendo ad organico sistema operativo in tutti i bisogni dell’uomo da quello sociale a quello ludico-ricreativo. Significando anche opportunità di lavoro per molte figu-

re professionali. Quale supporto sarà necessario dare alla Chiesa che sta dimostrando di essere presente sul territorio oltre le attività di culto? Penso che il supporto che si può dare alla Chiesa è quello della vicinanza, della presenza, dell’incoraggiamento e anche del manifestare l’amicizia, l’affetto e lasciarsi coinvolgere fattivamente da questi processi che abbiamo innescato all’interno di una realtà che la Diocesi di Lamezia Terme. Sì. All’interno del complesso interparrocchiale San Benedetto, sono nati e stanno nascendo alcuni servizi che stiamo moltiplicando sul territorio della nostra diocesi, c’è la mensa, abbiamo il deposito e la distribuzione come banco dei viveri, ci sarà un centro docce e un centro vestiario, l’ambulatorio solidale e quanto prima ci auguriamo che possano iniziare i lavori di una grande sala convegni che prevede di ospitare fino a seicento persone e all’interno della

stessa coinvolgeremo i giovani che si occuperanno di attivare e rispondere a quel bisogno ludico attraverso il teatro, la musica e l’arte, creando al tempo stesso un laboratorio di idee al fine di condividere la creatività e la fantasia e che consentirà di mettere in circolo il talento di molti giovani. Papa Francesco dice che la povertà non è frutto del destino ma dell’egoismo, personale e sociale, di chi ha tutto e vorrebbe avere ancora di più, qual’ è il suo pensiero? Purtroppo questo è un altro volto della pandemia dove la persona più povera è diventata più povera mentre quella più ricca e astuta utilizza il proprio ingegno voltato al male, il proprio egoismo arricchendosi in modo illecito. Ci sono state infatti tante denunce

da parte di tanti magistrati, anche il nostro procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri più volte ha lanciato questo messaggio, perché la pandemia ha creato delle nuove povertà. Quindi il Papa dice bene nel condannare le persone che a discapito degli altri si arricchiscono in modo irregolare e illegittimo favorendo il malaffare. Con il Vescovo di Lamezia Terme Monsignor Giuseppe Schillaci, Lei è in piena sinergia di intenti. È stato dato segno di come l’ascolto e le parole si possano tradurre in fatti concreti. C’è stata da parte vostra una visita a sorpresa al campo Rom Scordovillo organizzata dall’Associazione Papa Giovanni XXIII con il supporto della Caritas diocesana e della parrocchia di San Giovanni Calabria. Quanto è importante essere squadra pastorale per poter svolgere al meglio questa vostra missione a tempo pieno? Penso che essere squadra oggi è

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scolastica dell’ Istituto Comprensivo Statale “Saverio Gatti”, il sindaco e gli assessori di Lamezia Terme a fare una visita non istituzionale, ma familiare che ci ha dato modo di parlare molto con i bambini che hanno ricevuto doni anche da parte del vescovo. Abbiamo vissuto un bel momento. Noi cerchiamo sempre di manifestare a tutte le classi sociali soprattutto alle più sfavorite la nostra vicinanza e attenzione.

fondamentale. Non bisogna essere delle isole, perché sarebbe un fallimento sia per se stessi, sia per gli altri. L’ esperienza di squadra è quella bella esperienza dove si accetta l’altro per quello che è, sia con i limiti, sia con le sue competenze e qualità. All’interno di una squadra ognuno deve giocare il proprio ruolo e stare insieme mettendo in circolo i carismi idonei che ognuno di noi ha. Penso che questo metodo debba applicarsi oltre che alla chiesa, alla nostra diocesi, alle nostre parrocchie, alle associazioni e alle amministrazioni, perché è un metodo vincente, un metodo che toglie anche le paure di una invasione di campo e fa emergere il dono delle diverse personalità che arricchiscono la propria identità. Si. Con la comunità Rom abbiamo intrapreso diverse attività, dall’alfabetizzazione all’ascolto e al coinvolgimento all’interno del nostro centro sportivo con delle squadre di calcio e nel periodo natalizio, a conclusione di un progetto, grazie al lavoro dei nostri operatori e in questo caso della nostra operatrice la dottoressa Cugnetto Alessandra, autrice di molti laboratori, siamo andati con il vescovo assieme alla dirigente

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Questa intervista aprirà le pagine di Lameziaenonsolo nel numero di Febbraio, il mese dell’amore. Parlando di carità e di solidarietà si parla certamente di amore in senso lato, ma vorrei chiederle, considerando l’amore in senso stretto, potrebbe nascere un amore di coppia tra gli ospiti della mensa Caritas? Perché no! L’ uomo è un essere in relazione. All’interno della mensa, sia tra i volontari, sia tra gli operatori, sia tra gli ospiti può nascere e sarebbe molto bello. Sarebbe la dimostrazione di come in momenti di difficoltà e di fragilità ci sia l’altro che possa compensare quella parte che manca. Auguro che nascano storie fondate sull’amore vero, quell’amore che è condivisione, dono, sacrificio, accoglienza, tutto ciò che si può declinare amore con la “A” maiuscola. Don Fabio, a chiusura di questa bella chiacchierata che mi auguro possa riprendere in altre occasioni, magari conoscendo meglio gli ospiti della mensa e seguendo la crescita strutturale del complesso interparrocchiale San Benedetto per come detto, mi piacerebbe conoscere le sue speranze. Abbiamo parlato dei sogni e delle aspettative degli utenti Caritas, ma qual è il sogno del Direttore? Il mio sogno da un lato è quello che

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si possano chiudere questi servizi. Pensare che nel 2022 a Lamezia Terme c’è un dormitorio, un luogo che ospita quotidianamente dalle dieci alle quindici persone senzatetto, senza fissa dimora, pensare che ci sia un centro docce, dove più volte a settimana vengono degli utenti a fare la doccia, cambiarsi, lavarsi le cose, ecco penso che sia il fallimento del nostro tempo moderno e secolarizzato. La Chiesa con tutti i suoi limiti cerca di rispondere a questi bisogni, ma bisogna fare ancora molto. Tutti dobbiamo fare ancora molto. Deve funzionare la politica ed è necessario far funzionare meglio la scuola e la famiglia. Il mio augurio è che possiamo vivere questo tempo come il papa ha detto, ossia che dalla pandemia se ne possa uscire migliori, perché ci troviamo tutti nella stessa barca, però bisogna anche remare nella stessa direzione rispettando la dignità della persona. Mi auguro che si realizzi l’opportunità per tutte le persone di avere un lavoro dignitoso che permetta di sostenere la propria vita, la propria famiglia, la propria casa e quindi a non aver bisogno di una mensa Caritas, di un dormitorio o di un centro docce. Dall’altro lato un mio sogno sarebbe quello di vedere sempre di più nel cuore delle persone dei battezzati, ma di tutti gli uomini e le donne della nostra chiesa, attenzione maggiore nei confronti degli altri, far morire l’individualismo che spesso prende il sopravvento facendo invece emergere la capacità di amare. Infine l’ultimo sogno è quello di poter crescere nella Comunione e nell’esperienza di accogliere l’altro, anche nelle sue diversità, come qualcuno che possa aiutarmi a crescere e a fare esperienze quindi squadra di comunità.

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I Meridiani: Voci calabresi in serie e parallelo

Il Calabrese tra modus essendi ed antimodelli

di Francesco Polopoli

A monte e a valle della presente discussione è una geografia d’animo complessissima. Comincio a dire, da subito, come molto spesso s’insinua a tutto tondo un giudizio preventivato che, ictu oculi, non dà una fotografia veritiera della terra più meridiana del nostro Sud. Limitatamente a questo persino tanti buoni padri della letteratura hanno lasciato correre, passandoci sopra, quand’era il caso di raschiare con la penna talune considerazioni: probabilmente, se fossero stati scismatici, una certa opinio communis sarebbe stata sforbiciata. Una delle principali descrizioni su come sono visti i nostri conterranei, entrando in medias res, è proprio la ‘testa dura’, ahinoi! A detta di molti, calabrese è sinonimo di testardo, caparbio, molto ostinato; finanche Andrea Camilleri, sì, esattamente lui, il creatore del sicilianissimo commissario Montalbano, fa definire la fidanzata al veemente poliziotto come ‘testa di calabrese’, ovvero una cocciuta che, quando si mette in testa una cosa, vuole che sia quella, punto e basta e senza contraddittorio alcuno: ma siamo così, mi chiedo!? Per non parlare di Corrado Alvaro che, da autoctono, è stato tra coloro a rilevare quali fossero le contraddizioni insite in questa parte della popolazione italiana. Gli stereotipi? La capacità di essere al tempo stesso tremendamente passionali ed estremamente filosofici e riflessivi. A detta dell’autore, per premesse dallo scrivente incomprese, l’incola Brutii è primitivo

Lingua Italiana “... non s’intendono Tra loro i Calabresi: Li detti sono intesi Come ciascun vorrà Quindi una Babilonia Risulta ne’ trattati, E restano ingannati Per tante varietà.

La lingua calabrese risponde con impeto “Mali di tia non dissi, A mia dassami stari: Non mi stari a ffrusciari Cchiju accuntu. Eu sempri l’accittai, Ca si mmegghiu di mia; Non tanta protaria

Si arrivano a confondere Con pratiche sì oscure Li pesi e le misure In ogni società.

Mu mi sbrigogni.

E pure una sì garrula Lingua di confusione Avrà la presunzione Di preferirsi a me?

D’Italia pe’ mparari Lu linguaggiu.

Appello a chi ha buon senso, Non soffro un tant’oltraggio; Renda giustizia il saggio Al mio violato onor.

Di tia ndi fazzu stima: Mandu li me’ cotrari

“ ... tu si lu pastizzu Ed eu cipuja. E giacchì ncarrognasti Pigghiandula pe’ mprisa; Mi ‘ncumbi la difisa, Senti e trema. Sai pecchi piacciu a ttutti?

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e raffinato, orgoglioso e ruvido esattamente come il paesaggio della sua regione; riesce ad essere nostalgico e tradizionalista, fortemente legato alla famiglia, all’onore e all’onorabilità. Da qui si fa discendere, alla pari di una delle leggi di Murphy, la gelosia dei ‘possedimenti’, territoriali o parentali che siano, booh! Che dire, infine, della lingua, “la laida e oscena loquela” di memoria dantesca? Con buona pace del Fiorentino mi permetto di spezzare una lancia a nostro favore: sarà stato sgradevole alle sue orecchie ma il nostro vernacolo regionale è uno degli accenti più fascinosi, quando s’appaia il cosentino al napoletano o il reggino al siciliano. Se penso che nel mezzo vi sono l’impronta greca, bizantina, latina e le parlate diverse della minoranza arbëreshë (greco – albanese) non ho poi tutto questa selva oscura di inospitalità fonetica. Per indigena provocazione mi va pure di rinforzare i tratti della nostra dizione: la vocale finale indistinta delle parole, la geminazione consonantica, l’assimilazione del nesso consonantico -nd, l’aspirazione della tenue sorda, per citarne alcuni, evocano l’anima di un Popolo aperto a tutte le contaminazioni succedutesi nel tempo. L’argomentazione apologetica, invece, la lascio a Giovanni Conia, abate e poeta dialettale dell’Ottocento, difensore dell’idioma delle Calabrie, in una tenzone serrata tra l’italiano e la nostra parlata: Si siccanu di tia; E ccui si vota a mmia Pigghia rrispiru. Tu scarsi l’eleganzia, Ti voi mettiri l’ali; Eu parru naturali E dugnu gustu.

Di tutti chisti lingui Mi ndi piagghiai na picca Vidi quantu su ricca Di paroli.

Mu dici nu pinzeru, Ti voti a li figuri; E ffai li cosi scuri Pe’ ppiaciri. Chistu per la metafora, Chiju ppe lligoria, E mmala pasca a ttia No lu dicisti? Lu vì, ca non si ntisa! Lu vì, ca non si sperta? Eu parru a vvucca aperta, E su aggraduta. “... Nci furu li Rromani, chi nun ficiru pani A chistu celu.

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Sicuramente il prelato nostrano avrà assolto l’autore della Comedìa con le conclusioni succitate: qualche svarione rende più umani, si sa, persino un Gigante come lui! pag. 7


Sport CALCIO SERIE D/

SALADINI: “i risultati oggi non sono quelli sperati ma vogliamo vincere” di Rinaldo Critelli Inizio di febbraio alquanto surriscaldato con nuovi episodi di cronaca nera che offuscano l’essenza sportiva e non dell’intera città. Riteniamo occorra sedersi a tavolino tra le varie parti interessate, sindaco compreso, e discutere in modo costruttivo per cercare di trovare un punto di unione. Torniamo ad occuparci di Fc Lamezia Terme mandando in stand by per questo mese la rubrica Amarcord, che tornerà a marzo. Da operatori dell’informazione stiamo sulla ‘notizia’, che caratterizza ed appassiona chi fa questo mestiere con scrupolo e dedizione rispettando criteri deontologici che, sovente però, paiono sfuggire ai lettori (leggasi ‘tifosi’) disattenti. Lo facciamo riavvolgendo il nastro di quanto accaduto ad inizio febbraio, intanto proponendovi qualche stralcio delle dichiarazioni (sull’ormai ex ds Mazzei; sui rapporti con le Istituzioni, sui progetti futuri) del presidente Felice Saladini (che non ‘parlava’ dallo scorso luglio) nella conferenza post-gara Lamezia-S. Maria Cilento del 2 febbraio scorso, e poi tutto quello che ne è scaturito. Per la cronaca al momento di andare in stampa il Lamezia ha appena sbancato Castrovillari (1-3) ed è seconda (41 punti) con la Cavese, a -5 dalla Gelbison, battistrada però che devono recuperare alcune gare.

Presidente Saladini, possiamo fare chiarezza sulla questione-Mazzei? “Con Mazzei ci sono state diversità di vedute rispetto a quello che è il club e la visione del futuro del club. Entrambi, io presidente e il direttore, abbiamo in comune l’attaccamento a questa città e verso i colori gialloblù. Lo ringrazio a nome mio e di tutto il Consiglio e sono certo che potrà continuare il suo lavoro da ds facendo bene. Una persona in più o in meno non fanno la differenza in questo momento”. E’ contento di mister Campilongo, premesso che i pareggi di Rende e Troina dovevano essere vittorie? “Ho piena fiducia nel mister. E’ chiaro che i risultati oggi non sono quelli che ci aspettavamo, non c’è da nascondersi. Sono convinto che la strada è in salita ma è quella giusta: non dobbiamo mai arrenderci. Mister Campilongo non si arrende e me l’ha dimostrato più volte continuando a credere ed a gettare le basi per il futuro del club”.

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Ma Campilongo sarà l’allenatore ‘definitivo’ dopo tre cambi? “Campilongo ci porterà a fine campionato, di questo posso dare assolutamente certezza. E’ chiaro che i risultati da conseguire dovranno essere quelli che tutti noi ci aspettiamo, io in primis”. La rottura del rapporto con Mazzei essendo espressione di una parte dei tifosi ex Sambiase, potrebbe causare dissidi coi tifosi? “Penso che il progetto Fc Lamezia Terme non debba mai essere messo in discussione se effettivamente ci teniamo. Quindi non dipende da Mazzei, né da Saladini né da nessuno, bensì abbiamo una cosa ancora più grande di ogni singola persona che ci ruota attorno. Sono sempre disponibile ad ascoltare e parlare con tutti, però l’obiettivo è arrivare nei professionisti. Anche voi della stampa potete darci una grande mano veicolando bene i messaggi e le attività del club, che ugualmente stiamo costruendo”.

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Dallo scorso luglio, con la nascita dell’Fc Lamezia Terme, sono successe tante cose… “L’obiettivo che ci eravamo messi in testa era quello di creare a Lamezia una ‘Nazionale’ e l’abbiamo fatto con l’Fc Lamezia Terme. E poi delle squadre che potessero essere il vivaio dei ragazzi dei quartieri. Volevamo farlo da soli, invece abbiamo avuto l’opportunità di farlo insieme ad altri. Poi vuoi per tutte le cose che sono successe in città sono nati il Sambiase e la nuova Vigor Lamezia, mentre è rimasta la Promosport. Io penso che con queste squadre si debba collaborare qualora ci sia una visione comune dello sport della città. L’obiettivo comune deve essere la massima visibilità della nostra città in giro per l’Italia attraverso lo sport: in questo caso abbiamo le porte aperte per tutti”. Riguardo allo stadio Carlei su cui avevate qualche programma e sulle altre strutture cosa pensate? “Abbiamo talmente tanta fame di calcio e di sport, con tutte le varie squadre dei settori giovanili e delle scuole calcio, che servono spazi per allenarsi. Lamezia e non solo


Ebbene, l’Amministrazione Comunale ha imprenditori disponibili, come me ed il vice Ferraro, ad ascoltare e ad investire, per cui penso che vadano sfruttate queste opportunità. Purtroppo continuiamo sempre a giocare in tre club sullo stesso campo che è il D’Ippolito, quindi ben venga il ‘Carlei’, il ‘Provenzano’, ‘D’Ippolito’, ‘Gianni Renda’, va bene qualsiasi cosa purché si possa fare sport”. E’ contento della risposta della città, e parlava di rapporti con le Istituzioni, ma col sindaco ha interlocuzioni? Si rende conto che in città c’è qualcosa che non va oppure per lei tutto va bene? “Non vedevo duemila e passa persone allo stadio da un po’ e ciò mi dà grande entusiasmo. Non lo vedevo con la Vigor Lamezia, col Sambiase, di conseguenza ritengo che la risposta della città sia incredibilmente positiva. Questo significa che tanti di noi hanno quella voglia di cambiare, di riscatto, quella voglia di sentirsi città, e non di sentirsi Nicastro, Sambiase e Sant’Eufemia, qua siamo Lamezia Terme. Noi siamo lametini ed abbiamo bisogno di una squadra ed un club che rappresenti la città in alto. Di quello me ne sono assunto io la responsabilità, contro tutto e tutti, prendendo i pugni nei locali piuttosto che dovendo uscire con qualcuno che mi dava una mano all’inizio. Con estrema responsabilità ho portato avanti qualcosa che ci voleva tanto coraggio a farla, e sono ancora più deciso e determinato di prima a farlo. Il rapporto con le Istituzioni? Il problema è che non abbiamo le Istituzioni ma abbiamo un tifoso della Vigor Lamezia, io lo rispetto Paolo Mascaro, assolutamente rispetto tutti i tifosi di qualsiasi altra squadra, ma qui c’è da fare la città con il suo club che la rappresenti. Ed il suo club oggi è rappresentato da un imprenditore, un pazzo che vuole investire su questa attività”. L’ha informato il sindaco di questo?

“Ma perché secondo lei bisognava comunicarlo? Uno che prende i pugni per difendere la sua città, uno che si mette in mezzo alla strada per portare gente allo stadio, uno che si inventa i concerti nello stadio, uno che investe così tanto

sui ragazzi, sulle scuole calcio, che investe così tanto sul programma ‘Calcio e Scuola’ lanciato di recente, c’è da comunicarlo al sindaco? Questo non è un attacco a nessuno, io rispetto la maglia, il cuore di ognuno, ma qui si tratta di qualcosa ancora più grande, che va fuori dagli schemi. Bisogna essere in grado di mettere avanti il bene comune della città con lo sport che può veicolarne, spero, lo sviluppo. Ribadisco io ci metto le risorse economiche per riuscire in tutto questo, augurandomi che il sindaco lo sia della città”. Cosa c’è di vero su voci, da mesi, che la vorrebbero interessato alla Reggina? “Non è assolutamente vero nulla. Il mio progetto è a Lamezia Terme. Per riuscirci bisogna essere concentrati, determinati. E’ chiaro che ho avuto mille richieste, mille avvicinamenti però non prendo in considerazione nulla e vado avanti per la mia strada e voglio portare Lamezia nei professionisti”. Se non si riuscirà quest’anno a vincere, cosa farà Saladini? “Il calcio non è una scienza esatta. Servono soldi, ma anche passione e cuore, io ce l’ho e quindi è difficile staccarsi da questa attività. Quest’anno ho investito tanto per vincere e sono convinto di riuscirci. Certo poi può capitare qualsiasi cosa, ma al di là di tutto Saladini è qua, e

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resta qua. Il calcio non si ferma alla stagione 21/22: ci sono tante squadre che hanno impiegato anni per fare il salto, l’importante è perseverare. Sono convinto che il volano dello sviluppo di una città possa essere anche lo sport ed io me ne faccio promotore. Ribadisco piena fiducia nel mister e nei ragazzi, l’impresa ribadisco è in salita ma ce la giochiamo fino alla fine. Certo l’esito non mette in dubbio la mia presenza anche l’anno prossimo, Saladini c’è, vinco o non vinco sono qua, tanto prima o poi vinco”. Pareri schietti di Saladini, talvolta apparentemente ‘irrispettosi’ verso le altre realtà lametine. Si arguisce però che il presidente dell’Fc è quantomeno inesperto, la qual cosa lo porta ad urtare le suscettibilità altrui. Così evidentemente è stato, poiché la notte dopo quella conferenza stampa del 2 febbraio sono apparse scritte offensive sotto la sua abitazione, ed è stata imbrattata anche l’insegna della sede dei tifosi del Club. Un clima dunque che si mantiene purtroppo surriscaldato, fin da quest’estate con la relativa aggressione di Saladini, e che certo non contribuisce ad una necessaria pacificazione in città tra le varie anime sportive. Riteniamo che occorra sedersi a tavolino, sindaco compreso, e discutere in modo costruttivo per cercare di trovare un punto di unione. In una città che non ha mai conosciuto tornei ambiziosi, oltre ad una ventina di Serie C della Vigor Lamezia. Ci sarebbero tutte le condizioni per arrivare finalmente davvero in alto, ma serve trovare le soluzioni più idonee nel rispetto delle varie identità. Episodi ‘di cronaca’ come quelli anzidetti, tralasciando analisi sociologiche, non fanno certo onore ad una comunità civile come quella lametina, desiderosa di misurarsi con realtà ben più blasonate, sportivamente parlando.

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vecchi ricordi

La Corajèsima di via Belvedere Nel mio quartiere, sito in via Belvedere -vico Ginnasio1-, dopo la morte di Carnevale, precisamente da Mercoledì delle Ceneri, iniziava un periodo particolare dell’anno, dove i bambini appendevano sui propri davanzali la Corajèsima. Nell’anno liturgico, a partire da mercoledì delle Ceneri inizia la Quaresima. Noi bambini questo periodo lo vivevamo in maniera intensa. I nostri genitori e soprattutto nonni, fratelli e sorelle più grandi ci aiutavano a costruire una pupattola che era un segna-tempo. Essa rappresentava il trascorrere del tempo dalle Ceneri fino alla Pasqua. Finito Carnevale in alcune zone di Nicastro vecchio si allestiva un vero e proprio funerale per la sua morte, restava la mamma sconsolata, vecchia che andava in giro per le vie del quartiere, vestita di nero perché in lutto per la morte del figlio dovuta alle troppo salsicce mangiate e manicaretti vari. Ella andava di finestra in finestra per la “Ruga” tenendo in mano un fuso con il filo di lana attorcigliato e spezzato per ricordare a tutti il figlio ormai defunto. La Corajèsima è una pupattola confezionata con stracci neri, un “ mantisinu-grembiule”, bianco ricamato con fiori e farfalle per ricordare la primavera imminente, ossia il risorgere della natura quindi della vita: la Pasqua. Finalmente si ci poteva sedere a tavola con la famiglia e godere dei prodotti della terra, poter consumare il salame conservato durante l’inverno e le “Cuzzupe”. La pupattola

di Rita Filomena Gambardella

era poggiata su una patata costellata di penne di gallina e ogni domenica di Quaresima, oppure ogni giorno della Quaresima la “ Corajèsima” ne perdeva una ad indicare il trascorrere del tempo che si avvicinava alla Pasqua. Ogni bambino aveva la sua brava “Corajèsima” e quando si rientrava da scuola correvamo alla finestra o sul balcone per togliere la penna. Durante la Quaresina ci facevano fare astinenza dalla carne ed ogni venerdì un piccolo digiuno: ossia non mangiavamo alcun dolciume. L’importanza della bambola della Quaresima consisteva nel ricordarci il sacrificio di Gesù e quindi che dovevamo essere più buoni ed aiutare chi aveva bisogno. Questo gioco aiutava i bambini più poveri a resistere all’ennesimo digiuno e a recarci in chiesa più spesso. Ricordo che nella “Ruga” si faceva a gara a donare ciò che si possedeva per aiutare coloro che avevano più bisogno: si donava farina, zucchero, uova, verdure, salame e grasso fresco, si metteva a disposizione il forno a legna per chi non lo possedeva.... Quest’aiuto reciproco, questo donare e ricevere con semplicità mi è rimasto nel cuore. Arrivata la Pasqua si correva per le strade e ci riunivamo per “Il Gloria”, non appena suonavano le campane della Cattedrale e finalmente le mamme ci permettevano di mangiare le nostre cuzzupe.

Le perle di Ciccio Scalise

FHATTARIALLI CURIUSI DI PAISI 3 A nnù paisiallu i stù Rivintinu, unu, surdatu avia di partiri, accattau nnù piazzu i tila i linu, mù, di nù sartu, tri ppara i mutandi si fhà ccusiri. U custuliari, doppu piati i misuri, cci dissi mù stavia tranquillu e spricuratu, cà u jiuarnu prima i partiri, i mutandi fatti cci’avera ccunsignatu. Di parola veramenti è statu, è, mparti i tri, quattru nd’avia ccusutu, pag. 10

mà, cumu chillu, nù paru si ndà ppruvatu, avoglia i tirari, un cci’ anu trasutu. “Mà, un mmi vanu, picciuli su bbinuti”, E’ bberu, però mparti i tri quattru ti nd’ajiu fhaciuto”’ “e mmi l’ajiu i fhuttiri, si mancu nù paru mì ndi puazzu mintiri”. A nn’uaminu, bbiallu cumpostu e mpunenti, n’icchitus cci piau ntrà nù nenti, tuttu, fhacci, mussu e bbucca si cci’anu GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

sturticatu, e ppovariallu, ha ristatu mianzu straguisatu. Un ssì ccià ppiatu anzi, cci ridia, ddi cumu avia ristatu, di cumu si vidia, sanatu, a jjiutu a nnù bbarru e ha ccircatu, nù bbellu cafhè, mù a vucca cci’ avessi ccunzatu. Amici ch’eranu Ilà, s’anu fhattu nà risata, e ppuru illu ridiandu, a vivuta a tutti ccià ppagata. Lamezia e non solo


dedicato a ...

Dedicato a una piccola amica di Gianfranco Turino Ciao Giorgia. Come va? Nel mondo dei grandi? Ricordo come ti ho conosciuto, per puro caso, anzi per essere precisi, ti ho trovato un giorno facendo l’animatore a San Raffaele o meglio il maestro aggiunto a raccontare ai bambini la storia, la geografia e l’italiano, come fossero delle favole, niente di più, non ne sarei stato capace, perché non sono un insegnante… sono solo una persona a cui piacciono quelle materie come un gioco da regalare a tutti, senza patemi d’animo, allegramente. Eri con tua nonna, piccolina, dai lunghi capelli neri, gli occhioni vispi e sorridenti, un visetto tondo-tondo sempre pieno d’infinita felicità. Mi arrivavi, appena all’altezza delle ginocchia. Abbiamo legato subito; assieme facevamo una bella accoppiata, direi, in termine sportivi, “vincente”. Avrei potuto essere uno zio, o un fratello maggiore o piuttosto un nonno, immerso nella tempera dei miei cartoni, come il quello di Haidi, però senza la barba. Al termine del pensiero, sono un amico, forse un po’ antico e stagionato, con qualche capello grigio e bianco, tanti per la precisione a cantare le mie primavere. Il gigante e la bambina, questo era il termine esatto. Tu non potevi mangiare un tipo di caramelle, ma senza che nessuno se ne accorgesse, mi svuotavi le tasche di quelle che avevo io, tutti i gusti possibili, visto che per supplire alla rinuncia a fumare, le masticavo alla menta o di altro sapore. Disegnavi, riempendo fogli su fogli, colorandoli con i tuoi pastelli a spirito, difficili da pulire, rimanevano le dita impiastricciate, delle tue creazioni me ne hai regalato un paio con tanto di dedica. Avevi e hai la mano e il dono per il disegno, anche se facevi un po’ di confusione con i colori, ma non aveva importanza, si migliora col crescere, del resto la moda di oggi ha sconvolto anche il sistema di colorazione, visti gli abbinamenti che circolano a piede libero.

E poi…e poi…e poi…sei svanita nel tempo e nello spazio, crescendo e diventando una signorinella, studiosa, preparata alla nuova esistenza, non solo scolastica ma anche della vita. Ci siamo persi, non più il gigante e la bambina, ma solo ricordi di quelle immagini di un tempo diverso. Due strade, tu a seguire i tuoi impegni e la tua vita ed io a guardare il cielo zeppo di pensieri, alla ricerca di qualche stella particolare. Ogni tanto ti raggiungevo con i miei disegni, poca cosa, un asterisco e niente di più, per esserci. A proposito di disegni, sto sempre aspettando quello che mi hai promesso. IL vivere è una favola, la fantasia di un racconto stemperato tra righe bianche per regalare l’attimo fuggente. La realtà dei sogni è fatta di figure saltellanti che durano una notte e svaniscono nell’alba del giorno. E dopo…e dopo…e dopo…restano solo i ricordi. Sono certo che se ti incontrassi adesso, anche se sei cresciuta, saprei riconoscerti, quel tuo sorriso è inconfondibile, non c’è un doppione, è tuo solamente tuo. Adesso…adesso…adesso concludo questo mini racconto che ho voluto dedicarti, senza pretese letterarie, fatto alla buona, rincorrendo l’attimo fuggente dell’esistenza. Un suggerimento, continua a fare quello che vuoi fare, perché sei tu che devi decidere cosa cerchi e cosa non cerchi, ricordati che il tempo non si ferma ed è breve come il battere di ciglia. Continua… continua…e continua a disegnare, il mondo va visto anche attraverso l’espressione di un pennarello a spirito. Ciao Giorgia, un ciao come gli amicissimi quali siamo, il gigante non più gigante e la bambina non più bambina. Batti il cinque, ci rincontreremo, magari davanti ad una tua tavolozza piena dei colori dello spazio.

L’angolo di Tommaso

Egon Schiele L'abbraccio di Egon Schiele è un dipinto degli inizi del novecento, eppure il discorso pittorico è molto attuale nel suo significato esistenziale. I due amanti si abbracciano in modo disperato al fine di poter farsi forza per sopportare il peso di una profonda solitudine che proviene soprattutto dalla società circostante, radicandosi, di conseguenza negli abissi dell'animo umano. È un abbraccio ed è anche un sogno, quando l'anima è pervasa dal freddo e perfino dal ghiaccio, e il desiderio diventa sogno, e il sogno diventa desiderio. Quanti amori sono sepolti da strati su strati di solitudini! I due corpi di Schiele cercano quel calore umano che risulta sempre insufficiente perché il tempo li ha resi duri e freddi come acciaio, ormai sempre più conLamezia e non solo

vinti che il calore di un abbraccio sia una effimera chimera. Essi non si chiedono se il loro abbraccio possa essere espressione d'amore, non possono permetterselo, è un lusso che il tempo ha trascinato come nella dura valle dell'esistere: il loro incontro non ha nulla di stabile, è invece precario come il lenzuolo sul quale sono stesi, è tutta tensione emotiva, è una ultima spiaggia, è il voler dimenticare, anche solo un momento, il gelo delle ore e dei giorni, è l'oblio di se stessi, anche solo per un momento. La costruzione del dipinto, i colori, le posizioni delle figure, i loro capelli, rappresentano un mondo di nonamore.

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a riveder ... le stelle di Edoardo Flaccomio

di Flaviana Pier Elena Fusi

La sua voce Era la sua voce la cosa che più non m’abbandonava. Oddio quanto avrei voluto riascoltarla ancora dalle sue labbra. Ancora per farmi attraversare da quella morbidezza, da quel timbro fermo , confortante e pacato, ma così incredibilmente seducente. Una forza in quella voce che non avevo mai sentito prima. Un colore intenso irradiava dalla sua bocca, una melodia che riusciva a sconvolgere tutta me stessa. Prima che con qualunque altro suo senso, era la voce. La sua voce era il mio castigo. Chiudevo gli occhi per immaginare. Sognavo e danzavo a quella vibrazione rotonda che mi riempiva e appagava cosi, solo da lontano. Consiglio meteo: la voce seduce e le parole creano. Flaviana Fusi

Lassù Vedo un incedere silenzioso Il volto assiepato nel sorriso Una maglia di lana sottile: Lei Bianca, caduca acqua gelata Bucaneve che spunta dal nulla Questo vento Non è brezza che mi consola Ma aria pungente di addii Alla terra e al sole Alla luna e alle comete Roteando mi commuovo in vortici Laggiù Vedo sprazzi di passato e di futuro Le sue labbra rosate Sopra le mie dischiuse Pelle su pelle come siamesi Il letto in cui affondo è stremato Questo vento Che mi cattura di giorno E mi trasporta di notte Tappeto volante fra le stelle Rimirar io devo Per non tornare uomo

Questo vento

Lassù

Mi scuote e solleva Non so cosa voglia da me Se respirare fiato O trascinarmi in alto

Mi perdo nell’amore Che in rotear di mondi Ne ascolto il fragile vociare Mi siedo ad ascoltare

Fra nuvole e aquiloni

L’Eterno che dal fondo evade. Edoardo Flaccomio

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GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

Lamezia e non solo


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