Lameziaenonsolo gennaio 2022 Luisa Vaccaro

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confidenze

Luisa Vaccaro di Tommaso Cozzitorto

Luisa Vaccaro è una donna brillante, intelligente, affettuosa, piena di vita straripante, direi. Ma ci vogliamo soffermare un attimo sulla Luisa più intima e interiore? Quella che forse conoscono in pochi? Innanzitutto ringrazio per le belle parole ma non credo di meritare cotanta gentilezza. Caro Tommaso, Luisa interiore è sognatrice, una Peter Pan che cerca a tutti i costi di mantenere uno spirito fanciullesco se pur consapevole, che la vita scorre e che purtroppo il tempo non si ferma. Luisa è molto fragile, timida se pur nessuno lo potrebbe credere ed ha un

inevitabilmente fermarmi. Luisa interiore poi, ha paura della solitudine…!

rapporto con il tempo particolare. Credo infatti, che la vita vada vissuta e non trascorsa, cercando di festeggiarne ogni istante. Ho paura che da un momento all’altro la festa, in termini di felicità possa finire, ed è per questo che non amo fermarmi mai, ma essere in movimento con il pensiero e con il corpo, conscia che ci sarà un momento della mia esistenza (come già ve ne sono stati) in cui dovrò,

ironia. Il mio sogno, oggi realtà, è sempre stato quello di lavorare in radio e devo ammettere, che l’adrenalina più intensa mi è arrivata proprio, nel sentirmi on air a lavoro come nella vita. Ogni esperienza però, nel mondo della comunicazione ha aggiunto una tassella importante alla mia formazione professionale quanto umana. Il teatro è una passione che cammina insieme a me dalla nascita, così come il

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Ora passiamo alla Luisa artista, attrice, presentatrice, esperta nell’arte del comunicare. Utilizzi praticamente tutti i mass media conosciuti fino al momento storico attuale. Cosa ti spinge a provarti in tutti questi vari campi? In quale ti senti maggiormente realizzata? Amo sperimentare ogni forma di arte, sentendomi sempre alunna di ogni esperienza, una costante gavetta. Amo mettermi in gioco in ogni situazione, preferendo contesti simpatici e di sana

presentare. Ciò che mi spinge a provare è l’ansia di aumentare le mie conoscenze, il mio desiderio di scoprire sempre di più, e di farlo divertendomi. Leggere la vita con autoironia e ironia... Aspetto che abbiamo in comune. Caro Tommaso, ti ritrovo costantemente nella sana ironia che contraddistingue la mia vita. L’ironia è un dono, una cura, una divina forma di umanizzazione. L’autoironia e dunque la capacità di prendersi in giro, di non avere paura di mostrare il proprio io, rappresenta la più alta forma di conoscenza di sé, che ci porta

ad entrare nella profondità della realtà, non lasciando che nulla possa scalfire la nostra capacità di afferrare tutto ciò che può renderci migliori. Potrebbe essere anche, forse, un compromesso con noi stessi ma ti assicuro che se ci fosse una scuola di autoironia, io ne sarei assidua frequentatrice. Ridere, e sorridere dei guai è una buona terapia d’urto. Per me il sorridere così come il sorriso, rappresenta

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una delle meraviglie del mondo. Luisa madre? Luisa madre è un po’ folle, complice di suo figlio Aurelio al quale cerca di rivolgere entusiasmo ed allegria. Voglio che mio figlio impari ad affrontare la vita con ironia, e spirito artistico, cercando di stimolarne la sua sensibilità intellettuale ed il linguaggio. Cerco di creargli sempre un momento di sana “pazzia”, come la definisce lui, trasmettendogli entusiasmo per i dettagli della vita che per me assumono un peso importante. Non sono severa, ma lavoro sulla sua educazione provando a trasmettergli i valori della solidarietà, fratellanza e rispetto per ogni cosa, riconducendo ogni situazione a Dio, affinchè ne possa iniziare a prenderne

consapevolezza. Il mio rapporto con lui è alla pari ed anche nei ragionamenti che spesso intavoliamo, non utilizzo mai un atteggiamento infantile ma anzi, lo rapporto costantemente al mondo degli adulti con però sempre, ilarità. Lui è un complice e spesso il mio grillo parlante. Come vivi la tua bellezza? Che importanza dai ad essa? È prioritaria così come la società ci dimostra?

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Non ho un bellissimo rapporto con il mio corpo. Sono una donna spesso insicura della sua femminilità. La parola bellezza non la vedo mai bene associata al mio nome. Non ho mai avuto e non ho però, l’ansia di somigliare a qualcuno o di essere come i tanti prototipi pubblicizzata dalla moderna società. Curo il mio aspetto ma sempre mantenendo uno stile free. Il mio outfit ha sempre la costante del colore, della leggerezza, con però sempre eleganza, semplicità e senza troppi eccessi. Non amo troppo il trucco perché credo debba esserci senza vedersi. La bellezza è un valore che si deve accompagnare alla sensibilità di chi la coltiva e di chi la riceve. Il bello interiore ha la precedenza, quello fisico in quanto dono, deve essere tutelato e rispettato, ma non deve essere elemento

predominante. La semplicità credo sia il segreto per essere naturalmente belli, se pur imperfetti. Parliamo del ruolo di Assessore che ricopri nell’ambito dell’amministrazione del Sindaco Paolo Mascaro. Soprattutto dello spirito con cui lo fai. Non parlerei di ruolo quanto di missione e servizio. Ho iniziato questa avventura con il solo obbiettivo di creare qualcosa di bello per la mia città, senza l’ansia di

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lasciare traccia del mio nome quanto della mia passione. Vivo purtroppo, nel senso bello del termine, ogni istante con pieno coinvolgimento, lavorando per costruire e contribuire al lavoro di una giunta che, credimi Tommaso, ha un livello cultuale, umano e civico di altissimo spessore. Io spesso sono la parentesi più leggera dei profondi discorsi che quotidianamente si affrontano, ma medesimo è l’impegno. Il modello al quale mi rifaccio è sempre e solo, lui, il sindaco, Paolo Mascaro, capace di trasmettere entusiasmo per ogni angolo della nostra città. Lo spirito che mi guida è quello con il quale porto avanti ogni azione, pathos e dedizione. È sempre bene conoscere cosa ci sarà “oltre la montagna”? Io non amo guardare la meta, quanto

il cammino. Credo sia importante assaporare tutto quello che troviamo lungo il tragitto che ci porta alla montagna. La vita è da qui a qui, e non da qui a domani e come cantò Rino Gaetano, mio cantautore preferito, “chi vivrà vedrà” ma…il cielo è sempre più blu. Dunque in attesa di

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giungere oltre la montagna, proviamo a non perdere quello che abbiamo accanto e che potremmo non aver notato, perché intenti alla proiezione del traguardo. Che valore dai all’amicizia? L’amicizia è il valore aggiunto della vita. Non sono un’amica di smancerie ma di gesti concreti. Credo nell’amicizia fra uomo e donna, e ne ho trovato nella vita, buona testimonianza. Sono molto selettiva e purtroppo le mie valutazioni sono spesso epitermiche anche se, mi lascio sempre la possibilità di ricredermi. Sono uno scorpione che perdona l’accaduto, ma che non dimentica la delusione subita. Sono un’amica sincera nel bene o nel male, sono o bianco o nero, senza troppa diplomazia nei rapporti ma solo sincerità. Nei comportamenti. L’amicizia è antidoto ai mali del mondo. Con amicizia guardo a Cristo. E alla Cultura? Cosa ami leggere? La cultura è l’unico strumento a disposizione dell’umanità. Diffido da chi si professa colto quanto ammiro quelle persone che nella loro semplicità sono testimoni di cultura. Amo circondarmi di cultura sperando di poter accrescere la mia. Credo che ogni nozione solo attraverso la condivisone posa diventare cultura, altrimenti resta solo mera informazione. Non amo leggere nulla in particolare ma tutto ciò che attira la mia attenzione. In questo periodo però, la mia attenzione è sulla critica gastronomica e dunque leggo non di cucina ma di cibo, di alimenti, che sono espressione di umanità, cultura e tradizione.

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Tu fai teatro. Sogni di recitare il personaggio di... Non c’è un ruolo nello specifico che mi piacerebbe recitare. Amo portare in scena qualsiasi sentimento, emozione ed accetto ogni suggerimento del regista o dei miei compagni di scena. Se dovessi però scegliere, preferirei sempre ruoli ammiccanti e simpatici, senza drammi intendo, se pur qualche interpretazione più impegnativa mi ha segnata particolarmente. Cosa ti commuove profondamente nella vita? Anche in quella di tutti i giorni. Mi commuove la difficoltà economica di tante famiglie che non possono garantire ai propri figli una vita gioiosa. Mi commuove e mi fa rabbia la sofferenza dei bambini, la loro povertà di cibo e di sorrisi. Mi commuova la solitudine degli anziani. Mi capita di emozionarmi spesso, anche solo facendo la spesa ad un supermercato, incrociando lo sguardo di qualcuno che credo in difficoltà ed io, mi sento in colpa. Vivo le fragilità altrui intensamente e spesso, ciò costituisce un costante senso di colpa. La vita, nella maggior parte dei casi, è un vuoto a rendere o un vuoto a perdere? La vita è un vuoto da prendere, riempire e condividere. Non si rende nulla se non nella misura della nostra crescita e felicità. Si perde solo se non si vive. Una volta nella vita avrai detto “Se fossi stata un uomo...” Se fossi uomo, vorrei essere come te, caro Tommaso, illuminato ed illuminante. A volte mi sarebbe piaciuto essere uomo per comprendere il perché siate così allergici alla eccessiva sensibilità di noi donne. Scherzi a parte, a volte mi sarebbe piaciuto

essere uomo per capire come un padre viva il rapporto di simbiosi che vi è tra madre e figlio, e di come possa sopportare le urla che sono spesso, l’espressione musicale dell’isterismo femminile. Un uomo che ho sempre amato è Gigi Proietti, che ha con ironia, concedetemi il termine, “fregato” il mondo intero. Luisa guarda l’orizzonte. Che stati d’animo provi in quei momenti? Sto vivendo il momento, sempre alla ricerca di nuovi stimoli. Non amo sentirmi troppo tranquilla, cercando sempre di tenere la mente impegnata. Sono però serena, e felice di sapere di non essere sola ma spalleggiata dalla mia famiglia, supportata da tanti amici, circondata da sano ottimismo. Ma Luisa Vaccaro esiste realmente o è una invenzione di una sorta di “mente collettiva”? Sai che a volte me lo chiedo se esisto o se sono solo una proiezione di me stessa. A volte guardandomi allo specchio, non mi sembra di riconoscermi, come se la mia anima a non appartenesse alla mia corporeità. Mi definisco spesso “in potenza” e dunque forse ma in completa definizione. Evanescente forse? Non so, lo chiedo a voi…. Non avevo dubbi sulle risposte di Luisa: sincere e senza filtri, intellettualmente oneste, ricche di valori solidi eppure presentate con quella leggerezza tipica di una persona molto intelligente. Grazie Luisa e grazie soprattutto per il nostro feeling ironico e autoironico. Sai, ci commuoviamo per le stesse cose... È molto bello che esistano donne come te, bello nel senso del significato di libertà e vitalità che questo aggettivo riesce ad evocare.

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speciali

La Chiesa di San Francesco, ora Santa Maria Maggiore Quarto percorso della nostra ricostruzione storico - turistica: “LAMEZIA è ... di Giovanni Maria Cataldi

La chiesa-convento di San Francesco presenta una storia ricca di fascino e che fa la trafila nel corso dei secoli, ad iniziare dall’epoca sicuramente antecedente al 1200. Gli storici, in questa indicazione, sono d’accordo nel collocare al 1240 l’anno in cui fu portata a compimento la gestione del convento di San Francesco con l’annessa chiesa da parte dei Benedettini di Sant’Eufemia. Quindi, l’anno di costruzione della struttura in questione risale comprensibilmente ad anni precedenti, se non addirittura anche di qualche decennio. Proprio nel 1240 re Federico II, riscattando il convento, ne fece dono ai Minori Francescani, il cui Ordine era stato fondato appena 32 anni prima da San Francesco d’Assisi, subito approvato nell’anno successivo da Papa Innocenzo III. La gestione del convento passò, da allora, di Ordine in Ordine, tanto che nel 1462 esso figura dell’Ordine degli Osservanti e, nel 1594, dell’Ordine dei Riformati. Dal 1638, l’anno del terrificante terremoto, agli eventi per così dire di natura istituzionale, fecero da riscontro quelli legati ad eventi catastrofici . Il 27 marzo di quell’anno, appunto, l’evento sismico fece crollare gran parte del convento e della chiesa, proprio mentre i numerosi fedeli erano intenti a seguire le funzioni religiose collegate al Giubileo. Tra i pochi scampati alla morte, ci fu la Principessa Giovanna d’Aquino che, anche in segno di voto, contribuì poi alla riedificazione della chiesa. L’alluvione del 1792 provocò lo straripamento del torrente Piazza, che fece registrare altri danni e lutti In quella circostanza ,molte perpag. 6

sone riuscirono a porsi in salvo in quanto fecero in tempo a trovare riparo arrampicandosi affannosamente lungo l’ampia scalinata, al termine della quale è situato l’ingresso alla chiesa ed allo stesso convento. Quasi identico disastro avvenne nel 1876, quando lo stesso turbolento torrente spazzò via la chiesa di Santa Maria Maggiore che sorgeva dove attualmente c’è la piazzetta di Santa Maria, a ridosso di piazza Mazzini; fu così che i parrocchiani di quella chiesa trovarono riparo all’interno della chiesa di San Francesco e ,da allora, viene conosciuta col nome di Santa Maria Maggiore, anche perché il parroco del tempo -don Gennaro Vecchi- riuscì ad avere l’autorizzazione a celebrarvi le funzioni religiose da parte dell’Amministrazione comunale , titolare di un diritto d’uso avuto dieci anni prima (1867). Al posto del convento, trasformato nel 1808 in quartiere delle truppe francesi e nel 1818 a caserma della gendarmeria, è stata insediata la sede della Casa penitenziaria sin dal 1877, annessa proprio alla chiesa stessa, per come lo fu fin dall’inizio. Essendo una delle più antiche chiese di Lamezia, è ben evidente che essa conservi delle opere d’arte di notevole interesse; ad iniziare -fin dall’ingresso- dal magnifico portale, di pietra calcarea sagomata, risalente certamente ad epoca molto remota. Più di recente è la presenza dello stupendo mosaico che domina la facciata della chiesa e che raffigura San Francesco d’Assisi, fatto costruire per interessamento del parroco don Antonio Pileggi. Splendido anche lo stile barocco che impreziosisce la struttura, al cui interno si possono ammirare diversi dipinti: la Natività, a sinistra dell’entrata, mentre sulla parte destra dominano due affreschi riportanti le figure di Santa Chiara d’Assisi. Nel presbiterio, il Cristo Morto tra le braccia di Dio Padre, o “Trinità dolente”; è una riproposizione del quadro in olio su tela dipinto da Francesco ColtelGrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

li (1759), il cui originale è esposto nel Museo diocesano. Mentre -alzando lo sguardo in direzione del soffitto- si ammirano tre dipinti che raffigurano San Francesco d’Assisi in estasi, l’Immacolata e la Morte di San Francesco. I dipinti vengono sicuramente attribuiti (tranne quello dell’Immacolata) a due autori famosi nel tempo e nella pittura sacra : Colelli e Costanzo. Situate ai due lati dell’altare maggiore sono due statue di pregevole e sicuramente storica fattura: quella che riporta le sante Chiara di Assisi e Rosa da Viterbo. Molto pregevole la statua della Madonna dell’Assunta, tra le più antiche tra quelle che esistono in tutta la Diocesi, e che domina la parte centrale dell’altare maggiore; essa è stata restaurata proprio di recente e magnificamente restituita al suo splendore d’origine, grazie all’interessamento del parroco don Osvaldo Gatto. Sono pure di una certa importanza artistica le statue di Sant’Anna, della Madonna del Carmine e del Sacro Cuore.Nella cappella a fianco dell’altare maggiore domina un imponente Crocifisso ligneo, di pregevole lavorazione e d’epoca decisamente molto remota. Per ultimo , resta da evidenziare che la chiesa ospita una bella e molto espressiva statua di Santa Rita da Cascia, la cui devozione è particolarmente sentita nel mese di maggio, con larga e fruttuosa partecipazione di fedeli provenienti anche da altre parrocchie e da altri Comuni del lametino. Così come sono pure molto seguite e suggestive la Novena dell’Immacolata e l’Adorazione della Santa Croce al Venerdì santo.

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Sport

AMARCORD A colloquio con un lametino oggi di scena in Serie B come vice a Cosenza

GATTO: “CHE GRUPPO QUELLA VIGOR 2017! PASSIONE E COLORI VANNO RISPETTATI””

di Rinaldo Critelli

Appartenente ad una rinomata dinastia calcistica, Antonio Gatto ha ereditato il gene soprattutto da papà Franco, bomber di razza. Allora sedicenne nell’unica Vigor Lamezia vittoriosa di campionato da 35 anni fa ad oggi, Antonio ragazzo di talento cerca di fare altrettanto bene in panchina. Testa alta e visione di gioco tra le virtù che Antonio Gatto ha messo a frutto nella sua ultra-ventennale carriera da calciatore, girovago per mezza Italia. Inizi nella sua Vigor Lamezia (14 anni tra giovanili e prima squadra) dove non è stato valorizzato per come meritava, preferendogli forestieri a volte inguardabili o ‘figli di papà’ che pagavano. Facente parte di una prestigiosa dinastia calcistica lametina, Antonio non poteva che ereditare cotanto gene calcistico, in primis da papà Franco, bomber di razza (in foto d’epoca il primo accosciato da dx). Da qualche anno Antonio è passato dal campo alla panchina: oltre a guidare la scuola calcio ‘Gatto-Lio’, da tre anni è sbarcato al Cosenza dove, dopo Under 17 e Primavera, oggi è il vice di Occhiuzzi (e di Zaffaroni prima). Certo un vanto per Lamezia annoverare un suo conterraneo in un torneo prestigioso come la Serie B, sulla falsariga dei vari illustri Danilo Pileggi (addirittura in A) e Pietro De Sensi. Per Gatto una ‘promozione’ meritata in prima squadra a Cosenza dopo le mirabilie passate alla Primavera da subentrante. Con la Vigor Lamezia sempre nel cuore è dunque Gatto il primo ospite di Amarcord del 2022. Con lui ripercorriamo carriera, aneddoti, ambizioni e sogni. Appassionante in particolare la sua esperienza nella Vigor del 2017, nonostante la retrocessione dopo la vergogna Dirty Soccer (!). Quello era un gruppo indomito di lottatori, al cospetto del quale tanti paladini pseudo-vigorini del giorno-dopo sono rimasti spettatori disinteressati mentre la Vigor affondava! per professione”.

Allora, Antonio come inizi a giocare a calcio? “Con la famosa Juventus Club del presidente De Sensi, da dove sono passati tanti ragazzi che si volevano divertire a quell’epoca, giocavamo per strada, in periferia, in città”. Immagino tuo papà ti portava allo stadio? “No, non mi ha mai accompagnato: lui aveva già dato e quindi e mi lasciava libertà di movimento”. Allora capovolgiamo la domanda: ammiravi in campo tuo padre? “Purtroppo ricordo solo qualche ultima sua partita, perché finì di giocare nei primi anni ’70. Semmai ricordo di più le gare di un torneo tra bar che si faceva a Lamezia. Lui giocava col famoso Bar Calcedonio, e quelle erano gare più per divertimento che Lamezia e non solo

Ti è rimasto impresso un gesto tecnico di tuo padre? “Soprattutto dalle foto traspare tutta la sua forza e carica agonistica che poi mostrava in campo. Molti parlano di mio padre in maniera eccezionale: è stato uno degli attaccanti più forti che abbia mai avuto prima il Nicastro e poi la Vigor Lamezia, e questo mi inorgoglisce”. Avete avuto la trasmissione del gene calcistico ma non quello del suo ruolo di attaccante visto che tu e tuo fratello Carlo eravate due centrocampisti… “Sì, papà era un’ala sinistra: conservo una marea di giornali e foto e da lì si intuisce fosse uno davvero forte”.

che piaceva giocare a calcio e tutti siamo passati dalla Vigor Lamezia”. In quale anno arrivi alla Vigor Lamezia? “Stagione ’86-87, quando vincemmo la Serie D, che resta l’unico torneo vinto sul campo da primatisti fino ad oggi dalla Vigor. L’anno prima lo vinsi con l’Adelaide del giudice Amatruda”. Non posso non chiedere ad un ‘testimone’ diretto di quella stagione: perché il tecnico Claudio Ranieri andò via? “Questa è una risposta che ancora cerchiamo in tanti: sicuramente quando arrivò Ranieri a Lamezia ci fu una rivoluzione negli allenamenti ed in tutto quello che si faceva, portò una ventata di innovazioni non indifferente. Quell’anno si doveva vincere il campionato, si fecero delle scelte e Ranieri dopo un pareggio

Quella di voi Gatto è una generazione di calciatori, mi fai l’elenco? “Sì, zio Gianni, zio Bebè, zio Gino, zio Nino, mio cugino Francesco, e poi io, mio fratello Carlo con le giovanili: a tutti noi GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

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vene esonerato, arrivò Tascone e fu marcia trionfale fino alla fine”. E’ quella la squadra più forte (in foto il secondo da dx accosciato) in cui hai giocato in carriera? “Sicuramente c’erano fior di giocatori, era difficile da affrontare per tutti: ci stava estro, forza, fantasia, personalità. Giocatori di grande temperamento: credo sia stata una delle squadre più forti a Lamezia”. Avevi 16-17 anni a quell’epoca: cosa fu la cosa più bella che ricordi? “Infatti ero il più piccolo. Ricordo, quando tornammo da Marcianise che significò vittoria del campionato, una Piazza della Repubblica stracolma di gente festante. In mente ho i tifosi della Vigor Lamezia che quando volevano farsi sentire sapevano come fare, loro da sempre sono stati una forza della Vigor”. Poi facesti tanta serie C con la Vigor? “Sì, con vari allenatori: Scorsa, Ardemagni, Ballarò, Facco”. Appunto, un tecnico importante per te? “Ho cercato di prendere qualcosa da ogni allenatore, ciascuno mi ha lasciato qualcosa di positivo”. C’è una partita della Vigor a cui sei legato? “Una gara col Cynthia Genzano, vincemmo 3-2 sul neutro di Rende ed io segnai il gol decisivo, in caso contrario rischiavamo di retrocedere”. Come fu il gol? “A due minuti dalla fine ricevo un assist da Franco Gigliotti, quindi due pallonetti ad altrettanti avversari e poi la metto all’incrocio dei pali. E’ stato uno dei miei pochi gol, ma sicuramente tra i più belli. Da allenatore invece sono legato all’ultima stagione di serie D della Vigor Lamezia,

in cui emersero tutti quei valori genuini di appartenenza e passione che un gruppo di giocatori possa dare ad una società. Facemmo tanto nonostante la retrocessione ad una giornata dalla fine, con zero punti nelle prime dieci gare ed annessa penalizzazione. Ricordo quei tifosi vigorini sempre presenti allo stadio ed in trasferta a sostenerci ovunque. Vincemmo, tra le altre, anche contro l’allora capolista Siracusa al D’Ippolito e pareggiamo con la miliardaria Reggina. Sarò sempre grato a quei giocatori ed a quei dirigenti che mi sono stati vicini oltre ai tifosi encomiabili”. Poi hai girato un po’ per il centro Italia… “Sì, dopo Catanzaro, un paio di anni in Abruzzo col Penne e ad Ischia e qualcuno in più in Sardegna con Calangianus, Tavolara, Nuoro, La Maddalena, S.Teresa di Gallura”. Hai qualche rammarico perchè magari qui qualcuno non ti ha saputo valorizzare? “No, penso di aver raccolto quanto ho seminato. Nel calcio serve un po’ di fortuna, ovvero trovarsi al posto giusto nel momento giusto e cavalcare l’onda di quei 3-4 anni che qualche squadra ha”. Un compagno a cui sei rimasto legato? “Con tutti conservo un ottimo rapporto. L’importante in uno spogliatoio è andare d’accordo in campo, mostrando sempre professionalità. Cito Aldo Gardini ora

allenatore dell’Ostia Mare e Franco Cariola sardo che ha calcato molti campi della C. E poi i miei concittadini Franco Gigliotti e Mimmo Perri”. Non posso chiedere ad un lametino come te un giudizio sull’attuale situazione calcistica a Lamezia. “Direi molto ingarbugliata e non chiara: credo che per conquistare il palcoscenico bisogna conquistare la massa, il tifoso. In questo momento non vedo ancora questo e sono dispiaciuto per la nostra città che non sta vivendo un momento importante dal punto di vista sportivo. Sperò che negli anni si possa nuovamente tornare a gioire per una maglia. Sicuramente c’è una passione e dei colori che vanno rispettati. Si sta cercando di fare qualcosa per un bene comune, però ci sono delle storie di squadre gloriose nella nostra città che non possono essere assolutamente cancellate”. Da tre anni sei in una nuova avventura a Cosenza: Under 17, poi Primavera e questa stagione vice allenatore in prima squadra. Sensazioni? “Stare sul campo è già di per sé un’esperienza formativa. Una categoria come la Serie B sicuramente fa la differenza perché ti trovi in mondi totalmente diversi rispetto ai tornei dilettantistici. Certo il ‘professionismo’ si può trovare anche in categorie dilettanti, perché poi è anche quello che si è capaci di fare personalmente a marcare la differenza. Sono onorato di portare avanti in questo momento i colori rossoblù del Cosenza e spero di fare del mio meglio nel ruolo assegnatomi, anche per il futuro”. Ma quindi Gatto si vede a lavorare coi giovani o in una prima squadra? “La prima squadra l’ho già fatta a Lamezia. Poi ho diretto la Primavera che è sempre stato ed è un campionato importante, essendo la fucina prossima per


le prime squadre. Ora sto vivendo questa esperienza da secondo a Cosenza: è il mio mondo, cerco di dare sempre il massimo con professionalità e poi il futuro si vedrà, sicuramente se semini raccoglierai”. Il sogno di Gatto? “Continuare a lavorare in un campo di calcio con la passione che mi ha

sempre contraddistinto e il desiderio di proseguire la crescita dal punto di vista professionale”. * pubblicate Castillo, Galetti, Sinopoli, Gigliotti, Scardamaglia, Sestito, Forte, Lucchino, Rogazzo, Ammirata, Samele, Sorace, Rigoli, Pagni, Zizza, Vanzetto, G.Mauro. continua…

Le perle di Ciccio Scalise

FHATTARIALLI CURIUSI DI PAISI 2 Dua cummari parravanu, “cumu nù giramento i capo, una da fhinestra e ll’autra dù barcuni, ppì ppocu ud’ajiu caduto. sbatti luaru si contavano, e ddì mariti, cà erano allegri e cchjiacchjiaruni. Assettati ccà, nà seggia cci’anu piatu, e cci’anu fhatto aria, mù ripiglia jjiatu, “U vi cummà, u mia, aspetta cà nù bicchiari d’acqua ni fhacimu dari, a nnà certa ura sà ddì livari, tu vivi chjianu chjianu, chisà ti pua ripigliari, pirchì ntrò liattu cchjiù un ccì resci a stari”, “Nò, nò, si nu cugnacchinu mi ragati, “Certu teni llù pinsiaru cà fhatiga l’aspetta, stajiu subito miagliu e bbì nd’addunati” pensa a cchillu cà ddì fhari e un ss’arricetta, Vi si leva ppriastu, certamente”, U primo povariallu suffria, “alli undiciemmenza cummà, cà sulu fhina alli undiciemmenza durmia, e bbò ttruvari u cafhè vullenti”. u sicundu, vidi tu, stavia ammali, e ssulu nù cognacchinuu putia ssarbari. Unu, avanti nu bbarru, ccù ll’amici discurria, Unn’è Uà vita chè nnù fhutti fhutti, è, a nnù certu punto, icica buanu un ssì sintia, è, cà ppi ammucciari certi vizzi, si studiano tutti. Madonna cchi hai?, i compagni cci’anu diciutu, 26 novembre 2021 Lamezia e non solo

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amici della terra

I CONTENUTI DEL PATTO PER IL CLIMA DI GLASGOW A CONCLUSIONE DELLA COP 26 (Seconda Parte) Geologo Mario Pileggi del Consiglio Nazionale Amici della Terra geopileggi@liberoit

Il Patto per il clima di Glasgow, oltre ai contenuti riguardanti Mitigazione e Adattamento dei quali ci siamo occupati nel precedente numero di “Lameziaenonsolo”, comprende anche il tema della Finanza per il Clima per consentire ai Paesi di raggiungere i propri obiettivi climatici e quello della Collaborazione per accrescere l’azione delle attività comuni tra le Nazioni. In considerazione del fatto che i costi dell’azione per prevenire le conseguenze del cambiamento climatico sono di molto inferiori ai costi dei suoi impatti, nel Patto per il clima vengono indicate le strade da seguire per il nuovo obiettivo di finanziamento sia pubblico che privato per i prossimi anni. Il 95% dei maggiori fornitori di finanziamenti per il clima dei Paesi sviluppati ha assunto nuovi impegni per raggiungere l’obiettivo di oltre il 100 miliardi di dollari al più tardi entro il 2023. E di continuare su una traiettoria crescente fino al 2025. In pratica, per supportare i Paesi più vulnerabili ed esposti ai cambiamenti climatici, si stima la mobilitazione di 500 miliardi nel periodo 2021-25.

Ai miliardi del settore pubblico si aggiungono i trilioni del settore privato. La coalizione di societa’ finanziarie internazionali nata per affrontare il cambiamento climatico e composta da oltre 450 banche (tra cui anche le italiane Intesa Sanpaolo e Unicredit), assicuratori e gestori patrimoniali in rappresentanza di 45 paesi ha dichiarato la mobilitazione di 130 trilioni di dollari di finanziamenti per aiutare le economie a passare alla neutralita’ carbonica nell’arco dei prossimi tre decenni. In particolare, i gestori della Glasgow Financial Alliance for Net Zero (Gfanz) concorrono con asset per 57 trilioni di dollari mentre altri 63 trilioni di dollari vengono dalle banche e 10 dai fondi pensione. Il settore privato e la Gfanz si sono impegnati a realizzare Piani basati su una metodologia scientifica indipendente e riconosciuta a livello internazionale e a collaborare con i governi dei vari Paesi per mettere i piani di transizione su una base norma-

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tiva permanente. Inoltre si sono impegnati a verificare e riesaminare i loro obiettivi e a comunicare annualmente i progressi e le emissioni derivanti dai propri investimenti. Pertanto, nel Patto per il Clima, si sottolinea la necessità di standard rigorosi e della divulgazione dei dati per garantire l’integrità dei piani zero netto del settore privato. E 36 paesi richiederanno alle aziende di fornire agli investitori l’accesso a informazioni affidabili sul rischio climatico per guidare i loro investimenti in aree più verdi. Per garantire un approccio globale alla divulgazione del rischio climatico ai mercati finanziari, oltre 40 paesi - che rappresentano oltre l’83% del PIL globale - sosterranno un nuovo organismo internazionale, l’International Sustainability Standards Board (ISSB), che svilupperà standard di divulgazione della sostenibilità. Questi impegni dei Paesi ricchi appaiono come un primo segnale di comprensione di quanto osservato nella Lettera Enciclica LAUDATO SI’, sulla Casa Comune, dal Santo Padre Francesco: “Vorrei osservare che spesso non si ha chiara consapevolezza dei problemi che colpiscono particolarmente gli esclusi. Essi sono la maggior parte del pianeta, miliardi di persone. Oggi sono menzionati nei dibattiti politici ed economici internazionali, ma per lo più sembra che i loro problemi si pongano come un’appendice, come una questione che si aggiunga quasi per obbligo o in maniera periferica, se non li si considera un mero danno collaterale. Di fatto, al momento dell’attuazione concreta, rimangono frequentemente all’ultimo posto. Questo si deve in parte al fatto che tanti professionisti, opinionisti, mezzi di comunicazione e centri di potere sono ubicati lontani da loro, in aree urbane isolate, senza contatto diretto con i loro problemi. Vivono e riflettono a partire dalla comodità di uno sviluppo e di una qualità di vita che non sono alla portata della maggior parte della popolazione mondiale. Questa mancanza di contatto fisico e di incontro, a volte favorita dalla frammentazione delle nostre città, aiuta a cauterizzare la coscienza e a ignorare parte della realtà in analisi parziali. Ciò a volte convive con un discorso “verde”. Ma oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri.”

Riguardo il quarto dei principali temi del Patto per il Clima di Glasgow, la Collaborazione, è da evidenziare la rilevanza del Programma di lavoro di Glasgow , decennale, per rafforzare ed accelerare la collaborazione tra governi, imprese e società civile per raggiungere più rapidamente gli obiettivi sul clima. In particolare in materia ​​ di energia, veicoli elettrici, spedizioni e materie prime. Lo stesso Programma contiene tra l’altro il “Libro delle regole dell’accordo di Parigi” che stabilisce responsabilità e modalità Lamezia e non solo

di controllo che ogni Paese deve rispettare nell’attuazione degli obiettivi da realizzare a livello nazionale dei “Contributi Nazionali Determinati” (NDC). Per rafforzare gli interventi sull’Azione finalizzata all’emancipazione climatica Action for Climate Empowerment (ACE) il Programma di lavoro di Glasgow comprende i seguenti sei elementi: educazione al clima, sensibilizzazione del pubblico, formazione, accesso del pubblico alle informazioni, partecipazione del pubblico e cooperazione internazionale. Attraverso un rapporto di trasparenza (Biennal transparency report) BTR che dovrà essere pubblicato da ogni Paese sarà possibile monitorare i progressi nell’attuazione dei Piani e il raggiungimento degli NDC. In particolare, allo scopo di monitorare i progressi nell’attuazione e nel raggiungimento degli NDC, i Rapporti biennali di trasparenza, oltre agli inventari delle emissioni e degli assorbimenti dei gas serra, dovranno specificare le politiche e le misure adottate a livello nazionale per il raggiungimento dell’obiettivo di riduzione delle emissioni e la valutazione quantitativa, in termini emissivi, delle azioni climatiche adottate. Gli stessi rapporti saranno sottoposti a revisione tecnica da parte di esperti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change) UNFCCC e costituiscono il pilastro del nuovo quadro di trasparenza (ETF) dell’Accordo di Parigi, che entrerà in vigore per tutti i Paesi, sviluppati e non, entro il 2024. In pratica gli elettori di ogni Paese devono poter valutare la validità delle decisioni sulla politica climatica del proprio governo e i media poter fornire informazioni affidabili, basate su dati scientifici e fatti reali sui cambiamenti climatici; i consumatori da tali informazioni potranno facilmente distinguere i fatti dalle falsità. In proposito è significativo quanto evidenziato da Patricia Espinosa, Segretario Esecutivo delle Nazioni Unite per il Cambiamento Climatico: “Il rafforzamento del programma di lavoro di Glasgow sull’ACE riflette una crescente consapevolezza che per mantenere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi di contenere l’aumento della temperatura media globale il più vicino possibile a 1,5°C a portata di mano, tutti, in tutti i ceti sociali, hanno bisogno di comprendere le cause e gli impatti del cambiamento climatico, ed essere istruiti e autorizzati a contribuire alle soluzioni”. La necessità di coinvolgere ogni persona in ogni ambito con l’obiettivo di cambiare davvero la situazione planetaria è stata sottolineata dal noto naturalista e divulgatore scientifico inglese David Attenborough. Lo stesso naturalista nel suo intervento alla COP26 a Glasgow ha invitato i leader mondiali a fare della lotta ai cambiamenti climatici “un’opportunità per creare un mondo più equo”. E, rivolto in particolare ai giovani, ha sottolineato: “Nella mia vita ho assistito ad un terribile declino. Nella vostra potreste assistere ad una splendida ripresa”.

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trame Trentesimo anniversario dell’attentato al sovrintendente di Polizia

Salvatore Aversa e a sua moglie Lucia Precenzano: l’Associazione Antiracket Lamezia intitola la sala di Civico Trame all’insegnante lametina finita nel mirino dei clan COMUNICATO STAMPA

Un percorso di conoscenza e condivisione delle storie delle vittime innocenti di ‘ndrangheta rimaste senza giustizia, con lo scopo di rinnovare e costruire una memoria storica locale condivisa in difesa delle istituzioni democratiche. È questo l’obiettivo che si è posto l’Associazione Antiracket Lamezia, insieme con la Fondazione Trame e il sostegno di A.G.E.S.C.I Zona del Reventino e di altre associazioni, con la proposta dell’istituzione di una “Giornata della Memoria Lametina delle Vittime di ‘ndrangheta”. La data del 4 gennaio è una tappa importante in questo cammino di riappropriazione della verità storica, che ALA Onlus onora oggi intitolando la sala principale di Civico Trame, centro culturale polivalente, alla donna, educatrice, madre e moglie, vittima innocente del duplice omicidio che sconvolse la città di Lamezia Terme nel 1992. La targa a Lucia Precenzano, docente stimata, in via degli Oleandri, contribuirà a mantenere sempre vivo il suo ricordo in un presidio di cittadinanza eclettico che propone ai giovani e ai volontari che lo frequentano percorsi educativi e culturali fondati sui principi della legalità e della partecipazione civica. La sua figura negli anni è spesso rimasta nell’ombra, talvolta oscurata da quella intransigente e carismatica del marito, memoria storica locale del Comando di Polizia, e dai risvolti della vicenda. Lucia si era macchiata unicamente della colpa di aver voluto stare accanto ad un uomo col quale condivideva valori e ideali. I suoi sogni, la sua vita ingiustamente spezzata, il suo coraggio di donna, oggi sono un pungolo per l’impegno contro la ‘ndrangheta. L’omicidio Aversa - Precenzano resta tra le pagine più buie della storia calabrese. Consumato negli anni in cui il comune di Lamezia Terme era stato sciolto per la prima volta per infiltrazioni mafiose e le cosche avevano iniziato a investire nel campo dei rifiuti. Il sovrintendente di Polizia aveva iniziato a occuparsi delle misure di prevenzione da adottare nei confronti dei boss locali. Pare avesse già pronto un dossier da inviare alla procura. Nel tardo pomeriggio di quel 4 gennaio, nella centralissima via dei Campioni, i coniugi furono raggiunti da diciassette colpi sparati da una calibro 9. Fu un omicidio tanto cruciale da richiedere un importante depistaggio e un’accurata pianificazione. Le indagini si indirizzarono subito verso gli ambienti della malavita locale, ma la vicenda giudiziaria successiva fu lunga e tortuosa, fatta di inquietanti silenzi e false testimonianze. Solo nel

2004 i colpevoli saranno incriminati, ma tanti aspetti rimarranno nell’ombra. Il trentesimo anniversario della loro morte è un monito per ricordare che le mafie, pur essendosi evolute, uccidono ancora e in molti modi. Perché la storia del nostro territorio è anche quella dei condizionamenti mafiosi e la memoria condivisa è un valore civile essenziale per fronteggiarli. La proposta dell’istituzionalizzazione della “Giornata della Memoria lametina delle vittime di ‘ndrangheta” del 24 maggio, per la quale l’iter istruttorio è già stato avviato, è emblematica perché ricorre nell’anniversario dell’altra strage mafiosa, quella del 1991 nell’ex comune di Sambiase, in cui persero la vita i due giovani netturbini dipendenti comunali Francesco Tramonte e Pasquale Cristiano. I due attentati terroristico-mafiosi, del ’91 e del ’92, sono strettamente connessi tra di loro: al primo seguì lo scioglimento per infiltrazione mafiosa del Consiglio Comunale di Lamezia Terme, a pochi mesi dal rinnovo elettivo dell’amministrazione, aprendo il biennio nero dell’attacco della ‘ndrangheta alla città che vedrà poi, il 4 gennaio 1992, l’altro gravissimo agguato. Oggi, a trent’anni di distanza dai fatti, il valore istituzionale e sociale della lotta alle mafie non può che tradursi in un impegno quotidiano di resistenza e contrasto, espressione della volontà collettiva di non dimenticare e non rassegnarsi ulteriormente all’assedio costante e silenzioso della criminalità organizzata sul territorio.

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I Meridiani: Voci calabresi in serie e parallelo

La jennacca: tra gioielleria ed etimologia di Francesco Polopoli

«Per vedere le donne nel loro pieno fulgore bisogna scegliere una domenica o un giorno festivo, inoltre è consigliabile recarsi alla fonte di Santa Lucia…le loro grazie naturali sono messe in rilievo dagli elaborati ornamenti di finissimo gusto e dalle graziose acconciature con due riccioli pendenti davanti alle orecchie…». Così scriveva nel 1915 Norman Douglas, parlando delle donne di San Giovanni in Fiore nel suo Old Calabria, reportage di viaggio in una delle terre meno conosciute d’Italia: nel passo succitato si fa riferimento a quel monile costituito da grani d’oro, detti “chicchi” e micro-perle. E qui apro una brevissima digressione, prima di esaminare l’aspetto linguistico: al momento del fidanzamento ufficiale tra una coppia di giovani del luogo, il rapporto tra la suocera e la futura nuora veniva consolidato dall’omaggio della Jennacca, una collana formata da grani d’oro sferici vuoti o traforati con decorazioni in filigrana e anche con perline scaramazze (in caso di rottura veniva restituito alla donatrice, è giusto pure puntualizzarlo!). Detto questo, da dove discende la parola “jennacca”? Una frangia linguistica la connetterebbe all’arabo “hannaca”, che vuol dire collana. Per me è frutto di un tedeschismo, molto verosimilmente influenzato dal contatto germanico. Da “eine eichel” (piccola ghianda): Lamezia e non solo

simbolo di vita, fertilità e virilità, oltre che di giovinezza. Nella Bibbia, la ghianda ricorre spessissimo: se ne ciba il figliol prodigo nei Vangeli e Abramo il patriarca nell’Antico Testamento. James Hillman, allievo di Jung, ha costruito una vera e propria laudatio della ghianda ne “Il codice dell’anima”. Nella sua teoria, l’autore afferma che in ciascuno di noi, fin dall’inizio, dall’atto della nascita, è presente un seme, la nostra ghianda, che ci ricorderà ciò che siamo chiamati a realizzare. Anche quando faremo scelte diverse, quando negheremo a noi stessi ciò che siamo, il seme non morrà, racchiuderà sempre tutta la sua prospettiva: la nostra potenzialità. Tutto è lì, la nostra essenza, quella particolarità unica che ci appartiene e che non può essere annullata, ma che va solo risvegliata e lasciata emergere. Quel che siamo “è”. Non può essere diversamente. La ghianda ha in sé il mistero e la bellezza della vita, come il suo albero. La quercia è possente, maestosa, robusta, essenziale, elegantemente rustica. Ed è prolifica: i suoi semi si accontentano di poco per generare nuovi alberi che resisteranno a tutte le difficoltà. Una crescita lenta, per radicare bene, per adattarsi al terreno, per vivere a lungo ed essere apprezzata con rispetto. Il tutto si porta e si dice in un gioiello: che storia affascinante, vero!?

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sanità

Centro Regionale Neurogenetica di Lamezia Terme: scoperta una nuova mutazione del gene VCP associata a Demenza frontotemporale (DFT) Prosegue l’attività di ricerca sulle malattie neurodegenerative al Centro Regionale di Neurogenetica dell’ASP di Catanzaro con la scoperta di una mutazione correlata alla demenza frontotemporale (DFT) pubblicata sulla prestigiosa rivista internazionale Frontiers in Genetics. Le difficoltà emerse dal trasferimento (DCA 62 del 2020, mai reso operativo) del laboratorio del CRN, all’Università Magna Graecia di Catanzaro, note a tutti, non hanno fermato l’attività del Team. Il Direttore Generale f.f. dott. Ilario Lazzaro, sempre attento all’operato del Centro Regionale di Neurogenertica di Lamezia Terme, intende sostenere e rilanciare le attività di ricerca e clinico-assistenziali, per superare le difficoltà dovute all’emanazione del DCA 62 del 2020. La chiusura di lavori precedentemente avviati e l’analisi dei dati contenuti nel grande Data Base del CRN al momento rappresenta l’unica attività di ricerca del Centro. Ma, grazie al costante e incessante lavoro, reso possibile dalla metodologia ampiamente collaudata che integra le informazioni provenienti dalla clinica, lo studio delle cartelle, la ricostruzione degli alberi genealogici e l’analisi molecolare, si è giunti all’importante pubblicazione dal titolo: “A novel mutation (D395A) in ValosinContaining Protein (VCP) gene is associated with early onset frontotemporal Dementia (FTD) in an Italian family”. Era già noto in letteratura che mutazioni a carico del gene VCP sono associate a Malattia di Paget con Miopatia da Corpi Inclusi e/o Demenza frontotemporale. La nuova variante identificata dal CRN (D395A), invece, causa l’insorgenza di un quadro puro di demenza frontotemporale (nella sua variante comportamentale)

Dirigente Fisico Francesco Bonacci nominato componente CCEPS presso il Ministero della Salute Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 ottobre 2021, registrato alla Corte dei Conti il 17 novembre 2021 al n. 2787, è stata rinnovata la Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie (CCEPS) presso il Ministero della Salute. Tra i componenti effettivi designati dalle Federazioni Nazionali degli Ordini Professionali, per la FNCF (Federazione Nazionale dei Chimici e dei Fisici, per gli affari concernenti la professione di Fisico, è stato nominato il dott. Francesco Bonacci, Dirigente Fisico Medico dell’ASP di Catanzaro.

solitamente sporadica o causata da mutazioni a carico di altri geni. Gli importanti risultati di questo studio suggeriscono che l’analisi del gene VCP dovrebbe essere considerata nello screening genetico della DFT familiare ad esordio precoce, anche in assenza di segni clinici di Malattia di Paget o Miopatia da Corpi Inclusi. Molti casi, infatti, ritenuti finora sporadici, potrebbero essere causati dalla nuova variante identificata. La scoperta è frutto del lavoro sinergico fra i ricercatori del Centro Regionale di Neurogenetica con l’Associazione per la Ricerca Neurogenetica che già in passato ha ottenuto significativi risultati. Risale infatti a pochi giorni fa anche la pubblicazione sull’autorevole rivista Journal of Alzheimer’s Disease dal titolo “A Comparison of Behavioral and Psychological Symptoms of Dementia (BPSD) and BPSD Sub-Syndromes in Early-Onset and Late-Onset Alzheimer’s Disease.

La Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie è un organo di giurisdizione speciale, istituito presso il Ministero della Salute con il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233. In base a predetto decreto e al relativo regolamento di attuazione, approvato con D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221, la Commissione Centrale è preposta all’esame dei ricorsi presentati dai professionisti sanitari contro i provvedimenti dei rispettivi Ordini e Collegi professionali in determinate materie (iscrizione e cancellazione dall’albo, provvedimenti disciplinari di competenza delle Commissioni d’albo; operazioni elettorali). La Commissione Centrale esercita il

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potere disciplinare nei confronti dei propri componenti appartenenti alle professioni sanitarie e dei componenti i Comitati centrali delle Federazioni nazionali. I componenti della CCEPS sono nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, registrato alla Corte dei Conti e durano in carica per un quadriennio. Pasquale Natrella

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C’era un mostro nell’armadio di Antonio Perri

“C’era una volta un Mostro nell’armadio” è una fiaba scritta da Sina Mazzei, docente di Scuola Primaria, richiesta già in campo nazionale da diverse librerie d’Italia. La seconda, dopo “Timére con il cielo dentro gli occhi”, che ha ottenuto anch’essa un grande successo soprattutto nelle scuole. L’insegnante risiede a Pianopoli, un piccolo paese della Calabria, dove la sua passione per la scrittura attinge sogni e speranze per un mondo più autentico. Sina Mazzei riscrive la sua esperienza scolastica attraverso quella che più precisamente si configura come un’allegoria morale, dotata di un linguaggio semplice ma profondo, che si legge benissimo attraverso gli spunti psico/filosofici, i quali permettono lo sviluppo del pensiero critico divergente, a partire dalla scuola Primaria. La fiaba, edita dalla casa editrice Grafichèditori di Antonio Perri in Lamezia Terme, è stata inserita in una collana di fiabe per bambini, denominata “Demetra”. Essa annovera come protagonisti, degli animali che, nel loro aspetto antropomorfico, personificano i conflitti interiori e suggeriscono, in maniera gentile, un modo per risolverli. <<Paride, coi suoi Mostri nell’armadio - afferma l’autrice Mazzei - altro non è che la grande metafora delle nostre insicurezze più profonde, ovvero nel nucleo più profondo del Sé, la parte più intima ed originaria di ogni persona, che hanno radici fin dall’infanzia e che, pertanto, necessitano di trovare la luce giusta per la maturazione e la crescita sociale. Le grandi cose iniziano sempre dall’interno, Paride è’ il simbolo stesso dell’anima in trasformazione e del viaggio che ciascun essere intraprende durante la sua vita, alla ricerca di se stesso e del significato dell’esistenza, per innescare così, quel cambiamento di consapevolezza di se stessi e della realtà. Un nome che significa «rinascita» poiché il protagonista affronta, con coraggio, le paure dell’inconscio nelle sue vie intrinseche, dove guardarle in faccia, capirle, accettarle, e convivere il più serenamente possibile con loro. Da qui la forza della conoscenza verso la consapevolezza. >> 'LYLGLDPRFL« 7X 7HR YDL GL Oj SHU OH SUXJQH LR GL TXD SHU O¶XYD H WX Paride, raccogli le mele GDO SULPR DOEHUR che incontri…

E’ per l’evidente finalità formativa e Lamezia e non solo

didattica, la fiaba merita di essere adottata nelle scuole diventando un proficuo stimolo per la crescita umana, sociale e culturale dei bambini. La prefazione è stata magistralmente curata dalla Dott.ssa in filosofia Valentina Isabella la quale sostiene che “la Gola dell’Abisso permette di mostrare la verità a chi ancora non la conosce. Paride è l’Eroe che preferisce, dapprima, stare tra le mura di casa, al riparo, da un mondo che vede come nemico. Ma la casa è solo il luogo dove poterci riparare? Anche e non solo. È il nostro posto sicuro, il luogo dove possiamo davvero metterci comodi e guardare i mostri nell’armadio.Nella storia, i luoghi, i personaggi, le parole, gli eroi rimandano ai vissuti personali, ad esperienze di vita reale, alle difficoltà che si incontrano ogni giorno, alle sconfitte e conquiste, poiché la storia di Paride è la storia di tutte le storie. Non è una storia da leggere tutta d’un fiato, ma è uno stimolo a pensare, un modo per filosofare. Quel modo di ragionare filosofico che permette di indagare con curiosità la realtà, saper fare distinzioni, fare passi in avanti e poi indietro, e ancora quell’attitudine ad accettare il proprio limite e trovare il coraggio di andare nell’abisso e correre il rischio. Ma è un racconto per bambini? Non è detto. La lettura può essere stimolante per adolescenti, educatori, facilitatori, insegnanti che intendono soffermarsi sul valore della parola, ma soprattutto che vogliono educare a guardare in faccia i mostri invece di evitarli. Inoltre, la lettura può essere apprezzata, da tutti coloro che desiderano vivere da svegli, e decidono di mettersi intenzionalmente in viaggio verso la conoscenza. Qui il personaggio rappresenta le insicurezze, le incertezze più profonde, il conflitto, il disagio di non aderire alle convenzioni sociali (che accecano, e parecchio), la frustrazione di chi non sa maneggiare la propria intimità, la disperata ricerca di ciò che ancora non conosce, e la narrazione mentale di chi non vive il presente. La fragilità dinanzi al giudizio, la paura di non essere abbastanza capace, disattendendo le aspettative dell’adulto, la figura paterna come certezza, e modello a cui assomigliare; la relazione con la madre, con i fratelli e con l’ambiente. Inoltre, la sensibilità d’animo permette a Paride di sentire il suo disagio, rimanendo prigioniero dei suoi pensieri, incatenatovi sin da fanciullo, per il suo modo di stare nel mondo. Soltanto un istinto profondo, lo trascina verso la vera realtà (a cui si accede uscendo dalla caverna di Platone) e vedere la luce, per accorgersi di aver vissuto nell’oscurità. In tutto questo si rivela Sina, un’insegnante che riscrive la sua esperienza di docente della scuola primaria, attraverso un’allegoria disegnata con colori accesi, utilizzando le abili metafore per incoraggiare ad affrontare le difficoltà, come possibilità per crescere e diventare grandi. “ Non lasciatemi da solo, SHU IDYRUH ho freddo!

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Comune di San Pietro a Maida

Presentato il primo romanzo giallo a San Pietro a Maida in occasione della Rassegna del Libro con il suo Parole in Sala. Chiusa un’altra stagione si ripartirà in Primavera con i nuovi appuntamenti.

Presentato il primo romanzo giallo a San Pietro a Maida in occasione della Rassegna del Libro con il suo Parole in Sala. Chiusa un’altra stagione si ripartirà in Primavera con i nuovi appuntamenti. Parole in Sala la rassegna del libro sampietrese assume il colore giallo con “ Il Cimitero “ romanzo di Stefano Scarpa, portoseguroeditore. Stefano Scarpa nato a Trieste e trapiantato a Roma dove si impegna come copyrighter e regista di teatro e televisione. Ad introdurre e moderare la discussione l’assessore alla cultura Loretta Azzarito che ha subito posto le prime attenzioni sulla capacità dell’autore di ambientare il romanzo nella bellissima Trieste in modo scenico, offrendo al lettore la possibilità di guardare un vero film attraverso la lettura. Dice l’assessore che Trieste attraverso i suoi castelli, i suoi Caffè, Piazza Unità d’Italia, la Sinagoga, la Risiera di San Sabba è l’ambientazione

di Loretta Azzarito

e lo sfondo architettonico e artistico del thriller di Stefano Scarpa “Il Cimitero”, dove suspense ed emozioni forti accompagneranno il lettore che si sorprenderà al pari del protagonista Demostene Psimaris antiquario, di origine greca che ha trascorso la maggior parte della sua vita a Trieste e che ora da uomo compiaciuto del proprio lavoro e libero nelle sue convinzioni morali, nei panni di un astuto e coraggioso investigatore va oltre il ritrovamento del quadro, prezioso cimelio di famiglia per la bella e affascinante Elke Ghersina, vedova di Mauro Ghersina assassinato in circostanze poco chiare cinque anni prima. Stefano Scarpa, continua la Azzarito riesce a mettere in scena crimini premeditati e nello stesso tempo impegna l’attenzione del lettore sulle descrizioni graduali dei vari personaggi. In questo romanzo il passato è il tessuto di questo presente, è ben noto un parallelismo tra il Potere per il bene della società ed il Potere ai fini della propria personalità ed è subito chiara la dicotomia tra il fare e pensare con tutte le contraddizioni morali della vita. La discussione ha avuto prosieguo con le riflessioni della giovane studentessa in Giurisprudenza Lucia Villella, appassionata di libri Gialli, che ha evidenziato quanto il libro sia molto intenso, interessante e scorrevole da leggere tutto ad un fiato. Viene descritta Trieste nei suoi particolari quasi ad indurre ad immaginare i personaggi camminare per Trieste dice la studentessa Villella e aggiunge che alla fine del libro ha avuto la sensazione che tutti i personaggi fossero vinti, ricordardo la tragedia greca “Medea” , anche qui l’assassino si comporta esattamente come coloro che si sono comportati male. Dunque la giustizia da sé, è una giustizia vendetta che rattrista. La Villella si complimenta con l’autore per l’abilità descrittiva dei personaggi offrendo l’opportunità al lettore di amarli o di odiarli, e per la scelta di un magistrato donna, in quanto nei libri gialli è difficile ammirare il ruolo di donne in prima linea, e non è il caso de Il Cimitero, con la coraggiosa e ambiziosa “Valentina Stuparich “. Tra un intervento e un altro è stata data lettura ad alcune pagine del libro da Pasqualino Bichiri studente della classe 3°A della Scuola secondaria di primo gra-

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do di San Pietro a Maida, tra cui: la rappresentazione del cimitero ebraico nel quadro, la descrizione dell’omicidio da parte del medico legale, l’interrogatorio della Stuparich ai parenti della vittima. A seguire l’intervento del Sindaco, Avv. Domenico Giampà che ha ricordato come Parole in Sala rappresenti l’ossigeno amministrativo proprio perché oltre al pregio degli scrittori locali, ci consente non solo di affrontare diversi generi , ma anche di spostarci da regione in regione. Dice il Sindaco che nel libro si percepisce molto il tema della giustizia, così come l’importante dicotomia tra il limite della pubblica accusa e la garanzia del diritto alla difesa. Il testimone continua Giampà non è supportato dalla difesa nel momento in cui si svolge l’interrogatorio nel caso del libro ad opera del magistrato. Chi risponde è privo del diritto della difesa, non può essere assistito da un altra figura professionale tecnica che in questo caso è l’avvocato. Nel libro emergono due cose affascinanti, si percepisce molto l’azione cinematografica, nella bellissima Trieste che l’autore stimola molto a visitare almeno una volta nella vita e poi è molto bello anche l’intreccio, aggiunge Giampà, insieme all’elemento superstizioso. Infine conclude dicendo che la circostanza di svolgere un ruolo , quello di Demostene un investigatore non per professione ma per vocazione incuriosisce molto. Partono dunque dalla collinare sampietrese coperta di

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uliveti, tante riflessioni sul romanzo ambientato a Trieste, l’altro capo della Penisola come sottolinea l’autore Stefano Scarpa, felice, per avere realizzato che la grande forza della realtà triestina, per molti aspetti ancora potenziale , sta nella presa di coscienza delle complessità, patrimonio inestimabile. Tante le domande all’autore, sull’individuazione del personaggio principale, la descrizione dettagliata dei vari personaggi, l’affermazione dell’ostentazione della ricchezza in alcuni personaggi. Scarpa sottolinea che l’omicidio viene effettuato nel modo più verosimile, particolare e non banale. Il personaggio principale da cui è partito è l’assassino e se l’assassino non è Demostene e non è Valentina allora questi ultimi vanno ricostruiti in un secondo momento. Quello che si prefigge l’autore da lettore è riuscire a vedere una storia circolare, una storia cioè con un inizio e una fine coerenti. È importante che ci sia una coerenza tra l’inizio e la fine, ribadisce per rendere tutto plausibile. Scarpa aggiunge che contemporaneamente alla scrittura visualizza il personaggio, che nella storia ha un ruolo. C’è una dicotomia tra il fare e l’essere perché Augusto cognato di Elke e Mauro, ostenta la ricchezza e a Demostene questo non piace affatto. Ma Demostene è un po’ contraddittorio dice l’autore, perché critica l’ostentazione in quanto ci trova esibizionismo, ma è un narciso anche lui, forse nella forma meno odiabile. L’ esistenza del quadro e la sua peculiarità ai fini del Romanzo, tutto gira intorno al suo ritrovamento, è sicuramente ispirazione del nonno materno collezionista di quadri dallo smantellamento di panfili di vecchia data. Con Il Cimitero di Stefano Scarpa si chiude un’altra stagione della Rassegna del libro per poi ripartire in Primavera con i nuovi appuntamenti.

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cara scuola ti scrivo

Che fatica essere marito di una maestra

di Daniela Magnone

Quando un uomo sposa una maestra è un po’ come se maestro ci diventasse pure lui! Li riconosci subito da come parlano e dai tanti gesti che compiono senza darci neanche tanto peso. Ormai è una guerra persa in partenza:sono rassegnati a dover riflettere attentamente prima di pronunciare un congiuntivo… guai se scappa un “SE AVREI”, sarebbe una tragedia in famiglia!!. Poveri uomini… costretti a non poter neanche buttare un rotolo di carta igienica come tutti gli altri uomini fanno… potrebbe servire per qualche

lavoretto. E se poi la moglie ha una classe numerosa la raccolta inizia mesi e mesi prima del Natale! E della DAD vogliamo parlarne? Ogni marito di una maestra, qualunque sia stato il suo lavoro, si è dovuto trasformare in un tecnico del computer, in un microfonista, in un esperto di collegamenti… E guai a camminare liberamente per casa magari addirittura canticchiando… le maestre sono

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sempre collegate!! Poveri mariti delle maestre… per passare da una stanza all’altra sono stati costretti a sgattaiolare come fossero ladri.

“ Quest’anno non voglio prendere alcun incarico, mi chiudo in aula e faccio solo il mio lavoro”… dicono le maestre ogni settembre e i mariti puntualmente sanno che non sarà assolutamente vero ma non hanno il diritto di replicare!

Che fatica essere il compagno di una maestra quando si avvicina la fine del quadrimestre!

Se sei il marito di una maestra sai anche che a casa si sentirà solo la voce di tua moglie.

In casa non si fiata! Che tensione! Guai ad aprire bocca, ci sono le schede di valutazione da completare, i voti da assegnare, i giudizi da formulare.

Tutti rassegnati i mariti delle maestre ad avere una compagna che scandisce le parole come se fosse sempre in classe prima, che lascia brillantini ovunque a Natale, che si arma di pistole per la colla a caldo in ogni periodo dell’anno, che non fa altro che desiderare una vacanza da sola su un’isola deserta e poi alla fine quando partite per andare in vacanza in un villaggio turistico non la ferma più nessuno neanche durante la baby dance! E’ una maestra!!

E allora che fa il marito di una maestra? PIZZAAAAAAA||||| Stasera pizza! Che grandi uomini che sono i mariti delle maestre… SANTI SUBITO|| Arriva lo spettacolo di fine anno e che fa il marito di una maestra? Sei un impiegato? Poco importa… ti tocca fare il trasportatore! Sei un ufficiale? Poco importa… devi fare lo scaricatore! Sei un fisioterapista? Poco importa… devi aiutare aiutare a colorare lo scenario! Che grandi uomini che sono i mariti delle maestre… SANTI SUBITO||

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E allora grazie a tutti i mariti delle maestre. Grazie per la vostra pazienza, per il vostro supporto, grazie per i vostri contributi… ma ritenetevi pure dei privilegiati perché essere marito di una maestra significa vivere ogni giorno, di riflesso, un pezzettino di vita scolastica, di vita vera, quella che solo i bambini sanno donarci. Viva la Scuola, viva le Maestre e viva i mariti delle Maestre!!!

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la natura

IL RITORNO DI GIOVE NEL SEGNO DEI PESCI di Palma Colosimo

Il nuovo anno si apre con l’ingresso di Giove nel segno dei Pesci, questo passaggio che durerà circa un anno attiverà delle funzioni psicologiche nell’inconscio collettivo e nella coscienza umana. In astronomia questo pianeta viene anche chiamato il grande gigante gassoso, è 300.000 volte più grande della Terra, e la sua massa è pari al 70% di quella del nostro Sistema Solare, ( escluso il sole). La sua superfice è solcata da nubi e tempeste. Il pianeta genera pericolose radiazioni ed insidiosi campi magnetici, che si estendono oltre l’orbita di Saturno, al pari di un fulmine scagliato da Zeus nel Sistema Solare Eterno. E’ sorprendente come il mito sia così esplicativo, gli antichi greci infatti narravano che Zeus, nascondesse le sue attività nefaste dentro nubi vorticose e solo la sua sposa Hera aveva il potere di squarciarle cogliendolo di sorpresa durante le sue malefatte. Zeus ( il Giove romano), era il padre di tutti gli Dei del Pantheon, figlio dei titani Crono e Rea, si era conquistato il trono spodestando il padre. Crono infatti era un tiranno che ingoiava i propri figli appena nati, il suo intento era di scongiurare la profezia di Gea, secondo la quale sarebbe stato spodestato dal proprio figlio. Il Fato volle per Zeus un destino diverso, la madre Rea lo salvò dalle fauci del padre e lo diede in custodia alle sue ninfe. Giunto in età adulta insorse contro suo padre, liberò i suoi fratelli, ed esiliò Crono nel tartaro a meditare sui propri errori, iniziò così l’era degli Dei olimpi. Zeus era il Dio del tuono, dei fulmini, delle tempeste, del potere e dei giuramenti, esercitava la giustizia ed era custode dell’ordine universale. Nella tradizione astrologica Giove viene identificato come il grande benefico, portatore di ricchezze, prosperità, e benessere in generale ma anch’esso non si esime dal dualismo. Le sue energie dilatano ed amplificano ciò che trovano, sia nel bene che nel male, il lato oscuro di Giove è rappresentato dall’avidità, che possiamo osservare anche astronomicamente nelle dimensioni del pianeta, il quale per essere tale ha dovuto fagocitare enormi quantità di materiale stellare. In astrologia psicologica la funzione di Giove è quella di non accontentarci di quello che siamo o che abbiamo, ma di ampliare

la nostra visione e la nostra mente, attraverso l’esplorazione e la conoscenza. Questa sete di conoscenza può essere rivolta verso la cultura e la filosofia, o verso una ricerca interiore, oppure ancora verso la scoperta di posti nuovi, nuove culture e nuovi modi di vivere Nel segno dei Pesci le energie Gioviane sono rivolte verso la spiritualità, al credere che non siamo soli in questo mondo, ma che esiste un essere divino che ci aiuta nel nostro cammino attraverso la provvidenza. Facendo una similitudine con il mito, Zeus era un gran seduttore ed aveva generato molti figli, ma egli non li abbandonò mai a loro stessi, veniva in loro aiuto nei momenti di difficoltà. Il viaggio che ci suggerisce il pianeta nel segno dei Pesci è all’interno di noi stessi, ad esplorare parti di noi dimenticate o sconosciute, per fare questo viaggio abbiamo bisogno di fede e di coraggio portando avanti il nostro bagaglio interiore. Potremmo così trasformare quello che è negativo in positivo, acquisire una nuova consapevolezza e dare significato a ciò che ci è accaduto nella nostra vita. Giove ci spinge a credere in un futuro migliore e che domani ci sarà sempre un’altra possibilità, ciò che aspira il pianeta in questo segno è l’amore disinteressato, la solidarietà ed una ritrovata umanità. Il lato ombra di questa energia è il vittimismo, spesso accade che si fa del bene e ci adopera per gli altri aspettandoci un tornaconto o quantomeno un ringraziamento. Quando questo non avviene il mettersi a disposizione e dire sempre di si può portare a coltivare rabbia e rancore, un rancore sordo e nascosto che fa del male sia a chi lo ha generato, che chi lo riceve. Bisogna quindi tenere sempre a mente che il bene si fa per amore dell’altro senza aspettarsi nulla in cambio. L’astrologia psicologica, non ha interesse nelle previsioni per il futuro, perché esso è in mano agli uomini non alle stelle. Mi permetto di essere ottimista, e non una veggente chiariamo, su un aspetto armonico che si genererà verso la fine del mese di Aprile dove Giove si congiungerà con Nettuno e Venere, tutti questi pianeti faranno un sestile con il nodo lunare Nord in Toro. Questo aspetto potrebbe portare a scoperte importanti. Nettuno rappresenta sia il nostro sistema immunitario, sia i virus, la congiunzione a Venere simbolo anche della salute e della fortuna minore ed il coinvolgimento del nodo lunare che rappresenta il Karma, forse porterà ad una svolta positiva. L’importante è essere ottimisti e positivi, ricordatevi che Giove amplifica. Per l’astrologia tradizionale i segni che saranno più favoriti saranno quelli d’ acqua bene anche per quelli di terra anche se la Vergine farà un po’ più di fatica. Controllate in che casa del vostro tema natale transiterà Giove, per sapere in quale settore della vita, risentirete di più delle sue energie. Durante la notte tra il cinque ed il sei gennaio, la notte dei magi, abbiamo assistito all’abbraccio di Giove congiunto alla Luna, spero esso possa essere di buon auspicio per tutti noi. Vi auguro di cuore cari lettori Buon 2022!

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Lamezia e non solo


istituto comprensivo perri-pitagora

La magia dei canti natalizi dell’Istituto Comprensivo “Perri - Pitagora” torna ad emozionare Lamezia Terme Lamezia Terme, 18 dicembre 2021 - Come ogni anno, l’Istituto comprensivo “Perri-Pitagora”, in occasione delle festività natalizie, ha regalato alla sua città il tradizionale concerto “In…canto di Natale”, giunto alla sua 26° edizione. La magica atmosfera del Natale ha invaso il centro della città e i cuori dei tanti spettatori presenti ieri sera all’esibizione dei bambini delle quinte classi della scuola primaria, che hanno intonato i canti natalizi dalla scalinata dell’edificio scolastico “Maggiore Perri”. Come sempre i piccoli scolari hanno saputo regalare forti emozioni all’intera città, suscitando grande entusiasmo e commozione in tutti i presenti. I bambini, con i loro cappellini e le sciarpette hanno colorato di rosso la scalinata d’ingresso dello storico edificio su corso Giovanni Nicotera. È stato uno dei concerti più belli ed emozionanti della storia dell’Istituto, anche perché per la prima volta i bambini sono stati accompagnati dal vivo dall’orchestra della scuola media “Pitagora” abilmente diretta dai maestri Giuseppe Rotella, Rosa D’Audino, Claudio Fittante e Gerardo Olivo. Dietro a questo emozionante evento c’è una grande e attenta preparazione, che viene svolta dai docenti sempre in modo impeccabile. Una manifestazione resa possibile soprattutto grazie allo straordinario lavoro della Dirigente dott.ssa Teresa Bevilacqua, ogni giorno impegnata affinché tutto vada per il meglio nella gestione dell’intero Istituto comprensivo. Alla riuscita manifestazione canora hanno portato i loro saluti, oltre che la dirigente scolastica, anche il sindaco di Lamezia Terme Paolo Mascaro e il parroco don Antonio Brando. “Finalmente la nostra scalinata è colorata di rosso e riempita del calore dei nostri bambini - ha detto la dirigente scolastica Teresa Bevilacqua - quasi dopo due anni di emergenza per la pandemia siamo veramente felici di poter fare il nostro concerto in questa splendida cornice, che quest’anno ha anche delle luminarie bellissime. Siamo veramente emozionati e convinti che proprio dai bambini deve partire il messaggio per la ripresa della nostra società e della nostra vita, per il ritorno alla vita vera senza più mascherine e distanziamenti. Noi siamo qui con il cuore, con il grande cuore che batte all’interno della nostra scuola; una scuola che sta affrontando con molto coraggio e con determinazione questa emergenza in sicurezza. E una cosa che stiamo cercando di fare in questi due anni è di non far mancare ai nostri alunni le opportunità di vivere alcune emozioni, cercando di garantire loro tante cose che la pandemia ci ha tolto. Insieme a tutto il personale scolastico, il personale docente e non docente e agli alunni, vogliamo porgere a tutta la città il nostro augurio di un Natate di speranza, di pace e di serenità, che faccia ritrovare il senso vero della vita, della famiglia, degli affetti e della solidarietà”. Lamezia e non solo

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“Siamo tutti sulla stessa barca” Aspettando la sera

di Angela De Sensi Frontera

La frase di papa Francesco “Siamo tutti sulla stessa barca”, formulata per esprimere la situazione difficile che stiamo vivendo come abitanti del pianeta Terra dal 2020 a causa della pandemia, ci offre una immagine che rappresenta la realtà e nello stesso tempo racchiude la soluzione al gravissimo problema storico attuale. Una barca nella tempesta! Per uscirne… è necessario remare tutti insieme nella stessa direzione…verso il porto sicuro della salute e della buona qualità di vita, verso la normalità. “Remare insieme”…è possibile? Ed è ancora possibile la normalità del passato, o bisogna costruirne una nuova, adeguata ai tempi? Certamente una nuova adeguata ai tempi. L’uomo è in continua evoluzione ed alcuni eventi drammatici, come quelli da noi vissuti in questo periodo, non possono che provocare processi accelerati di maturazione della personalità, sviluppando abilità di adattamento creativo. “Essere nella stessa barca” significa correre il rischio dello stesso pericolo, la malattia o la morte, il disagio psicologico delle restrizioni, il timore del contagio, l’isolamento, la solitudine, il dolore dei lutti, la privazione dell’ultimo saluto, le incertezze economiche, le privazioni conseguenti fino alla rinuncia all’essenziale; tutte situazioni che possono generare attacchi di panico, crisi d’ansia, paure, stati di allerta, stress ad alto livello, depressioni. L’essere esposti a stressor provoca un turbamento dell’equilibrio omeostatico. In queste situazioni gli ormoni dello stress aumentano perché ci si prepara a combattere o a fuggire; nel concreto della situazione pandemica non c’è un nemico visibile da attaccare e combattere, né scappare da esso; c’è solo da star “buoni”, c’è solo da ridurre il libero movimento, fermarsi, chiudersi dentro, preoccuparsi di distanziarsi e ridurre all’essenziale i contatti con gli

altri, celarsi dietro maschere che ostacolano la respirazione, confondono la fisionomia, rendono difficile la comunicazione. Investire energia per ridurre o bloccare il libero movimento è ancora più stressante rispetto a una situazione in cui l’attacco o fuga sia possibile. Si ha paura e non si può scappare, né attaccare. Non solo si rompe l’equilibrio omeostatico dell’individuo, ma aumenta notevolmente lo stress provocando un “carico ollostatico”, che permette all’organismo di adattarsi alle circostanze di rischio e di disagio. Gli ormoni prodotti proteggono l’organismo, nel breve periodo, ma a lungo andare risultano molto usuranti. Come se un auto camminasse con il freno a mano alzato al massimo. Non è necessario soffrire di patologie psichiche pregresse per risentire di una situazione che da sola genera ansia, insonnia, disturbi mentali, patologie somatiche cardiovascolari e respiratorie, perché… molto frustrante. I governi, nel momento in cui mettono in atto le strategie per evitare il contagio, tipo distanziamento e isolamento, debbono conoscere e prevenire le conseguenze psicologiche di un isolamento prolungato. Come? Offrendo opportunità di vita alternativa. Il mantenimento della stabilità, l’omeostasi, in queste situazioni, può essere realizzata attraverso il mutamento di abitudini di vita, stili di vita funzionali nonostante le norme di ristrettezze. Conoscere il funzionamento del nostro sistema immunitario, conoscere come attivare e sviluppare la resilienza, che è in ognuno di noi, come tenersi per mano invisibilmente, comunicando energia ed informazioni, aiuto reciproco e solidarietà, significa essere insieme nella stessa barca e remare insieme verso il porto sicuro di una Umanità che non vuole lasciare indietro nessuno e tanto meno se è solo.

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Lamezia e non solo


rime in vernacolo

Le poesie di Luciana di Luciana Parlati

Gastimi E chImu ‘na sciorta liquita ‘i facera sfigurari, ca mancu allu cessu puteranu arrivari!! E chImu ‘na botta d’ acitu ‘i putera acchjappari, mu ‘un ponu né agghjuttiri né rijatari! E chimu ‘na botta ‘i sangu ‘i putera sdumbari senza cchjù sintiri e senza parrari!! A tutti quanti ‘sti puliticanti ‘sti gastimi ccu llu cori ci mandu, e chImu ‘i cogghji tutti ,e ci ndè tanti, ca tuttu s’hanu mangiatu, e puru l’uassu s’ hanu rusicatu,e di tuttu n’ hanu privatu. E chimu ‘st’ Imu ‘a putimu pagari, l’han’ ‘i vasciari, l’ han’ ‘i vasciari, si no, ppi nua e puru ppi d’illi, su’ cazzi amari. C’era ‘na vota C’era ‘na vota, m’arricuardu ,’u mari a Santa Fhemja oppure a jizzaria ‘ nduvi l’ estati ‘a genti si ‘ndi jia, ‘nu vagnu a si pigghjari in alligria. ‘U matinu,allu priastu,si pigghjava chill’ autobus sgallatu ‘i Fhoderaru Ca…’un partia si ‘mprima tanta genti ‘un lu linchja, e tanta, tanta dintra ‘ndi sagghja ‘nzinc ’a cchi mancu ‘na spingula trasia …..e pu …pua partia…! Chillu viaggiu brevi ni paria ccu tutti ‘i mungimianti e li suduri

‘nu mumentu di svagu e fhantasia. E l’ autobus stipatu ni purtava pi chilla strata chjina ‘i purvirata chjina di fhossi, ancora no asfartata e doppu ‘na menzura s’arrivava, allu mari,…e lu mari cuntiantu n’aspittava, ogni annu aspittava a chilla genti ca dintra l’acqua sua si ricriava e senza spagnu ‘i carni rifhriscava. Cumu era biallu e sciccu chillu mari tuttu saluti, ppi guagghjuni e quatrari. E mo’ ?Mo’ ‘mbeci è ‘na tragedia, ‘u mari s’ha ‘ncazzatu e ‘un si rimedia Ancora a tuttu ‘u mali ca s’ha fattu, ‘u mari è luardu, malatu,’un c’è pattu cchjù d’ amicizia ccu chini l’ha traditu, è spattu è umiliatu ed è feritu, tantu ca ‘un ni vò cchjù mancu vidiri; ‘i villeggianti tutti hanu ‘i spariri. Ccu lli boni ,perciò ,circamu di risorvari ‘a quistioni; ‘un c’è cchjù tiampu ormai, ‘mparamuni ‘a lezioni.

8 dicembre: omaggio floreale alla Madonna in Piazza Ardito Mercoledì 8 dicembre, nella solennità dell’Immacolata Concezione, Lamezia Terme rinnova l’atto di affidamento alla Vergine Maria con il tradizionale omaggio floreale alla statua della Madonna dell’obelisco in Piazza Ardito. Alle 18.30, in Cattedrale, la Santa Messa solenne presieduta dal vescovo Giuseppe Schillaci con i canonici del Capitolo della Cattedrale. Alle 20, in piazza Ardito, il vescovo Giuseppe presiederà un momento di preghiera al quale parteciperanno i canonici del Capitolo della Cattedrale e i parroci della città. Saranno presenti il sindaco Paolo Mascaro e le autorità civili e militari. La collocazione della corona di fiori si realizzerà grazie agli operatori dei vigili del fuoco del distaccamento di Lamezia Terme mentre i volontari dell’Associazione Nazionale Polizia di Stato (ANPS) garantiranno lo svolgimento del momento di preghiera nel rispetto delle regole anti-Covid. S.D.(ufficio per le comunicazioni sociali Diocesi di Lamezia Terme) Lamezia e non solo

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QuestoMondodiMax

Max e i suoi inseparabili Ciuk, Ciarlino e Gustavo

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di Massimo Striglia

Lamezia e non solo


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