Lameziaenonsolo marzo 2020 incontra Pierluigi Taccone

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lameziaenonsolo incontra

di Nella Fragale

Pierluigi Taccone

Questo mese incontriamo Pierluigi Taccone che ringrazio per avere accettato di farsi intervistare e che avviso in anticipo che le nostre interviste sono un po’ lunghe perchè cercano di fare conoscere l’intervistato nella sua globalità e non solo per un “settore”. E’ la politica del nostro giornale questa, parlare solo di fatti e di persone positive, parlare di quel che non va è un onere che preferiamo lasciare ad altri. Quindi ai lettori conoscere meglio l’ospite di questo mese che, sicuramente, vi affascinerà, come ha affascinato me. Marchese di Sitizano e Patrizio di Tropea Pierluigi Taccone, è questo il suo titolo nobiliare completo, un titolo che affonda le radici nel tempo, nel 1797 se non erro. Ha notato se la gente ha una reazione particolare, di sorpresa, curiosità, soggezione, quando sa che lei è un nobile? Devo dirle che il fatto di aver ereditato un titolo non mi ha mai interessato molto, viceversa tengo molto a ciò che la mia famiglia tutta intera ha rappresentato in ogni atto della sua vita. Ci siamo sempre comportati da persone perbene e questo a mio avviso vale più di qualsiasi titolo. Credo che la gente, almeno quella che mi interessa, diffidi e dubiti delle capacità di chi possegga un titolo e sono gratificato quando posso farle mutare opinione. Nell’immaginario collettivo si pensa che la vita dei nobili sia privilegiata Come è stata l’infanzia di Pierluigi? Dorata, o è stata un’infanzia normale, come quella di tutti i bambini? Non ho avuto una infanzia facile. Mio padre era severissimo e non lesinava punizioni, ho ancora il ricordo degli sculaccioni che spesso ammanniva. Ero il primo di tre fratelli e sempre il responsabile di tutti i guai che combinavamo. Ci era precluso tutto, amavo lo sport, mi era proibito, dovevamo solo studiare. Che studente era Pierluigi? Diligente o un po’ discolo? Per ovvi motivi, per evitare rappresaglie familiari, ero obbligato ad andar bene a scuola, quanto meno per essere promosso.

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Alla maturità classica, malgrado la mia poca voglia di studiare, presi tutti sette, cosa non facile per l’epoca. Della scuola, che ho fatto a Napoli, ho tuttora un ricordo non piacevole, restare seduto ai banchi, per quattro o cinque ora al giorno, era per me insopportabile e ne ho ancora viva la sensazione di disagio. E la sua adolescenza come è stata? Ricordi particolari di quel periodo? Ricordo la richiesta costante, ma per paura, poche volte espressa a mio padre di farmi giocare a tennis, che non so per quale motivo mi appassionava moltissimo, avevo un gruppo di amici che lo giocava. E finalmente dopo quattro anni di richieste inesaudite a sedici anni mi fu permesso. Ero portato per questo sport, ed avevo successo, ma anche in questo caso mi furono imposte limitazioni che ancora mi pesano. Lei è sposato con Maria Eleonora Acton di Leporano, principessa. Una curiosità, in questo caso, matrimonio fra due nobili di diverso titolo, i figli quale titolo ereditano? Sono marchesi o principi? Per quel poco che vale, mi sembra anche anacronistico parlarne, da un punto di vista araldico, il titolo si trasmette per linea maschile e quindi il mio primo figlio sarà il prossimo marchese di Sitizano. Come ha conosciuto sua moglie? I miei genitori erano amici dei suoi. A Napoli si frequentavano molto. Di conseguenza avevo conosciuto fin da piccola Manora è questo il nome di mia moglie, per esteso Maria Eleonora, ma devo dire che, data

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una certa differenza di età, non le avevo dato il peso che poi successivamente le ho attribuito. L’ho rincontrata da grande, al ritorno dal collegio, dove aveva svolto gli studi e per me è stato un colpo di fulmine che dura tuttora. Ha dovuto faticare per conquistarla? Tutte le belle donne amano farsi desiderare e mia moglie non ha fatto eccezione. Ha opposto una adeguata resistenza, ma poi fortunatamente ha ceduto. La famiglia di sua moglie, come la sua, possiede una importante azienda agricola nella piana di Gioia Tauro, come è riuscito a gestire due importanti aziende agricole riuscendo a farle emergere nonostante si trovassero in Calabria? Sono stati tempi difficili quelli in cui ho preso in mano l’azienda agricola di mia moglie. Si trova nella piana di Gioia Tauro al centro dell’area più inquinata, dal punto di vista criminale, dell’intero Mezzogiorno ed in quegli anni, gli anni 80 del secolo scorso, avevo l’impressione di essere un ospite a casa mia e di poter restar lì fin quando i delinquenti lo avessero voluto. Ho subito dal 1980 al 2000 decine di attentati: bombe sotto casa a Cannavà, in azienda, ma anche sotto casa a Pizzo, dove in quel periodo abitavo, auto e trattori distrutti, incendi a fabbricati, tagli di piante a ripetizione, si può dire che, con frequenza mensile, subivo attentati che probabilmente avevano lo scopo di allontanarmi dall’azienda di mia moglie e costringermi a porla in vendita al miglior offerente al peggior prezzo possi-

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bile, ove mai avesse avuto la buona educazione di pagarla. Non ho mai accettato compromessi, ho sempre denunciato tutto ciò che subivo, confidando nelle Istituzioni, nella convinzione che qualsiasi cedimento e richiesta di aiuto mal riposta sarebbe stato l’inizio della fine. Per dieci anni mia moglie ed i miei figli sono ritornati a Napoli a casa della sua famiglia ed io quando potevo andavo a trovarli. Ho resistito e mi è andata bene. Negli anni ho dato tanto lavoro, guadagnandomi il rispetto di molte persone oneste che oggi lavorano in azienda ed ho investito, tutto quello che potevo, nel suo sviluppo agronomico, con nuove colture soprattutto kiwi, con tecnologie moderne e grande utilizzo di mano d’opera. Oggi in azienda lavorano circa 50 operai. Nell’azienda in Lamezia tutto è stato più semplice, vi era una maggiore tranquillità e sicurezza ed anche lì ho sempre cercato, utilizzando il credito che con serietà mi ero guadagnato, di sviluppare le attività tipiche della zona con nuovi impianti agrumicoli ed olivicoli estendendo nel contempo le dimensioni aziendali. Anche nell’azienda di Lamezia impiego circa 50 unità lavorative. Quanto è difficile riuscire ad emergere nella nostra regione? Quello che ci differenzia dal resto d’Italia, sia pure storicamente comprensibile, è la mancanza di iniziativa, il lasciarsi vivere sperando che ci sia sempre qualcuno che ti dia un aiuto, il preferire il poco, di un modesto posto fisso qualunque esso sia,

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al possibile rischio che si intravede dietro qualsiasi attività capace, attraverso il tuo lavoro, di darti molto di più. In una realtà di questo tipo sarebbe facile emergere, ma ti accorgi che non è così, perché le difficoltà ad operare nascono proprio da questa perenne accidia che appartiene, a qualsiasi livello, salvo lodevoli eccezioni, a tutta la società civile calabrese. Dovunque se ne respira l’atmosfera. Eppure anche per questa disposizione a arrangiarsi alla ricerca di sotterfugi continui, la società esprime nel suo insieme una spiccata intelligenza, sia pure totalmente inutilizzata. Ha detto che mentre era all’università ha dovuto lasciare gli studi perché suo padre era venuto a mancare, le è dispiaciuto? Guardandosi indietro ritiene che da laureato la sua vita sarebbe stata diversa? Indubbiamente l’assenza di mio padre è stato un grande dolore perché speravo di ricevere da lui, in futuro, tutto quello che affettivamente non avevo avuto. Ero convinto che quella sua scorza di durezza era legata ad una visione educativa che si sarebbe esaurita con la mia maturità. Vivo lui mi sarei laureato e probabilmente la mia vita sarebbe stata diversa, ma non credo che sarebbe stata migliore. Quale è stata una delle prime cose che ha fatto una volta rientrato da Napoli, come ci ha detto, per prendere in mano le redini dell’azienda di famiglia? Ho inizialmente avuto un bellissimo rapporto con i vecchi operai da cui ho tratto una serie di comportamenti pratici che mi

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sono serviti moltissimo. Poi ho cercato di studiare agraria e l’ho fatto finalmente con passione. La voglia di studiare, leggere, informarmi continua in me fino ad oggi. Ci ha detto che, sotto la sua direzione, l’azienda di famiglia ha avuto una svolta, non solo ha incrementato il ritmo del lavoro ma la ha anche modernizzata, cosa intende quando dice che l’azienda è stata modernizzata? Essenzialmente sono intervenuto per ottimizzare i costi intervenendo sui sistemi irrigui degli agrumeti con tecniche di irrigazione a goccia e non per gravità come si usava in precedenza, Questi sistemi hanno aumentato le quantità prodotte ed abbattuto i costi. Siamo passati dalla raccolta da terra delle olive alla raccolta con mezzi meccanici, anche in questo caso, riducendo di molto i costi di raccolta e producendo un olio di alta qualità. Questa gestione ci ha permesso di estendere le dimensioni aziendali che nel corso degli anni è raddoppiata. Leggendo il suo curriculum oppure digitando il suo nome sulla rete, mi sono

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resa conto che lei è uomo eclettico, un uomo che non si ferma, che non si crogiola sugli allori dei successi ottenuti ma è in continuo fermento. Per esempio ha dato una importante svolta alla raccolta delle olive costruendo la prima macchina scuotitrice per le olive, ce ne vuole parlare? Negli anni settanta con un gruppo di amici scoprimmo che in California si costruiva una piccola macchina scuotitrice per la raccolta delle prugne. S’importò questa piccola macchina e come pensavamo, partendo dallo stesso principio, si realizzò a Nicastro, in una piccola officina, il primo scuotitore per olive che affidammo alla dottoressa Mary Cefaly per le prove di campo. Oggi gli scuotitori, mutuati dal quel primo, sono indispensabili per qualsiasi azienda olivicola. Questa invenzione la ha poi portata a dovere girare in numerosi paesi del Mediterraneo perché contattato dalla FAO proprio per divulgare l’uso di queste macchine. Come è stata l’esperienza? Continuammo a costruire altre macchine migliorandole attraverso varie prove che svolgevo in campagna, anche nella mia azienda. Attirammo l’attenzione della FAO che nell’ambito degli aiuti allo sviluppo agricolo dei paesi terzi. acquistò un certo numero di scuotitori e mi inviò per due stagioni a insegnarne l’uso ai vari organismi agricoli locali ed ai loro agricoltori. Fu un’esperienza molto bella che mi permise di conoscere a fondo paesi come Siria,

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Marocco, Tunisia, Algeria, Iugoslavia ecc. Che differenze ha notato fra l’approccio all’agricoltura fra questi paesi e l’Italia? La differenza è notevole una differenza culturale anzitutto, ma anche economica. Al contrario l’approccio umano di queste popolazioni è molto simile al nostro. Come ha coniugato questo suo dover andare in giro per il mediterraneo con la conduzione delle aziende di famiglia? Erano occasioni imperdibili e quindi ho sperato che le persone cui mi ero affidato seguissero le direttive che per telefono gli davo e così è successo. In quel caso si è avvalorato il concetto che nella vita nessuno è indispensabile. Ci ha detto che non si è laureato ma che ha tenuto stage di formazione per l’olivicoltura all’Università Mediterranea di Reggio Calabria ed ha anche pubblicato studi sulle diverse varietà di olivo esistenti in Calabria, insieme ai professori universitari Marco Poiana e Antonio Mincione... Nella ricerca di innovazione che svolgevo nell’azienda di mia moglie ho avuto contatti con la facoltà di agraria di Reggio Calabria. Si era creato un bel rapporto di collaborazione con molti professori che in azienda hanno intrapreso studi agronomici, idraulici, pedolo-

gici ai quali ho collaborato e soprattutto ho collaborato nella stesura di studi su numerose varietà di olivo e sulla gestione dell’oliveto stesso. L’azienda in quegli anni ha ospitato studenti e laureati ai quali ho tenuto degli stage riferiti al pesco ed all’olivo. Se le dico Deserto di Baja in California lei cosa mi risponde? E’ stata una impresa affascinante aver impiantato un oliveto di 1500 ettari in Baja California, in pieno deserto, ma con tanta acqua nel sottosuolo. Questa opportunità mi è stata offerta da un gruppo di imprenditori messicani che si erano innamorati dell’olivo e che desideravano un progetto olivicolo di enormi dimensioni con varietà di olivo Italiane da realizzarsi nel deserto di Baja California Il lavoro è stato compiuto nel giro di 5 anni piantando 350.000 piante di olivo irrigate con un impianto di irrigazione a goccia, la messa in opera di un oleificio e strutture abitative ed uffici. Non possiamo non parlare della COPPI. Dopo la morte di Mary Cefaly, che la aveva fondata, lei ne è il presidente, come la ha conosciuta e come è nata l’idea di collaborare con lei? La mia conoscenza con Mary Cefaly risale alla sua richiesta di provare e poi comprare il primo scuotitore da noi costruito. Da lì è nato il mio rapporto di collaborazione e di affetto con lei. Con Mary insieme a mia madre ed alla signora Massara in quegli anni si costituì una cooperativa olivicola La Laconia che lavorava le olive, raccolte con gli scuotitori, nei terreni dei soci. Da presidente della COPPI lei non solo

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ha mantenuto in ottima salute la cooperativa ma addirittura la ha ampliata con la OP COPPI. Un breve excursus sulla cooperativa e sulle sue attività? La Cooperativa nasce da un’idea di Mary Cefaly di produrre solo pompelmo giallo. Era una produzione inesistente in Italia, gli unici produttori erano gli israeliani, che esportavano in Italia, in regime di monopolio. Bisognava interrompere questa esclusiva. Era un’idea brillante che funzionò per qualche anno, grazie alle capacità politiche di Mary, che addirittura, fece bloccare le importazioni da Israele. In realtà, nel corso degli anni, il pompelmo giallo perse mercato e divenne poco interessante la sua produzione. Si riconvertirono i pompelmeti con arance di varietà Navel e Clementine e si aprì la coop all’ingresso di nuovi soci produttori di queste tipologie di agrumi. Dopo la scomparsa di Mary nel 2002, quale suo più stretto collaboratore, venni nominato presidente della Coppi e della Organizzazione di Produttori OP Coppi, nata per aderire alle richieste che la gestione politica amministrativa nei confronti dell’Europa richiedeva. Mi resi conto che con l’incremento dei costi e la stagnazione dei prezzi degli agrumi bisognava differenziare l’offerta di prodotto, per spalmare sull’intero arco dell’anno le spese fisse di gestione, che per sei mesi all’anno erano troppo elevate. Oggi la cooperativa Coppi vende, per dodici mesi all’anno l’ortofrutta che si produce nel territorio, dalle fragole alle zucchine alle cipolle e il suo fatturato annuo, decuplicato dal 2000, è di circa 18 milioni. Che donna era Mary Cefaly? Era una pioniera e come tutti i pionieri soffriva l’incomprensione di chi non ha la vista lunga, ma il suo carattere le consentiva di superare le critiche e l’ha portata a vincere sempre le sue battaglie. Le sue lotte per una piana agricola e non industriale si è rivelata profetica, visti i risultati altamente deludenti che l’esistenza

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del Nucleo Industriale di Lamezia ha ottenuto. E’ stata un innovatrice coraggiosa in campo agricolo ed un grande esempio per le persone che con lei collaboravano. Venendo alla COPPI a trovarla mi sono ritrovata in un ambiente luminoso, dove quasi si respira “aria di famiglia”, una mia sensazione a pelle, per cui mi è venuto in mente che una delle domande che avrei voluto farle è il tipo di rapporto instaura con i suoi collaboratori. I collaboratori che ho alla Coppi sono una eredità di Mary. Erano tutti giovanissimi e Mary, che aveva anche il pregio di saper valutare gli uomini, li aveva assunti e nel corso degli anni ne ha valorizzato le loro doti di intelligenza. Oggi confido molto nelle loro capacità di svolgere un lavoro importante con serietà, in una rispettosa autonomia dei ruoli. Tornando al suo matrimonio, due figli,

La famiglia di oggi sembra sempre di più perdere i propri connotati nei confronti di quello che eravamo abituati a pensare quando si parlava di “famiglia”, oggi appare sempre più a rischio, sempre più insicura, inconsistente. Visto che la sua è una famiglia unita che consiglio darebbe ai giovani per rafforzarla? Pensare prima di parlare. Le parole sono sassi. Tanto senso dell’umorismo e pazienza. Guardare sempre le cose dall’alto, a volo d’uccello, spersonalizzando tutto quello che accade. Qual è il l’obiettivo futuro che vi ponete per le vostre aziende? Essendo una famiglia numerosa, ho cinque nipoti maschi dai miei due figli, auspicherei che le aziende restassero unite e che facessero da ammortizzatori alle scelte che i miei nipoti faranno in futuro.

uno agronomo ed uno avvocato, tutti e due lavorano nelle aziende di famiglia e, sempre leggendo in rete, ho notato che sono molto attivi, così come lo è sua moglie, nel portare avanti le aziende con idee sempre più innovative. Come è condurre avanti aziende importanti “a conduzione familiare”? Ci si scontra spesso? Fatalmente accade che ci siano vedute differenti, ma mai sono sfociate in prese di posizioni categoriche. Abbiamo tutti molto senso dell’umorismo e spesso le polemiche sfociano in grandi risate.

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In che termini vi ponete riguardo la sostenibilità, di cui oggi si parla tanto? Viviamo in campagna. L’ambiente è la nostra casa. Nessuno più di noi si deve seriamente confrontare con questo problema che riguarderà il futuro delle nuove generazioni. Cerchiamo di fare la nostra parte. E come vi muovete sui mercati internazionali? Siete presenti? Il mercato italiano gode di buona salute in questo momento? Vendiamo parecchio olio EVO all’estero in vari paesi europei e negli Stati Uniti e Canadà. Tendiamo ad incrementare questo

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segmento commerciale privilegiandolo rispetto all’anemico mercato italiano. La politica nazionale, come quella internazionale, si fa sempre più complessa e difficile e sembra avere un solo scopo: un controllo sempre più minuzioso delle persone, come uomo e come imprenditore lei come si sente di fronte a quella che appare come una vera e propria invasione della privacy? Spaesato, confuso. Sono figlio della meccanica e per quanto cerchi di adeguarmi alla informatica, resto comunque un alieno. Noto, più delle nuove generazioni, che evidentemente non conoscono altro, questa limitazione della libertà, questo controllo perenne, che prescinde dalle qualità umane e rende un individuo omologo a milioni di altri. Penso che il vero controllo, preteso dai vecchi regimi totalitari, di ogni colore, si sia amaramente compiuto in questo frangente, altamente tecnologico. Nella vita di tutti i giorni qual è la cosa che le dà maggiori soddisfazioni? Veder crescere un albero e accorgermi che venga apprezzato anche dalle persone che mi sono care Ma come è una giornata tipo di Pierluigi Taccone? Esco di casa alle 6,45 d’inverno, un’ora prima d’estate. Vivo in azienda in campagna quindi la prima ora è dedicata all’azienda di Cannavà. Mi divido per tre giorni al Coppi ed alla mia azienda di Curinga e tre giorni a Cannavà, ma al di là di questo

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teorico programma, sono spesso a Reggio Calabria o a Catanzaro negli uffici agricoli regionali ecc o altri uffici pubblici. Molto spesso queste incombenze burocratiche sono così numerose da occuparmi l’intera giornata. Nel pomeriggio mi tocca la parte amministrativa delle aziende. Ho contatti quotidiani con la mia famiglia Nel suo tempo libero cosa le piace fare? Sono un lettore assiduo. Leggo la sera ed è una abitudine cui non rinuncio Gioco a tennis, retaggio di antichi amori. Ha detto che ama leggere C’è un autore che preferisce ad altri? No amo diversi generi ma negli ultimi tempi sono più interessato ai saggi che ai romanzi. Che musica ama ascoltare? Sinfonica classica e romantica Mozart Beethoven Schubert Chopin Operistica Italiana. Ama gli animali? Si ho cinque cani. Il suo rapporto con la religione? Invidio chi ha fede. Mi piacerebbe tanto affrancarmi dall’angoscia del mistero. Che rapporto ha con il tempo che passa? Lo accetto senza fare drammi. Non possiamo non concludere con una domanda su quello che sta accadendo a livello mondiale: il corona virus, il suo pensiero a proposito? In una società altamente globalizzata che ci garantisce innumerevoli vantaggi e ci fa sentire cittadini del mondo. Il corona virus rappresenta il rovescio della medaglia, una negatività imprevista con la quale dobbiamo fare i conti.

Sono convinto comunque che la scienza sarà in grado di risolvere in tempi relativamente brevi questa pandemia Ed eccoci alla fine di un’altra intervista, abbiamo cercato di ignorare il problema del corona-virus, seguendo lo standard solito e siamo giunti alle considerazioni finali parlando di tutto un po’. Che dire di Pierluigi Taccone? L’idea che mi ero fatta la prima volta che lo ho conosciuto si è rafforzata con l’intervista. E’ un uomo che sembra essere uscito dalle pagine di un romanzo di Dumas, un uomo d’altri tempi, che dà importanza ai valori reali e fondamentali della vita, che ha trasmesso questi valori ai figli e loro ai loro figli che non sono schiavi della tecnologia, del telefonino come quasi tutti i ragazzini e gli adolescenti di oggi. Ma questo rapporto basato sul rispetto dell’altro non è legato solo alla famiglia ma anche all’ambiente lavorativo, come ho già scritto. Ambiente nel quale l’attenzione per il Marchese è tangibile, vera e reale. Egli nella vita ha saputo rinunciare a fare qualcosa che, forse, avrebbe amato di più ma ha messo lo stesso entusiasmo e dedizione nel lavoro che la vita, in un certo senso, gli ha imposto. I successi ottenuti ne sono la chiara evidenza. Per lui una frase di Albert Einstein: “La misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario”. E lui ha saputo cambiare osando come con i nuovi macchinari, cambiare rischiando nel dire no al ricatto ed è riuscito ad uscirne vittorioso. Ad maiora semper!

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Spettacolo

Sold out al Grandinetti di Lamezia Terme per lo spettacolo

“Tartassati dalle tasse” con Biagio Izzo

di Giovanna Villella

Lamezia Terme, 14 febbraio 2020. Teatro Comunale Grandinetti gremito in ogni ordine di posti per lo spettacolo Tartassati dalle tasse scritto e diretto da Eduardo Tartaglia, con Biagio Izzo e un cast di attori straordinari. Una storia contemporanea trattata con leggerezza come da tradizione teatrale partenopea, ma che offre agli spettatori molti spunti di riflessione esorcizzando, attraverso la lente deformante della comicità, i temi della crisi economica e della elevata pressione fiscale che da tempo, ormai, attanagliano il nostro Paese. Innocenzo Patanaro, erede di una famiglia di pescivendoli, gestisce un ristorante à la page di cucina nippo-napoletana, Sushi all’acqua pazza, ma a causa di un controllo della Guardia di Finanza rischia di perdere tutto. La vicenda scenica si svolge, alternativamente, in due ambienti paralleli creati dallo scenografo Luigi Ferrigno e illuminati dalle belle luci di Francesco Adinolfi: la sala del ristorante, con arredi ed elementi decorativi di chiara derivazione nipponica e l’ufficio grigio, severo, essenziale del maresciallo La Scorza e del suo sottoposto Messina. Perfetti anche i costumi di scena

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firmati da Marianna Carbone e il tappeto musicale di Antonio Caruso. Un crescendo di comicità e risate che non conosce momenti di flessione. Un ritmo serratissimo e una giostra di gag, battute, equivoci, doppi sensi che coinvolgono il pubblico in momenti di puro divertimento. Sempre irresistibile la vis comica di Biagio Izzo nel ruolo di Innocenzo Patanaro detto Brillantone, vedovo con una figlia, imprenditore nel settore della ristorazione, amante dei maglioncini di cashmere doppio filo, dei viaggi e delle belle donne. Spavaldo e sicuro di sé fino all’insolenza riesce, tuttavia, a infondere al suo personaggio una emotività partecipe nel suo rapporto con la figlia verso la quale nutre un amore smisurato. Annullando la quarta parte, scende in platea e arringa con passione il “popolo dei tartassati” tuonando contro le troppe tasse che gravano su imprese e cittadini italiani in attesa di comparire davanti al maresciallo Gilberto La Scorza che già nel nome porta scritta l’incorruttibilità e il rigore morale di servitore dello Stato. Un detective vecchia maniera che preferisce l’indagine investigativa sul campo senza ricorrere agli ausili della moderna tecnologia. Mario Porfito ne of-

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fre una interpretazione mirabile ergendosi con tutta la forza di tutore della legalità ma innervando il personaggio di un’ironia sferzante e implacabile che ha come vittima privilegiata l’appuntato Messina, suo sottoposto di cui Roberto Giordano ne delinea un ritratto quasi surreale ma godibilissimo nella sua grafica stilizzazione costruita intorno alle sue intemperanze linguistiche ricche di improbabili neologismi e accenti tonici variabili. Completa l’universo attoriale maschile Arduino Speranza, perfetto nel ruolo di Kazzumi Momoro, cuoco giapponese naturalizzato napoletano. Un personaggio esilarante che sembra uscito da un cartone animato e che si barcamena tra cucina fusion e strategie di marketing. Nei ruoli femminili due belle e brave attrici Stefania De Francesco nella parte di Magdalena, moglie del maresciallo La Scorza e Adele Vitale nel ruolo di Valentina, figlia di Innocenzo. La De Francesco disegna il ritratto di una donna dedita alla famiglia ma invisibile agli occhi del marito tutto concentrato nel suo ruolo di paladino della legalità, anche se entrambi incarnano il paradigma della famiglia costruita su sani principi e solide basi morali. La Valentina di Adele Vitale è una ragazza assennata, studiosa, autonoma che cerca di andare avanti con le proprie forze senza ricorrere all’aiuto di papà il quale saprà dimostrarle, ancora una volta, affetto e comprensione in un momento particolarmente delicato della sua vita. Così la famiglia, come ultimo bene-rifugio, diventa il vero nucleo tematico della commedia attorno a cui si innestano tematiche sociali e individuali che si snodano lungo la narrazione scenica attraverso il contrappunto comico e lo sberleffo popolare e che, alla fine, suggellano il valore dell’onestà, il dovere civico e la necessità di rispettare le leggi. Un altro grande successo per la rassegna teatrale Vacantiandu con la direzione artistica di Diego Ruiz e Nico Morelli e la direzione amministrativa di Walter Vasta. Anche per Biagio Izzo il consueto omaggio della tradizionale maschera, simbolo della rassegna Vacantiandu, ideata dal graphic designer Alessandro Cavaliere e realizzata dal maestro Raffaele Fresca. Lamezia e non solo


Spettacolo

Grande successo per il Festival

“Facce da Bronzi” di Giovanna Villella Si conclude il concorso artistico del rinomato Festival della comicità nazionale Facce da Bronzi giunto alla VII edizione. Dopo le due tappe italiane realizzate nelle città di Roma e Milano, lo scorso 28 febbraio il Festival è approdato nella città di Lamezia Terme all’interno della rassegna Vacantiandu dell’associazione teatrale I Vacantusi. La manifestazione ideata e prodotta dall’Associazione culturale arte e spettacolo Calabria dietro le quinte

e sostenuta dalla Regione Calabria PAC 2014/2020, con la direzione artistica dell’autore di Zelig e Colorado Alessio Tagliento, ha entusiasmato e fatto divertire il numeroso pubblico lametino presente all’evento. Una travolgente serata al Teatro Comunale Grandinetti presentata magistralmente dall’imitatore di radio “Kiss Kiss” e “Made in Sud” Gennaro Calabrese che ha deliziato la platea con i suoi molteplici personaggi e le sue brillanti imitazioni. Ospiti speciali Marco Capretti della trasmissione di Rai 2 “Made in Sud” e il cantautore calabrese Pierluigi Virelli. Sul palco anche le incursioni del duo comico I non ti regoli (Peppe Mazzacuva e Peppe Scorza) che hanno accompagnato gli otto comici provenienti da diverse regioni in una sfida all’ultima battuta. Ad aggiudicarsi un posto nella finalissima sono stati il comico messinese Stello Tomasello, il duo romano Piero e Christian, i comici Francesco Porcu da Cagliari e Denny Napoli da Messina, valutati da una giuria tecnica composta dall’attore del Bagaglino Gigi Miseferi, dal direttore artistico di Vacantiandu Nico Morelli, dagli attori dei Vacantusi Walter Vasta e Sabrina Pugliese e da Giovanna Villella, critica teatrale e docente. La manifestazione si è conclusa sabato 29 febbraio con lo spettacolo finale nella magnifica location del

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teatro “Francesco Cilea” di Reggio Calabria dove i dieci brillanti comici finalisti si sono esibiti per conquistare i prestigiosi premi di Facce da Bronzi. Alla fine, a salire sul podio, al terzo posto i comici Piero e Christian da Roma, al secondo Francesco Porcu da Cagliari che si è aggiudicato anche i premi del pubblico, della critica radio Touring104 e “Un sorriso per l’Unicef” (assegnato da una giuria di bambini e patrocinato da Unicef Italia), al primo posto, il comico messinese Denny Napoli con un brillante monologo sui temi della quotidianità riferita all’essere meridionali. Come miglior testo, il premio “Giacomo Battaglia” è andato a Francesca Falchi da Cagliari mentre il premio originalità “Vacantiandu” al giovane milanese Amedeo Abbate. Lo spettacolo, realizzato in partenariato con il Comune di Reggio Calabria, è stato dedicato all’attore reggino Giacomo Battaglia e presentato dall’attore comico Gigi Miseferi con la partecipazione, in qualità di ospite speciale, del comico napoletano Carmine Faraco della trasmissione televisiva Colorado e gli interventi del duo comico reggino I non ti regoli. Il Festival, realizzato in partenariato con l’Accademia del Comico, l’Associazione teatrale “I Vacantusi” e il Cab41, ha il patrocinio della Città Metropolitana di Reggio Calabria, del Consiglio Regionale della Calabria, della Città Metropolitana di Milano, della città di Roma V Municipio e della Città di Torino ed è cofinanziato da “Funder 35” nell’ambito del progetto “New Theatre Training”.

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grafichéditore

Grande successo per il concorso letterario “Dario Galli” ideato e promosso da Grafichèditore A vincere

“Il profumo dell’alloro” di Laura Calderini di Antonio Perri

LAMEZIA. Notevole riscontro di pubblico e di critica ha ottenuto la cerimonia di premiazione del concorso letterario nazionale “Dario Galli”, ideato e promosso dalla casa editrice Grafichèditore. Soddisfatti, ma anche fortunati, gli editori che sono riusciti ad organizzare la manifestazione prima del Decreto Ministeriale che prevede la chiusura per le manifestazioni artistiche a causa

del Coronavirus, forse l’ultimo evento culturale prima della chiusura totale a questo tipo di eventi. “Il profumo dell’alloro” di Laura Calderini è risultato essere, fra oltre 130 opere inviate, il libro vincitore del concorso. L’opera è stata scelta all’unanimità dalla giuria presieduta dal prof. Italo Leone e

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formata da Vincenzo Villella, Albino Cuda, La cerimonia di premiazione, è stata coordinata dalla giornalista Maria Scaramuzzino, alla quale va la gratitudine della Grafichéditore per la professionalità e la preparazione che da sempre la contraddistinguono e che è stata particolarmente preziosa in questo momento. Fra gli ospiti il sindaco di Lamezia Terme Paolo Mascaro, affiancato dal vicesindaco Antonello Bevilacqua e dall’assessore alla

Cultura Giorgia Gargano, il consigliere regionale Pietro Raso e il deputato lametino Domenico Furgiuele. L’editore, Antonio Perri, nel suo messaggio di saluto ha ringraziato gli ospiti istituzionali e il qualificato e attento pubblico presente alla manifestazione. Un ‘grazie’ sentito è andato alla famiglia del poeta nicastrese Dario Galli, per aver

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concesso l’utilizzo del nome del grande autore per l’intitolazione del concorso. Ulteriori ringraziamenti sono andati agli sponsor della serata, la Banca Widiba e la Concessionaria Paradiso, al dottor Tommaso Attanasio per la foto divenuta poi la copertina del libro vincitore, alla modella della copertina Michela Varrese, alla giuria e a tutti coloro che hanno inviato le opere per partecipare al concorso. Antonio Perri nel suo intervento ha

spiegato che la sua famiglia, titolare della storica tipografia fra le più antiche della città, ha voluto affiancare all’attività tipografica, anche quella di editoria. Ciò, per dare l’opportunità di far conoscere non solo l’azienda, ma anche gli autori lametini e pertanto anche le eccellenze di Lamezia e della Calabria a tutto il resto d’Italia. Il professore Italo Leone ha spiegato

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perché la giuria si è ritrovata concorde nello scegliere “Il profumo dell’alloro”. “Il libro – ha sottolineato Leone - composto da una serie di racconti brevi, racconta in modo espressivo ed efficace le donne ed il loro mondo. Donne diverse fra di loro ma che mantengono, comunque, una parte dell’autrice che si immedesima in esse”. Il prof. Leone ha voluto ricordare anche la figura del poeta nicastrese Dario Galli che, con le sue poesie in vernacolo, ha saputo cogliere l’essenza della Nicastro di un tempo ed anche la voglia di cambiamento della città. Il presidente

come appunto il concorso letterario “Dario Galli”, rimarcando il fatto che Lamezia è una città viva che ha bisogno di cultura “perché il sapere e la cultura sono basi fondanti per la crescita di una società e per migliorare la qualità di vita del contesto in cui si vive”. L’auspicio comune è che non solo questo premio continui nel tempo ma che, al premio letterario “Dario Galli” se ne possano aggiungere altri per dare sempre più lustro a Lamezia ed ai lametini. Molto emozionata l’autrice Laura Calderini che, vista la particolarità della

sua opera, ha confidato con gran sincerità di non immaginare minimamente di vincere il premio. L’autrice ha descritto ai tanti presenti l’intensa emozione vissuta quando gli editori le hanno mandato il video della rotativa che stava stampando il suo libro: le pagine che racchiudevano i suoi pensieri prendevano corpo diventavano opera letteraria. Un’emozione fortissima rivissuta durante la cerimonia di premiazione svoltasi proprio nei locali della tipografia

Le sue pubblicazioni: Il girasole e la farfalla - Thyrus 2012

“Speciale donna 2019” Menzione di merito Premio Internazionale Letterario ed artistico Giglio blu di Firenze 2019 Menzione speciale Concorso Letterario Nazionale La Quercia del Myr 2019

gr

... E se tanta letteratura contemporanea di successo risolve o di supereroi che combattono il male nelle sue varie manifestazioni, Laura Calderini resta coi piedi saldamente attaccati alla sua terra; simile a Dora che ritrova la forza per continuare nel ruvido contatto con la quercia farnia, e con la Madre Terra in cui ogni donna naturalmente si riconosce.

Laura Calderini Il profumo dell’alloro – Laura Calderini

Agenda dei Poeti Milano 2018)

... Poche rapide pennellate danno vita all’interno di un bar dove Claudio rivede per caso Mario, un ex compagno di evitare l’imbarazzo di un tempo. Mario è diventato ormai Marion, una splendida ragazza sicura di sé. Come nelle novelle di Pirandello, l’antefatto è assente. Il personaggio si trova catapultato al centro di un dramma che, con sapienza letteraria, l’Autrice svela a poco a poco scavando nell’animo delle donne protagoniste dei racconti, ricercando i motivi del loro ‘male di vivere’, del non sentirsi in sintonia con la realtà.

Dario Galli Premio

e

2018 (poi abbandonato per sottoscrizione contratto); Primo premio Concorso Letterario Nazionale per poesia e narrativa inedita Lagunando 2018

afichÉ

Dalla prefazione di Italo Leone:

ditor

Segnalazione di merito 42ª ed. Premio Letterario “Santa Margherita Ligure - Franco Delpino” 2019 Il pinguino con le ali - Montag 2018. Le Disubbidienti del San Zaccaria - LuoghInteriori 2018 Premio Gran Oscar d’Europa Artisti e Letterati 2017 di Viareggio Primo premio Sez. narrativa inedita “Premio Internazionale di poesia e narrativa Europa in Versi 2018” - Casa della poesia di Como

Nata a Roma e residente a Orvieto. Laureata in Giurisprudenza lavora in uno studio legale dal 1987. La sua vita scorre normale e tranquilla, in un ambiente provinciale altrettanto tranquillo, accanto ad un marito e due gatti. La passione per la scrittura, che non le garantisce la relativa quelifica di “scrittrice”, rende il tutto molto speciale.

Il profumo dell’alloro

ph. Tommaso Attanasio

Capitale d’Europa” XXII ed. Il profumo dell’alloro – raccolta racconti inedito

Raccolta inedita di novelle

Lamezia e non solo

Laureata in Giurisprudenza lavora in uno studio legale dal 1987. La sua vita scorre normale e tranquilla, in un ambiente provinciale altrettanto tranquillo, accanto ad un marito e due gatti. La passione per la scrittura, che non di “scrittrice”, rende il tutto molto speciale.

afichÉ

Via del Progresso - Lamezia Terme • 0968.21844

ditor

Centro ACAT di Torre del Lago.

998160

gr

9 788894

€ 10,00

Nata a Roma e residente a Orvieto.

e

letteratura “Omaggio al poeta critico contemporaneo Raffaello Bertoli” 2018 Segnalazione di merito Premio Internazionale Il Convivio 2019 La ragazza dalla pelle d’uovo, inedito, Primo premio romanzo inedito, Rassegna d’Arte e Letteratura 2019 – Omaggio ai 500 anni di Leonardo da Vinci, Premio pittura, scultura, poesia, narrativa, saggistica, mosaico

Vincitore Premio Dario Galli 2019

della giuria, Italo Leone, ha paragonato le poesie “alle pennellate di un pittore che hanno saputo trasmettere su carta la vita nicastrese”. Gli ospiti unanimemente hanno ribadito l’importanza di eventi di livello nazionale

Il segreto di Blanca - LuoghInteriori 2017 Finalista per la sezione Narrativa alla X edizione 2016 del Premio Letterario “Città di Castello” Targa Speciale Premio Stresalibro 2017 Primo premio sez. narrativa 1ª Rassegna d’Arte e Letteratura Omaggio a Viareggio 2018 “La perla della Versilia” Menzione speciale Premio Letterario nazionale Parole in viaggio 2018 Menzione speciale Concorso Letterario Nazionale La Quercia del Myr 2018 Menzione di merito Premio Internazionale Salvatore Quasimodo 2018 Menzione d’onore Premio Parole in viaggio 2018 Menzione d’onore Premio Internazionale di poesia e

Perri che è anche la sede della casa editrice Grafichèditore. Un luogo dove si respira inchiostro, dove le idee trovano forma e anima, dove la cultura diventa occasione di incontro e di confronto per amanti dei libri di tutte le età. Tra le rotative è nato un cenacolo letterario per chi ama la propria terra natìa con la sua storia, le sue tradizioni, i suoi ‘tesori’ preziosi come l’arte, le bellezze naturalistiche e tanto altro ancora. A consegnare il premio a Laura Calderini è stata Donatella Galli, figlia dell’illustre poeta lametino.

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scuola

Il Liceo scientifico G. Galilei si posiziona tra i primi istituti del comprensorio lametino

di Teresa Goffredo

Ad un mese dalla fine delle attività di iscrizione agli Istituti superiori è possibile tracciare un quadro, sia a livello locale che nazionale, delle scelte operate dagli studenti delle terze delle scuole medie inferiori.

Per l’edizione di quest’anno, la Fondazione ha analizzato i dati di 1.255.000 diplomati e, sulla base di questi, ha proposto in modo semplice e trasparente informazioni utili a capire se la scuola superiore ha svolto un buon lavoro.

Secondo i dati elaborati dal Ministero dell’Istruzione su tutto il territorio nazionale e riportati dalla rivista “Orizzonte Scuola”, si confermano in testa alle preferenze i Licei. Il 56,3% delle domande presentate per le classi prime della Secondaria di II grado ha riguardato, infatti, un indirizzo liceale. Un dato in crescita rispetto al 55,4% dell’anno scorso. Gli Istituti Tecnici passano al 30,8% dal 31% del 2019/20. Calano leggermente i Professionali, dal 13,6% al 12,9%.

In base all’indice fga, calcolato tenendo conto della riuscita dello studente nei primi anni universitari (numero di esami superati e voto di conseguimento), tra le scuole del lametino, risulta essere proprio il Liceo Scientifico “Galilei” la scuola che prepara meglio al mondo universitario. Il “Galilei”, che conferma il primato tra i Licei e gli altri Istituti del territorio con un indice fga di 67,79, consegue un punteggio tra i più alti in Regione.

Continua il trend in crescita degli indirizzi liceali, che dal 2014/15, vengono scelti da oltre uno studente su due. Sostanzialmente stabile il dato del classico, al 6,7% (6,8% un anno fa). Cresce, in modo esponenziale, l’interesse per il Liceo Scientifico con gli indirizzi tradizionale, scienze applicate e sportivo. Le iscrizioni nel territorio lamentino, hanno seguito il trend nazionale, ma ciò che è emerso in modo chiaro, é stato il cospicuo numero di alunni che hanno scelto di iscriversi al Liceo Scientifico “Galileo Galilei”, che, confrontato con altri Istituti, ha registrato il maggior numero di iscritti alle prime classi (222 alunni). Un risultato importante, supportato anche dalla ricerca della Fondazione Agnelli (Istituto di ricerca nel campo economico, scientifico, sociale e culturale del Paese), che, anche per quest’anno conferma il “Galilei” come migliore scuola del territorio lametino. pag. 12

Nella provincia di Catanzaro è secondo solo al Liceo Scientifico “Siciliani” di Catanzaro, mentre si distacca di quasi dieci punti da tutte le altre scuole presenti nella provincia. Per i risultati raggiunti, grande soddisfazione manifesta il Dirigente Scolastico Teresa Goffredo che ha così commentato: “Riempie d’orgoglio me e l’intera comunità scolastica, che mi pregio di dirigere, l’attenzione massiccia che gli alunni delle scuole medie e, soprattutto le loro famiglie, hanno rivolto al nostro Istituto. Importante per la loro scelta è stato il ricco piano dell’offerta formativa che in più occasioni ha palesato il suo spessore. Nell’ambito delle innumerevoli iniziative, atte a GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

presentare la variegata attività dell’Istituto, ha rivestito grande importanza il Festival delle Scienze, che ha visto quest’anno la sua quarta edizione. Per l’occasione l’Istituto, aprendo le sue porte a tutto il territorio, ha organizzato una cinque giorni fittissima di eventi e laboratori, una manifestazione che ha abbracciato tutte le arti. L’evento ha visto il coinvolgimento delle scuole medie in un concorso fotografico che ha riscosso così tanto successo da spingere gli organizzatori ad estendere il numero dei premiati. L’edizione, dedicata al genio di Leonardo Da Vinci, nel cinquecenternario della sua morte, si è aperta con un convegno del noto linguista, Professore Francesco Sabatini. A seguire importanti seminari, tornei sportivi e, soprattutto, attività laboratoriali curate dagli Studenti del Liceo. Una sorta di open week che ha reso i ragazzi protagonisti del proprio apprendimento e che ha proposto un’alternativa necessaria alla didattica tradizionale, in un sistema scuola che si dimostra sempre più complesso e multiforme. A tutti i partecipanti alla settimana delle Scienze è stata poi consegnata una borraccia ecologica riutilizzabile, griffata Liceo

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l’angolo di tommaso

Riflessioni da casa: di Tommaso Cozzitorto

1) In epoca di coronavirus facciamo i conti con le nostre fragilità ma nello stesso tempo ci misuriamo con tutte quelle forze che abbiamo sicuramente dentro di noi e che in periodi normali non sfruttiamo. La casa acquista una dimensione di micromondo, la mente recupera quella dimensione di immaginazione e fantasia per cui anche il pensiero del nostro vicino mare diventa un desiderio e un recupero di ricordo e memoria. Che la vita riesca a sorprenderci con modalità che vanno oltre la nostra immaginazione è un dato incontrovertibile. 2) La solitudine: un esercizio e una palestra che non ha confini; ti trovi a dover vivere con un senso di solitudine interiore e lavori su di te per conviverci al meglio, poi scopri che non basta, la vita ti mette davanti nuove situazioni, drammi di livello nazionale e planetario, devi quindi abituarti alla solitudine intesa come isolamento ( almeno per me che vivo solo ), una dimensione che ti richiede di riempire un serbatoio di equilibrio e consapevolezza, un ritorno valoriale ad

“Galilei”, per dire no alla plastica ed educare al rispetto dell’ambiente”. Analizzando il percorso successivo a quello propriamente liceale degli stu-

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ogni aspetto della quotidianità. Una telefonata diviene un appuntamento importante, un libro un tesoro di esperienza interiore ed esteriore, le piante del balcone rappresentano una sintesi del mondo naturale e vegetale. Scopri più dimensioni di te irradiate dalla riflessione che da individuale si espande in collettiva. 3) Eppure, in questo momento in cui non possiamo avere contatti ravvicinati, la socialità ha acquisito un significato profondo, siamo tutti insieme ad affrontare il medesimo problema, è come se tutti fossimo abbracciati dal grande “respiro” del mare. Abbiamo tutti una fortissima voglia di “domani”. 4) Nuova è anche la didattica a distanza, un modo diverso di stare vicini ai propri alunni, di condividere, di continuare un rapporto empatico, di dare e ricevere entusiasmo; un modo per inanellare una lunga catena di fragilità per farne venir fuori un legame saldo come acciaio. Ricevi il compito svolto corredato da una “faccina” sorridente, uno o più cuoricini, e tutto questo ti commuove e ti riscalda il cuore. Tutto questo colora la solitudine.

denti del “Galilei”, evidenti sono i risultati assolutamente positivi: ha la percentuale più alta di studenti che superano il primo anno di Università, ha il più alto numero di studenti che accedono alle facoltà di medicina ma, soprattutto è rilevante il fatto che la preparazione degli studenti consenta loro di poter seguire tutti gli indirizzi universitari. Da considerare, il fatto che molti studenti del Liceo proseguono gli studi in Politecnici o Atenei che hanno un alto livello

di selettività, ai quali negli ultimi anni si aggiungono atenei europei. “La qualità del percorso formativo del “Galilei” continua la Dirigente - grazie a una proficua e attenta opera di progettazione del Collegio dei docenti, risulta essere proiettata a rendere un servizio unico di qualità al territorio, creando le condizioni per le quali gli studenti possano intraprendere con successo il passo successivo nelle loro traiettorie di vita. Appare dunque doveroso e opportuno, rimarcare il lavoro di tanti docenti che credono in un’Istituzione che ha reso e continua a rendere un eccellente servizio alla cultura della comunità lametina e dell’intero territorio della nostra provincia”.

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attualità

Coronavirus: una società irresponsabile, un egoismo da debellare

di Salvatore D’Elia

sabilità sociale e la convinzione di avere tanti diritti e nessun dovere”. Una generazione in cui ciascuno non si sente responsabile dell’altro. In un crescendo di deresponsabilizzazione per cui un problema è realmente tale solo quando arriva nel mio quartiere o addirittura nella mia casa. Fa eco alla scienziata, che insieme a medici e operatori sanitari di tutta Italia in questi giorni sta scrivendo una pagina di storia indelebile, alla quale va la gratitudine di tutto il Paese, Federico Semeraro, medico rianimatore dell’ospedale “Maggiore” di Milano: “L’egoismo di pochi colpirà la fragilità di tanti. In giro c’è troppo egoismo. Solo la paura lo batterà” Gli studi sociologici affermano che nei momenti di crisi e di emergenza vengono fuori le polarizzazioni: il meglio di noi e il peggio di noi. L’emergenza Coronavirus, che mentre scriviamo questo articolo è nella fase più critica all’indomani della decisione del governo di dichiarare tutta l’Italia “zona rossa”, non è “immune”, è il caso proprio di dirlo, a queste dinamiche. E in queste ore i due estremi sono stati ben visibili nelle notizie di stampa e, prima ancora, nelle immagini circolate ad ogni ora sui social: la stazione centrale di Milano assaltata, gli assalti ai forni di manzoniana memoria che si ripetono 4 secoli dopo davanti ai moderni supermercati, ma anche le associazioni di volontariato che portano la spesa e i medicinali agli anziani a casa, i giovani purtroppo pochi che hanno scelto di restare nei luoghi “focolaio” dell’epidemia dimostrando così di amare ancor di più le loro regioni di provenienza e le loro famiglie. E’ ancora presto per dire cosa questa emergenza, spaccato drammatico di questo primo ventennio del ventunesimo secolo che si è abbattuta sul nostro Paese, ci lascerà in termini di un nuovo modo di concepire e vivere i rapporti a tutti i livelli. Senza quel moralismo che fa dire “ora abbiamo imparato la lezione”. Perché, con estremo realismo, dobbiamo ammetterlo: non si impara mai. Tornerà l’ordinario, torneranno le dinamiche della vita quotidiana e, tanto a livello individuale quanto a livello sociale, ricadremo inevitabilmente nelle stesse “bassezze” pag. 14

dovute al menefreghismo, allo scarso senso civico, all’irresponsabilità. Questa emergenza, tuttavia, ci ha dato occasione per renderci conto, con evidenze concrete, del fatto che l’egoismo e l’individualismo non sono questioni “meramente” morali o da lasciare alla libertà di scelta dei singoli. Tutt’altro. Pensare solo a sé stessi, far girare il mondo intorno a sé, impatta drammaticamente sulla vita delle persone, sulla vita di un’intera comunità. Fanno riflettere le parole della dottoressa Maria Rita Gismondo, direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica dell’Ospedale “Sacco” di Milano, che guardando le immagini, da Napoli a Milano, di giovani che hanno affollato i locali nei giorni più critici ha parlato di “una generazione che sta dimostrando scarsa respon-

Dalle considerazioni di una donna e di un uomo di scienza, che in questi giorni insieme a tanti altri stanno salvando vite umane senza risparmiarsi e senza guardare alle lancette dell’orologio o alla stanchezza, cogliamo subito cosa dobbiamo portare con noi di questa emergenza, di questo capovolgimento che ha sconvolto l’Italia intera in questi mesi. Quali sono le fondamenta da ricostruire. C’è un virus “pandemico” da debellare che si chiama egoismo. C’è una società da ricostruire, da rifondare dalle basi. L’emergenza ci mette violentemente davanti agli occhi questa realtà: una grande “questione morale” che tocca le corde dei nostri rapporti con la comunità, dei nostri rapporti più prossimi. L’emergenza passerà e passerà anche il virus. Questi interrogativi, è bene che restino per un bel po’ di tempo.

si fa sera riflessioni in prosa e in versi

Si fa sera...

di Angela Frontera

Ascolta! Si fa sera. È l’ora del silenzio, finalmente. È l’ora della quiete e del dialogo, quello con se stessi. Ascolta! GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

È la voce dell’anima che parla. L’hai mai sentita? Ascoltala...Ascoltala... “Non sei sola...” mi dice “C’È DIO CON TE”. Lamezia e non solo


eccellenze lametine Nella prima domenica di quarantena, il vescovo Schillaci alla comunità lametina:

“restiamo uniti nella preghiera anche se distanti”. di Salvatore D’Elia spaccato drammatico della nostra storia la presenza del Cristo Risorto.

“Restiamo uniti nella preghiera, anche se distanti. Il nostro cuore si unisce a Dio per unirsi a tutti gli uomini. Quando il nostro cuore si apre a Dio, si dilata e abbraccia tutti. In particolare chi in questo momento è nella sofferenza a causa del coronavirus. Abbraccia i medici, gli operatori sanitari, i volontari. Preghiamo per loro e li incoraggiamo con la nostra preghiera”. Con queste parole il vescovo di Lamezia Terme monsignor Giuseppe Schillaci ha introdotto la celebrazione eucaristica della terza domenica di Quaresima, dal Santuario di S. Antonio di Padova, prima domenica dopo la decisione della Conferenza Episcopale Italiana di sospendere le messe con il popolo per far fronte all’emergenza coronavirus e contribuire, come Chiesa, al contenimento del contagio in tutto il Paese.

Commentando il vangelo di Giovanni, l’episodio dell’incontro di Gesù con la samaritana al pozzo di Sicar, il vescovo Schillaci ha invitato a “contemplare questo amore gratuito e smisurato di Dio. Un amore che prende l’iniziativa. Un amore che va oltre quello che noi possiamo pensare e immaginare. Un amore che dice come Dio ama. Un Dio che si mette alla ricerca dell’uomo. Noi contempliamo un Dio appassionato dell’uomo, che non smette mai di sperare nell’uomo.”

Una domenica “insolita”, la prima anche per la comunità lametina, segnata dalla tristezza e dall’angoscia di un “bollettino di guerra” che ogni sera riporta numeri di ammalati e di vittime. Parlando dal Colle di S. Antonio a tutta la città, attraverso le emittenti televisive St Television ed Esse Tivù e in diretta streaming sul sito della Diocesi, il pastore della Chiesa lametina si è fatto vicino ad ogni persona, ad ogni famiglia, con un messaggio di speranza, esortando a cogliere anche in questo

In Gesù stanco per il viaggio, che si siede presso il pozzo, il presule vede “la stanchezza di tante persone, di tanti operatori sanitari, di tanti medici, di tanti ammalati proprio in queste ore. Contempliamo Gesù al pozzo, la sua stanchezza che è segno di un amore che cerca, attende, ama. L’amore di Gesù è un amore che precede, che ama per primo”. Dal vescovo, un monito particolare affinché “questa situazione particolare, che ci costringe a stare distanti per rispetto dei più deboli e dei più fragili, non innalzi muri di separazione e di divisione tra di noi. Facciamo tutto questo per precauzione. Ma con l’intenzione un domani di avvicinarci di più per essere sempre più comunità, sempre più fraternità.” La sospensione delle celebrazioni comunitarie, per il vescovo lametino, può essere un’occasione “per esercitare nelle nostre case il sacerdozio battesimale. Le nostre chiese devono essere chiese domestiche. Benediciamo i nostri bambini, ritagliamo nelle nostre case una parte, un luogo, per il silenzio, l’ascolto. Apriamo la Scrittura, leggiamola, meditiamola insieme. Adoriamo il Signore dentro ognuno di noi. Dentro ognuno di noi, immagine e somiglianza di Dio, c’è il monte, il tempio dove adorare il Signore. Adoriamolo nelle persone più fragili. Adoriamo il Signore, come ci chiede Gesù, in spirito e verità”

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lamezia racconta

LO SCENARIO DELL’OGGI (II parte) LO SCRIVERE, UNA DOMANDA DI VERITÀ!

di Francesco De Pino

IL“CORONA VIRUS” E I NOSTRI CONTERRANEI

Scrivere, pone delle responsabilità, non foss’altro, è detto sin dai latini, che: “Verba volant, scripta manent”! A ragione, i nostri avi latini ci tramandano quest’avvertimento: “ Le parole volano, gli scritti rimangono”! Certamente, si è responsabili di quanto si scrive, perché si può essere confutati facilmente: ne fa prova lo scritto! E succede nelle lettere confidenziali, commerciali, nei contratti, in tutto ciò che di scritto c’è! Scrivere, però, sui giornali, pur, da opinionista, assurge a una forma di responsabilità maggiore, specialmente, se la Testata per cui si scrive, è edita nella propria Città, come, “LAMEZIAENONSOLO”. E, in un periodo, ahimè, particolarmente difficile, della vita cittadina, regionale, nazionale, europea, mondiale, quando ognuno di noi è chiamato a fare uso della propria intelligenza e del proprio senso di solidarietà verso i membri della propria famiglia, verso il vicino di pianerottolo (nell’usare l’ascensore, NDR), o il concittadino o l’altro signore/a, pur, sconosciuto/a, che s’incrocia in una fila, ora non più fila, uno dietro l’altro, ma a un metro di distanza, pena, l’eventuale, contagio, lo scrivere, assume una responsabilità pregnante, perchè ci si cala nel contesto civico cittadino ! Scrivere, allora, una responsabilità politica! Si risponde a una domanda di verità che si eleva, come non mai, dal cittadino “ dominus”, di cui oggi c’è bisogno, tutt’altro che da cittadini e basta “ arringati” dai vari Masanielli di turno! Quel dialogo a distanza non può essere avulso dal lettore, per quel filo magico che li tiene uniti: chi scrive con chi legge e chi legge con chi scrive! Cosi, la “ lettura è magia”! Vero, Gioacchino Tavella, libraio in Città, con la tua libreria, un” Cenacolo Culturale”, di cui ti siamo grati! Non posso, allora, non “significare” tanto principio morale che mi “ ditta dentro”! Lo scenario dell’Oggi, mentre impera la”Corona Virus”, ci dice, eloquente, come le Istituzioni Civili e Democratiche della nostra Repubblica Italiana sono l’unico riferimento per noi cittadini nei “Principi” della nostra Costituzione (Vedasi nota) perché essa detta all’art.32, statuendo: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti …omissis.” Dal 1978, infatti, godiamo, gratuito, il Servizio Sanitario Nazionale, nell’Ordinamento Giuridico Italiano, gestito ed erogato dallo Stato Italiano, con legge n. 878/78. Un decennio quello degli anni ‘70, detto, a ragione, ”delle Riforme”, ahimè, dalla Seconda e Terza Repubblica, ……. denigrato, vituperndolo, mentre nel PD, nipotino del PCI, pende la spada di Damocle, inesorabile, dal “Qui glaudio ferit, glaudio perit” Il servizio, come tutte le spese dello Stato, si finanzia con le Imposte, non già Tasse, come, erroneamente, chiamate nei social, sui giornali, dai politici, quindi, da gran parte dei cittadini che leggono, ascoltano. Soltanto,l’attuale Ministro delle Finanze, Roberto Gualtieri, e l’On. Carlo Calenda le chiamano corret-

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tamente. ”Finalmente”, mi sono detto, “ci sono due politici che le chiamano, per nome, “IMPOSTE”, forse per questo i molti le evadono, facendo cadere il gravame fiscale, sui cittadini rispettosi dei Doveri-Diritti costituzionali, l’unico, poi, perché, gli altri “Principi” sono tutti diritti! Così, io definisco l’art. 53 che le detta, ”Dovere-Diritti”, a ragione. E’ con il cittadino onesto, che si dà gli arresti domiciliari senza che nessun giudice glieli abbia inflitti, perché il suo operare è, altresì, nel civismo!

Cicirinella”, cara a Totò, il Principe della Risata”. Il dialogo, la parola, con un l’altro, a un metro di distanza; ultimo, la libertà di uscire da casa, pur necessitato!

L’art, 53,in cui è la sola imposizione pecuniaria nel dettame costituzionale, statuisce:

E mentre, rifletti su tanto, voli nel tempo, pensi: il focolare domestico, luogo d’incontri sereni per la famiglia, con quelle scintille, che spizzavano, pazze, nello scricchiolio della legna, appena, aggiunte, per alimentare le fiamme che si esaltavano, intrecciandosi, in una fantasmagoria di colori da riscaldare i cuori, non solo, le membra infreddolite. Nello stesso tempo si mettevano le patate, quei tuberi ,che abbrustoliti, erano, gustosi al palato, e che mangiavamo, tutti stretti in quel ridotto spazio, che il tepore, rendeva, per incanto, ampio!

“Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. L’art 23, invece, continua nelle tutele del cittadino, statuendo: “ Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”! Tanto spiegano gli interventi di ordine sanitario gratuiti, e quelle di prevenzione, Il nostro Sindaco, Paolo Mascaro, è intervenuto, immediato, con un “PROVVEDIMENTO SINDACALE del 12 marzo 2020 EMERGENZA CORONAVIRUS Oggetto: D.P.C.M. 11 marzo 2020 recante Misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale. OBBLIGHI e RACCOMANDAZIONI Esso si trova nell’ALBO PRETORIO del Comune, alla prima pagina, basta cliccare sulla prima tabellina a sinistra a tendina: ove si legge per primo:“CORONAVIRUS“ , cliccare e , la Voilà, leggere! Non è stato diverso per nostra Presidente della Regione, l’On.Le JOLE SANTELLI, così per gli altri Sindaci calabresi e Governatori regionali e Sindaci delle altre regioni d’Italia. Una gran parte delle nostre Istituzioni Repubblicane, vicine al cittadino “Dominus! Il Governo, per le sue competenze, opera con i vari interventi di prevenzione, di cui l’ultimo, appunto, emanato, il D.P.C.M l’11 marzo 2020 in ossequio alla Costituzione, art.32, scritta da Statisti, i nostri Padri Costituenti, mentre aggiunge gli altri interventi in economia, sfiorando il tetto UE del 3% portandolo al 4% . Non è così per gli americani, pur se hanno contratto il suddetto, “Corona Virus”. Le spese sono a carico del singolo cittadino. E’ intervenuta in campo finanziario la Banca Centrale, USA, la Federal Riserve System, ribassando i soli tassi d’interesse! “Corona Virus”, che colpisce quanto di più caro, è nell’Uomo: i rapporti umani, l’Amicizia, la giovialità, gli abbracci affettuosi, la convivialità, le effusioni di amore, il tendersi la mano, darsi il segno di pace nella S. Messa. I nostri punti di forza portati nel tempo nel nostro “io”, dispensandoli. Ora non più, se non operiamo solidali, paradossalmente, rinunciando a tutto questo. All’indice, pur, essi: il facere dell’uomo, nella fucina artigiana, nell’industria, nel commercio e terziario! Anche la gioiosità del “Figaro” accantonata, con la “tazzulilla” ‘e cafè di “

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Esalta, invece, Sua Maestà con la Corona: la diffidenza, oserei includere gli eremiti che si estraniano dalla società, staccandosi da essa, pur, rimanendovi legati, quando, religiosi o laici, animati da Fede immensa, nella contemplazione e nella preghiera. Avvantaggia, invece, le inimicizie, le solitudini!

Così, ci si parlava, ci si raccontava del passato, mentre, il Nonno Francesco, con la sua saggezza,appresi dal suo amico Vescovo, Valenzise, mentre era intento al lavoro in Curia, infondeva valori. Tutto in me, in una sequenza, che sa di sogno! Ora, ahimè, il focolare è in disuso, sostituito, si fa per dire, dal freddo, pur, caldo, moderno termosifone, sempre più innovato. Io ne soffrivo, quando, sposandomi, da S. Lucia mi trasferì, in Viale Stazione, il mio sogno da bambino,perchè mi permetteva di vedere i treni, i vagoni che scaricavano le merci , nella stazione apposita detta, la ”Piccola”! Soffocavo,però, a sera, nelle serate d’inverno, appena giunto, mi mancava la freschezza dell’aria nella stanza. Finché, non è venuta, ultima, la nostra cruda realtà, presi come siamo, dallo “Smart”! Quello “smanettare” di continuo, da vivere separati in casa, ha anticipato il nostro “OGGI”, dove si è insieme, ma lontani! Le nostre deviazioni sociali! Questi sentimenti, dal sapore antico, non hanno aiutato, però, i nostri conterranei, Amici e parenti, conoscenti fuggiti in massa dalle “Zone Rosse” del Nord, ahimè, senza che, tanto trasferimento, fosse accompagnato da alcuna strategia da parte del Governo, mentre i Governatori, padani, lombardi, veneti, piemontesi, genovesi, avevano fretta a liberarsi di loro! Sarà contagio? Dio, ci aiuti! Pochi, infatti, sono quelli rimasti, “lassù” per non infettare genitori, parenti e amici, come annunciato dal nostro Presule, S.E. Mons. Giuseppe Schillaci, per una lettera ricevuta, che ci ha anticipato nella Sua intervista sul ” Corona Virus” a un’emittente locale, con una semplicità della parola da rimanere estasiati: pacata, serena, sicura, lenisce, plana soave, quale piuma soffice, che leggera si posa, apre la speme nei cuori, la voce d Dio, nel nostro Pastore! Tanto mi ha ispirato, da riportarvi, mentre lo ascoltavo a video. Sia Lode al Signore, la Sua presenza fattiva,dal sorriso gioviale in mezzo a noi! Ne eravamo orfani!

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recensioni

Il Santo Europeo del Sud. L’asceta sociale Francesco di Paola (2019, Ed. Grafichéditore).

di Domenica Lentini Filippo D’Andrea è attualmente Professore di Filosofia e Storia dei Licei. Il suo impegno di scrittore può essere inquadrato in una cornice ampia ed eterogenea riconducibile alla sua attività, costante e prolifica, di ricercatore. Sebbene la sua personalità sia eclettica (musicista, cantante e cantastorie, poeta e compositore di partiture inedite prestate alla poesia), due sono gli ambiti di ricerca maggiormente esplorati, vale a dire: la Teologia e la Filosofia. È autore di diversi libri e saggi di carattere storico-filosofico e teologico-pastorale, nei quali emerge una particolare attenzione per alcune figure “interessanti” del Meridione d’Italia. Tra queste figure, una sembrerebbe spiccare sulle altre, quella di Francesco di Paola, religioso italiano ed eremita che ha fondato l’Ordine dei Minimi – [nato a Paola (Cosenza) nel 1416 e morto a Tours, nel 1507] – proclamato santo da papa Leone X (1̊ maggio, 1519). Scorrendo l’indice bibliografico dei testi scritti dal professore D’Andrea, si evidenzia infatti che, a partire dal 1994 e arrivando fino ai nostri giorni, sono ben quattro i volumi dedicati alla figura del Santo Francesco di Paola, in ordine: San Francesco di Paola – Asceta sociale (1994); Eremita viandante. Laicità e contemporaneità di San Francesco di Paola (2009); Francesco di Paola. Il Santo dell’Essenziale (2016) e infine, di recentissima pubblicazione il testo Il Santo Europeo del Sud. L’asceta sociale Francesco di Paola (2019), testo quest’ultimo oggetto di questa recensione. Di fatto, è grazie, anche, all’impegno di ricerca e di scrittura documentaria, costante nel tempo, del Professore D’Andrea se oggi possiamo rendere omaggio a quello che si è rivelato, nelle parole di Giovanni Paolo II, nell’ottobre del 1984 (tempo in cui si recò nella nostra bella e aspra terra), “il santo più calabrese e il calabrese più santo”, Francesco di Paola. E possiamo omaggiarlo, peraltro, esattamente come ha fatto l’Autore, nella sua ultima pubblicazione Il Santo europeo del Sud, nell’anno in cui ricorre il V Centenario della sua canonizzazione (15192019). Omaggiarlo e avvicinarlo, seguendo la direzione esegetico-ermeneutica esplorata dall’Autore. Si tratta di una testimonianza “operativa” e “operosa”, per tramite della quale il Lettore può agevolmente essere introdotto alla conoscenza della cifra esistenziale costituiva di Francesco di Paola. Lamezia e non solo

L’obiettivo teorico qui perseguito non è infatti solo quello di offrire una presentazione della figura del Santo attraverso i dati strettamente biografici, che comunque affiorano trasversalmente nel testo, ma è anche quello di entrare in contatto con il suo modus vivendi e operandi, con il suo modo dunque di stare al mondo, nel mondo, di “Essere”, essenzialmente “Essere”. Il testo di D’Andrea ha le dimensioni di un piccolo libricino che presenta però il pregio di una scrittura agile, fluente e chiara. La sua struttura è così articolata: Prefazione, scritta dal Vescovo di Lamezia Terme, Giuseppe Schillaci; Introduzione generale curata dallo stesso Autore; Capitolo I: La spiritualità esistenziale dell’Eremita Francesco di Paola; Capitolo II: Francesco di Paola. Il Santo dell’Essenziale; Capitolo III: La Laicità nella spiritualità di San Francesco di Paola; Capitolo IV: La liberazione integrale in San Francesco. Penitenza e perdono; Capitolo V: Appunti di Pedagogia, comunicazione e politica nella spiritualità (vorrei qui segnalare un’interessante appendice, curata da Chiara D’Andrea, figlia dell’Autore, dedicata alla Comunicatio); Capitolo VI: La carità evangelica di liberazione. La ricorrenza nel testo di alcuni termini in particolare, può dirci molto del libro, e insieme può dirci molto dei tratti identitari

della figura di Francesco. Attraverso dunque l’intercettazione di tali occorrenze terminologiche, ricorrenti più o meno stabilmente dal primo fino all’ultimo capitolo, è possibile delineare prima facie gli snodi teorici fondamentali affrontati nei diversi capitoli. Vengo dunque a presentarvi i lemmi testuali che hanno catturato maggiormente la mia attenzione: Essenzialità Laicità Carità Paideutica Non sarà possibile, per ragioni di spazio, offrire la presentazione di ciascun lemma. Né, forse, è questo il compito di chi decide di recensire un libro. Mi soffermerò quindi su un’idea, l’essenzialità. Trovo infatti estremamente interessante il tentativo dell’Autore di ripensare l’essenzialità, riferita evidentemente in primis alla figura del Santo, per suggerire nuove direzioni di senso, soprattutto per avviare una riflessione più mirata sull’attuale società, sull’attuale condizione dell’uomo. L’essenzialità, non a caso, viene qui presentata come una “parola rivoluzionaria in questo mondo di superfluo” (cit. p. 24), una parola intercettata come strumento operativo per mobilitare e risvegliare “le coscienze della società liquida”. Nel suo esercizio di riflessione, di ricerca, l’Autore attinge, dichiarandolo esplicitamente, alla definizione del sociologo e filosofo Zygmunt Bauman. L’approdo di tale analisi sarà la costituzione della “civiltà del sufficiente”. La lettura del libro di D’Andrea può consegnarci a un’occasione, a una vera occasione, per orientarsi nella dispersione babelica dei nostri tempi. Questo è possibile perché la sua riflessione si costruisce nel solco della onestà intellettuale, della chiarezza espositiva, della pertinenza dei riferimenti testuali. Non solo. D’Andrea porge le sue conoscenze teologali e di filosofo senza rinunciare all’esperienza più umana di padre, di professionista attivamente impegnato con i giovani. Proprio pensando a questi ultimi egli tenta anche l’impresa di avvicinarli attraverso una torsione etimologica che possa attivarli, interessarli, incuriosirli. Tenta dunque di conoscere e comprendere la loro lingua, consapevole forse del fatto che il passato può illuminare il presente solo quando il presente non viene aprioristicamente negato, rinnegato.

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riflettendo

La solitudine tra arte e vita di Pierluigi Mascaro “La solitudine è per lo spirito ciò che il cibo è per il corpo” scriveva L. A. Seneca moltissimi secoli or sono, quasi a voler indentificare in essa l’oggetto di un percorso interiore che oserei definire “terapeutico” per l’essere umano il quale, estraneandosi temporaneamente da quel tessuto relazionale alla base del vivere sociale e civile, riesce a ritrovare se stesso e a ricomporre nel giusto modo il proprio equilibrio psicofisico, spesso perturbato dalla frenetica e dispersiva quotidianità. In quest’ottica interpretativa, l’affermazione di Seneca sembra attagliarsi molto più alla nostra epoca che a quella del celebre autore, eppure la solitudine è forse una delle condizioni che maggiormente spaventano, per non dire terrorizzano, l’uomo contemporaneo; infatti, nell’era della comunicazione, dove lo stesso essere s’identifica sempre più spesso col raccontarsi, cioè col narrare se stessi in maniera quanto più possibile diretta, interessante ed efficace, la solitudine può divenire fonte di estremo turbamento emotivo e disperazione; chi non sa narrarsi, può sentirsi solo e perduto anche all’interno di un massiccio assembramento di persone.

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Questa visione della solitudine, con ogni probabilità la più diffusa al giorno d’oggi, si era in realtà affermata con contorni abbastanza netti già nell’ambito della corrente artistica del simbolismo europeo, tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900 del secolo scorso; può essere presa a modello la scultura Autoritratto, o Maschera del dolore, di Adolf Wildt, datata 1909. In quest’opera, i lineamenti spigolosi ed incavati del volto rappresentato, le orbite oculari vuote, la bocca smunta e semiaperta, il pallore del marmo utilizzato dallo scultore, accantonando ogni sorta di decorativismo esteriore, materializzano il dolore esistenziale causato dalla solitudine umana sostanziandola in un’entità tangibile, una maschera che pesantemente si sovrappone al volto di ogni uomo che tramuta il proprio stato di solitudine in una sorda crisi esistenziale senza via d’uscita. E quest’uomo è proprio quello della società contemporanea, che si sente sempre più soffocato nella bolla impermeabile dell’incomunicabilità del proprio io più autentico sia ai propri simili che al mondo circostante. Insomma, per dirla con Jim Morrison, “la solitudine è ascoltare il vento e non poterlo raccontare a nessuno”.

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LA CALABRIA, UNA TERRA DA AMARE

Ricomincio da qui di Ginevra dell’Orso

Sembravano scenari lontani, quelli che ritraevano persone di ogni genere ed età, chiusi in casa, come appestati, con mascherine e con divieti ad uscire e compiere qualsiasi altra attività che non fosse di vitale importanza. E poi, senza neanche accorgersene, è arrivato anche qui: un microscopico organismo vivente, che ha deciso di farci vivere scenari da film di guerra... di quelle moderne però, senza bombe e senza spari. Una guerra silenziosa, che fa poco rumore, se non nelle parole, nei gesti dubbiosi della gente, nello sgomento e nella paura. Città deserte, negozi chiusi, nessun’anima in giro: atmosfere spettrali, che lasciano sprofondare nell’ansia. Il mio paesino, come credo tanti altri – e non solo in Calabria – è abituato da sempre al silenzio e alla pace: è abituato oramai da molto tempo all’immobilità della gente, alla calma piatta, all’uscire poco. È tanto tempo che vive riverso su se stesso, in attesa di chi torna dalla campagna, dall’orto, dal mare, dalla scuola, da ovunque, un po’ più in là. CERTE DISTANZE Il mio paesino conosce da sempre certe distanze, perché è abituato a parlare da un balcone all’altro, da una sedia sull’uscio di casa col suo dirimpettaio. È abituato a conoscere il battito pesante della campana che scandisce i tempi lunghi, le canzoni degli ambulanti che salgono presto la mattina a vendere cibo. Conosce bene le grida dei bambini, perché sono pochi: e quei pochi coraggiosi che vivono qui, sono visti come una benedizione. Il mio paesino conosce la differenza tra il superfluo e il necessario, perché teme da sempre di reLamezia e non solo

stare, per qualche arcano motivo, ancora più isolato dal resto del mondo: ecco perché hanno tutti grandi scorte di pasta, di passate, di verdure sott’olio, di farina. Il pane non può mancare mai in una casa! Il mio paesino accetta pacatamente questo brutto momento, perché è molto credente, e conosce il potere della preghiera, a chiunque questa venga rivolta. Conosce il dolore di chi un tempo lo ha abbandonato, ma non porta più rancore, pronto ad accogliere tutti a braccia aperte. L’ABBRACCIO DELLA PRIMAVERA In un momento difficile come questo, il mio paesino viene rin-

cuorato dalla Primavera, che si impone sfacciatamente in ogni angolo, con i suoi fiori gialli che sanno di sole, che profumano di vita, e con i forti venti che spazzano via ogni residuo di inverno e di malinconia. Eppure, il mio paesino è il paesino di tutta la Calabria e di tutta l’Italia in cui questi piccoli borghi, solitari, scollegati dai grandi centri, sopravvivono miracolosamente come degli eroi, in una battaglia dove tutto ciò che è vecchio, che è tradizione, che è storia, che è cultura... deve necessariamente soccombere. Ma la bellezza e la magia non muoiono mai, e quasi sempre sono un faro per tutti i naviganti, in mezzo alla tempesta della vita.

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ricordi

Alla scoperta delle chiese montane di Sambiase di Giovanni Mazzei

Una delle maggior caratteristiche del territorio calabrese è quella di poter arrivare velocemente dalle zone costiere, all’interna dorsale appenninica. Ciò, in un dinamica turistica, consente con facilità di poter effettuare un pranzo in alta montagna, degustando i tipici prodotti delle nostre zone, come le apprezzatissime soppressate, oppure degustare uno degli eccellenti formaggi prodotti dagli ancora diffusi pastori che abitano le nostre zone e ammirare poi il tramonto sulla riva del mare degustando un gelato, un cocktail o una granita aromatizzati con gli splendidi agrumi che nascono nelle nostre zone. Certo ciò non è possibile effettuarlo in ogni zona della Calabria, alcune zone più interne risultano, infatti, essere lontane dal mare e alcune zone costiere non hanno celere possibilità di trasferirsi in montagna. La zona della città di Lamezia Terme gode però di un territorio senz’altro fortunato. Spesse volte, come è giusto che avvenga, tendiamo ad allargare il nostro sguardo parlando di lametino: il territorio che orbita intorno alla quarta città della regione. In tale ottica, parlando di tratti marittimi annoveriamo la zona costiera di Nocera Terinese, il lungomare di Falerna, le spiagge di Gizzeria (che tanta importanza rivestono in ambito sportivo) e la zona di Acconia di Curinga. In ambito montano, ovviamente, subito si pensa al massiccio del Reventino e a tutti i piccoli comuni che su esso gravitano con i loro boschi ricchi di storia e attività, come Platania, Decollatura, Soveria Mannelli, Conflenti, Motta Santa Lucia ecc. Se ridimensioniamo però il nostro sguardo, stringendo gli occhi e limitandoci a focalizzare e concentrare la vista sui confini di Lamezia Terme, ci imbattiamo in senso costiero ovpag. 20

viamente nelle spiagge di Lamezia che godono di larga notorietà ma scarsa utilizzazione come Cafarone e Ginepri e, per quanto riguarda le zone montane, ci accorgeremmo che le maggiori altitudini sono raggiunte da alcune frazioni ricadenti nel territorio dell’ex municipalità di Sambiase.

L’eterogeneità di queste frazioni si traduce in vari fattori: la vista sul golfo di Sant’Eufemia: alcune offrono scorci mozzafiato, altre località affacciano solo su boschi e pendii; la grandezza: fra le più grandi spicca Acquafredda (anche come popolazione), altre invece sono costituite da pochissime case, spesso sparse. La creazione, dunque, di un – seppur piccolo – tessuto urbano non è stata sempre ravvisata.

Se nel quartiere di Nicastro poche sono le zone d’altura (Magolà e Zangarona in collina e Fronti in bassa montagna), le frazioni montane appartenenti all’ex comune di Sambiase sono invece molte, alcune delle quali arrivano anche 1000 o più metri sul livello del mare.

Altra caratteristica che le differenzia è la presenza di chiese. A fronte del vasto elenco di località, solo quattro di esse presentano luoghi di culto: la chiesa della madonna del Miracolo in Acquafredda, la Chiesa di San Giovanni Battista in Acquadauzano, la chiesa di Santa Rita da Cascia in Gabella e la chiesa di Santa Teresina in Piano Luppino.

Non tutte queste frazioni sono collocate sullo stesso massiccio montuoso, cominciamo a fare alcune distinzioni: alcune propaggini del massiccio del Reventino giungono fino a Sambiase; a dividere il Reventino dal Mancuso,

Inutile indagare in tale sede del perché solo in queste zone si siano sviluppate luoghi di culto e del perché non vi siano chiese antiche, aggiungiamo solamente che sono diffuse lungo il territorio varie icone di stazionamento religioso e alcune piccole cappelle (come nella frazione Bucolia e in loc. Leoni).

sono la vallata del torrente Bagni e il pianoro di San Mazzeo. Dunque le frazioni di: Gabella, Acquadauzano, Carìa, Crozzano, Bucolia, Piano Luppino, Santa Maria, oltre ad alcune altre località, sono site sulle ramificazioni del Reventino.

Il Miracolo al quale si fa riferimento per la chiesa di Acquafredda è quello datato 1842, ovvero la conversione del ricco ebreo Alphonse Ratisbonne, a seguito dell’apparizione della madonna nella chiesa romana di Sant’Andrea delle Fratte. Mentre vagava per la chiesa, con appuntata alla giacca – a seguito di una scommessa – la medaglia miracolosa raffigurante la madonna, Ratisbonne si soffermò innanzi la cappella dedicata a San Michele Arcangelo. Qui, trovandosi solo, egli vide d’un tratto una piccola sfera di luce che all’improvviso esplose in migliaia di frammenti di un accecante bagliore, che gli trafissero il cuore con l’amore della Vergine Maria e vide poi la madonna ritta davanti a lui, avvolta nella luce e circondata da palpitanti raggi di sole: Maria non parlò ma fece al giudeo un gesto incontrovertibile: gli impose di inginocchiarsi. Ciò comportò dun-

Al massiccio del Mancuso (e alle sue varie vette come, per esempio, monte Faggio, monte Mitoio o monte Sant’Elia) appartengono, invece, frazioni come San Minà, Vonìo, Acquafredda, Vallericciardo (superiore e inferiore), Case Valenzi, Telara (la quale è direttamente collegata a San Mazzeo), Schieno Vieste e, iniziando la discesa nella valle del Bagni, Serra Castagna, Cantarelle, Mitoio e Miglierina; oltre a varie località con i rispettivi toponimi. GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

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que la conversione cattolica di Ratisbonne. L’apparizione avvenuta in una chiesta retta dall’Ordine dei Frati Minimi fece sì che la madonna del miracolo divenne la protettrice dell’ordine di monaci fondato da san Francesco di Paola. La chiesa lametina dedicata alla Madonna del Miracolo vide luce nel 1991, dopo una lunga trattazione per la compera del terreno e dopo una lunga serie di ritardi nei lavori dovuti all’impervia zona di edificazione. Difficoltosi furono, infatti, i lavori di sbancamento e contenimento, oltre a subire lunghi stop in inverno a seguito delle frequenti abbondanti nevicate (e relativi ghiacciamenti) in questa frazione sita a 900 metri sul livello del mare.

con gli oboli volontari raccolti con simpatica costanza dal sig. Domenico Cuda, la chiesa sorge antistante un largo piazzale il quale consente di godere di una splendida vista. Caratteristica principale di questa chiesa è il colore della facciata principale: un arancione acceso che la rende visibile e facilmente di-

mata in uno splendido tempietto. I festeggiamenti in onore di Santa Rita, patrona delle cose impossibili, molto sentiti dalla comunità del luogo si svolgono nell’ultima settimana di luglio, con una piccola processione e una – ormai tradizionale – pioggia di rose che investe l’effige della santa umbra. Di più recente costruzione e meno nota delle altre tre, è la chiesa che sorge nella frazione di Piano Luppino dedicata al culto di Santa Teresa del Bambin Gesù. La chiesa di Santa Teresa fu costruita e consacrata nel 2004 per volere di don Pasquale Luzzo, storico parroco della chiesa del Carmine in Sambiase, parrocchia alla quale la chiesa di Piano Luppino appartiene.

L’11 agosto 1991 veniva solennemente benedetta e inaugurata dal Vescovo Mons. Vincenzo Rimedio, assistito dal Padre Provinciale P. Giuseppe Morosini e da P. Francesco Di Turi e da P. Filiberto Mannarino, celebrando la prima Liturgia Eucaristica nella chiesa di Acquafredda. Da allora l’11 agosto si celebra una festa molto frequentata, specie dagli emigrati di ritorno. Un affresco raffigurante le tre donne sotto la Croce decora l’ampia parete dietro l’altare. Sempre nel 1991, il 31 marzo, fu inaugurata, alla presenza del Vescovo Mons. Vincenzo Rimedio, la chiesa di San Giovanni Battista nella frazione Acquadauzano. Costruita sul suolo offerto gratuitamente e

stinguibile da qualsiasi punto delle montagne circostanti, quasi come gli antichi fuochi d’avvistamento che servivano per comunicare. Questa vivida cromìa sembra quasi simboleggiare l’ardere della fede, la luce dello spirito santo sempre pronto ad accogliere il viandante (il contrasto, in inverno, col bianco della neve rende il contrasto ancora più marcato). Nella frazione Gabella sorge invece la chiesa di Santa Rita da Cascia. Sempre alla fervente attività dell’anno 1991 e allo zelo del Cappellano P. Giovanni Cozzolino, con la collaborazione di un gruppo di volontari, si deve una rivalutazione della chiesa che venne trasfor-

Di stile moderno, sull’altare maggiore della chiesa è situata una scultura del “Crocifisso in gloria” e accanto all’altare si trova la statua di Santa Teresa e la copia dell’icona della Madonna del Carmine. La festa della Santa si celebra l’1 ottobre, dopo un solenne triduo molto sentito e partecipato dagli abitanti della borgata, devoti alla loro Patrona: dopo la messa, si dà inizio alla processione che si snoda per la frazione e le piccole contrade vicine. La festa termina con uno spettacolo pirotecnico e musicale. La chiesa con gli annessi locali, raggiunge una superficie complessiva di circa trecento metri quadri, è sorta con una sostanziale e decisiva collaborazione degli abitanti del luogo e serve le frazioni di Piano Luppino, Bucolia e Santa Maria.

Satirellando e dintorni, stavolta…

Il periodo storico che stiamo vivendo, non è, certo, dei più facili. Tutto ciò che è sempre sembrato semplicissimo e naturale, sta diventando complicato e artefatto! Le abitudini e i comportamenti umani sono stravolti, la vita sembra essersi ribaltata e ogni normalità rivoltata come un calzino… Ci scopriamo improvvisamente fragili e tutte le nostre sicurezze sono quasi azzerate…

Per fortuna, non smettiamo di ironizzare anche su ciò che, in fondo, è tragico… Allora scopriamo il proliferare di video, meme, gif, con riferimenti esilaranti al coronavirus… E, dunque, potevate pensare che io non “satirellassi”?

PSEUDOSTRAMBOTTO DEL CORONAVIRUS Sonnacchiosa e addormentata, nell’Italia “spaparanzata”, imperversava la pennichella, ormai perenne, birbantella… Finché non giunse, con la corona,

un “principino” che non perdona! La popolazione è assoggettata, ma io non mi sono mai piegata: Altezza Covid, non ti rispetto, vorrei tu finissi nel gabinetto!

E, per dirla con Francesco Gabbani: “Comunque vada, panta rei!” … a testa alta e… che Iddio ce la mandi buona! Ma osserviamo le regole, per una volta, riprogrammandoci nel rispetto reciproco, che ci protegge.

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Spettacolo

Fatti di Musica. Commedia “Divina” e umanissima di Giovanna Villella

Catanzaro, 16 febbraio 2020. In scena al Teatro Politeama la quarta replica dell’Opera Musical La Divina Commedia, regia di Andrea Ortis che firma i testi insieme a Gianmario Pagano su musiche di Marco Frisina. Uno spettacolo prodotto dalla Mic e organizzato da Ruggero Pegna per Fatti di Musica edizione 2020. L’imponenza e la forza espressiva di un allestimento che va oltre la definizione di Opera Musical. Questa Divina Commedia è “Teatro totale” a più livelli, nei confronti dello spettatore in cui accende ricordi, coscienza e immaginario e nell’uso e commistione, riuscitissimi, delle varie arti: letteratura, musica, reminiscenze pittoriche e danza. Il confronto dell’uomo Dante con la morte e con la vita si svolge mostrando una gamma di emozioni in dinamica vivissima. Il suo viaggio ultramondano risulta perfettamente strutturato sul piano drammaturgico che àncora la narrazione alla contemporaneità e poi, in rewind, attraversa sette secoli di storia raccontati per immagini restituendo, in una scena di grande suggestione, il Sommo poeta intento a sfogliare la sua monumentale opera prima di viverla mentre la voce narrante di Giancarlo Giannini, carezzevole e intensa, racconta della polvere del tempo. Polvere che trova il proprio correlativo oggettivo nel dissolversi delle lettere dei versi proiettati sui teli. La magnificenza dell’apparato scenografico è un connubio di tradizione e innovazione, di legno e di pixel, in cui la maestria artigianale delle creazioni sceniche quali la barca di Caronte, la porta dell’Inferno, l’albero che intrappola Pier delle Vigne, la tolda della nave di Ulisse, il cerchio – figura mistica per eccellenza e simbolo dell’armonia – avvolto nel lumen gloriae da cui appare Beatrice convive in simbiosi con le immagini vivide e potenti proiettate in 3D su velari impalpabili in un incalzarsi di visioni: l’intrico di rami della selva oscura, le tre fiere, le vespe e i mosconi che tormentano gli ignavi, il gelo e le fiamme, incombenti cieli plumbei e mari procellosi, Lucifero orribile e insaziabile come il peccato … La deriva e la periferia di un universo erratico ed errante che si stempera nell’armonia cangiante dei tableaux crepuscolari del Purgatorio in un profluvio di rosse e caduche foglie autunnali e verdi primavere eterne per arrivare ai notturni cieli michelangioleschi e al fulgore del Paradiso con beati, santi e bianchi angeli nimbati. Straordinaria l’intensità interpretativa di tutto il cast: Antonello Angiolillo disegna un Dante umanissimo e tormentato da dubbi e angosce, il Virgilio di Andrea Orpag. 22

tis è maestro premuroso e affettuoso padre putativo che si interroga rammaricandosi – quasi – della sua condizione che non gli consente di poter accompagnare Dante fino al Paradiso e godere della luce divina a lui preclusa. Myriam Somma è una Beatrice donna e Madonna in cui il ricordo dell’amore terreno si sublima in quello divino, Noemi Smorra è una dolente Francesca da Rimini che canta il sentimento amoroso e lo smarrimento dei sensi e della ragione e una Matelda enigmatica e virginale. Di gran temperamento l’Ulisse di Angelo Minoli nella sua ricerca di “canoscenza” inghiottito con i suoi naufraghi nel mare di seta mentre Antonio Sorrentino in Caronte mostra tutta la sua carica demoniaca di figlio delle tenebre che si volge in umana compassione per il Pier Delle Vigne, vivo e gemente ramo tra i rami. Di struggente dolcezza la Pia De’ Tolomei di Federica Basile che in un sol verso sublime “Ricordati di me” condensa la sua pena per la sua giovane vita spezzata e ancora Antonio Melissa che nella figura del Conte Ugolino sottolinea il dolore eterno e implacabile di un padre laddove il suo Catone rivendica con fierezza la propria scelta di libertà. Le coreografie di Massimiliano Volpini sono costruite secondo composizioni geometriche, dinamismi lineari, studiate campiture di spazi colorati. Coreografie che non sono puri movimenti del corpo, pur nell’altezza della perfezione esecutiva di assolo, pas de deux, movimenti corali con aggrovigliamenti di corpi, pas d’élévation, prese aeree e slanci acrobatici, ma svolgono una vera e propria funzione drammaturgica enfatizzando la narrazione. Eccellente il corpo di ballo guidato dal capoballetto Mariacaterina Mambretti e composto da Marina Barbone, Danilo Calabrese, Fabio Cilento, Rebecca Errori, Raffaele Iorio, Luca Ronci, Federica Montemurro, Giovanna Pagone, Giuseppe Pera, Raffaele Rizzo, Michela Tiero, Alessandro Trazzera, Alessio Urzetta.

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I Meridiani: Voci calabresi in serie e parallelo

La culla della cultura:

già a partire dalle nostre ninne nanne di Francesco Polopoli Credo che questa letteratura dell’infanzia confini con le nenie o lamentazioni funebri: al di là dell’assonanza onomastica, il sonno, si sa, è parente di sorella morte. Ninna nanna, ninna oh, questo bimbo a chi lo dò? Se lo dò alla Befana, se lo tiene una settimana. Se lo dò all’uomo nero, se lo tiene un anno intero. Se lo dò al Bambin Gesù, se lo tiene e non ce lo dà più. Basta dare una scorsa ad un testo come questo per comprendere come l’educazione al pisolino passi attraverso grossi incubi: ad ogni modo, le storie, non sono rassicuranti, fateci caso. Nell’ipotesi ultima con cui si chiude il sopracitato componimento, c’è l’allusione implicita di finire agli alberi pizzuti, sia pur tra toni mitigati, che fanno apparire il contingente come cosa migliore, perché così è per la concezione cristiana della vita. Non solo. Un’Antica ninna nanna compare nel film ambientato nel Medioevo Il Nome della Rosa ed è cantata da Salvatore nel momento in cui sta per morire sul rogo. Di seguito la versione in toscano: «Ninna nanna sette e venti il bambino s’addormenti, s’addormenta e fa un bel sonno e si sveglia domani a giorno. Nanna oggi, nanna ieri e le sporte non son panieri, e i panieri ‘un son le sporte, e la vita non è la morte, e la morte un’è la vita, la canzone l’è già finita». «Quod erat demonstrandum», come volevasi dimostrare, avrebbe detto qualcuno: altro che fiabe a lieto fine! Spesso i riferimenti drammatici, benché sottotaciuti, come riportato in quest’altro esempio, erano bocconi amari a letto, altro che caramelline! Più volte mi sono interrogato sulla genesi di queste cantilene per bambini: sicuramente ha fatto il suo corso la tradizione greca che, La scenografia, firmata da Lara Carissimi, usa in maniera ricercata ed estetizzante colori, trucchi, stoffe, abiti e ambientazioni presentando oltre 70 tableaux dominati dal fasto visivo e dall’immaginazione e disloca l’azione scenica su più livelli con impalcature, pedane mobili, elementi sospesi, piani inclinati illuminati dalle suggestive luci di Valerio Tiberi che si riverberano anche sul fruscio di sete, tulle e damaschi dei pittorici costumi in un trionfo di nero, rosso, blu, oro, bianco. Alla bellezza stupefatta delle composizioni orchestrali di Marco Frisina si affianca la musica live di Marco Molino, Giulio Costanzo, Roberto Di Marzo con colori sotterranei, sinistri, cupi come prodotte dalle ansie covate nelle viscere della terra durante la permanenza nell’Inferno per poi liberarsi dai toni grevi e alitare la felicità silvestre nel Purgatorio fino alle aeree melodie celesti nel Paradiso. La regia sapiente e rigorosa di Andrea Ortis, pur arricchendo alLamezia e non solo

come è risaputo, è stata una delle culture globali più rappresentative dell’area mediterranea. Quando penso a Νάνι μού το νάνι νάνι (Ninna, mio caro, ninna, nanna) o a Νάνι νάνι το παιδί μου (Ninna, nanna, bambino mio), non posso non sottolineare un’evidente interdipendenza, già a partire dal leitmotiv d’apertura. Anche la veneta Nana Bobò presenta influenze balcaniche e bizantine nella struttura della canzone a riprova del fatto che c’è una matrice classica che, volente o nolente, esiste, sia pure per farci una dormita, detto con un sottile velo d’ironia. Dalle nostre parti il filone segue due tracce: quello drammatico, che è il più diffuso, o quello sdrammatizzato (era ora!), che è una sorta di rovesciamento di non pochi modelli preconfezionati sempre all’insegna della paura. Nel primo caso abbiamo sostanzialmente la favola fedriana de Il lupo e l’agnello: dolente è la chiusa testuale. La domanda che mi pongo è con quale animo possa aver chiuso gli occhi un nostro cucciolo pensando allo strazio di una madre alla ricerca di un figlioletto perso per sempre. Piccoli drammi già dalla tenera età: ahinoi! Più rassicurante la seconda, invece, dove, pur rimanendo la stessa cifra metrica, quartine a rima baciata, si strappa l’elemento tragico ed angoscioso a favore di un sopore riconciliatore ed anticipatore che si presigura sapore della nuova giornata che verrà.

cuni personaggi di sdoppiamenti figurativi che si esibiscono come in un gioco di specchi, lavora per sintesi e sottrazione affidando alle immagini proiettate da Virginio Levrio e a fugaci ma preziose presenze, il raccordo narrativo tra i vari quadri su testi di Gianmario Pagano e dello stesso Ortis. Standing ovation e applausi interminabili per questo capolavoro senza tempo che sa parlare agli uomini di ogni tempo.

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cultura AL SABATO DEL VILLAGGIO di Annamaria Davoli

FRANCESCO MESSORI / MESSI

Si è svolto sabato 22 febbraio alle 18,00 presso il Seminario Vescovile di Lamezia Terme, la seconda serata del Sabato del Villaggio ( XV edizione ) dedicata a Francesco Messori detto Messi in assonanza con Lionel Andrés Messi, calciatore e campione argentino. E’ importante ricercare saperi alternativi che Messori incarna: Egli è una persona degna di stima e considerazione per la passione con cui si è dedicato allo sport, nonostante il suo problema. Poiché la cultura è anche magia, l’ attesa che ha preceduto l’incontro è stata animata dalla straordinaria arte magica del giocoliere e prestigiatore Cico e alle sue

figure colorate che sparivano e riapparivano suscitando stupore e incredulità tra i presenti, conquistandone ammirazione e applausi. Il professor Raffaele Gaetano ha aperto l’incontro con i consueti saluti e ringraziamenti, presentando il giovanissimo 21enne Francesco Messori, capitano della Nazionale di calcio amputati. Il giovane atleta, per gli amici Messi, è il capitano della Nazionale di Calcio Amputati. Nato a Bologna nel 1998, ha dimostrato fin da bambino la sua passione calcio, non senza difficoltà: Dalla nascita infatti egli è privo della gamba destra. Questo ha comportato per lui il dover giocare indossando una protesi, oppure, come ha fatto quasi subito, con l’ausilio delle stampelle. Nel 2012 creò un gruppo su Facebook grazie al quale lanciò un appello, cercando calciatori come lui. Le adesioni furono subito numerose e permisero a Francesco di fonpag. 24

dare la Nazionale di Calcio Amputati. La squadra partecipò al Campionato Mondiale nel 2014 e agli Europei nel 2017, qualificandosi per il Mondiale 2018. Francesco ha presentato il suo libro “Mi chiamano Messi “ e ha narrato la sua storia di diversità che è divenuta normalità, grazie alla forza e al coraggio dei propri genitori: Sua madre, venuta a conoscenza della mancanza di un arto inferiore del bambino, prima ancora ch’egli nascesse, accettò di portare avanti la gravidanza; il padre musicista altrettanto, entrambi hanno amato Francesco da subito, permettendogli di poter fare ciò che gli interessasse, purché potesse divertirsi come gli altri bambini.

A scuola egli ha cercato sempre di stabilire un buon rapporto coi compagni, senza nascondere il suo problema di ragazzo amputato, senza emarginarsi, proprio perché ha avuto dei genitori forti che lo hanno sempre aiutato ad andare avanti. Fondamentale per lui fu l’incontro nel 2011, ad Assisi, con Massimo Achini, Presidente del Centro Sportivo Italiano, che gli cambiò la vita e grazie al quale nascerà poi nel 2012 la Nazionale Italiana calcio amputati di cui Messori divenne capitano. Francesco ha sempre amato il calcio ed ha sempre giocato, nonostante l’ handicap. Se inizialmente utilizzava la protesi, decise poi di toglierla per motivi pratici, di comodità. Inizialmente giocava a calcio, ma nessuno gli passava la palla per la sua amputazione e poiché non si sentiva coinvolto e non riusciva a divertirsi. Comprese così che non è sempre importante vincere, bensì fare sport, divertendosi. Decise di fondare una GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

Nazionale Amputati divenendone il capitano. Egli cerca sempre di dare il buon esempio e d’incoraggiare tutti. Raffaele Gaetano ha sottolineato che tutte le disabilità hanno la stessa dignità e Francesco ce lo ha dimostrato. La ‘Passione’ che è il tema della Rassegna di quest’ anno, ha animato Francesco nell’inseguire il suo obiettivo, nel divenire un campione e nel conoscerne altri grandi come Tardelli, Totti, Ancelotti e lo stesso Messi del Barcellona, da cui si è fatto scrivere e poi tatuare l’autografo sulla gamba. Sua madre quando apprese della sua amputazione citò una frase di Sant’ Agostino: “ Dio non toglie mai senza dare di più “ .

Francesco ha una scritta in Inglese sul collo: “ E’ solo una gamba in meno “ . Questa scritta significa che nonostante il suo handicap, animato dalla sua passione, egli è riuscito a raggiungere il suo obiettivo ed andare al di là di se stesso e degli altri; ha imparato a conoscere le persone prima ancora di giudicarle: Ognuno,nel proprio piccolo, è in grado di dare qualcosa, se la passione è alla base di tutto, nello sport, così come in qualsiasi altro ambito. Egli si è sempre allenato ed ha giocato per passione, avendo anche la fortuna di parlare all’ ONU: Il suo sogno è che il calcio amputati possa diffondersi non solo in Italia ma in tutto il mondo, che altre persone si accostino a tale sport e che ogni tanto si possa anche vincere. La sala era gremita e tra i presenti vi erano anche docenti e studenti di scuole medie lametine che hanno accolto con ripetuti applausi l’incontro. Lamezia e non solo


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