lameziaenonsolo gennaio 2019 simona sorrentino

Page 1

Lamezia e non solo

GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

pag. 1


pag. 2

GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

Lamezia e non solo


Lameziaenonsolo incontra

-Nella Fragale-

Simona Sorrentino

Due interviste, come sempre, questo mese, due figure completamente diverse, un uomo ed una donna, un uomo non giovanissimo ed una donna giovanissima, un padre ed una single, un uomo che ama parlare ed una donna che misura le parole eppure ... eppure qualcosa li accomuna. La passione per quello che fanno, per il loro lavoro, il legame, profondo, con la famiglia ... A voi leggere, confrontare, e poi stabilire se ho ragione o meno!

Simona Sorrentino, oculista, in genere apriamo le interviste con una domanda che facciamo quasi a tutti: si vuole presentare ai nostri lettori? Lei ha già detto qualcosa. Sì, sono appunto un medico, specialista in oculistica; ho frequentato l’università a Roma dopo aver conseguito il diploma al liceo classico “Francesco Fiorentino”, dove ho avuto docenti di grande spessore culturale come il compianto prof. Antonio Milano. Gli anni del liceo, come anche quelli delle scuole medie, sono stati anni intensi di studio, ma anche piacevoli e tranquilli, senza gli eccessi che spesso oggi coinvolgono gli adolescenti. Per mia natura sono sempre stata una persona riservata e controllata nei modi/comportamenti. Importante nella mia crescita è stata la presenza dei miei nonni materni, che mi hanno trasmesso dei valori fondamentali che saranno sempre prioritari nella mia vita. Sarebbero certamente orgogliosi oggi di leggere questa intervista! Indubbiamente senza nulla togliere ai miei genitori. Si può dire che lei sia “figlia d’arte” in quanto suo padre è un noto e stimato oculista, è stato questo che la ha spinta a prendere questa specializzazione? Sicuramente mio padre ha influito molto sulla mia scelta perchè da bambina spesso trascorrevo i pomeriggi con lui nello studio, affascinata da quegli strani strumenti, così mi sembravano allora, che utilizzava durante le visite. E questo ha fatto sì che mi innamorassi di questa professione. Ovviamente essere “figlia d’arte” può essere talvolta un peso. Posso tuttavia ritenermi fortunata perchè mio padre, indubbiamente orgoglioso delle mie scelte, mi ha sempre lasciata libera in alcune mie decisioni, dimostrando di avere fiducia in me e spronandomi ad essere “autonoma” Suo padre è un oculista molto noto ed apprezzato, dico è perché non si smette mai, anche se in pensione, di essere

quel che, professionalmente, si è stati, c’è un modo di pensare, di essere, di suo padre che lei ha fatto anche suo? Quello di considerare sempre la persona che si ha difronte, prima come uomo e poi come paziente. Quali sono i suoi ricordi di bambina, della scuola, dei compagni di scuola, dell’atmosfera che si respirava allora? Lo stesso rispetto per gli altri, per le tradizioni, per la famiglia? Come ho detto prima ho trascorso una infanzia serena, spesso a contatto con la natura, in un periodo in cui ancora era presente il senso della famiglia ed il rispetto verso gli altri. Indimenticabili i pranzi domenicali con nonni e bisnonni! Sappiamo che si è laureata a Roma, che ha frequentato il Campus Bio-Medico. In genere molti giovani calabresi che si laureano in queste prestigiose università, poi decidono di non tornare in Calabria, lei invece, per fortuna, è tornata, come mai? Perchè ho sempre avuto il desiderio di essere un medico della gente e di vivere a contatto con essa e non di considerare il paziente un nome o peggio un numero su una cartella clinica. Fortunatamente ancora nella nostra calabria il rapporto

medico-paziente è un rapporto reale, di incondizionata stima e fiducia. Che ricordi ha della sua vita universitaria? Come tutti ho vissuto gli anni universitari a scoprire una realtà diversa fatta oltre che di studio di nuove conoscenze che da un punto di vista umano mi hanno dato tanto. Di contro una università come il campus bio-medico ti porta ad essere molto competitivi e questo comporta dedicare molto tempo allo studio e di conseguenza selezionare le amicizie, prediligendo persone con gli stessi interessi. Molti affermano che il bravo chirurgo, per essere tale, deve formarsi sotto la guida di un grande maestro. E’ vera, secondo lei questa affermazione? Credo che la presenza di una persona che ti guidi sia importante, come lo è stato per me il prof. Rejdak, che ho conosciuto durante il mio percorso specialistico a Lublin, in Polonia, dove lui aveva fondato un “ocular trauma center”. Sotto la sua guida ho imparato sia il lavoro di équipe, sia a gestire e trattare il paziente politraumatizzato. Tuttavia ci si rende conto nel momento in cui si inizia a camminare da soli che tutto sta nelle proprie capacità e nella voglia di mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti. Come è cambiata questa branca della medicina da suo padre a lei? Molto, soprattutto da un punto di vista strumentale; infatti la diagnosi di molte patologie era solo clinica a differenza di oggi che può essere integrata e confermata da esami strumentali. Anche nell’ambito chirurgico si ha avuto un notevole miglioramento, basti pensare all’introduzione del microscopio


operatorio o all’impianto di lentine intraoculari dopo l’intervento di cataratta o al trattamento delle patologie retiniche con l’introduzione del vitrectomo. Tutta questa innovazione, importante per il paziente, può però portare il medico a fidarsi molto della tecnologia e un po’ meno delle proprie capacità cliniche. Quali sono le nuove tecnologie e i nuovi materiali del suo ambito? Come in tutti gli ambiti della medicina si assiste ogni giorno ad una evoluzione nelle tecniche sia diagnostiche che chirurgiche. L’oculistica è una delle branche in cui l’evoluzione tecnologica ha permesso di fare diagnosi sempre più precise con l’utilizzo di strumenti come oct, angiooct, ecografia. Così come si è arrivati a migliorare la chirurgia con metodiche mini-invasive e l’utilizzo di materiali monouso. Come è organizzato il reparto dove lavora? Lavoro in una clinica oculistica convenzionata all’avanguardia, dove oltre al normale organigramma presente nelle altre cliniche (medico di accettazione, anestesista, infermieri) vi è la presenza di una équipe di oculisti, ognuno ultra-specialista nelle diverse patologie oculari.

oggi si è arrivati ad impiantare una protesi retinica che stimola elettricamente le cellule retiniche ancora vitali, convertendo le immagini catturate da una mini videocamera montata sugli occhiali del paziente in una serie di piccoli impulsi elettrici che vengono trasmessi in modalità wireless ad una matrice di elettrodi impiantati sulla retina. Tutto ciò ha dello straordinario, infatti dopo un periodo di riabilitazione, i pazienti riescono ad individuare una persona che hanno di fronte e a delinearne i contorni. Una volta si riteneva che la professione di medico fosse più adatta per gli uomini (come per tante professioni per la verità), le è mai capitato di percepire indecisione in un paziente per il suo essere donna? Sì, soprattutto nei pazienti anziani ancora molto legati a questo ideale, ma ho visto in seguito il ricredersi in molti di essi. Uno studio, condotto da una famosa università americana, ha appurato che “i pazienti curati da donne guariscono prima”, lo sapeva? Non lo sapevo. Molto probabilmente per

Lavorando sul campo, in base alla sua esperienza sia come studentessa che come medico c’è qualcosa che cambierebbe nei programmi di formazione dei giovani oculisti? Senza dubbio allungherei il periodo di pratica durante gli anni di specializzazione.

Riferendomi alla Facoltà di Medicina in generale e dell’accesso dei giovani alla facoltà, le sembra un sistema giusto quello oggi in vigore per accedere alla facoltà ma, soprattutto, si selezionano veramente quelli giusti? Non credo sia un sistema giusto, perchè tutti hanno diritto a veder realizzati i propri sogni, così come non credo che vengano selezionati i giovani giusti. Credo tuttavia sia giusto trovare un metodo selettivo per evitare la pletora di laureati in medicina. Qual è il suo pensiero sulle vaccinazioni? Credo siano necessarie perchè è proprio grazie ai vaccini se molte patologie mortali o che causavano disabilità permanenti sono state debellate. Lo so che non è il suo settore, ma come medico le chiedo se, secondo lei, c’è un collegamento scientifico fra autismo e vaccinazioni? Se si riferisce allo studio di Wakefield i dati sono contrastanti. Come tutti i farmaci anche i vaccini possono avere degli effetti collaterali, ma i benefici che essi danno sono certamente superiori agli eventuali ed ipotetici problemi, da molti sollevati. Lei lavora a Cosenza, questo non sacrifica parte del tempo che potrebbe dedicare alla sua vita privata? Sì, indubbiamente lavorare lontano da casa mi porta a dedicare poco tempo alla famiglia o a qualche attività di relax, come la lettura, che è anche una mia grande passione, o le passeggiate in campagna con il cane, ma l’importante è sapersi organizzare per poter fare più cose.

Ma oculisti si nasce o si diventa?

Entrambe le cose. Si ha una predisposizione verso determinate branche della medicina, ma poi tutto sta a volerlo esserlo veramente impegnandosi nello studio.

Medico o Medica? Lei quale termine preferisce? Medico, senza ombra di dubbio.

Come sarà l’oculista del futuro? La ricerca scientifica sta facendo passi da giganti; basti pensare agli studi che si stanno facendo da qualche anno sulla retina artificiale. Fino a poco tempo fa sembrava impossibile riabilitare il paziente non vedente, eppure pag. 4

la maggiore empatia nei confronti del paziente.

Nei film si sente parlare di questo famoso “Giuramento di Ippocrate”, ma cosa è ed è ancora valido in un mondo GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

Lamezia e non solo


in cui l’apparire conta più dell’essere? E’ un giuramento che viene prestato dai medici prima di iniziare la professione. Viene considerato come fondamento essenziale dell’ etica medica, composto da un prologo e da una conclusione di carattere religioso; nella parte centrale c’è un elenco di doveri verso i propri maestri e familiari ed infine prescrizioni etiche di aiutare i malati e di astenersi da una serie di attività mortali od immorali. I medici per secoli lo hanno modificato, come ritenevano più opportuno, fino, a volte, a renderlo inutile. La professione medica deve essere considerata una vocazione che coinvolge tutta la persona. Le doti di ascolto e comprensione verso il malato, unitamente a quelle medico-scientifiche, determinano il valore del professionista. La difesa della vita fisica, il rispetto della riservatezza, l’autonomia del paziente sono principi fondamentali che rendono superflua ogni altra dissertazione in merito. Passiamo da Ippocrate ad Internet. Questo mondo sempre connesso, sempre in rete, come ha cambiato il rapporto paziente-medico? Si assiste ad un maggiore scetticismo da parte del paziente nei confronti del curante, avendo già una autodiagnosi. Questo crea talvolta delle grosse difficoltà da parte del medico a fare capire al paziente che un sintomo può esserci in diverse malattie, ma non è il sintomo stesso ad essere sinonimo di malattia. Lei lavora in una nota clinica privata e quindi può darci un suo parere da esperta “nel campo”, sanità privata e pubblica spesso in contrasto quando dovrebbero “collaborare” per offrire il meglio all’ammalato. Ha una sua idea in merito perché questa integrazione possa avvenire? Le idee sono tante, ma il problema non è sanità pubblica o privata, perchè è un problema politico. Purtroppo dico io ... Come è una sua giornata tipo? Una normale giornata fatta di impegni quotidiani. Ma la donna oggi, per avere successo nel lavoro, quali doti deve possedere? Lamezia e non solo

Essere sempre se stesse, ricordando che, almeno secondo me, sono loro il “nocchiero” di quella barca che, a volte, va a vele spiegate, mentre altre a vele ammainate. E concludiamo con un’altra domanda classica, “alla Marzullo”, la domanda che non le ho fatto e che avrebbe voluto le facessi? Si faccia la domanda, ci dia la risposta SIMONA SORRENTINO E’ FELICE DI ESSERE LA DOTTORESSA SIMONA SORRENTINO? NON DESIDEREREI ALTRO! Vivendo in una società prettamente maschilista, deve sicuramente dimostrare sicurezza e determinazione, senza mai sminuire quelle peculiarità proprie dell’essere donna. Del suo carattere cosa apprezza di più? e, per contro, cosa non le piace? L’empatia e vorrei essere meno accondiscendente. La qualità che preferisce in un uomo? La sincerità E in una donna? Idem Se non le fosse stato possibile fare l’oculista cosa le sarebbe piaciuto fare? Non ho una idea precisa perchè ho sempre e solo voluto fare questo. Che rapporto hai con i social? Non li uso, ho deciso anni fa dopo averne fatto esperienza di preferire i rapporti umani a questi virtuali. Quando torna a casa, riesce a non pensare al suo lavoro? Sì. Cerco per quanto mi è possibile di separare la mia vita lavorativa da quella privata. Una società che corre, che fa passi da gigante in tutti i settori, è un futuro che la preoccupa se pensa al futuro dei giovani? Mi rendo conto che l’affannarsi di tutti i giorni ci ha resi sempre più figli del presente. Si vive giorno per giorno come se non avessimo un futuro. Ed è preoccupante, perchè una persona che non ha un futuro non ha sogni e non ha speranze.

Che dire di Simona? E’ medico, è seria, scrupolosa, attenta, di certo lei appartiene a quella categoria di medici alla quale mai nessuno dirà: “dottore, non scordi che lei ha fatto il giuramento di Ippocrate” perchè lei non lo fa il medico, lei lo è! Una giovane, grande donna, sensibile, preparata, dolcissima, timida forse, empatica di certo, ti senti subito a tuo agio con lei, forse non ha i coraggio di dire “no” quanto vorrebbe ma questo non è un difetto, tutt’altro! L’ho conosciuta proprio come oculista e subito mi sono resa conto della sua preparazione, vorrei poterlo raccontare ma... Di certo non ama parlare molto, non ama mettersi in mostra, non è alla continua ricerca dello scatto giusto fatto al momento giusto da postare “live”. Ha dei principi, quelli di cui i meno giovani parlano sempre e che si sono persi strada facendo. L’inarrestabile crescita della tecnologia, avrà anche aiutato la medicina, la ricerca, ma di sicuro ha fagocitato le nostre libertà, quel tempo che si dovrebbe dedicare a noi stessi e a chi ci è caro e che, invece, si dedica all’etere. Simona invece non lo fa, come ha detto, preferisce il rapporto personale a quello virtuale, quindi preferisce stringere una mano, abbracciare, guardare negli occhi, piuttosto che pigiare su un “like” senza , magari, avere letto di quello di cui si tratta. La frase per lei? E’ di Soren Kierkegaard: “La grandezza non consiste nell’essere questo o quello, ma nell’essere se stesso, e questo ciascuno lo può se lo vuole.”

Un messaggio per le donne? GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

pag. 5


grafichéditore

Rêverie – Tratto da una storia falsa Quante volte ci è capitato di leggere la favola della cicala e della formica di Esopo? Quante volte ci siamo schierati senza esitare dalla parte della formica, che incarna i sacri valori del lavoro e della previdenza? Ed invece quante volte ci siamo fermati a riflettere, concludendo infine che la formica non conduce certo un’esistenza idilliaca, e che la cicala non ha poi tutti i torti a voler cantare d’estate? Chissà, eppure il giovane scrittore Luca F. Giacobbe si è ispirato proprio a questa breve favola, già ripresa da Jean de La Fontaine, per il suo lavoro d’esordio, un prosimetro dal titolo “Rêverie – Tratto da una storia falsa”, pubblicato da GrafichÉditore. Stavolta, però, la celeberrima favola è stata riletta non più dal punto di vista dell’economa e attenta formica, ma da quello ben più sognante e lirico della cicala; inoltre l’intera storia è trasportata nella realtà, dunque la cicala non è altri che un appassionato chitarrista dedito all’arte e disinteressato al lavoro, costretto però a fare i conti con una società tanto indaffarata da ricordare un formicaio. L’autore frequenta il Liceo

pag. 6

Classico F. Fiorentino, e questa sua formazione classica è ben ravvisabile nel suo prosimetro, un genere già di per sé molto originale, in quanto costruito attraverso la mescolanza di prosa e versi. Interessante anche la genesi del titolo dell’opera, in quanto la parola francese “rêverie”, traducibile come “fantasticheria” richiama anche una composizione per pianoforte di Claude Debussy, ed ha in sé la radice “rêve”, ovvero sogno. Proprio il mondo onirico e quello musicale rappresentano due universi importantissimi in questo racconto. Il protagonista si muove nell’eterno

GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

contrasto tra sogno e realtà, arte e lavoro, e nonostante voglia dedicare interamente la sua esistenza alla musica, deve prima o poi fare in conti con le ragioni contingenti, quando si innamora di una ragazza e mette su famiglia. Una buona dose di suspence accompagna il lettore fino all’ultima riga, curioso di sapere se la cicala dovrà infine subire una metamorfosi in formica o potrà seguire la sua speciale passione. Una delle principali preoccupazioni dello scrittore è quella di permettere ad ogni lettore di immedesimarsi nelle vicende narrate, a tale scopo non assegna un preciso nome al protagonista, ma lo chiama semplicemente C., richiamo al K. di Franz Kafka. Inoltre ambienta la sua storia in “una città anonima come lo sono tante”, vuole insomma che il suo racconto non sia rinchiuso in angusti contesti spazio-temporali, ma preferisce sia visto come un’esperienza in cui ciascuno può rivedersi. È vivamente consigliata allora la lettura del libro, che è possibile trovare presso la libreria Tavella di Lamezia Terme. Buona lettura! foto di Paolo Ascioti

Lamezia e non solo


L’angolo di Gizzeria

Presentato il Calendario Gizzeroto di Maida Saverio Il 23 Dicembre 2018, nella Chiesa dell’Annunziata del borgo antico di Gizzeria si è tenuta la presentazione della nuova edizione del Calendario Gizzeroto, redatto da Michele Maruca Miceli, ricercatore delle tradizioni popolari e storico del paese. Un pomeriggio di cultura, identità e tradizione, alla presenza delle istituzioni rappresentate dal Sindaco Pietro Raso e dall’Amministrazione Comunale al completo, dal parlamentare lametino Domenico Furgiuele, componente della VII commissione (cultura, scienza e istruzione), dalla dirigente dell’Istituto comprensivo di Sant’Eufemia Lamezia dott.sa Fiorella Careri, e dal dott Gaspare Caputo di Lamezia Terme il quale ha ampiamente relazionato sulle origini della lingua, dall’uomo di Neanderthal ai giorni nostri. Nutrita è stata la presenza dei cittadini di Gizzeria. Le pagine del calendario narrano di “storie, abitudini e usanze popolari ormai andate perdute, leggende di

Lamezia e non solo

paese, aneddoti e modi di dire, il tutto rigorosamente in vernacolo. Interessante è il racconto della Lanterna di Capo Suvero costruito nel 1869 ed è uno dei 169 fari d’Italia in funzione. Suggestivo anche, il racconto legato al nostro mare dove la Sirena Ligea, si dice, che non riuscendo ad ammaliare con il suo canto Ulisse, dal dispiacere si fece sballottare dalle onde arenandosi lungo la spiaggia di Capo Suvero e precisamente alla foce del fiume Okinaros dove fu sepolta. Si ipotizza che

l’Okinaros altro non fosse che un fiume posto fra l’Amato e il Savuto. Alcuni lo hanno identificato nel Tridattoli (tre dita) che sfocia a capo Suvero, altri nello Zinnavo che sfocia nel golfo alla cui trasformazione si risalirebbe Okinaroskinarus-Zinnarus-Zinnavo così come testimonierebbe l’effige di una sirena presente su alcune monete ritrovate nei pressi dell’Abbazia Benedettina di Sant’Eufemia Vetere”.

Lo storico Michele Maruca Miceli racconta del valore aggiunto che ha la ricerca delle tradizioni. “Stare insieme agli anziani ci arricchisce, i loro racconti ci fanno capire chi siamo e da dove veniamo. L’intervento del Sindaco Pietro Raso è stato incentrato sulla descrizione delle opere e dei progetti previsti per la valorizzazione del centro storico di Gizzeria, a testimonianza del grande impegno e amore del primo cittadino nei confronti del borgo storico”. A conclusione della serata, porge i saluti anche Domenico Furgiuele che in qualità di componente della commissione cultura, si legge infine nella nota “ha voluto dimostrare la vicinanza e la sensibilità del governo a queste attività, per salvaguardare le tradizioni calabresi, ringraziando Gizzeria e Michele Maruca Miceli per il suo impegno e contributo alla cultura nel continuare le sue ricerche poiché il suo fare è un valore aggiunto a Gizzeria ed alla piana lametina”. A fine serata, sono state distribuite delle copie gratuite del calendario ai presenti.

GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

pag. 7


CAMBIAMENTI CLIMATICI E DATI SULLA EVOLUZIONE GEOMORFOLOGICA POCO O MALE UTILIZZATI ANCHE IN AMBIENTI ACCADEMICI DELLA REGIONE Per stimolare i necessari interventi di adattamento ai mutamenti climatici giova ricordare, in particolare a chi ha le responsabilità del governo e controllo del Territorio, lo stretto legame tra le variazioni geomorfologiche del Territorio e le modifiche della qualità della vita delle popolazioni che hanno vissuto e continuano a vivere nello stesso Territorio. Variazioni ben documentate sia nelle cronache e nei libri di storia umana che nelle forme e tipologie delle rocce che caratterizzano il nostro paesaggio. Alcuni aspetti dell’intreccio di queste variazioni lungo la fascia costiera del Tirreno lametino tra i Fiumi Savuto e Angitola sono stati evidenziati nel precedente numero di “LAMEZIAenonsolo”. Altri aspetti di questo intreccio emergono recuperando la memoria storica e considerando i dati anche più recenti sul grande e prezioso patrimonio di risorse naturali e minerali di cui si è fatto cenno in tante altre pubblicazioni comprese alcune dei decenni scorsi dello stesso editore di questo mensile. Sono da richiamare alla memoria i dati sulla grande disponibilità di preziosi minerali e sulle variazioni del paesaggio della zona settentrionale della fascia costiera. E, in particolare, quelli relativi alla presenza del minerale rame nei territori dei comuni del lametino come Nocera Terinese per come documentato sia dalle ricerche effettuate nel secolo scorso sia nei libri scritti dai più antichi autori, come Strabone e Omero nell’Odissea che ricordano Temesa per le sue miniere di rame.

Gli stessi antichi autori sono richiamati dal Generale G Schmiedt. nella sua pubblicazione del 1975 sugli antichi porti della Magna Grecia dove si legge: “ a brevissima distanza (10 miglia) da Clampetia la Tabula Peutingeriana segnala la stazione di Tempsa,che vuole identificare la misteriosa città di Temesa” ricercata alla foce del Savuto. In particolare si sottolinea: <<Omero nel Canto I dice che Athena, dopo aver preso sembianze di Mente, condottiero dei Tafi, racconta a Telemaco di essere approdata con la sua nave al porto di Ritro e di essere diretta a Temesa, da genti straniere, per cambiare con bronzo, il suo carico di ferro. Gli scrittori antichi furono incerti se identificarla con Tamaso di Cipro o la Temesa del Bruttium, due città nel cui toponimo si celava la stessa parola semitica che significa “fonderia”.>> E aggiunge che Strabone, pur non ignorando l’alternativa della Tamaso di Cipro, afferma che Omero alludeva senz’altro alla Temesa italica, dove ai suoi tempi esistevano anche miniere di rame abbandonate. Inoltre, dopo le esplorazioni degli anni 1915-1916, Paolo Orsi rinvenne sul caratteristico sperone di Piano di Terina, tra i fiumi Savuto e Grande, tracce di un insediamento preistorico e i resti di una città greco-romana. Ma, pur riconoscendo che la situazione topografica del Piano di Tirena rispondeva pienamente alla presumibile posizione della Temesa greca, non trovò elementi archeologici tali da confermare sulla spianata dell’altura una città greca-arcaica. Ritenne probabile, invece, che i resti rinvenuti (tratti delle fortificazioni urbane e dell’acropoli, acquedotto, qualche tomba di inumati, ecc.) alla Nuceria ricordata da Filisto, fossero da attribuire a una città bruzia ellenizzata. Nulla rin-

Lamezia e non solo

venne anche a sud di Piano Tirena sui vicini ripiani di Torre del Casale, Mattonate e Pietra la Nave, dove Lenormant e Nissen, accogliendo notizie riportate da Romanelli su “Antica Topografia del Regno di Napoli” e attratti dalla omofonia (Tirena = Terina) avevano cercato il sito di Terina, scalo greco da situarsi invece, poco più a Sud nel Golfo di San Eufemia. Lo stesso G. Schmiedt evidenzia come le tracce di presumibili resti sepolti nella zona del Piano di Civita, cioè nelle vicinanze del suddetto Piano del Casale, non ci consente per il momento di poter circoscrivere con sicurezza il sito di Temesa. Tuttavia, in attesa che saggi di scavo possano chiarire l’indicazione, sembra lecito asserire che questi estesi ripiani, delimitati da antiche ripe marine quaternarie e ora erosi e compartimentati dalle acque, dovettero, sia in epoca greca sia quando Temesa divenne colonia romana (nel 192 a.C.), costituire indubbiamente ottime terre da coltivare. Ciò sembra peraltro

confermato dalla situazione topografica dell’antico scalo che si può collocare sulla spiaggia sottostante, in regione Pietra la Nave. Sulle variazioni del paesaggio litoraneo e della linea costiera, oltre a quanto emerge dalle carte geologiche, va ricordato che su Pietra La Nave e la presenza di un porto il Generale Schmiedt richiama il noto e antico documento del 1.240, riportato da Fiore nella “Calabria Illustrata” del 1680 e citato da Paolo Orsi, sulla concessione di permuta ai monaci di S. Eufemia rilasciata

GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

pag. 8


da Federico II, che riferisce lo scambio di metà delle terre di Neocastro avvenuto col << Portum Maris, qui dicitur Navis de Arata de Tenimenti dictae terrea Nuceria cum predicta terra >>. Il nome di Arata è riportato in altri documenti del XVII secolo citati da Ventura in una sua pubblicazione su Nocera Terinese del 1955. E viene attualmente indicata con Piana di Campo di Arata la pianura che copre la zona dell’antico porto. Oltre alle carte geologiche altri dati sulla dinamica geomorfologica nel nostro territorio sono, tra l’altro, contenuti nella pubblicazione “Di Terina e Lao” del 1886 di Marincola Pistoia. In questa pubblicazione si legge: “Ippone ci lasciò memoria della isoletta chiamata Terina, la medesima nomata Taurinus scopulus da Tolomeo, e da Solino, Insula Ligea dalla omonima sirena, il cui corpo vi fu gittato dalle onde. Questa isola certamente dovea trovarsi presso la città di Terina, di cui ricordava il nome, ed il mito di Ligea, che le appartenne.” Sulle ipotesi di localizzazione e modifiche

dei luoghi Marincola scrive: “non si è potuto determinare il luogo in cui essa sorgeva, poiché, presso il lido del mare in cui si trovava Terina, non solo non esiste isola alcuna, ma neppure segno che ve ne fosse stata in passato. Da questa condizione di cose, i patrii scrittori, sono stati indotti a credere, che gli antichi dovettero dare a questa denominazione, alla scogliera, tuttora esistente a sinistra e circa un miglio da Nocera, ed eguale distanza dal Savuto, chiamata Pietra della Nave. Questa opinione può dar luogo ad osservare, che il detto gruppo di scogli, essendo congiunto alla terra, non possono propriamente chiamarsi isola; ma poiché la gran quantità di sabbia, che è stata in quel luogo trasportata dalle acque che vi scorrono, ne hanno mutato l’aspetto topografico, ed i nostri terrazzani di maggiore vecchiezza si ricordano, che quei scogli erano in passato staccati dalla spiaggia, e tutti circondati dalle acque, può credersi, che al tempo in cui esisteva Terina, doveano essere distanti dalla terra, ed avere l’aspetto di un’isola. In prova della qualità d’isola attribuiti a questi scogli, si è creduto ricordare alcuni grossi anelli di ferro, colà trovati parecchi anni addietro, stimati ad uso di legarvi le navi. Ma se pure questi anelli servirono al detto uso, non però possono far piede alla detta opinione, che potereno essere adoperati in una isola, come in qualunque altro luogo bagnato dal mare, che non lo fosse. Questi anelli, piuttosto potrebbero far credere, che in antico, in quel luogo, fosse stato un porto, o stazione di navi, della cui esistenza nel medio evo ci resta memoria, in un diploma dell’imperatore Federico II, rilasciato il 1240 in favore di Fr. Gio. abbate del monastero di S. Eufemia, nel quale si legge: portum maris qui dicitur Napis de Arata, in tenimento terrae Noceriae.” Il continuo evolversi del paesaggio nella stessa zona è testimoniato dai quattro terrazzi marini costituiti dai sabbioni e conglomerati di colore bruno-rossastro formati dall’incessante azione del mare che spianava i materiali erosi e i depositi alluvionali costieri. I quattro terrazzi ben descritti dall’Ing. Cortese sono: - Piano della Gabella, alto dai 10 a 50 metri e largo circa 200 metri;

Lamezia e non solo

- Piano del Casale, alto dai 150 ai 200 metri e largo in media 600 metri; - Piano di Civita, alto dai 350 ai 480 metri e largo mediamente 1500 metri; - Piano di Stia alto dai 640 ai 700 metri e largo circa 1000 metri. Sull’origine litoranea di questi depositi lo stesso Cortese spiega come il mare con la sua azione erodente spianava le rocce della costa, e ricevendo gli elementi portati dalle fiumare e distendendo quelle da esso stesso strappati, livellava assiduamente le asperità della costa, riempendone le depressioni e colmandone le insenature. Sempre l’Ing. Cortese precisa che: “questo è quello che anche attualmente, ma adesso l’azione ne è disturbata da mille cause diverse, in cui entra in molta parte anche l’azione umana. Nelle età quaternarie, le sole forze naturali erano in azione, e questa libera si svolgeva. Dalle testimonianze lasciate si può giudicare quale è il meccanismo littoraneo attuale su quelle spiagge, e da questo, e dalle condizioni stesse delle spiagge attuali si può dedurre quali erano le condizioni di quei depositi littorali più antichi. Il curioso è che quattro volte, per non dire cinque, arrestandosi quel sollevamento che ha fatto emergere completamente la Calabria, quelle azioni terrazzanti hanno avuto campo di estrinsecarsi, talchè con cinque scalini si discende adesso dal più antico deposito quaternario calabrese, alle spiagge di formazione contemporanea. E queste si ascrivono ad un’altra epoca, all’epoca recente, soltanto perché sono ancora immerse, o di poco emerse, e perché vi sono dati che attestano essere stato l’uomo testimonio della loro formazione. Del resto, si può dire che le attuali coste calabresi non sono che l’ultimo dei gradini rappresentanti le varie soste del sollevamento, e che dal più alto terrazzo quaternario alla spiaggia attuale è stato un continuo periodo di sollevamento, il quale non ha variato che d’intensità, mai di direzione.” I dati sopra citati e, in particolare le continue variazioni della linea di riva che separa le acque marine dalla terra ferma, non possono continuare ad essere sottovaluti o ignorati da chi ha il dovere e la responsabilità di prevenire gli effetti dei cambiamenti climatici in atto e l’aggravarsi dei danni delle inevitabili mareggiate.

Geologo Mario Pileggi del Consiglio Nazionale di “Amici della Terra”

GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

pag. 9


la nostra storia

Questione meridionale e sviluppo del Mezzogiorno nella concezione e nell’opera di Luigi Sturzo a sessant’anni dalla sua morte ed a cento della fondazione del Partito popolare italiano

Ricorrono in quest’anno 2019 due avvenimenti importanti che riguardano la persona e l’opera di don Luigi Sturzo: il sessantesimo anniversario della sua morte avvenuta in Roma l’8 agosto 1959 ed il centesimo anniversario dell’appello “A tutti gli uomini liberi e forti” che costituì l’atto di nascita del PPI (Partito popolare italiano) avvenuta, sempre in Roma, il 18 gennaio del 1919. <<A tutti gli uomini liberi e forti... facciamo appello...>> così scriveva Sturzo nel fondare il partito dei cattolici italiani. Ed aggiungeva: <<...Liberi perché forti, forti perché liberi...>> E’ forse superfluo ribadire che don Luigi Sturzo è stato innanzitutto un prete fedele alla sua vocazione sacerdotale ed alla Chiesa. Supportato da una profonda fede religiosa – quella fede che quando è autentica muove, per dirla con il Vangelo, le montagne – il Sacerdote calatino ha saputo coniugare con mirabile equilibrio interiore il suo essere uomo libero, che combatte la battaglia per i valori civili e i programmi laici in cui crede e non è disponibile a scendere a compromessi nè a piegarsi alla intimidazione ed alla violenza, con l’obbedienza alla Chiesa e ai suoi massimi rappresentanti. Anche se questa obbedienza gli costò spesso tante delusioni ed amarezze. A cominciare dall’esilio per ben 22 anni: in Inghilterra prima, dal 1924 al 1940; negli Stati Uniti dopo, fino al ritorno in Italia, nel 1946. Nella rievocazione della personalità del Sacerdote calatino e di tutto quanto egli ha scritto e fatto, da parte di scrittori, sociologi, politici, giornalisti, sia cattolici che laici, mi è sembrato che spesso fosse rimasta in secondo piano la “dimensione meridionalistica” di don Luigi Sturzo. Nel senso che non fossero stati sufficientemente indagati né l’aspetto del pensatore acuto, che analizza le condizioni di arretratezza ed i mali del Mezzogiorno, né quello del politico “impaziente” e deciso che suggerisce i possibili rimedi ed opera concretamente per la soluzione dei nodi strutturali di arretratezza nei quali si trovano avviluppate le regioni del Sud. La strategia meridionalistica che don Sturzo aveva elaborato, prendeva lo spunto da una critica radicale allo Stato liberale. pag. 10

Il fondatore del PPI non si era sognato minimamente, però, di avanzare rivendicazioni legittimistiche che potessero far pensare ad una nostalgica volontà di ritorno allo statu quo ante. Non aveva messo per nulla in discussione il risultato storico dell’unificazione nazionale. Per Lui l’Unità della “Patria” – come si esprimeva riferendosi all’Italia – era un fatto ormai compiuto e definitivo, contro il quale non era sensato nessun tentativo di revanscismo, revisione o ripensamento. Tuttavia, la polemica del fondatore del Partito popolare, nella sostanza e nei toni, era dura ed irriducibile. Don Sturzo denunciava i limiti dell’organizzazione accentrata dell’apparato amministrativo, che “faceva proprie le attribuzioni dei comuni, che violava la libertà d’insegnamento, i diritti

GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

famigliari e personali”. Questo modello statuale poco democratico ed accentratore doveva essere smantellato ab imis, in quanto, notava il Prete siciliano di Caltagirone, in esso andava sempre più radica-

lizzandosi la “tendenza accentratrice e livellatrice della vita amministrativa locale” quale risultato della uniforme costruzione del nuovo Stato nazionale che tanto stava penalizzando il Mezzogiorno d’Italia. Da qui, due delle più urgenti richieste inserite nel programma del Partito popolare: 1.la riforma in senso proporzionalista del sistema elettorale per consentire la partecipazione politica delle masse popolari cattoliche fino ad allora escluse dalla vita dello Stato; 2.il decentramento amministrativo tramite la istituzione delle regioni affinché i meridionali si potessero auto-governare e risolvere da se stessi i problemi da cui erano afflitti. Da questa premessa Sturzo traeva la logica conseguenza che “la questione meridionale non era soltanto economica, ma “morale, amministrativa, politica” e, dunque, “riguardava lo Stato italiano nella sua struttura storica e nella sua ispirazione”. Nell’ analisi delle condizioni di sottosviluppo del Meridione, Sturzo aveva intuito una serie di contraddizioni dello Stato unitario nazionale e li aveva denunciati all’opinione pubblica. Ispirandosi a Francesco Saverio Nitti, che per primo aveva posto il problema dei capitali che dal Mezzogiorno erano stati drenati verso il Settentrione, aveva affermato, per esempio, che “…..i numeri dei milioni del Sud esulati verso il Nord” stavano lì a dimostrare “la prefeLamezia e non solo


renza data dallo Stato al Nord a danno del Sud nelle ferrovie, nelle scuole, nella marineria, nell’indirizzo delle finanze e giù di lì”. E questo aveva creato una divaricazione, nell’economia e nella produzione della ricchezza, sempre più ampia tra il Nord ed il Sud. Ma il Sacerdote calatino affondava ancor di più la sua analisi facendo ricorso all’indagine sociologica per comprendere ancora meglio le dinamiche delle peculiarità culturali del Mezzogiorno. Che gli consentivano di sostenere con lucidità che questa disparità non si esauriva solamente nell’ arretratezza materiale e quindi nelle differenti condizioni di vita tra le due aree del Paese, ma la si riscontrava anche nella educazione politica e nei comportamenti della vita ordinaria della gente, sicchè era ormai

venuto il tempo in cui si dovesse prendere consapevolezza di quanto il Nord ed il Sud fossero diversi e distanti ed agire di conseguenza. “Nel Sud – affermava Sturzo – le masse del Meridione non vivono la vita della nazione, non delle concezioni politiche, non del movimento di idee [……]; il campanile, il deputato, ecco la vita delle nostre masse. E in alto la corruzione, la sopraffazione dei politicanti interessati, dei manutengoli della mafia e della camorra”. Un discorso attualissimo, perché con questa icastica descrizione, Sturzo ci trasporta ai giorni nostri e ci obbliga a riflettere quali siano ancora oggi le relazioni sociali che tanta parte delle genti meridionali intrattiene con il “potere” in tanta parte dei territori del Mezzogiorno: sostanzialmente, sono ancora del tipo di quelle dei tempi in cui il

fondatore del Partito popolare scriveva le considerazioni sopra riportate. Ha scritto acutamente Sandro Fontana, uno studioso cattolico settentrionale del Popolarismo sturziano, che il Sacerdote calatino, “poneva sempre al centro delle proposte del PPI la questione meridionale: e ciò non solo e non tanto per sollevare le condizioni economiche e sociali di quelle zone periferiche, quanto perché era nel Sud che si manifestavano le conseguenze più vistose ed odiose del meccanismo industriale imposto dall’alto all’intero Paese. La questione meridionale, continua il citato studioso, si identificava perciò con la questione nazionale e diveniva l’elemento discriminante teso a qualificare in senso democratico e popolare l’intero programma economico sociale del partito popolare”. Una descrizione perfetta della strategia sturziana. I cui obiettivi di riforma non potevano che essere di natura complessiva e strutturale, finalizzati all’azione politica preminente del Partito popolare: per porre fine, cioè, al dualismo Nord-Sud ed unificare anche economicamente l’Italia, bisognava mutare in modo radicale il modello di sviluppo quale storicamente si era andato affermando nel Paese dall’Unità in poi. Peccato che l’avvento del Fascismo decretò l’interruzione di questo grande disegno e costrinse il suo Autore all’esilio per quasi un quarto di secolo. Quando sarebbe rientrato in Italia, Sturzo aveva ormai settantacinque anni. La parabola umana del Grande Calatino era ormai finita. Non quella del suo pensiero e della sua testimonianza che, oggi più che mai, sono vivi ed attuali.

Le perle di Ciccio Scalise

STU’ DUAMILADICIANNOVI Stù duamiladiciannovi, echi nnì po’ ppurtari ?, certu nò ccosi novi, ccù stì pulitici fhasulli, ccù stì tartarari. U dittu viacchjiu, anticu, n’autra vota ajiu vistu abbirari, quandu cuntava, “ iu ti dicu, chilla cosa aili guagliuni un ssì po’ ddari Nua mbeci, scinziati, ull’amu stavuti a ssintiri, Lamezia e non solo

e mmò, tutti stì scillirati, u jiancu niuru, ni vuanu fhari vidiri. Nù pocu i paci, u populu circava, nù pocu i paci e dd’onestà, si chista, nGrazzia i Ddiu arrivava, aviamu puru nù pocu i sirenità. Mbeci, mancu aguannu po’ arrivari, a cchillu chi sì sta bbidiandu, manca ll’equità ad’amministrari, e ppuru a dimocrazia sì sta ppirdiandu.

Pirciò, annu nuavu chi sì arrivatu, chjinu i ntusiasmu ed’anzietà, ppimmu u sai, ccà ha truvatu, sulu ggenti chi, a ccampari, un ccià fhà. Tu scauzu si arrivatu, scauzu, nudu e ssulu, ti và bbona sì, ù Ila pigli, puru tuni,dintra u culu.

GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

pag. 11


ARTE E DINTORNI

MATTEO CURCIO

L’ARTE COME FASE D’INCONTRO TRA LO S P I R I T O E L A M AT E R I A

di Fernando Conidi

Continua l’intervista al maestro Matteo Curcio; un calabrese che ha ottenuto riconoscimenti nazionali e internazionali. Le sue opere, specialmente quelle a carattere religioso, sono molto apprezzate, e adornano molte chiese delle Diocesi calabresi.

INTERVISTA - seconda parte

a volte, sono proprio quelli a suscitare maggiori emozioni. Per questo scelgo sempre modelle e ambienti che rappresentino meglio l’opera che voglio realizzare. Ciò che viene rappresentato nell’opera è realizzato personalmente da me, intendo dire

che se stesso, poiché la creatività è una delle più belle qualità dell’animo umano. Le opere sacre che ho realizzato per molte chiese della Calabria sono per me grande motivo di soddisfazione, del resto abbiamo artisti di fama internazionale, sia passati che presenti, che hanno realizzato opere su commissione, e credo che non ci sia neanche bisogno di citarli. Aggiungo che alla mia carriera artistica ha contribuito principalmente, come ho già detto, Mons. Fiorini Morosini, Arcivescovo della Diocesi di Reggio Calabria-Bova; se non fosse stato per lui - che considero un secondo padre, per molte cose che ci accomunano, specialmente la fede e la figura di san Francesco di Paola - oggi non sarei quello che sono.

L’INTERVISTA Matteo, come lei ben sa, la pittura è creatività, espressività; lei in quale tipologia di opere s’identifica di più? Ho iniziato da bambino a disegnare. Nel corso del tempo, la passione per l’arte mi ha sempre spinto a provare diversi stili e diverse tecniche pittoriche. Dopo l’esperienza di tutti questi anni, la mia tecnica si è evoluta e ho creato uno stile personale, che mi identifica sia nelle opere che in ciò che voglio trasmettere Secondo lei, qual è l’especon la mia arte. Tutto quello rienza più profonda che che realizzo mi dà molta sodun artista riesce a ragdisfazione. Di volta in volta, giungere con la sua arte? cerco sempre di ottenere riSembra scontato dirlo, ma sultati migliori. L’arte è ricerca l’esperienza più profonda è continua di se stessi e, nello sicuramente quando l’artistesso tempo, della vita, di sta si misura con se stesso, ciò che ci circonda. Le ope- Ritratto di Mons. Giuseppe Fiorini Morosini - collezione episcopale quando raggiunge i luoghi re che esprimono maggior- Diocesi di Reggio Calabria-Bova più nascosti del proprio esmente il mio carattere, la mia sere, cioè della propria aniinteriorità, sono quelle a carattere che curo i particolari da dipingere, ma e del proprio cuore. Credo che religioso, soprattutto perché in esse sia nelle scene reali, che in quelle quello sia il momento più importante riesco a esprimere al meglio la mia immaginarie che sono piena espres- di ogni uomo, che sia un artista opspiritualità, il mio sentimento. sione della mia fantasia, della mia pure no. In ogni caso, l’arte diviene creatività. In tutto questo, ovviamen- come un’esperienza di meditazione, Lei è un libero professionista, te, non mancano le opere realizzate di riflessione su se stessi e, quindi, quindi, avrà anche delle richie- su commissione. A qualcuno non similmente ad altre attività umane, ste mirate; su cosa si basa per piace realizzare questo tipo di opere, è sicuramente uno strumento per scegliere i soggetti delle sue ma l’opera in sé esprime arte, e l’ar- conoscere se stessi e tutto ciò che opere? tista non dovrebbe mai porre freno abbiamo intorno. Se attraverso l’arCerco sempre di realizzare ciò che alla propria capacità artistica. Inol- te riusciamo a migliorare noi stessi, mi esprime di più, dando libero sfo- tre, credo che nel momento in cui la nostra vita di relazione migliora, go alla mia creatività. Le mie opere un artista poggi il proprio pennello quindi ne risentono benevolmente danno risalto ai particolari, perché, sulla tela, riesca a meravigliare an- anche i rapporti interpersonali. pag. 12

GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

Lamezia e non solo


ARTE E DINTORNI Certo, la storia racconta di artisti che hanno mantenuto un carattere difficile fino alla fine, ma personalmente credo che nella vita ci sia sempre un buon margine di miglioramento, e l’arte è sicuramente una delle forme migliori per raggiungere questo risultato.

Matteo Curcio durante la fase di realizzazione di una sua opera

Ricordo di un bacio - anno 2016 - collezione privata

Matteo cosa avviene in un artista mentre dipinge? Ci racconti la sua esperienza. In una prima fase c’è una grande emozione nell’iniziare un’opera. Perché la carica emotiva sembra quasi esplodere interiormente; nel momento in cui si inizia a tracciare le prime linee sulla tela, sembra raggiungere il suo apice. Poi, però, avviene quasi una caduta emotiva, specialmente quando la tela è di grandi dimensioni; quel bianco, che sembra immenso, quasi spaventa. Ma, pian piano, mentre il disegno prende forma, tutto diviene un continuo crescendo di emozione. I colori trasportano in un mondo quasi surreale; quello è uno dei momenti più belli, proprio quando le pennellate colorano la tela. Man mano che le immagini si formano, tutto è come se prendesse vita davanti ai miei occhi, lasciando che le emozioni interiori quasi diventino palpabili come la tela. Quando l’opera è quasi terminata, riesco a osservarla come Lamezia e non solo

se non fosse mia, ne osservo ogni dettaglio, cerco di individuare qualche elemento ancora migliorabile. Poi quando è completa in ogni sua parte, avviene quasi un distacco; credo proprio che questa sia una fase molto importante, poiché se si è troppo attaccati alla propria opera ne si diviene quasi prigionieri, e questo, se avvenisse, ci impedirebbe di migliorare. L’artista deve andare sempre avanti, guardare sempre oltre. Certo, deve considerare sempre il passato, che è la base per il futuro, e l’esperienza artistica in genere lo è sempre, ma non deve mai divenirne prigioniero delle proprie opere, deve essere sempre capace di divincolarsi; solo così la sua arte potrà essere veramente libera a creativa. Se non si disprezza, in senso figurato, l’opera già realizzata, non si apre lo spazio ad un’altra opera, alla nuova linfa vitale della creatività artistica. Questo è quello che avviene dentro di lei, il suo pensiero personale. Matteo, cosa vorrebbe che provasse chi osserva una sua opera per la prima volta? Un artista intende trasmettere un messaggio, e credo che nelle sue intenzioni ci sia sempre il pensiero di riuscire a esprimerlo al meglio e, nello stesso tempo, che esso sia adeguatamente percepito e interpretato dall’osservatore. Io cerco sempre, in tutte le mie opere, di trasmettere an-

che il senso di libertà, soprattutto di quella intellettuale. In un certo senso, io interpreto la vita degli altri, ne esprimo le sensazioni, le emozioni. Lo faccio dipingendo corpi e scene che appaiono immobili, ma in realtà non lo sono, perché trasmettono un’emozione, quindi è come se fossero in movimento. I colori, le pose dei soggetti, ogni particolare dipinto, trasmettono qualcosa. La mia è libertà di espressione, studio, emozione, introspezione. Ecco io vorrei che chiunque osservasse una mia opera, per la prima volta, e anche in seguito, provasse tutte queste sensazioni. Come se ci fosse un flusso continuo dall’artista all’osservatore. In fondo, umanamente è così; tutto è parte di tutto, anche noi uomini.

San Pietro - anno 2017 - TEIC di Reggio Calabria

Matteo, un’ultima domanda, quasi scontata, per concludere questa breve intervista. Per lei cos’è l’arte? Personalmente credo che sia la capacità umana di rappresentare se stessi e, nello stesso tempo, di comunicare con gli altri. L’arte, dalla sua forma più semplice a quella più eccelsa, unisce ogni uomo in un unico sentimento, un unico sentire. In un certo senso l’arte è come l’aria che respiriamo, entra in ogni essere e fa parte della creazione di Dio, come lo spirito stesso che il Signore ha dato a ogni uomo.

GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

pag. 13


Associazionismo

Il Club del libro La condivisione della passione per la letteratura e la cultura in generale porta sempre buoni frutti e concorre alla promozione della socialità. A distanza di quasi due anni dalla nascita, il club del libro può addirittura menare vanto di esser stato preso a modello da altri appassionati, che hanno dato vita ad un’iniziativa simile nella vicina Martirano. E così, con l’orgoglio e la coscienza di aver seminato una buona idea, il book club LectorInFabula è stato recentemente ospite del neonato gruppo di lettura del Reventino “La rosa dei venti”, presso l’agriturismo “L’Otre di Eolo”. Per l’occasione, si è dato vita ad un gemellaggio, con l’auspicio di percorrere insieme un percorso fatto da esperienze e passioni che accomunano i due gruppi. Con l’occasione, gli intervenuti hanno potuto assistere alla presentazione in anteprima dell’opera “Pezzi” della casa editrice “Città del Sole” che raggruppa alcuni dei… “pezzi” che sono parte del blog di Ippolita Luzzo. Il consueto incontro mensile del club del libro è stato poi dedicato a Vincenzo Malinconico, protagonista del romanzo di successo di Diego De Silva “Non avevo capito niente”, incentrato sulle vicissitudini e le aspirazioni (frustrate e non) di un avvocato di mezza età, in Tribunale e nella vita di tutti i giorni. L’avvocato Malinconico è un personaggio sgualcito dalla vita: una ex moglie di cui è ancora innamorato; una figlia che incontra di nascosto in un fast food all’aeroporto; un figlio strano che non comprende fino in fondo; un lavoro che gli procura sporadiche soddisfazioni e poco guadagno.

pag. 14

De Silva dà vita ad un personaggio che, purtroppo, è molto ma molto reale, per come descrive le sue peripezie giudiziarie, il suo ufficio arredato con mobili Ikea, i clienti che scambiano l’avvocato per uno psicanalista gratuito… descrizioni che non sono frutto di fantasia! (ndr). Le sue riflessioni su argomenti vari e il suo spaesamento sono quelli di una generazione in agonia... L’opera di De Silva, pur a volte appesantita da uno stile sovente faticoso da leggere, anche per le continue digressioni che appesantiscono il fluire della narrazione, risulta di assolutamente attuale. La scrittura appare comunque ricca di intelligenza e cultura, umanità, umorismo e dosi massicce di auto-osservazione del protagonista, impegnato com’è a rendere prima di tutto se stesso credibile, seppur affannandosi a ridisegnare connotati di senso alla propria vita: canoni narrativi, questi, che rendono la storia simpatica, consentendo finanche di fare entrare il lettore in empatia con il protagonista. Il tutto ha portato i lettori del book club a ritenere quello di De Silva un romanzo riuscito, perché, in definitiva, la narrazione è piacevole, i personaggi sono ben azzeccati e anche il colpo di scena finale è ben assestato rispetto a psicologia e contesto, oltre che coerente riguardo alla sorte che incombe sul personaggio principale che, come già accennato, risulta un po’- ma non troppo – “sfigato” e nella sua storia professionale e nella vita privata. Il prossimo appuntamento con il book club LectorInFabula è fissato per domenica 27 gennaio, sempre presso il Qmè, allorchè si discuteranno “La stanza dei lumini rossi” di Domenico Conoscenti e “Giovanni Boccaccio. Il Decamerone. La novella che non fu mai scritta” di Andrea Camilleri. La trama della prima opera proposta si sipana in “una Palermo fantasmatica, assolata e sciroccosa, in cui il giovane barman Saverio prende in affitto un appartamento da una vecchia e scontrosa signora, che manifesta sin da subito attenzioni morbose e inaspettate e sospette gentilezze. Sul luogo di lavoro, il ragazzo conosce un’attraente donna settentrionale, una femme fatale che pian piano lo inviluppa, approfittando della sua buona fede. Da un lato l’estate torrida di una città svuotata, dall’altro le viscere di un palazzo dove regnano oscurità e mistero, fino al precipitare turbinoso degli eventi”

GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

Lamezia e non solo


Associazionismo

Il trasporto aereo e la sua magia Al trasporto aereo non si può mettere il giogo come fosse un asino da somma o un cavallo da traino, il trasporto aereo, seduce e deve essere sedotto, ha una sua magia e un anima sempre ribollente, sempre pronta a segnare, con forza, la scala del futuro, va seguito e controllato, gestito in termini tecnici da competenti. Chi non è specificatamente dell’ambiente non può comprendere a pieno cosa si prova sotto bordo dell’aeromobile in attesa della partenza, o cosa significhi il carico bagagli e container nelle stive, seguire il contatto con il passeggero attraverso i banchi d’accettazione e l’assegnazione posti, l’imbarco attraverso l’uscita numerata nel sorriso degli impiegati, con l’umanità in fila in attesa di riversarsi in pista. Tanti momenti che si possono immagazzinare soltanto da chi vive questa esperienza diretta, per altri è solo scenografia, a volte anche complessa e astrusa. E’ difficile penetrare nei termini del peso a vuoto e a pieno con passeggeri, bagagli, merci e carburante con lo stampato di partenza riportato sui grafici dei diversi valori, con l’aeromobile pronto al decollo a fremere sotto la spinta dei motori per il rullaggio e per iniziare lo stacco verso l‘alto ritraendo i carrelli.

Parliamo di triangolo aeroportuale calabro; fino al 2003 il settore aveva come esponenti sindacali Antonio Malara, aviazione civile direzione traffico, FIT CISL, Mario Muto, Alitalia, UILTrasport, Franco Centola FILT CGIL e il sottoscritto, per risolvere i vari temi della Calabria aerea, era stato costituito un comitato, intersindacale, di lavoro che si riuniva una volta a Reggio, una a Lamezia e una Catanzaro, per dettagliare tutto ciò che poteva dare una costruzione di qualità al volo regionale. E’ chiaro che chi non ha idea di quello che rappresenta il settore non può stabilire come gestirlo, questo è un dato innegabile che vale, in modo particolare, per la politica, per le aziende e per i loro vertici. Il mistero del più pesante dell’aria è la traccia per emergere e riprendere una via difficile, ma non impossibile, rivalutando la geografia degli aeroporti locali in quel triangolo in cui ognuno dei tre scali ha una sua funzione a soddisfacimento di sacche utenza diverse e definite. Vogliamo ricordare, che gli aeroporti sono il fiore all’occhiello della civiltà del futuro,per la cultura del volo e dei collegamenti rapidi, per la socialità in espansione, e per la stessa economia;

(cit.). Il racconto di Camilleri, invece, tratta di “una novella di Giovanni Boccaccio idealmente dedicata a Giovanni Bovara, studioso del “Decamerone”, che poco prima di morire (1916) a causa delle ferite riportate durante la Prima guerra mondiale, scoprì fortunosamente uno scritto sconosciuto del Boccaccio. Questa novella fu poi nuovamente dimenticata per essere poi pubblicata, per la prima volta. È altamente probabile che la novella fosse stata portata al Nord dallo stesso Boccaccio per donarla a qualcuno quando, nel 1351, fu inviato in Tirolo come “ambaxiator solemnis” di Firenze…” (cit.). Ad ogni modo, il

Lamezia e non solo

non bastano frasi condite con termini anglofili, per diventare, di colpo, esperti del settore. Per noi,il trasporto aereo resta un impegno di studio e programmazione con il quale continuiamo a muoverci nella ricerca, lo sviluppo e la valorizzazione, senza steccati, del prodotto aeronautico non comparabile ad un qualsiasi altro prodotto. . Il nostro non è un lamento, non servirebbe a nulla, è invece uno sprone alle coscienze che ancora credono in un futuro realizzabile, per spingerle a lanciare il loro grido per il volo calabrese.

Gianfranco Turino

Responsabile del Centro Studi, ricerche e programmazioni Unione Generale del Lavoro Federazione Trasporto Aereo Calabria Centro Studi, Ricerche e Programmazioni

club del libro per il 2019, anche per celebrare il suo secondo anno di attività, ha in serbo un’altra importante iniziativa, come sempre aperta a chiunque voglia partecipare. Ed infatti, per domenica 24 febbraio, LectorInFabula si trasforma (per l’occasione) in LectorInTabula, organizzando un corso di scrittura creativa con l’autore Claudio Grattacaso, già ospite del club in occasione della presentazione del suo ultimo romanzo “La notte che ci viene incontro”. Per un amante dei libri è naturale, prima o poi, desiderare di passare dall’ “altro lato della barricata” e cimentarsi nei panni dello scrittore, pur rimanendo l’iniziativa del prossimo febbraio mirata principalmente a fornire ai partecipanti gli strumenti conoscitivi più idonei ad apprezzare (od anche a stroncare) un’opera narrativa. Tale attività richiede senz’altro la capacità di strutturare una trama, creare personaggi convincenti e, per chi volesse cimentarsi con la scrittura creativa, il saper convivere con la “paura della pagina bianca”. Il corso sarà inteso anche a svelare le abilità necessarie a cimentarsi in un lavoro di stesura di gruppo, perché già solo la semplice partecipazione al corso costituisce un buon modo per uscire dalla propria “comfort zone” e per entrare nell’ordine di idee (capendone le difficoltà) di uno scrittore.

GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

pag. 15


dal blog alla blogger

La nostra ultima prima cena Il teatro a Lamezia ha una tradizione antica. Il teatro a Lamezia vive e viene presentato anche in un luogo dove ormai sembra tutto chiuso e di chiuso può esserci solo un lucchetto e non certo la vitalità e la bravura dei nostri artisti. Stasera con La nostra prima ultima cena Achille Iera porta sulla scena l’emarginazione psicologica della crescita in un luogo di bassezze e arretratezza spirituale. Un luogo di una povertà fatta di tanti bicchieri di vino, di partite e carte, di tradimenti e di tanti ceffoni. Una povertà di sentimenti, più che materiale. Una non vita familiare con un padre sempre ubriaco, con una madre a subire e infine morta quando il protagonista ha appena nove anni. Il ragazzo cresce con un gruppo di compagni, anch’essi sprovveduti, cresce e di una cosa è ben certo ed è che mai lui farà come il padre. Infatti lui sarà un bravo ragazzo, senza vizi, non fuma e non beve. Ciò che era suo padre viene allontanato dal suo agire. Una storia di autentica bellezza, riuscire ad affrancarsi dal padre che non si stima. Altrettanto delicata viene a delinearsi la storia d’amore monca di sviluppo, bloccata e scoperta dal padre di lei dopo due anni di sguardi, di saluti, di un bacio. Sguarniti entrambi dalle conoscenze sulle

pag. 16

dinamiche di relazione, la coppia vive di silenzi e di divieti. Imperioso il divieto del padre di lei di vedersi, imperioso e violento, senza volerlo, lo schiaffo del ragazzo alla donna amata. E poi quella disperazione autentica di lui per esser diventato come il suo di padre. La tristezza di non poter aiutare e soccorrere con un raziocinante sempre più lontano dalla emotività ci attanaglia e nel

GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

precipitare degli eventi restano le canzoni a lenire quella dissipazione di vita, di affetti, di buoni propositi che si chiama “vivere al Sud”. “Questo disco è il mio pensiero d’amore” e “Guardatelo quanto è bello Sant’Antonio” la canzone della tredicina. Achille corre e corre, occupa lo spazio vuoto di un Sud emarginante e dolente, uno straccio nero con cui coprire le confessioni, forse anch’esse buie. Per ora mi appunto questo poi passerò a trovare gli artisti per complimentarmi e parlarne ancora. Dal Regno della Litweb pochissimi appunti e applausi Gli scatti rubati prima dell’inizio e alla fine del monologo di uno strepitoso Achille Iera, sempre più bravo. Presentato da Armando Canzoniere con grande semplicità e simpatia lo spettacolo ha tenuto desta l’attenzione del numerosissimo pubblico, due repliche nella stessa serata, suppongo con il tutto esaurito nella prima e anche nella seconda. Applausi alla compagnia La nostra ultima prima cena | Matrioska Caffè letterario e applausi a tutto lo staff, da Valeria Bonacci alla mia pupilla, Chiara Sacco. Applausi ancora e W il teatro

Lamezia e non solo


LA CALABRIA, UNA TERRA DA AMARE

LA CALAB R IA

E I L TE M PO R ITROVATO Ginevra dell’Orso

UN TEMPO CHE SCORRE LENTAMENTE Scriveva Milan Kundera nel libro La lentezza: “C’è un legame segreto fra lentezza e memoria, fra velocità e oblio”. Quando una persona cammina per strada e cerca di ricordare qualcosa che gli sfugge, istintivamente rallenta il passo. Se invece cerca di dimenticare un evento penoso, inconsapevolmente accelera la sua andatura, come se volesse allontanarsi da qualcosa che si sente addosso. Qui in Calabria non si corre mai, perchè nessuno ha voglia di dimenticare; non c’è niente che si debba allontanare dalla memoria, senza per questo chiudere le porte alle meraviglie del nostro millennio. Esattamente come secoli fa, i borghi fanno festa in onore di qualche Santo o Madonna, attraversando le strette viuzze che si inerpicano su colline e irte montagne: gli asinelli trasportano la legna, i venditori ambulanti gridano alle prime ore del mattino portando cibo, vestiti, torroni, gelati. C’è chi prepara la salsa, chi fa il vino, chi raccoglie le olive, e chi custodisce i segreti miracolosi delle erbe spontanee. C’è chi riempie bottiglie di acqua di fonte, chi prepara il sapone e chi ancora tesse coperte e tovaglie di ginestra. UNA REGIONE DOVE IL TEMPO SI FERMA Un tuffo nel passato, che ogni giorno fa i conti con un futuro prepotente, che non guarda in faccia a nessuno. Si impone con tutto il suo fascino, ma al tempo stesso si percepisce sempre un po’ ostile, specialmente per chi non ha nulla da dimenticare. Questo è un futuro che non lascia pag. 17

scampo al tempo; corre dritto come un treno, travolge tutto quello che incontra, saccheggiando sogni, speranze, inni alla gioia. Qui in Calabria però il futuro rallenta, proprio come i treni, come le autostrade, che corrono fino a Napoli e poi, inevitabilmente, devono adeguarsi a un nuovo mondo: benvenuti nella regione dove il tempo è ancora il bene più prezioso!

Quando mi trovo a parlare con amici che vivono in grandi città, o altre parti del mondo occidentale, mi accorgo che ciò che manca di più a ogni individuo è il tempo. Tempo per fare una chiamata, persino a chi si ama davvero: tempo per passeggiare con la mente libera da pensieri: tempo per leggere un romanzo e tempo per contemplare un cielo nuvoloso. Manca il tempo di non fare niente, come se stare fermi fosse una colpa o un difetto di fabbrica.

DA MILANO ALLA CALABRIA: UNO SHOCK Confesso che il primo anno qui in Calabria, dopo tutti gli altri vissuti in una città frenetica come Milano, è stato per me un vero shock: le persone che indugiano in mezzo alla strada a scambiare qualche chiacchiera; l’infinita lentezza di certe panda anni ‘80, alle quale ci si accoda in religioso silenzio; il passaggio delle pecore che corrono da una parte all’altra; i racconti alla cassa, nelle case, i continui inviti a bere e mangiare... come se uno non avesse nulla da fare e disponesse di infinito tempo! UN FLUSSO CHE TRASFORMA Poi, piano piano, ho lasciato che tutto il mio corpo e la mia mente si modellassero a questo flusso, proprio come fa l’acqua quando scorre lungo gli argini delle fiumare, che mutano ogni anno, riempiendosi e svuotandosi, come nessun fiume sa fare. Del resto, tutto ciò a cui ci si oppone, persiste; e qui in Calabria non puoi opporti alle leggi primordiali del tempo! Il tempo non è regolato solo dagli orologi, ma dal colore del cielo all’alba e al tramonto, dalla direzione dei venti, dalle piogge e dalla siccità, dai raccolti e dalle stagioni, dall’arrivo e dalla partenza di altre creature viventi. Il tempo scorre implacabile sui volti di chi lo brama e dolcemente su chi si lascia scorrere da esso. Sembrerebbe una magia, ma è una realtà qui in Calabria. Ed è così che incontri vecchine che fanno video chiamate ai figli col cellulare, mentre raccontano gli antichi metodi per toglierti il malocchio, o pastori che ricevono ordini di ricotte via internet, mentre contemplano i pascoli sdraiati in mezzo a vaste distese verdi. Tutto il resto, può tranquillamente attendere.

GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

Lamezia e non solo


Istruzione

Successo per la tre giorni lametina della rapper afrotedesca Leila

Akinyi ospite del liceo Campanella

“Ciò che è successo recentemente in Italia ad Ancona, sarebbe potuto accadere in un qualsiasi altro luogo affollato, ad esempio un centro commerciale o una strada gremita di gente. Basta poco per seminare la paura e generare il panico. Un gesto sciocco come spruzzare uno spray urticante non ha niente a che fare con la musica, né tanto meno con il rap. La mia musica cerca di diffondere messaggi positivi, di parlare ai cuori e alle menti, è un invito per i giovani a vivere intensamente la loro vita con coraggio e determinazione.” Così la rapper afrotedesca Leila Akinyi, protagonista per tre giorni a Lamezia Terme di una “full immersion” in due importanti realtà scolastiche lametine: prima al liceo Campanella di Lamezia Terme, che ha fortemente voluto la tappa lametina nell’ambito del tour internazionale dell’artista promosso dal Goethe Institut, poi alla scuola media Pitagora. Ad accompagnare Leila nella tre giorni lametina, la responsabile cooperazione didattica Piemonte e Valle d’Aosta del Goethe Institut Maria Antonia De Libero, soddisfatta della sinergia con il liceo lametino e del lavoro appassionato delle docenti di tedesco del Campanella Concettina Lucchino, Ursula Mader, Maria Carmela Agosto e Annamaria Mantella. Un workshop a ritmo di soul, rap, reggae e afrobeat, quello vissuto nel pomeriggio di giovedì scorso dagli studenti del linguistico del Campanella che, partendo dai testi della cantante, hanno dato vita a performance di canto e danza in lingua tedesca, lasciandosi trascinare dalla carica di energia della musica di Leila. Carica di energia che ha trasportato anche i più piccoli studenti della scuola media Pitagora, che hanno cantato e ballato con Leila nel doppio concerto tenuto nell’auditorium della scuola: nella mattinata di venerdì per gli studenti della sezione di tedesco della scuola Pitagora e per gli studenti del liceo linguistico, nella mattinata di sabato per tutte le terze medie. Nel concerto, spazio ad alcune performance in italiano dell’artista afrotedesca, come “Ti amo” di Umberto Tozzi, cantata insieme agli studenti lametini. Conversando con gli studenti, la rapper ha parlato degli inizi del suo percorso, dal rap al gospel fino alla scrittura dei propri testi da proporre al pubblico. “La musica – ha raccontato la Akinyi- permette ai ragazzi di esprimersi senza inibizioni. Se sono in grado di cantare in una lingua straniera sono anche in grado di parlarla! Durante i miei workshops in varie scuole italiane ed europee ho potuto constatare quanto la musica stimoli la memoria, migliori la pronuncia, ampli il vocabolario e la conoscenza delle espressioni idiomatiche, sia una finestra su altre culture”. Il concerto di Leila Akinyi a Lamezia è un ulteriore tassello nell’ambito della continuità didattica verticale tra il Liceo Campanella e l’istituto Perri – Pitagora, che si arricchisce quest’anno di nuove iniziative. E’ partito infatti a fine novembre, il progetto “Tedesco a scuola: le ragioni di una scelta” rivolto alle quinte classi della scuola primaria, alla prima media della Pitagora e al primo anno del liceo linguistico che prevede un gemellaggio elettronico con una scuola tedesca e la realizzazione di un video corso per bambini di tedesco-italiano, italiano-tedesco. Ad accogliere Leila, i dirigenti del liceo Campanella e dell’istituto comprensivo Perri-Pitagora, Giovanni Martello e Teresa Bevilacqua. Il dirigente Martello ha sottolineato “l’ottima riuscita dell’evento che conferma la collaborazione ormai consolidata con il Goethe Institut e la vocazione sempre più europea della nostra pag. 18

scuola che, attraverso la musica e le diverse espressioni artistiche, consente agli studenti di avvicinarsi allo studio della lingua tedesca e di acquisire una prospettiva sempre più globale e multiculturale”. Soddisfatta anche la dirigente del Perri-Pitagora Teresa Bevilacqua, che ha sottolineato l’innovativa scelta dell’istituto di introdurre la lingua tedesca nella sezione I della scuola secondaria di primo grado, consentendo così agli studenti di iniziare a studiare tedesco, con la docente Pia Orlando, già dalla prima media.

GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

Lamezia e non solo


Rubricando di… psicologia

Aspetti psicologici del cibo: tra Eros e Thanatos Le precedenti puntate della nostra rubrica hanno analizzato alcune delle componenti antropologiche e simboliche connesse al significato del cibo, possiamo ora passare a chiarire il carattere che assume il cibo stesso in ambito psicologico. Mangiare non è un atto puramente nutrizionale: è operazione simbolica primaria, è esperienza di ricezione, proiezione, assimilazione. La dilatazione semantica del verbo “mangiare” e l’espansione simbolica dell’atto alimentare pongono perciò in una luce particolare certe narrazioni archetipiche. L’atto del mangiare si situa all’alba dell’individualità. E’ un atto istintivo del neonato e la nostra eredità psicoanalitica fa dell’oralità il primo stadio dello sviluppo psicologico. La psicologia dinamica da Freud ai suoi epigoni, ma anche ad autori dissidenti, ha messo direttamente e più spesso indirettamente in rilievo la funzione alimentare nello sviluppo della personalità del bambino, inoltre, gli autori che hanno approfondito la tematica dei bisogni, hanno connesso la valenza del cibo ai processi motivazionali. Affrontiamo, pertanto, il tema del cibo attraverso la dinamica della relazione oggettuale e successivamente attraverso l’analisi dei bisogni e dei processi motivazionali. In questo contesto siamo in un’ottica culturale della psicologia occidentale in cui il cibo assume dei significati più delimitati. Come ha notato Freud , la primissima relazione oggettuale è scandita non soltanto da processi che organizzano lo sviluppo, come ad esempio la maturazione del linguaggio, lo sviluppo del sistema nervoso, ma da fattori prettamente relazionali. Per comprendere la relazione madre/bambino, secondo la psicoanalisi freudiana, è necessario far riferimento al concetto di pulsione. Secondo Freud, la pulsione, è un concetto a limite tra fisico e psichico ed è caratterizzata da fonte, intensità, meta e oggetto. La meta e l’oggetto della pulsione modulano la relazione e soprattutto l’espressione della pulsione stessa, pertanto, la libido si innesta nel processo relazionale e la fonte stessa della prima relazione oggettuale è connessa al cibo nella sua valenza strettamente psicologica. Infatti il bambino non si avvicina soltanto Lamezia e non solo

al cibo spinto da esigenze fisiologiche, ma in questa modalità relazionale è prevalente la qualità della relazione oggettuale. Ci preme sottolineare quanto sia significativo il cibo, quindi l’alimentazione, nel processo simbiotico; quest’ultimo costituisce la precondizione per la costruzione dell’identità. La simbiosi, legame intrinseco, indissolubile, necessario, è fonte di alimentazione intesa nel suo significato più generale ma concreto, ossia capacità di apportare calore e i primi germogli di affettività attraverso il cibo. Lo stato simbiotico è un processo evolutivo che non può essere saltato, non esistono teorie dello sviluppo che hanno smesso di considerare la simbiosi come punto nevralgico della nostra identità. Qui il cibo assume tutta la sua fondatezza psicologica, esso struttura la relazione simbiotica e la qualità relazionale con cui viene gestito, dirigendone il successivo sviluppo. Tuttavia, è da notare che la condizione relazionale che essa costruisce è costitutivamente permeata, secondo la psicologia dinamica, da processi di ambivalenza che possono essere più o meno attivi a secondo delle teorie di riferimento. In questa sede ci limitiamo a segnalare come per Freud l’incorporazione orale costituisce la prima condizione per l’identificazione. Inoltre, considerando il carattere pulsionale, la fase orale rappresenta uno stadio finalizzato all’ erotizzazione, dove la bocca diviene una zona erogena e il mangiare un appagamento dell’energia libidica. La bocca è l’organo con il quale il bambino entra in contatto con la madre, attraverso il suo seno. In questo periodo della vita del bambino la sua relazione fondamentale con il mondo esterno è di tipo nutritivo, con la madre. La libido, energia sessuale, si concentra nella bocca. Il fanciullo in questa fase tende a portare tutto alla bocca, dal seno della madre agli oggetti che lo interessano. La bocca diventa il suo mezzo di contatto con il mondo . Il cibo per Freud ha evidentemente un significato simbolico che va oltre il nutrimento in senso stretto; tuttavia è una simbologia che non può essere generalizzata, ma va colta nella singolare esperienza della relazione oggettuale,

infatti, in termini generali, possiamo dire che il cibo può avere una funzione di compensazione, può sviluppare meccanismi di spostamento, può essere un modulatore di un processo depressivo, ecc. In realtà, quindi, sono sempre significati segnici. Il simbolo per Freud è un segno o un “indizio sintomatico”, cioè rinvia sempre alla specificità della condotta e del comportamento emozionale. Esprime anche un compromesso tra’inconscio e l’Io di cui la conversione somatica dell’isterico ne rappresenta le caratteristiche. Bisogna notare, inoltre, che Freud parte dagli studi di Darwin sulla natura animale dell’uomo e dalle correnti deterministiche secondo cui ogni cosa può essere ridotta al quantificabile e al misurabile, e costruisce la propria visione antropologica di un uomo come un organismo biologico dominato da forze pulsionali volte a soddisfare i bisogni fisiologici. Ma nel trattare dell’oralità, Freud, come abbiamo sottolineato prima, sposta rapidamente l’attenzione sugli aspetti relazionali: oralità non è tanto un’erotizzazione del mangiare, quanto un modo di interagire con l’altro basato, come si è notato, sull’incorporazione. Così la psicoanalisi basa sulle vicende alimentari precoci la sua analisi della personalità e al tempo stesso, in questa fase precoce è possibile considerare molte frammentazioni emozionali o quello che viene comunemente definito “fissazione alla fase orale”. Mangiare, per l’individuo appena nato, è esperienza fondante dell’individualità. In tale prospettiva , Melanie Klein non solo inaugura una psicologia dinamica delle relazioni oggettuali, ma attribuisce alla fenomenologia di questa relazione, un significato particolarmente ricco e per certi versi scioccante: è il teatro dell’inconscio in cui il cibo diviene esigenza fisiologica, problematica e fantasmatica, e soprattutto qualcosa che potrebbe essere distrutto. Seguire il percorso della teoria kleiniana ci permette di comprendere il significato psicodinamico della relazione oggettuale in cui il bambino può essere affamato ma anche bramoso. Alimentarsi significa tener conto di come può essere esperito l’oggetto che modula questa alimentazione.

GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

pag. 19


Sport

ROYAL, GENNAIO SARA’ DECISIVO CON DUE GARE INTERNE Quarto palasport da inizio stagione: sarà il PalaMaiata di Vibo Valentia grazie al pres. Solano

E’ arrivato domenica 16 dicembre a Bisceglie (1-1) il settimo punto stagionale per la Royal Team Lamezia. Nella trasferta pugliese si è ammirata una delle migliori prestazioni (soprattutto nel primo tempo) della squadra di Carnuccio, abile a motivare le ragazze che si presentavano a questa trasferta con dieci unità, senza Rovito, oltre a Fragola e Nasso (già cedute). Dunque una Royal combattiva, umile, determinata, vogliosa. E il pubblico di Bisceglie ha applaudito le calcettiste lametine, oltre ai complimenti di alcuni dirigenti pugliesi a fine gara per la voglia e la caparbietà mostrate dalle lametine. Di Saraniti il gol della Royal, raggiungendo così quota sei in classifica bomber. Dopo di allora altri due squadroni sulla strada della Royal: il Montesilvano a fine dicembre (a Rogliano) e a Barletta contro la Salinis, vecchia conoscenza delle lametine con cui hanno duellato per la promozione (e la Coppa Italia) due anni fa. Ebbene andata in svantaggio contro le abruzzesi, la Royal capovolgeva il risultato con una volontà senza eguali e credendoci fino in fondo. Ed infatti era Furno (secondo gol stagionale) interrompendo l’azione ospite e lanciandosi fino all’ex Ceravolo trafitta con un delizioso esterno destro, e Kale, con un altrettanto sopraffino esterno destro a portare la Royal in vantaggio (2-1). Da lì in poi però il nuovo uno-due delle ospiti che così chiudevano il tempo 3-2. Nella ripresa ancora Furno ha la palla del pareggio ma la spreca soprattutto per inesperienza, decentrandosi invece di puntare dritta la porta. E così da lì in poi Royal in calo ma soprattutto ecco venir fuori la maggiore forza di Montesilvano, che dilagava fino al 9-2. Hanno esordito in A Concy Primavera e Stefania Corrao della Royal. E si giunge alla prima gara del 2019: trasferta a Barletta contro la Salinis. Qui, purtroppo, si registra nel decisivo primo tempo una delle peggiori prestazioni che si ricordino. Black out totale (e ci fermiamo qui) con le locali che chiudono il tempo avanti 9-0. Basta solo il risultato ad evidenziare la giornata-no della Royal, che nella ripresa mostra un pizzico di orgoglio senza ovviamente impensierire però più di tanto Azevedo&compagne. Di Kale l’unico gol della Royal su punizione diretta e così la brasiliana raggiunge anche lei quota sei in pag. 20

classifica bomber. Da annotare uno dei pochi aspetti positivi: l’esordio in Serie A della sedicenne Maria Siciliano. Chiamata in campo a 3 minuti dalla fine da mister Carnuccio, la promettente calcettista della Royal ha saggiato l’ebbrezza della Serie A seppur per pochi minuti. “È stata una sensazione bellissima – ha spiegato Siciliano -, non ho avuto paura di entrare perché pensavo che in quel momento dovevo solo giocare, cercare di vincere ma soprattutto divertirmi”. Il prossimo 7 febbraio la promettente Siciliano compirà 17 anni e da qualche mese frequenta il 4 anno della scuola ‘alberghiero’ a Lamezia. A Cosenza invece ha giocato nelle giovanili della New Street Of Stars di calcio a 11. “Fin da quando ero bimba – continua - con mio fratello Kevin passavamo giornate intere a giocare giù in cortile, non ci stancavamo mai di prendere a calci il pallone e ringrazio anche lui di avermi dato la forza di andare avanti. Alla Royal mi trovo benissimo, la società è sempre disponibile nei nostri confronti, ho avuto un benvenuto caloroso e ad iniziare dal presidente Mazzocca a tutti i collaboratori mi sono vicini. Ringrazio mister Carnuccio che, innanzitutto, è una persona con un cuore enorme, lo ringrazio davvero tanto per la sua attenzione nei miei confronti e la sua determinazione nel farmi arrivare in alto”. E si arriva poi, al momento di andare in stampa, alle due probabili decisive gare ‘interne’ a cavallo del giro di boa. Domenica 13 gennaio contro SS Lazio e la domenica successiva contro l’altra laziale, l’Olimpus Roma. Si giocherà al Palazzetto Provinciale di Vibo Valentia: dunque dopo il PalaPace di Vibo, Pentone e Rogliano ecco il quarto campo stagionale. Un calvario per la Royal: peregrina per la Calabria per mantenerne alto l’onore, anche quello della città che dovrebbe ospitarla, Lamezia Terme. Qui però ormai si è oltrepassato ogni limite di decenza: lo scorso 27 dicembre è trascorso un anno dalla chiusura del PalaSparti e ad oggi non c’è alcuna notizia sulla sua riapertura. Fortuna che il patron Mazzocca ha trovato la squisita disponibilità dell’avv. Salvatore Solano presidente della Provincia di Vibo Valentia: “Rivolgo un sentito ringraziamento al presidente Solano che – sottolinea il presidente Mazzocca - ha subito compreso le nostre difficoltà mettendosi a completa disposizione della Royal. Di questo siamo felici. Manifestiamo invece per il PalaSparti la nostra completa insoddisfazione per l’abbandono in cui siamo stati lasciati dalla triade commissariale. Una situazione che altrove avrebbero risolto dopo due mesi e non lasciando trascorrere oltre un anno. E’ soltanto vergognoso tutto ciò!”

GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

Lamezia e non solo


Sport

Doppio ambiguo, umano e sociale La mia storia con il calcio è una storia nata da ragazzino; sono sempre stato meravigliato da tutto l’interessamento, dalla concentrazione profusa nei riguardi della sfera e quasi come un marziano osservo strane manifestazioni dell’essere umano, quindi mi incuriosisco ancor di più; guardo, ho guardato, rifletto e credo a delle constatazioni, il calcio è una guerra, un gioco) violento che intende determinare una prevalenza in termini pur sempre pacifici, visto che i calci li prende principalmente la palla e non il giocatore (o almeno cosi dovrebbe essere), una guerra per immagini, fatta fri modo innocente, non sanguinario, che dalla guerra vera trae componenti comparabili quali ad esempio il collettivo, l’esercito, quindi la squadra, il primo dato da critica e analisi allo stesso tempo riguarda proprio questo punto, il collettivo, prendiamo per esempio, come al solito, i giochi olimpici, assai belli, antichi, tutti giochi non di squadra eccetto alcuni che sono la minoranza; spicca il singolo in ognuna delle varie pratiche al cui interno emerge la bellezza del gesto sportivo, l’estetica vincente, quando la prestazione è meritevole e realmente valida, questo a mio avviso manca nel calcio, anche dinanzi al virtuosismo di un giocatore brasiliano che con un pallone riesce a fare cose strabilianti, credo sia difficile notare, nel cuore di un incontro di calcio, l’individuo del momento, anche se il passaggio è eseguito in maniera perfetta, perché non lo si può scindere dal contesto nel quale è inserito, se il gioco fosse «attaccante-portiere», non avremmo il calcio detto tale; la passione svanirebbe, nel football la bellezza è episodica, sempre troppo condizion-

ata; sono . comunque certo che esiste, c’è chi può coglierla, ma il gioco, fondamentalmente, ha un’altra natura: è la lotta del gladiatore in forma non sanguinaria, una rimozione ma anche conservazione del rapporto di guerra che poi spiega l’origine di quel che per il calcio, in nome del calcio, avviene; sugli spalti o in strada dopo o durante un incontro, nella sua dimensione collettiva, il football, comporta una medesima identificazione nel rapporto amico-nemico, vincitore-vinto. Purtroppo, quotidianamente nel calcio si da libero sfogo alla propria faziosità; tifoso

cosa vuoi dire: sono amico a qualunque condizione e nemico tanto quanto, è una scarica autentica degli elementi primitivi dell’uomo; molto si scarica in questo, vige sempre l’elemento guerra, esercito, collettivo, ed è così che poi nelle nostre città esistono autentici battaglioni detti ultra, commandos, fazioni ben distinte, come per dire: la passione di violenza che abbi-

amo, l’identificazione faziosa di cui si ha bisogno non le manifestiamo nella vita (noi come maggioranza) ma nella partita, nella squadra, con questo non voglio dire che il calcio sia essenza negativa a tutti gli effetti, anzi, molto è positivo, e mi spiego: credo si possa sostenere che |questa pratica rappresenti in grandi linee il modo in cui la violenza, il represso che è intorno a noi venga esternato, giunga allo sfogo, coscientemente e senza far troppo male a nessuno, azzardando si può addirittura arrivare a parlare di calcio come di una rappresentazione purificatrice e credo anche che dietro al grosso investimento esistente nei confronti del calcio vi sia un consenso, da parte di chi si interessa di ordine sociale, al ruolo di rimozione in «ordine sociale» proprio di questa stessa attività, con il calcio sono consentiti il gioco dei sentimenti quanto la liberazione dagli stessi; quel che mi chiedo è questo: tali sentimenti vengono semplicemente sfogati o sono mantenuti e conservati? Quanto appare dalla violenza cui siamo spettatori si potrebbe tranquillamente usare in favore delle seconde ipotesi e non vedo perché non farlo, ribaltando di sana pianta le comuni regole che caratterizzano il comportamento di chi è veramente violento, cattivo, intenzionato in modo malvagio. Quella se di violenza che viene scartata come molte altre cose umane è ambigua. E’ un fenomeno che soffre l’ambiguità del sociale, come la religione, la politica; il calcio è umano e sociale, quindi come tale prevede la sua radicale doppiezza.

Bar il Miraggio Bar - Caffetteria -Cocktail - Panineria - Piadineria SERVIZIO SISAL RICARICHE BOLLETTINI POSTPAY GRATTA E VINCI

Ogni Sabato il caffè a soli 50 centesimi

Lamezia e non solo

GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

The

n

Luca Fragale - Via A. Volta, 22 - cell. 339 6953497 - Lamezia Terme

t Coffe in Tow

Bes

pag. 21


Rimembrando

L’amore sulla punta delle dita L’anno scorso, (Quanto fa strano dire l’anno scorso? Come non fosse ancora dietro l’angolo), sono riuscito a scendere in Calabria giusto un paio di volte. Il lavoro detta ritmi rigidissimi e tornare giù non è mai semplice, tra biglietti aerei costosi e pochi giorni di ferie. Sono però riuscito a scendere a fine 2018, toccata e fuga. Un sabato sera, giusto prima di volare nuovamente nel freddo delle Alpi, ho incontrato e salutato con molto piacere due vecchi compagni di scuola. Ho frequentato con lui le scuole medie e quelle superiori, con lei solo la seconda parte di quello stesso percorso. Si sono conosciuti, innamorati e fidanzati proprio lì, ormai un sacco di anni prima di quel 2018 fresco di congedo, tra i banchi del primo anno di Liceo. Li ho incontrati e salutati con molto piacere, ancora insieme dopo oltre quindici vigilie di Natale. E poco dopo averli lasciati andare, con i soliti improbabili buoni propositi di “teniamoci in contatto” e “magari veniamo a trovarti”, ho provato una sfumatura di dolce e nostalgica invidia. E allora ho capito una cosa in più su me stesso: Ho capito che invidio le persone che, come loro, si amano da sempre. Li invidio e li ammiro, li osservo e mi sembrano grandi e solidi come le foreste della Sila, li guardo allontanarsi tenendosi per mano e mi esplodono le pupille dentro agli occhi, ogni volta. Quando eravamo più piccoli, negli anni delle scuole, ricordo che li prendevamo un po’ in giro. Sempre lì, a scambiarsi terabyte di amore anche quando l’unità di misura erano ancora i floppy disk, noi ci ridevamo su, dicevamo che non sapevano godersi la vita, dicevamo “che palle”, dicevamo “Madonna mia le manette ai polsi”. Ma loro non se ne curavano, impegnati a scambiarsi le vagonate d’amore, concentrati come gli artificieri due attimi prima di tagliare il filo rosso. pag. 22

Sono ormai passati gli anni, mi sono passate tra le mani non so quante donne, non so quanti letti, non so quanti baci, non so quante città, non so quanti attimi sbagliati, momenti sprecati, occasioni perse, emozioni appassite, ricordi dolorosi, prospettive entusiasmanti e promesse non mantenute. Ma loro non passano mai, loro sono ancora solidissimamente, inequivocabilmente, fermamente ancorati lì. A scambiarsi lo stesso amore di sempre. Ho passato molti anni a dire che quelle coppie non sapevano godersi la vita, ho finito col rendermi conto che la vita ero io, a non averla ancora capita. Ora quindi li invidio e li ammiro, li osservo nel loro vorticoso e incessante flusso bi-direzionale di sentimenti, provo a fare un calcolo del numero di baci che si saranno dati, di carezze sulla spalla, di strizzate di culo e tirate di capelli, mi si frigge il cervello nel non saper immaginare come si faccia, dopo tutto quel tempo, a baciarsi ancora una volta come fosse la prima. Non cambiano le labbra, non cambia la lingua, il sapore, gli occhi chiusi, il naso che tocca quello dell’altro, non cambia la mano che accarezza il volto e quella che accarezza i capelli. Non cambia apparentemente nulla, ogni volta sembra sia sempre la stessa, eppure evidentemente sono loro a cambiare, a riempirsi sempre più del sentimento che essi stessi generano stando insieme. È qualcosa di magico, che va contro le leggi naturali, come molte delle che hanno a che fare con le faccende del cuore. Li invidio, li adoro, li ammiro. Ringrazio ogni giorno che ci siano. Perché ricordano al mondo, silenziosi, immobili e con ostinazione, che l’amore vero esiste e sa essere più forte del tempo che scorre.

GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

Lamezia e non solo


Simona Lucia, Beatrice Vescio, Francesco Murone, rispettivamente al primo, secondo e terzo posto, sono i tre vincitori della terza edizione del concorso fotografico “PhotoRac” sul tema “Avanti, insieme”, promosso dal Rotaract Club di Lamezia Terme, per tutti gli appassionati di fotografia, appassionati e fotoamatori. L’amore tra una nonna e un nipote, l’amore per gli animali, l’incontro casuale lungo sentieri di montagna tra un uomo con i capelli bianchi e un bambino che gli chiede di raccontargli una storia: sono i soggetti immortalati nelle foto dei tre vincitori, premiati ieri sera al Chiostro Caffè letterario nel corso di una cerimonia alla presenza del presidente del Rotaract lametino Antonio De Ponto e dei soci del sodalizio. Le quaranta foto giunte al concorso sono state valutate da una giuria composta da tre giovani lametini, accumunati dalla passione per la foto e la comunicazione per immagini: i fotografi Domenico Mendicino e Damiano Cerra e il local manager della community Igers Lamezia Terme Pasquale Cerra. La solidarietà e la promozione della cultura del “fare insieme” sono stati i temi che il sodalizio guidato da Antonio De Ponto ha voluto portare avanti con il concorso fotografico, invitando tutti gli appassionati di foto ad immortalare con i loro scatti attimi e momenti di vita in cui sperimentiamo l’aiuto e la vicinanza degli altri. Nella serata di ieri sono

stati raccolti fondi per l’acquisto di una carrozzina per il Pronto Soccorso dell’ospedale “Giovanni Paolo II” di Lamezia Terme e la famiglia Cerra ha acquistato un nuovo monitor per il reparto di anestesia e rianimazione del nosocomio lametino, uno strumento innovativo con una ottima visualizzazione che consentirà a parenti e familiari che vanno a fare visita ai degenti di salutarli attraverso lo schermo. Il dono della famiglia Cerra all’ospedale rappresenta un omaggio all’infermiere Pino Cerra, scomparso prematuramente una settimana fa, attivo per tanti anni anche nel mondo del volontariato. Per il presidente del Rotaract Club di Lamezia Antonio De Ponto “ancora una volta in questa occasione si dimostra la capacità e il buon operato dei club service attraverso il Rotaract lametino. Questa iniziativa, che ha avuto una significativa risposta da parte dei cittadini anche questa sera, vuole rappresentare un messaggio a tutta la comunità lametina: in questo momento delicato siamo chiamati ad essere vicini alla città coinvolgendo le sue energie migliori. Questo è il senso del tema del concorso: avanti, insieme. Nelle prossime settimane consegneremo al nosocomio lametino quello che è il frutto dello spirito di solidarietà e di condivisione di tanti nostri soci e tanti cittadini, che abbiamo potuto toccare con mano anche nel corso di questa iniziativa”.

Premiati i vincitori del concorso fotografico “PhotoRac. Donati un monitor e una carrozzina all’ospedale “Giovanni Paolo II”

Lamezia e non solo

GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

pag. 23


La parola alla Nutrizionista

I grassi sono tutti uguali?

Generalmente quando si sta a dieta la prima cosa che si evita è l’assunzione di grassi, probabilmente perché questa parola ci fa pensare ad un aumento del peso corporeo . Ma i grassi sono tutti uguali? Dal punto di vista calorico rappresentano una fonte di energia doppia rispetto ai carboidrati e alle proteine. La loro funzione è quella di immagazzinare energia per il nostro corpo, sono importanti nella formazione degli ormoni a volte necessari per l’assorbimento delle vitamine liposolubili (A,D,E,K) e di alcuni antiossidanti (carotenoidi). I grassi sono classificati in : · saturi a cui appartengono burro, strutto, margarina. · Insaturi a cui appartengono olio d’oliva, noci , mandorle · Polinsaturi a cui appartengono pesce azzurro , semi di lino I saturi li troviamo in natura solidi a temperatura ambiente e stabili al calore , gli insaturi invece sono liquidi a temperatura ambiente e poco stabili al calore . Grazie a processi industriali è possibile a partire da grassi insaturi produrre i saturi per renderli meno deperibili e stabili al calore dando origine a grassi idrogenati o grassi trans. Questo processo , se pur conveniente a livello industriale perché i prodotti si possono produrre con un costo minore (merendine, croissant, biscotti), sono più stabili e hanno una maggiore durata, non lo è per la nostra salute. Si è visto in numerosi studi scientifici che questi grassi : · Abbassano il colesterolo “buono” (HDL). ·

Aumentano il colesterolo “cattivo” (LDL).

·

Aumenta la rigidità delle membrane cellulari.

·

pag. 24

Aumentano il rischio cardiovascolare.

La presenza di questi grassi deve essere indicata obbligatoriamente in etichetta. Nel 2002 la National Accademy for science ne ha fortemente raccomandato la limitazione nella dieta. Quanti grassi saturi dovrebbe introdurre un individuo giornalmente? Devono rappresentare al massimo il 10% dell’apporto giornaliero di grassi totali. Per un fabbisogno energetico di 2000 kcal i grassi totali non devono superare i 67 g e di questi al massimo 22 g possono essere grassi saturi. Quindi meglio il burro o la margarina? Non bisogna farsi ingannare dalla dicitura vegetale pensando che si ha davanti un prodotto salutare. Infatti la margarina molto spesso è prodotta a partire da oli vegetali di scarsa qualità come olio di palma e cocco e, se indicato in etichetta, può contenere grassi idrogenati. Da ciò si deduce che è meglio un dolce fatto con il burro , magari utilizzandone una dose non elevata piuttosto che con la margarina. Esistono in commercio varie alternative al burro e alla margarina come il Reolì un’emulsione a base di olio d’oliva biologico brevettato all’Università della Calabria. Si tratta praticamente di un olio spalmabile che a differenza dei suoi competitor non contiene lattosio, colesterolo animale, grassi idrogenati, additivi chimici, olio o stearina di palma. Un’altra valida alternativa è Burrolì, ideata dal pasticcere Luca Montersino e da Fabio Ciriaci. E’ un grasso dalla consistenza simile a quella del burro, che contiene esclusivamente grassi vegetali non idrogenati e, in particolare, olio di riso, olio extravergine d’oliva e burro di cacao addizionato con grassi omega 3 . Per la frittura quale grasso è meglio utilizzare? La prima cosa da tenere sotto controllo quando si frigge è la temperatura. Se non si adoper una friggitrice sarebbe opportuno utilizzare un termostato che misuri la temperatura che non deve mai superare i 180 °C. Infatti al di sopra di tale temperatura l’olio d’oliva raggiunge il suo punto massimo dando origine ad un fumo bianco generando acroleina una sostanza tossica per il fegato. Quindi è fondamentale per un olio destinato alla

GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

frittura avere un punto di fumo alto. Il miglior alleato in cucina per la frittura è l’olio di girasole alto oleico, in quanto riesce a rimanere stabile a temperature superiori ai 200 °C. Quest’olio nasce da tecniche di miglioramento genetico attraverso piante selezionate. Nonostante abbia un punto molto alto è comunque un olio di semi quindi la prima scelta dovrebbe ricadere sull’olio d’oliva. Infine anche lo strutto in impasti può essere utilizzato per friggere, perché rispetto al passato ha molti meno grassi saturi, sia perchè gli animali vengono alimentati in maniera più controllata, sia perché viene assorbito tre volte in meno dal nostro organismo. Passando ora alla rassegna dei grassi amici della salute, gli omega 3 e gli omega 6 sono i protagonisti indiscussi anche perché essendo grassi essenziali devono essere assunti con la dieta in quanto il nostro corpo non è in grado di sintetizzarli . Gli studi scientifici hanno messo in evidenza che il consumo di acido alfa-linolenico presente in olio vegetale e noci riduce il rischio di malattie neurodegenerative e cardiovascolari. Il consumo di omega 6 presenti in olii, frutta secca e semi , è anche esso associato ad una riduzione di malattie cardiovascolari e carcinomi. Quindi possiamo concludere che non si può affermare che tutti i grassi sono uguali. Ci sono grassi sicuramente predisponenti a malattie, che dobbiamo cercare di evitare al massimo nella nostra dieta e grassi essenziali che se invece eliminati, potrebbero creare danni piuttosto che benefici. Sappiamo che il burro è un’alternativa migliore della margarina e che in commercio possiamo trovare delle alternative ad entrambi. Infine la frittura può essere salutare se stiamo attenti al punto di fumo. Possiamo quindi concederci una buona frittura ricordando che le calorie restano comunque invariate sia che si utilizzi un olio di semi che l’olio d’oliva.

Alma Battaglia

Biologa Nutrizionista Vice presidente SIPS delegazione Calabria FB Centro Nutrizione Sport Salute Lamezia e non solo


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.