Angela frontera dicembre

Page 1

Lamezia e non solo

Editore: Grafichè di A. Perri

pag. 1


Via del Progresso - Lamezia Terme

A cura di: Davide e Donatella Galli

Autore: Italo Leone

Autore: Tommaso Cozzitorto

Autore: Elena Pisapia

Autore: Raffaele Gaetano

Autore: Costantino Fittante

Ultimi Libri Pubblicati in ordine di uscita

pag. 2

Christmas and Happy New Year

In allestimento

Editore: Grafichè di A. Perri

Autore: Ciccio Scalise

Merry

IN USCITA A DICEMBRE Autore: Gianni Scardalaglia

lo staff tutto au e g o l o

one Feste o Bu an ur

Lameziaeno ns

NELLE LIBRERIE, NELLE EDICOLE, per info: 333 5300414

Lamezia e non solo


Lameziaenonsolo incontra

Angela Frontera

Nella Fragale

Incontriamo questo mese Angela De Sensi Frontera, perchè è diventata quasi una tradizione intervistare le presidenti FIDAPA alla fine del mandato, perchè è una donna impegnata nel sociale, perchè è una donna che ha molto da dire e da dare, perchè è una Donna. Ha risposto a tutte con molta semplicità ed esaustivamente, svelando anche tratti del suo carattere inaspettati ... Leggete l’intervista, sarete d’accordo con me!

Cominciamo l’intervista parlando della sfera lavorativa che riguarda Angela De Sensi, laureatasi in giurisprudenza a soli 22 anni presso l’Università La Sapienza di Roma. Credo però che Lei non abbia mai esercitato la professione di avvocato, scegliendo invece di insegnare, è quello che ha fatto dopo avere conseguito ben tre abilitazioni di Stato all’insegnamento, come mai questa decisione? Non ho mai avuto l’intenzione di esercitare la professione di avvocato, bensì quella di notaio o di magistrato. Con l’ammissione della donna nel 1963 in Magistratura avevo optato per quest’ultima professione, e per ben due volte ho presentato la domanda per partecipare al concorso; ammessa, mi sono ammalata in entrambi i casi il giorno prima della partenza per Roma. Ho interpretato questi eventi come un segno del destino, quando ho conosciuto nello stesso anno, nel 1965, colui che sarebbe presto diventato mio marito, il magistrato Tommaso Frontera e mi sono resa conto di quanto fosse pesante e rischiosa quella professione, almeno per me che intendevo mettere al primo posto la famiglia e la cura dei figli. Abbiamo parlato di tre abilitazioni, Materie giuridiche ed economiche, Scienze umane e storia, Psicologia sociale e Pubbliche relazioni, pur avendo la titolarità per l’insegnamento nelle materie giuridiche vi ha rinunciato per non stare lontana dalla famiglia ma … sbaglio nel dire che anche la sua naturale propensione verso la filosofia, la pedagogia, la psicologia siano state una componente importante per questa sua scelta? Stavo per iscrivermi in “Filosofia”, infatti, ma il prof. Speranza, padre dell’ex sindaco Gianni, mi consigliò, quando andai a salutarlo prima della partenza per Roma, di iscrivermi a Giurisprudenza che mi avrebbe dato ulteriori opportunità formative, ampliati gli sbocchi professionali e, nello stesso tempo, la possibilità giuridica di accedere all’insegnamento della filosofia. E così è stato e non mi sono mai pentita della mia scelta. “Grazie prof. Speranza”. L’abilitazione di

Lamezia e non solo

Stato in materie giuridiche ed economiche è stata la prima fatica e… il mio primo successo. Mi sono cimentata in questa prova, scritta e orale, a solo un mese dalla laurea. L’incoscienza della gioventù! Fidavo sulla mia preparazione di base, sulla serietà dei miei studi recenti e sempre attivi. La vastità del programma e il rigore della commissione, ricordo, misero a dura prova la mia persona, giovane e indifesa. Ma la fiducia in me stessa fu ben ripagata. Poiché abilitata ho avuto modo di lavorare prestissimo, l’anno dopo, e ho ricoperto la cattedra di materie giuridiche ed economiche con nomina triennale, prima, e a tempo indeterminato, poi, nelle scuole mediosuperiori dal 1963 al 1968 (Tropea, Vibo Valenza), fino a quando la seconda abilitazione di Stato in Scienze Umane e Storia, conseguita a Napoli nel 1968, non mi permise il passaggio di cattedra con sede a Lamezia Terme. Insegnai prima nel Liceo Classico Francesco Fiorentino, quindi da abilitata e dal 1973 da titolare nell’Istituto Magistrale Tommaso Campanella, tradizionale e sperimentale, fino al pensionamento nel 2001. E’ stato nel 1973 che optai per la titolarità in Scienze Umane con sede a Lamezia, rinunciando alla cattedra di Materie giuridiche ed economiche con sede a Diamante. Ho avvertito in quell’occasione che stavo mettendo in un cassetto la mia laurea, e certamente ho sofferto, consapevole che stavo anche rinunciando agli altri miei sogni, ma amavo mio marito e non volevo essere al suo fianco una donna in carriera, ma una moglie e una madre, che lavora in armonia con i suoi impegni familiari. Ero anche consapevole dell’onere pesante che la professione di magistrato ieri come oggi comporta. L’abilitazione di Stato in psicologia sociale, conseguita nel 1972, mi ha permesso di approfondire ulteriormente e di ampliare il mio sapere in questa nuova scienza; si pensi che, allora non era ancora stata costituita la facoltà di Psicologia alla Sapienza di Roma. La mia propensione per questa disciplina è stata chiara sin dall’Università, quando scelsi come materie facoltative psicologia e antropologia criminale. Da allora fino ad oggi non ho mai smesso di studiarla, fare ricerca e insegnarla. Proprio perché abilitata e titolare

Editore: Grafichè di A. Perri

di cattedra sono stata chiamata, come docente invitata, a insegnare psicologia generale e psicologia evolutiva (o psicologia dello sviluppo), dal 1986 al 2000, dall’Istituto di Scienze Religiose di Lamezia Terme, che ha formato i professori di Religione Cattolica di ogni ordine e grado. Come si può notare le tre abilitazioni sono state da me ampiamente utilizzate, nella mia professione d’insegnante e non solo. Ho ripreso il diritto in più occasioni, insegnandolo nei corsi integrativi. In effetti sì, non si può dire che i suoi siano stati titoli “sulla carta” e basta. Ci vuole parlare dell’insegnamento? Quanto è stato importante nella sua vita? L’educazione è la cosa più bella che esista al mondo. L’uomo diventa uomo attraverso l’educazione. Senza di essa sarebbe un selvaggio. La vita mi ha chiamato, sia pure attraverso scelte sofferte, a essere formatrice di generazioni di maestri e maestre. Ancora oggi incontro i miei ex allievi e con fare affettuoso “ Prof. come sta? Ancora ricordo le Sue lezioni”, e mi aggiornano sulla loro vita e la loro esperienza didattica. Eccellente la loro riuscita, per preparazione e impegno, ma soprattutto per l’amore per l’infanzia e la fanciullezza, che forse ho saputo trasmettere. Nell’insegnamento della filosofia, della pedagogia e della psicologia sono stata sempre consapevole del delicato compito che stavo espletando: formare coloro che a loro volta avrebbero educato le future generazioni. Pochi decenni indietro era insegnata l’educazione civica, addirittura cominciando dalle scuole elementari. Materia che è stata poi soppressa. E’ stata positiva questa scelta? Direi di no. Andavano modificati i contenuti e i metodi d’insegnamento di questa disciplina, ma non soppressa. La Scuola ha il compito di formare il cittadino di domani, e non solo il lavoratore. E’ fucina di uomini, capaci di pensare e di ben operare. Ciò avviene attraverso i contenuti trasmessi ed elaborati, il rapporto e il dialogo educativi con il corpo docente; ma certamente la conoscenza di “Elementi di diritto” aiuterebbe a formare “l’Io” anche come soggetto giuridico, titolare di diritti e di doveri, rispettoso dell’ordinamento giuridico su cui è fondata la società. “L’ignoranza della legge non scusa” in diritto penale, ma chi insegna questa legge? Come fanno i ragazzi a rispettare ciò che non conoscono? Permettetemi di ricordare mio marito quando, docente nei corsi integrativi, mi sollecitava a insegnare elementi di diritto penale, e

pag. 3


la sua frase famosa “Se voi docenti lavorate bene, noi magistrati avremo poco da condannare”. E aveva ragione. La devianza ha tra le sue cause il fallimento del processo educativo. Nel 1996, in qualità di docente in un corso d’aggiornamento per insegnanti “sull’educazione alla legalità” proposi un percorso formativo di diritto, precisando i contenuti organicamente collegati da proporre nella programmazione e l’introduzione dello studio del diritto in tutte le scuole superiori da parte del Ministero dell’Istruzione. Come darle torto? Se dovesse descrivere con una sola frase quello che l’insegnamento le ha dato, cosa scriverebbe? Nell’insegnamento si costituisce un rapporto spirituale tra discente e docente, unico e irripetibile, in continua evoluzione, in cui entrambi crescono in scienza e coscienza, uniti nella costruzione dell’albero del sapere e dell’etica. Cosa mi ha dato? La consapevolezza di aver contribuito nel mio piccolo ad ampliare “l’umanitas” in me, nei miei allievi e indirettamente nella società. Sperimentazione, Prevenzione, Educazione, Giovani, Adolescenza, Donne, sono parole che ricorrono spesso quando si parla di lei, come mai ha particolarmente a cuore questi argomenti? Fanno parte della mia vita. Sperimentazione: ho collaborato in fase preparatoria, fase esecutiva e infine come docente alla realizzazione degli indirizzi sperimentali linguistico e sociopsicopedagogico dell’Istituto Magistrale Statale Tommaso Campanella di Lamezia Terme. Sono stata per alcuni anni componente del Consiglio d’Istituto e dal 1974 fino al pensionamento nel Comitato di valutazione degli insegnanti. Prevenzione: dal 1985 mi sono occupata di prevenzione, quando, partecipando ad un corso d’aggiornamento, compresi che la tossicodipendenza non era tanto un problema medico, ma prevalentemente un problema pedagogico ed educativo, da prevenire più che da curare; che i giovani vivevano una crisi epocale, un disagio esistenziale, di cui noi come docenti avremmo dovuto in qualche modo farci carico, svecchiando la scuola, liberandola da contenuti inutili, innovando metodi d’insegnamento e di studio, trasformando la scuola da istituzione che prepara alla vita, vita essa stessa, dove si sta bene negli apprendimenti e nelle relazioni. In qualità di coordinatrice del “Progetto Giovani” nel 1990 ho rinnovato le attività extracurriculari, introducendo il teatro, il cineforum, il giornale, la valorizzazione delle Assemblee degli studenti, come spazio-tempo da vivere in modo creativo e costruttivo e anche piacevole. Il Progetto giovani 1993, impostato sul concetto chiave della centralità dell’alunno, protagonista della propria storia, libero e responsabile delle proprie azioni, chiamato ad essere propositivo e agente di mutamento e d’ innovazione nella scuola, ha coinvolto tutto l’Istituto sia nella componente discente sia nella componente docente, entusiasmando e coinvolgendo. Tali attività sono raccolte in due volumi da me curati da titolo: “Verba et Facta”. La parola donna richiama alla mia

pag. 4

mente la questione femminile ancora oggi aperta e drammaticamente cruenta. Il mio ricordo va al gruppo di studio e d’intervento delle “Pari opportunità”, costituto nella scuola in attuazione della legge che la promuoveva. Oggi tutto acquisito e scontato, per me e per tutti all’epoca nuovo, e la mia formazione giuridica risultava preziosa in quel contesto nel momento che c’era una legge da interpretare e da attuare. L’“adolescenza” insieme a quella di “donna” sono i temi di cui mi sono prevalentemente occupata, basta pensare che i miei alunni erano adolescenti, dai quindici ai sedici anni in su fino alla maggiore età. E ho scritto più saggi e tenuto corsi sull’argomento. Il mio intento prima come docente più tardi anche come psicologo/psicoterapeuta? Guidare gli allievi ad affrontare in modo sano e maturo l’attraversata del fiume della vita, dall’adolescenza all’età adulta senza incidenti di percorso. Empowerment, termine oggi conosciuto e abusato, ricordo che lei fu una delle prime a parlarne, durante uno dei tanti convegni e dibattiti che l’hanno vista protagonista. E’ un concetto non facilissimo da accogliere, ce ne vuole parlare? Il termine diffuso al Congresso di Pechino del 1996, e da me utilizzato per parlare “dell’empowerment donna” durante il mio primo mandato nella Fidapa, è un concetto chiave in Psicologia di Comunità. Non traducibile in italiano con una sola parola, fa riferimento al concetto di “ potere… buono”, “potere che mette in grado di…”, che si conquista con processi formativi di consapevolezza, autostima, autoefficacia, assertività e… altro. Si contrappone a disempowerment, uno stato di prostrazione e di senso d’impotenza, di sfiducia e sconforto, per lo più appreso, che, come tale, può essere trattato con un “processo di decondizionamento e di transazione verso l’empowerment”. Il concetto di empowerment è stato elaborato nell’area clinica e psicoterapeutica, nell’area pedagogica degli adulti, nell’area politica. In qualsiasi ambito lo si usi, riguarda lo sviluppo di un senso di sé più potente in rapporto con il mondo. Femminicidio, anche su questo argomento lei ha espresso concetti, in tempi non sospetti, che oggi sono spesso riportati come possibile e probabile aiuto verso le vittime di questi accadimenti, infatti lei ha sostenuto che anche chi uccide, forse, è stato prima ancora “vittima” di un aggressore, che non va semplicemente condannato, ma trattato con psicoterapia adeguata per evitare recidive. Nel caso del femminicidio l’evento nella maggior parte dei casi era prevedibile. Le

donne avevano più volte denunciato. Gli interventi di protezione della vittima sono risultati inadeguati. E se fossero intervenuti sull’aggressore imponendogli un trattamento psicoterapeutico? Se l’aggressore stesso, presa consapevolezza del suo comportamento a rischio e pericoloso per sé e per gli altri, avesse chiesto lui stesso un aiuto specialistico? Tra il malato di mente e il soggetto perfettamente sano, esistono tante forme di disagio e di disordini di personalità, da forme lievi a forme gravi, che possono far perdere il controllo di sé a chi ne è affetto e determinare il reato d’impeto. Forse diffondendo la cultura dell’intervento tempestivo e adeguato sull’aggressore, eviteremmo lesioni e la mortalità femminile, oltre che le recidive. Creare”sportelli” per l’ascolto degli aggressori, di chi uccide per “troppo amore”, che sia maschio o femmina non ha importanza, potrebbe essere d’aiuto? Sì, ma l’ascolto va affidato a uno psicoterapeuta, possibilmente con formazione EMDR. Perché chi si macchia di questi delitti è spesso recidivo? Perché non è stata rimossa la causa che ha generato il primo delitto. Il C.I.C., che potremmo definire uno “sportello” per l’ascolto dei giovani, è nato nel 1993 grazie a lei. Ha dedicato a questo progetto, allora, parte del suo tempo libero e, per dieci anni, è stata affiancata dalla psicologa/psicoterapeuta dr.ssa Maria Luigia Cimino e dall’assistente sociale Maria Mendicino. Ben 24 anni dedicati ad ascoltare e consigliare adolescenti. Soddisfazioni e delusioni di questa “attività”? Soddisfazioni. Dopo l’ascolto gli alunni o le alunne miglioravano su tutti i piani, e in modo evidente anche sul rendimento scolastico. Era più di uno “sportello”. Uno spazio-tempo per i giovani, in cui si organizzavano esperienze didattiche di prevenzione/intervento sul disagio giovanile. Prima di passare ad Angela De Sensi Frontera scrittrice, vogliamo accennare all’A.S.P.I.C. e al Microcounseling, all’EMDR, altri importanti e fondamentali tasselli della sua vita professionale? Perché vi è una sede Aspic a Lamezia Terme? Con la legge 18/02/1989, istitutiva dell’Ordine degli Psicologi, ai sensi delle norme transitorie di essa, mi si riconobbero i titoli teorici e pratici per l’abilitazione all’esercizio della professione di psicologo e quindi per l’iscrizione all’Ordine degli Psicologi della Calabria nel 1994. La mia formazione in

Editore: Grafichè di A. Perri

Lamezia e non solo


psicoanalisi, in verità, risale al 1983 con analisti didatti dell’AIPA di Roma, due ormai deceduti, prof. Santi Romano Fiumara, titolare della cattedra di Psichiatria all’Università della Sapienza di Roma, la prof.ssa Bianca Garufi, l’altro vivente il prof. Marco Zanasi. La mia formazione di base è perciò psicoanalitica. Ho ritenuto, tuttavia, nel 1996 di dover conseguire la specializzazione in psicoterapia clinica frequentando una Scuola autorizzata dal MIUR . La mia scelta è caduta sull’A.S.P.I.C. di Roma, diretta dal prof. Edoardo Giusti, Dott. ssa Claudia Montanari, Donata Francescato. Ho conseguito la specializzazione nel 1999 e da quel momento ho cominciato ad esercitare la professione di psicoterapeuta, con l’autorizzazione della Scuola di appartenenza, perché l’esercizio di questa professione incrementava l’attività del “docere”. Da Febbraio 1999, consociata con Roma, con atto notarile a firma del notaio Rosarina Agapito, è istituita una sede A.S.P.C. in via G. Marconi 103, di Lamezia Terme, da me, come presidente e altre due socie fondatrici: la dott.ssa Maria Luigia Cimino, psicologa/psicoterapeuta, la dott.ssa Mariannina Amato, psicologa/ psicoterapeuta. Subito operante come C.A.O. Centro di Ascolto e di Orientamento, dove si accolgono adolescenti, giovani, genitori, su appuntamento, per tre o più colloqui clinici gratuiti. A oggi ancora aperto e funzionante. Dal 2004 ho avviato i corsi di Microcounseling presso l’Istituto di Scienze Religiose, dove avevo insegnato psicologia, sessanta ore di lezioni teoriche e pratiche, per la prevenzione e l’intervento sul disagio giovanile destinato a diplomati. Più tardi corsi di Counseling annuali e triennali. In questo momento sono stata in pausa, solo due convegni divulgativi per i miei impegni come presidente della sezione Fidapa di Lamezia Terme, ora sono solo pastpresidente e potrò dedicare il mio tempo a nuove esperienze formative come il Counseling Organizzativo, il Counseling antiviolenza; l’artcounseling. Lamezia ne ha bisogno. L’EMDR, invece, è un approccio psicoterapeutico, della Psicologia dell’emergenza, (si potrebbe considerare una seconda specializzazione, perché possono accedervi solo gli psicoterapeuti), che utilizza il movimento degli occhi o altre forme di stimolazione bilaterale per la cura dei traumi psichici. Fondatrice Francine Shapiro, scienziata americana, ancora vivente e coordinatrice della ricerca in questo ambito a livello mondiale. Dal 2006 applico anche questo modello integrandolo, nel mio studio privato, e sono in continuo aggiornamento, partecipando ai vari congressi europei.

Il 28/29 Ottobre sono stata a Milano per un aggiornamento su nuove tecniche. La presidente europea Isabel Fernandez in occasione della giornata mondiale di contrasto alla violenza sulle donne, 25 Novembre 2016, è venuta qui a Lamezia e ha trattato come sia possibile rompere il ciclo della violenza, e anche lei ha sostenuto la necessità del trattamento dell’aggressore. Come si può notare il mio è un “continuum” d’interventi sul disagio o su disturbi psichici, su cui si opera con gli strumenti a mia disposizione che vanno dal “docere”, al counseling, alla psicoterapia, ultimamente alla supervisione. Nella continuità la stabilità e l’ordine! Ora passiamo alla scrittrice Angela Frontera, ha scritto racconti, poesie, saggi, ma se dovesse scegliere, se le venisse imposto di scegliere fra i tre rami, per quale opterebbe? Non scelgo. Io ho scritto per necessità i saggi: nascono dalla vita e sono destinati alla vita. Dalla necessità di dare risposte quanto più scientifiche e non solo razionali e filosofiche a problemi spesso vecchi come il mondo. Quando scrivo saggi le mie conoscenze pluridisciplinari si presentano con naturalezza alla mia mente, non come ornamento e sfoggio di erudizione, ma come esigenza di dare risposte quanto più fondate scientificamente al quesito postomi. E’ comunque l’occasione di approfondire ancora e ampliare. Quando scrivo poesie o racconti è l’ispirazione che mi sollecita a farlo. E io mi sento libera di rispondere o non rispondere a tale sollecitazione. L’ispirazione che viene dal profondo è spesso un insieme di emozioni che, fluendo, ricevono forma, si svelano e si rendono visibili e percepibili. E’ la dimensione creativa della mia personalità, in contatto col profondo, che si esprime in versi o in una prosa ricca di pathos, certamente diversa dalla dimensione fredda e razionale, dedita alla ricerca. Un suo libro al quale è particolarmente legata? “Donna oggi”, l’opera che mi ha rivelato come scrittrice, che, affrontando la questione femminile, utilizza “la logica del concreto”, tridimensionale, la logica che osserva “il vissuto”, per razionalizzarlo, comprenderlo, e provocare mutamento in chi scrive e in chi legge. Cosa c’è di Lei in quello che scrive? L’impegno verso l’umanitas che è in me e negli altri, che sento vada alimentata e nutrita. L’Essere, che è in ognuno di noi, si dispiega e diviene attraverso l’attività e l’opera. Ecco perché ogni autore ama la sua opera perché ama la sua esistenza. Ha dedicato delle bellissime p o e s i e d’amore a suo marito, che purtroppo è

Lamezia e non solo

Editore: Grafichè di A. Perri

scomparso, ci vuole parlare dell’amore in generale e, se vuole, dell’amore per suo marito? Ho pubblicato quelle poesie, che avrei voluto tenere solo per me, per onorare la sua memoria e la sua opera come magistrato e presidente del Tribunale che dedicava competenza e calore umano per la riconciliazione dei coniugi, prima di procedere alla separazione. Sono molte le testimonianze ricevute da gente sconosciuta sulla delicatezza con cui trattava questo ambito. La sua attenzione alla genitorialità, che continua nonostante la separazione, ha precorso i tempi e la legge sulla bi-genitorialità e l’affido condiviso del 2006. Sì. L’amore coniugale è possibile e può durare anche tutta la vita. E’ difficile spiegare cosa sia; è condivisione totale di due esistenze, vivere l’uno per l’altra/o; consapevolezza che non si può vivere senza “l’esserci per te dell’altro”. È stato duro accettare una perdita affettiva così importante come quella di un marito? Duro, sì. Specialmente nei primi tempi, quando si è ancora immersi nel dolore suo e tuo, e il fiume della vita non ha ancora ripreso a scorrere dentro di te. Poi…Lui… diventa compagno invisibile, come dico in una mia poesia e il dialogo continua… Perdi il compagno di viaggio della tua vita, il racconto reciproco, il sostegno reciproco, la condivisione di gioie e dolori, la ricerca in comune del significato della vita, la storia comune, la gioia della pura presenza dell’altro che c’è e c’è per te. Se hai fede…puoi recuperare la dimensione spirituale e scoprire che Lui… è ancora con te. Che vuol dire essere vedova ai giorni d’oggi? Ho dovuto recuperare il mio essere singola del mio periodo universitario, quando uscita dalla famiglia, ho dovuto pensare in tutto e per tutto da sola. Periodo breve tuttavia. Mi sono sposata giovane a 25 anni. Ma io non sono rimasta sola: ho due figli e due nipoti, il secondo nato dopo la sua morte e porta il suo nome. Una volta era ben più difficile, per esempio ai tempi ai quali si riferiscono i suoi “Racconti al Caminetto”, era una condizione quasi di disagio quella nella quale si veniva a trovare una donna che perdeva il marito. Oggi è diverso? Oppure è diverso solo l’approccio con la società ma dentro, nell’inconscio, il disagio rimane sempre? Certamente cambia lo status, e dagli altri la vedova è percepita come un soggetto debole insieme agli orfani, vedi il Vangelo, come tale può essere oggetto di soprusi e maltrattamenti. Ma io non ho vissuto tale esperienza. Anzi. Porto il suo cognome accanto al mio, come quando era vivo, lui ci teneva moltissimo ed esigeva che mi presentassi come la signora Frontera. Il codice civile permette alla vedova di continuare a tenere il cognome del marito defunto, fino a quando non si risposa. Per me è anche una necessità editoriale perché le mie opere sono tutte con il doppio cognome. Angela Frontera Mamma… Che mamma è stata Angela? Severa, permissiva, assente, troppo presente?

pag. 5


La domanda andrebbe rivolta ai miei figli. Sono stata e sono “mamma”. E’ in assoluto la dimensione della mia personalità più importante e più bella. Ci sono stata per loro, i miei figli, in relazione all’età e ai loro bisogni. Per non essere invadente e prevaricatrice ho lasciato a loro l’iniziativa. Lei giocava con Costanza e Franco? Che rapporti aveva e che rapporti continua ad avere con loro? Giocavo sì, giocavamo direi, a volte si aggiungeva anche mio marito, ho fatto fatica a lasciarli andare…verso il mondo. Credo che per molte mamme sia così... Angela Frontera Nonna, come è invece il rapporto con i suoi nipoti? Ottimo. Un tempo, quando erano piccoli, e i genitori me li affidavano, ero momentaneamente il sostituto psicologico della mamma. In sua assenza li ho colmati di cura e affetto. Oggi? Quel che conta è “Esserci “ per loro, nei limiti in cui loro, ormai adolescenti, me lo permettono. Quanto importante è la figura dei nonni per i bambini? Importantissima, rappresentano il crogiuolo degli affetti, e contribuiscono a formare nel bambino, insieme ai genitori la regolazione emotiva-affettiva. Quale consiglio sente di dare alle giovani generazioni? Tenetevi cari i nonni, hanno molto da darvi in esperienza e in affetti; liberi da impegni lavorativi, possono ancora essere preziose risorse per i nipoti. Parliamo di Religione, qual è il suo rapporto con la Religione? Sono una persona che ha fede. Sono stata nell’Azione Cattolica e ho ricoperto anche incarichi di responsabilità. Ho continuato nel tempo a fare del volontariato e oggi collaboro con il Centro Tobia e Sara della Diocesi, per il sostegno alla vita, alla coppia e alla genitorialità, con il Movimento d’Impegno Educativo della Diocesi. Cosa ne pensa di Papa Francesco? Sta “rinnovando” la chiesa sotto molti aspetti. Basta dire di Lui che ha istituito il “Giubileo straordinario della Misericordia”, per evidenziare la qualità del suo Magistero. Personalmente è stato un Giubileo che ho quasi sentito come “mio”... Ma torniamo all’intervista, ritiene la pedofilia, che purtroppo affonda le radici nella notte dei tempi, uno di quei mali subdoli che portano, chi ne è vittima, a essere, a volte carnefice? E’ una perversione sessuale ed è difficile da curare. Sono anche psicologa giuridica (terza formazione) e ho studiato il fenomeno. Lo strumento psicoterapeutico più idoneo è l’EMDR, qualora la causa risiede in esperienze infantili di abuso. Ora passiamo all’Associazionismo che la vede protagonista in molte occasioni. Credo che la FIDAPA abbia avuto e abbia un ruolo importante. Perché la vita associativa, di per sé, è importante nella società, oserei

pag. 6

dire, mondiale? Accanto alla Scuola, alla Famiglia, l’associazione, in maniera meno strutturata però, produce cultura e la trasmette, e funge da collante nella società, e tutto con energie economiche quasi a costo zero per l’economia nazionale perché si fonda per lo più sul volontariato. Lei è stata eletta presidente della FIDAPA ben due volte, essendo io stessa fidapina da circa quaranta anni so che quello della Presidente è un ruolo sì ambito ma molto difficile, cosa spinge ad accettare di portare avanti questo impegnativo ruolo? Credo nell’associazionismo e so vedere i vantaggi culturali e sociali della partecipazione alla vita associativa. Nel mio caso in particolare, la questione femminile, è stata ed è uno dei temi preferiti, che ieri come oggi toccano la mia vita. Sono socia fondatrice e condivido pienamente le finalità e se posso contribuire a realizzarle perché non farlo? Quali delle due presidenze le ha dato maggiori soddisfazioni e, soprattutto, se dovessero proporle una terza presidenza, lei accetterebbe? Due esperienze completamente diverse, ricchissima la prima: si è festeggiato il 25°; io ero in pieno vigore psicofisico e con grande entusiasmo; col tema nazionale “La donna e la città”, che affidai all’arch. Proto e alla prof. Giovanna De Sensi Sestito, storica, ho voluto valorizzare Lamezia Terme, sotto l’aspetto storico-artistico. Quest’ultimo è stato più tranquillo come biennio, con manifestazioni più mirate alle soluzioni di problemi internazionali, come il femminicidio e le donne rifugiate, ma il mio fiore all’occhiello è stata la valorizzazione delle socie ricche di talento e il riconoscimento alle socie onorarie. Il tema nazionale “ I talenti delle donne; una risorsa sociale, economica e politica per il nostro paese” mi ha permesso ciò e io ne sono fiera. Come vede sono soddisfatta di entrambi i bienni, ma per motivi diversi. Sono troppo avanti negli anni per una terza presidenza. Ma nel tempo libero dagli innumerevoli impegni che la tengono occupata, sempre che riesca ad avere tempo da dedicare a se stessa, cosa fa? Legge, ascolta musica, altro? Leggo, ascolto musica, guardo la televisione per aggiornarmi, o per divertirmi, ginnastica da camera, prego; suono qualche volta il pianoforte.

corsi di musicoterapia. Se dovesse dare un colore alla sua vita, che colore sceglierebbe? L’azzurro del cielo mi richiama la libertà e la canzone di Modugno “Libero”. E concludiamo con la domanda che faccio a tutti, alla Marzullo, la domanda che non le ho fatto e che avrebbe voluto le facessi. Si faccia la domanda, ci dia la risposta. Perché tutto questo? Per esserci… La cosa più difficile, quando un’intervista giunge al termine, è scrivere dell’intervistata, dire quello che l’intervista, le parole dette, hanno suscitato in te. Si teme sempre di non riuscire nell’intento ma poi, come scritto più volte, basta cominciare a scrivere e ... Cosa dire di Angela De Sensi Frontera? E’ una donna decisa, quel che fa lo fa perchè lo vuole e non per costrizione. E’ un’insegnante per “vocazione”, mi viene da pensare, che ha dato il via ad una serie di iniziative finalizzate a portare nelle nuove generazioni a “Guidare gli allievi ad affrontare in modo sano e maturo l’attraversata del fiume della vita dall’adolescenza all’età adulta senza incidenti di percorso”. per usare le sue stesse parole. Durante le conferenze, i convegni, spesso, mentre ascolta, socchiude gli occhi, non per estranearsi da quanto la circonda, al contrario lo fa per dedicare quasi tutta la sua attenzione alle parole che vengono dette, per dare il giusto merito a chi parla. Non la si può definire con un solo aggettivo perchè lei è tanto sicura di sè da affrontare con in microfono in mano platee affollate e parlare di argomenti difficili e delicati con assoluta tranquillità ma è anche timida fondamentalmente; è serena, gli occhi il viso, il sorriso la fanno apparire tale, ma è anche triste, basti pensare all’accenno che ha fatto al pianoforte che tace durante l’intervista. Potrei continuare all’infinito ma non farei che ripetermi, anche con lei concluderò con una frase, è di Denis Waitley e così recita: “Ci sono sempre due scelte nella vita: accettare le condizioni in cui viviamo o assumersi la responsabilità di cambiarle”. E lei questo ha fatto, non si è “adagiata” nel suo ruolo di giovane laureata prima, moglie o madre poi, no ... Ha osservato, ha socchiuso gli occhi per riflettere e poi si è mossa in modo da potere essere un tassello nel tentativo di migliorare la società nella quale vive.

L’autore preferito? James Hillman. Il suo rapporto con la musica com’è? Bellissimo. Sono abbonata ai concerti dell’Ama Calabria. La mia casa oggi è immersa prevalentemente nel silenzio. Tace il pianoforte che suonava mio marito nel tempo libero. Ho organizzato e realizzato come Aspic

Editore: Grafichè di A. Perri

Lamezia e non solo


Cultura

I ragazzi venuti dal mare Nella Fragale Scrivere è un dono, sapere catturare le parole ed asservirle ai propri pensieri è qualcosa di meraviglioso che in molti credono di avere ma in effetti non è così e chi ama leggere lo sa. Elena Fiore Pisapia ha questo dono. Ho girato l’una dopo l’altra le pagine del che Elena aveva portato e mi sono fermata solo quando sono giunta alla fine. Un sospiro, un ampio sospiro, è questo il libro di Elena, è poesia, è amore, è consapevolezza, è sogno, è dialogo, è colore, è risveglio, è intimo incontro con la Fede, con Dio, con San Francesco. Elena sente che in lei qualcosa vuole cambiare, deve cambiare ed è lì, mentre aspetta che sbarchino i ragazzi venuti dal mare, “nella conca scavata dall’Esaro, tra la Cannicella e Montea”, nella Madre Terra, in mezzo ai vividi colori, mentre i ragazzi sbarcano dalle navi, gli occhi si posano sulla Croce posta in alto su un monte, ed intuisce che quello è un segno che le sta indicando il cammino che dovrà intraprendere: “I cieli e la terra sono pieni della tua gloria ... Dio dell’universo ... Osanna nell’alto dei cieli”. Ed ora lei è lì con quei ragazzi, con il loro bagaglio di vita vissuta, di cultura, di dolore, di umanità e lei, la professoressa d’Italiano, o Madame, come i ragazzi la chiamano, instaura con loro un dialogo che non è fatto solo di lezioni, ma anche di sguardi, di parole non dette che pure sono fra di loro e sono un legame indissolubile, un legame che non svanirà nemmeno quando loro andranno via, oltre il mare nuovamente forse, o verso altre terre lontane, ma resteranno a ricordo di quel che è stato e a rafforzare l’animo di Elena a prepararla ad affrontare altri ragazzi venuti dal mare, altre storie, altri dolori, altre Osasu, donne dal corpo morbido, dalla pelle d’ebano e dal ventre gonfio. Ed è con loro, ascoltandoli, imparando Lamezia e non solo

a riconoscerli nonostante la pelle nera che, inizialmente, par renderli tutti uguali, che comincia a trovare risposte. Nel tentare di “comunicare” con quelle persone intuisce che è la fede che può aiutarla, può aiutarli. “Benvenuti nella terra di San Francesco!” dice loro …”Noi siamo la spiaggia che vi accoglie al di la del nostro mare inquieto, il mare su cui il nostro Santo ha fatto vela prima ancora del vostro viaggio”. Ed inizia il dialogo, loro raccontano le loro storie fatte di dolore, di soprusi, di sofferenze, di fratelli che disconoscono i fratelli, di occhi scuri che guardano verso l’orizzonte sperando in una vita migliore. E le chiedono se questo San Francesco di cui lei parla sia un suo amico e poi parlano ancora, narrano dei loro demoni, di quelli simili al Satana del cristianesimo, che comprano le anime dei disperati, di chi non ha niente come loro, con un sorso d’acqua e lei li ascolta e continua a parlare di San Francesco, della sua umiltà, dei suoi miracoli intuendo che in quel modo riusciranno a capirsi. E mentre è lì, in quelle terre assolate, guardando quella croce che s’innalza in cima ai monti, che nella sua mente affiorano ricordi, ricordi lontani, sopiti che ora si fanno strada e sono vividi, come se fossero accaduti ieri e non tanti e tanti anni prima. Ed è la voce di Domenico che la culla, la voce di colui che diventerà suo marito, che le fa attraversare i momenti vissuti insieme, quelli belli e quelli dolorosi, per poi farla ritrovare di nuovo lì con quei ragazzi a parlare ancora con loro. Non è un libro che si può narrare quello di Elena, è un libro che va letto perchè è un viaggio, un viaggio dentro se stessi, delicato che ella ha voluto condividere con gli altri e noi la ringraziamo per questo!

Editore: Grafichè di A. Perri

pag. 7


Spettacolo

Il pomo della discordia o della sessualità dissimulata

Lamezia Terme, 2 novembre 2017, Teatro Comunale Grandinetti. In scena, per “Vacantiandu 2017” rassegna teatrale della città di Lamezia Terme, direzione artistica Diego Ruiz e Nico Morelli, direzione amministrativa Walter Vasta Il pomo della discordia, spettacolo scritto, diretto e interpretato da Carlo Buccirosso con Maria Nazionale e un eccellente cast di attori. Radici mitologiche per una commedia dal forte gusto contemporaneo nella quale la comicità nasce dal gioco leggero della semplicità e del sentimento rifuggendo dall’opportunismo volgare e dagli stereotipi della comicità stessa ovvero l’aggressione nei confronti dell’oggetto di cui si “ride”. La scena allinea elementi di un salotto borghese arredato con mobili antichi. Il tema della separatezza e della continuità interno/esterno è risolto da Gilda Cerullo e Renato Lori con un leggero sipario fumé che segna il limite con il terrazzo fiorito di bouganville dove ha luogo una scena che pare voglia essere un delicato omaggio a Questi fantasmi di Eduardo. Belli e curatissimi nei particolari gli abiti firmati da Zaira De Vincentiis, rigoroso e poetico il disegno luci di Francesco Ardinolf. E Carlo Buccirosso è maestro di penna e di palcoscenico in questo suo rapporto “domestico” con il teatro quasi da far dimenticare allo spettatore di assistere ad una finzione. Si chiama verità scenica. Mesto e scattante, egli scivola dentro il personaggio del notaio Tramontano miscelando naturalezza e mestiere, straniamento e carisma, distacco signorile e intimità nostalgica, astinenza e profusione tecnica giocando sul perfetto equilibrio tra risparmio e consumo dell’arte comica. Ancora una volta si parla di famiglia, intesa come istituzione, e Buccirosso ne mette in evidenza distorsioni, dissidi e conflitti. Le tematiche sono di strettissima attualità: omofobia e omosessualità. E qui l’autore/autore/regista diventa un grande razionalista dei sentimenti. Un gioco crudele il suo, condotto con tagliente ironia e misurato cinismo ma mai perverso o gratuito sì che l’imbarazzo degli altri diventa la sua forza. Ma la sorpresa, l’acme, lo svelamento non cambiano nulla. Semplicemente qualcuno si ritrova e qualcun altro è beffato fino alla pacificazione finale affidata a una canzone scritta da Sal Da Vinci che firma tutte le musiche dello spettacolo e duettata con Maria Nazionale, una delle più belle voci di Napoli che in questa pièce dà prova di grande attrice nel ruolo di mamma Angela. Una totale padronanza dello spazio scenico e una voce persuasiva, gestita con l’astuzia dell’intelligenza: dolce, decisa, malinconica quando ha da essere. Una figura femminile a tutto tondo, mamma protettiva e moglie conciliante (ma mai sottomessa), donna moderna ma con valori antichi. Ha rinunciato alla sua carriera (studiava al conservatorio) per curare la propria famiglia e forse è proprio lo studio ad averla resa emancipata e capace di leggere e di aderire pienamente alla realtà anche se il tema della rinuncia e della attesa della donna per l’uomo che ama sono i termini di un rapporto maschilefemminile che appartengono da sempre alla storia della cultura e del costume meridionali. Ma lo spettacolo è anche e, soprattutto, un lavoro corale. La scioltezza degli attori (alcuni molto giovani ma dotati per il canto, il ballo e i movimenti gestuali) coinvolge i personaggi in un realismo coerente individuandoli senza caricature. Misurata l’interpretazione di Giordano Bassetti nel ruolo di Achille, figlio gay della coppia. Un personaggio un po’ malinconico e con un dolore represso dovuto alla impossibilità di stabilire un dialogo con il padre al quale chiede la propria legittimità ad esistere. Ma la cecità

pag. 8

(apparente) del padre lo costringe a vivere nel rimando del desiderio denegato e trattenuto nel rimorso fino all’outing urlato e liberatorio a cui non può più sottrarsi, pena una vita scollata, impedita ad amare. Eclettico, esuberante, trasformista Mauro de Palma nel ruolo di Manuel che costeggia il mito della Femminilità nella sua interpretazione en travesti esibendo una fisicità prorompente e statuaria su tacco 12, un meticoloso lavoro di trucco e parrucco e abiti che vanno dal sexy tubino nero ornato di motivo floreale e piume di struzzo, allo sgambatissimo body di paillette rosa che fa tanto avanspettacolo fino al sontuoso abito-sirena, omaggio palese alla divina Callas e per finire un unconventional doppiopetto grigio spezzato da un papillon rosso che fa pendant con la pochette e con un paio di audaci décolleté. Forte e limpida nella personalità, disponibile e generosa la Francesca di Claudiafederica Petrella, sorella e alter-ego di Achille. Vivaci e piene di brio le interpretazioni di Matteo Tugnoli/Christian e Elvira Zingone/ Sara che dimostrano anche brillanti doti coreutiche. Decisa e impertinente Monica Assante di Tatisso nel ruolo di Adelina, fedele e fidata cameriera della famiglia Tramontano. Divertente e, a volte, improvvido ma molto abile nel condurre il doppio gioco sulla propria identità sessuale l’architetto Oscar D’Ambrosio di Peppe Miale. Elegante e professionale ma con una punta di pudica civetteria Fiorella Zullo nel ruolo della dottoressa Marianna Formisano. Perfetto Gino Monteleone nell’interpretazione dell’avvocato Zambrano, ruolo gestito con controllo del gesto e limpidezza vocale. Il risultato è una commedia ricca di intelligenza e ironia calata in una contemporaneità gravida di tabù sociali dove l’omosessualità, in tutte le sue declinazioni, è una condizione vissuta ancora in termini di disagio, di discriminazione e di censura. A questo si innesta l’eterno conflitto tra genitori e figli e la famiglia come microcosmo della realtà sociale in cui tutti siamo immersi. Eppure il pregio di questo lavoro drammaturgico è di aver saputo rappresentare le difficoltà che si incontrano per il superamento dei pregiudizi e per l‘affermazione della propria identità sessuale con diritto di trattamento paritario nella convivenza civile. Anche il travestitismo e certa esagerazione enfatica degli atteggiamenti che appartengono non solo al vissuto e alla mitologia del mondo omosessuale ma che rispecchiano l’immaginario collettivo proposto, per anni, dai media viene qui recuperato in chiave autoironica e giocosa, come un divertissement. Nessuna indulgenza o concessione retorica ma un punto di vista “altro”, più interiore, quello di un “padre in cerca di redenzione nella sua famiglia”. Un padre che attraverso un doloroso viaggio interiore sa mettersi in discussione per addivenire all’accettazione di sé e degli altri sia nella sfera emotiva sia in quella etica. Peace&love e applausi scroscianti per tutti.

Editore: Grafichè di A. Perri

Lamezia e non solo


Spettacolo

Il berretto a sonagli o della follia liberatrice Lamezia Terme, 9 novembre 2017, Teatro Comunale Grandinetti. In scena, per l’aperura della Stagione di Teatro organizzata da AMA Calabria con il patrocinio della Citta di Lamezia Terme, Il berretto a sonagli, di Luigi Pirandello, con Sebastiano Lo Monaco, che ne firma anche la regia, Maria Rosaria Carli, Gianna Giachetti, Barbara Gallo, Lina Bernardi, Rosario Petix, Claudio Mazzenga, Maria Laura Caselli. Un doveroso omaggio per i 150 anni della nascita del grande drammaturgo girgentino. Sullo sfondo di una Sicilia senza tempo dove abitudini ormai codificate governano la vita pubblica, la vita privata e l’onore si consuma una sottile vendetta. È il sordido mondo della piccola provincia con il suo conformistico bisogno di salvare le convenienze nascondendo, sotto la rispettabilità dell’ordine e della forma, il fermentare di passioni torbide e di istinti segreti. Un gioco di inganni dove il ridicolo fornisce il pretesto alla sentenza: la follia liberatrice, fonte di verità. Il rigoroso e imponente décor firmato da Keiko Shiraishi mette in relazione l’esterno/ interno con una vetrata in boiserie che lascia trasparire un rigoglioso quanto realistico giardino mentre i mobili del salone, pochi ma solenni e sapientemente disposti, ben si armonizzano con le linee verticali che dominano lo spazio scenico. Il tappeto sonoro di Mario Incudine e i calibrati tagli di luce di Nevio Cavina fanno da costante contrappunto ai ritmi della recitazione. Belli e curati i costumi di Cristina da Rold. La regia di Lo Monaco è dinamica e vivace con un allestimento dal quale lo stile dell’autore risalta per magistrale controllo strutturale e limpidezza di linguaggio nonostante le continue invenzioni foniche che il regista/protagonista si diletta a inserire nel plot. Infatti, il registro comico, con diverse incursioni nella bouffonerie tragique, è qui largamente privilegiato rispetto a quello drammatico per meglio discernere l’essere dalla sua maschera o meglio dal suo “pupo”. Il Ciampa di Sebastiano Lo Monaco appare dal fondo come se sbucasse in palcoscenico

Lamezia e non solo

da una parete buia, da quell’altro spazio invisibile che sta dietro la scena e si commisura con essa con godimento. Si presenta ascetico e indifeso, quasi rigido su quel busto agito come una marionetta. Voce dimessa ma caparbia che fa presagire fatalità impenetrabili. E in quel I atto, avvolto nella luce bianca della razionalità riverberata dal bianco velario dipinto a mo’ di fondale, Lo Monaco, con una tenuta interpretativa scolpita nella pietra lavica, costruisce il suo Ciampa immergendosi nella sua natura raziocinante, dialettica, discettante e illustrando la teoria delle “tre corde”: quella civile, quella seria e quella pazza. Ma è nel II atto che si compie l’iperbole. Nel chiuso di quel salotto borghese dove Ciampa/Lo Monaco entra, cappello in mano, con una aurea di ineluttabilità infantile e rassegnata, estatica quasi. Scarmigliato, con una vistosa ferita sulla fronte, il volto tirato e il trucco marcato a scavare dalle linee del suo volto solchi profondi di violenze inaudite, costretto a vivere nella dimensione mortificata della sua vita intima, vilipeso nell’amore e nell’onore ed esposto ormai al pubblico ludibrio. Ma con una virata improvvisa, come un clown nero, folle e razionale insieme, comincia a muoversi con destrezza negli spazi che il personaggio gli offre e riesce a ottenere un riconoscimento pubblico di onorabilità tutelando agli occhi della gente il suo “pupo”. Egli fa in modo che venga rispettato, anche quando, di nascosto da tutti lo si vorrebbe umiliare o sbeffeggiare “[…] Via, vada! vada! si prenda questo piacere, di fare per tre mesi la pazza per davvero! Le par cosa da nulla? Fare il pazzo! Potessi farlo io, come piacerebbe a me! Sferrare, signora, qua, per davvero tutta la corda pazza, cacciarmi fino agli orecchi il berretto a sonagli della pazzia e scendere in piazza a sputare in faccia alla gente la verità.[…]” Ferita e furente, fiera e folle la Beatrice di Maria Rosaria Carli giganteggia sulla scena. Entra con recitazione nervosa covante, in appartata cupezza, il finale gesto esplosivo. Un ritratto di signora a cui si addice il disegno borghese dell’inizio che poi, lentamene, svanisce trasformandosi in algida baldanza all’inizio del II atto fino al delirio finale quasi carponi a terra mentre si dimena come una tigre prigioniera. La Carli preme il pedale della consapevolezza fino alla lucida determinazione di un impos-

Editore: Grafichè di A. Perri

sibile riscatto/vendetta che si tramuta in quel belato reiterato e si sente la sua voce fredda, tagliente, gelidamente pazza d’un tono tuttavia stranamente naturale. Da lucida carnefice a fragile vittima si consegna sopraffatta alla vis diabolica di Ciampa, diventato ormai grande burattinaio. interpretazione inquieta, forte, sicura. Una Beatrice memorabile. Deliziosamente cattiva la Donna Assunta di Gianna Giachetti con le sue smorfie e la vocina leziosa. Più matrigna che madre, si ritaglia con talento e mestiere il suo spazio e troneggia come una regina lillipuziana accentuando con misurata ironia l’elemento grottesco ed esibizionistico e offrendo una figura materna diametralmente opposta all’introverso, corrosivo intimismo della “madre” descritta dall’autore. Maliziosa e insinuante la Saracena di Barbara Gallo avvolta in quel lungo scialle con le frange che usa come oggetto di seduzione con toni e movimenti persuasivi. La sola, tra l’altro, a mantenere con le sue battute colorite il legame linguistico con la terra d’origine introducendo, in un contesto borghese, la radice identitaria attraverso l’elemento popolare della lingua parlata. Lina Bernardi/Fana è presenza silenziosa e discreta, gravata di titubanze che però lasciano trasparire l’affetto profondo e sincero che la lega a Beatrice. Svagato e libertino il Fifì di Claudio Mazzenga sospeso tra coloritura e ironia, eleganza e civetteria, candore e idiozia. Rosario Petix è un delegato Spanò di molta verve con corposi spunti di abilissimo caratterista e sfumature mimiche quasi marionettistiche. Immobile, granitica, obbediente e sottomessa Nina, moglie di Ciampa, nel cameo di Mara Laura Caselli. Nel finale l’illuminazione si indebolisce e si frantuma in una successione alternata di chiaroscuri. La coralità della presenza scenica dei personaggi si dirada, le voci perdono il loro tono di concitazione caotica e la conclusione è affidata a Ciampa che “si butta a sedere su una seggiola in mezzo alla scena, scoppiando in un’orribile risata, di rabbia, di selvaggio piacere e di disperazione a un tempo.” Risata tragica che ne disvela la grandezza. È vero che anche lui è un pupo ma il filo che lo muove è quello dell’amore. Uomo ridotto a pupo e dunque profondamente pietoso perché al deserto affettivo sceglie il tradimento di colei che ama in delicatissimo equilibrio tra la segreta sofferenza e il desiderio di rivolta contro la maldicenza della gente che fanno di lui un “martire della forma”. Grandi tutti. Lunghissima ovazione.

pag. 9


Associazionismo

Il Club del libro Il Book Club è uno spazio di confronto inclusivo ed assolutamente non elitario, ma aver dedicato l’ultimo appuntamento a Georges Simenon, scrittore di best seller ante litteram, avrebbe potuto far storcere il naso ai lettori più “snob”. Non è successo. “La camera azzurra” e “L’uomo che guardava passare i treni” hanno riscosso unanime apprezzamento, avvenimento raro tra i partecipanti di LectorInFabula. L’autore belga ha appena trent’ anni quando crea il personaggio del commissario Maigret, che gli merita immediatamente, e per sempre, una notorietà universale e dei cospicui diritti d’autore, anche perché il cinema trova nei suoi romanzi un serbatoio inesauribile di

evidenziato la complessità dei personaggi di Simenon, che trasforma il romanzo poliziesco che il lettore si aspetta in un romanzo di vita, in cui anche gli individui più grigi diventano personaggi universali, meritevoli di incarnare un tipo umano, invischiati in situazioni paragonabili ad una prigione o un inevitabile destino, dai quali fuggire ad ogni costo. La potenza creatrice di Simenon ne fa un autore popolare, facile da leggere, che non si è preoccupato né di questioni formali né stilistiche, ma che ha sempre strappato l’ammirazione anche dei colleghi di tutti gli scrittori: André Gide lo considerava come «il più grande romanziere di tutti, il più vero romanziere che abbiamo in letteratura». Il romanzo “L’uomo che

soggetti ed acquista i diritti dei suoi libri man mano che vengono dati alle stampe. Gran paradosso. Simenon, che ha sempre rifiutato di scrivere per lo schermo, è il più grande fornitore di storie per il cinema e ben presto per la televisione. Il successo gli riserva fama e ricchezza, tanto da consentirgli un tenore di vita dispendioso che conferisce alla sua esistenza la piega di un lussuoso seminomadismo in Francia, Svizzera e Stati Uniti, ove si sposerà più volte, non disdegnando numerose conquiste extraconiugali. Simenon predilige un’umanità ordinaria, in cui i vari personaggi, spesso individui piatti, ingessati nelle loro abitudini, ossessionati dalla sensazione del loro fallimento o della loro mediocrità, vivono come prigionieri di un gioco di società, in cui anche i figli sono accessori utili alla propria posizione professionale. E tanto è emerso dal dibattito nato intorno ai libri in discussione, riflessioni comuni che hanno

guardava passare i treni” è, tra i titoli presi in considerazione dal Book Club, quello che ha riscosso più interesse. Si è avuta l’impressione di essere catapultati

pag. 10

nell’Europa, fredda e a tratti inospitale, tipica di certi paesaggi olandesi e francesi. Il protagonista di questo romanzo, che comunque del genere giallo ha qualcosa, se non altro per le sue tinte un po’inquietanti, per la creazione della suspance e del continuo interrogativo “come andrà a finire?”, è Kees Popinga, tipico uomo borghese, rispettabile marito e padre di famglia, le cui solide certezze un bel giorno si riveleranno non essere tali. Un fatto inaspettato infatti porterà il nostro protagonista (a cui peraltro ci si affeziona subito, forse per la sua ingenuità) a imboccare una direzione inaspettata, e a dare così alla sua vita una svolta irreversibile. Kees Popinga da quel momento intraprenderà un viaggio, anzi una fuga, che lo porterà dalla cittadina olandese in cui tutto ha inizio, per arrivare alle strade di Parigi e infine alla campagna francese. Ma anche di un viaggio mentale si tratta, ovvero di un abbandono dell’immagine di sé, costruita finora, per la ricerca di qualcos’altro… Il prossimo appuntamento è fissato per domenica 17 dicembre alle 17:30 con il libro “tutto quello che è un uomo” di David Szalay. E con una lettura facoltativa “la resistenza del maschio” di Elisabetta Bucciarelli. Buona lettura a tutti ma, se anche i libri proposti non li avrete letti, sarete i benvenuti per condividere una tazza di tè al Qmè.

Editore: Grafichè di A. Perri

Lamezia e non solo


Associazionismo

Le amiche. Etica Nicomachea- Liberi di scrivere Le amiche del cactus Le amiche del cactus Le amiche al guinzaglio, sono coloro, spesso sempre in due insieme, che non ammettono distrazioni una dell’altra. Se passa un altra conoscente è permesso il saluto ma non fermarsi a salutare. Le amiche dominanti, coloro che comandano, hanno sempre ragione, e se l’altra esprime un dubbio viene zittita. Amiche diverse che non telefonano mai, che telefonano solo se hanno chiamato a tante altre e avendo avuto buca poi chiamano te. Amiche care che si lamentano con te delle altre amiche, a loro dire indifferenti e lontane. Amiche che diranno sempre di te si spera bene, visto che affermano che sei tu la loro migliore amica. Amiche di una età adulta, uguale e precise alle amiche della adolescenza, perché come ha detto Lidia Ravera l’altra sera, questo periodo della nostra vita è La seconda Adolescenza. Amiche del cactus, La pianta grassa Questo il pezzo di anni fa La pianta grassa Al cellulare:- L’amicizia è una pianta grassa. Non ha (quasi) bisogno di acqua- mi dice la mia amica da Recanati, in gita con i suoi allievi, e continua- Sì, ho visto le tue telefonate, tranquilla, io ci sono sempre.Mi ritrovo a dover spiegare che:- Pensato avessi perso il telefonino, ho pensato che lo avessi rotto, ho pensato cheMa non l’ho detto- che del cactus io sento solo le spine.Molto probabile che siano solo spine difensive, solo spine involontarie, solo tempo che non c’è. Clara Sereni, giornalista e scrittrice, un tempo fece un tentativo. Inventò un luogo dove chi avesse avuto bisogno di compagnia, di aiuto amicale, sarebbe potuto andare. Il marito, fiducioso, pronosticò il successo. Lei era convinta del contrario e così chiarì all’ignaro e ingenuo uomo.- Vedi, tutti siamo disposti ad aiutare, vi sono infatti moltissime associazioni di volontariato in tal senso, aiutano le ragazze madri, i carcerati, i tossici, gli alcolizzati, gli ammalati, aiutare ti fa sentire forte, grande, ma nessuno è disposto a far vedere quanto lui abbia bisogno di uno sguardo, di compagnia, quanto lui sia vulnerabile. Amicizia, strana parola, rara trovarla, più rara viverla insieme. Bisogna accontentarsi che essa esista nel deserto arido del deserto Clara Sereni decise ad un certo momento di andare a vivere in una casa di riposo. Una stanza chiusa. Una stanza da dove, impercettibilmente, il mondo del fuori sparirà, senza spine,

Lamezia e non solo

e nel chiuso di un nuovo ordine ognuno ripercorrerà i sentieri dei nidi di ragno, raccontandosi storie che avrebbe voluto raccontare a quella amica, alla sua amica. Non ha bisogno di acqua l’amicizia, mi sembra la stessa frase dell’uomo che ti dice:- Sono dentro te- mentre è lontano mille miglia, con nella mano un’altra, un altro. Abbiamo tutti bisogno di acqua… senza acqua non si vive. Dirlo non è debolezza, è solo una forzaNoi non siamo cactus Etica Nicomachea 1 aprile 2011 L’Etica Nicomachea parla delle virtù. Nella giustizia ogni virtù si raccoglie in una sola. Chi la possiede la usa sia verso gli altri che verso se stessi. Libro V. Tutto un libro per la giustizia. Nei libri ottavo e nono si parla dell’amicizia Ma cosa sono le virtù? Un’attività dell’anima razionale, una scelta verso il fine ultimo, la felicità. Ecco perché le virtù etiche non si posseggono, si scelgono e in questa scelta ci fanno diversi, ci costruiamo intorno un modus, un abito, un luogo dove noi trascorreremo la nostra vita. Cosa scegliamo? In medio stat virtus. Il giusto mezzo, attraverso l’agire nel giusto mezzo si può raggiungere la felicità, perché noi siamo liberi di agire. Ogni individuo – dice lui - è libero di scegliere perché è il principio e il padre dei suoi atti come dei suoi figli. E nel libro VI dopo le virtù etiche ecco le virtù dianoetiche: la scienza - l’arte – la saggezza – l’intelligenza – la sapienza che è il grado più elevato, la somma fra scienza e intelligenza. Due libri sulla amicizia la virtù che si accompagna alle virtù. A che servono tutte le altre senza questa? A chi dico ciò che so, se non ho amici. Con chi trascorro o scelgo di trascorrere il mio tempo se non ho un amico a cui riferirmi? Telefono al telefono amico? Tutta la storia dell’uomo virtuale o pratica è basata su legami fra individui, nelle convenzioni vi è sempre questo rito

Editore: Grafichè di A. Perri

della socialità. Poi l’amicizia; un sentimento che invera tutto ciò che pensi e che fai. Simile con il suo simile. Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. Chi va con lo zoppo impara a zoppicare. Begli amici che hai! Ci si giudica dalle frequentazioni. O no? E’ sempre stato così. Aristotele lo dice meglio di noi. L’amico è una proiezione. Mi proietto in un altro, l’altro di me è l’esterno che vedo in me. Non è vero che ci sono tante forme di amicizie, una sola è l’amicizia, le altre conoscenze sono forme di socialità. L’attenzione, la condivisione, le scelte, riguardano una sfera piccola, piccolissima, ristretta, dei pochi amici che noi scegliamo. Aristotele dedica due libri dell’Etica all’amicizia, sentimento disinteressato, altrimenti si chiama opportunismo, lavoro, pranzo di lavoro, occasione sociale. Sentimento di simpatia. Chi ci obbliga ad uscire, a ridere, a parlare con un altro? Certo la cortesia, il garbo, l’educazione quando una persona non ci piace ci trattengono ma perché poi continuare a frequentare chi non sentiamo amico? Nessuno ci obbliga, l’amicizia non è un obbligo, a volte io posso essere amico tuo, ma tu puoi essere o non essere amico mio. Può essere che l’altro ti accolga, ti sorrida, ti ascolti, ma tu non sei per lui il suo amico di riferimento, ti dimostri benevolenza, ma non cerca la tua benevolenza. Non sono mai semplici le cose. Sant’Agostino nelle Confessioni dedica pagine di una commozione immensa per la morte del suo amico. Le strade che avevano percorso insieme, i discorsi, i progetti, tutto parlava di lui che non c’era più. Uno sperdimento doloroso. -Come ci siamo allontanati Che cosa triste e bella Ippolita Luzzo

pag. 11


tanti auguri

La Fabbrica di Babbo Natale

Se ne parla da sempre nelle favole, un luogo magico, irraggiungibile a noi comuni mortali perché distante e privo di strade, circondato dalla fitta boscaglia, immersa nella neve e spesso anche dalla fitta nebbia, inaccessibile a tutti eccezion fatta che per i Volontari, l’unica categoria ai quali è consentito accedere alla Fabbrica di Babbo Natale. Volontari noi siamo, e ne segue che lungo una strada trafficata della periferia Lametina, ci siamo inerpicati lungo una salita stretta e buia … a dire il vero solo ombreggiata con una scritta ad indicar la strada che testualmente ci diceva “Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate, perché qui Malgrado Tutto i Sogni si realizzano”. Per nulla intimoriti, curva a destra e curva a sinistra, dopo tanta salita siamo arrivati sulla collina “Pian del Duca” ed al centro della grande piazza ad aspettarci Lui, si proprio Lui “Babbo Natale” detto anche Raffaello Conte, il “Signore degli Anelli” se per anelli intendiamo la catena della solidarietà che lo contraddistingue. A Lui ci presentiamo come Dante e Virgilio il mio caro amico compagno di avventure, per tutti Bruno Strangis , Militare di Carriera, a riposo solo da qualche tempo. Babbo Natale non Parla, con un accenno ci saluta e con un altro ci indica la strada … La percorriamo attratti dal rumore di motoseghe e il profumo della legna appena tagliata. Improvvisamente ci troviamo circondati da Uomini ed Animali, gli uni in carne ed ossa, gli altri in legno massiccio. L’ e m o z i o ne ci avvolge nel mentre ci i m m e rg i a m o nel gregge di pecore che pascolano pazientemente tra ippopotami e coccodrilli, qui nessuno ha paura, gli uomini che scalpellano i tronchi per dar loro una anima non pag. 12

hanno per noi nè colore nè nazionalità, sono solo degli Artigiani che con abili manovre danno vita alla Fabbrica di Babbo Natale. Vien voglia di accarezzarli tutti gli animali che man mano prendono forma e si moltiplicano in questa terra del Pian del Duca, ma Bruno mi ricorda che tempo ne è rimasto poco e allora con un salto entriamo nel Laboratorio dove Seghe a Nastro, Pialle e Seghe circolari la fan da padroni, mentre altri Maestri dell’Artigianato con i colori dell’arcobaleno trasferiscono i buoni sentimenti agli animali, altri ancora si dedicano alle decorazioni di grandi alberi di Natale in metallo. E’ la Fabbrica ecologica che tutto ricicla e nulla fa pesare sulla collettività. Son quasi pronti a partire e ad ornare la nostra Città in ogni angolo di verde, in ogni piazza e in ogni strada perché a Natale si può e si

deve dare di più, e il nostro Babbo Natale ci da di più … sempre di più, grazie di Cuore “Malgrado Tutto”. Qui finisce il nostro viaggio nella Grande Fabbrica di Babbo Natale, che ho scoperto essere nel Girone della Solidarietà che come tutti sanno non può che trovarsi in Paradiso. Buon Natale a tutta Lamezia, Città talvolta ingrata e crudele, ma che a Natale antepone sempre l’Amore all’Egoismo. Ringrazio il mio caro Amico Bruno Strangis per aver condiviso questo viaggio, la Cooperativa Malgrado Tutto per l’ospitalità e la nostra Redazione che ogni mese diffonde Cultura e Informazione Formativa, Buon Natale “Lamezia e non solo”.

Editore: Grafichè di A. Perri

Lamezia e non solo


tanti auguri

“C’è poca aria di stelle...”

Buon Natale Lamezia, nonostante tutto

“C’è poca aria di stelle, qui. Alzarono il muso a guardare, e infatti non si vedeva niente, sulla città c’era un soffitto di caligine e di smog”. Le parole che concludono la “conversazione” tra l’anima del bue e l’anima dell’asinello della mangiatoia di Betlemme, fatti dialogare tra loro in uno dei racconti di Natale di Dino Buzzati tratto dall’opera “Milano nostra”, descrivono bene lo stato d’animo con cui la nostra città va verso le feste natalizie. Inutile negarlo. E’ uno stato d’animo che ha il colore grigio dello smog, l’indefinito della caligine, lo smarrimento di chi come i due protagonisti di quel dialogo immaginario di Buzzati vedono davanti agli occhi una realtà che non è quella che ci si aspettava. Anzi è l’opposto di quella che si attendeva e si sperava. La decisione del governo, di cui ancora mentre stiamo scrivendo attendiamo le motivazioni, è sicuramente la ragione principale di questo “soffitto di caligine” che copre la città, a pochi giorni dal Natale. Il Natale del “terzo scioglimento”, come purtroppo sarà ricordato il Natale 2017, oltre alle inevitabili conseguenze politiche e al drammatico danno d’immagine, porta con sé strascichi che toccano da vicino la vita quotidiana di tutti i cittadini, fino al punto da domandarsi, come in tanti si sono domandati in queste settimane: che cosa dobbiamo festeggiare? Il Natale o il cinquantesimo dalla fondazione, in una città riprecipitata per la terza volta nello stesso burrone? Se il bue e l’asinello di Buzzati, guardando da lontano la città moderna, percepivano il contrasto tra il Natale di cui erano stati protagonisti a Betlemme e il Natale moderno dell’ansia degli acquisti e dei consumi, lo sfondo della nostra città per le feste natalizie di quest’anno è quello del contrasto tra valori e principi a cui in tanti diciamo di richiamarci e una realtà gattopardesca dove non solo “tutto cambia perché nulla cambi” ma addirittura si torna inesorabilmente indietro. Appellarsi alla giustizia, alla solidarietà, al bene comune, rischia di diventare davvero “una recita di Natale”, una poesia infantile intrisa di buoni propositi, mentre ci si convince sempre più che a Lamezia si ripetano puntalmente gli stessi meccanismi, si ricada negli stessi errori, si verifichino gli stessi fatti. Buoni auspici pronti ad essere travolti da una realtà, come il meteo, “sempre stabile e tendente al peggioramento. Come festeggia allora questo Natale, Lamezia? Sicuramente togliendosi di dosso l’abito del

Lamezia e non solo

vittimismo e del complottismo e indossando quello della responsabilità. E’ troppo facile dire “non c’è niente da festeggiare...”. La rassegnazione, in questo contesto, non è da comprendere o da giustificare ma da considerare una soluzione di comodo. Si festeggia Natale facendo anzitutto i conti con se stessi, con gli uomini e le donne che siamo, con i cittadini che siamo. Si festeggia Natale rompendo il silenzio che è sempre omertà, non solo quando non si denuncia il male, ma anche quando si accettano certi meccanismi sociali deviati che sono stati sempre così e qualcuno vuole vadano sempre avanti così. A vantaggio di pochissimi, a discapito di un’intera comunità. Lamezia festeggia Natale fronteggiando “quelli che ci vogliono male” che non stanno a Catanzaro, Cosenza, Reggio, Roma... ma quasi sempre stanno tra di noi e tante volte dentro di noi. Quelli che fanno vinta di denunciare che le cose non vanno, dalle grandi infrastrutture pubbliche ai servizi, eppure di quelle stesse “cose pubbliche” ne hanno fatto o vorrebbero farne un uso privato. Per capire che sta proprio sul terreno dell’etica pubblica, di un “io” che non riesce a percepirsi come un “noi”, di un senso di cittadinanza sfilacciato e debole, la prima causa dei problemi di questa città. Ce ne saranno tanti altri, su cui non tocca a chi scrive approfondire. Ma la questione morale della città resta la vera sfida dei prossimi anni. Da qui occorre ripartire dopo questa terza e drammatica caduta. Accettare tutti, a cominciare dai più giovani, che quell’espressione tanto in voga “è normale che ognuno si veda i fatti propri...”, è la prima forma di violenza alla città e al bene comune. Dopo inesorabilmente verranno altre violenze Alla fine, e solo alla fine, viene quello che Sartre, nel suo racconto di Natale, chiama “il dovere di sperare”. “E’ Natale, è tuo dovere sperare”. Sperare non per illudersi che i problemi passino da soli o venga un capopopolo a risolverli, ma come dovere di compiere scelte di responsabilità individuali e collettive. Quelle che dobbiamo anzitutto a noi stessi e ai nostri figli. Oltre il tetto di nebbia e caligine e fumo, auguro alla mia città di rimettersi in cammino, di seguire la stella, di guardare in faccia la verità e, solo a quel punto, ricominciare a sperare. Buon Natale Lamezia

Editore: Grafichè di A. Perri

pag. 13


Spettacolo

Il mattatore Giancarlo Barbara conquista Il pubblico del Grandinetti Risate a non finire e applausi a scena aperta per il cabarettista Giancarlo Barbara che, con il suo esilarante spettacolo “Chiell’è Bill!”, ha divertito il pubblico del Teatro Grandinetti di Lamezia Terme, che non è voluto mancare al terzo appuntamento della rassegna teatrale inserita nel progetto regionale “Vacantiandu”, diretto da Nicola Morelli e Diego Ruiz, sotto la direzione amministrativa di Walter Vasta. Lo showman siciliano è stato un vero e proprio mattatore. Quasi due ore di spettacolo, incontenibile e coinvolgente, con un’unica compagna di viaggio: la sua inseparabile chitarra. L’artista infatti ha ripercorso alcuni notissimi film e tantissime canzoni di successo, interpretate in modo unico e innovativo, lasciando tutti a bocca aperta quando ha ripercorso, in appena cinque minuti, la storia del rock mondiale, in un mix di accordi, voce e mimica perfetta. Giancarlo Barbara, infatti, è sì un gettonato e seguitissimo cabarettista, reduce dalle trasmissioni “Zelig” e “Colorado”, ma è soprattutto un bravissimo musicista e cantante. Durante lo spettacolo è infatti riuscito a regalate spezzoni di tantissime canzoni, italiane e straniere, interpretate in modo impeccabile, spaziando dalle melodie napoletane agli U2 e Rolling Stones, passando da Ligabue e finendo a Prince. Uno spettacolo nello spettacolo, reso ancora più divertente quando in più occasioni il comico ha interagito con il pubblico, coinvolgendolo nel racconto delle sue storie improbabili. Simpaticissima la gag

alla sua interpretazione di Dottor House. Infine, sul palco sono saliti anche sei dei 100 ragazzi meritevoli che sono andati a teatro gratis, nell’ambito dell’iniziativa voluta dai promotori della rassegna “Vacantiandu”, che anche quest’anno hanno deciso di regalare, di volta in volta, a 100 ragazzi meritevoli delle scuole lametine gli spettacoli inseriti nella rassegna “Vacantiandu”. Anche i ragazzi si sono cimentati in una serie di scenette improvvisare, al fine, come ha spiegato il cabarettista, di stimolare la mente alla soluzione di probabili problemi. A conclusione dello spettacolo, allo showman è stata consegnata, dai direttori Nicola Morelli e Walter Vasta, la maschera di colore verde, simbolo della rassegna “Vacantiandu”, realizzata dall’artista Alessandro Cavaliere. con una coppia di sposi, che stanno insieme da 31 anni, che una volta sul palco hanno dovuto improvvisare una parodia che ha divertito tantissimo il pubblico. Tante risate anche quando sul palco il comico ha fatto salire un ragazzo, arrivato insieme ad amici direttamente da Reggio Calabria, che gli ha fatto da spalla

cell. wapp: +39 329 8044002 telefono e fax 0968.22780

genzia

& urismo

Via L. da Vinci, 59 - Lamezia Terme pag. 14

Editore: Grafichè di A. Perri

Affidati a noi per i tuoi viaggi di qualsivoglia natura Lo organizzeremo seguendo i tuoi desideri, in modo che sia un viaggio completo e sicuro Tu dovrai solo preparare i bagagli e pensare a divertirti! Lamezia e non solo


Rubrica di Antonio Saffioti totosaff@gmail.com

I DIRITTI RICONOSCIUTI DALLA CONVENZIONE ONU SUI DIRITTI DELLE PERSONE CON DISABILITÀ 13 dicembre del 2006. In quel giorno l’Assemblea delle Nazioni Unite dopo quattro anni di negoziati approva la Convenzione Internazionale dei Diritti delle Persone con disabilità. Adottata per consenso da 192 Paesi membri dell’ONU, è stata sottoscritta anche dall’Italia il 30 marzo 2007. Ratificata da diversi stati, è entrata in vigore il 3 maggio 2008, (dopo avere ricevuto il numero necessario di ratifiche, cioè 20), è stata ratificata dall’Italia con la Legge 3 marzo 2009, n. 18, ed entrata in vigore il 14 giugno 2009. La Convenzione Internazionale sui Diritti delle Persone con disabilità, definita come “il primo grande trattato sui diritti umani del XXI Secolo” sarà uno strumento di cambiamento e potrà facilitare l’elaborazione e l’adozione di politiche ed azioni che porteranno le persone con disabilità e le loro famiglie a conquistare pari opportunità e nello stesso tempo a realizzare condizioni di vita dignitose, includendole, nel senso di renderle pienamente partecipi non solo dei processi di definizione e decisione delle politiche sulla disabilità ma di tutte le questioni generali della società. Finalmente i diritti delle persone con disabilità, intesi come diritti umani, sono divenuti argomento di primo piano e le questioni inerenti la disabilità hanno acquistato rilevanza nelle politiche di tutti i Governi. Nei suoi principi ispiratori, la Convenzione quindi, non riconosce “nuovi” diritti alle persone con disabilità ma piuttosto assicura esse possano godere, negli ordinamenti degli Stati di appartenenza, degli stessi diritti riconosciuti a tutti gli altri (principio generale di pari opportunità per tutti). Rappresenta un risultato importante per tutta la comunità internazionale in quanto non esisteva prima di essa, in materia di disabilità, uno strumento internazionale vincolante per gli Stati, che lo ratificano, i quali devono garantire e tutelare i diritti umani delle persone con disabilità impegnando ogni settore e competenza istituzionale ed intervenendo con politiche, legislazioni e risorse idonee. Sottolineando che delle persone che vivono una condizione di disabilità si devono occupare l’insieme delle politiche generali e delle risorse ordinarie, inserendo i loro bisogni tra i bisogni primari di tutti per garantirne l’accesso, la fruibilità ed il sostegno alla cittadinanza piena. La Convenzione riconosce che tutte le persone sono uguali di fronte e secondo la legge ed hanno diritto, senza alcuna discriminazione, a uguale protezione e uguale beneficio della legge. Gli Stati, che la ratificano, devono proibire ogni forma di discriminazione fondata sulla disabilità e garantire alle persone con disabilità uguale ed effettiva protezione legale contro ogni forma di discriminazione diretta ed indiretta. In essa è inclusa ogni forma di discriminazione, compreso il rifiuto di un accomodamento ragionevole, cioè mettere in atto le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati, ove vi sia necessità ed in casi particolari, per assicurare alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e libertà fondamentali. Oltre a ribadire che i diritti già riconosciuti nelle altre sei Convenzioni delle Nazioni Unite appartengono anche alla persone con disabilità, introduce la tutela per diritti che possono essere riconosciuti solo a queste, quali l’accessibilità, la vita indipendente, la mobilità personale. Riconoscendo, quindi, nuove forme di tutela legale legate alla particolare natura della discriminazione e mancanza di eguaglianza di opportunità che le persone con disabilità sono costrette a subire. I diritti di cui si occupa la Convenzione possono essere raggruppati per aree tematiche: La prima area riguarda la discriminazione multipla, cioè di persone con disabilità soggette a maggiori rischi di discriminazione: donne con disabilità, art. 6 e bambini con disabilità, art. 7. Articoli che devono essere letti come strumenti legali che rafforzano la tutela di bambini e donne con disabilità in tutti gli articoli della Convenzione. La seconda area riguarda l’accesso fisico ed Universal design. Tutti gli Stati che la ratificheranno si dovranno impegnare a prendere misure appropriate per assicurare l’accesso all’ambiente fisico, ai trasporti, all’informazione e alla comunicazione, compresi i sistemi e le tecnologie di informazione e comunicazione, e ad altre attrezzature e servizi aperti o offerti al pubblico, sia nelle aree urbane che nelle aree rurali per “consentire alle persone con

Lamezia e non solo

disabilità di vivere in maniera indipendente e di partecipare pienamente a tutti gli ambiti della vita”. La terza area riguarda l’accesso ai diritti ed ai servizi sociali In essa possiamo raggruppare i seguenti articoli: “Istruzione”, l’art. 24 che impegna gli Stati Parti a riconoscere il diritto delle persone con disabilità all’istruzione, senza discriminazioni e su una base di eguaglianza di opportunità ed a fare in modo che il sistema educativo preveda la loro integrazione scolastica a tutti i livelli nel sistema educativo ordinario. La quarta area riguarda la tutela della sfera privata, cioè viene riconosciuto il diritto delle persone con disabilità ad un livello di vita adeguato per sé e per le proprie famiglie, incluse adeguate condizioni di alimentazione, vestiario e alloggio, ed il continuo miglioramento delle condizioni di vita. Gli Stati parti si impegnano a prendere misure appropriate per proteggere e promuovere l’esercizio di questo diritto senza discriminazione fondata sulla disabilità. In questa area viene compreso l’art. 23 “Rispetto del domicilio e della famiglia” nel quale viene riconosciuto alle persone con disabilità il diritto di sposarsi e fondare una famiglia”, “di decidere liberamente e responsabilmente riguardo al numero dei figli e di conservare “la loro fertilità sulla base di eguaglianza con gli altri. La quinta area comprende quegli articoli della Convenzione che giocano un ruolo essenziale per sostenere il cambiamento di approccio alla condizione delle persone con disabilità e consentire di trasformare lo stigma sociale negativo a loro attribuito. In essa anche l’art. 12 “Eguale riconoscimento di fronte alla legge” con esso la Convenzione introduce una profonda innovazione anche nel campo della tutela legale delle persone che non possono rappresentarsi da sole. Infatti vincola gli Stati Parti a tutelare in maniera eguale davanti alla legge tutte le persone ed a garantire un accompagnamento a questo diritto vincolandolo al rispetto dei diritti umani. Questo significa che ogni trattamento di persone non in grado di rappresentarsi da sole non potrà violare le norme contenute non solo della stessa Convenzione ma anche di tutta la legislazione internazionale sui diritti umani. Questo comporterà un cambiamento progressivo di servizi e trattamenti che dovranno superare per esempio pratiche di istituzionalizzazione, forme di tutela di diritti limitate ai soli patrimoni e introdurrà una nuova attenzione alla loro qualità della vita. Lo stesso vale anche per le persone che si trovano in temporanea impossibilità di rappresentarsi da sole come le persone soggette a trattamento psichiatrico obbligatorio. La sesta area d’intervento della Convenzione riguarda cooperazione internazionale ed emergenze. Con l’art. 32 “Cooperazione internazionale”gli Stati Parti dei Paesi ricchi si impegnano ad utilizzare le risorse della cooperazione internazionale per promuovere i diritti umani delle persone con disabilità, aumentando, secondo l’approccio a doppio binario (twin track approach), le risorse destinate alle persone con disabilità e inserendo il tema della disabilità in tutti i progetti e programmi di cooperazione internazionale. Inoltre con l’art. 11 gli Stati Parti dovranno assicurare la protezione e la sicurezza delle persone con disabilità in situazioni di rischio, includendo i conflitti armati, le crisi umanitarie e le catastrofi naturali. La Convenzione ONU non rappresenta un punto di arrivo, ma fa il punto della situazione attuale delle persone con disabilità di tutto il mondo e chiarisce alcuni concetti fondamentali per il miglioramento della loro vita. In un futuro non molto lontano la situazione migliorerà ulteriormente, difatti, quando concetti chiave come: progettazione universale, accomodamento ragionevole, vita indipendente, empowerment, mainstreaming, modello “biopsicosociale”, discriminazione multipla ecc. troveranno pieno riconoscimento, muterà anche l’atteggiamento verso le persone con disabilità e la società diventerà più includente. La crisi economica in atto e con essa la crisi della società attuale sempre più indifferente e diffidente verso il diverso. ci suggeriscono di mettere i piedi per terra e di rimanere vigili affinché le conquiste ottenute grazie al movimento delle persone con disabilità e alla Convenzione in futuro non vengano intaccate.

Editore: Grafichè di A. Perri

pag. 15


La nostra storia

Omelia di monsignor Vittorio Moietta la sera del 10 ottobre 1962

Mercoledì 11 dello scorso mese di ottobre, la Chiesa cattolica ha ricordato il 55mo anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II. In relazione a quel lontano avvenimento, ho pensato di pubblicare un documento eccezionale, esclusivo. Si tratta dell’omelìa che mons. Vittorio Moietta, il grande Vescovo casalese della diocesi lametina dal 25 aprile 1961 al 1° aprile 1963, pronunciò, parlando a braccio, durante la messa celebrata la sera del 10 ottobre 1962; la sera cioè della sua partenza per Roma dove, il giorno seguente, avrebbe partecipato alla storica Assise cattolica indetta da Papa Giovanni XXII, che si sarebbe aperta la mattina successiva, 11 ottobre, appunto. Quella sera, la Chiesa cattedrale era stracolma di gente, credente e non, come mai era successo in altre occasioni, durante una manifestazione religiosa. Al termine della messa, un fiume enorme di persone, che avevano ascoltato nel più assoluto silenzio il Vescovo, lo accompagnarono in processione, cantando inni religiosi ed osannando al Presule, dalla Cattedrale fino alla stazione ferroviaria di Nicastro da dove il Vescovo, in treno, partì per Roma, diretto in Vaticano. Io sono venuto in possesso, anni fa, della registrazione dell’omelìa; ne ho sbobinata la cassetta e, pazientemente, riscritto il contenuto. Ne è valsa la pena perché le parole di mons. Moietta costituiscono un documento di valore inestimabile, di una intensità emotiva e di una bellezza spirituale e religiosa difficilmente riscontrabili nelle sollecitazioni e raccomandazioni che il Pastore di un popolo rivolge alla sua gente nel momento in cui sta per allontanarsi da essa e lasciarla, seppure momentaneamente.

Tutti, infatti, pensavamo, durante quella indimenticabile serata, che l’assenza del Vescovo dalla sua città, dalla sua diocesi, sarebbe stata di breve durata; invece, una malattia crudele ed ingiusta, la rese definitiva. Il 1° aprile del 1963, meno di sei mese dopo dallo storico avvenimento cui mi riferisco, mons. Vittorio Moietta sarebbe morto. Il grande Presule casalese è rimasto comunque nella mente e nel cuore di coloro che lo hanno conosciuto ed amato, ne hanno apprezzato le sue grandi doti pastorali, il suo immenso carisma, e continuano a ricordarlo fino a che avranno respiro e vita. Voglio ricordare, per inciso, che il Grande Casalese, oltre ad innescare, con la sua intensa attività pastorale, una “rivoluzione” di carattere religioso e spirituale nella nostra diocesi, si era interessato anche alle sorti economiche delle nostre contrade riflettendo sulle condizioni di sottosviluppo delle nostre città e diocesi. Si era messo in contatto, infatti, con dei suoi amici imprenditori settentrionali, lombardi se non ricordo male, per ragionare insieme se non sarebbe stato possibile investire qui da noi per innescarvi un processo di sviluppo economico/sociale... La morte mise fine anche a questi ulteriori sogni. Mi piace ricordarlo, rendergli omaggio ed essere testimone del suo immenso amore per la nostra città, proprio nell’imminenza del 50esimo anniversario della creazione di Lamezia Terme di cui Lui, con sguardo lungo e spirito profetico, ne aveva, in più di una occasione, delineato, abbozzato l’idea.

L’OMELIA DI MONS. VITTORIO MOIETTA <<Prendo congedo da voi questa sera. Nella mia vita ho già vissuto dei momenti di grandissima, intensa gioia e dei Per essere degli apostoli più vivi e sinceri. Per momenti di viva sofferenza. Però vi dico al avere un mordente che realmente avvicini l’acospetto del Signore, il momento che sto vi- nima di questo popolo, di questa umanità del vendo è tra i più grandi, è tra i più vivi, è tra i secolo ventesimo. E’ veramente una grande più emozionanti. gloria. Avvenimento secolare. Io sento vibrante nel mio cuore e nella mia carne questo avSento tutta la responsabilità di prendere parte venimento. a questa grande assise e divina assemblea del C’è però una tristezza. Vi assicuro che è molto Concilio. Sento tutta la responsabilità di dover viva. La tristezza di lasciarvi. Per me partire anch’io come tutti gli altri vescovi interpretare è sempre un motivo di solitudine. Lontano la volontà di Dio ed essere veicolo della voce da voi mi sento solo, solo. E so che anche a e dell’infallibilità dello Spirito Santo. Sento anch’io la responsabilità di dare al mondo quelle decisioni che il mondo attende. Pregate per me, o figliuoli, affinchè io sia un vetro terso e trasparente. Affinchè realmente la voce di Dio possa passare integra e la mia umanità non abbia a fermare o a falsare il raggio dello Spirito Santo.

Sento anche la gloria di prendere parte alla più grande Assemblea del mondo. Ci raduneremo. Siamo quasi tremila. Siamo uniti. Non discuteremo per dividerci. Non saremo agitati da passioni umane. Non cercheremo trionfi umani. Sentiremo nel cuore una sola passione. Quella di far sì che Cristo giunga facilmente al nostro cuore. La più grande Assemblea del mondo. Porteremo tutti, noi Vescovi, le nostre esperienze, le nostre ansie. Le metteremo in comune. Chiederemo a Dio che ci dica come potremo fare per essere più suoi. Per essere più santi noi.

pag. 16

Roma, tra una turba così grande di Padri io mi sentirò solo. Perché sento che il mio cuore lo lascio qui con voi. Questa solitudine sarà per me la lampada, l’olio della lampada, che alimenterà il mio amore per voi. Vi sentirò vicini ogni giorno sull’altare. Sentirò vicino a me, soprattutto, voi sacerdoti. Mi impegno di richiamare ogni giorno la vostra missione e il vostro nome e s’è possibile anche il vostro volto affinchè il vostro volto resti per me sempre familiare, come il volto dei figli, come il volto delle persone amate. Ricorderò voi, i vostri bambini, e mi sembra di essere il padre che cammina per le vostre strade. Continuiamo a volerci bene nel nome di Dio. Continuiamo a costituire quella famiglia stretta da vincoli forti e teneri, i vincoli dell’amore. Quei vincoli che hanno costituito la famiglia della diocesi. Continuiamo a vivere così. Ho gradito le promesse che mons. Maiolo, il vicario generale, ha deposto qui, a nome dei sacerdoti e a nome di tutti. Le ho gradite e le ho reputate promesse sincere. E conto su questo promesse. Conto veramente, venerati sacerdoti, sulla vostra attività. Ho cercato di essere in questo anno il motore che corre, il motore che spinge e con l’amore infiamma e dà energia. Benchè assente, io spero che voi continuerete a compiere la vostra missione con sincerità, con sforzo, degni del momento che la Chiesa vive e degni dell’attesa che l’umanità intera porta nel cuore. Ho detto altrove che il nostro anno è un anno santo. E’ l’anno del Concilio. Sentiamo tutti

Editore: Grafichè di A. Perri

Lamezia e non solo


che questa primavera travolge anche noi. Questa primavera dello spirito, questa primavera della Chiesa è una primavera che incomincia a dare frutti già oggi, non domani. E’ una primavera che fa sentire a noi la responsabilità di vivere questa grande ora. Perciò, figliuoli, la nostra diocesi vivrà un anno santo. Vivrà un anno grande, un anno di apostolato, un anno di energia, un anno di iniziative, un anno di unità, un anno che anticipa i frutti del nostro Concilio. Che il Signore davvero, figliuoli, vi benedica. Io parto, dicevo ieri sera, non come cittadino privato, come una persona privata. Io parto come il capo della diocesi nicastrese. E io sento che porto con me la diocesi nicastrese. Io sento che porto con me l’atto di fede di tutti i cattolici della mia diocesi e sento che anch’io, nella grande unità della Chiesa cattolica, porto la mia Chiesa, la Chiesa che Dio mi ha dato, della Chiesa nicastrese. Stringetevi al mio cuore. Deponete davanti all’altare la vostra fede e il vostro omaggio alla Chiesa perché lo possa prendere e possa dire ai piedi di San Pietro: “la mia Chiesa è qui. L’unità della Chiesa si consuma qui, perché io tutti i miei fratelli li porto qui. Nessuno s’è staccato. Nessuno s’è perduto. Quelli che mi hai dato, Signore, eccoli qui davanti al trono del tuo Rappresentante. Eccoli qui consumati nella unità.” Sono questi i sentimenti vivi e veramente meravigliosi, veramente potenti e impressionanti che agitano veramente il mio cuore in questo momento. Vi benedico, figliuoli. Però prima leveremo la voce come un grido, il canto del “Veni Cre-

nello spirito. Darete a me tutti i vostri cuori. Il mio viaggio è il vostro viaggio. Il mio pellegrinaggio sarà il vostro pellegrinaggio. La mia fede è la vostra fede. Il mio credo sarà il vostro credo. Figliuoli, ci vedremo quando il Santo Padre ci darà la libertà di tornare alla nostra sede. Ci rivedremo e saremo altrettanto sereni, più ancora. Vorrà dire più buoni ancora perché saremo rimasti a contatto con lo Spirito di Dio, a contatto col Signore.

ator”. Il protagonista del Concilio non siamo noi. Dicevo prima il vetro terso che riceve il raggio e lo concentra. Ma lo Spirito Santo è il Protagonista della Grande Assemblea. Noi dipenderemo da Lui. Noi chiederemo a Lui, ogni giorno, che ci metta sulle labbra la parola divina, la parola eterna, la parola dell’infallibilità. Preghiamo lo Spirito Santo affinchè realmente con i suoi doni illumini. santifichi ed infiammi. Poi vi benedirò. Veramente un padre che dal profondo dell’anima leva il suo grido e la sua invocazione a Dio affinchè sorrida a voi, affinchè sostenga voi, affinchè santifichi tutti voi. E poi partirò. Mi dirigerò alla stazione. Partirete tutti

Buon lavoro, o figliuoli. Forza nelle vostre croci. Spirito di fiducia nei sacrifici vostri. Grande serenità, grande attesa per quello che lo Spirito di Dio detterà ai Padri e grande spirito di volontà e di docilità per accettare di vivere e per combattere la battaglia che la Chiesa additerà a voi. Ecco, il vostro vescovo che parte vi dà la sua benedizione. Ve la dà in nome della Chiesa alla quale abbiamo aderito perché siamo figli suoi. Ve la dà come il vostro, il vostro vescovo. Il vostro Vescovo che vi ama e vi sente parte della sua anima e della sua vita. Ve la do’ affinchè la mia lontananza non raffreddi i vincoli d’amore tra di noi. Ve la do’ affinchè il Concilio sia per tutti, in quest’anno, una spinta all’apostolato e alla bontà. Benedico in modo particolare i sacerdoti e benedico anche, in modo particolare, con grande affetto, tutti i soci dell’Azione cattolica. I miei collaboratori, i miei figliuoli prediletti. Che lo spirito del Signore aleggi qui, come aleggerà sopra il Concilio Ecumenico.>>

Satirellando

A volte, osservo, intorno a me, un cosiddetto fare femminile, in cui, per il solo e semplice fatto di essere donna, sinceramente, non mi riconosco affatto! E, allora, corro a satirellare… COMUNELLA

Sono cara, sono bella,

faccio grande “comunella”, parlo sempre “sottobanco”,

sono leader del mio “branco”! Star in allerta, ognor mi cale,

niente riposo: neppur a Natale! Forte son, con tanti altri:

quelli giusti, quelli scaltri, ma, da sola, sono zero,

tremo pur davanti a un pero, ad un melo, ad un castagno:

Lamezia e non solo

Comunella

se c’è acqua, faccio un bagno e sparisco dalla vista

se non posso stare in pista, zitta pur per alcunché

con chi conta più di me! Or sentitela parlare:

ogni folla sa agitare,

basta accanto, a lei, ci sia chi le indichi la via

pur per fare foto in posa

ed a chieder “quote rosa”!

Ha bisogno delle “grucce”

Editore: Grafichè di A. Perri

come tante “femminucce”:

che han marito, oppur papà, a proteggerla qua e là!

Fermamente, invece, credo serva ben altro corredo per una verace donna,

oltre al trucco ed alla gonna: non aver solo un bel viso

o dei “santi in Paradiso”, ma un’autentica beltà,

senza combutte, con lealtà!

pag. 17


Sport

LA ROYAL TEAM LAMEZIA Splendida Capolista Marcia inarrestabile della squadra di Ragona cresciuta dopo lo stop di Rionero Nel numero di Lameziaenonsolo di novembre avevamo lasciato la Royal seconda dopo 5 gare. Ora (siamo al 2 dicembre) che di partite la squadra lametina ne ha giocate dieci, eccola splendida capolista con vantaggi cospicui sulle immediate inseguitrici. Ma andiamo con ordine. La Royal vince consecutivamente da sette gare: Martina, Palermo, Ottaviano, Vittoria, Taranto, Reggio e Salernitana. Una marcia inarrestabile quella della squadra dei presidenti Mazzocca e Vetromilo, iniziata dopo il k.o. di Rionero. Una gara, come abbiamo già scritto, che segna lo spartiacque per la stagione della Royal, cresciuta tanto ed in fretta dopo quella brutta sconfitta. Già raccontato nel precedente numero delle prime due vittorie della serie (contro Martina e Palermo), la squadra di mister Ragona ha messo in fila altre cinque exploit, al termine di gare combattute e agonisticamente elevate, ma soprattutto ha denotato un generale e complessivo miglioramento di squadra. A proposito della quale c’è da aprire una parentesi: per motivazioni varie non fanno più parte della Royal, da circa un mese: Marrazzo, Mirafiore, Fucile, Pota e Bagnato. A inizio dicembre la Royal ha provveduto ad iniziare a reintegrare l’organico con gli arrivi del portiere Greta Guerra e del laterale Imma Sabatino. Si diceva delle vittorie: la terza di fila è stata quella contro Ottaviano in casa (7-5), con tripletta di Losurdo e doppiette per Primavera e Ierardi. Quindi trasferta da tre punti a Vittoria per 6-2 con gol di Primavera (che nella sua città ha pure indossato la fascia di capitano e aperto le marcature), Fragola e doppiette per Losurdo e Linza. Poi il netto 6-0 al Taranto con reti di Fragola, De Sarro e doppiette di Losurdo e Primavera, le cecchine infallibili. Ed eccoci al sofferto exploit di Reggio Calabria, vincendo per 3-1 (gol di Primavera, Losurdo e Ierardi) e colpendo 5 legni. Quindi dulcis in fundo la strepitosa rimonta da 0-2 contro Salernitana, nel match in anticipo del 2 dicembre in un PalaSparti che presentava un eccezionale colpo d’occhio e quasi un migliaio di spettatori festanti.

Royal è iniziata a fine primo tempo grazie a Samanta Fragola con un preciso calcio di punizione. Quindi Ierardi ha pareggiato le sorti ed infine ancora Fragola con un preciso rigore (per fallo sulla brava De Sarro) ha chiuso la contesa per 3-2 che, a molti, ha ricordato l’analoga eccezionale rimonta della scorsa stagione col Real Sandos (da 0-3 a 4-3). Nella classifica bomber guida Losurdo con 15, Primavera 12, quindi Linza 6, De Sarro e Ierardi 5 e Fragola 4. Insomma siamo a quasi fine girone di andata e la Royal, da ormai quattro gare, guida la classifica con autorevolezza e dopo un riassestamento della rosa, come dicevamo in apertura. Ciò va a merito ovviamente delle calcettiste lametine, ma anche a chi le guida con sapienza ed abnegazione. Ci riferiamo al tecnico Mauro Raffaele Ragona. Alla prima esperienza al femminile, il tecnico della provincia reggina sta dimostrando il proprio valore. Dopo l’exploit di Vittoria, dove ammirammo una Royal spettacolare dopo il momentaneo pareggio (1-1) siciliano, con calcio champagne e gioco di prima, ci disse candidamente su questi quasi tre mesi di sua permanenza alla Royal: “All’inizio non è stato facile perché comunque c’erano varie situazioni da sistemare, però ora remiamo tutti nella stessa direzione. Sono felicissimo perché la squadra mi segue perfettamente e perché poi porta in campo quello che proviamo”. E ancora, individuando un’altra chiave vincente. “Il pubblico. Dimmi quante squadre hanno dai 700 ai mille spettatori in ogni gara interna. Lo dissi anche tempo fa – continua Ragona -, quello lametino è un pubblico incredibile. E dopo la vittoria con Salerno dico che la Royal ha il più bel pubblico della Serie A: Pescara, Montesilvano e le altre se vengono qua possono solo ammirare il nostro spettacolo sugli spalti. Insomma un pubblico non da Serie A ma da Elite”. Ora ci sarà la sosta del 10 dicembre, quindi il girone di andata si chiuderà a Napoli (sette giorni dopo e senza le squalificate Losurdo e Linza), attualmente terza a -7, prima c’è Martina a -6, quindi la Royal con 27 punti in dieci gare giocate. “A Napoli saremo senza Losurdo e Linza – chiude Ragona – ma sono assenze che avevamo anche nella ripresa contro Salerno, ripartiremo da lì. Vorrà dire che chi è a disposizione giocherà di più senza fare drammi, perché dobbiamo dare importanza a quelle che ci saranno e renderle protagoniste”.

La rimonta della pag. 18

Editore: Grafichè di A. Perri

Lamezia e non solo


Sport

VOLLEY FEMMINILE

COFER LAMEZIA: ANDIAMO A COMANDARE! La vetta solitaria é stata conquistata! Alla quarta giornata di campionato la Cofer Lamezia si è isolata in testa alla classifica staccando le più accreditate avversarie per la lotta al vertice della graduatoria. Dopo 13 anni la compagine lametina è ritornata al comando del proprio girone di serie B2 (nel frattempo tante gioie, nei campionati minori, e dolori, nei campionati maggiori) e speriamo che questa circostanza sia di buon auspicio per bissare il risultato di quel campionato trionfale 2004-05 chiuso con lo zero nella seconda casella. Certo le condizioni ora sono diverse ed è impensabile quel ruolino di marcia ma il risultato finale, potrebbe e dovrebbe essere il medesimo. Quello attuale è un torneo dove almeno cinque/sei squadre sono state costruite per il salto di categoria e, con la crisi della serie B1 dove, tra Calabria e Sicilia, sono presenti solo due squadre con organici nemmeno paragonabili alla serie direttamente inferiore, ecco che il livello è cresciuto tantissimo con queste squadre nettamente di categoria superiore rispetto al resto del lotto. Tante giocatrici di categoria superiore in queste squadre, così come la stessa Cofer, che sognano la leadership finale del torneo negli ultimi anni sempre in mano alle squadre siciliane. Per trovare una vittoria nel girone meridionale di una squadra calabrese dobbiamo tornare indietro al 2006/07 quando un’altra squadra lametina guardò tutti dall’alto in basso al termine del torneo. Prima del trionfale 2004/5 fu il Cutro a centrare l’obiettivo nel 2002/03 e, caso strano ma vero, a guidare queste tre squadre c’era sempre lo stesso allenatore. Tutte le altre promozioni in questo lasso di tempo per le squadre calabresi sono arrivate, o tramite i play-off o tramite i ripescaggi perché Lamezia e non solo

nessuna, da Soverato a Palmi o Rossano è riuscita nell’impresa. Un percorso da grande squadra finora quello delle lametine che, come succede in questi casi, pur non brillando al massimo per il gioco sono riuscite ad ottenere quello che si erano prefissate. Punti su punti, gara dopo gara, in casa ed in trasferta. Solidità di gruppo e concretezza le armi in più delle biancoverdi che, comunque, possono contare su delle doti tecniche ed atletiche non indifferenti e siamo ancora ben lontani dal top, considerando che ancora la squadra andrebbe completata e, la stessa, è stata cambiata per più di metà delle componenti. Il roster della Cofer dovrebbe essere completato nel mese di dicembre allorquando, come succede da un po’ di anni a questa parte, si apre una vera e propria sessione di mercato, anche se lo stesso è sempre aperto fino a quasi la fine di gennaio, con squadre che cambiano completamente volto sia in positivo che in negativo, perché non sempre le premesse, o promesse, vengono mantenute con l’inserimento in gruppo di nuovi elementi. Qualche cambio in più o pari titolare se vogliamo, comunque, non guasterebbe alla causa di mister Eliseo che, da parte sua, prende atto del materiale che ha in mano e cerca di sfruttarlo al massimo con “aggiustamenti” tecnico-tattici anche inusuali. Il DS, Demetrio De Benedetto, sostenuto passo passo dallo Sponsor Cofer, nella persona di Antonio Ferraro, si sta spendendo al massimo per dare al coach una squadra completa in ogni reparto che possa arrivare fino in fondo con il sorriso. I contatti sono in corso d’opera ed il regalo di Natale siamo sicuri che non mancherà.

Editore: Grafichè di A. Perri

pag. 19


Grafologia

Il dono di Thot, la scrittura “Ho udito dunque che nei pressi di Naucrati d’Egitto c’era uno degli antichi dèi locali, di nome Theuth , al quale appartiene anche l’uccello sacro chiamato Ibis. Fu appunto questo dio a inventare il numero e il calcolo, la geometria e l’astronomia e, ancora, il gioco del tavoliere e quello dei dadi, e specialmente la scrittura. Regnava a quel tempo su tutto l’Egitto Thamus , che risiedeva nella grande città dell’Alto Egitto che i greci chiamano Tebe e il cui dio chiamano Ammone. Recatosi dal re, Theuth gli mostrò le sue arti e disse che bisognava diffonderle fra gli altri Egizi. Quello allora gli domandò quale utilità avesse ciascuna, e mentre Theuth gliela spiegava, il re criticava una cosa, ne lodava un’altra, a seconda che gli paresse detta bene o male. Si dice che Thamus abbia espresso a Theuth molte osservazioni sia pro che contro ciascuna arte, ma riferirle sarebbe troppo lungo. Allorché venne alla scrittura, Theuth disse: ‘Questa conoscenza, o re, renderà gli egizi più sapienti e più capaci di ricordare: è stata infatti trovata come medicina per la memoria e per la sapienza’. Ma quello rispose: ‘Ingegnosissimo Theuth, c’è chi è capace di dar vita alle arti, e chi invece di giudicare quale danno e quale vantaggio comportano per chi se ne servirà. E ora tu, che sei il padre della scrittura, per benevolenza hai detto il contrario di ciò che essa è in grado di fare. Questa infatti, produrrà dimenticanza nelle anime di coloro che l’avranno imparata, perché non fa esercitare la memoria. Infatti, facendo affidamento sulla scrittura, essi trarranno i ricordi dall’esterno, da segni estranei, e non dall’interno, da se stessi . Dunque, non hai inventato una medicina per la memoria, ma per richiamare alla memoria ai discepoli tu procuri una parvenza di sapienza, non la sapienza vera: divenuti, infatti, grazie a te, ascoltatori di molte cose senza bisogno di insegnamento, crederanno di essere molto dotti, mentre saranno per lo più ignoranti, e difficili da trattare, essendo diventati saccenti invece che sapienti.” (Fedro, 274 d- – 275 b). L’introduzione della scrittura nelle società civili viene attribuita, nella maggior parte dei miti, all’intervento di un dio. La scrittura entra sia nell’ambito dell’espediente tecnico sia in quello della scienza, fondate, entrambe, sulla sapienza. Ma mentre il dio possiede la sapienza, l’uomo deve accontentarsi di amarla, e spesso accade che “l’amore non si accontenta della mera contemplazione, ma vuole il possesso della cosa amata” . Eros, il figlio di Povertà ed Espediente, non è un dio, ma è un “daimon”, un essere sospeso tra cielo e terra, un demone dell’amore, diverso dagli esseri bruti che abitano la terra, ma, nello stesso tempo troppo lontano dalla perfezione divina. Eros vuole la perfezione che non possiede, come sua madre Povertà, e per supplire a questa mancanza, cerca di utilizzare le tecniche, gli espedienti. Uno di questi espedienti è la scrittura, la quale rende l’uomo simile al Demiurgo che trasforma il Chaos in Cosmo attraverso l’utilizzo di un numero finito di segni grafici, costituendo infine, l’universo ordinato. Anche Platone, nel passo del Fedro su citato, ricorda il mito della nascita della scrittura ad opera di un dio, e nel far ciò aggiunge il rimprovero rivolto da Socrate a Fedro e a tutti gli altri giovani ateniesi troppo fiduciosi nelle tecniche del linguaggio scritto. Socrate, infatti, è “il filosofo che non affida il proprio insegnamento alla scrittura”, rimanda a quel tempo in cui la Sapienza abitava fra gli uomini; il tempo in cui questo nostro mondo era soffuso di quel silenzio che solo consente al mito di essere ascoltato e in cui la parola divina era affidata allo stormire delle fronde, alla risacca delle onde, al gorgoglio di una fonte…segni dell’ineffabile, simboli, richiami, evocazioni della ineludibile coincidenza fra la vita e la divinità” . Platone dà una definizione ambigua e contraddittoria dell’arte della scrittura, infatti vediamo nel Fedro che essa è una tecnica illusoria, inganno, strumento fuorviante. La storia di Thot è “il simbolo di un’idea: lo scritto uccide nel pensiero l’attività viva della memoria” . La scrittura supplisce alla pigrizia della memoria, è un aiuto esterno che ci disabitua allo sforzo. Il progresso dell’istruzione è dovuto ad una cultura adatta a chi deve riceverla e che presuppone un rapporto diretto di quest’ultimo con il maestro che gliela impartisce. La scrittura, di contro, non asseconda questo progresso, crea l’illusione di un sapere facilmente acquisito e che dunque per questo, con delle fondamenta non sufficientemente solide. Platone giudica con severità anche la pittura, ritenendola un inganno visivo che ci fornisce la fallace apparenza della realtà viva. Le figure rappresentate dalla pittura non sono vive, in realtà la pittura rappresenta davanti i nostri occhi una vita morta, le figure, nel momento in cui vengono interrogate restano immobili e silenziose. La stessa sorte tocca alla scrittura: crediamo di trovarvi un pensiero vivo, in realtà una volta interrogata, la

pag. 20

scrittura si ripete o tace; la scrittura è incapace di discernere a chi deve rivolgersi e a chi no, dunque può capitare nelle mani di chiunque. Per concludere, nel momento in cui viene attaccato, lo scritto non può difendersi da solo, “… c’è un aspetto strano che in verità accomuna scrittura e pittura. – afferma Socrate nel Fedro – le immagini dipinte ti stanno davanti come se fossero vive, ma se chiedi loro qualcosa, tacciono solennemente. Lo stesso vale anche per i discorsi: potresti avere l’impressione che essi parlino, quasi abbiano la capacità di pensare, ma se chiedi loro qualcuno dei concetti che hanno espresso, con l’intenzione di comprenderlo, essi danno una sola risposta e sempre la stessa. Una volta che sia stato scritto poi, ogni discorso circola ovunque, allo stesso modo fra gli intenditori, come pure fra coloro con i quali non ha nulla a che fare, e non sa a chi deve parlare e a chi no. E se è maltrattato e offeso a torto, ha sempre bisogno dell’aiuto dell’autore, perché non è capace né di difendersi né di aiutarsi da solo” (Fedro, 275 e). Il contrario avviene con la parola viva. La parentela tra parola viva e scrittura e il comune nome di “discorso” con cui entrambe vengono designate possono confonderci, “ma lo scritto è il figlio bastardo del pensiero” . La scrittura è un passatempo passeggero del pensiero che occasionalmente si diletta con esso. Ma non sempre è così, spesso il libro è un mezzo per ricordare, infatti vediamo, nelle ultime opere di Platone, degli scritti upomnematici , destinati, cioè, a ricordare agli allievi alcune lezioni di scuola. E questa interpretazione potrebbe essere estese anche ad altre opere come il Fedone. Indubbiamente la maggior parte delle opere di Platone ricordava all’autore l’occasione in cui erano state scritte, dunque costituiscono anche testimonianze dell’attività produttrice del suo pensiero di cui si rallegrerà durante la sua vecchiaia “… ma i giardini della scrittura, a quanto sembra, li seminerà e li scriverà per divertimento. E quando li scriverà sarà per fare tesoro di ricordi sia per sé, qualora giunga alla vecchiaia, età della smemoratezza, sia per chiunque seguirà le sue stesse orme…” (Fedro, 276 d). Ma se ci limitiamo alla prospettiva esposta nel Fedro, il dono di Thot assume la forma di uno dei più perfidi benefici donati dal dio, un qualcosa che frena l’ambizione umana di raggiungere il limite che li separa dagli dei per essere essi stessi dei. Infatti, gli uomini, impadronitisi della scrittura, credono di poter aumentare le proprie capacità fino a diventare simili agli immortali, mentre è proprio tramite la scrittura che essi perdono quel sottile filo che li legava alla divinità: la verità del sapere è sostituita con la mera apparenza del conoscere. Diversamente, nel Timeo Platone si chiede come funziona il principio di ordinamento, cioè come il Chaos si trasforma in cosmo. Il principio è il Logos, il Verbo, la parola ordinatrice che utilizza le stesse tecniche della scrittura: quest’ultima prende dei segni grafici e li utilizza quali lettere dell’alfabeto; si mettono insieme delle serie finite di lettere con cui si formano delle parole, con queste parole si costruiscono delle frasi che messe insieme, costituiscono i discorsi. La stessa tecnica utilizza il Demiurgo, utilizzando come segni grafici due sole figure geometriche, il triangolo rettangolo scaleno e il triangolo rettangolo isoscele. Quindi due sole lettere dell’alfabeto, con cui, secondo Platone, l’Intelletto del Dio Ordinatore mise ordine nel Chaos. Maria Gabriella Sanvito - Grafologa Consulente tecnico grafologico giudiziario - perizia su scrittura Gabriellasanvito74@gmail.com

Emporio situato sul delta del Nilo. Cfr. Erodoto II, 179. Divinità che gli Egizi definivano “scriba degli dèi” o anche “scrittore di verità” e che i Greci identificavano con Ermes, chiamando Ermopoli la città egizia consacrata al suo culto. In qualità di dio-inventore, Theuth è citato anche nel Filebo (18b). Questo re viene associato al dio egizio Ammone. In questo passo Platone, in modo formale, sembra distinguere nettamente il re dal dio, anche se poco più avanti le parole pronunciate da Thamus sono definite “oracolo di Ammone”, il che, se non identifica le due figure, le collega in modo stretto. E’ noto che per Platone conoscere è ricordare, cioè risvegliare nell’anima il ricordo di ciò che essa ha contemplato nella sua esistenza extracorporea. Gli antichi leggevano a voce alta. J. G. Février, Storia della scrittura, p. 9. Ivi, p. 7. Platone, Fedro, a cura di Monica Tondelli, Prefazione di Leon Robin p.XXXI. Ivi, p. XXXII

Editore: Grafichè di A. Perri

Lamezia e non solo


La parola alla Farmacista esperta in cosmetologia

Le Labbra in primo piano Le labbra sono sempre al centro dell’attenzione e da sempre sinonimo di sensualità e bellezza femminile. Insieme agli occhi, sono il punto focale del viso, danno espressione a stati d’animo e comunicano le emozioni. Sono lo specchio del nostro umore e della nostra personalità. Valorizzare la bocca, enfatizzando il colore delle labbra o correggendone la forma, è stato fin dai tempi delle prime civiltà il mezzo adottato dalle donne per sedurre e trasmettere segnali di fascino. Al giorno d’oggi il trucco delle labbra è anche soprattutto protezione e

ferenti: · CAUSE AMBIENTALI: vento, sole, aria condizionata; · PATOLOGIE: dermatite atopica, ittiosi, carenza di vitamina B e vitamina C; · ESPOSIZIONE AL FUMO DI SIGARETTA e DISIDRATAZIONE · ERRATE ABITUDINI: ad esempio dormire in posizione prona favorisce il gocciolamento della saliva e la comparsa di taglietti agli angoli della bocca. Le labbra quindi rappresentano una zona fragile che richiede nutrimento e che necessita di un’attenzione particolare. Per evitare che diventino secche e screpolate, dobbiamo garantire alle nostre labbra delicatezza e protezione. Esistono varie formulazioni cosmetiche per la loro cura e la loro bellezza:

trattamento, oltre che nota di moda ed eleganza. Curare e truccare le labbra non ha limiti d’età ed esistono accorgimenti che è importante tenere in considerazione per averle sempre in perfetta salute. La pelle delle labbra ha un struttura molto diversa da quella del resto del viso. Ha un aspetto più morbido, un delicato color rosa a causa dei vasi sanguigni ben visibili ed è particolarmente sensibile in virtù dell’alto numero di terminazioni presenti. Inoltre, non essendo provvista di ghiandole sebacee, la pelle è più secca e, non avendo melanociti, le labbra non sono protette dai raggi UV e sono sottoposte a disidratazione. Le cause che provocano irritazioni alle labbra rendendole secche, screpolate, estremamente fragili, sono molte e difLamezia e non solo

1) BURROCACAO: la denominazione è ormai entrata nel lessico comune intendendo con tale vocabolo il prodotto ammorbidente, emolliente e protettivo usato come rimedio d’emergenza alle labbra disidratate e screpolate. In origine conteneva solo il burro estratto dalle fave di cacao (INCI Theobroma Cacao butter), oggi viene utilizzato questo nome nei cosmetici anche se alle volte il burro non è presente in etichetta. In questi casi è tecnicamente più corretto utilizzare il termine “balsamo labbra”, un lipogel formulato con vitamine e burro di Karitè che svolge un’azione protettiva ed emolliente.

vasetto o in versione fluida confezionata in flaconetta, dotata di asticciola con applicatore a pennello o a spugnetta in materiale sintetico. 3) ROSSETTO: è il cosmetico più amato ed usato dalle donne che serve ad esaltare forma e colore delle labbra mettendole in primo piano. In configurazione classica, il rossetto è realizzato in fusione lipo-cerosa colata in stick. Si formula mescolando dosi precise di cere (jojoba, candelilla), grassi e burri nei quali sono dispersi conservanti, antiossidanti e additivi. Le cere conferiscono rigidità, struttura e resistenza al calore, mentre i burri aggiungono spalmabilità, gradevolezza e protezione. Un buon rossetto deve fornire idratazione, protezione solare e resistenza all’acqua. Ulteriori requisiti molto importanti sono la facilità di stesura e la gradevolezza dell’aroma. E allora curiamo le nostre labbra perché sono proprio le labbra a regalarci i sorrisi più belli. Ludovica Liparota, Dottoressa in Farmacia Presta servizio presso Farmacia Mallamo Ha frequentato il prestigioso Master II livello (teorico e pratico) in “Scienze Cosmetologiche “ presso Università di Pavia

2) LIP GLOSS (lucidalabbra): è una formulazione con una texture fluida, leggera e trasparente che dona alle labbra un effetto lucido e svolge un’azione idratante. Si realizza in stick, in fusione cerosa colata in Editore: Grafichè di A. Perri

pag. 21


Cari lettori,

vi consiglio (ammesso che consigli vogliate accettare) di leggere questo bel libro, sul far del Natale. Si è, infatti, nella giusta, velata, prodigiosa atmosfera, per perdersi, ritrovandosi, e per non smarrirsi più… IL PAESE DEI PAZZI (… TRA MITI E LEGGENDE DEL SUO POPOLO ANTICO), del prof. PINO VITALIANO, Editrice Monte Covello, è un volume che non può mancare nella vostra personale biblioteca. Poi mi direte.

La lettera all’autore è… quasi d’obbligo. Come ho fatto, nel recensire il precedente suo volume (I RICORDI DI UN ULISSIDE, recensione apparsa, mesi fa, sempre su LAMEZIA E NON SOLO).

Caro Pino Vitaliano,

ho sognato, attraverso i tuoi libri, narrati con quella che definisco prosa poetica, completamente diversa dal moderno prosare, senza narrare. La tua prosa, invece, narra, eccome: affabula, crea. Crea personaggi, luoghi, crepitii, sontuose e semplici atmosfere, magìe alate senza àncore, piccoli luoghi mai angusti. Perché non è angusto il tuo raccontare, né il tuo ripotare alla luce ricordi, sensazioni, riflessioni o pezzi di vita: anzi, il tutto è illuminato dall’immaginazione, non fantasia pura, ma gancio di realtà appeso al reale. Quando ti leggo, perdo la cognizione del tempo e dello spazio. Gli scrittori comuni dominano il tempo; i grandi narratori, con esso, lo spazio.

Ci si accoccola, come davanti a quell’immaginario caminetto con la grande cappa nera e fuligginosa, che ho sempre sognato di avere in casa e di cui, solo per poco tempo, godetti in casa della mia nonna materna e che, per tutta l’infanzia, gustai col focolare dei miei zii paterni (quello senza cappa, all’antica).

Tu fai emergere il tempo andato e le fòle che, dalle scintille del fuoco ch’ esplode dai ciocchi, si frangono contro la nostra mente, spuntando dalle fiamme, come piccoli folletti.

Leggendo, non è strano sentire la tua voce calda che narra; sentire, ad occhi chiusi, te che reciti, raccontando, come chi sapeva farlo accanto al camino ed aveva un saggio eloquio, limpido e capace di evocare

CRISTALLI. Una luce perlata spande la luna sulle ferite degli uomini. Cristalli di neve sugli occhi asfodeli nelle mani. ines

pag. 22

Le poesie di Ines DESIDERI Quando i desideri sono sepolti sotto lastre di ghiaccio aspetterò la luna per accendere un fuoco. ines

grandi sussulti del cuore.

Ad ogni personaggio della tua galleria, io sento nascere quell’amore antropologico per l’Uomo, di cui narri, uomo consunto, ma mai stanco…

Ritrovo, attraverso il tuo scrivere, quel tempo che non ha tempo, eppur nel tempo, vive. Quel tempo, che non sfrutta lo spazio in cui respira, ma lo esalta, lo espande.

E ritrovo, in quel comun denominatore di follìa, le stesse, grandi ali dell’albatro, di baudelairiana memoria, che riempiono tutte le righe di quel quadernetto esistenziale, pieno di albe e tramonti.

I tuoi brani o racconti sono, in effetti, come poesie. Non c’è il verso breve, ma ogni narrato è lieve come un verso. Le tue figure si muovono (e, fra esse, non saprei chi scegliere) diafane, eppur concrete, attraverso le stagioni della vita, con passo leggero. A volte è solo il peso del mondo, che taglia loro il cammino…

Mentre il lettore, ad ogni nuova pagina, vola e sente dolce il passo del suo andare, oltre il quotidiano che pesa. Di tutto ciò, quest’ultimo, insieme a me, dev’esserti grato: per il poter scoprire, fra le pieghe dei tuoi nomi, quella parte di se stesso, schietta, che non torna mai indietro, sia pur nascosta in un cassetto che, prima o poi, si apre, per ritrovare il meglio... Un grazie di cuore.

PERCHE’ Vorrei cercare negli abissi mrini tra alghe e conchiglie il senso della vita Capire perchè i ciclamini appassiscono

Editore: Grafichè di A. Perri

Lamezia e non solo


Cultura AL ROMANZO “IL CACCIATORE DI MEDUSE”,

LA COMMOVENTE STORIA DI UN PICCOLO MIGRANTE SOMALO E DEI SUOI AMICI MISERI DI TUTTO IL MONDO,

IL PRIMO “PREMIO RENDE BOOK FESTIVAL” Assegnato al romanzo “Il cacciatore di meduse” di Ruggero Pegna pubblicato dalla casa editrice Falco il primo Premio “Rende Book Festival” organizzato dall’Associazione Co.Re. Cultura. Al secondo posto si é classificato il romanzo “I Nemici del Cavaliere” di Davide Gambale edito da Armando Siciliano editore e al terzo posto “La donna giusta” di Caterina Ambrosecchia edito da Gelso Rosso editore. Dopo tre giorni di presentazioni di volumi, incontri, mostre, dibattiti, momenti musicali, la serata finale è stata condotta dal Presidente di Co.Re. Armando Rossi, insieme alla coordinatrice del Comitato Scientifico del Premio Sofia Vetere e al Presidente della Giuria dottor Paolo Maulucci, noto storico e ricercatore. Armando Rossi, presidente di Co.Re,, nel suo intervento iniziale ha tracciato con soddisfazione il bilancio del Festival, collegato ad altri eventi culturali internazionali dell’associazione, rimarcando la grande affluenza di pubblico dei tre giorni, confermata dalla sala gremita anche al momento della proclamazione dei vincitori. “E’ un romanzo che mi ha fatto piangere – ha affermato Maulucci – Nonostante le sue circa quattrocento pagine è una grande poesia, un romanzo attuale e pieno di umanità. Una storia bellissima che ho voluto leggere due volte!”. A Maulucci ha fatto eco Sofia Vetere proclamando l’assegnazione del premio, consegnato all’autore dall’ assessore alla cultura del comune di Rende Marta Petrusewicz. Presente anche l’editore Michele Falco. “Uno dei libri più belli che abbia letto. Ho pianto e sorriso. Un romanzo meraviglioso che deve essere letto da tutti ma soprattutto dai giovani”, ha detto la Vetere, visibilmente commossa. In realtà, “Il cacciatore di meduse” è già stato introdotto in molti istituti scolastici per affrontare i temi dell’immigrazione, dell’accoglienza e i tanti altri toccati dal romanzo, dalla povertà all’integrazione, al rispetto di tutte le diversità contro ogni forma di razzismo. Per poter soddisfare le numerose richieste di vari istituti scolastici, la casa editrice ha dovuto provvedere a ristampare il romanzo, inserito anche tra i tredici libri consigliati dalla World Social Agenda nel 2017 a studenti e docenti delle scuole secondarie di secondo grado, nell’ambito del tema scelto quest’anno: “Migrazioni e diritto al futuro”. Unanimi in questi mesi i consensi di critica e lettori, tra cui moltissimi giovani, per un romanzo che si è dimostrato capace di raccontare la vita dei migranti in modo vero, commovente e avvincente, sottolineando gli aspetti di incredibile umanità delle storie di chi fugge disperatamente dalla propria terra. Un lato umano spesso assente dalle cronache giornalistiche di sbarchi e naufragi e, talvolta, davvero inimmaginabile. In questo romanzo avvolto da toni quasi fiabeschi, il tema scottante dell’immigrazione è toccato per la prima volta dall’altro punto di vista, con gli occhi di Tajil, il bambino somalo che diventa scrittore della sua stessa storia e con la voce di immigrati, miseri e diversi di tutto il mondo. “E’ un romanzo che ribalta il punto di vista. Qui a parlare sono proprio loro, i miseri ed emarginati del pianeta, capaci però di lottare e raggiungere una vita migliore!”, afferma l’autore. “La bontà non dipende dal colore della pelle, ma da quello del cuore… La Terra è di tutti!”, diceva il nonno del piccolo cacciatore di meduse, un anziano che viveva sul fiume Jubba a Chisimaio, in Somalia. E Tajil racconta: “Venendo dal mio Paese ho visto che gli uomini lentamente si scolorivano, fino a diventare bianchi del tutto arrivati in Italia.

Lamezia e non solo

Non so perché e non credo che fosse una malattia, ma se fossi stato bianco mi sarei vergognato a stare nel mio villaggio. Ora che sono qui, sto bene anche tra i bianchi, perché sono vivo e felice!”. Ambientata quasi interamente in Sicilia, questa imperdibile e struggente avventura di un piccolo “cacciatore di meduse”, il lavoro che il ragazzo s’inventa per sopravvivere, si muove soprattutto nel magico scenario della costa siciliana. Le avventure di Tajil e degli strani amici della sua compagnia si snodano per le vie di San Vito Lo Capo, nello scenario naturale della Riserva dello Zingaro, per le tante calette, lungo la costa fino a Scopello e, dall’altro lato, fino a Mazara. Gli spaccati di San Vito, il “misterioso” Monte Monaco, le affascinanti grotte, arricchiscono di poesia un romanzo in cui la natura e le bellezze paesaggistiche siciliane contribuiscono a catturare e incantare il lettore. Dopo il drammatico racconto del viaggio, prima nel deserto, poi nel Mediterraneo da Zuara a Lampedusa, in compagnia della madre e di un’altra bimba rimasta orfana durante la traversata, il piccolo migrante si avventura in numerosi luoghi italiani, da Linosa alla Valle dei Templi, da Isola Capo Rizzuto a Milano e Roma. Descrizioni incantevoli della natura e dei luoghi fanno da sfondo all’originale racconto, dalle splendide visioni di meravigliosi paesaggi africani fino a quelle della traversata del Mediterraneo e dell’arrivo a Lampedusa. Una storia dei nostri giorni, tra fiaba e realtà, che appartiene a tutti noi. Secondo molti docenti che lo hanno adottato è un vero romanzo di formazione che arriva dritto al cuore di lettori di ogni età, incastonato nella storia mondiale degli ultimi anni: dall’elezione di Obama, primo presidente americano di colore, all’appello di Papa Francesco alla Comunità Internazionale. Un romanzo che racconta la dura realtà dei nostri giorni, facendo immedesimare il lettore nelle vicende dei protagonisti, talvolta perfino con un pizzico di ironia. In un momento storico dominato dalle tragedie dell’intolleranza, dell’odio e del fanatismo terroristico, “Il cacciatore di meduse” parla di umanità e sentimenti, di uguaglianza tra uomini di ogni fede, razza e colore. Un libro struggente e attuale, una sorta di fiaba contemporanea, che ripropone il valore controcorrente del rispetto verso gli altri e la ricchezza della contaminazione tra diverse culture, affascinando anche i lettori più giovani. Il romanzo è disponibile anche in versione ebook. “In ogni condizione limite di un uomo, la speranza, la voglia di vivere e vivere meglio, il desiderio di pace e serenità, sono un sogno per il quale alcuni sono disposti a rischiare la vita stessa, come molti migranti che fuggono per varie ragioni dalla loro terra”, dice Ruggero Pegna, colpito nel 2002 da una leucemia fulminante a poche ore dal matrimonio, superata miracolosamente e raccontata nel precedente romanzo Miracolo d’Amore. “A me piace viaggiare nell’animo umano, penso che siano i viaggi più emozionanti. Immedesimarsi in altre umanità – continua l’autore - ci fa scoprire angoli reconditi dell’io degli altri sui quali spesso non ci soffermiamo, siamo indifferenti. Aprirci alla comprensione degli altri, può aiutare tutti a vivere in una società migliore! Se bravissimi medici non mi avessero curato, se in tanti non mi avessero dato sangue e piastrine, se una ragazza americana non mi avesse dato il suo midollo, sarei morto! Il mondo non ha confini e questo mi aiuta a immaginare storie eccezionali di uomini semplici, in cui l’amore e il bene alla fine trionfano!”.

Editore: Grafichè di A. Perri

pag. 23


La parola alla Psicologa

La rabbia: come gestirla? A tutti noi è capitato di provare rabbia, magari col nostro partner o con il nostro capo, oppure verso noi stessi per aver commesso un errore. In quel frangente il nostro corpo subisce delle modificazioni psicofisiologiche, comportamentali e cognitive. La pressione sanguigna aumenta, così come la tensione muscolare e la frequenza respiratoria, sentiamo una forte sensazione di calore e irrequietezza. Il nostro corpo si sta preparando di fatto a combattere contro un potenziale avversario! Queste modificazioni sono infatti dovute all’attivazione del sistema nervoso autonomo e predispongono l’individuo all’azione. La rabbia è uno stato emotivo intenso che si attiva nell’individuo in risposta a stimoli interni o esterni e alla loro interpretazione cognitiva; fa parte delle emozioni fondamentali, ha una base innata e una funzione che permette all’individuo di adattarsi e sopravvivere all’ambiente. Assolve un ruolo molto importane nella vita di ciascuno di noi, sebbene venga spesso utilizzata come sinonimo di aggressività e violenza, poiché segnala la violazione dei propri diritti o la presenza di un ostacolo al raggiungimento di un obiettivo. È un campanello di allarme che ci avvisa se qualcosa non va e ci prepara all’azione. Per comunicare la rabbia usiamo la mimica facciale o posturale o inflessioni vocali, verbalizzazioni avverse e comportamento aggressivo. Se usata costruttivamente però, la rabbia aiuta a tutelarci, a sviluppare la fiducia in noi stessi; se adeguatamente riconosciuta permette di conoscere i nostri bisogni e avere relazioni più autentiche. «Chiunque può arrabbiarsi: questo è facile; ma arrabbiarsi con la persona giusta, e nel grado giusto, e per lo scopo giusto, e nel modo giusto: questo non è nelle possibilità di chiunque e non è facile». (Aristotele) Ma come si genera la rabbia? Il processo si innesca da alcuni fattori scatenanti che vengono valutati come ingiusti o dannosi. Questa valutazione innesca la reazione di rabbia e un impulso ad agire. Alcune persone possono presentare una dis-regolazione emotiva, cioè avere difficoltà a modulare i propri stati emotivi (in questo caso particolare la rabbia), e organizzare risposte comportamentali adeguate allo specifico contesto. Ne possono derivare pertanto, comportamenti e reazioni di rabbia disfunzionali e poco adattivi quali ad esempio, la violenza e l’aggressività da una parte, oppure l’inibizione e l’evitamento di situazioni conflittuali dall’altra. Gestire la rabbia, non significa controllarla o inibirla, ma modularne la risposta emo-

tiva in modo da organizzare l’esperienza e le risposte comportamentali adeguate allo specifico contesto. Modulare la rabbia non è un’abilità che tutti riusciamo a padroneggiare facilmente. Per alcune persone si pone quindi il problema che certe emozioni, quali la rabbia, generano un impulso talmente intenso da dargli l’impressione di non avere altra scelta che seguirlo. Pensiamo a chi, sorpassato da una macchina, insulta, offende o addirittura malmena il malcapitato. La rabbia diviene quindi disfunzionale per la persona se la sua manifestazione ne compromette le relazioni sociali o la spinge a compiere azioni dannose verso se o verso gli altri. Quale soluzione possibile? Come abbiamo anticipato, lo stato emotivo e la relativa sofferenza, sono causati dall’interpretazione che diamo ad un determinato stimolo. L’intervento principale è quindi quello di intervenire sulla variabile cognitiva, aiutando la persona a riconoscere i propri pensieri automatici negativi, modularli e modificarli. Anche le tecniche di rilassamento sono molto utili, infatti, come visto in precedenza, la rabbia comprende una serie di risposte fisiologiche di attivazione dell’organismo. Il training di rilassamento ci permette di individuare e ridurre le tensioni muscolari, l’incremento del ritmo respiratorio e della pressione sanguigna associati alla rabbia. Nelle persone che si arrabbiano facilmente è probabile trovare una modalità di pensiero basata sul “dovere”. Se siamo convinti che le altre persone “debbano” per forza comportarsi come noi desideriamo e riteniamo giusto, ci arrabbieremo facilmente ad ogni loro scostamento da questi nostri standard. Individuare e modificare il nostro dialogo interno e imparare le tecniche della comunicazione assertiva può essere di aiuto per la gestione della rabbia. Attraverso simulate, tecniche immaginative e prove comportamentali in situazioni di vita reale, la persona arriverà ad esprimere la propria rabbia senza colpevolizzare gli altri e imparando il modo migliore per comunicare il proprio punto di vista. Dr.ssa Valeria Saladino - Psicologa Referente per la Provincia di Catanzaro della Società Italiana di Promozione della Salute (S.I.P.S.) Per contatti: saladino.valeria@gmail.com

le spigolature di tommaso

Nei momenti più bui

abbiamo il dovere di raccogliere le nostre forze più nascoste e costruire nuove speranze, convincerci che ogni uomo ha un potenziale enorme per far sì che il domani non smette mai di esistere, è un concetto concreto da riempire di significati e idee positive. La Storia insegna che dopo gli accadimenti nefasti la costruzione diventa conseguenza necessaria se ogni singolo cittadino si convince pienamente di essere comunità attiva e propositiva. La nostra città ha in questo momento un tono sommesso, uno stato d’animo dal tono di un carme; ma il carme reca in sé insieme alla malinconia anche l’elegia e la denuncia civile, guarda al passato per gettare le basi del futuro. Proprio in questi momenti, la riflessione di ogni parte politica si fa urgente, le diverse ragioni dovrebbero trovare fattive convergenze al fine di

pag. 24

una crescita non solo sociale ma soprattutto psicologica. È giusto chiedersi i perché, è giusto agire per chiarire se ciò che è successo sia stato un atto veramente legittimo o meno ma è altrettanto importante pensare alla definizione della dignità di tutta la comunità cittadina e librare un volo da uccelli feriti in cerca di ossigeno e libertà, di azzurro e di purezza. È il volo che conta, la determinazione di volerlo tentare. E allora, pur nella sofferenza, viviamo al meglio le prossime festività, ricerchiamo le antiche atmosfere e il “sapore” autentico del Natale.

Auguri alla nostra città, a tutti noi.

Editore: Grafichè di A. Perri

Lamezia e non solo


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.