Lameziaenonsolo Giuseppe Colangelo marzo 2022

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Anche questo anno

Via del Progresso - Lamezia Terme

sarà presente al Salone Internazionale del Libro TORINO prossimamente il calendario delle presentazioni


confidenze

Giuseppe Colangelo di Salvatore D’Elia Un cuore che batte per il bene comune Vi sarà capitato di utilizzare l’immagine del “vulcano” per parlare di una persona in perenne attività, animato da un magma esplosivo di idee, iniziative, progetti. Chi conosce il “Doc”, come lo chiamano gli amici, associa immediatamente a lui l’immagine del vulcano. Che si tratti dell’Etna e dello Stromboli, che nelle serate più chiare si possono osservare dal lungomare della “sua” Lamezia, al Vesuvio che ogni mattina gli dà il buongiorno in Campania dove attualmente vive e lavora, il “vulcano” in questione ha un grande cuore. Giuseppe Colangelo, classe ’77, cardiologo lametino, attualmente dirigente medico di Cardiologia all’ UTIC di Sarno, dopo aver lavorato in passato in Calabria e nel Veneto. Basta scorrere il suo profilo facebook, per lasciarsi subito trasportare da una vitalità all’ennesima potenza, da far schizzare fino a rompere qualsiasi elettrocardiogramma. Il suo motto: “defibrilliamo le coscienze”. Vale per la campagna per la promozione della cultura della cardioprotezione, che da anni sta portando avanti in tutta Italia sensibilizzando cittadini, operatori sanitari, associazioni, istituzioni sull’importanza di avere a disposizione dei defibrillatori pubblici nelle nostre città e persone in grado di saperli utilizzare. Vale per la vita di ognuno di noi: bisogna metterci il cuore. Sempre. Com’era Giuseppe Colangelo da bambino e poi alle superiori e all’università? Qualcuno, conoscendomi oggi, forse non ci crederà: per molti anni sono stato un bambino e poi un ragazzo timido e riservato, anche abbastanza chiuso. Tra le scuole superiori e l’università, la rivoluzione copernicana: mi sono sempre più aperto agli altri e al confronto diretto con le persone, anche con chi la pensa diversamente da me, una dimensione fondamentale per la propria crescita umana e professionale. Sin da giovanissimo, ho sempre creduto nel sacrificio, nella fatica e nel sudore per raggiungere gli obiettivi in cui si crede Come nasce la passione per la medicina e in particolare per il cuore? Nasce alle scuole superiori. Inizialmente desideravo intraprendere la carriera militare come ufficiale medico, poi sono entrato alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Catanzaro. Mi sono subito appassionato agli studi sul cuore perché rappresenta il motore di tutto ciò che siamo, il centro di tutto. Una passione che ho avuto subito occasione di mettere alla prova entrando, già a cavallo tra il secondo e il terzo anno di università, nel policlinico e nelle realtà ospedaliere.

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Il rapporto con la tua famiglia Un rapporto intenso, viscerale. Ci sentiamo spessissimo. Ho tre sorelle, due vivono a Lamezia e una a Torino. Due delle mie tre sorelle hanno intrapreso la professione medica come me: questo ha contribuito a consolidare il rapporto, dandoci anche la possibilità di un confronto professionale. La mia famiglia rimane un punto di riferimento costante, con la gratitudine smisurata per i tanti sacrifici che hanno fatto per consentirmi di realizzare i miei sogni Quanto la tua famiglia ha supportato e influito sul tuo percorso? La mia famiglia ha supportato le mie passioni, dall’iniziale intenzione di intraprendere carriera militare agli studi universitari e poi il successivo percorso professionale. Sono quello che sono grazie a loro, a mio padre e a mia padre, tanto sul piano umano quanto sul piano professionale. Un ricordo dei tuoi anni universitari Il mio corso di laurea era composto da circa una cinquantina di studenti, pochi rispetto ai numeri attuali. Con molti colleghi, alcuni dei quali oggi lavorano all’estero, continuiamo a sentirci e a confrontarci anche sul piano professionale.

Accanto agli studi e ai sacrifici, sono stati anni bellissimi per i momenti di spensieratezza vissuti insieme, dalle feste nei locali alle passeggiate pomeridiane sul lungomare di Catanzaro Lido. Com’è stato il passaggio dal mondo universitario a quello del lavoro Subito dopo la specializzazione, ho intrapreso un importante impegno lavorativo presso la clinica S. Anna di Catanzaro, che per me ha rappresentato una sorta di seconda specializzazione. Si è trattato del primo ingresso nel mondo del lavoro. Non finirò mai di ringraziare il dottore Saverio Iacopino, una eccellenza della cardiologia, e il professore Mauro Cassese, chirurgo di fama internazionale. Qui, grazie a queste brillanti figure di professionisti e a tutti i colleghi che ho incontrato, ho conosciuto la vera realtà della terapia intensiva, il mondo dell’urgenza e dell’emergenza. Dopo due anni a Catanzaro, ho lasciato la Calabria per lavorare a Pieve di Cadore, in provincia di Belluno, ai piedi delle Dolomiti, presso il reparto di cardiologia. Ma la passione per il mondo dell’emergenza continuava a pulsare dentro di me; ho quindi partecipato a un avviso pubblico che mi ha portato in vari

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pronto soccorso dell’Asl di Belluno, quindi a Camposampiero vicino Padova dove ho lavorato per quattro anni e mezzo. Intanto ho conosciuto Loredana, oggi mia moglie. Richiesta di mobilità e “ritorno al Sud”: prima al Pronto Soccorso dell’ospedale di Caserta, poi il concorso in cardiologia che mi ha portato per due anni come dirigente medico all’ospedale di Polla e oggi a Sarno. Come nasce il tuo impegno per diffondere la cultura della cardioprotezione e formare operatori Bls-d? Nasce sul campo, operando nelle ambulanze, nelle realtà concrete dell’urgenza e dell’emergenza sul territorio. L’impegno a diffondere la cultura del primo soccorso nasce, in particolare, negli anni a Camposampiero, dove insieme al gruppo de “Gli amici del cuore” diamo vita ai primi seminari e iniziative per diffondere la cultura della cardioprotezione e della prevenzione della morte cardiaca improvvisa. Dai cittadini alle istituzioni. Quali risposte hai ricevuto alla sfida “defibrilliamo le coscienze”

Direi che ci sono stati già un bel po’ di movimenti tellurici. I cittadini, anche quelli più scettici, si stanno avvicinando alla cultura della cardioprotezione. Anche le istituzioni, nonostante le lungaggini burocratiche, stanno rispondendo in modo importante. Serve pazienza, non abbassare la guardia, guardare sempre il bicchiere mezzo piano anche quando le cose non vanno come vorremmo e subentrano delusione e sconforto. Defibrillare le coscienze significa sensibilizzarle senza secondi fini o interessi, ma con uno scopo preciso: costruire il bene comune. Sono convinto che per cambiare le cose bisogna lavorare dal basso.

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Vuoi dire ai nostri lettori quanti defibrillatori pubblici sono stati installati, grazie al tuo “vulcanico martellamento”, nella località di S. Anna del Comune di Cava dei Tirreni, dove attualmente abiti? 4 defibrillatori pubblici e un quinto PAD sarà installato a breve, vicino la Chiesa, che è uno dei luoghi di maggiore aggregazione della comunità. Stiamo parlando di una località con poco meno di 300 abitanti. Di fronte la mia casa, c’è un defibrillatore pubblico e campeggia la scritta “casa cardioprotetta”. Sono sicuramente risultati importanti, frutti di percorsi avviati e della generosità di tante persone, ma sono anche simboli per diffondere in

modo sempre più virale e capillare il messaggio della cardioprotezione E poi, nella primavera di un anno fa, la raccolta per il primo defibrillatore pubblico nella tua amata città e l’avvio del progetto Calabria Cardioprotetta Desideravo fortemente installare un defibrillatore pubblico nella mia città, a Lamezia Terme, che fino a un anno fa ne era sprovvista. Nella primavera del 2021, lanciamo una campagna di crowdfunding alla quale partecipano tantissime persone, lametini e non, addirittura persone dall’estero che probabilmente hanno dovuto ricercare Lamezia su “Google”, consentendoci così di installare il primo defibrillatore semiautomatico pubblico il GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

5 giugno 2021, in via Colonnello Cassoli. Il primo PAD è stato solo il punto di partenza di un movimento straordinario di passione, valori, amore per la comunità. Nasce così “Calabria Cardioprotetta”, un gruppo di ragazzi folli, come li chiamo simpaticamente, che hanno voluto dare continuità al percorso avviato. Nel giro di pochi mesi, altri due defibrillatori pubblici a Lamezia Terme, in Piazza V Dicembre e in Piazza Italia, realizzati grazie a un’azione martellante di defibrillazione delle coscienze fatta da me insieme ai ragazzi di Calabria Cardioprotetta, e un’altra raccolta in corso per cardioproteggere il lungomare Falcone- Borsellino e il parco “Peppino Impastato”.

L’obiettivo di “Calabria Cardioprotetta” è continuare senza sosta a defibrillare le coscienze, a formare e informare i cittadini. Sentiamo l’esigenza di arrivare non solo nei grandi centri, ma anche nei piccoli Comuni, in quelli più scollegati dai grandi ospedali. In alcuni territori calabresi, in caso di arresto cardiaco improvviso, aspettare un’ambulanza significa compromettere le possibilità di sopravvivenza della persona perché in questi casi è vitale abbattere i tempi di attesa. Da qui l’esigenza di formare più operatori laici possibili e installare defibrillatori pubblici. Perché un cittadino comune, non operatore sanitario, dovrebbe conoscere le manovre di primo soccorso e impegnarLamezia e non solo


si a diffondere la cultura della cardioprotezione? Per accrescere il senso civico, per sentirsi comunità nel segno dell’altruismo e dell’aiuto reciproco. Per vivere con la consapevolezza di essere protetti: se domani dovesse capitare a me un episodio di arresto cardiaco come i tanti che se ne registrano ogni giorno, sarei felice di sapere che qualcuno è vicino a me e può aiutarmi in tempi brevissimi. Cultura della cardioprotezione significa sia fornire gli strumenti per salvare la vita delle persone, i defibrillatori, sia formare e informare tutti i cittadini. Non siamo eroi. La paura è un fatto naturale, appartiene a tutti. La paura è positiva quando attiva meccanismi che spingono le persone a formarsi e a interessarsi alla comunità.

Come hai vissuto insieme ai tuoi colleghi la fase più dura dell’emergenza sanitaria tra marzo e aprile 2020? Un periodo bruttissimo. Lavoravo a Polla, una delle prime zone rosse in Campa-

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nia, dove ci sono stati i primi morti qui al Sud mentre in Tv guardavamo le bare sui camion militari a Bergamo. Ricordo i turni in pronto soccorso area Covid, dove lavoravamo bardati senza distinguere più il giorno dalla notte mentre arrivavano flotte di pazienti che desaturavano. Combattevamo un nemico invisibile, senza vaccini. Oggi i vaccini hanno cambiato radicalmente la situazione. Un’esperienza che mi ha formato umanamente e professionalmente, che mi ha insegnato ad avere coraggio nella vita professionale anche quando tutto e tutti cercano di scoraggiarti, anche di fronte agli attacchi gratuiti. Le passate esperienze lavorative nell’urgenza/emergenza mi sono servite anche in quella fase: un momento drammatico di rischio per tutti noi ma anche di assunzione di responsabilità della nostra missione di medici. Prossime sfide e il “grande sogno” di Giuseppe Colangelo

Voglio continuare a crescere sul piano professionale. Da poco sono diventato responsabile della cardiologia dello sport per l’Asl di Salerno, un’opportunità che mi gratifica come medico e come sportivo

“praticante”. Il mio sogno è continuare a diffondere la cultura della cardioprotezione, formare e informare più persone possibili sul tema della morte cardiaca improvvisa che causa migliaia di morti ogni anno. Per filosofia di vita, ogni qualvolta raggiungo un obiettivo me ne pongo subito un altro. E così rilancio di percorso in percorso, di sfida in sfida. Sogno di coinvolgere il mondo laico e il mondo sanitario, partendo da tanti medici e valenti professionisti spesso isolati o non adeguatamente valorizzati nei loro contesti. Spesso, chi mi segue, pensa che io sia il protagonista di tanti percorsi e iniziative. In realtà, io mi sento e mi definisco il traghettatore. “Defibrillo” per poi lasciare che ciascuno faccia la propria parte. L’obiettivo è uno solo: il benessere di tutti, il bene comune.

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riflessioni

Forme e sostanza nelle ‘omelie’ di Papa Francesco e Mattarella al proprio “gregge”.

di Alberto Volpe

Auspicato che all’alba della pubblicazione della presente nota riflessiva, siano stati definitivamente ammainate le bandiere di guerra tra Est ed Ovest, venti bellicosi utili solo ad alimentare fauci e profitti finanziarie od estemporanei ambizioni espansionistici, e sempre a danno delle popolazioni inermi e defraudati del diritto all’autodeterminazione, tanto premesso, veniamo alla materia della nostra riflessione. Era facilmente prevedibile che la “discesa in diretta tv” dal Fazio nazionale, su Rai Tre, da parte di Papa Francesco, avrebbe suscitato diversificate e talvolta contrastanti opinioni, per il metodo piuttosto che nel merito delle problematiche sollevate. Certo, quella inusuale disponibilità dell’illustre inquilino dello Stato del Vaticano a farsi intervistare in diretta nella domenicale trasmissione di “che tempo che fa” non ha attirato la grande stampa a tal punto dal riservare a quell’evento speciale le prime pagine, anche se non sono mancati i commenti nelle pagine interne. Osservazione,questa, diretta ed immediata per i lettori che per fatti di cronaca molto meno vedono occupare la pagina di apertura del quotidiano e con ‘ritorno’. Ma a noi interessa ri-

lismo”, quell’idealismo tutto modernistico dell’apparato clericale, sic stigmatizzato da Francesco, non può che produrre confusione, ambiguità e allontanamento dei canoni di una fede cristiana. Non diversamente il richiamo al senso del rispetto della natura e della solidarietà umana, quale motivo essenziale per una pacifica e collaborativa convivenza, sono stati elementi di richiamo del Papa. Oltre Tevere, e a Camere riunite lo scenario che andava consumandosi si prestava a considerazioni da parte dei commentatori e giornalisti, che al di fuori della solennità del momento politico nazionale, offriva condivisi giudizi di opportunità per richiamare una rappresentanza elettiva politica a correggere e rivedere una sorta di bigottismo laicistico che non è sfuggito a commentatori ed osservatori. E, del resto, tutto il discorso ufficiale di insediamento del ricandidato Mattarella, al Quirinale, altro non è stato che un profondo ed rinnovato accorato appello alla responsabilità a sapere guardare alle disuguaglianze, territoriali e sociali, alla capacità di disegnare un futuro per le nuove generazioni, e a costruire speranze di pace e di equità. Ma non meno che a sapere indivi-

levare il senso e la logica dei temi sollevati dai due protagonisti che negli ultimi giorni hanno impegnato l’attenzione dei cultori, storici e non, della vita dei cittadini. Premesso proprio il gesto storico di un Papa, che si offre alla interlocuzione e confronto giornalistico (quanta acqua è passata dalla sedia gestatoria!), chissà quanta consapevolezza comprendesse la “discesa televisiva” di Papa Francesco la immediatezza con cui poteva raggiungere il “gregge” (senza irriverenza) dei fedeli, laici e non, con le sue denuncie e con le sue pastorali sollecitazioni. Due tipiche ed ormai abituali, quanto coraggiose, prese di posizioni del Capo della Chiesa cattolica, volte ad arginare derive reali e spesso “coperte” di un comportamento della nomenclatura vaticana che finisce per scandalizzare il popolo dei fedeli. Quel “progressismo”, “clerica-

duare quelle riforme, costituzionali e non, che facciano guardare con fiducia a Corpi dello Stato chiamati a garantire il profondo senso di Giustizia che viene dai cittadini. A fronte di tanto alto senso istituzionale, e farcito da quella “dignità” (18 volte ripetuta da Mattarella) che preserva un Popolo da derive democratiche, ebbene quei 55 applausi, con ovation di 4 minuti, da parte dei Parlamentari senatori e deputati presenti, hanno suonato come un modo bigotto e scarsamente dignitoso da parte di chi proprio quel percorso di diseguaglianza e di non crescita sociale ha messo in atto con le proprie ambiguità e contraddizioni. Ci sembra che da entrambi i “pulpiti” venga un richiamo forte a riconsiderare un potere ed una rappresentanza come servizio, in nome di una solidarietà che si deve fare fratellanza nella collaborazione.

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L’importanza del ricordo

“Oggi vogliamo ricordare due persone che hanno dato tanto alla nostra comunità, comunità intesa come scuola e comunità intesa come città; due personalità che hanno spiccato per competenza, dedizione al lavoro, spirito di servizio e particolari doti di ingegno e di professionalità”. Così Roberta Ferrari, dirigente dell’Istituto superiore – Polo tecnologico industriale ed artigianale avanzato “Carlo Rambaldi” di Lamezia Terme ad apertura della manifestazione durante la quale, tra la commozione di studenti, colleghi, familiari ed amici, sono state intitolate le aule dei laboratori di elettronica e di meccanica, rispettivamente al professore Franco Paone ed all’imprenditore Giuseppe Tripodi. “La commozione e il dolore per la prematura scomparsa di Franco Paone – ha aggiunto Ferrari - sono ancora vivi in tutti quelli che lo hanno conosciuto. Tutta la scuola ha manifestato la volontà di ricordarlo perché persona speciale che ha dato molto ai suoi studenti e a tutta la comunità, persona attenta e generosa, amica di tutti. Personalmente, come docente sono stata collega di Franco per anni fino al 2013 e ho bei ricordi di lui. L’affetto e il ricordo vivo che è rimasto di Franco nella scuola sono la dimostrazione che ha vissuto pienamente la sua vita donando agli altri il meglio di sé; questo ha fatto in modo che Franco rimanga ancora qui con tutti noi”. Un affetto ribadito nel suo intervento dalla professoressa Daniela Grandinetti

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che ha evidenziato che “sono le persone come Francesco Paone che mancano alla scuola, coloro che sanno distinguere ciò che è importante da ciò che non lo è, fattore decisivo per chi oltre ad insegnare si assume la responsabilità di essere anche educatore. Lo hanno dimostrato le testimonianze di tutti quegli allievi che lo hanno ringraziato nei giorni terribili della sua scomparsa”.

si finiva di parlare con il professore e si iniziava a parlare con l’uomo Francesco Paone. Tutti abbiamo un bel ricordo di lui forse proprio per questo suo essere accanto a noi, pronto ad ascoltarci. Perché la persona Francesco Paone ascoltava ed aiutava gli altri, anche i suoi studenti”.

Studenti che hanno voluto essere presenti anche nel giorno del ricordo di una persona che ha lasciato un segno indelebile nelle loro vite: “Il professore Paone – ha detto Pierpaolo Colistra della V H - ha insegnato nella nostra classe per solo un anno e per alcuni di noi per molti più, ma gli è bastato per rimanere nei cuori di tutti. Era riuscito a far partecipare durante le sue lezioni sia i ragazzi volenterosi che quelli svogliati, ma più di tutto era buono di cuore e cercava sempre di far partecipare attivamente quei ragazzi più timidi, con uno scherzo o una battuta”.

“La figura di Giuseppe Tripodi, che tanto importante è stata per la comunità lametina - – ha detto la dirigente nel prosieguo della manifestazione -, l’ho conosciuta nel racconto dei figli Antonino e Rina. La nostra scuola vuole dedicargli quest’area dei laboratori di meccanica perché la sua figura sia da stimolo per i nostri studenti e rappresenti per loro lo spirito di ricerca e di apprendimento continuo, la volontà di percorrere la strada delle proprie passioni, e la determinazione di credere che può esserci un futuro migliore per il nostro territorio se impariamo a rimboccarci le maniche senza aspettare che qualcun altro lo faccia al posto nostro”.

Parole, cui hanno fatto eco quelle di un ex studente, Pierluigi Vono, ora universitario che, raccontando anche alcuni aneddoti sul rapporto tra Paone ed i suoi studenti, non ha voluto far mancare la sua testimonianza in ricordo di “un maestro di vita prima che professore. Noi – ha detto - lo abbiamo avuto per cinque anni. La nostra classe era particolare e tre di noi volevamo dimostrargli anche quanto sapevamo e quanto studiavamo. Lui accettava questa sfida. Ed era difficile comprendere quando

Nel prendere la parola, il figlio Nino ha parlato di “uomo forte e volitivo corroborato nella sua personalità anche dalle vicende spesso dolorose che hanno costellato la sua vita fin dalla più tenera età”, facendo riferimento oltre che al rapimento del 1971, anche alle varie tappe della sua vita ripercorrendole da quando adolescente giunse con la sua famiglia nell’allora Nicastro e di come, lentamente e con costanza, divenne un importante punto di riferimento per la Fiat.

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l’angolo di gizzeria

Rosario Leopoldo Calabria ed il suo 100 compleanno di Michele Maruca Miceli

Il 06 Luglio 2021 ha tagliato l’ambito traguardo dei suoi primi cent’anni di vita nella sua casa posta in via Roma n.63 della sua amata Gizzeria Il signor Rosario Leopoldo Calabria , già assessore comunale di lungo corso che dal 1964 al 1980 lo ha visto militare nelle file della grande Democrazia Cristiana . Persona religiosa e laboriosa che ha voluto dedicare questo suo traguardo a Dio , padrone e Signore della vita che gli ha permesso di arrivare fin qui. Commerciante virtuoso e caritatevole,dal carattere socievole ed accogliente sempre disponibile e pronto a dispensare consigli e suggerimenti a tutti. Egli nasce a Gizzeria nel lontano 06 Luglio del 1921 da Federico (1899) e da Stanizzo Vincenza (1899). Primogenito della famiglia così composta : da lui Leopoldo (1921), da Amelia (1923), da Costantino (1931),da Quintina (1933),da Bernardetta (1937),Elvira (1944). Nel 1941 sposa Aiello Rosa , sarta , dalla cui unione nasceranno Amelia ,Vincenzina, Renzo , Norma e Sergio. Una famigliola quella del signor Leopoldo come tante famiglie calabresi che vivevano di artigianato e commercio. Egli ancora oggi ricorda quanti sacrifici ha dovuto fare per crescere pag. 8

la sua famiglia e perfino emigrare in terre lontane del Venezuela per circa 8 anni e farne ritorno nel 1962. Da questo momento assieme al fratello Costantino, anche egli rientrato dal Venezuela , investono i propri risparmi in attività commerciali , bar,ristorante,panificio con annesso forno elettrico ,negozi di casalinghi con articoli della neonata plastica, per poi passare negli anni 1966 agli arredamenti economici e di lusso. Gli anni passano, gli affari vanno bene, comprano il terreno ed iniziano a costruire un enorme palazzo, in via Albania , che con i suoi 4 piani di esposizioni diventerà un gran salone del mobile col marchio “ Mobili Fratelli Calabria “, che per 31 anni è stato un vero cavallo di battaglia come importante punto commerciale non solo per Gizzeria ma per tutta la Calabria e l’Italia in genere. Un vero miracolo economico per il paese che dava lavoro a molti giovani nella consegna domiciliare dei loro acquisti. Il 6 Luglio scorso,come sopra citato, attorniato dall’amore dei suoi figli, dei 12 nipoti e 16 pronipoti che lo sostengono con dedizione e tanto amore ,dal fratello Costantino, dalle sorelle Bernaddetta ed Elvira, dal Sindaco di Gizzeria Francesco Argento in veste ufGrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

ficiale cinto dalla fascia tricolore, si è portato presso l’abitazione del centenario per consegnargli personalmente un bouquet di fiori e la Pergamena d’Onore attestante la sua veneranda età dei 100 anni. Presenti inoltre alla cerimonia anche il vice Sindaco Arcieri Antonio, l’assessore Chirillo Concetta, il consigliere ing. Roppa Alberto, Michelangelo Calabria organizzatore degli eventi comunali, dal consigliere regionale ing. Pietro Raso che ha portato i saluti della Presidenza Regionale con una targa ricordo, da Michele Maruca Miceli, studioso ed attento ricercatore delle tradizioni popolari di Gizzeria che da tempo studia i fenomeni di longevità che caratterizzano il nostro paese, proponendo ai nostri lettori sempre nuove e belle avventure come questa del centenario di nonno Leopoldo al quale va l’augurio di tutta la comunità di Gizzeria, affinché anche lui, con il suo traguardo dei 100 anni possa sedere al 18 ° posto dell’Olimpo dei centenari a cui il nostro paese ha dato i natali. In seguito il corteo con nonno Leopoldo in testa ha percorso tutto il corso Roma , stringendo mani e scambiando abbracci a tutti e posando davanti all’obbiettivo fotografico Lamezia e non solo


di Maria Palazzo Carissimi lettori, ho recensito tutti i libri di Antonio Cannone. Ma l’ultimo, credetemi, non è da perdere. Un nuovo romanzo. A metà fra l’autobiografia e la creatività, aMalavita, questo è il titolo, ci mostra atmosfere a noi care, di borghi e personaggi sublimati, di riflessioni che avremmo sempre voluto fare, ma su cui non ci siamo mai soffermati… Totò è il protagonista della narrazione che si snoda nel,l’abilità dello scrittore, di raccontarci una storia, spostando continuamente il baricentro da una realtà sopita ai vari coups de théâtre. Il filo logico del romanzo esula dagli intrecci in cui è calato il racconto: è come un’education sentimentale che fa tornare ragazzi nella nostalgia della spensieratezza, in cui, in erba, però, si nascondono le speranze e anche le angosce… Sullo sfondo, la tristezza della cattiva gestione storica della cosa pubblica: l’ansia dei personaggi, di uscire dal dolore delle oppressioni che si incarnano nella corruzione, nella mancanza di libertà vera, nell’assenza, spesso, di speranza, nella malavita… Totò attinge alle esperienze vere dell’autore, per esporci il suo vissuto, ma vive di vita propria e respira secondo le sue idee. Da ciò risulta che, autore e personaggio, respirano l’uno attraverso l’altro, senza mai intralciarsi… aMalavita: ma, forse, tra A malavita e Ama la vita, che il titolo suggerisce, può insinuarsi una terza strada, ovvero la speranza,

per immortalare questo raro e felice momento. Seguivano il Sindaco ed il vice Sindaco ed alcuni consiglieri, i figli, i nipoti, i pronipoti, il fratello e le sorelle e ci si è recato in chiesa per la santa messa officiata per Lamezia e non solo

la volontà che, anche in posti dove la malavita si trova ad imperare, si può amare la vita e lottare. Totò, in fondo, rischia di essere irretito dalle spire del Drago: vede gli amici, le persone che ama, sfiorare il baratro, ma, in lui, non scema il lume della speranza, oltre le illusioni. Totò cerca una strada. L’autore la trova anche attraverso le parole, di un lametino stretto, a volte arcaico, che i giovani non parlano più. Quel dialetto musicale, fatto più di iati che di dittonghi, quasi a voler dilungare i suoni… Totò non cammina soltanto, sul sentiero del suo percorso: egli vi si immerge. Il risultato è che il lettore venga coinvolto, senza quasi accorgersene. La lingua risulta importante, in questo volume, anche in un linguaggio senza filtri, se vogliamo, un po’ pasoliniano, un po’ rétro, come per ritornare a quel secolo, il Novecento che, nella letteratura, come nel cinema, ha dato tanta importanza alle parole. Ciò riporta al bello del racconto puro, senza fronzoli. A una scrittura non fatta per il gusto e la vanagloria di scrivere, ma per la voglia incontenibile di comunicare, di esprimere il sentimento dell’imponderabile, ma anche della forza nel ritrovare il Bene. Un bene laico, che, però, ha del sacro, ha del bello, del mistico, nella ferma aspirazione al meglio, per sé e per la propria terra, che distingue, da sempre, in toto, la scrittura di Antonio Cannone. Buona lettura.

l’occasione dai parroci Helcio Roberto dos Santos della parrocchiale chiesa di San Giovanni Battista di Gizzeria, don Maurizio Mete parroco

della chiesa del Redentore di Lamezia Terme e Padre Paolino della parrocchia “ Medaglia Miracolosa di Gizzeria Lido. Auguri nonno Leopoldo questo primo traguardo è tagliato. Al termine della Santa messa festeggiato ed i parenti più stretti si sono dati appuntamento presso un noto agriturismo di zona per festeggiare e tagliare la gigantesca torta col numero 100 sulla quale Il festeggiato ha soffiato con la forza e l’energia di un tempo, le 100 candeline poste.

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Dalla Calabria... al di là del mare Il Libro ha attraversato il mare I libri sono contenti, felici di navigarlo Non soffrono il mal di mare Anzi raccontano storie , tante, fanno nuove amicizie, si danno appuntamento ed è bello per loro raccontare storie al di là del mare. È un' emozione, grande."

di Antonio Nicotera

Letture itineranti tratte dal libro" Di tuberose, fresie e gelsomini...di giuggiole e cannella", di Michela Cimmino e Maria Teresa Di Benedetto, edito da Grafiche' Editore. L'isola di Ponza, sede degli eventi - terra baciata dal sole, dal mare, dal verde delle colline che incorniciano la mezzaluna ponzese distesa sull' acqua cristallina - ha accolto con interesse le pagine di una scrittura che è educazione ai sentimenti, ai valori e al senso civico di una comunità. Tanti i momenti di simposio lungo gli scorci sublimi, le calette, i caratteristici locali che si affacciano sul porticciolo borbonico. Le autrici del romanzo, di proustiana impostazione, presenti agli eventi, sono state coordinate da Gennaro Sandolo, animatore turistico dell' isola, e dalle proff Georgia Petrillo e Nicoletta Leonardi. Un incontro tra storia , tradizioni, paesaggi, degustazioni, tra territori distanti e pur simili da un punto di vista antropologico, tra solitudini, partenze e ritorni di mente e di cuore. pag. 10

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Solitudini che accomunano due terre che incantano per bellezza e accoglienza, e che si sono incrociate su una comune dimensione amorosa di napoletanità tra le autrici e i ponzesi i cui progenitori, intere famiglie ischitane inviate sull'isola nel 1734 da Carlo III di Spagna, re di Napoli, ne hanno plasmato la lingua e il carattere. Non a caso uno dei brani la cui lettura ha suscitato maggiore emozione è tratto dalla sezione “Napul'è”, momento accompagnato da brani di musica partenopea eseguiti alla chitarra da Peppone Balzano e Francesco Citarella, e dalla voce di Ilaria Di Caprio. Un’insolita presentazione che ha avuto come sfondo il paesaggio pontino, i suoi panorami mozzafiato,

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i gabbiani festanti sulle barche dei pescatori che proprio in quella giornata festeggiavano il loro Protettore, San Silverio Papa, confinato a Ponza nel 537. A concludere l’originale simposio un banchetto ricco di pietanze tra Calabria, Campania e Ponza. La spaghettatta alle “vongole fujute”, suggerita dal grande Eduardo De Filippo, la troverete sul libro,accompagnata dalla sua storia. Le ricette che incontrerete nel corso della lettura rappresentano, comunque, solo un pretesto alla narrazione, il libro, infatti, è ben altro che un ricettario. È un amarcord in cui è facile per tutti ritrovarsi, è una memoria collettiva che fa bene al cuore.

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naturopatia

Deodoranti e malattie di Dino Mastropasqua

Una delle cose che ho potuto verificare durante le consulenze è che spesso trovo i linfonodi ascellari gonfi e dolenti, pertanto ho iniziato a farmi qualche domanda e fare qualche ricerca, i risultati sono stati i seguenti. Deodoranti, creme corpo, saponi, profumi sono tutti prodotti che contengono grosse quantità di ingredienti chimici che accumulandosi nel tempo sotto la nostra cute possono essere responsabili di vari disturbi tra cui l’aumento del rischio di cancro al seno. Sapevi che il 99% dei tessuti di cancro al seno contengono parabeni, sostanze contenute nei prodotti per l’igiene personale? Sapevi che numerosi studi clinici hanno riscontrato un numero sproporzionato di tumori al seno sviluppati nel quadrante superiore ed esterno del petto, ovvero in corrispondenza delle ascelle? Si tratta dell’area dove si applicano maggiormente i prodotti cosmetici. Una pulizia e disintossicazione costante delle ascelle è un ottimo modo non solo per disintossicare il corpo dalle tossine, ma anche per ridurre il rischio di contrarre il cancro al seno. Vediamo insieme il problema da vicino e come disintossicarci. I prodotti per l’igiene in commercio contengono ingredienti tossici come alluminio cloridrato, parabeni, glicole propilenico, triclosano, quaternium 18, e varie altre tossine che nessuno dovrebbe assorbire attraverso la pelle. Il tessuto mammario, è prevalentemente adiposo, ed è circondato da molti linfonodi pertanto è soggetto all’assorbimento di tutto ciò cui viene in contatto e quindi anche di tossine. Molti studi hanno dimostrato che molte donne sviluppano il cancro nel quadrante superiore del seno, vicino ai linfonodi che si trovano appena sotto l’ascella. Sostanze chimiche, come l’alluminio presente nei deodoranti e i parabeni, intossicano il sistema linfatico, indeboliscono il sistema immunitario e il naturale processo di purificazione del corpo, aumentando l’acidosi tissutale, e poiché sappiamo che le cellule tumorali vivono in ambiente acido capiamo bene quanto importante sia mantenere il giusto equilibrio acido base anche in questa zona del corpo. In uno studio del 2007 pubblicato sul Journal of Inorganic Biochemistry, i ricercatori hanno analizzato dei campioni di seno di 17 pazienti malate di cancro pag. 12

al seno che avevano subito la mastectomia. Le donne che hanno usato antitraspiranti avevano depositi di alluminio nella parte più esterna del seno. Le concentrazioni di alluminio erano più alte nel tessuto vicino alle ascelle rispetto alla zona centrale del petto. L’alluminio è un metallo pesante tossico a qualunque concentrazione per l’organismo. In un altro studio hanno esaminato 40 donne che erano state trattate per cancro al seno al primo stadio, sono stati prelevati dei tessuti, e si è osservata la presenza di parabeni nel 99% dei tessuti di cancro al seno testati, quindi tutte le donne li avevano nel corpo. Sono numerosissimi i casi di tumori al seno sottoposti ad autopsia in cui è stata trovata un’elevata quantità di parabeni al loro interno. NON BISOGNA SOPPRIMERE LA SUDORAZIONE La sudorazione è uno strumento che il nostro corpo usa per disintossicarsi dalle tossine, è quindi molto importante non usare prodotti anti-traspiranti che bloccano la sudorazione, per di più contenenti tossine. Ecco perché è di vitale importanza mantenere liberi i pori delle ascelle e non usare prodotti tossici. Sotto le ascelle, si trova un’elevata concentrazione di linfonodi, importanti per il sistema immunitario e la disintossicazione del corpo. Pertanto è di vitale importanza mantenere la zona pulita, non usare prodotti chimici aggressivi ed acidi, imparare a tenere tutto l’organismo in equilibrio acido base attraverso una corretta alimentazione e la giusta acqua, possibilmente alcalina e ionizzata, non bisogna trascurare l’aspetto emotivo che anche in questi casi va riequilibrato in quanto una sudorazione che emana cattivo odore anche dopo una doccia può esprimere collera, rancore o può denotare una frustrazione che si protrae da troppo tempo. Fortunatamente ultimamente ho trovato deodoranti alcalini completamente naturali che in alcuni casi hanno curato anche dermatiti ascellari gestite ad oltranza con medicinali molto aggressivi. Si possono utilizzare senza ombra di dubbio anche alcuni olii essenziali, sono molto intensi basta davvero pochissimo, una due gocce per parte e la profumazione è assicurata. Resto sempre a disposizione per eventuali altri consigli.

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Lamezia e non solo


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