lameziaenonsolo giugno 2019 sant'antonio

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Lamezia e non solo

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LAMEZIAENONSOLO

parla di

SANT’ANTONIO DI PADOVA di Fernando Conidi

presenza che, come in ogni tempo, manità di più di Colei che è stata Una presenza viva Nella storia della Chiesa cattolica la richiama sempre verso un grande chiamata a esserne madre, in una figura di sant’Antonio di Padova è amore per Cristo e Maria Santissi- maternità che non ha limiti di spazio tra quelle maggiormente conosciute ma. Avviene, ancora oggi, come una e di tempo. L’amore di sant’Antonio e venerate. È un santo molto amato sorta di propagazione del sentimen- per la Madre di Cristo è sempre stain tutto il mondo e non vi è chiesa in to antoniano per Gesù e Maria, che to puro, palpitante come il suo cuocui non si trovi almeno una sua raffi- prende ancora vita nel cuore di car- re di apostolo itinerante del Signore. Possiamo definire sant’Antonio un gurazione. A distanza di molti secoli ne di ogni fedele. vero e proprio guerriero della dalla sua morte, il culto del fede, un figlio di Cristo e di santo continua a richiamare Maria, difensore dei poveri, al santuario di Padova miliodei deboli e degli afflitti, cani di fedeli, che ogni anno vi pace di sostenere ogni batsi recano per venerare le sue taglia per rendere onore e reliquie e chiedere grazie e gloria al Santissimo Nome di intercessioni. Il santo, grande Gesù Cristo, nostro Signore. taumaturgo, amico e difensore soprattutto dei più deboli, BREVE BIOGRAFIA colui che fa ritrovare le cose Sant’Antonio di Padova, diperdute, che restituisce la seversamente da come qualcurenità dell’amore alla famiglia, no ancora crede, non ha oriche non lascia mai che una gini italiane, ma Portoghesi; preghiera accorata resti sennacque, infatti, a Lisbona nel za intercessione, viene cerca1195, con ogni probabilità il to da tutti come amico fedele, 15 agosto, giorno dell’Ascencome confessore clemente, sione di Maria Santissima, da come colui che aiuta tutti a don Martino de Bulhões e superare le barriere opposte donna Maria Taveira. I genitodal maligno per far perdere la ri al battesimo gli imposero il fede e la speranza in Cristo. nome di Fernando. In poche parole, sant’Antonio è l’amico, il fratello che tutI primi passi verso la fede ti vorrebbero, su cui sanno Egli era un fanciullo quieto di poter contare, perché chi e riflessivo; già da piccolo, è fedele a Cristo lo è anche verso coloro che il Signore Sant’Antonio di Padova, olio su tela, 1617-1618 - Tanzio da sospinto dalla madre, mosVarallo se i primi passi verso la fede, stesso gli ha affidato. L’amore di sant’Antonio è un amore mansue- Un amore infinito per la Madonna alimentando così quella sensibilità to, non alza la voce, nei suoi gesti Chi si avvicina alla figura del santo che da adulto lo muoverà verso la non c’è violenza, ma calma, bene- padovano non può non sentire il so- ricerca interiore e l’introspezione. volenza e dolcezza; è un amore che ave profumo del suo amore per la La sua casa, a Lisbona, era a ponon cerca il proprio orgoglio, ma si Santissima Vergine Maria. Sant’An- chi metri dalla cattedrale dedicata compiace di condurre verso Cristo, tonio rivolgeva alla Madonna le sue alla Vergine Maria. Qui, guidato da unica e vera fonte dell’amore eterno preghiere più accorate, affinché, con uno zio canonico, che portava il suo la sua benedizione e con le sue san- stesso nome, e dagli altri chierici, e di salvezza. La presenza dei molti fedeli manife- tissime mani, guidasse ogni creatura iniziò ad apprendere i primi rudimensta una fede antoniana ancora per- terrena verso l’ineffabile presenza ti della cultura umana e delle sacre fettamente viva e presente, come di Cristo che, prima di esprimersi scritture. La passione e l’amore verse ognuno si sentisse ancora at- in ogni uomo, si esprime nel cuore so lo studio delle sacre scritture lo tratto dalla sua parola, che sembra stesso della Vergine Santa. Nessu- spinsero ad alimentare sempre di riecheggiare ancora, e dalla sua no, dopo il Signore, può amare l’u- più quel bisogno interiore di cono-

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L’inizio del cammino di fede All’età di circa quindici anni, verso il 1210-1211, spinto dalla fede e dall’amore per il Signore, decise di entrare nel convento agostiniano di San Vincenzo, nei pressi di Lisbona; ma dopo circa due anni, poiché disturbato dalle continue visite di parenti e amici, decise di trasferirsi presso i canonici agostiniani del monastero di Santa Croce, in Coimbra, dove, lontano dai richiami del suo ambiente e dagli stimoli mondani, avrebbe sicuramente potuto trovare quella giusta serenità interiore di cui aveva bisogno per dedicarsi allo studio delle sacre scritture e alla di-

di Cristo. In quegli incontri Fernando scopriva, sempre di più, una forte attrazione spirituale per il loro modo di vivere, per la gioia e la serenità che avevano dentro e che traspariva dal loro volto, nonostante le privazioni e le penitenze a cui si sottoponevano. Così, in quei suoi dialoghi, avvinto da quella loro grazia interiore, cercava di approfondire la conoscenza del loro stile di vita e anche l’ispirazione di fede e la spiritualità di Francesco, fondatore del loro ordine. Proprio in quel periodo (inizi dell’anno 1220), erano state trasportate presso il monastero di Coimbra le reliquie dei cinque missionari francescani trucidati

Chiesa di Sant’Antonio di Padova, eretta sulla sua stessa casa - Lisbona

scenza del messaggio evangelico. La sua maturità umana e spirituale, man mano che passavano gli anni, aumentava ed egli sentiva crescere dentro di sé la necessità di concretizzare quel bisogno interiore con la scelta di un vero e proprio cammino di fede. La guida della madre e la formazione religiosa dei chierici della cattedrale saranno una base essenziale per la sua vita, rivelandosi un bene prezioso per la sua interiorità spirituale, che lo porterà ad avere molto precocemente un sentimento spirituale maturo, che andrà ben oltre le semplici sensazioni emotive.

Monastero di Santa Croce, Coimbra (Portogallo)

sciplina monastica, a cui aspirava ardentemente per soddisfare quel suo bisogno di pace interiore. Completato il percorso spirituale e gli studi teologici, Fernando venne ordinato sacerdote a soli venticinque anni, in deroga alle leggi allora vigenti (anno 1220).

Cattedrale di Lisbona, poco distante dalla Chiesa di Sant’Antonio

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L’incontro con i frati minori Egli, presso il monastero di Coimbra, aveva conosciuto i primi frati minori dell’Ordine di san Francesco d’Assisi che, essendosi stabiliti nel vicino eremo di Olivais, vi si recavano a chiedere l’elemosina. Fernando rimase affascinato dalla loro vita semplice, priva di qualsiasi tipo di agiatezza, simile a quella degli apostoli GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

a Marrakech, in Marocco. Fernando rimase profondamente colpito da quella vicenda che, pur rattristandolo e addolorandolo, accese in lui una fiamma interiore, suscitando un sentimento di fede ancora più profondo, che scaturì in una ancora più convinta volontà di donarsi totalmente al Signore, anima e corpo. Questo nuovo e forte sentimento lo fece riflettere molto sul futuro della sua vita monastica e sulle sue aspirazioni interiori. Quelle profonde e sofferte riflessioni avevano smosso le acque della sua anima, in cui egli cercava, attraverso la preghiera e lo studio delle sacre scritture, di entrare in contatto con quel Gesù che tanto amava, e a cui desiderava donarsi totalmente. Lamezia e non solo


Monastero di Santa Croce, chiostro

La scelta Egli sentiva nel suo cuore che avrebbe voluto seguire le orme degli apostoli di Cristo, e quei frati, con la loro vita, ne erano un riflesso perfetto, poiché poveri, vestiti solo di un umile e grezzo saio, ma con la gioia nel cuore; quella era la gioia cui anche lui anelava, ma che non aveva ancora trovato, poiché credeva fosse nella teologia, nella conoscenza delle sacre scritture, invece si accorgeva sempre di più che essa si trovava nella povertà e nell’umiltà. La consapevolezza di aver trovato ciò che stava cercando diveniva sempre più un’assoluta certezza guardando quei poveri frati che avevano rinunciato a tutto per seguire il Vangelo, per operare secondo la vera volontà di Cristo. Aveva, quindi, preso la sua decisione: entrare nell’Ordine di Francesco d’Assisi. Ma neanche quello poteva bastare al suo zelo di apostolo di Cristo, alla sua grande aspirazione interiore; per essere veramente felice e sicuro della salvezza, nel suo cuore, anelava al martirio, come quei frati trucidati mentre predicavano in Marocco. Ecco, quello era il vero fine, l’obiettivo del suo spirito, la massima soddisfazione del suo cuore: morire per Cristo, per ricevere la tanto sospirata palma del martirio. Fernando era molto amato nel monastero di Santa Croce e nessuno avrebbe voluto perdere quel canonico forte come una roccia e umile come un passero. Lamezia e non solo

L’abate, in particolare, contava molto su di lui, prevedendone una possibile carriera monastica e, sin dall’inizio, si oppose alla richiesta di Fernando di lasciare il monastero per entrare nell’ordine minoritico. Alla fine, però, viste le insistenti preghiere di Fernando e la forte motivazione interiore, dovette cedere dandogli il consenso, cosciente di perdere uno spirito forte e dalle molte qualità umane. Frate minore Fernando, con la promessa dei frati di poter andare a predicare nella

Sant’Antonio di Padova

terra dei saraceni, entrò nell’Ordine di Francesco, mutando il suo nome in frate Antonio. Partì, così, alla volta dell’Africa, ma giuntovi non riuscì nell’intento della predicazione a causa di una malattia che lo costrinse a rimanere a letto per un intero inverno. Vistosi impossibilitato a ottenere ciò che desiderava ardentemente nel cuore, nell’intento di recuperare un po’ di salute, decise di rientrare in patria. Ma durante il viaggio di ritorno i venti contrari e impetuosi sospinsero l’imbarcazione alla deriva fino alle coste della Sicilia. Lì fu ospite dei confratelli di Messina. Rimessosi in salute, anche se non completamente, a maggio del 1221 partì verso Assisi per partecipare al “Capitolo delle stuoie”, dove vide e ascoltò Francesco. Terminato il capitolo (8 giugno 1221), al momento del commiato, Antonio fu dimenticato da tutti e rimase da solo. Frate Graziano, ministro dei minori in Romagna, notò il confratello rimasto da solo e, saputo che era sacerdote, lo assegnò all’eremo di Monte Paolo nei pressi di Forlì. Per circa quindici mesi Antonio rimase lì meditando, pregando e servendo. Un vero predicatore Nel settembre del 1223 scese a Forlì, dove era prevista l’ordinazione di alcuni sacerdoti. Era consuetudine che prima della celebrazione si tenesse una breve predica spirituale, ma nessuno tra i presenti era preparato per farla, sennonché il superiore francescano si rivolse ad Antonio ordinandogli che la facesse lui; egli, per obbedienza, accolse l’invito, improvvisando un discorso dal quale rifulsero le sue qualità spirituali, la conoscenza delle sacre scritture e la sua grande eloquenza. Da quel momento, viste le sue capacità, fu destinato alla predicazione itinerante. Il primo campo di battaglia da predicatore contro le eresie dei catari, che in quel periodo dilagavano, fu proprio la Romagna. Divenne così anche docente di teologia a Bologna. La sua parola di predicatore, oramai apprezzato e ricercato, arrivò fino alla Francia, dove predicò a Montpellier, Tolosa, Arles, Limoges, etc. Vestito del suo rozzo saio, Antonio evangelizzava, simile agli aposto-

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li di Cristo, con le sue privazioni, ma con la consolazione e la gioia di fare la volontà del Signore nel cercare la salvezza di tutti coloro che incontrava. Nel 1227 rientrò in Italia per il Capitolo generale dei Frati minori, tenuto ad Assisi per la Pentecoste il 30 maggio di quell’anno. Divenne anche ministro provinciale delle regioni settentrionali, predicando in molte città del nord Italia. La sua fama di predicatore e evangelizzatore cresceva sempre di più. Durante questi suoi percorsi di vita itinerante lasciava lungo il tragitto non poche conversioni, operando anche molti prodigi, come raccontano le agiografie sulla sua vita. Amore per la predicazione e la scrittura Antonio visiterà vari conventi dell’Italia settentrionale, prediligendo poi la città di Padova, dove si fermerà tra il 1229 e il 1230, per predicare e completare i suoi Sermones dominicales, un voluminoso testo rivolto soprattutto ai confratelli come sussidio alle loro predicazioni. I suoi scritti lasciano trasparire la sua profonda cultura teologica e la sua grande sensibilità spirituale; ogni sua qualità egli la sottometteva al servizio della volontà del Signore, prima tra tutte la conversione dei peccatori per la salvezza delle anime. Le sue predicazioni erano trasbordanti di fede e di zelo per il Signore. Antonio era un infaticabile predicatore fino a essere capace di predicare per l’intero periodo della Quaresima di quell’anno. Egli predicava instancabilmente, sottoponendo il suo corpo a un estenuante impegno fisico ed emotivo al servizio del suo spirito, che bramava predicare la parola di Dio come fosse l’unico suo cibo, con cui alimentare la sua stessa anima e quella di ogni fratello in Cristo. Penitenza e orazione Antonio predicava come se non avesse un corpo, trascurava il riposo e si sottoponeva sovente a sacrifici penitenziali, lunghi digiuni e orazioni continue. La sua salute fisica e le sue forze erano logorate dalla sua instancabile volontà, che alimentava lo spirito e trascurava il corpo. Dopo quel periodo di predicazioni contipag. 6

Basilica di Sant’Antonio - Padova

piume, che gli ricordavano il saio che portava addosso, segno di povertà e umiltà.

Sant’Antonio di Padova, statua venerata a Lamezia Terme (CZ) dove la devozione per il santo è particolarmente sentita

nue, stanco fisicamente e provato nelle forze corporali, decise di ritirarsi a Camposampiero, località nelle vicinanze di Padova, nella proprietà del feudatario Tiso VI, che aveva offerto un romitaggio ai frati. Lì, Tiso gli fece costruire una cella sopra un grande noce, dove Antonio amava sostare in preghiera, libero, tra i rami, sospeso sopra la terra, come un semplice passero del cielo, a cui egli si sentiva molto simile, per la semplicità e per il colore delle sue GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

Verso la dimora celeste Il 13 giugno 1231, mentre si trovava a pranzo con i confratelli, improvvisamente, si sentì venire meno, colto da un collasso generale. Ripresosi lievemente, espresse il desiderio di ritornare a Padova, ma lungo il tragitto, a causa del peggioramento delle sue condizioni, dovette fermarsi all’Arcella, presso i cappellani delle clarisse. Qui, confortato dai fratelli, dopo aver cantato assieme a loro l’inno alla Madre Celeste O gloriosa Domina, ricevuta l’assoluzione sacramentale e l’olio degli infermi, si accomiatò da questa vita per raggiungere le celesti dimore. La sua salma, superati vari contrasti sulla scelta del luogo, fu tumulata nella chiesa di Santa Maria, sede della comunità dei frati minori, dove oggi sorge la Basilica a lui dedicata, meta di pellegrinaggio di milioni di fedeli provenienti da tutto il mondo. Antonio fu canonizzato da papa Gregorio IX, nel Duomo di Spoleto, a meno di un anno dalla sua morte, il 30 maggio 1232. Il 16 gennaio 1946 papa Pio XII lo proclamerà Doctor evangelicus. Il culto di sant’Antonio di Padova continua ancora oggi, dopo quasi otto secoli, a convertire il cuore di chi cerca Cristo con sincerità. Lamezia e non solo


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Primo cd a cura degli allievi Della scuola di musica

“Percorsi

sonori” di lamezia

di Antonio Perri

Il primo compact-disc della scuola di musica “Percorsi Sonori” A meno di un anno della sua costituzione l’associazione musicale “Percorsi Sonori” di Lamezia Terme, presieduta dai maestri Francesco e Alessandro Vescio, si propone con un’iniziativa del tutto originale dalle finalità alquanto profonde: la realizzazione di un compact-disc a cura dei propri allievi che ne hanno curato l’esecuzione orchestrale dietro la valida guida dei loro maestri. Superando i vari saggi e spettacoli che si organizzano nel corso dell’anno scolastico con i ragazzi, Percorsi Sonori ha voluto siglare questo nuovo anno con un’iniziativa che sta a “timbrare” lo scopo per il quale il maestri Vescio si sono sempre adoperati a favore di tutti i giovani che si avvicinano al mondo dell’arte musicale, il concetto di musica come armamento del buon vivere, aggregazione, condivisione di idee, confronto e sviluppo collettivo di iniziative importanti che non svaniscano col tempo ma che restino come prova tangibile di un progetto ideato, condiviso, vissuto e finalmente realizzato. Nel cuore di questo compact-disc sono racchiusi una sorta di emozioni di gruppo che vanno dal divertimento allo studio, dalla fatica alla soddisfazione, dall’espressione personale

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alla condivisione con gli altri compagni di lavoro che sfociano in una bellissima espe-

rienza vissuta insieme. A partire dal mese di gennaio i ragazzi della scuola Percorsi Sonori, dopo una lunga ed accurata preparazione nei laboratori di musica d’insieme, sono stati ospiti dello studio di registrazione Yara Record di Lucio Ranieri in Catanzaro realizzando, cosi’, non solo il fatto in se di registrare un disco, bensì hanno avuto la possibilità di acculturarsi anche sulle tecniche della registrazione multitraccia, vivere di persona quello che fanno i grandi idoli ed hanno seguito anche delle lezioni e acquisito dei riferimenti utili, date nell’occasione dal fonico Ranieri su tutte le fasi della registrazione quindi, anche un aspetto culturale che ha arricchito gli allievi di nuove conoscenze e competenze facendoli ulteriormente crescere. Il maestri Vescio, presiedono oggi questa nuova “creatura”, a dir loro per spirito di rinnovamento. Percorsi Sonori, con sede in Lamezia Terme in via Lissania, 16 (di fianco la Curia Vescovile in centro storico), sta già lavorando su un prossimo progetto curato e realizzato sempre dai suoi affezionati allievi. Sicuramente una gran bella esperienza, da chi è partita l’idea? Francesco: Beh, si stava valutando sulle varie iniziative da realizzare quest’anno con i ragazzi, essendo il primo anno di

che potesse rimanere senza però perdere di vista ciò che serve veramente agli allievi e alla fine, fra le tante proposte che prevedevano spettacoli, serate, jam session o quant’altro ha prevalso l’idea di realizzare un compact-disc, certamente con tutte le difficoltà che esso comporta, quindi ci siamo lanciati in quest’avventura. L’idea l’ha avuta Alessandro. Padre e figlio che portano avanti una struttura didattica e diffondono cultura, dev’essere bello per entrambi, Francesco che effetto fa? Francesco: L’effetto l’ho già provato in occasione di un tour che abbiamo fato insieme anni fa, quando lui era ancora più giovane ed io meno vecchio, lavorare con un figlio giovane è sicuramente di grande aiuto, specialmente quando l’età avanza affievolendo le energie che servono in questo settore. Alessandro inconsciamente me ne fa dono stimolandomi costantemente e con positività nell’affrontare un quotidiano fatto sempre di nuove iniziative, a volte mentalmente faticose da affrontare. Non nascondo che a volte ci “scontriamo” ma il bello è proprio questo. Nel cd hanno preso parte tutti i vostri allievi o solo parte di loro? Alessandro: Abbiamo coinvolto i ragazzi più preparati studiando però delle parti un po’ più semplici da fare eseguire ai nuovi iscritti alle prime armi e penso che questa sia stata la carta vincente, quella di dare la possibilità, nonché la gioia, di far parte del gruppo di lavoro e di condividere la musica indipendentemente dal livello di preparazione acquisito. Chiaramente per motivi di tempo abbiamo pensato di destinare il settore dei bambini ad un lavoro che abbiamo già in cantiere per il prossimo anno scolastico.

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costituzione di questa nuova scuola, ma allo stesso tempo combinare qualcosa

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La scelta dei brani. Francesco: Sono stati gli stessi allievi a


Massimo Esposito). Quindi chi volesse dare un contributo alla cultura e alla crescita giovanile può semplicemente mandare un messaggio whatsapp al 331/7875200 o su Facebook sulla pagina “Percorsi Sonori”, sarà nostra cura fornirlo. Si richiede un contributo associativo a partire da un minimo di 7 euro.

scegliere i brani da realizzare in quanto a scuola spesso organizziamo dei laboratori musicali durante i quali gli allievi studiano l’esecuzione in ensamble di vari brani musicali. Certo a volte qualche brano piace un po’ di meno rispetto ad un altro, questo dipende dai gusti e dalle tendenze musicali di ognuno. Ci tengo a sottolineare, comunque, che i nostri ragazzi sono stati coinvolti a pieno titolo in tutte le fasi della realizzazione del cd, dalla registrazione alla scelta dei brani per finire all’impostazione della grafica e quant’altro. Il brano di punta del compact è un opera di J. Fogerty/H. Peroncini che porta il titolo di “Proud Mary”, interpretato dai Credence, da Tina Turner e tanti altri. Diciamo che è il pezzo più commerciale del disco. Gli altri due brani sono un po’ più di nicchia: “Tune 88” di Jeff Lorber e “Doobie” di Michel Cusson nei quali i chitarristi si sono potuti esprimere con le loro performance improvvisative. Ci vuoi elencare i musicisti che hanno suonato? Francesco: Certamente, alla batteria Marcello Saladino, per il basso elettrico Michele Sirianni, chitarre e voci Celeste Iiritano e Luigi Strangis, pianoforte e tastiere Alessandro Vescio ed infine per le chitarre acustiche ed elettriche Vincenzo Costanzo, Fabio Vigliaturo, Antonio Nanci, Lorenzo Leone, Vincenzo Scalise e Lorenzo Manfredi. E chiaramente l’amico Lucio Ranieri che infine ha curato con estrema maestria l’editing dei brani, i missaggi e mastering al fine di fornirci il prodotto finito per la stampa. Si denota un’ottima grafica con idee semplici ma d’effetto, quella grande

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ruota ha un significato? Di chi è stata l’idea? Alessandro: Quasi tutte le cose nascono da un aneddoto. Una sera a cena si discuteva della vita lavorativa in generale e durante il discorso mio padre disse “si ma comunque la ruota non si deve fermare, dobbiamo continuare a girare, nella vita non ci si deve fermare”, riferito soprattutto alla nostra associazione. Mio fratello Marco replicò in lingua inglese: “let’s keep on turning!” e così nacque il titolo del disco, quindi, anche l’idea di raffigurare una grande ruota che continua a girare. Il tutto è stato poi girato al grafico Enzo Cerullo che ne ha curato tutti i dettagli, i colori e quant’altro. Notiamo una dedica in seconda di copertina, vi va di parlarne? Francesco: E’ per me un onore parlare del maestro e grande amico Pietro Aldieri. Proprio durante le fasi di realizzazione del disco un mio carissimo e giovane amico, eccellente chitarrista di Catanzaro, ci ha lasciati a causa di un male incurabile ed ho ritenuto doveroso dedicare a lui quest’opera. Come ritengo doveroso devolvere all’AIRC parte degli incassi derivanti dai contributi che riceveremo nel tempo, almeno speriamo… A proposito di contributo alla musica, vogliamo informare i nostri lettori circa l’acquisto del compact-disc? Alessandro: Il cd è stato autoprodotto, sebbene un aiuto è stato sensibilmente offerto da alcuni amici sponsor che ringraziamo di cuore (La Bottega della Musica di Rosario Stocco, la famiglia Battaglia e il loro splendido “Lissania Garden”, l’amico ed artista napoletano

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Parlaci della fase forse più interessante e cioè l’esperienza in studio di registrazione, quanto ha giocato l’emozione e qual è stata la reazione dei vostri allievi? Francesco: I ragazzi erano molto preparati e quindi pronti per affrontare la loro prima esperienza in studio, ovviamente l’emozione ha fatto la sua parte ma è stata un sentimento positivo. Anch’io prima di registrare un qualsiasi take provo una certa emozione. Sono state due intere giornate comunque molto divertenti, dalla partenza fino al ritorno. I ragazzi hanno avuto modo intanto di socializzare e trascorrere due giorni immersi nel mondo della musica sotto tutti gli aspetti. La cosa più formativa è stata quella di vivere lo studio di registrazione, comprendere le tecniche della registrazione multitraccia, assistere alle mini-lezioni da parte di Lucio Ranieri, scoprire i vari “trucchi del mestiere” e tanto altro ancora. La reazione dei ragazzi è stata delle migliori, come era prevedibile, molto stupore e sicuro appagamento, nonché molta gratitudine nei riguardi dei maestri che ne hanno apprezzato una diligente partecipazione oltre al brillante risultato ottenuto, che si può evincere dall’ascolto del disco. Ma parliamo anche della vostra scuola di musica, dov’è situata, gli strumenti che si possono studiare… Alessandro: L’associazione musicale “Percorsi Sonori” è situata in via Lissania, 16 (centro storico di fianco la Curia Vescovile). I corsi che vanno per la maggiore sono: pianoforte, chitarra moderna, canto, organetto, batteria, propedeutica musicale (dai 6 anni in poi) e il corso Hobby per adulti. Per chi avesse intenzione d’imparare uno strumento musicale offriamo la possibilità

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di frequentare il primo mese gratuitamente in prova al fine di testare le proprie attitudini e scegliere lo strumento adatto con l’aiuto e i consigli dei nostri maestri. Le attività didattiche iniziano a settembre e terminano a giugno con i saggi di fine anno. Per gli interessati i nostri contatti sono: 331/7875200 - percorsi.sonori@ libero.it – Fb: pagina “Percorsi Sonori”. Yara Record, quindi anche sul nostro territorio esistono strutture professionali dove poter incidere, visto che avete scelto di registrare a Catanzaro. Francesco: Certo, forse non tutti sanno che la Yara Record di Lucio Ranieri opera sul territorio da più di 30 anni. Oggi, grazie alla tenacia e alla professionalità del titolare la Yara ha raggiunto livelli altissimi non solo per quanto concerne le attrezzature costantemente rinnovate e all’avanguardia ma soprattutto per lo staff di compositori e turnisti. Penso fermamente che la Yara Record si classifichi ai primi posti tra le strutture professionali dell’intero “stivale”. Non per uscire dal seminato ma se dovessi dare un consiglio ai giovani d’oggi riguardo alle scelte culturali da intraprendere e, soprattutto, come sceglierle cosa suggeriresti? Francesco: Bella domanda! Mi rifaccio ad una frase non mia ma che mi ha fatto molto riflettere “la musica mi ha salvato la vita” (Eric Clapton). Non esiste forma culturale alcuna che sia deleteria o che faccia male a qualcosa, se vissuta con serenità e

senza estremismo o esasperazione. Non è neanche difficile individuare il benessere psico-fisico e il malessere in ogni cosa. Il mio spassionato consiglio che posso dare ai giovani è quello di ritagliare una grande fetta della loro vita per dedicarla ad un’arte, che sia musica, pittura o danza non importa. Io posso parlare della musica e posso affermare che è l’unica cosa che può aprire le porte ad una vita parallela fantastica dove non c’è spazio per lo stress, la frenesia, il nervosismo, le paure, l’invidia o cose simili. E quando si fa ritorno nella vita, oserei dire, “normale” lo si fa con ordine e serenità poiché si è consapevoli che il prossimo viaggio è vicino, che c’è sempre al fianco qualcosa che ci difende e ci preserva da tutto ciò che è negativo, la musica! Ma torniamo al disco. Per chi volesse realizzare un cd e quindi anche la realizzazione dei brani e non sa a chi rivolgersi con fiducia, potrebbe interpellarvi? Voi soddisfate anche questo tipo di bisogni? Francesco: Certamente, abbiamo e stiamo già lavorando su vari progetti musicali offrendo la massima professionalità, almeno per quanto riguarda la creazione dei brani, compresi gli arrangiamenti, la registrazione per finire all’editing e alla stampa finale del supporto. Siamo anche in grado di fare ascoltare al cliente una vasta gamma di demo già realizzate al fine di una valutazione iniziale ed una previsione certa del prodotto finale.

Bene, allora non ci resta che augurare a tutti voi il meglio sia per il cammino di questo compact-disc che di “Percorsi Sonori” e ringraziarvi per il vostro costante impegno nell’educazione musicale dei nostri giovani. Grazie a voi per averci ospitato nel vostro mensile di informazioni.


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“La contemplazione filosofica nella poesia e nell’aforisma” Incontro con il Prof. Filippo D’Andrea

di Antonio Perri Sono qui tra di voi in veste di amica, più che di umanista, per raccontarvi un po’ di Filippo D’Andrea, della Sua opera di Aforismi dall’illuminante titolo Faville e di ciò che ha avuto il potere di trasmettermi. Non sono nuova ad un’attenta lettura delle Sue produzioni letterarie. Questo perché il Professore D’Andrea mi onora delle Sue attenzioni invitandomi a relazionare negli incontri che organizza per sé, ma anche per opere altrui. Premetto che non sono abituata a parlare di fronte a platee così importanti, interessate e attente. I miei interlocutori sono i miei cari alunni. Vi racconterò ciò che ho sentito e che ho trascritto nel silenzio del mio studio. In particolar modo Vi porgerò alcuni dei Suoi aforismi a cui ho dato una “lettura personale”. Sono molto felice di essere in questa sede innanzitutto perché spero di apportare un contributo alla divulgazione di questa opera e di chiarire alcuni aspetti del pensiero e dell’anima dell’uomo e dello studioso Filippo D’Andrea. Poi sono altrettanto felice perché Chiaravalle mi è molto cara per i miei trascorsi lavorativi presso l’Istituto Tecnico diretto ora dalla Dirigente Prof.ssa Elisabetta Zaccone e nel quale ho avuto modo di lavorare anche con la cara collega del Liceo e amica Chiarina Macrina. Sento, infatti, di voler sottolineare, visto che l’appartenenza al mondo scolastico è predominante in questo convivium, il meraviglioso ricordo che è in me della scuola, dei colleghi, degli alunni, di tutti. Quando il Professore D’Andrea mi ha annunciato, a fine agosto dello scorso anno, di aver ottenuto la cattedra di Storia e Filosofia presso il vostro Liceo gli ho preannunciato che avrebbe trovato un ambiente estremamente accogliente, positivo e intellettualmente molto vivace. Devo ammettere che gli ho subito detto che Chiaravalle sarebbe stata fortunata ad avere un docente e tanto altro….del suo calibro... Filippo D’Andrea è un Uomo grande in tutti i sensi! Lo dico con molto affetto! La Sua bontà, i Suoi grandi valori, la Sua generosità intellettuale e personale, la Sua estrema umiltà sono trasparenti: due occhi, un sorriso, una fisicità molto rassicuranti…che sostanziano una cultura immensa e poliedrica, sempre volta al Bene! Leggendo Faville, che dà il titolo a questa ricca pag. 10

raccolta di Aforismi per la contemplazione filosofica, senza falsa retorica, ho gioito perdendomi nell’intima profondità di pensiero del Prof. Filippo D’Andrea… una profondità alta e sublime che conosco da tempo… E’ questa una veste scritturale nuova, seppur sempre eletta ed elegante. Ho ritrovato nelle brevi frasi che riempiono queste pagine quel modus scribendi pacatamente passionale che caratterizza molte delle Sue opere: il bianco e il nero, il bene e il male come principio e fine ultimo del Suo cammino contemplativo. Se “A passo di capre” ne elogia la lentezza, “Faville” ne esalta, invece, la passionalità, quella sintesi di desiderio e sofferenza capace di risvegliare la mente e la coscienza morale. La svelta scrittura aforistica cela l’aspirazione recondita, da parte di Filippo D’andrea, di raccontare al mondo quelle verità nascoste, spesso troppo belle, spesso troppo brutte, che non sempre ognuno di noi ha il coraggio di riconoscere o svelare. “Faville” nasce dall’acuta osservazione della realtà circostante di un uomo a cui non sfugge nulla. Conosco Filippo D’Andrea, l’uomo, il teologo, il filosofo, il poeta, lo storico, il musico, il cantore…e tanto altro… Ne conosco lo sguardo silenzioso che è già pura poesia… Ne conosco le pause, le riflessioni…il tono di voce pacato e rassicurante…. la grandiosa semplicità…le frasi spezzate che vanno oltre… Ne disconoscevo, però, il desiderio di libertà che si legge in queste pagine… Cos’è la libertà per Filippo D’Andrea? Lo chiarisce poeticamente in questi aforismi La libertà esiste? Sì! Come sogno e come desiderio. Come orizzonte e come ricerca. Come cammino e come visione. e ancora La libertà del pensare si conferma sulla verità trovata e cercata, desidera il massimo bene ed ama la più pura bellezza. La libertà per Filippo D’Andrea è, dunque, ricerca di Luce! I suoi aforismi ne sono un’alta espressione, in quanto “lucciole” di saggezza: alcuni, lievi, scaldano il cuore; altri, abbaglianti, raggelano il sangue. Rivelano, tutti, grandi verità, in chiave arguta, sensibile, umoristica, a volte caustica, con la GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

stessa finezza ed acutezza che caratterizzano tutte le sue opere. Sono pensieri spontanei di apparenti piccole cose, una scrittura fugace e leggera che in realtà condensa un mondo, il mondo di uno studioso che ha un’insaziabile sete di conoscenza e dedica la Sua vita e il Suo tempo alla riflessione e alla meditazione, come passaggi obbligati di una concreta operatività. Credo prevalga, infatti, in Filippo D’andrea la dimensione pratica del pensiero filosofico. Questa raccolta ne è una conferma! Non me ne vogliate e non me ne voglia soprattutto Lui, se ora mi rivolgerò al Professore D’andrea direttamente e per nome. Non ho altro modo per chiamare un grande amico che è dono di Dio nella mia vita, anche e soprattutto perché ci accomuna un profondo Credo. Inoltre desidero che il mio monologo, a cui sicuramente seguirà una Sua risposta, abbia un sapore dialogico e di stretta condivisione. Leggendo i Tuoi aforismi, Filippo, mi sono chiesta in cosa consista la contemplazione filosofica di cui parli!... Quali i suoi legami con la realtà, con la tangibilità che spesso ci soffoca!... Quali le finalità e i compiti in una quotidianità scandita dalla fretta e spesso dalla necessaria superficialità! Quanti di noi hanno il tempo di pensare, addirittura di contemplare? Quanti di noi vanno oltre!!!…. Da “non filosofa” vorrei capirlo insieme a Te e ho cercato di farlo leggendoTi! Parlare di contemplazione filosofica, se non si è studiosi della materia, equivale ad addentrarsi in una “selva oscura”. La Filosofia ci spaventa, perché ci rimanda ad un mondo di astrazione, ad un sapere troppo lontano dalla quotidianità, troppo grande, troppo alto…. Poi se penso alla filosofia “scolastica”, non riferendomi a quella medioevale, ma a quella impartitami a scuola, è un ricordo volutamente sbiadito: pagine e pagine di studio e interrogazioni sulla Storia della filosofia. Anche noi docenti abbiamo i nostri trascorsi…e siamo stati alunni!… Quando poi ho letto un Tuo Aforisma sulla filosofia (lo voglio chiamare col nome che gli hai dato!) e precisamente Favilla, la numero 31, che dice esattamente Lamezia e non solo


Anche il contadino analfabeta può essere un filosofo se pensa il suo rapporto con la terra. E, se lo intende la sua vocazione, è anche un contemplativo. …ho tirato un respiro di sollievo… Se lo può essere il contadino nell’atto del pensare ciò che gli appartiene, lo possiamo essere un po’ tutti…. Leggendo le Tue parole, ho maturato l’idea che possiamo guardare alla Filosofia con una luce nuova… Se pensiamo alla questione da una prospettiva diversa, noi “contempliamo filosoficamente” ogni qualvolta pensiamo, gioiamo, soffriamo, risolviamo la nostra realtà…ogni qualvolta scopriamo bagliori che illuminano il nostro cammino e segnano la nostra crescita…. Ho avuto questa certezza anche osservando la foto di coperina del libro scattata da Giuseppe, tuo figlio, che ha colto mirabilmente il tuo messaggio…. Io so che dietro quel vetro che proietta su un caratteristico scorcio di Lamezia ci sei Tu, che contempli la vita ricercando luci… Oggi, rispetto al mio ieri adolescenziale, scandito da uno sterile studio della filosofia, al mio ieri antecedente alla Tua conoscenza, con un’altra maturità e consapevolezza, altri obiettivi e il desiderio di andare più a fondo nelle cose, mi domando se la filosofia sia un privilegio solo dei cultori della natura astratta che esprimono la loro visione del mondo con linguaggio tecnico, accessibile a pochi, o se possa essere anche espressione ed esercizio di un pensiero più universale, applicabile a questioni di natura più concreta e quotidiana. Non tutti possiamo sederci sulla Tua stessa poltroncina del Caffè del centro di Nicastro e contemplare filosoficamente il conoscibile e l’inconoscibile! Però, come il contadino, possiamo pensare e coltivare il nostro rapporto col nostro humus. Favilla 547 La Filosofia conduce l’uomo al suo essere. Il Tuo messaggio è chiaro: la filosofia, sia quella “difficile”, degli imperscrutabili misteri della vita e del mondo, che quella “facile”, più spicciola, pratica, reale, quotidiana, può, anzi deve essere praticata da tutti. E’ necessario che l’uomo ritorni a pensare se stesso! Favilla 276 Filosofia come metodo ed arte del pensare, non solo come apprendimento di storia filosofica… E sappiamo che si gioca la pienezza dell’essere umano se si procede nell’indebolimento dell’esercizio della ragione e dell’intelletto, dell’analisi e del giudizio, del discernimento e della libera e consapevole autodeterminazione. La massificazione e il consumismo ha intaccato la mente umana Lamezia e non solo

riducendo la coscienza e la ragionevolezza. Come sottolinei in questi aforismi, è necessario, dunque, che l’uomo si risvegli!... che, in controcorrente con le spinte negative della modernità, eserciti l’uso della ragione analizzando, giudicando, discernendo, imparando ad autodeterminarsi… E’ un richiamo al Conosci te stesso socratico , a rientrare nella propria interiorità per distinguere il bene dal male, ciò che è giusto da ciò che è ingiusto…. E’ un chiaro invito a ricercare la verità e il vero sapere per scoprire il modo migliore di vivere. Favilla 549 La filosofia, come pensiero colto e contemplativo, accompagna la storia verso la sua edificazione. Urge, dunque, che il pensiero colto e contemplativo venga fruito da tutti. L’obiettivo è la “leggibilità del vero”. Se la verità non è leggibile e rimane privilegio di pochi eletti, “ vano è il lavoro del filosofo”, diceva Epicuro. I tuoi piccoli frammenti aforistici, nella loro brevità, non sminuiscono il pensiero, ma, nell’immediatezza, risvegliano intelletto e coscienza. Nelle tue “Faville” sostanza e forma, significante e significato si fondono perentoriamente in un’essenzialità che scruta oltre l’apparenza, che è rivelazione. A volte ne ho percepito il sapore della liberazione… L’aforisma è, così, via privilegiata perchè la Tua contemplazione filosofica diventi patrimonio di tutti. Una contemplazione applicabile alle più svariate situazioni di vita, che va oltre la vita e che può essere concepita come “cura dell’anima”. Quando mi hai rivelato che Ti occupi, tra una lezione a scuola o una lectio magistralis all’Università, un Cenacolo filosofico, la pubblicazione di un libro e tanto altro anche di Counseling filosofico, non sapevo bene di cosa si trattasse. Ho subito intuito che avesse a che fare con la “cura dell’anima”. Ebbene si! Incuriosita, documentandomi, ho capito che la filosofia induce i filosofi non solo a porsi grandi domande, a riflettere sull’universo, sul significato dell’individuo nel mondo, sul senso della vita, sulla natura, sulle possibilità e i limiti della conoscenza, ma può essere soprattutto utile ad affrontare problemi di natura esistenziale e quotidiana. Una filosofia, quindi, che, tra le altre cose, ha lo scopo di fornire strumenti per osservare i problemi da un nuovo punto di vista inducendo l’uomo a rafforzare la propria identità e insegnandogli a guardare la realtà con occhi nuovi, a stemperare i propri disagi e trovare conforto in comunione con gli altri. Oggi, in una destrutturante quotidianità costruita intorno all’apparire, alla materia

e alla corporeità, totem indiscussi della società moderna, sembra un po’ paradossale e anacronistico parlare dell’ anima, il cui valore appare definitivamente smarrito. Eppure, ce n’è un estremo bisogno! Specie tra le nuove generazioni! Noi insegnanti lo percepiamo quotidianamente…. Secondo la tradizione antica i valori più alti, dalla razionalità, all’intelligenza, alla conoscenza e alla coscienza morale risiedevano proprio nell’anima. Questo perché l’ideale di vita era il “vivere bene”, cioè il vivere con virtù e giustizia. Socrate sosteneva che “tutto l’uomo è nell’anima”. Per vivere bene, dunque, bisogna curare la propria anima partendo da se stessi: è necessario conoscere se stessi e, per conoscersi, occorre vivere filosofando. Diceva Epicuro “Come la medicina cura i mali del corpo, così la filosofia cura le passioni ( i mali) dell’anima! E, poiché, come affermi, La conoscenza è il pane dell’anima il filosofo, colui “che sa”, può curarla aprendosi al dialogo e al confronto con il non filosofo, colui che “non sa” e tentare, così, insieme all’altro, di dare un senso al mondo in cui vivono mettendo in gioco le proprie conoscenze. Filosofare è, dunque, dialogare tra anime. Favilla 1087 Solo nel confronto si comprende la realtà. Ora, perché questo mio preambolo? Perché ho percepito che il fine ultimo della Tua contemplazione filosofica, sia nei versi, ma in particolar modo negli aforismi, di cui stiamo discutendo, è un’altissima forma di Amore verso il prossimo. E’ un invito al dialogo costruttivo e al confronto! E’ un appello alla “cura dell’anima”. Questo è il leitmotiv della raccolta. E, infatti a proposito della filosofia, scrivi La filosofia cura l’anima. La conoscenza filosofica porta l’uomo a sé. E, a proposito dell’anima Vi è anima se vi è intelletto. Se non si resta saldi nella propria anima tutto precipita. L’anima ha sete di bellezza in questo mondo di vetrine. Platone diceva, già nel V/IV secolo a.C, che l’anima è come un cocchio alato guidato dall’auriga (la ragione) e condotto da due cavalli, uno bianco e generoso, e l’altro nero, ribelle alla guida (le pulsioni passionali); se il cavallo nero prende la mano all’auriga trascina il cocchio verso il basso facendogli perdere le ali. Possiamo dire oggi di aver perso le ali? Affermi a pagina 97 …sono sempre più convinto che porre come fine a tutto l’utile, paradossalmente, ha reso quasi del tutto inutile il senso della vita umana, piegandola a mezzo per l’utile e non fine. In altre parole: dall’utile per l’uomo si è passati all’uomo per l’utile. E mi pare che i saperi “inutili” come la

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filosofia e la letteratura siano quelli che parlano più profondamente e direttamente allo spirito, all’anima, alla coscienza e mi pare, ancora, che siano proprio queste le dimensioni venute meno e che hanno svuotato di senso la vita stessa e la società contemporanea. Una società, che riscopre il dono della ragione pensante (la filosofia) e la bellezza dell’anima (la poesia, la letteratura, l’arte, la musica), avrà ritrovato le stampelle per rialzarsi da quest’agonia, che non è solo economica e finanziaria, ma soprattutto di umanità, di senso della vita stessa. La Filosofia, la Poesia, la Musica, l’Arte, in quanto sublimi espressioni della Cultura, della ricerca di verità e bellezza, possono dunque, e soprattutto devono aiutarci a ritrovare le ali e quel senso di umanità perduta. Favilla 189 Cultura ed essenzialità sono le ali della speranza. Oggi, tutti noi, figli del benessere, siamo immersi nella cultura! Fagocitati, però, da troppi saperi, abbiamo reali difficoltà ad orientarci! Affermi Siamo un enorme sciame digitale senza una direzione consapevole. Se vuoi sapere cosa non c’è, vai su internet che la troverai. Social e whatsapp: se in eccesso rendono orfani della realtà presente. Pur usufruendo necessariamente dei grandi vantaggi della modernità, è innegabile che abbiamo perso di vista il limite e che la virtualita, molto lontana dalla sana astrazione, abbia preso il sopravvento! Paradossalmente, la vera sfida, oggi, è diventata la ricerca dell’essenziale, della verità, della realtà! Agli adulti non “adultescenti”, alle Famiglie, alla Scuola il difficile compito di riorientare! Come madre e docente, al peso della personale ricerca alla conquista di una crescita continua, si aggiunge la grande responsabilità nei confronti dei giovani. La scuola, in modo particolare, è chiamata a rispondere a questa urgente necessità. Bisogna guidare le nuove generazioni, sin dalla più tenera età, ad acquisire gradualmente capacità critica, di discernimento e di pensiero perché diventi modus vivendi. Una scuola che metta al centro del dialogo educativo l’Io, perché come tu sottolinei La ricerca interiore è la cosa più bella per una persona. Ed il docente ha il compito di accompagnarla senza forzare, individualisticamente, il cammino di crescita libera e consapevole dello studente, per farlo divenire ciò che è, e non ciò che si vorrebbe fosse. perché Una scuola senza arte prepara uomini senza occhi di sogno, una scuola senza filosofia prepara uomini pag. 12

senza testa pensante, una scuola di sola pratica prepara uomini con braccia meccaniche e replicanti. La scuola, dunque, qualsiasi essa sia, deve partire dall’umano per riscoprire l’Umano! La cultura deve forgiare l’uomo perché diventi cercatore di verità! Favilla 77 C’è un disperato bisogno di verità in questo mondo disperato. perché La verità è anelito dell’intelletto, forza dello spirito, desiderio dell’anima; se autentica i suoi frutti sono il bene e la giustizia, l’amore e la gioia, la bellezza e la volontà. Solo gli acuti cercatori di bene riusciranno a sopravvivere in questo mondo di follia. Un mondo che, con tristezza e nostalgia, così descrivi: …un mondo di apparenze, “ che guarda l’altro solo attraverso il visibile” E’ una continua corsa a seguire la propria immagine ideale. …un mondo che ama oltre-passare e passare oltre Da tanto tempo, ormai, le trasgressioni sono la più mediocre e diffusa normalità. …un mondo che vive “molto nel non vissuto” L’uso inessenziale del cellulare fa alienare il presente: per cui si è qui, ma in realtà si è là. Anzi forse non si è da nessuna parte! …un mondo che non comunica Andiamo a prenderci un caffè così parliamo!, si dicono convinti. Si seggono ed iniziano a chattare sul telefonino fino al momento di salutarsi. Un bel caffè comunicativo! …un mondo che non sa comunicare…. La timidezza silente e schiva dei vecchi tempi è stata soppiantata dall’arroganza rozza e deficiente dei tempi moderni. …un mondo soggiogato dalla “demenza digitale” Ormai con l’informatizzazione siamo in una gabbia che ha ridotto non poco la libertà civile e personale. …un mondo che si autoincensa Ormai bisogna riconoscere una nuova malattia mentale: la sindrome dell’onniscenza. …un mondo che mente Penso che non ci sia stato mai un tempo in cui il linguaggio abbia raggiunto un livello di inganno e di antiverità come nell’attuale era mediatica, neanche nei totalitarismi. …un mondo di superficie La stragrande maggioranza decide con lo stomaco, una seconda folla decide con sentimento immaturo, un piccolo resto con l’anima e la testa. Ma molto piccolo. …un mondo prigioniero Ci sono molti più schiavi oggi che in tempi antichi. …un mondo che omologa In una folla di folli il sano è visto folle. …un mondo che non sa parlare GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

E’ urgente tornare al peso delle parole. Siamo in un tempo di parole malate. …un mondo di ghiaccio Parlare di emozioni senza essere capace di provarle… …un mondo che sfrutta La moda verbale del “prendersi cura” ormai esce dalla bocca dei più avidi predatori. …un mondo dell’incontrario In un mare di corruzione, l’onesto appare imbecille. …un mondo di potere Il potere è il vero Dio. Chi ne è privo è nullità. …un mondo che dimentica Un popolo senza memoria è un popolo senza futuro perché non ha gli strumenti per comprendere il presente. …un mondo che finge di cambiare, perché tutto resti come prima Il “gattopardismo religioso” (tanto inviso a Papa Francesco) è più diffuso di quello che si creda. e, aggiungerei caro Filippo, non solo religioso!… Ritorniamo, dunque, a sognare e a ricostruire contemplando in noi stessi e negli altri!... perchè I poeti, i sognatori, i visionari, i contemplanti salveranno questo mondo consumato. Bisogna pur cercarlo un filo di speranza. E concludo leggendo un’ultima Favilla, precisamente la 624, che racchiude un grande messaggio di fiducia, fiducia nell’UOMO… un uomo che, nonostante tutto, “può essere scultore di se stesso”, “scegliere la sua vita”, guardare il mondo vedendo cose mai viste, cercare la luce che è dentro di sé… La speranza è un nuovo modo di pensare la vita. La realtà attuale è particolarmente e diffusamente sofferente. Ma sento di dover infondere fiducia nella capacità dell’uomo di poter capire i propri errori e cambiare modo di essere, di capire se stesso e la società malata che ha costruito. Il mondo è ancora nelle sue mani con la possibilità di cambiare rotta con stili di vita autentica e giusta. Un mondo aperto al futuro e non sul precipizio della morte globale. Il futuro apra gli occhi ai costruttori di bellezza, verità e bontà caricandoli di coraggio spirituale e determinazione etica nell’abbracciare con radicalità un nuovo stile di vita. Abbiamo bisogno di un modo nuovo di pensare. Abbiamo bisogno di essenzialità, profondità, nitidezza, ed ogni uomo giusto e di volontà incominci a camminare cercando anime trasparenti ed intelligenze libere per mobilitare verso un nuovo mondo, a partire dal proprio piccolo angolo di realtà. Penso a quella piccolissima brace nascosta, trovata con tenacia sotto la cenere, da cui si può riaccendere una straordinaria ed inaspettata fiamma: l’infinita luce della vita! Lamezia e non solo


associazionismo Samarcanda in campo contro la violenza di genere: focus al Polo Tecnologico con la rappresentante della Fondazione Doppia Difesa di Salvatore D’Elia Quasi 7 milioni le donne in Italia che hanno subito nel corso della loro vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Secondo i dati pubblicati ad agosto 2018 dal Viminale, nell’ambito del dossier sulla violenza di genere, tra il 1 agosto 2016 e il 1 agosto 2018, oltre l’80% degli omicidi di donne è stato commesso dall’ex partner e quasi il 90% dal partner. Il 2018 registra, rispetto all’ultimo triennio, la percentuale più consistente di vittime di sesso femminile (77%), raggiungendo valori che non si evidenziavano dal 2014 (pari al 76,98%). Sono alcuni dei dati, fonte Ministero dell’Interno, presentati a Lamezia Terme dall’avvocato Marina Rotoli, rappresentante della Fondazione Doppia Difesa Onlus, nell’incontro “Codice Rosso: focus sulla violenza di genere” promosso il 16 maggio scorso al Polo Tecnologico dal centro culturale “Samarcanda” diretto da Manuelita Iacopetta e Michela Cimmino, in collaborazione con la Fondazione Doppia Difesa Onlus, il centro antiviolenza Demetra, il Polo tecnologico di Lamezia Terme, il Lions Club Lamezia Host. Un incontro aperto da una performance teatrale durante la quale, tra letture e musica, le studentesse del Polo Tecnologico Cristel Berlingieri, Angelina Giudice, Bianca Ioso, Ilaria Marrazzo, hanno riletto alcune pagine di “Ferite a morte” di Serena Dandini, spaccati di vita reali di una violenza che non risparmia e non ha pietà. Una mission, quella della Fondazione che vede ai vertici il ministro Giulia Bongiorno e l’artista Michelle Hunziker, che, come

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ribadito dalla Rotoli a Lamezia, “si fonda sulla strategia delle “tre P”: prevenzione, protezione, punizione. La volontà delle fondatrici, Michelle Hunziker e Giulia Bongiorno, è aiutare chi ha subìto discriminazioni, abusi e violenze ma non ha il coraggio, o le capacità, di intraprendere un percorso di denuncia. Si tratta soprattutto di donne che spesso non hanno consapevolezza del loro status di vittime, perché vivono in condizioni di isolamento ideologico e/o sociale, nel silenzio oppure nell’indifferenza generale. Da oltre dieci anni Doppia Difesa si impegna per convincere le donne a non accettare mai la violenza, in nessun caso e in nessuna forma, e a pretendere un rapporto di coppia sano, basato sul rispetto reciproco, sul diritto all’amore, sulla comprensione e sulla collaborazione. La Fondazione Doppia Difesa Onlus svolge la sua attività su un duplice binario: oltre ad intervenire sul piano della sensibilizzazione dell’opinione pubblica e a sollecitare interventi volti a colmare lacune normative, opera a supporto diretto delle vittime con uno staff di legali e psicologi che offre consulenza e assistenza senza oneri economici per le donna”. La Rotoli ha, dunque, ricordato l’impegno della Fondazione, tra le tante attività portate avanti ogni giorno nel sostegno concreto alle donne vittime di violenza, la battaglia per il disegno di legge sul cosiddetto “Codice Rosso”, basato su un’idea della Fondazione portata avanti dal ministro Giulia Bongiorno. Esso mira, tra l’altro, a introdurre una corsia preferenziale per le denunce di violenza di genere, onde evitare che eventuali momenti di stasi

mettano ulteriormente in pericolo le vittime, favorendo dunque l’immediata instaurazione e progressione del procedimento penale. Della necessità di “un cambio di mentalità” nell’approccio alla violenza di genere ha parlato la presidente del centro culturale “Samarcanda” Manuelita Iacopetta, sottolineando la scelta dell’associazione di rivolgersi prioritariamente alle nuove generazioni. Ha rimarcato il ruolo dei giovani studenti del Polo Tecnologico la vicepresidente di “Samarcanda” Michela Cimmino, per la quale “laddove ci sono studentesse come quelle che oggi abbiamo avuto modo di ascoltare che si mettono in gioco con i mezzi dell’arte e della creatività, possiamo avere speranza in una società migliore, in cui ogni forma di sopraffazione e violenza sia messa al bando”. Andare al cuore del dramma della violenza di genere, per il presidente della commissione straordinaria del Comune di Lamezia Terme Francesco Alecci, significa “porre la questione del rispetto. Fino a quando non recuperiamo una cultura del rispetto dell’altro, qualsiasi norma repressiva sarà insufficiente”. Dopo il saluto di benvenuto della dirigente del Polo Tecnologico Patrizia Costanzo, sono intervenute la presidente del Cles Onlus Anna Fazzari, la presidente del Comitato Pari Opportunità dell’Ordine degli Avvocati di Lamezia Terme Angela Davoli, il vicecommissario della Polizia di Stato Maria Gaetana Ventriglia, Renata Tropea della sezione lametina dell’Associazione Donne Medico, la presidente del Lions Club Lamezia Host Rossella Manfredi.

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“Scacchi a scuola” dell’I. C. di Marcellinara, nel plesso di Martelletto.

di Antonio Perri Il 4 giugno si è concluso il progetto scolastico extracurriculare “Scacchi a scuola” dell’I. C. di Marcellinara, nel plesso di Martelletto. Il progetto è stato promosso dalla Dirigente Scolastica D.ssa Roberta Ferrari certa che “Il gioco degli scacchi sviluppa la capacità di analisi e il pensiero formale-organizzato stimolando la creatività e la concentrazione; migliora la socialità aumentando l’autostima e sicuramente incoraggia il rispetto delle regole e dell’altro”. Il progetto è stato condotto, per la seconda annualità, dalle docenti del plesso: Maria Beatrice Cittadino, Teresa Vescio, Giovanna Grasso e Mariateresa Tassone. L’istruttore., Maurizio Leone, ha supervisionato il torneo finale. Il C.S.E.N è un ente di promozione sportiva in Italia con un elevato numero di tesserati, e promuove la divulgazione, l’insegnamento e la pratica sportiva della disciplina scacchistica. Gli alunni coinvolti sono stati 35, appartenenti alle classi terza, quarta e quinta della scuola primaria e si è svolto nei locali messi a disposizione dalla Pro Loco di Martelletto. “E’ stata una manifestazione importante e validissima dal punto di vista tecnico agonistico” ha asserito Maurizio Leone “I bambini hanno sostenuto un ottimo ritmo di gioco concludendo tutti gli otto turni previsti e decidendo la classifica solamente all’ultimo

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turno, questi sono gli elementi che ci permettono di valutare forza, agonismo, voglia di vincere in questi piccoli atleti. Il dottor Leone ha concluso sostenendo che i primi quattro classificati potrebbero ottenere il riconoscimento di terza categoria nazionale.” Il torneo è stato vinto al fotofinish da VINCENZO JR POTENTE con 7 punti e nessuna sconfitta, a seguire GIUSEPPE BARATTA e LUCIANO RICCELLI. I premi previsti per i primi classificati delle classi, sono stati consegnati a ANDREA ANTONIO COSCO e GIORGIA MARUCA per la classe quinta; a MARCO POTENTE e TERESA SCHINEA per la classe quarta; a VINCENZO PIO DI LEO e SIRIA PAONE per la terza classe. Grande e gioiosa è stata la partecipazione dei genitori alla premiazione nella quale era presente anche il primo cittadino Dr. Rodolfo Iozzo. A tutti i partecipanti, al Sindaco di Martelletto, alle docenti del plesso e soprattutto alla Dirigente dell’I.C. di Marcellinara, D.ssa Roberta Ferrari, vanno i ringraziamenti della PUSHWOODERS’ CHESS ACADEMY di Catanzaro, per la conferma della collaborazione scacchistica che con le proprie proposte formative e il fantastico e proficuo lavoro delle docenti tutte sicuramente verrà implementato con altre iniziative e partecipazioni agonistiche-sportive.

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Associazionismo

Note sulla Calabria di Gianfranco Turino

Mi si consenta di evidenziare, un percorso, più volte segnalato ai vertici regionali, un atto che poteva riproporre le basi per rilanciare e rivalutare la nostra regione, attraverso quelle potenzialità da sempre esistenti ma, mai, veramente utilizzate a pieno, concretizzando una maggiore coniugazione del trasporto aereo quale mezzo rapido di legami commerciali e sociali, in un progetto generale ad alte vedute pratiche e produttive. E’ inutile pensare ad un sociale capace di svilupparsi attraverso l’industria propriamente detta, la Calabria non ha ne le basi, ne la mentalità industriale, i vari tentativi che si sono trascinati per decenni, sono l’esempio negativo del fallimento di un settore già carente anche in altre parti del territorio nazionale, ma totalmente assente nella nostra geografia, dove ha trovato temporaneamente una collocazione per poi diventare solamente un cimitero di croci arrugginite e costruzioni chiuse o mezzo funzionanti, dalla sola caratteristica di un alto indice e tasso d’inquinamento ambiente. L’insistere su questo binario significa creare solo presupposti inutili per speranze vane, chimere che non servono alla nostra terra, bisogna invece cercare e partire con altre possibilità che ci permettano di mettere a profitto i nostri beni naturali. Il Turismo e il trasporto, sono i cardini di una diversa economia che possa veramente fare la differenza tra passato e presente. Attuando una politica di conglobamento Lamezia e non solo

attraverso una serie di programmi in cui vada evidenziata l’offerta di un soggiorno con strutture competitive,oltre la rapidità di collegamento, il rapporto nel divario socio-economico, con altre realtà, verrebbe annullato progressivamente. La bilancia della riuscita è anche un fatto di mentalità per cui va messo in essere un calmiere dei prezzi eguale per tutte le realtà locali, ma che sia un valore accessibile in modo particolare alla classe media e al lavoratore comune, in cerca di una forma nuova di soggiorno. Vanno considerate, le aree geografiche degli aeroporti, in quel triangolo che definisce la struttura calabra in modo visivo, con le sacche utenza predominanti, una conglobata sequenza alberghiera, capiente,moderna e facilmente raggiungibile via superficie. Per la sua posizione sul mare, bagnata dal Tirreno e dallo Ionio, rappresenterebbe la finestra per l’intera area del mediterraneo, da utilizzare per una apertura di interscambi con le geografie che vi si affacciano. E’ da considerare finito il momento delle attese, bisogna capire e muoversi sulla solidità di quello che abbiamo, attuando ogni sforzo possibile per ricreare una formula che sia,nello stesso tempo, un atto sociale e un fattore di economia. La Calabria da troppo aspetta soluzioni e metodi per le soluzioni, per creare lavoro e continuità, per dare alle proprie generazioni la sicurezza di una solidità occupazionale, serve una completa revisione dei programmi in cui non può essere tra-

scurato il fattore cultura che, come per tutto ciò che riguarda la regione, va estrapolato dall’ambiente odierno e utilizzato come componente di rilievo. Rendere attivi e facilmente utilizzabili i nostri porti, studiando e realizzando profili pratici sia come navigazione turistica sia come successione industriale di raccolta, carico e scarico merci. La rete ferroviaria, purtroppo, è rimasta com’era agli inizi del 900, erede del regno borbonico e di una unità d’Italia mai completata nella soluzione della questione del mezzogiorno, va potenziata e resa maggiormente attiva con percorsi a scorrimento veloce. Il trasporto gommato, ovvero il via superficie, ha acquisito, in questi anni, una sua caratura che gli permette di percorrere lunghi tratti, sia sul territorio regionale che su quello nazionale,con mezzi moderni, anche se con tempi lunghi. Una indicazione specifica riguarda il trasporto aereo, per la funzionalità deve essere gestito, da competenti in materia e non da figure create per sudditanza politica la cui competenza è solo un pensiero senza continuità, ricordiamo che non è un settore come tanti altri, ma un fattore importante e futuribile per la socialità e per l’economia.

Gianfranco Turino Presidente di Calabria Sociale Associazione Calabria Sociale Natura,Ambiente,Ecologia, Cultura,Turismo Presidenza Regionale

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scuola

Premio Nazionale di Musica

ad Agrigento per gli alunni dell’Istituto comprensivo

“Don Saverio Gatti” di Lamezia Terme Redazionale

Grande successo per l’orchestra della scuola media di Pianopoli, che fa parte dell’Istituto comprensivo “Don Saverio Gatti” di Lamezia Terme, in occasione della quindicesima edizione della rassegna-concorso nazionale “Euterpe” organizzata dall’associazione “Agrigento - Mediterraneo in Musica” che si è svolta nella suggestiva cornice della Valle dei Templi ad Agrigento. I 45 alunni della seconda e terza media di Pianopoli hanno dato il meglio di loro interessando, emozionando e coinvolgendo attivamente organizzatori e pubblico presente con l’esecuzione dei due brani previsti in concorso: un medley degli “Abba”, celeberrimo gruppo degli anni ‘70/’80 eseguito dispiegando musicalmente frammenti di brani che hanno fatto la storia della disco/music di quell’epoca quali Dancing Queen, The Winner Takes it All, Fernando e Mamma Mia. Questo brano ha preceduto l’esecuzione del brano “Mahnà Mahnà”, reso magistrale dall’intero gruppo ma ancor più dalla simpatia di uno dei componenti dell’orchestra che ha interpretato un personaggio dei Muppet Show, storica e divertente trasmissione televisiva dove i pupazzi erano protagonisti di numerose gag esilaranti. Preso a prestito il brano Mahnà Mahnà da questo programma televisivo ne è scaturito un brano di cui l’Orchestra della scuola media di Pianopoli si è fregiata di aver preso il premio come “Miglior arrangiamento del concorso Euterpe”. Nell’esecuzione di tale compopag. 16

sizione i ragazzi hanno dato prova di sapersi districare tra generi diversi (Jazz e Classico) con particolare disinvoltura. Alla fine della manifestazione, l’orchestra della scuola media di Pianopoli, all’importante elogio con speciali menzioni del brano “Mahnà Mahnà”, ha aggiunto il “Diploma di primo livello”: uno speciale riconoscimento attribuito alle orchestre che si sono particolarmente distinte per qualità e abilità musicali. L’orchestra è stata preparata dai docenti di strumento musicale (professori Francesco Servidone, Massino Naccarato, Eleonora Fossella e Angela Ferraro). Felice e festosa nonché commovente l’accoglienza dei genitori al rientro dei ragazzi dalla manifestazione. Grande soddisfazione per i meriti raggiunti da tutti i ragazzi ma diremmo dall’intera scuola media di Pianopoli dell’ Istituto comprensivo “Don Saverio Gatti” di cui dirigente

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è la dott.ssa Margherita Primavera che nel suo primo mandato ha sostenuto con forza e dedizione tutte le attività dell’orchestra valorizzando a più riprese ed in diversi modi la disciplina di strumento musicale in forza nella scuola media di Pianopoli. Numerose le orchestre e i solisti formati da artisti in erba, appartenenti a scuole medie a indirizzo musicale dell’interra nazione, si sono succedute, mostrando abilità e sapienza nell’uso dei diversi strumenti musicali per trasmettere ciò che ancora una volta la potenza della musica ha avuto il potere di generare: la stupore e il benessere dell’anima, della mente e del corpo di ognuno tra spettatori, organizzatori, tecnici e musicisti stessi. L’aria che si è potuta respirare nei 5 giorni di manifestazione è stata quella di “casa” grazie ad un’organizzazione impeccabile e consolidata ormai nel tempo.

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l’angolo di gizzeria

“La Lanterna” ovvero Faro di Capo Suvero di Michele Maruca Miceli La lanterna di Capo Suvero è uno dei 161 fari della Marina Militare in attività sugli 8000 km di costa italianache si stagliano sul mare in linee immaginarie con il loro fascio luminoso senza tempo, d’estate, d’inverno di notte e di giorno. Questi sorgono in prossimità di antiche torri di avvistamento anti corsare, come anche Il faro di Capo Suvero sorge lungo un tratto di costa regolare immersa nella selvaggia ed eterogenea vegetazione mediterranea, nelle vicinanze della antica Torre dell’Ogliastro già distrutta nel terremoto del 1638 che volgarmente prese poi l’appellativo di torre scapuzzata. E’ conosciuto come faro d’altura di Capo Suvero, perché posto sull’omonimo promontorio limite N.O. del golfo di Sant Eufemia e fu progettata e costruita dal Regio Genio Civile di Catanzaro nel 1869, su una struttura poligonale il cui basamento è ancora visibile al di sopra della casa del farista. E’ stato rimodernato nel 1951 e nel 1984 a cura della società Capo Suvero s.p.a. ed ha subito una radicale trasformazione con la costruzione di una nuova torre portafaro alta ben 25 metri, munita di lampada alogena di 1000w di potenza. Il raggio di azione della lanterna e di ben 20 km, si affaccia da un’altezza di 58 metri sul livello del mare ed è riconoscibile dai suoi due lampi bianchi continui ogni dieci secondi. Dal 1982 il suddetto faro è stato completamente automatizzato mandando in pensione il famoso “Guardiano del Faro”; il quale

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con il suo certosino impegno ha salvato tanti navigli guidandoli per la retta via senza considerare il grande apporto culturale che hanno anche dato alla nostra letteratura poiché fonte di ispirazione per poeti, scrittori, pittori e musicisti che nell’immaginario collettivo evocano spesso un senso di libertà e di solitudine ma anche il sogno di una vita a contatto con la natura. Il nostro faro di capo Suvero sia d’estate che d’inverno è ancora là che fa il suo dovere informando e segnalando il promontorio omonimo, dove la storia si incrocia con la leggenda , dove si ha ragione di pensare che sia spiaggiata la sirena Ligea la quale, assieme a Partenope e Leucosia, tentò di attirare Ulisse con il suo melodico canto mentre la nave si allontanava all’orizzonte e l’aria riecheggiava ancora delle urla di quell’uomo legato all’albero, ossesso, invasato dalle loro bellezze. Secondo la leggenda Ligea, la più piccola delle sirene, come le sue consorelle, subì un tragico destino. Decisa a morire, si affidò al mare in tempesta da cui si fece trasportare senza opporre resistenza finché non arrivò al Golfo di Sant’Eufemia. Fu trovata morta dai marinai sulla riva dell’Ocinaro, dove fu sepolta. Si ipotizza che l’Okinaros altro non fosse che un fiume posto fra l’Amato e il Savuto . Alcuni lo hanno identificato nel Tridattoli (tre dita) che sfocia a capo Suvero, altri nello Zinnavo che sfocia nel golfo alla cui trasformazione si risalirebbe Okinaros-kinarus-Zinnarus-

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LA CALABRIA, UNA TERRA DA AMARE

Il Principato autonomo di Calabria: lettera ad un amico di Ginevra dell’Orso Mio caro amico, come stai? Ti ricordi di quando parlavamo di come sarebbe cambiato questo posto? Non sai con quale gioia ti racconto che, alla fine, è accaduto veramente! Sai cos’è successo in questi ultimi vent’anni? Ebbene, la regione Calabria non esiste più e, al suo posto, è stato istituito il Principato autonomo di Calabria. Siamo ancora in Italia, ma siamo uno Stato dentro allo Stato, con una nostra economia, una nostra moneta, con leggi, diritti e doveri che appartengono solo noi. E si... essendo un Principato, abbiamo anche un Principe, ma di questo te ne parlerò alla fine. Biodiversità Siamo sempre un milione e mezzo di abitanti, perché avere la residenza nel Principato è ormai difficilissimo, anche per chi qui vi è nato e cerca di tornare. Del resto, troppi abitanti rischierebbero di compromettere l’equilibrio socio-politico e ambientale che negli anni si è venuto a creare. Qui nel Principato c’è tutto: quasi 800 chilometri di coste, e ben 4 parchi, ricchi di montagne, boschi secolari, flora e fauna incredibili. In estate si va al mare, e in inverno a sciare. Abbiamo colline, pianure, dune, canyon, cascate e un clima da fare invidia alla California: siamo baciati dal sole tutto l’anno, ed essendo molto a sud, abbiamo le stagioni miti, persino ad alta quota. Essendoci la più alta biodiversità d’Europa, qui cresce praticamente tutto, tra cui numerosi prodotti unici e rari, che diventano mete di pellegrinaggi da parte di gente da tutto il globo. Nutrirsi di cibo e felicità Nel Principato autonomo di Calabria, non esistono quasi più le importazioni alimentari, perché in sintesi abbiano ogni cosa: questo permette quindi di avere un’economia fortissima, capace sia di soddisfare i pochi e privilegiati abitanti, che di esportare il surplus a prezzi molto alti. Non a caso siamo diventati uno tra gli Stati più ricchi al mondo. Non c’è neanche più bisogno di importare la frutta esotica: oramai i pag. 18

banani, gli avocado, e persino i mango, si sono adattati molto bene! Nel Principato autonomo di Calabria, la gente abita in piccoli e meravigliosi gioielli di architettura normanna, bizantina, greca, e di tanti altri periodi storici, incastonati ai piedi delle colline, e circondati da limpide fiumare e verdi prati. Molti hanno abbandonato le grandi città del pianeta in cui abitavano per tornare a popolare questi antichi borghi, mescolando il passato con il futuro, ampliando strade e portando quel giusto necessario di tecnologia, che ci fa sentire al passo coi tempi, ma senza rinunciare al tempo.

L’assenza di industrie ha permesso al Principato autonomo di Calabria di possedere la migliore aria d’Europa, proprio dalle parti della Sila; ma ovviamente, non è che altrove sia peggio, anzi! Gli abitanti godono tutti di buona salute, e molti di loro fanno parte di quei famosi centenari di cui spesso si sente parlare. C’è così tanto da vedere, che il Principato vive praticamente di solo turismo: ogni anno, milioni di persone vengono a visitare castelli, parchi, spiagge, montagne, boschi incontaminati, e a prendere lezioni dai saggi degli antichi villaggi: lezioni di benessere, pace interiore, ricette, lingue dialettali e piccoli segreti di longevità. Crescere per restare Abbiamo un indice di natalità molto alto, e qui i bambini crescono sani e felici, lontani dai pericoli e a stretto contatto con la natura. Anche gli aniGrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

mali se la passano bene: qui non esistono allevamenti intensivi e batterie. C’è così tanto spazio che le mucche pascolano insieme alle pecore tra le valli e le colline, mentre le capre saltano tra i dirupi di montagna in luoghi ancora incontaminati. I boschi sono pieni di cervi, cavalli, lupi, orsi, volpi, uccelli, e i fiumi e i mari sono popolati da pesci di ogni tipo. Ovviamente, nessun calabrese emigra più: del resto, ci vengono a visitare da ogni angolo del pianeta! Ognuno ha il proprio lavoro autonomo: c’è chi è artigiano, pastore, sarto, medico, pescatore, calzolaio, pasticciere, muratore o architetto. Ogni piccolo borgo ha le sue arti e i suoi mestieri, e tutto funziona alla perfezione. Nelle poche città del Principato, ci sono università rinomate, alle quali tutti vorrebbero accedere, poichè oltre alle solite materie, se ne insegnano di nuove: la bellezza, l’arte dell’osservazione e della pazienza. Si insegna ad ascoltare, e ad avere fede, poiché vi abitano numerosi mistici. Pensa, è nata persino una nuova scuola Pitagorica! L’utopia diventa realtà Abbiamo anche la nostra moneta, e non dobbiamo neanche importare l’energia: il vento e il sole ci permettono di avere fonti rinnovabili infinite. Tuttavia, nonostante non ci serva il petrolio per le macchine, che sono tutte elettriche, ci piace ancora andare a cavallo lungo le vecchie mulattiere, proprio come accadeva un tempo. Lo so, ti starai domandando chi sia questo Principe illuminato che ha trasformato questa terra in un piccolo paradiso terrestre: tuttavia, devo confessarti che non si tratta di un Principe, ma di una Principessa. Bella, coraggiosa, energica, guerriera, dolcissima e ricca di ardore. Si chiama Calabria, e siamo tutti noi che la viviamo, e che la vivremo nel prossimo futuro che verrà, trasformando una bellissima utopia in una concreta realtà! E sono certa che, dopo la mia lettera, penserai che forse valga la pena tornare alla tua vera casa... Lamezia e non solo


la scuola

Carezzarsi con le parole Gli alunni dell’ I.C. Don L. Milani incontrano Valeria Milani Comparetti,nipote del Priore di Barbiana di Maria Teresa Di Benedetto

Ci troviamo nella sede scolastica dell’Istituto comprensivo Don Milani, nel Rione S. Teodoro di Lamezia Terme , ad accompagnarci il mormorio del fiume Canne e l’ombra/custode dei ruderi del Castello Normanno. Ad accoglierci una scuola della gioia: colori, calore, allegria ci colmano il cuore di emozioni, nuove e antiche. Una scuola in cui si vive tutti i giorni la metodologia milaniana in una dimensione più ampia di crescita civile e culturale degli alunni , del loro sviluppo cognitivo, della capacità di esercitare diritti e doveri, di un uso consapevole della “parola”, e di essere alla fine cittadini del mondo. Una metodologia, quella di don Lorenzo Milani,in sintonia con le istanze sempre più ineludibili dell’emancipazione dell’uomo in senso libertario, anti-autoritario, creativo, in una traiettoria che la Don Milani di Lamezia mette ogni giorno in campo, in “un’avventura educativa” che coinvolge e conquista. In questa giornata, l’atmosfera festosa e di fremente attesa ci comunica che i ragazzi stanno aspettando qualcuno , e sono molto curiosi e impazienti che l’ospite arrivi. Un incontro di memoria e tenerezza , di sentimenti ed emozioni tra i bambini delle quinte classi e i ragazzi della scuola media dell’Istituto , diretto dal Prof Francesco Vinci, e l’ospite tanto attesa, Valeria Milani Comparetti . La nipote del Priore di Barbiana , autrice del volume “ Don Milani e suo padre - Carezzarsi con le parole “ , opera premiata in occasione del “ Premio Letterario Internazionale - Feudo di Maida” , ha trascorso un’intera mattinata con i ragazzi a parlare di zio Lorenzo e , con grande emozione per tutti di “Lorenzino” , attraverso testimonianze e documenti di famiglia che arricchiscono l’opera e forniscono un segmento inesplorato

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del grande educatore. L’opera, di piacevolissima lettura, è frutto della ricerca dell’autrice negli archivi di famiglia , quale richiamo irresistibile in cui si disvela la intima relazione tra don Lorenzo e il padre Albano; la importante influenza che la complicità tra padre e figlio ha avuto nella formazione dell’uomo, del sacerdote, del docente , dello scrittore . Da un quasi casuale ritrovamento , declinatosi poi in impegno d’amore e di memoria , l’autrice ci fa dono di pagine memorabili su zio Lorenzo e nonno Albano , sul riscoperto e fondamentale ruolo padre/figlio, rimasto finora in ombra nella pur copiosa bibliografia milaniana , eppur importantissimo per la formazione , non solo religiosa ma umana , sociale e valoriale di Lorenzo . La fitta corrispondenza tra padre e figlio, i consigli reciproci nelle situazioni familiari più delicate, i particolari inediti sul coraggio civile di don Milani durante l’occupazione tedesca - la sua capacità di trattare con i nazisti pur di salvare vite umane( Lorenzino parlava perfettamente il tedesco già all’età di cinque anni) - e un inedito album fotografico di don Milani bambino , hanno fornito nuove curiosità sulla vita di colui cui è intitolata la scuola in cui la metodologia milaniana è pane quotidiano Affascinati dal racconto dell’autrice , dalla sua semplicità nella comunicazione, dalla sensazione di entrare quasi nella intimità familiare di Don Lorenzo, i ragazzi hanno partecipato con interesse e curiosità ponendo domande che han fatto dichiarare a Valeria “Una scoperta magnifica , bambini con cui parlare di parole importanti come “ astratto”, “condivisione”, “agnostico”… non capita tutti i giorni di trovare bambini come questi” E il cammino continua…

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Sport

LA ROYAL SI GODE IL PROGETTO BABY FUTSAL E RIFLETTE SUL DA FARSI di Rinaldo Critelli Ha concluso con la sconfitta sul campo della Lazio lo scorso 1 maggio il suo primo campionato di serie A la Royal Team Lamezia. Lo ha fatto con una mesta ma non disattesa retrocessione: tante le problematiche più volte sottolineate, anche da queste colone di Lameziaenonsolo. Ma che, ahinoi, sono servite a poco per far cambiare le cose da chi ‘doveva’ (e deve!) intervenire per ridare dignità alla città di Lamezia Terme. Anche attraverso lo sport. Anche riaprendo le strutture sportive (e non solo), ormai sigillate da ben 18 mesi! Incredibile! Nel senso da non credere! 18 mesi ribadiamo in cui si costruiscono anche stadi nuovi, palazzetti nuovi, ma che a Lamezia Terme non sono sufficienti per riaprire le strutture sportive esistenti. Specie ora che il problema, per il PalaSparti, sarebbe un pulsante di sgancio. Almeno formalmente. Sotto ci sarebbe un contenzioso tra un privato ed il Comune. Ma è semplicemente assurdo non risolvere tale problematica impedendo di fatto la crescita civile di una comunità, quella lametina, commissariata per la terza volta negli ultimi trent’anni. Chiacchiere tante, finora. Anche da illustri rappresentati politici eletti a Lamezia. Il responso è che dal 27 dicembre del 2017 il PalaSparti, come altre strutture (anche culturali), sono chiuse allo sport, causando il ritiro di una squadra di basket; la retrocessione ed il recente ritiro di una di Volley ed una prossima di Pallamano. E non vorremmo dover aggiungere al triste elenco anche il nome della Royal Team Lamezia. Poco prima delle recenti elezioni europee, un illustre rappresentate politico, addirittura vice presidente della Camera dei Deputati, ha sollecitato i Commissari del Comune di Lamezia a fare in modo di riaprirle le strutture. Vedremo cosa scaturirà, anche perché il futuro della Royal, intenzionata a rilanciarsi dopo la retrocessione, passa anche dal PalaSparti. Intanto auguri di pronta guarigione alla valente atleta della Royal, Anita Furno, operatasi al menisco lo scorso 30 maggio. Si è chiuso lo scorso 11 maggio, col solito entusiasmo della scolaresca partecipante dell’Istituto ‘Perri-Pitagora,’ il progetto Baby Futsal, messo su dalla Royal Team Lamezia e dalla Scuola

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Calcio Gatto-Lio. La giornata conclusiva presso la palestra del ‘Maggiore Perri’ alla presenza della dirigente scolastica Teresa Bevilacqua e della professoressa coordinatrice del progetto, Lorenza Burgo, ha fatto registrare il consueto, ormai da 3 anni, successo per la partecipazione di diverse classi elementari. Erano presenti anche il presidente della Royal, Nicola Mazzocca, il team manager Pierluigi Fragale ed il factotum Totò Gigliotti, mentre per la scuola calcio, il tecnico Antonio Gatto. Da ormai da tre anni il prestigioso Istituto ‘Perri-Pitagora’ ha puntato su un progetto che, al di là dell’aspetto agonistico, predilige quello ludico-sportivo, quindi consente ai piccoli alunni di familiarizzare con una disciplina, quale quella del futsal, che sta sempre più diffondendosi. Ma il fine ultimo è quello di far socializzare i bambini col piacere di stare assieme e divertirsi, consentendo altresì di apprendere fin dalla giovane età semplici tecniche proprie della disciplina. Ed in tal senso il presidente Mazzocca con la Royal Team Lamezia si è sempre mostrato disponibile, dedicando la giusta attenzione nel corso dell’anno alle varie classi alternatesi nella pratica sportiva. Lo ha fatto con le varie calciatrici in qualità di ‘insegnanti’ sempre coordinate dal tecnico Paolo Carnuccio. E così, durante la stagione, si sono alternate Saraniti, Furno e Primavera incontrando fin da subito l’entusiasmo dei tanti alunni partecipanti. La giornata finale ha visto la presenza di tre classi con circa 60 alunni, accompagnati ovviamente dai rispettivi genitori, divisi in vari gruppi che hanno dato via ad animate partitelle, oltre vari esercizi tattici gestiti da mister Antonio Gatto fresco partecipante al Corso allenatori Uefa A di Coverciano e prossimo agli esami. Dopo due ore di sano divertimento, sia la dirigente Bevilacqua che la professoressa Burgo hanno inteso ringraziare i bambini partecipanti con i loro genitori, oltre alle due squadre la Royal Team Lamezia e la Scuola Calcio Gatto-Lio. In particolare la prof. Burgo ha ripercorso gli ormai tre anni di collaborazione con la Royal Team, manifestando

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Sport

L’allenatore di Vincenzo De Sensi

Il mestiere di allenatore, e la storia del calcio continua a insegnarcelo, è un mestiere, indubbiamente, difficile. Educatore, maestro, ma, soprattutto, capro espiatorio: questo il destino di chi siede in panchina, come se il malessere di una squadra dipendesse solo ed esclusivamente dai presunti errori tecnici dell’allenatore. Stiamo ancora attendendo le dimissioni di presidenti e calciatori: per ora a pagare è sempre e solo lui, il tecnico.

L’unica figura perennemente esposta alle intemperie di una crisi, di risultati che tardano ad arrivare: come se il football fosse una scienza scontata ed esatta e non, come ci insegnò Gianni Brera parafrasando il poeta crepuscolare Guido Gozzano, un “mistero senza fine bello”, un mistero agonistico. Quand’ero ragazzo, i ruoli avevano un’importanza fondamentale. Non come adesso che puoi avere il 40 ed essere indifferentemente, un fluidificante (i

tutto il compiacimento dell’Istituto Perri-Pitagora per questa proficua collaborazione col presidente Mazzocca, rinnovando

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terzini di oggi si chiamano così) o un centrale di centrocampo (quello che era l’interno, destro o sinistro). E il sacchismo, con le sue malinconie dogmatiche, ha stravolto modo di pensare, di concepire e (se volete) di amare il calcio. E allora, facciamo un salto indietro nel tempo a quando il calcio era ancora calcio. E racchiudeva tutte le meraviglie del possibile.

ancora una volta l’invito al proseguimento per il futuro. Invito subito accolto sia dal pres. Mazzocca che dal t.m. Fragale i quali, all’unisono, si sono detti soddisfatti di questo percorso iniziato tre anni fa, con la ferma intenzione di proseguire ancora. Entrambi poi hanno invitato i tanti genitori presenti affinchè le proprie figlie inizino la pratica agonistica nel futsal, soprattutto vedendo l’entusiasmo dei bambini non solo in questa giornata conclusiva ma mostrato durante tutto l’anno. Purtroppo è stato anche sottolineato la carenza di strutture sportive, che frenano la pratica sportiva in questo particolare momento a Lamezia, augurandosi che presto tutto possa tornare alla normalità. La conclusione ha visto poi il clou con la consegna a ciascun partecipante del diploma nominativo di frequenza tra il giubilo di tutti i bimbi presenti e l’arrivederci alla prossima stagione.

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i racconti di marco

Il tempo si guadagna perdendolo di Marco Cavaliere

Ho la fortuna di vivere e lavorare, da ormai oltre tre anni, in una delle città più verdi d’Europa: Zurigo. E non mi riferisco solo alla sua ecosostenibilità, al numero vertiginoso di biciclette e veicoli a basso impatto ambientale, alla pulizia dei luoghi, alle auto elettriche che appaiono sempre più frequenti lungo le strade. Mi riferisco anche al fatto che Zurigo - così come tutta la Svizzera - sia verde per davvero, sorprendentemente verde. Questo paese impressiona per i suoi colori e i suoi paesaggi, dominati dai colori della natura perché è proprio la natura, di fatto, a dominare quasi ogni suo angolo. Ci si ritrova facilmente circondati da laghi e alberi, prati e fiumi e laddove si sfugge dalle grinfie verde smagliante, ecco l’azzurro già pronto a placcarci. Zurigo e la Svizzera somigliano a una madre che silenziosamente ti abbraccia, ti poggia la testa sul proprio seno e ti culla col rumore delle foglie, dell’acqua che scivola via. Zurigo è madre natura che non si rassegna al cinismo del mondo moderno. La fortuna di vivere in una città stracolma di verde - va da sé - è sensazione di trovarsi perennemente in un parco. Qualche giorno fa, come quasi tutti i giorni in cui il maltempo non prevalga, in uno dei tanti parchi ho consumato la mia pausa pranzo. Un tramezzino e qualche raggio di sole, nulla più. Perchè oltre ad essere scandalosamente

verde, Zurigo è anche scandalosamente cara. Una delle città più care al mondo. Un posto in cui un tramezzino e qualche raggio di sole, come pausa pranzo, è bene che ti piaccia o che te lo faccia piacere. Accanto a me c’era un uomo molto anziano, col guinzaglio tra le mani e il suo cane chissà dove, a correre fino a dire basta, fino al fischio del ritorno. Un italiano emigrato, come me, come a migliaia se ne trovano nelle città e nei paesini della svizzera tedesca. Uno dei principali approdi del terribile e inarrestabile esodo delle maestranze italiche, in cerca di fortuna, di lavoro onesto. Spesso solo in cerca di dignità. E mentre c’è chi pensa a chiudere i porti ed elettrificare le cancellate, l’emorragia di italiani verso l’estero è una ferita tanto grave quanto trascurata. Una regina morente, affidata alle mani di medici miopi. Sta di fatto che io e quell’uomo condividevamo lo stesso identico destino, sebbene a distanza di qualche decennio. Nei suoi occhi avrei potuto cogliere la proiezione di quel che diventerò, o che forse spero di diventare. Un vecchio italiano seduto in un parco, a godermi quel che resta. Mi ha raccontato di essere emigrato come operaio, per sfamare la famiglia e garantirle un futuro felice. Gli ho raccontato di essere emigrato come ingegnere, per sfamare la mia ambizione di un futuro all’altezza. Due appetiti diversi, due cuori in allarme ma lo stesso coraggio di partire, le stesse

nostalgie per una terra lontana eppure mai dimenticata, come fosse sempre sotto ai nostri piedi. Abbiamo chiacchierato a lungo, ed è stato magnifico. I suoi aneddoti sulla condizione da lavoratore sperduto, la prodigiosa fioritura di quella città temeraria. Le sue grandi mancanze, che ho sentito anche mie, il rancore nelle ossa, le promesse mantenute, le speranze tradite e le profonde rughe sulle sue mani. Il suo era un italiano lento, parlava con le corde vocali poggiate al suo bastone, claudicanti, con i reumatismi anche nelle virgole. Mi è sembrato di parlare con un libro di letteratura classica, se accanto a me ci fosse stato un romanzo di Pirandello o di Calvino sarebbe stato tutto uguale. Un uomo stanco e antico, meravigliosamente antico, come gli oggetti nei negozi vintage o nelle case delle nonne di periferia. Una volta finito il mio panino ho fatto per alzarmi, nel bel mezzo del discorso. - Sarà meglio che vada, è tardi. - Ma no, resta ancora 5 minuti. - No guardi, ho ancora poco tempo. Lui mi ha sorriso, - Anche io. Per questo vorrei tu restassi. Oltre mezz’ora di ritardo. Ho mancato un meeting col mio capo, che non l’ha di certo presa con filosofia. Ho improvvisato una scusa maldestra, lì su due piedi e lui, lì su due piedi, quasi sicuramente non l’ha bevuta. Ha fatto finta di niente, io ho ripreso a lavorare con la coda tra le gambe e un sorriso sotto ai baffi. Per recuperare al tempo perso ho dovuto trattenermi in ufficio oltre le 18.30, anziché uscire alle 17.30. E va benissimo così. A volte il tempo è un paradosso, e forse di paradossale c’è ben poco: lo si guadagna scegliendo di perderlo con le persone che sanno dargli un senso. 3

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l’angolo di ines

Ligea

di Ines Pugliese E' bello entrare nel mondo fantastico della mitologia, esso ti ritenute capolavori della numismatica antica;in esse c'è la testiestranea da tutto ciò che il mondo moderno con la sua rigida ra- monianza delle acque termali di Caronte, infatti sul dritto della zionalità ci propina. moneta c'è impresso il profilo di una fanciulla alata mentre riemE' vero che la fantasia a volte tira brutti scherzi, ma evadere un pie un vaso d'acqua ad una sorgente che sgorga dalla testa di un po’ da quelli che sono i problemi giornalieri, aiuta a vivere anche leone(chiara simbologia iconografica di una fonte sacra). Più tardi se paragonando il presente con il passato ti accorgi poi che nulla i Terinei elevarono in onore di Ligea un culto religioso, le sue imè cambiato sotto questo cielo.. magini si trovano in statue ad ornamento di tombe mentre suona Spesso io m'abbandono a cercare storie antiche per paragonarle a la cetra, oppure in dipinti, mosaici, pitture e sarcofagi romani.. quelle dei nostri giorni e come la bambina crede all' esistenza del- Inoltre la figura di Ligea è rappresentata da una fanciulla alata che la sua bambola e di tutta la vita di lei e attorno a lei, così io credo da un lato reca in mano una colomba, una lepre e un ramoscello in ciò che mi viene tramandato dall' immaginazione dell' artista, di mirto, dall' altro una fanciulla alata seduta su un poggio che vengo così trasportata dalla vita effettiva, reale a quella magico- stringe con la mano sinistra un caduceo e con la destra tiene in letteraria e costruisco mondi fantastici pure io. mano un'anfora appoggiata sulle ginocchia nella quale cade l'acSoddisfo il fanciullino che è in me? booh! qua che scorre da una testa di leone(simbolo di una fonte) situata Intanto sto leggendo Licofrone di Calcide vissuto il IV secolo su una muraglia di pietra e ai piedi si vede un cigno che nuota in a.C., poeta greco e re della mitologia che con le sue metafore e una fontana. La colomba , la lepre, e il ramoscello sono i simboli i suoi enigmi arriva ai nostri giorni a raccontarci nel suo poema di Afrodite dea dell' amore, attribuiti anche alle sue alate sacerdo"ALESSANDRA"anche la storia di LIGEA. tesse dette anch'esse “ierodule”, coloro che attraevano gli uomini L'Alessandra è un opera particolarmente difficile, in essa si rico- con melodiosi canti . noscono ricercatezza stilistica e originalità, uso sapiente della pa- Le sacerdotesse ierodule praticavano l'amore sacro. la prostiturola. zione era una pratica in voga nella Ligea, sirena dalla voce melodiosa , civiltà antica e le sacerdotesse si la cui statua , opera dell' artista Daconcedevano dietro pagamento. lisi, s'innalza nella piazzetta di San La somma ricevuta veniva devoluDomenico, sul corso Numistrano ta al tempio. esse venivano trattadi Lamezia Terme, aveva altre due te con grande rispetto. sorelle:Partenope e Leucosia. Il mito di Ligea è legato, come abIl poeta Apollonio Rodiio III sec. a. biamo detto alla città di Terina reC. nel suo poema "Argonauti" raccentemente portata alla luce nell' conta che le sirene si sarebbero aria denominata i "Jardini DI Rendate la morte lanciandosi da una da." posti a sud del fiume BAGNI, rupe in mare quando Ulisse riuscì La fonte e l' anfora simboleggiaa sottrarsi al fascino del loro canto no il fiume Bagni cioè l' OCINARO melodioso. anticamente denominato Fòrniti Ligea è raffigurata con busto di formato dagli affluenti Carpinà e donna e corpo d'uccello con coda Caria. e ampie ali.Insieme alle sue sorelle Fòrniti sembra derivare da acque erano le muse del mare. Formidae ( formida- caldo.) doveFiglie di una musa e del fiume Acheva essere la denominazione antica loo, si trovavano insieme a Persedelle terme di Sambiase, dunque fone nella pianura di Enna mentre Fòrniti deriva da acque solfuree questa che stava raccogliendo fiori calde, con le sue acque tergeva il insieme alle amiche, fu rapita da Ade Dio degli Inferi antica-moneta-di-ligea.tif e trasportata sepolcro di LIGEA. nell'Averno. Purtroppo le sirene fecero una brutta fine. IL poeta Apollonio Demetra per castigarle che non avevano saputo difendere la figlia Rodio come abbiamo già detto , narra che le sirene si sarebbero Persefone le tramutò in sirene. date la morte gettandosi a mare. Le onde del Tirreno avrebbero Il canto melodioso di Ligea però non riuscì ad ammaliare i navi- trasportato il corpo di Partenope sulla spiaggia della Campania-, ganti e lei disperata si suicidò buttandosi a mare. Il suo corpo fu ( nel golfo di Napoli.- partenopea.) quello di Leucosia sul golfo di trasportato dalle onde sulle rive del Tirreno in Calabria presso La- Posidone( Paestum ) e quello di Ligea sulle rive del Tirreno della mezia Terme e Terina.Terina è una città della Magna Greci eretta Calabria presso Terina. dai Crotonieti nel sec.vi a. C., fu distrutta da Annibale nel 20 a. C. Ecco perchè d' estate, nelle notti di luna noi Calabresi sentiamo ma la sua vera fine fu attribuita ai Saraceni nel 950 allorquando una dolce melodia che proviene dalle rive del nostro mare , è il distuggendo Lamezia distrussero anche Terina. canto malinconico della dolce Ligea.. A testimonianza di questa città restano alcune splendide monete Lamezia e non solo

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La parola alla Psicologa

Stress da lavoro correlato di Valeria Saladino Pressione, agitazione, ansia da prestazione sono solo alcune delle sensazioni spiacevoli che possono manifestarsi nella vita quotidiana di un lavoratore. A volte si pensa che questi disagi nascano da cause di tipo fisico, ma in molti casi il responsabile è semplicemente lo stress. Scadenze, ritardi, pressioni dai capi, screzi con i colleghi possono infatti portare a quello che viene definito stress da lavoro correlato o, semplicemente, stress da lavoro. Vediamo insieme di che cosa si tratta, quali sono i sintomi e cosa fare per affrontarlo e superarlo. Lo stress da lavoro viene sperimentato da quelle persone che sentono le richieste del mondo lavorativo superiori a quello che sono le loro capacità di fronteggiarle con conseguenze nell’ambito psicofisico e sociale. In Europa questa condizione sembra interessare almeno un lavoratore su quattro e una delle conseguenze più negative per le aziende è l’assenteismo che provoca ritardi nello svolgimento quotidiano delle mansioni. Ma il vero e grande problema sono le persone con stress da lavoro correlato che stanno male sia a livello fisico che a livello psichico. Molto spesso preferiscono ricorrere a negazione o psicofarmaci, pur di non ammettere che il problema va affrontato e risolto. Quali sono i sintomi dello stress da lavoro correlato? Per valutare bene i sintomi possiamo concentraci su quattro aree: Lavorativi: assenteismo, infortuni, malattie, problemi disciplinari, conflittualità, difficoltà relazionali, bassa qualità nelle prestazioni lavorative. Comportamentali: indecisione, insicurezza, impazienza, isolamento, mancanza di autostima, aumento del consumo di alcool e/o delle sigarette e/o di caffé, impulsività. Psicologici: scarsa concentrazione e attenzione, stanchezza cronica, sensazione di avere la testa vuota, ansia, angoscia, stati depressivi, crisi di pianto, pessimismo, cattivo umore, autocommiserazione, attacchi d’ansia o attacchi di panico. Psicosomatici (fisici): del comportamento alimentare, gastroenterici, cardiocircolatori, respiratori, sessuali, dermatologici o del sonno. Ogni soggetto che soffre di stress da lavoro avrà sicuramente provato più di questi sintomi. Bisogna però fare attenzione a ricordare che sono dovuti a condizioni lavorative inadeguate e malgestite. Persone sotto stress da lavoro correlato arrivano a pensare di essere sbagliate e inadeguate e di dover laTestata Giornalistica Di tutto un po’ - lamezia e non solo anno 27°- n. 55 - giugno 2019 Iscrizione al Tribunale di Lamezia Terme dal 1993 n. 609/09 Rug. - 4/09 Reg. Stampa Direttore Responsabile: Antonio Perri Edito da: GRAFICHÈditore Perri Lamezia Terme - Via del Progresso, 200 Tel. 0968.21844 - e.mail. perri16@gmail.com Stampa: Michele Domenicano Allestimento: Peppino Serratore Redazione: Giuseppe Perri - Nella Fragale - Antonio Perri Progetto grafico&impaginazione: Grafiché Perri-0968.21844

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sciare il lavoro perché inabili. Leggendo queste righe avete compreso che non è così. Cosa fare per fronteggiarlo? Chi crede di avere dei disturbi psicofisici ricollegabili a ciò che vive nel suo luogo di lavoro, dovrebbe riflettere sui seguenti punti: · È davvero il luogo di lavoro a rendermi nervosa? Oppure scarico in quell’ambito la tensione che accumulo nella mia vita privata? Se così fosse, il problema non sarebbe collegato al lavoro, ma piuttosto a problematiche personali. · Quali sono gli elementi che mi fanno più innervosire? Cosa mi angoscia? Chi o cosa mi rende ansiosa? Riflettere su questi punti vi permette di focalizzare il problema e magari vi dà la forza per parlarne con il capo o con delle colleghe amiche che vi possono aiutare a superare la difficoltà. · ​Quando esco dall’ufficio sono capace di lasciare lì i problemi? Spesso quando si lavora in condizioni difficili, dove c’è molta tensione, lasciare fuori dalla porta di casa queste emozioni negative diventa complesso. Un consiglio potrebbe essere quello di fare un bel respiro entrando in macchina o prima di varcare la soglia di casa per eliminare tutte le emozioni di cui vi siete caricate durante il giorno: deve diventare il vostro allenamento mentale quotidiano e come ogni buon training deve essere ripetuto per un po’ prima che funzioni. · Nel caso in cui il vostro lavoro sia fonte di stress eccessivo, vi consiglio di poter parlare con uno psicologo per far fronte ai pesi emotivi troppo gravosi per voi. Nei casi più conclamati i lavoratori arrivano proprio a vivere veri e propri attacchi di panico anche al solo pensiero del contesto professionale. Chi soffre di stress da lavoro correlato deve iniziare a pensare di non essere inadeguato, ma che la situazione potrà essere risolta. Bisogna solo imparare a non avere paura a chiedere aiuto.

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