lamezia e non solo agosto-settembre 2019 cristina rambaldi

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Lamezia e non solo

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PROV. DI CATANZARO


lameziaenonsolo incontra

di Nella Fragale

Cristina Rambaldi

Prima di cominciare l’intervista volevo ringraziarti e dirti che somigli molto alla sua mamma ma, credo, che te lo abbiano già detto in tanti o no? Grazie a voi per l’intervista. Si, è un commento che spesso mi viene rivolto. Per me è un bel complimento, quindi la ringrazio. Un cognome importante, Rambaldi, sento spesso ripetere che avere un cognome importante può essere “un problema”, la tua esperienza personale? A volte può innescare qualche pregiudizio, ma per me è un parola che ha una valenza emotiva talmente forte che neutralizza qualsiasi tipo di problematica, soprattutto del genere. “Rambaldi” è più bussola che cognome per quanto mi riguarda, perchè riassume una totalità di valori, ricordi e lezioni. È un’àncora ed una promessa. Così come “Lippolis”, il cognome di mio padre, che uso nella mia vita privata. Sei cresciuta fra Los Angeles e l’Italia, sei cresciuta in mezzo al gotha dello spettacolo, da bambina ti sentivi una privilegiata per essere “amica” di personaggi famosi e conosciuti in tutto il mondo? In realtà non ne avevo molta consapevolezza. La bellezza d’essere bambini è anche quella. Ho vissuto un mondo sicuramente molto “colorato”, questo lo riconosco, ma credo più per come siamo cresciute (io e le mie sorelle) che per chi abbiamo conosciuto mentre crescevamo. In fondo, le stelle intorno alle quali mio nonno preferiva orbitare sono sempre state più quelle del cielo che della terra.

“Taormina Film Festival” e questo film, da quello che ho letto, rispecchia la tua idea. Un film coraggioso, che affronta un problema delicato e sempre attuale. Ce ne vuoi parlare? Il film è, come dice la regista Svetlana Cvetko, una poesia visiva dedicata a quei sognatori che hanno il coraggio di voler cambiare il mondo. Le tematiche che tratta sono varie, alcune apparentemente intime, ma dal respiro ampiamente sociale, e tutte rispecchianti il valore di quella che può essere l’identità di una persona in questo periodo storico. Ho letto che questo è un film che fuoriesce dagli schemi del film classico che ha una sua trama che gli attori recitano, al contrario, “in principio” se così posso dire, c’era solo un “canovaccio” e poi siete stati voi stessi attori, ovviamente coadiuvati dallo staff, che avete creato la trama e dato vita ai personaggi, è esatto? C’era un “canovaccio” definito, un principio di sceneggiatura con scene strutturate e altre meno, che abbiamo improvvisato. Sicuramente abbiamo avuto più libertà come attori rispetto a quella che si ha in quelli che possiamo definire film entro gli schemi, ma proprio per questo abbiamo dovuto lavorare molto di squadra. Soprattutto in fase iniziale quando ci siamo trovati a definire il tipo di storia e i personaggi che volevamo raccontare. Ma il contributo della regista e di uno dei produttori, che è stato anche l’editor del film, in merito all’elaborazione della trama, è stato sicuramente molto incisivo.

Non sempre si prosegue sulla strada dei familiari, non sempre il figlio di un medico diventa medico o il figlio di un corridore diventa corridore ... Tu quando hai capito che il mondo dello spettacolo era quello giusto per te? Più che del mondo dello spettacolo, io volevo, e ancora vorrei, far parte di quel mondo nel quale vivono coloro che hanno il coraggio di seguire le proprie intuizioni senza lasciarsi intaccare e reprimere da pressioni esterne.

Quindi per ricoprire il ruolo di “Christine di Carlo”, il nome del personaggio che interpreti, ti sei ispirata a te stessa? In realtà non molto. Volevo raccontare la storia di una ragazza che fosse diversa rispetto a me e che, in qualche modo, potessi ammirare. è stato un percorso interessante scavare dentro me per trovarla, mi ha insegnato molto cose su me stessa. Abbiamo delle similitudini che si possono forse intravedere come punti di partenza, una sorta di bozzetto preparatorio. E confesso, che modo in cui poi si è sviluppata la sua identità ha sorpreso anche me.

E’ un bellissimo pensiero ed io ti auguro di riuscirci e sei sulla buona strada infatti il film “SHOW ME WHAT YOU GOT”, di Svetlana Cvetko del quale sei la protagonista, ha vinto il

E’ stato girato in bianco e nero, come mai? Per dare maggiore drammaticità al film stesso? Svetlana viene dalla fotografia. Penso che questo suo background

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abbia inciso molto, oltre al fatto che per alcuni aspetti, il film vuole essere certamente un omaggio ai grandi film della Nouvelle Vague francese. Mentre aspettavate la proclamazione del film che avrebbe vinto cosa provavi? Ero seduta vicino a Svetlana, ci tenevamo la mano. Provavo orgoglio e amore, per lei, per il film, per tutto le persone che hanno contribuito a questo piccolo grande progetto. Al di là di quello che sarebbe successo, la nostra più grande vincita sarebbe stata essere comunque lì insieme.

e prestigiosi, leggo infatti che fin da ragazzina, avevi solo 12 anni mi pare di avere letto, sei stata giurata del “Giffoni Film Festival”, un bell’impegno direi. Ho iniziato a frequentare Giffoni molto prima di entrare a far parte della giuria, grazie a mio nonno. Non ho mai smesso di ringraziarlo per avermi portato con lui quando visitò Giffoni per la prima volta. Sin da quel primo momento, Giffoni ha iniziato a fare parte del mio DNA. Non era estate per me se non c’era Giffoni. La mia, con il Festival (anche se è sbagliato chiamarlo festival, perchè è molto più di questo), è davvero una storia d’amore che dura da più o meno due decenni. Giffoni è la mia “alma mater”. È l’isola che c’è. È lì che ho conosciuto me stessa, trovato la mia “tribù” e imparato l’importanza ed il valore delle storie altrui. Manifestazioni come quella del Giffoni sono importanti secondo te? Mi farebbe piacere risponderti con le parole che Truffaut dedicò al festival nel 1982, quando visitò Giffoni per la prima volta: “di tutti i festival di cinema quello di Giffoni é il più necessario”. Giffoni, e le manifestazioni come Giffoni, non sono importanti, sono le più necessarie. Guardando a quella che è l’attuale condizione in cui verte l’umanità, si rende palese l’incommensurabile bisogno di occasioni che facciano da collante fra i giovani che erediteranno il nostro pianeta, e che li spronino ad abbattere una volta per tutte i muri emotivi, culturali e sociali del nostro tempo. Non è un caso che il mantra di Giffoni sia “ quello che comincia qui migliora il mondo”.

E invece cosa hai provato quando il film è stato dichiarato vincitore? è stata un’emozione fortissima. Uno dei momenti più belli della mia vita. Il film per ora è solo per i circuiti americani, quando credi avremo il piacere di poterlo vedere in Italia? So che durante la prossima stagione sara’ presentato in diversi festival internazionali. In Italia spero possa arrivare per l’estate 2020. Se si consultano i motori di ricerca su internet il tuo nome fa aprire decine di pagine ed è sempre legato ad eventi importanti pag. 4

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Sempre a proposito del Giffoni, tu hai presentato al festival un tuo cortometraggio,“La Malaerba”, prodotto ed interpretato da te insieme ad altri registi e scrittori tuoi amici. E’ stato facile per te, vissuta comunque in ambienti completamenti diversi, calarti nel ruolo di una giovane donna che vive in uno sperduto paesino pugliese? Ho vissuto quattro anni, gli ultimi del liceo, in un piccolo paese pugliese. Durante quel periodo è stato interessante osservare e vivere le meravigliose dinamiche della provincia, brutalmente affascinanti e goffamente crudeli. “La Malerba” in qualche modo incorpora anche queste mie osservazioni. Ci sono moltissimi spunti personali ed intimi in quel cortometraggio, naturalmente scomposti e riarrangiati, ma l’essenza, appartiene molto a me e a chi, come me, ha voluto fortemente realizzare quel corto: il regista e produttore Mirco Valenza, oltre agli scrittori Julian Grass ed Annalisa Elba e l’attore Gabriele Barletta. Sei un’artista a 360°, non solo perchè hai respirato arte fin dalla più tenera età ma, soprattutto, perchè hai studiato per esserlo. Hai fatto danza nella prestigiosa Accademia Nazionale di Danza di Roma che hai lasciato poi per un infortunio. Avere studiato danza ti ha aiutato poi nella tua attività di attrice? Dire che mi abbia aiutato è riduttivo. Aver studiato la danza, il movimento, l’esprimere le emozioni attraverso il corpo, è stato fondamentale. Anzi, ne approfitto per fare una cosa che purtroppo non ho mai avuto occasione di fare: ringraziare la maestra di danza con cui ho studiato quando vivevo a Lamezia, Adele Paola. Adele è una forza della natura ed io sono fiera d’esser stata sua allieva. Tersicore e Talia sono due muse strettamente legate fra di loro, non si è buoni ballerini se non si è anche buoni attori e viceversa, mente e corpo strettamente legati e tu, accanto alla danza hai studiato anche recitazione presso la prestigiosa Stella Adler Studio of Acting. Quanto è importante frequentare una buona scuola per un’attrice? Domanda difficile. Credo che frequentare una buona scuola sia importante, nel mio caso lo è stato. Penso che più che lo studio in generale la differenza l’abbia fatta il tipo di scuola che ho frequentato: un’accademia, il cui motto è “growth as an actor and as a human being are synonymous”. Mi ricordo di aver pensato, alla consegna del diploma, che se anche un giorno avessi deciso di cambiare professione, il tempo passato a studiare lì non l’avrei mai visto come sprecato. Quando dicevo che sei un’artista a tutto tondo pensavo anche al fatto che lavori non solo per il grande e piccolo schermo, ma sei anche attrice di teatro. Dicono tutti che il teatro dia

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maggiori emozioni per la presenza del pubblico, è così anche per te? Si, lo è. A teatro c’è magia, calore, paura, ansia e tanto amore per chi è dall’altra parte della quarta parete e condivide il viaggio del tuo personaggio con te. Sono energie forti quelle con le quali entri in sintonia quando c’è un pubblico. Tu, non solo sei attrice di teatro ma hai una tua compagnia teatrale, “Lost in Translation”, c’è qualche progetto che state portando avanti con la compagnia? In questo momento purtroppo non ho progetti teatrali in cantiere, anche se non mi dispiacerebbe tornare a NY per lavorare su testi originali. “I am Salomè”, una rappresentazione teatrale andata in scena all’Access Theater di New York. So che ha avuto un notevole successo, Una italiana in un prestigioso teatro newyorkese, come è stata l’esperienza? La mia esperienza è stata molto più che positiva. Amo NY e soprattutto il tipo di teatro, specialmente Off e Off-Off Broadway, che la città custodisce. Mi piacciono le opere che provocano, escono dagli schemi e pongono domande importanti, soprattutto su tematiche legate al sociale, e I am Salomè era tutto questo. Parliamo ora del tuo essere anche “Produttore” , una figura importantissima nel campo dello spettacolo, cosa significa farsi carico di una “produzione”? Dipende molto dal tipo di coinvolgimento che si ha nel progetto, a volte si cura un solo aspetto della produzione, a volte tutto il processo e a volte il produttore partecipa attivamente anche alle scelte artistiche. In generale e` un lavoro di estrema responsabilità, significa avere o trovare un’idea sulla quale voler lavorare, trovare il modo di finanziarla, trovare un team (cast & crew) la cui sensibilità artistica sia in linea con il progetto in questione, armonizzare tutte le forze creative fino ad arrivare ad un prodotto finito. Infine, bisogna anche trovare una distribuzione adatta, bisogna “finire il lavoro”, molti progetti anche validi non trovano il modo di arrivare al pubblico. L’ordine delle cose che ho appena elencato non sempre è quello, soprattutto nel cinema indipendente, ma io amo questo mestiere anche per questo: è una sorta di cubo di rubik. Non è rischioso? Non sempre è facile scegliere cosa potrà avere successo e cosa potrebbe essere un “investimento sbagliato”. La percentuale di rischio è molto elevata ed è per questo che cerco di lavorare su progetti verso i quali sento

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un forte attaccamento emotivo e che penso abbiamo un valore intrinseco che prescinde dal successo che potrebbero riscuotere.

spesso si vedono rappresentate nel cinema e nella televisione in maniera orrificante e si convincono che quello debba essere lo standard. Il motivo per il quale ho iniziato a produrre è stato anche questo. Volevo crearmi delle opportunità, senza rendere conto a nessuno, fare delle scelte mie.

Prima di concludere con il cinema voglio sapere di te come scrittrice. Leggo che fra le molteplici attività che svolgi c’è anche quella di scrittrice. Cosa scrivi? Per chi scrivi? Scrivo per gli altri, specialmente testi teatrali brevi e sceneggiature. Mi trovo bene nel ruolo di co-scrittrice per ora. Mi piace rimanere dietro le quinte per quanto riguarda la scrittura perchè sto ancora trovando la mia voce e sviluppando il mio stile. Sento di aver ancora bisogno di tempo e voglio concedermelo. La scrittura è qualcosa che amo e che prendo molto seriamente.

Attrice, ballerina, produttrice, scrittrice, quale di questi ruoli senti più tuo? Onestamente, nessuno in particolare. Questi ruoli sono abiti che indosso, strumenti di espressione che utilizzo a seconda del progetto, che si “completano e compensano”, nelle espressioni artistiche come nella vita.

C’è nei tuoi sogni l’idea di scrivere un libro magari da produrre e, perchè no, interpretare? Non è attualmente uno dei miei sogni, ma è sicuramente un’idea interessante. In Tv hai recitato in diverse serie televisive, tipo “Unforgottable”, ti è dispiaciuto non essere diventata un personaggio fisso di una di queste serie oppure ritieni legarti ad un unico personaggio possa essere riduttivo? Penso a Sarah Parker che tutti ricordano come Carrie Bradshaw anche se ha recitato in tantissimi film. In realtà non mi è dispiaciuto. Non amo particolarmente la serialità, anche da spettatrice. Ma un’attrice può scegliere il ruolo da interpretare? Nel senso, viene proposta una parte che non piace, è facile dire no, oppure quel no potrebbe chiudere altre porte in futuro? Sì, un’attrice può scegliere. Un no potrebbe chiudere delle porte? Sicuramente. Io parto dal presupposto che se quelle porte si chiudono probabilmente è meglio così. E poi si sa, chiusa una porta si apre un portone. È consuetudine consigliare ad attrici di dire di sì a qualsiasi progetto per avanzare la propria carriera, anche a ruoli o film che ti mortificano come interprete e donna. Qualche anno fa sono giunta alla consapevolezza che invece sia molto importante essere selettive e proteggersi da questo tipo di ragionamenti, non solo per amore di se stessi ma anche e soprattutto per quello del pubblico di giovani donne che

Chiusa la lunga parentesi lavorativa passiamo a Cristina, scaviamo un po’ nella tua vita privata… Cristina adolescente, diciamo che già impegnata, come abbiamo detto, nel mondo dello spettacolo, hai sentito la mancanza di una adolescenza

“spensierata”? No, anzi, tutt’altro. Ho avuto un’adolescenza ricca di stimoli, che io per prima ho ricercato e desiderato. Non è stato tutto rose e fiori, naturalmente, ma guardando al passato, tutto e` servito per arrivare qui. Sono grata per tutto.

Tu, come tua madre, sei impegnata anche nel sociale, hai preso parte ad un film contro la violenza sulle donne, voglio farti una domanda provocatoria: ritieni che tutte le denunce che vengono fatte siano giuste o alcune potrebbero essere solo “ripicche” verso il partner? Sono temi estremamente delicati e sta alle autorità indagare e capire la verità ma TUTTE le denunce devono essere prese seriamente, su quello non ci sono dubbi. A proposito di tua madre Daniela, alla quale somigli molto, non solo fisicamente ma anche caratterialmente, lei si è dedicata alla moda, ti capita di collaborare con lei qualche volta? Purtroppo non è ancora mai accaduto, ma non escludo che possa succedere in futuro. Cristina Rambaldi è il nome d’arte, cioè è il nome con il quale si presenta l’artista, Cristina Lippolis è il nome con il quale ti presenti agli amici, come abbiamo detto aprendo l’intervista, come mai questa scelta? Sono cresciuta con entrambi i cognomi e sento che entrambi mi appartengono e di appartenere ed entrambi. Gli amici mi conoscono sia come Cristina Lippolis che Rambaldi. Rambaldi è rimasto per la mia carriera artistica come omaggio alla mia famiglia materna e per quello che per me affettivamente rappresenta. Se dovessi attribuire una parola a tua madre, quale sceglieresti? Donna. (con la D maiuscola) Ma Cristina, nel suo tempo libero cosa fa? Legge, va in discoteca? In realtà passo la maggiorparte del mio tempo libero a cercare di avere meno tempo libero. Il lavoro per me non è lavoro, anzi. A parte quello, mi piace molto leggere, meditare, studiare l’universo

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e le leggi che lo governano, ma anche fare esperienze nuove e possibilmente fuori dal comune con i miei amici più stretti. Occasionalmente dipingo, principalmente paesaggi spaziali. Ami gli animali? ne possiedi uno? Amo moltissimo gli animali, e forse questo è uno dei motivi per i quali non ne posseggo uno: con il tipo di vita che faccio non potrei dargli le attenzioni e le cure che merita. Il tuo rapporto con la fede? Per me la fede si avvicina più all’esperienza di un romanzo di formazione che ad un manuale dell’utente. Vivo la mia spiritualità con enorme entusiasmo. Il tuo sogno nel cassetto? In questo momento, devo dire la verità, non ne ho uno in particolare. Questa è una cosa molto strana e nuova per me. Mi piacerebbe continuare sulla mia traiettoria e anche lasciare un po’ che le cose vengano da sè, senza particolari forzature. Questo mi renderebbe già molto felice.

Quando ho incontrato Cristina quello che mi ha colpita di più è stata la sua grande cordialità che, unita ad un tocco di timidezza, le conferiscono un carisma particolare che è palese sia quando a muoversi è Cristina Lippolis, la ragazza semplice che ha ancora forti legami di amicizia con le amiche lametine della sua fanciullezza, che ricorda con affetto la sua prima insegnante di danza, sempre lametina; sia quando abbiamo di fronte Cristina Rambaldi, l’attrice camaleontica che si cala nel personaggio e lo offre allo spettatore sia dalle tavole di un palcoscenico che da un set cinematografico. Ha le idee chiare, sa quello che vuole e si sta impegnando per ottenerlo non grazie al suo cognome, che da solo le avrebbe aperto molte porte, ma grazie al suo impegno, alla sua professionalità, impegnandosi non per percorrere strade in discesa, facili e scontate, ma scegliendo quello che più si confà al suo modo di essere, anche se la strada è tortuosa ed in salita. Oggi si usano parole come “talentuosa” o frasi tipo “animale da palcoscenico” per definire le brave attrici, io vorrei discostarmi da questi termini abusati, di Cristina voglio dire che ha una “naturale predisposizione” nel comunicare con chi le sta accanto, nel rapportarsi con la gente in modo semplice e spontaneo, un dono questo, che non molti hanno e che la fa emergere in mezzo agli altri. Ha un sorriso aperto, che arriva fino agli occhi scuri che ti fanno pensare al mediterraneo, ha un carisma ed una sensibilità che ricordano Audrey Hepburn, ed allora io concludo questa mia intervista dedicandole una frase di Albert Einstein perchè, a mio avviso, Cristina ha una forte personalità e sono certa che la sua strada sarà costellata da successi. “Colui che segue la folla non andrà mai più lontano della folla. Colui che va da solo è più probabile che si ritroverà in luoghi dove nessuno è mai arrivato.”

Sei una bellissima ragazza, per il poco che ti ho potuta conoscere ed osservare, mi sembri anche una ragazza dolcissima ma … Cristina Lippolis è innamorata? Insomma c’è un principe azzurro nella tua vita? Nella, ti ringrazio per le tue parole, che davvero prendo a cuore, ma preferisco non parlare della mia vita privata. Quando si incontrano personaggi famosi non si sa mai come sarà l’approccio iniziale, ci si potrebbe trovare di fronte una persona piena di sé, una persona che ha accettato di fare l’intervista ma non la fa volentieri ... insomma è un punto interrogativo!

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Spettacolo

LAMEZIA SUMMERTIME 2019. TEATROLTRE: FESTIVAL INTERNAZIONALE DI TEATRO IN STRADA UNA FESTA LUNGA CINQUE GIORNI di Giovanna Villella

Si è conclusa con un record di oltre 20.000 presenze la IV edizione di TeatrOltre: Festival Internazionale di Teatro in Strada che anche quest’anno ha proposto come leitmotiv l’arte circense con particolare attenzione alla giocoleria e al circo contemporaneo ma senza trascurare la presenza degli spettacoli tipici del teatro in strada quali i burattini, le marionette, la micromagia, i trampolieri e la musica itinerante. Il Festival, inserito nell’ambito del progetto Lamezia Summertime 20172019, è realizzato dal Comune di Lamezia Terme in collaborazione con Arci Lamezia Terme/Vibo Valentia in qualità di partner di progetto e finanziato dalla Regione Calabria con fondi PAC. 5 giorni di spettacoli nel centro storico di Lamezia Terme Nicastro, trasformato in un grande palcoscenico a cielo aperto con la partecipazione di artisti nazionali e internazionali accolti gioiosamente da bambini e adulti. Un grande successo ampiamente annunciato anche dalla comunicazione sui social media: il sito internet www. lameziasummertime.it e la pagina Facebook ufficiale dedicata all’intera manifestazione Lamezia Summertime ha ottenuto numeri impressionanti: > 1.333.898 persone raggiunte dalle campagne social > 3.205 media giornaliera di

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visualizzazione della pagina > 31.871 interazioni con i post della pagina Mentre solo per la manifestazione di TeatrOltre: > 18.841 le persone raggiunte con l’evento Facebook > 25 video su TeatrOltre con 21 dirette e 19.730 visualizzazioni > 5 album fotografici dedicati con oltre 500 foto che raccontano il festival giorno per giorno > 5 video con una sintesi degli spettacoli di ogni giornata con una media di 54.213 visualizzazioni a video > 2.488 download del programma Apprezzatissime, ancora una volta, le scelte artistiche del direttore Pierpaolo Bonaccurso di teatrop che, insieme al padre Piero Bonaccurso, fondatore della storica compagnia lametina, ha curato l’organizzazione del Festival coadiuvato da un efficiente e collaudato gruppo di lavoro. Un programma fitto di appuntamenti inaugurato da una due giorni di spettacoli nel seicentesco Chiostro di S. Domenico nel centro storico della città. Poi gli spettacoli hanno animato il Corso Numistrano con le installazioni delle strutture aeree per le acrobazie, i numeri di giocoleria e il teatro dei burattini. Ad aprire il Festival Greta Belometti e la sua scatola magica da cui nascono le sue

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favole si sabbia. Un laboratorio di sand art che ha mandato in visibilio i tantissimi bambini presenti e poi lo spettacolo. La storia prende vita dalle sue abili mani danzanti sul tappeto di sabbia che velocemente si trasforma in occhi grandi, bocche che sorridono, oggetti, alberi, fiori e animali per poi essere cancellati con un gesto della mano come onda sulla spiaggia. Sorrisi e stupore per Rasid Nikolic, The Gipsy Marionettist, il marionettista serbobosniaco di etnia rom che ha incantato tutti con le sue marionette a filo. Con simpatia dissacrante e tecnica sopraffina Rasid ha fatto interagire le sue creature di legno con un pubblico molto partecipe. Lo scheletro dinoccolato che canta “La vie en rose” con la voce dell’indimenticabile Louis Armstrong, la danzatrice del ventre (dedicata a sua sorella) dai grandi occhi verdi e dagli armoniosi movimenti di braccia e di bacino, la feroce tigre dalla morbida cavalcata che fa sparire nelle sue fauci le teste di malcapitati spettatori e lo spaceman, il piccolo astronauta che si arrampica sul corpo di un ignaro bambino costretto a non guardare. Rapimento e incredulità per i numeri di micromagia del poliedrico artista lucano Cico Cuzzocrea e il suo spettacolo Vintage. Piccoli oggetti di uso quotidiano che si trasformano in fiori di carta e

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coriandoli, ciotole vuote che si riempiono di acqua, sigarette che si accendono e si spengono, spariscono e ricompaiono, corde infinite che si srotolano davanti agli sguardi di meraviglia di grandi e piccini. E poi le parate itineranti con il grande dinosauro verde e i colorati trampolieri di teatrop accompagnati dalle note swing/ jazz/funky/pop dei Takambum, street band di strumenti a fiato e percussioni che ha fatto da siparietto ad ogni spettacolo guidando gli spettatori incantati e divertiti come i bimbi nella leggenda del Pifferaio magico. Ancora graditissimo ospite del Festival il maestro burattinaio Angelo Gallo del Teatro della Maruca che ha realizzato un originale lavoro su Pinocchio nato da un interessante studio sul burattino più famoso del mondo diventato, poi, un esperimento di animazione teatrale nelle scuole. Dalla trasformazione dell’oggetto iniziale, il ceppo-burattino, si sviluppa uno spettacolo interattivo con l’uso combinato di marionette, guarattelle e muppet che danno vita a tutti i personaggi della fiaba unitamente all’uso fantasioso di materiale di riciclo e di una grossa busta di plastica nera a far da pescecane. E non poteva mancare un’altra avventura di Zampalesta, il mitico cane peloso e pasticcione, idolo incontrastato dei bambini. Grande successo per l’ex calciatore argentino Mencho Sosa che ha trasformato la sua passione per il calcio in spettacolo di giocoleria. La piazza tramutata in un campo di calcio con tutti i suoi rituali: urla, cori, striscioni, l’entrata in campo, il riscaldamento con l’aiuto degli spettatori, la partita con il pubblico, i goal, la coppa della vittoria, l’intervista… Il tutto infarcito da abilissimi giochi con uno, due,

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tre quattro, cinque palloni e tifo da stadio! Poesia e virtuosismo tecnico nella performance Hop Hop di Simone Romanò che si presenta al pubblico infagottato in un impermeabile e con un’espressione languida che ricorda quella di Buster Keaton. Qui la giocoleria classica, le gag, i numeri da circo e il coinvolgimento del pubblico si susseguono a ritmo serrato per arrivare, tra incidenti e difficoltà simulate, ai numeri di equilibrismo di grande abilità e bravura sulle note trascinanti della Carmen di Bizet in un delizioso tutù scarlatto. Forza, abilità, vertigini e ancora poesia nello spettacolo Hobo di Brigata Totem. Storia delicata di un cane/acrobata che affida alla mimica e alle evoluzioni sul palo cinese la sua scoperta del mondo fuori dalla sua cuccia/camerino. Un tappeto giallo per delimitare lo spazio scenico, trucco a vista, tre cassette di legno che vengono accatastate, scomposte, isolate attraverso la ricerca quasi esasperata di più varianti scenografiche e poi un secchiello pieno di chicchi d’uva che diventa l’oggetto di sfida e di desiderio. Numeri acrobatici a terra e sulla pertica tra discese ardite, evoluzioni e vertiginose risalite fino in cima dove, in piedi, con una bacchetta come un direttore d’orchestra, cerca di ristabilire l’armonia nel caos del mondo. E ancora lo straordinario Piti Peta Hofen Show della Compagnia LPM. Tre giocolieri di diversa nazionalità: un brasiliano, un francese e un tedesco per uno spettacolo che miscela il mimo e la danza, l’acrobazia e la giocoleria, la gestualità del corpo e la mimica facciale, la comicità del paradosso e il gusto per le citazioni con l’ausilio degli oggetti di scena che si piegano, si contorcono, si modellano e saltano rotolando in

mezzo agli spettatori. Una performance dissacrante ed esilarante condotta sul ritmo di una velocità allucinata, con numeri di violenza estetica che travolgono il pubblico e strappano la “buona coscienza” dell’attore e dello spettatore attraverso un linguaggio che incrina il quotidiano presentandolo nella sua assurda realtà. Meraviglia, stupore, sorpresa, mutazione di forme e ritmi, disegni librati per aria, gioia e divertimento per gli occhi, presenza scenica e gusto teatrale nella performance Naufragata di Circo Zoé. Un vascello in balia della tempesta, un capitano che scruta l’orizzonte e suona la fisarmonica mentre la sua ciurma, simulando la fatica dei marinai, si produce in prodezze acrobatiche sul filo teso, sull’hula hoop sospeso, con la ruota Cyr e sul palo cinese. Un immenso coro di sguardi accompagna questa fusione perfetta tra acrobatica, musica e commedia brillante con innesti di siparietti comici e parodie cinematografiche intorno ad una porta rotante. L’impressione che resta dipinta sui volti degli spettatori si può intuire dai loro sorrisi, tutti uguali, tutti meravigliati dalla bravura e dall’abilità di questi grandi artisti italo-francesi. Un Festival che è stato una vera e propria festa per la città di Lamezia Terme e che ha saputo regalare, ancora un volta, sorrisi ed emozioni. Arrivederci alla prossima edizione!

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cultura

La Terra Dentro di Loretta Azzarito L’ 8 Agosto presso la Sala Consiliare del comune di San Pietro a Maida si è tenuta la presentazione del libro “La terra dentro” I poeti dialettali del Lametino del professor Filippo D’Andrea ricordando la dinamica personalità del Maestro Giovambattista Vono i cui testi dialettali di suo pugno, sono stati inseriti nella egregia raccolta. Ad introdurre l’Assessore alla scuola, cultura e valorizzazione del territorio Loretta Azzarito che nel presentare D’Andrea come cultore della lingua dei padri e poeta in vernacolo egli stesso e la raccolta di poesie come un egregio documento di identità e specificità, ha sottolineato l’importanza di dare prosieguo alla creazione di opere dialettali stimolando anche le nuove generazioni affinché resti vivace il legame affettivo con il passato e dunque la storia del territorio, nei costumi, nelle feste e nelle tradizioni che nel dialetto hanno la loro espressività e bandiera. Ad esporre uno studio linguistico ed osservazioni sull’utilizzo di molte parole dialettali il professore Romeo Bufalo che ha sottolineato l’importanza del dialetto non solo come lingua dell’immediatezza espressiva, spontanea e diretta, ma soprattutto come mezzo più autentico per affermare l’identità di una comunità. L’ autore Filippo D’Andrea nell’esprimere gioia del partecipato momento di discussione ha ricordato l’indice geografico dei poeti dialettali del comprensorio Lametino: Nicastro, Sambiase, Sant’Eufemia, Conflenti, Cortale, Curinga, Decollatura, Falerna, Feroleto Antico, Gizzeria, Jacurso, Maida, Martirano Antico, Martirano Lombardo, Motta Santa Lucia, Nocera Terinese, Pianopoli, Platania, San Mango D’Aquino, San Pietro a Maida, Soveria Mannelli ed ha evidenziato l’importanza di questo prezioso patrimonio antropologico, sociologico, etnico, etico e religioso che merita di essere valorizzato. L’ editrice Dottoressa Nella Fragale ha spiegato come la scelta del titolo della raccolta “La terra dentro” rappresenti il prezioso lavoro di D’Andrea perché il dialetto ci appartiene, è dentro di noi, nella nostra interiorità ed ha sottolineato per tale via il rispetto dell’autore di avere voluto trascrivere le poesie dei poeti nella loro stesura originale, proprio perché il vernacolo deve essere libero, spontaneo e non soggetto a regole particolari. Tra i relatori il professor Giuseppe Gallo autore di Arringheide, poema in dialetto sampietrese e di molte poesie in lingua e in vernacolo pubblicate su diverse riviste italiane, alcune delle quali inserite nella raccolta. Per il poeta Giuseppe Gallo il dialetto è capace di fotografare il passato, risaltando gli sguardi anche per mettere in luce le piaghe della modernità, prima tra tutte la perdita dei valori. Il Vicesindaco di San Pietro a Maida Andrea Davoli ha ribadito l’importanza in generale di esprimere i propri sentimenti attraverso il mezzo della poesia ed ha ricordato il maestro Giovambattista Vono assai impegnato nel campo sociale e politico, come un genio, una forte personalità di grande spessore culturale, il grande Maestro di tutti e di più generazioni. A testimoniare un assai sentito periodo sampietrese il Sindaco di San Pietro a Maida Avv. Domenico Giampà, che ha ricordato come il gruppo Petreius composto da Giovambattista Vono, Antonino Diaco, Vittorio Maggisano e Franco Maggisano, fosse stato attivo ed assai impegnato nel tempo, regalando tra le tante iniziative, alla storia sampietrese anche brani contenuti nell’ album “Fatti e cunti calabrisi”. Molti di pag. 10

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Spettacolo

NEETS- THE SERIES NEETS, una webserie che racconta i grattacapi dei giovani (con un tono leggero) di Antonello Teocoli

Nello Nellaus (all’anagrafe Antonello Teocoli) è un giovane videomaker lametino. Il 12 luglio 2019 ha esordito con “NEETS” webserie indipendente di 5 puntate interamente girata in Calabria, tra Lamezia Terme e Pizzo Calabro. L’acronimo inglese “NEET” sta a indicare persone “Not in education, employment or training”, cioè giovani che contemporaneamente non sono inseriti in un percorso scolastico o formativo e non sono impegnati in un’attività lavorativa. Secondo i dati dell’lstat relativi al 2018, il fenomeno dei ragazzi “NEET” (15-34 anni) interessa più di 3 milioni di persone (178mila solo in Calabria). La serie, disponibile sul canale YouTube “Nello Nellaus”, racconta quindi le avventure di un giovane che non studia e non lavora. E per sbarcare il lunario si inventa un mestiere: risolvere i problemi della gente. Riuscirà in questo modo a risollevare la sua sorte e quella dei suoi amici? La risposta si può trovare e interpretare nel corso delle varie puntate, in particolare nella quinta e ultima , uscita il 31 agosto. Nonostante il tono comico, vengono affrontati temi delicati come la disoccupazione giovanile, la dipendenza da smartphone, la chiusura dei teatri a Lamezia e il fenomeno Hikikomori.“Hikikomori” è un termine giapponese che significa letteralmente “stare in disparte” e viene utilizzato generalmente per riferirsi a chi decide di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi (da alcuni mesi fino a diversi anni), rinchiudendosi nella propria camera da

letto, senza aver nessun tipo di contatto diretto con il mondo esterno. La webserie ha ricevuto parecchi feedback positivi, in cui vengono citati alcuni punti di forza come la leggerezza nel trattare argomenti sociali (locali e globali), i riferimenti alla cultura pop, le parti dialettali, l’atmosfera surreale e l’espressività di certi personaggi (fra cui spiccano il cowboy Ciccio Bilotta e l’artista marziale Valentine). Un tema ricorrente è il contrasto fra mondo reale (lavoro, affettività, responsabilità) e mondo di fantasia (manga, film, barzellette), che alberga in ognuno di noi. Attualmente non è in programma un seguito della storia, ma sono previsti due eventi dal vivo: una conferenza al Lamezia Comics (dal 13 al 15 settembre 2019 presso il Centro Commerciale Due Mari) e una proiezione di tutte le puntate al Chiostro San Domenico, seguita da un dibatto fra cast e pubblico (il 26 settembre 2019) CREDITI PIATTAFORMA: Canale YouTube “Nello Nellaus” SCENEGGIATURA, REGIA E MONTAGGIO: Nello Nellaus AIUTO REGIA E RIPRESE: Claudia Caruso, Davide Impiombato, Ciccio Bilotta e Ciccio Sciallis CAST: Nello Nellaus, Ciccio Bilotta, Ciccio Sciallis, Rosellina D’Apa, Peppe Mazza, Andrea Rivezzi, Valentine e Matteo Caimi PARTECIPAZIONE STRAORDINARIA: Toni Trupia (regista e sceneggiatore, noto per

questi brani sono stati cantati nel corso della serata da Antonino Diaco, un altro grande nome sampietrese I cui testi sono stati

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Romanzo Criminale e Vallanzasca) e Rosy Battaglia (giornalista)

inseriti nella raccolta e che ha avuto a cuore il ricordo del suo grande collaboratore Giovambattista Vono. Altre due splendide voci hanno regalato emozioni al pubblico ed espresso i sentimenti e la passione del Maestro Giovambattista Vono, la voce di Edwige Vono , figlia del Maestro e quella di Elia Vono, nipote del Maestro, con “Santu Piatru è lu Paise mio” quest’ultimo divenuto un vero inno della realtà locale sampietrese cantata anche dai più piccini. La serata si è conclusa con un riconoscimento al Maestro Giovambattista Vono, consegnato alla moglie Adele Donato, per avere contribuito con passione e amore a scrivere le tradizioni del proprio paese.

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Il nostro territorio

Oltre i fumi dell’accampamento di contrada Scordovillo: Società lametina e Zingari: una convivenza non facile…. Un problema complesso e difficile….. di Giuseppe Sestito Una mattina del mese di luglio del 2017, l’allora sindaco di Lamezia, avv. Paolo Mascaro incontrò una delegazione di rom, o zingari che dir si voglia, che abitano l’insediamento di località Scordovillo e si erano recati in Comune per esporgli alcuni problemi che riguardavano la loro comunità. Da quanto si seppe leggendo i giornali, il sindaco ebbe modo dialogare a lungo con loro. Il mio giudizio di allora, ed anche di oggi, fu che abbia fatto bene. Perché questo metodo di procedere costituisce una condizione indispensabile, insieme ad altre, che possono portare alla risoluzione della ‘vexata questio’ concernente lo sgombero del citato insediamento previa una decente sistemazione di coloro che lo abitano. Il primo cittadino di Lamezia s’ impegnò, allora, a re-incontrarne la delegazione; ed anche questa decisione mi parve andasse nella direzione giusta. Ci fu chi espresse critiche e riserve riguardo all’operato del sindaco pro-tempore, ma sempre secondo il mio giudizio, l’incontro con i rom andava non solo fatto, ma semmai realizzato, per ovvie ragioni, all’inizio della consiliatura e per iniziativa che partisse dal sindaco medesimo non da parte dei rom. Ignoro quali ricadute abbia prodotto quell’incontro anche perchè, come si sa, dopo appena alcuni mesi il consiglio comunale fu sciolto. Nel 2010, commentando un ‘report’ del padre Giacomo Costa S.J., direttore di Aggiornamenti sociali, sul medesimo giornale, relativo allo sgombero degli accampamenti dei rom in alcune città d’Italia, dopo aver individuato per loro una decorosa sistemazione in altri siti, scrissi sul mio blog “Cronache lametine” come fossero imprescindibili tre condizioni affinchè anche a Lamezia si pervenisse ad una soluzione: la determinata volontà degli amministratori comunali pro-tempore; il dialogo con i rom di Scordovillo o con le associazioni che li rappresentano; il dialogo con la società lametina o almeno con la parte di essa più democratica e capace d’inclusione. Nei primi giorni dello scorso mese di luglio, a fronte dei roghi e delle conseguenti colonne di fumo, sempre più frequenti, provenienti dal sito Scordovillo, si sono fatte sentire le proteste dei cittadini esasperati; di coloro che abitano nelle zone limitrofe al sito e non solo. Ad alimentarle in modo pretestuoso, però, facendo apparire

i roghi, i fumi ed i cattivi odori insopportabili oltre il giusto grado di pericolosità, soffiano di continuo le virulente proteste e proposte, spesso a sfondo razzistico, che provengono soprattutto da persone inseriti in movimenti e/o partiti politici, e da tante altre che pag. 12

aspirano ad essere elette nel consiglio comunale della nostra città nelle prossime consultazioni amministrative. Altro fine non hanno tutti costoro, secondo me, se non quello di pescare nel torbido per raccattare consensi. Ritengo, perciò, che ciò che scrivevo nel 2010 sia tutt’oggi più che mai valido perché quelle condizioni costituiscono la base su cui costruire un PROGETTO finalizzato alla risoluzione del problema della sistemazione dei rom altrove che a Scordovillo e della conseguente eliminazione di quel “ghetto”….... Il problema vero, infatti, non sono solo i roghi ed i fumi (dannosi alla salute collettiva quanto si vuole….) che a cadenza sempre più frequente si alzano da quella località ed ammorbano l’aria della città. Roghi e fumi sono, semmai, la conseguenza del fatto che non si sia stati capaci, dal 30 gennaio del 1983 (giorno ed anno in cui l’accampamento di contrada Scordovillo fu ‘inaugurato’…..) ad oggi, per ben 36 anni, dunque, di dotarsi di un Progetto che prevedesse, in un ragionevole lasso di tempo, la SOLUZIONE INTEGRALE del problema dei rom. Soluzione integrale, ribadisco, perché sia l’amministrazione Lo Moro prima, che quella Speranza in seguito, hanno fatto i loro tentativi e risolto il problema di alcune famiglie. Mentre, va anche detto, che l’amministrazione Scaramuzzino, per il breve periodo di tempo ch’è rimasta in carica, tra le due amministrazioni di sinistra, non ha avuto la possibilità di mettere in cantiere alcunchè prima di essere sciolta anch’essa per infiltrazioni malavitose. Dall’aprile del 2015, subentrò l’amministrazione a guida Mascaro. Venne il suo turno e il pallino passò nelle sue mani, ma tutto è rimasto, alla fine, come è stato per i precedenti 36 anni. E’ seguita l’amministrazione straordinaria dei commissari, che governeranno la città fino alle prossime consultazioni elettorali, ma credo che il problema del sito di contrada Scordovillo, con la correlata, complessa, assai problematica risoluzione, abbia costituito l’ultimo dei pensieri che sia passato per la mente della citata terna commissariale. Viene, però, da chiedersi: “Su quali basi, ragionando in possesso di quali dati effettuali, il sindaco di Lamezia Terme promise, durante la campagna elettorale del 2015 che: <<il campo rom sarà sgomberato entro dodici mesi?>> Pura e semplice propaganda a fini elettorali utilizzando una materia così delicata ed incandescente in relazione alla quale il commissario prefettizio Manganaro, che governò il Comune fino alle elezioni amministrative del febbraio 1982 ed iniziò la costruzione dell’insediamento in contrada Scordovillo ebbe a dichiarare, in seguito alle difficoltà incontrate per trovare l’area su cui costruirlo, “che a Lamezia gli zingari vicini alle proprie case ed ai propri terreni non li vuole nessuno e pertanto la convivenza tra la società lametina, o parte di essa, e gli zingari è difficile ed il problema della loro sistemazione non è facilmente risolvibile?” Prima che la recente crisi politica lo spazzasse via dal Viminale, è sembrato che fosse venuto il turno di Salvini, che, a quanto si è letto nei mesi precedenti sui giornali anche attraverso le dichiarazioni dei suoi rappresentanti politici locali, pare avesse inviato una direttiva ai prefetti d’Italia affinchè gli “venissero segnalati tutti gli insediamenti occupati abusivamente da rom e

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da quant’altri si trovino in una condizione di illegalità……..” L’insediamento di contrada Scordovillo rientra nel novero di quelli illegali? Me lo chiedo perché esso fu costruito dal Comune di Lamezia Terme, secondo la normativa vigente e quindi con tutti i crismi della legalità, per sistemare ‘temporaneamente’ le famiglie rom che vi furono trasportate nel gennaio del 1983, dopo che miracolosamente si erano salvate, alcuni mesi prima, dalla piena del fiume Piazza lungo i cui argini erano da anni accampati. La dichiarazione, tuttavia, rilasciata con la solita strafottente faciloneria, dall’ex ministro degli interni, che l’insediamento della contrada Scordovillo sarebbe dovuto essere presto sgombrato e bla…bla…bla, senza nel contempo specificare dove e come le circa seicento persone che l’abitano sarebbero state sistemate fa una certa specie, ma non stupisce, conoscendo il personaggio e la sua mentalità razzistica... In che maniera, mi viene piuttosto da chiedere, sarebbe stato sgombrato Scordovillo? Asfaltando l’insediamento a colpi di ruspe e deportando gli abitanti che sarebbero sopravvissuti alle raffiche salviniane? Per poi depositarli, dove? Dentro campi di concentramento in modo che, magari, non potessero mettere il naso fuori da lì? Da un eventuale intervento del Capitone leghista c’è da temere il peggio perché ha nel suo DNA il germe del razzismo. Abbiamo forse dimenticato cosa è andato dicendo di noi meridionali nei decenni scorsi? Che il Vesuvio e l’Etna avrebbero dovuto fare piazza pulita di tutti gli abitanti del Mezzogiorno perché luridi, immondi, parassiti e ladri? Salvo poi scoprire che lui, il leghista, è a capo di un partito che annovera tra le sue file una manica di ladri della peggiore risma e specie, che hanno compiuto reati di ladrocinio sanzionati con sentenze passate in giudicato? E ci sfuggono oggi le sue prese di posizione ed i provvedimenti avversi agli emigranti che, se fosse stato per lui, sarebbero periti tutti quanti nel Mediterraneo? Mi sembra fuorviante oltre che inutile, indignarsi ogni qualvolta da Scordovillo si alzano colonne di fumo e, generalizzando, colpevolizzare indiscriminatamente gli zingari come gentaglia responsabile di ogni crimine. Soprattutto in una città dove la ‘ndrangheta la fa spesso da padrona ed il 70% e suoi cittadini, secondo quanto affermato dall’ex sindaco Mascaro, non paga i tributi comunali. I rom sono cittadini italiani. E’ bene metterselo definitivamente in testa. Di una etnia particolare come ce ne sono diverse altre in diverse altre parti d’Italia; portatori di una cultura propria e con modi di vivere peculiari i cui diritti sono costituzionalmente garantiti e tutelati al pari di quelli di ciascun cittadino italiano. Di ciascuno di noi! A loro, rom e sinti, papa Francesco incontrandoli in Vaticano il 9 maggio di quest’anno ha rivolto, tra le altre, queste parole cariche di comprensione e solidarietà: <<Prego per voi, vi sono vicino……..soffro per certe notizie, non sono civiltà……>> Ed il nuovo vescovo della diocesi lametina, mons. Antonio Schillaci, che ha visitato il sito dei rom il 30 luglio scorso, appena 25 giorni dopo dalla sua ordinazione episcopale, rivolgendosi a loro ha detto tra l’altro: << Siamo chiamati ad essere sempre più vicini, più prossimi, perché così riusciamo a vedere meglio

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con la compassione e la misericordia, soprattutto se lasciamo cadere i pregiudizi e quelle forme di esclusione, di odio, che ci impediscono, invece, di vedere. Ci affidiamo quindi a Dio Padre misericordioso, e a lui chiediamo l’aiuto per tutti. Il mio è un messaggio di inclusione, di amore, di benevolenza e di pace. La parola vera è questa: pace. Bisogna lavorare nella direzione di migliorare queste condizioni. Siamo chiamati a questo. Dobbiamo crescere umanamente, tutti, guardando ai più deboli, a quelli che non ce la fanno. E una società che cresce, è una società che ha più possibilità per tutti.>> Mi sembra, anzi sono sicuro, che le parole del Papa e quelle del Vescovo vadano nella direzione lungo la quale la comunità sociale lametina deve incamminarsi per modificare la propria mentalità fatta prevalentemente di pregiudizi ed esclusioni e guardare con occhi solidali ed inclusivi, di amore e di pace, la comunità del popolo rom accampato da 36 anni in contrada Scordovillo. E’ ovvio, banale persino, aggiungere che le loro eventuali attività delinquenziali debbano essere perseguite e sanzionate secondo la legislazione vigente come succede per qualsivoglia altro cittadino italiano, comunitario od extra-comunitario, che si trovi a vivere in Italia. E tuttavia il problema costituito dall’insediamento in contrada Scordovillo va affrontato e risolto. Lo si è fatto in altre città d’Italia, lo si può fare anche a Lamezia. E’ necessario però, lo ripeto fino alla noia, pensare ad un Progetto realistico e di congrua durata, che coniughi contemporaneamente la sistemazione dignitosa ed umana dei rom e la correlata eliminazione e bonifica del sito. In caso contrario, saranno fallimenti a ripetizione, simili a quelli che si sono finora verificati, e conseguenti frustrazioni sempre meno accettabili dalla comunità cittadina. Con la conseguenza che il clima sociale potrebbe diventare progressivamente avvelenato e carico di tensione per la propaganda, priva di scrupoli, dei nuovi populismi e qualunquismi che soffiano sul fuoco del disagio collettivo. Voglio concludere quest’articolo ponendo delle semplici domande. Chi , a lamezia, la storia di Scordovillo? Quando è nato quell’accampamento? Perché è nato? Come è nato? Mi richiamo alla sua storia ed alla necessità di averne consapevolezza perché non è un caso se gli schiamazzi più stravaganti, petulanti ed inconcludenti sull’accampamento e sui mezzi e metodi proposti, anche violenti a volte, per eliminarlo vengano soprattutto da tutti coloro che della natura di questi interrogativi non conoscono nulla! Il nodo vero del problema è che i cittadini lametini e i rom, rispetto alla situazione dell’accampamento, sono vittime, ed anche a questo proposito mi ripeto, di una incapacità tutta politica che si trascina da 36 anni. In tutto questo tempo si è susseguita una serie di amministrazioni comunali ordinarie, i cui sindaci sono stati sia uomini che donne, e commissariali, ma sulla soluzione dell’accampamento Scordovillo si è continuata ad infrangere la capacità (o, meglio, l’incapacità) del ceto politico/amministrativo che ha governato Lamezia in questo terzo di secolo.........

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IL VOLTO SPIRITUALE DELLA CALABRIA

CATERINA BARTOLOTTA M I S T I CA CA L A B R E S E di Fernando Conidi

Dal numero precedente, abbiamo cominciato a ripercorrere, sin dall’inizio, la storia di Caterina Bartolotta, una delle più grandi mistiche cattoliche dei nostri tempi, ancora in vita. Gli articoli descriveranno le sue vicissitudini, trattando gli episodi più importanti e mettendo in evidenza i tratti salienti della sua spiritualità e, soprattutto, del messaggio mariano che Caterina divulga da oltre quarantasei anni.

LA STORIA LA REAZIONE DELLA FAMIGLIA Settingiano (CZ), ottobre 1973. Non è facile per i genitori di Caterina credere alle apparizioni iniziate qualche mese prima, il 12 luglio, rendersi conto che la loro bambina vede realmente la Madonna. Nel loro cuore sentono che possono fidarsi della loro piccola, ma a parte quella “particolare emozione” che sentono, e che non hanno mai provato, non credono che tutto ciò che sta succedendo possa essere reale, vero. In particolare, è Giuseppe, il padre di Caterina, a essere maggiormente scettico. Per lui, uomo semplice e onesto, stimato lavoratore, abituato a vivere tra casa e lavoro, accettare di essere disturbato a tutte le ore del giorno da estranei, che bussano alla sua porta per cercare la piccola veggente, è una cosa estenuante. Giuseppe, da persona riservata, che non ama mettersi in evidenza, è esasperato dalla continua presenza di giornalisti, che vogliono approfondire la vicenda di Caterina e conoscerne tutti i dettagli. Ma la difficoltà più grande di tutta la famiglia è cercare di contenere l’enorme afflusso di persone provepag. 14

Caterina, durante una delle apparizioni della Madonna, nel 1973, assieme alla sua famiglia e a don Giovanni Capellupo, suo direttore spirituale.

nienti da tutta la regione, che, sin dalle prime ore del pomeriggio fino alla tarda sera, riempiono la loro casa, privando soprattutto Giuseppe della tranquillità e dell’intimità familiare che era solito trovare tornando dal lavoro. A causa di ciò, egli redarguisce sia Caterina

che Vittoria, la moglie, nel tentativo estremo di porre rimedio a quella situazione che, oltre a stressarlo psicologicamente, lo fa sentire, malvolentieri, al centro dell’attenzione di compaesani e giornalisti. Giuseppe, stanco di quella situazione, vorrebbe mandare via dalla

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IL VOLTO SPIRITUALE DELLA CALABRIA

Caterina accanto alla statua della Madonna della Purificazione, che si venera in Settingiano (CZ)

sua casa tutta quella gente, per ritornare a quella intimità familiare che aveva perso da quando erano iniziate le apparizioni. Giuseppe, in seguito, dovrà fare i conti con se stesso e la sua contrarietà verso le apparizioni, a seguito di un evento “molto particolare” che porterà una nuova sofferenza fisica a Caterina. IL MOMENTO DELL’APPARIZIONE DELLA MADONNA Caterina, prima dell’apparizione della Madonna sente un fischio straordinario, come un sibilo, e, se si trova fuori casa, una forza irresistibile la spinge a rientrare, ad andare nella stanza da letto dei suoi genitori in attesa dell’apparizione della Madonna. Sul comodino del letto, dal lato dove dorme Giuseppe, vi è un piccolo altarino con dei fiori, allestito in onore della Madonna. Quando Caterina sente arrivare la Madonna si precipita davanti alla parete, lanciandosi letteralmente con le ginocchia per terra facendo tremare il vecchio solaio della stanza. Ancora oggi, molti ricordano il tonfo prodotto dalle sue ginocchia sul pavimento e lo stupore nel notare che non si era fatta alcun male. Quei momenti assumono un’atmosfera surreale, nell’aria si respira qualcosa di mistico. Quella bambina, che un attimo prima pregava assieme agli Lamezia e non solo

altri, seduta su una sedia, si alza improvvisamente guardando la parete, gli occhi sono spalancati e il suo viso di colpo si illumina di una luce straordinaria, assumendo un’espressione di gioia. Inginocchiata e con le mani alzate, Caterina inizia così il dialogo con la Madonna, la cui prova è un rumore gutturale proveniente da lei stessa. Lei descrive così quel momento: “Quando appare la Madonna io sento di parlare normalmente con la mia bocca. La Madonna mi ha detto che nessuno può ascoltare le mie parole, mentre dialogo con Lei, è per questo che non permette che si senta la mia voce.” Ancora oggi, tutto si svolge come quarantasei fa. Nel dialogo con la Madonna la bocca di Caterina rimane chiusa, non si muove, e le labbra sono ferme, sebbene lei abbia la sensazione di parlare normalmente, invece si sente solo quell’unico suono provenire dalla sua gola, che sembra diffondersi intorno a lei. La Madonna rimane a colloquio con la veggente pochi minuti e al termine dell’apparizione Caterina e i presenti recitano sempre la preghiera del “Salve Regina“, cui segue la recita del Santo Rosario. LA CHIESA CATTOLICA E CATERINA Caterina ha sempre seguito le indicazioni della Chiesa Cattolica, sin dalle prime apparizioni, quando veniva guidata lungo il cammino da don Giovanni Capellupo, suo direttore spirituale; egli era un sacerdote pieno di zelo per la propria missione sacerdotale e di amore per la Madonna. Don Giovanni l’ha guidata per quasi un decennio, fino alla sua dipartita, avvenuta nel 1982. Egli, già direttore spirituale di Natuzza Evolo, la grande mistica cattolica di Paravati (VV), forte della sua pregnante spiritualità, ha saputo guidare Caterina negli anni più importanti della sua crescita umana e spirituale. Caterina ha fondato da molti anni il gruppo di preghiera “Maria Santissima della Purificazione”, dall’epiteto con cui le appare la Madonna, e

Caterina durante l’apparizione della Madonna, presso la sede del gruppo di preghiera, in via Molise n. 7 a S. Maria di Catanzaro

ha inoltrato alla Curia Vescovile di Catanzaro la richiesta di un sacerdote che prendesse la guida spirituale e religiosa del Gruppo. La Chiesa sta studiando tutto ciò che si muove intorno a Caterina Bartolotta: messaggi, prodigi, testimonianze, iniziative, etc.. Proprio nell’ottica e nella necessità di alimentare questo percorso di conoscenza, nonché per soddisfare la richiesta di Caterina, già da qualche anno, il suo gruppo di preghiera viene guidato da mons. Giuseppe Silvestre, della Parrocchia “Madonna di Pompei” di Catanzaro. Accanto a lui, in qualità di collaboratore, vi è un altro sacerdote, don Franco Cittadino, che lo affianca durante la catechesi del lunedì e nelle confessioni. Caterina ha più volte ringraziato pubblicamente l’Arciv. S. E. Mons. Vincenzo Bertolone, per aver concesso al gruppo di preghiera “Maria Santissima della Purificazione” la guida di mons. Giuseppe Silvestre. Inoltre, Caterina ha dichiarato pubblicamente la sua totale sottomissione e ubbidienza alla Santa Romana Chiesa e un impegno costante alla preghiera. CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO Fonte: “Il Segno del soprannaturale”, n. 348, giugno 2017 - Edizioni Segno - Autore: Fernando Conidi

Per approfondimenti:

https://www.caterinabartolotta.it

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lamezia racconta

IL PALLONE, DATO IN REGALO, “CORRUCCIATO”, SI CONFIDA: “VUOLE ESSERE PRESO A CALCI SOLO DAI RAGAZZINI!” di Francesco De Pino Caro, Andrea, per il tuo compleanno ho scelto di regalarti un pallone, e bianconero, per giunta, conoscendo il tuo tifo per la “Vecchia Signora”, la Juventus. Vedi, sebbene di questi tempi sia corrucciato, (me l’ha confidato, confidenzialmente, conoscendomi sin dagli anni ’50) vuole evadere da tanto malessere negli “Stadi” e desidera essere calciato, soltanto, da ragazzi come Te. Ne ammira l’entusiasmo, la passione, la grinta e, soprattutto, si sente lusingato, quando, lo rincorrete con un fazzoletto stretto, forte, tra i denti. Mi ha detto questo, e altro, ancora. Scusami se parlo di un “pallone” come un essere umano, e uso “egli”, oppure, “lui”, invece di “esso”, ma così ho ritenuto, per il suo dire, un “sfogo”, che mi ha visto solidale con lui, da sembrarmi umano. Egli ama i campetti, perchè, negli stadi si sente soffocato, non respira, perfino, il manto erboso è artificiale come gli uomini addetti ai lavori, peraltro, aggiunge, strapagati. Una beffa e un’offesa per chi vive di stenti o di ricerca scientifica! E, così, anche, se sul selciato o sulla terra battuta si fa male, graffiandosi, preferisce essere “preso a calci” proprio lì, perchè trova sincerità, lealtà, agone sportivo vero, entusiasmo. Sappi, Andrea, egli si sente realizzato, soltanto, nel vedere i ragazzi, sia quando tristi lo vedono rotolare in “fondo alla rete, sia quando esultano, festosi, perché è entrato, finalmente, nella “stessa”, gridando, “GOOAL”, abbracciandosi e rotolando a terra! Per lui, in quel momento, c’è solo l’imbarazzo di scegliere da che parte stare, perchè vi ama tutti con pari affetti. Poi, quando, a fine partita vi abbracciate festosi, vincitori e vinti, trova pace con se stesso, orgoglioso di essere stato rincorso, conteso, preso a calci, ma saltellante con voi. Mentre mi parla, a un tratto, si ferma, dimentico di essere un pallone, mi dice di sognare di essere un ragazzino, anche se lo aspettano a casa parte di quelle sculacciate che il papà può dispensare vedendo il “cocco” di casa, tutto sudato e pieno di graffiature per le cadute e i calci ricevuti nei contrasti di gioco. E, non solo, paventa di essere dal burbero genitore tagliato con il coltello per la punizione che infligge, mosso dall’ira, al suo “bambino” (per i genitori sempre tale, Andrea.) ribelle e, quindi, ahimé, costretto ad andare al pronto soccorso presso il calzolaio dove è portato, di nascosto, dal suo complice, il ragazzo dei suoi giochi, l’amico di sempre, con cui trascorre pomeriggi nel campetto sotto casa, ma che dico, lì, nel vialetto sotto casa. Mi ha confidato che tra i ruoli dei giocatori preferisce quello di portiere,(il tuo ruolo), perché gradisce quelle mani protese a raccoglierlo per evitare la rete, abbracciarlo portandolo, stretto, a sé. Strano, si è ricordato di me in quel ruolo, dicendomi: “Pare mi attendevi perché, sempre piazzato, mi bloccavi portandomi a te. M’intenerivi”, sai?” Mi ha fatto piacere sentire tanto ricordo, lontano nel tempo! Continua a tifare, Andrea, per la tua squadra, e, così, i tuoi pag. 16

amichetti per le altre squadre del cuore. Ai miei tempi, le squadrette di Lega Giovanile di Nicastro si chiamavano Folgore, Audax, Lux, Fortitudo. Io ero portiere della Lux che, con la Folgore, erano le squadre vincenti di Santa Lucia, pur nel premio disciplina, cui I Dirigenti di Azione Cattolica parrocchiale: Giorgio Saladino, Antonio Giampà, Battista Leone e il Presidente, Peppino Ermio, tenevano, particolarmente! Quel sogno, che alcuni, ahimé, vogliono infrangere, trasformando il calcio in affari, dove “la vittoria è la sola cosa che conta”, vi farà volare alto, perché le squadre tutte sono, nelle loro radici, portatrici di Valori, i tuoi, i vostri, quelli dei ragazzi in gamba come te. come i giocatori del grande Torino, caduti sul cielo di Superga, mentre stavano per atterrare). In modo diverso la FIGC (Federazione Italiana Gioco Calcio), deve togliere la lettera “G” di “Gioco” e chiamarsi, soltanto, FIC (Federazione Italiana Calcio).Perchè il “gioco” è solo in Voi! In loro c’è solo il risultato! Continua a giocare e, così, stare vicino al tuo amico, il pallone, ora, più che mai, in difficoltà, nonostante le sgridate che potreste ricevere al ritorno a casa, se malconci! Non è così per Te, Mamma Rosa Ti accompagna lì sui campetti! Solo se si ritorna piccoli come voi, il pianeta Calcio può riprendere il cammino di “Gioco” che i ”grandi”, si fa per dire, stanno, malamente, per interrompere. In gamba, Andrea, e “ ad maiora, semper” con l’amico Tuo, il pallone, a strisce bianche e nere, ma fai una telefonatina al Tuo dinamico Presidente, Andrea Agnelli, raccomandandolo di tenere in debito conto i tifosi, dallo spirito di appartenenza di un tempo, quali “Numi Tutelari” dellatTua squadra del cuore, unitamente al suo lo “ Stile”, lo “STILE JUVENTUS” e non segua le altre. Fai presente, che il Real Madrid ha tolto dal suo emblema la Corona Reale e la Croce, per avere lo sponsor musulmano! Tanto suona abdicare alla propria “storia”, ma lasciando nel nome, l’appellativo di “REAL”. Una svendita di valori per denaro! Non sarà stato diverso per altre squadre dagli stessi sponsorizzate nella Spagna, Francia e Inghilterra. I “petroldollari” stanno per finire, sia per l’esaurirsi dei pozzi, sia per le energie alternative al petrolio, in atto, indispensabili, pena la tenuta del pianeta Terra. Perciò questi costi esuberanti per calciatori strapagati, non possono essere più sostenuti, mentre finiranno pure tali “ Nababbi”, o Pascià” perché non reggeranno al tempo dei cambiamenti sociali, non solo climatici, in atto!. Come vedi, Andrea, il “PALLONE” ha motivi fondati per scegliere di essere preso a calci da ragazzini come Voi, mentre lo ringrazio per le confidenze, fattemi da rendermi solidale con lui, tant’è che mi sono tolto il pacchetto Calcio da Sky per coerenza. Il Nonno con un abbraccio.

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cultura

Andersen: la Calabria nel suo cuore

di Francesco Polopoli

Il viaggio rappresenta non solo l’opportunità di fare nuove esperienze, ma è anche una via di fuga, un’evasione dalla realtà e perché no, un bel surrogato di vita! Così lo scrittore danese Hans Christian Andersen, tra i più grandi scrittori europei di fiabe, ferma e afferma il suo pensiero in una lettera datata 24 giugno 1836 all’amico Edvard Collin, il figlio del benefattore che lo aveva accolto come un figlio nella propria casa di Copenaghen. Le premesse iniziali, comunque, non erano delle migliori, per lui, almeno come status sociale: perde presto il padre, di mestiere ciabattino, e vive un’infanzia difficile accanto alla madre, lavandaia dedita all’alcol. Nelle sue opere si riflettono tutte le esperienze e le difficoltà della sua vita: il suo aspetto fisico sgraziato che gli aveva reso difficile il rapporto con i suoi coetanei (per esempio, nella novella Il brutto anatroccolo); la sua estrema povertà (La piccola fiammiferaia), ma anche la fortuna di aver avuto un padre lettore vorace e fantasioso (I fiori della piccola Ida).Nei suoi racconti trovano posto anche la figure della madre e della nonna paterna, che spesso svolge il ruolo di narratrice di storie o quello di saggia (così è per esempio in La regina delle nevi o in La sirenetta).Lo salvò la penna: buona sorte aiuta, meno male! L’attività scrittoria gli permise un bel vitalizio e la possibilità di spaziare la mente nella geografia dello spirito di ogni luogo raggiunto. Lo Stivale sarà meta di non pochi pellegrinaggi, nel 1845 e nel 1861. Immediata una precisazione: “Il bazar del poeta” (disponibile oggi nelle edizioni Giunti e Robin), il suo resoconto di viaggio, insomma, vede la luce nel 1842 e viene accolto con grande entusiasmo dai lettori e dalla critica. «La costa rocciosa della Calabria aveva uno straordinario aspetto verde e rossobruno: sembravano blocchi di lava coperti di muschio. I monti della Sicilia somigliavano a gigantesche bolle pietrificate; si sarebbe detto che l›isola fosse emersa ribollendo dall› abisso e improvvisamente si fosse

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pietrificata». Bello sentire pronunciare parole consorelle per due nostre Regioni, attaccate da un medesimo cordone ombelicale, pur essendo staccate: la descrizione surreale è tutta sospesa nel fiabesco e nell’onirismo magico. Persino a Messina si lascia incantare dai racconti di un giovane del luogo sulle donne mitiche e mitologiche dell’area bruzia: «Ci sono delle belle donne. Sono Scilla e Cariddi, che non nuotano più nel mare, ma che siedono sotto le viti, e catturano con i loro neri occhi fiammeggianti, le belle membra e il sorriso benedetto!» - dice il viandante incontrato. Donne «ardenti come l’Etna», «leggere come la fata Morgana», - continua il nostro favolista. Ora mi chiedo, alla luce di tutto ciò, quanto della calabresità possa essere stato da lui ritrascritto nelle sue Fiabe. Come non ravvisare a questo punto la continuità tra La sua Sirenetta e le nostre Sirene meridiane. Apollonio Rodio in modo diretto o indiretto può essere stato una fonte documentaria: questo scrittore, vissuto nel III secolo a. C., racconta ne Le Argonautiche il triste destino delle donne con la coda di pesce. Il prosieguo lo conosciamo un po’ tutti: addolorate, quando Ulisse riuscì a sottrassi al fascino

irresistibile del loro canto soave, decisero di lanciarsi in mare e di andare incontro ad una tragica morte. Unite in vite, nella morte si separarono. Le onde del mare trascinarono il corpo di Partenope sulla spiaggia dorata, luogo dove poi sarebbe nato il piccolo villaggio di pescatori, Napoli; Leucosia giunse sulle coste di Posidonia, oggi chiamata Paestum, e Ligea arrivò sospinta dalla corrente sulla riva calabrese nei pressi di Terina. «E Ligea pertanto sarà sbalzata presso Terina sputando acqua di mare; e i naviganti la seppelliranno nella sabbiosa spiaggia presso le rapide correnti dell’Ocinaro; e questo, forte nume dalla fronte cornuta, con le sue acque bagnerà il sepolcro e tergerà il busto dell’alata fanciulla […]. Altri, stanchi di vagare penosamente di qua e di là, si stanzieranno nel paese di Terina, dove bagna la terra l’Ocinaro versando le sue limpide acque nel mare». Licofrone di Calcide (III sec. a.C.), Alessandra, vv. 726-730, (da M. Bettini, L. Spina, Il mito delle Sirene, Immagini e racconti dalla Grecia a oggi, Torino, Einaudi Editore, 2004) Che Ligea possa essere stata una risemantizzazione della nostra Ligea? Perché escluderlo, mi chiedo: sicuramente dal cascame dell’epica nasce pure la fiaba, su questo la critica è unanimemente d’accordo.

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arte

La pittura di

Sonia Bellezza

di Tommaso Cozzitorto

Approcciarsi alla pittura di Sonia Bellezza è un’esperienza nuova e originale: i suoi dipinti, costruiti con la tecnica dello stucco e la conseguente messa a punto del colore, ti pongono in un atteggiamento di meraviglia e di stupore invitando, in chi li guarda, ad assumere un ruolo di analisi attiva, infatti in un primo momento l’occhio non riesce a focalizzare l’immagine che ha di fronte né i particolari, specialmente se ci si pone ad una distanza ravvicinata, invece man mano che ci si allontana ecco che, come per magia, il soggetto che la Pittrice ha ideato prende forma e nel caso di un volto, prendono forma la bocca, il naso, gli occhi; da vicino non puoi che notare una fessura, più lontano una bocca dall’intensa espressività. Si tratta di un interscambio emozionale tra l’Opera d’Arte e il suo fruitore, uno svelare, da parte di quest’ultimo, di significati e immagini come se il pubblico partecipasse alla formazione dell’opera stessa, un pubblico che in qualche modo diviene artista egli stesso. È una realtà artistica triangolare costituita dalla Pittrice, dall’Opera e dalle persone che guardano; la regista di tutto questo è sicuramente Sonia Bellezza, la quale, mi confessava una sera, di sentirsi in parte inconsapevole del risultato finale, pur essendo cosciente della difficoltà di utilizzo della tecnica da lei sperimentata e della relativa risultanza del discorso pittorico che viene alla luce. I visi realizzati da Sonia sono un pezzo di Storia narrata attraverso l’anima dei volti rappresentati, anima che si legge negli occhi di donne e fanciulle, sguardi realistici e poetici, di un romanticismo e verismo riportato al mondo attuale, occhi e bocche raccontano drammi umani, sociali ed esistenziali in pag. 18

modo così compiuto che la Storia trabocca da sé e diventa coscienza collettiva, analisi critica di problematiche sia intime sia di popoli. In ogni quadro, la partecipazione di Sonia con il suo vissuto è insita, una partecipazione non invadente, rispettosa delle sue donne artistiche, generosa nel dar loro vita propria nel mondo delle arti e delle esistenze. Si tratta, inoltre, di opere che vanno studiate con il tatto per rendersi conto di ciò che può generare di alto da un punto di vista valoriale, attraverso quello stucco e quel colore di cui abbiamo già precedentemente parlato. Sonia Bellezza crea dei poemi moderni trasportati in pittura, dà dignità agli esseri umani e in particolare alle donne con la magia propria della letteratura: vedi l’Angelica ariostesca tanto avanti per il periodo in cui fu letteriariamente disegnata. Questa di Sonia Bellezza è una pittura dal forte impatto ed è riuscita, con il suo stile, a dare un imprinting personale e inconfondibile. La Pittrice riesce a delineare personalità e carattere dei personaggi, molto interessante appare la direzione dello sguardo, sintetizza tutto il mistero del vivere, un viaggio che non capiremo mai fino in fondo, costellato dal dubbio, da domande sul senso della vita spinte dall’intelligenza, un viaggio dove gli errori diventano esperienza e il rimpianto compagno spesso costruttivo al fine della continuazione del percorso esistenziale: gli sguardi creati da Sonia ci confermano tutto questo, e qua e là non mancherà certamente il suo di sguardo; la vita le ha chiesto molto e lei ha risposto con il linguaggio immortale dell’Arte, proiettandosi nel metafisico. “Cogliere con uno sguardo l’immagine del mondo è arte” (Karl Kraus).

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Sport

Il Pallone nell’occhio di Vincenzo De Sensi Qualche ora di sonno in un letto corto e poi, via, a riprendere i contatti con la grande famiglia. Siamo emigrati ancora una volta, ma questa volta il passa-porto è azzurro e nella valigia c'è un pallone colorato. C'è la rudezza di Benetti, il grigio di Bettega e l'afflato stupendamente ermafrodita del soldatino Paolo Rossi. Come si può capire anche da lontano, il pallone è definitivamente negli occhi. E lascia vedere ben poco d'altro. Se è vero, come è vero, che ai mali del mondo, ingenuamente, opponiamo le nostre brigate azzurre. Come se il gioco del calcio fosse una cosa seria. Con il dubbio giustificato che lo sia.

Referto Arbitrale «Agli autori va certamente contestato qualche fallo di troppo, per eccesso di impertinenza. Le mille domande, poi, vanno al di là di qual si voglia tempo di recupero e maliziosamente tentano di riaccendere una partita ormai conclusa. Tuttavia, non si propone per i due alcuna squalifica. Perché hanno avuto l'ingenua presunzione di capire la vita con un pallone negli occhi, o se volete, di tirare il pallone dentro le regole della vita. Quando si sa che, la vita, non è mai un gioco»

eventi

ESTATE IN MUSICA di Annamaria Davoli Anche quest’anno, ha avuto luogo la rassegna musicale giunta ormai alla sua 5^ edizione che ha rinfrescato alcune calde serate estive, allietandole con sonorità piacevolissime. La ormai familiare Rassegna “Estate in Musica” ha preso il via il 30 giugno come di consueto alle 21,15 nel Lissania Garden nell’ Anfiteatro ‘Lello Cardamone in Lamezia Terme e, generalmente, in tali occasioni è illuminatissimo. Giardino e anfiteatro sono all’interno di in un edificio di fine Ottocento. La rassegna ha richiamato e accolto numerosissime persone (contiene infatti circa 150 posti) che hanno potuto fruire le piacevoli serate, assistendo ai concerti tenuti da musicisti d’eccezione. Autori della magnifica iniziativa sono stati i proprietari del giardino: Il dott. Tommaso Battaglia affiancato dalla Lamezia e non solo

moglie, la prof.ssa Anna Cardamone, presidente dell’ Associazione Altrove, che ha dato inizio agli eventi porgendo i saluti ai presenti e ringraziando di volta in volta i bravissimi musicisti impegnatisi per la realizzazione della rassegna. Diversi sono stati gli appuntamenti.

Molto ritmato, il 28 luglio, il tributo al grande Rino Gaetano l’intramontabile Rino scomparso prematuramente il 2 giugno 1981 e i bravissimi musicisti hanno eseguito con maestria le canzoni del compianto artista Molti tra i presenti, considerato il ritmo incalzante dei testi non son riusciti a contenersi e hanno pensato bene d’ iniziare a ballare e cantare, dimostrando che la musica mette allegria e riesce a unire tutti in un coro. A fine serata, effettuati saluti e ringraziamenti ai presenti e agli artisti grazie ai quali è stato possibile realizzare i concerti, la Presidente si è riproposta di organizzare nuovi incontri con l’associazione Altrove durante la stagione invernale, nonché una nuova edizione di Estate in Musica.

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la chiesa

Aperto al Santuario di Dipodi l’anno giubilare in occasione del millenario del Santuario di Salvatore D’Elia

Con la solenne concelebrazione eucaristica della vigilia dell’Assunzione della Vergine Maria, presieduta dal vescovo di Lamezia Terme monsignor Giuseppe Schillaci, ha avuto inizio l’anno giubilare speciale al Santuario di Dipodi, in occasione del primo millenario del santuario mariano della diocesi lametina. Risalgono, infatti, al 1020 alcune delle prime testimonianze relative al luogo di culto che oggi è sicuramente uno dei santuari mariani più antichi della Calabria, prima cenobio agostiniano, poi Chiesa affidata al clero secolare e oggi santuario diocesano che attira numerosi fedeli da diverse parti della Calabria, in particolare durante il mese di agosto. “Qui a Dipodi affido alla Vergine Maria il mio ministero e tutta la nostra

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comunità diocesana, perché possiamo ripartire lasciandoci ispirare da Maria nostra Madre” ha detto il vescovo Schillaci durante l’omelia sottolineando il valore dell’anno giubilare al santuario mariano “che segna una tappa importante nel cammino di questa nostra Chiesa diocesana, della nostra gente. Guardando a Maria, Assunta in Cielo, partecipe della gloria del suo Figlio Risorto, siamo riportati all’avvenimento centrale della nostra fede: la Resurrezione di Cristo. Siamo chiamati anche noi a trionfare sulla cultura di morte, che oggi ha tanti volti. La cultura della morte ha il volto del male che prevale sul bene, della discordia che distrugge la comunione, della violenza, della maleducazione civile, dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, della mancata custodia del Creato. La violenza è anche quella del linguaggio, ogni qualvolta il nostro linguaggio ferisce l’altro. Guardando a Maria, Colei che ha generato l’Autore della Vita

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e che si è lasciata incessantemente generare da Dio, siamo chiamati a contrapporre alla cultura della morte la cultura della vita”. Al termine della celebrazione, accompagnato dal rettore del santuario don Antonio Astorino e da numerosi sacerdoti della Diocesi, il vescovo ha officiato il rito di apertura della Porta Santa. Fino al 15 agosto 2020, ai fedeli che si recheranno al santuario mariano di Dipodi, alle consuete condizioni previste dalla Chiesa, è concessa l’indulgenza plenaria. “Confido che nelle parrocchie e nelle varie realtà cristiane – ha scritto il vescovo nella lettera con cui ha annunciato l’anno giubilare per il millenario del santuario - venga accolta questa opportunità di grazia e sia motivo di sincera conversione e accoglienza del Vangelo, del quale la Madre di Dio è stata grembo fecondo” La celebrazione sul piazzale del Santuario, dove nelle prossime ore continuerà un intenso pellegrinaggio di fedeli, è stata animata dalla corale diocesana “Benedetto XVI” diretta dal maestro Sara Saladino.

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eccellenze lametine

Centotrenta pellegrini in cammino dalla Cattedrale a Conflenti nella quarta edizione di “Sulle orme dei padri” di Salvatore D’Elia

Lungo le strade e i sentieri del Reventino, si è svolta domenica 8 settembre la quarta edizione del cammino “Sulle orme dei padri”, il percorso a piedi dalla Cattedrale di Lamezia Terme alla Basilica della Madonna della Quercia di Visora a Conflenti. Un’occasione di comunione fraterna, a contatto con la natura, per rivivere ogni anno, la seconda domenica di settembre, il cammino compiuto dai nostri padri fino alla metà del secolo scorso per raggiungere il santuario mariano della diocesi lametina. Rilanciato quattro anni fa dal rettore del santuario diocesano don Adamo Castagnaro e da un gruppo di giovani volontari, il cammino ha avuto inizio alle 7 con la celebrazione della Santa Messa in Cattedrale presieduta da don Adamo. Subito dopo i centotrenta pellegrini del cammino di quest’anno si sono diretti alla volta di Conflenti percorrendo le strade che dalle colline di Lamezia portano a Platania, località Sambate e poi in località “Spernuzzata” dove ci si è ristorati bevendo l’acqua fresca che sgorga in quel luogo. Quindi il cammino è ripreso alla volta della Querciuola, luogo dell’apparizione della Vergine Maria al

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pastorello Lorenzo Folino, si è vissuto un momento di preghiera. Tappa al monastero delle Clarisse, dove i pellegrini sono stati accolti dalle suore che hanno raccontato come si svolge la loro vita quotidiana, la loro preghiera costante per quanti si rivolgono a loro, per la diocesi lametina e per tutta l’umanità. Dal monastero, percorrendo un sentiero dove un tempo vi era un antico mulino e attraversando un ponticello caro alla memoria dei conflentesi, il gruppo dei pellegrini è giunto nel cuore del Comune di Conflenti, accolto con entusiasmo dagli abitanti. Dopo un momento conclusivo di preghiera al Santuario diocesano, il cammino è terminato con l’àgape fraterna, il pranzo sul piazzale preparato dai volontari del santuario. Ai pellegrini è giunto il saluto del vescovo monsignor Giuseppe Schillaci, che ha incoraggiato l’iniziativa e invitato a pregare per lui e il suo ministero. Appuntamento alla seconda domenica di settembre del prossimo anno.

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Spettacolo

L’ ASSOCIAZIONE MUSICALTIME DI DIAMANTE VINCE IL “MIGLIERINA MUSICAL FEST 2019”, IL FESTIVAL DEL MUSICAL di Ruggero Pegna Si è chiusa tra applausi e consensi la tre giorni del “Miglierina Musical Fest 2019”, prima edizione del nuovo e originale Festival del Musical svoltosi nella cornice gremita di pubblico del Teatro all’aperto di Miglierina, accogliente comune calabrese situato tra Lamezia e Catanzaro, incluso tra i Borghi autentici, nel Circuito delle 100 mete d’Italia e socio di Avviso Pubblico, Rete Nazionale degli Enti Locali Antimafia. Il format del Festival, che si è rivelato subito un successo, ha previsto due serate eliminatorie e la finalissima. A contendersi il Premio MMF Miglierina Musical Award, realizzato dal maestro orafo calabrese Gerardo Sacco, da assegnare ogni anno alle Migliori Scuole e Associazioni di Musical, sono state quattro “compagnie” calabresi su invito della stessa organizzazione: la “ASD e Culturale The Sparkling Diamonds - Centro Studi Musical Calabria” di Reggio Calabria diretta da Katia Crucitti ed Eugenia Chindemi, che ha presentato un estratto da “Mulan il Musical”, l’ “Associazione Teatrale Gala, Giovani Artisti Lametini Associati” di Lamezia Terme diretta da Roberto Panzarella, con un middley dei musical Divina Commedia, Romeo&Giulietta e Notre Dame De Paris, la Scuola di Arti Sceniche “Sorgente delle Arti, Centro di Formazione Professionale per lo Spettacolo” di Crotone diretta da Luigi Sgrizzi, con un middley di vari musical e l’Associazione Musicaltime di Diamante diretta da Davide Fasano, Claudia Perrone e Mattia Di Napoli, con un middley di commedie musicali di Garinei e Giovannini dal titolo “Se il tempo di G & G”. Superata brillantemente la prova della prima edizione, dalla prossima sarà redatto un autentico bando di iscrizione e partecipazione a livello nazionale. Prima classificata l’Associazione Musicaltime di Diamante, al secondo posto l’Associazione Teatrale Gala di Lamezia. Premiati anche i due più piccoli componenti della Sparkling Diamonds.

Ad aprire il Festival, realizzato con il finanziamento dell’ Assessorato alla Cultura della Regione Calabria (Pac 2014/2020), alla presenza del responsabile dell’Assessorato Salvatore Bullotta, è stato il sindaco Pietro Hiram Guzzi, che ha approvato idea e progetto del promoter Ruggero Pegna, affidando l’organizzazione alla sua Show Net, con la collaborazione di Raimo Produzioni. Bravissimo nel suo ruolo di testimonial, presidente di giuria e conduttore della prima e terza serata insieme allo stesso promoter, il popolarissimo Giò Di Tonno, protagonista di alcuni dei Musical di maggior successo, a cominciare da Notre Dame De Paris in cui da sempre interpreta il ruolo di Quasimodo, “Il Gobbo di Notre Dame”. Applauditissima anche Barbara Cola, la Lady Capuleti di “Romeo & Giulietta, Ama e cambia il mondo”, ospite della seconda serata, condotta magistralmente da Paolo Giura, volto noto di Calabria Tv. Nella terza serata, in attesa della classifica finale, Giò Di Tonno ha regalato al numeroso pubblico uno straordinario concerto, sfoderando tutte le sue qualità di cantante, ma anche di imitatore e personaggio dello spettacolo simpatico e completo. Per lui, continui applausi, una lunga standing ovation finale e un premio speciale dell’amico orafo Gerardo Sacco, anch’egli sul palcoscenico alla proclamazione dei vincitori per la consegna dei premi da lui realizzati. Soddisfattisimi a fine serata tutti i protagonisti e, in particolare il sindaco Guzzi, che ha affermato: “E’ partito un grande e bellissimo progetto. Il successo di questa prima edizione premia la bravura di tutti e conferma la nostra intenzione di storicizzarlo come grande Festival del Musical. “E’ un progetto nuovo – dice Ruggero Pegna – ma è già una bella realtà, appuntamento al 2020!”.

Satirellando

In estate, complice il caldo, può capitare di imbattersi in conversazioni grottesche, che ci invitano a… satirellare. Quella dell’estate appena trascorsa è davvero da Oscar. Provare, per credere. Una gallina, di sottospecie comune, mi apostrofò, con maniera impune, paragonandomi ad ella, terra terra, per cui pensai: ”Costei vuole la guerra!”. Allora mi accinsi, con fare sussiegoso, a spiegarle, con tono altezzoso: “Sarò gallina, ma di alto lignaggio, Faraona di regno e di sublime coraggio! pag. 24

Se fossimo sui social, comparirebbero mille faccine con risate sganasciate. AH,AH, AH! Giudicate voi…

Ho incedere regale e carne prelibata, nessuna persona sarà mai contrariata nel divorarmi con cibi sopraffini e innaffiata con rinomati vini. Faraona, ripeto, di antico blasone: lo dice il mio stesso, altisonante nome! Al contrario, tu sei solo una pennuta, di stirpe bassa, superba e cocciuta: di pollaio, infima volatile,

starnazzante invano, vile, umbratile! Fossi tu, almeno, Gallinella Padovana, di pennacchio altero, di razza sana… Invece, a Napoli, ti chiamerebbero “fetecchia” E non farai buon brodo, neppure da vecchia

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