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Lamezia e non solo

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o, iamo Le h c i m Ciao schio, esi, ma ato m o t t o cin to, vac svermita amici o, i miei t a r t s a o c e via e son i t a d n a sono . no triste solo e so tami! Adot lto dolce sono mo occole le c ed amo M due i chiam a to o nni, (ab o Tigr band o, vorr forse ona s e tutta i tanto cappato ) timo mia, so una cas , n a r dolc oso m o un p e a m o’ olto Ado ttam i!

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Mi chiamo Rum, sono un cucciolotto abbandonato che è stato aggredito da un cane adulto. Sono ospide di una fanciulla ma può tenermi solo per poco Adottami! PER INFO fiorentino federica Tel 3881797639

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Lameziaenonsolo incontra

Nunzia Coppedé

La ricerca del personaggio “di copertina”, per il team del giornale, è frutto dell’osservazione della città nella quale abitiamo, e non deve rispondere a dei canoni precisi, non deve essere amico o raccomandato, non deve essere una scelta “popolare”, è, a volte una scelta “fortuita”, spesso è legata alle riflessioni che il soggetto che scegliamo ci fa fare. Nel mese della festa dedicata alla donna, nel mese della rinascita, abbiamo chiesto a Nunzia Coppedè se volesse essere lei la protagonista del mese di marzo perchè è una donna a tutto tondo che ha dimostrato di sapere rinascere, quando necessario. E’ una donna che combatte e che ha saputo ergersi a vessillo per tutte quelle donne con disabilità che avevano rinunciato a combattere e che hanno trovato in lei la loro paladina. Ha accettato ... Nunzia, non possiamo non iniziare parlando un poco della tua infanzia, nata a Tivoli nel 1948, fino ai 10 anni sei vissuta in famiglia ed hai avuto, tutto sommato, un’infanzia felice, lo testimoniano le tue foto, la tua famiglia ti era vicina e non ti faceva, compatibilmente con i tempi e la situazione economica, mancare nulla, si evince dalle foto e da ciò che tu stessa scrivi sul tuo sito. (http://www.nunziacoppede.it/) I primi cinque anni li ho trascorsi in ospedale, tra il Bambino Gesù e l’ospedale Umberto I°, solo per pochi giorni tra una ingessatura e l’altra tornavo a casa, ma erano talmente fugaci queste visite in famiglia che non le ricordo. La mia vita famigliare è iniziata con la nascita della mia sorellina: una mattina molto calda ero a giocare con i bambini di tutto il vicinato, prestissimo, nel parco davanti casa circondato dal biancospino, i grandi erano tutti eccitati e impegnati, poi è calata la tranquillità e sono tornati ad occuparsi di noi. Hanno chiamato me e mia sorella più grande, siamo andati in casa e abbiamo trovato una nuova sorella. Su mia insistenza è stata chiamata Daniela. Nel mese di ottobre del 1954 ho indossato la divisa per la scuola e munita di cartella ho iniziato l’avventura scolastica. Ho dei ricordi molto belli di quegli anni, non riconoscevo la mia diversità, giocavo, studiavo, mi sedevo sul banco di scuola, facevo i compiti a casa con le mie compagne e sono state proprio le mie compagne di scuola in accordo con le maestre a rendere possibile tutto questo, andavo a scuola e tornavo con loro, Paola e Natalia se dovevo andare al bagno mi accompagnavano come se fosse stata la cosa più naturale del mondo. Mi piaceva studiare ad eccezione della grammatica italiana, dalla terza alla quinta elementare la maestra ci ha fatto fare tantissima analisi logica, oggi ne capisco l’utilità ma allora non la sopportavo proprio ma non ho mai consegnato un compito in bianco. Abitavo in una frazione di Tivoli a Villa Adriana e per arrivare a Tivoli città bisognava percorrere quattro chilometri. A Villa Adriana c’era la scuola materna gestita dalle suore e le scuole elementari statali ma per le scuole medie e superiori era necessario andare a Tivoli e pertanto la mia avventura scolastica si concluse così. I problemi reali sono iniziati, nel 1959, quando sei arrivata al Cottolengo, dove i tuoi genitori ti hanno portata credendo di fare il tuo bene, tu così descrivi il tuo primo impatto con la struttura “La prima cosa che vidi furono le sbarre di ferro del cancello che si richiudevano come a seppellirmi”. Oggi, a distanza di tanti anni, credi che i tuoi genitori ti abbiano fatto un torto rinchiudendoti in quella struttura? Hai, anche se

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sopito, del risentimento per loro? Inizialmente è stato difficile perché il risentimento c’era e tuttavia li avevo perdonati di avermi lasciato lì pur sapendo che non ci stavo bene. Ma le successive esperienze mi hanno fatto capire i problemi che i miei genitori che vivevano comunque in una situazione di povertà e con pochi strumenti a disposizione, non potevano sentirsi in grado di aiutarmi a vivere una vita di relazione. Tra l’altro anche grazie al mio lavoro di sportello informativo che mi ha fatto conoscere molti familiari di persone con disabilità, ho capito quanto sia complicato per una famiglia poter dare il necessario ad un figlio disabile perché possa crescere con le stesse opportunità di tutti gli altri. Non ho mantenuto il risentimento nei confronti dei miei genitori li ho solo compresi ed ho cercato di recuperare quel rapporto che mi è mancato per molti anni e soprattutto ho voluto dimostrare loro con tutte le mie forze che anch’io potevo vivere, scegliere, dire, contare come tutti gli altri. E’ stato un periodo duro, alcuni passaggi del tuo “Il Cottolengo” (sempre sul sito) ricordano le scene cupe di alcuni film nei quali venivano rinchiusi ammalati ed orfani che venivano trattati come fossero oggetti inanimati, privi di sentimenti che avevano un unico dovere: obbedite, sei mai ritornata al Cottolengo? Hai mantenuto contatti con qualcuno di quell’istituto? Sono tornata al Cottolengo tre volte nei primi due anni dopo che ne ero uscita. Avevo lasciato lì Lina la mia amica del cuore con cui avevo condiviso molte giornate buie ma anche molti desideri mai esauditi. L’amicizia con Lina era troppo importante per me e non potevo abbandonarla come se nulla fosse e così sono tornata a trovarla. La prima volta ho sentito un dolore dentro di me e mi sentivo in forte disagio perché le altre compagne di sventura mi guardavano come se andandomene fossi andata a finire male e che la mia uscita mi avesse procurato grandi sofferenze e si meravigliarono quando videro che ero contenta e felice. Tutte e tre le volte che andai a trovarla, cercai di convincere Lina a venir via dal Cottolengo ma lei aveva troppa paura perché era entrata che aveva solo due anni e ci lasciammo con la promessa che sarei ancora tornata a trovarla nonostante per me quel posto rappresentasse sempre una acuta sofferenza. Poi un giorno mi arrivò la notizia della morte di Lina che era andata al suo paese per le vacanze estive ed era morta lì tra la sua gente i suoi familiari che l’avevano sempre lasciata fuori casa. Non sono più tornata al Cottolengo di Roma. 1974, è questo l’anno della rinascita, quando hai avuto il coraggio di ribellarti e lasciare un luogo dove avevi vissuto per ben 15 anni per andare incontro all’ignoto, per fortuna, mi viene da dire, avevi 11 anni quando sei entrata nel Cottolengo, 26 quando ne sei uscita, sicuramente la tua vita avrebbe preso una piega diversa se fossi rimasta con le tue zie, magari ti saresti innamorata, ci hai mai pensato? Per molti anni ho pensato che se fossi rimasta al piccolo rifugio la mia vita sarebbe stata completamente diversa, in quella piccola casa sul mare che mia mamma continuava a dire che “c’è una forte puzza di broccoli”, naturalmente vi stavano cucinando e come in ogni casa è normale che si sentano gli odori della cucina. In quei giorni mi ero incontrata con altri giovani miei coetanei o poco più grandi tutti con disabilità, alcuni in

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carrozzina e altri che camminavano con difficoltà. Erano tutti studenti in vacanza e vivevano tutti in altre case del piccolo rifugio che io non ho mai visto. Mi è stato detto però che erano piccole case e che ogni giorno si andava a scuola fuori nel paese, le zie - così si facevano chiamare - cercavano di creare un clima familiare e in questo modo qualcuno ti coccolava e qualcuno ti rimproverava dando proprio l’impressione di essere in una casa, ciascuno di noi era invitato a fare da solo quello che poteva e a dare anche un aiuto in casa. Io ero la più piccola, la nuova, e devo dire che in quei giorni mi hanno proprio coccolata, essere portata via con la forza per ritrovarmi in una enorme casa anonima e affollata mi ha fatto molto male e ne sono rimasta traumatizzata. È chiaro che quello che piaceva a me non piaceva alla mia mamma ma ero troppo piccola ed era lei che decideva. Tu hai vissuto il “tempo della crescita”, nell’istituto. Il tempo importante del cambiamento del tuo corpo, dei primi innamoramenti, tu eri lì dove tutto serviva solo a ricordarti che eri “diversa” e che per questo, dalla tua vita, sentimenti come amore, desiderio di maternità, di indipendenza, erano banditi, lo dici nel tuo libro “aldilà dei girasoli” quando parli del tuo “innamoramento” per Antonio, sentimento del quale ti vergognavi quasi come se, essendo disabile, non ne avevi il diritto. Ti è rimasto dentro questo? Per molti anni al Cottolengo ho vissuto l’esperienza della “più piccola” dopo il passaggio dal reparto dei piccoli in cui c’erano persone da sei anni ai 26 mi sono ritrovata nell’infermeria che si chiamava Santa Bernardetta in cui erano tutti molto più grandi di me: io avevo 11 anni e avevo finito la quinta elementare per cui nel reparto dei bambini non potevo più stare perché ero troppo istruita e non andavo più a scuola. Nel nuovo reparto mi sono ritrovata in una camera con sedici letti e ci ho trovato la mia amica Lina che era stata portata lì perché era molto malata. Lei aveva 18 anni mentre molti ne avevano più di 30 e alcuni anche 70 o 80. Erano persone con gravi disabilità fisiche e psichiche ed è in questo ambiente che sono cresciuta tra gli urli notturni e le sofferenze continue di tutte le persone che condividevano la camera con me. Quando a 14 anni mi è arrivato il ciclo l’ho subìto come un forte trauma: ero nel letto al mattino e non mi sentivo bene mi sono mossa ed ho visto che il mio lenzuolo era molto sporco ho chiamato la suora molto impaurita e mi ha detto che ero “caduta dal letto”, io gli ho detto che non ero caduta ma lei ha insistito poi ha preso un panno bianco lo ha piegato me lo ha messo in mezzo alle gambe bloccandolo con delle spille da balia e mi ha spiegato che ogni mese sarei “caduta dal letto”. Da questa esperienza ho capito che anche tutte le mie compagne di camera ogni mese cadevano dal letto ed ecco perché passavano di tanto in tanto le padelle sporche di sangue. Il ciclo mestruale l’ho sempre vissuto molto male ed è stata una grande liberazione per me quando se ne è andato, insieme al ciclo anche il mio corpo si è trasformato ed è diventato un corpo da donna. Quando andavo a casa in estate o a Natale e Pasqua mi confrontavo con quelle che erano state le mie compagne di scuola nei miei felici sei anni di frequenza scolastica ed anche con le mie amiche poco più piccole o più grandi che abitavano in quegli anni vicino a casa mia e devo dire che loro aspettavano il mio arrivo con entusiasmo ed ogni volta quando arrivavo mi includevano in tutte le loro passeggiate come se io non fossi mai andata via. Ogni anno per il mio compleanno il 23 ottobre, si organizzavano e venivano a festeggiarlo con me al Cottolengo ed ho scoperto poi che mi scrivevano pure ma le suore hanno pensato che quelle lettere non mi facessero “bene” e non me le hanno mai consegnate. Il confronto con le amiche non era facile, avevano tutte il fidanzato, si truccavano, erano belle vestite alla moda e io nei giorni che trascorrevo con loro cercavo di fare lo stesso ma il mio corpo non era bello, io non mi sentivo bella, e ripensavo a quello che mi dicevano le suore in Istituto: io non potevo vivere come le mie amiche e non potevo avere un fidanzato. Mi sono sentita molto in colpa quando il mio cuore si è messo a battere più velocemente davanti a quel giovane con il ciuffo che mi piaceva tanto. Diventando più grande ho anche diminuito le visite a casa per evitare questi confronti.

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Visto che siamo in tema, così evitiamo di tornarci dopo, la disabilità e l’amore, come si coniugano? E Nunzia, Antonio con il ciuffo alla Little Tony a parte, si è mai innamorata? La disabilità non incide sui sentimenti di per sé ma una persona con disabilità è costretta spesso ad imparare a gestire i propri sentimenti per non farsi troppo male. Le prime esperienze di innamoramento e i sentimenti che ho provato di attrazione verso altre donne forse erano più legate alla sensazione di voler essere importante per qualcuno perché per 15 anni ho vissuto in un istituto con seicento persone esclusivamente donne, poi c’è stato l’incontro con Antonio, la mia prima attrazione verso il genere maschile ed anche il confronto con i due sessi, la frustrazione di non essere riuscita a dirglielo e di avere da lì in poi diradato le occasioni di incontro con lui, in un certo senso in quella occasione mi sono detta queste non sono cose per me e ho chiuso. Per tutto il tempo che sono rimasta nell’istituto ho cancellato completamente dalla mia mente l’idea di potermi innamorare di qualcuno. Quando sono uscita dall’istituto il primo giorno Don Franco Monterubbianesi mi ha portato alla comunità di Capodarco di Roma ed era un giorno molto particolare, ho assistito al matrimonio di due persone con disabilità. La mia esperienza in comunità, grande scuola di vita che mi ha messo in condizioni di riprendermi la vita nel processo di crescita, mi ha messo davanti a tutti i muri che avevo alzato intorno a me come difesa personale ed ho capito che se volevo crescere dovevo abbatterli questi muri e tra questi c’era anche la paura di innamorarmi e l’accettazione del mio corpo. Ho lavorato molto per arrivare ad accettare il mio corpo è stato un processo lungo e faticoso, agito con la consapevolezza che era l’unico modo per sentirmi completa ed affrontare la vita nella sua pienezza. La Nunzia di oggi non ha più paura di innamorarsi perché l’innamoramento non è un sentimento da frustrare ma da gestire e da vivere con intensità. Il 1975 ti ha fatto conoscere Don Giacomo e Lamezia Terme, qui sei arrivata con lui e qui sei rimasta, con lui, diventando una donna forte, una donna che combatte per il suoi diritti e per quelli di chi la circonda, ti sei mai pentita di questa scelta? Quella di venire in Calabria è stata la mia prima vera scelta libera: mi sono innamorata di questa scelta lontana da tutti gli ambienti che avevo frequentato prima, finalmente la mia vita dipendeva da me dal mio impegno e dalle mie capacità di fare e dalla mia intelligenza. Il confronto con altre persone con disabilità e non con cui condividere questa nuova avventura mi ha eccitato. È stato bello anche discutere per ore se potevamo permetterci di comprare il caffè o la frutta, è stato anche bello girare l’Italia per vendere i prodotti di rame che ogni giorno producevamo, perché ci permettevano di guadagnare i soldi per poter vivere. I primi anni in Calabria per me sono stati quelli in cui ho appreso più cose in assoluto e soprattutto gli anni di conquista della mia libertà di persona e della mia riscoperta di essere donna. Solo qualche anno dopo ho iniziato l’esperienza dello sportello informativo per le persone con disabilità dando così risposte a molte persone disabili e loro familiari che vagavano nel buio poiché non c’era assolutamente nulla, nessuna struttura o nessun servizio a cui rivolgersi. Inizialmente io non ne sapevo più di loro e non avevo fatto studi particolari per conoscere la materia ma ho capito che potevo farlo ed ho cominciato ad approfondire tutte le informazioni utili per poterle poi trasmettere ad altri tutto questo guidata da una grande volontà di far rispettare i diritti delle persone ed anche qui con approfondimenti mirati, mi sono inventata metodi molto personalizzati per farmi entrare in testa i testi delle leggi ostici e complicati per una come me che aveva a malapena fatto la terza media e un corso professionale di due anni da ceramista. È stato bello riuscirci e devo dire anche di essere stata molto aiutata dalla mia Comunità ed in particolare da Don Giacomo Panizza con cui ho condiviso tutta la fase di preparazione per lo sportello. Con lo sportello ho conosciuto molte persone con disabilità e loro familiari e ho inoltrato per loro molte pratiche per l’invalidità o mediato nella scelta delle protesi anche creando la possibilità di poter avere contatti con diverse ditte ortopediche e poter scegliere tra chi gli offriva la migliore, lottando contro chi cercava

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di imbrogliare consegnando gli avanzi del magazzino. Questo lavoro per molti anni ha fatto crescere la consapevolezza dei diritti delle persone con disabilità e dei loro famigliari in particolare a Lamezia Terme. Lo sportello esiste ancora e ha sede nella struttura confiscata alla mafia data in gestione alla Comunità Progetto sud. Oggi le richieste sono diverse e le consulenze sono più telefoniche, la nuova organizzazione dei servizi pubblici competenti non permettono più ad uno sportello come il nostro di gestire quelle richieste descritte sopra ormai gestite in particolare dai CAF in questo e in altri ambiti certamente non meno importanti: scuola, lavoro, barriere architettoniche, trasporto, turismo accessibile, cultura, eccetera. Per me scoprire di poter aiutare gli altri è stata la più grande conquista. In sintesi sono passata dall’assistenzialismo puro alla conquista della mia vita alla scoperta di poter aiutare gli altri. Bellissima esperienza! E’ un augurio che rivolgo a tutti.

donne! È questo essere considerati “diversi” che fa aumentare le distanze e crea esclusione. Questa cultura delle differenze molto elevata incide fortemente sulle persone, per molti anni ho soffocato completamente il mio essere donna perché prima di tutto ero una disabile prima di essere considerata una persona e penso che sia una situazione piuttosto diffusa, oggi probabilmente meno di allora ma in alcuni casi devo dire che ahimè! il pregiudizio esiste ancora. Io ho dovuto fare un lungo e faticoso lavoro di accettazione del mio corpo contorto a causa della mia disabilità riconoscerlo ed accettarlo per me ha significato riconquistare il diritto di sentirmi donna, prima ero solo testa per cui una persona incompleta. Oggi questo è solo un ricordo ma credo e ne approfitto per dirlo anche alle altre donne con disabilità che se non accettiamo il nostro corpo e non ci riconosciamo persone e donne non possiamo vivere la nostra vita con pienezza.

Come è cambiato, nel tempo, il rapporto disabili/società? Nel tempo il rapporto disabili e società è cambiato. Il 1977 è stato un anno particolarmente importante perché è stata emanata dal Governo italiano la Legge n. 517/77 che ha dato il via al processo di inclusione scolastica degli alunni disabili nella scuola di tutti. Una grande conquista perché fino ad allora le persone con disabilità o andavano in una scuola differenziata o non andavano scuola! L’ignoranza ha permesso di favorire l’esclusione sociale delle tante persone con disabilità. I luoghi d’incontro erano il santuario di Lourdes o di Loreto e le funzioni religiose nelle chiese spesso inaccessibili. Come se la disabilità fosse una questione che riguardasse solo la chiesa. Era normale ricevere visite delle dame, signore ben vestite ricche che si recavano a far visita alle persone con disabilità per portare il loro conforto ed anche qualche regalo o monetina. L’integrazione scolastica nella scuola di tutti ha rappresentato una rivoluzione culturale e politica a favore dell’inclusione sociale delle persone con disabilità, le leggi che hanno seguito la 517 tra queste in primis la legge 104 del 1992 hanno fatto miracoli per le persone con disabilità, i bambini con disabilità, sono diventati alunni disabili che per diritto sono entrati nella scuola di tutti. Da qui è cambiata la situazione delle persone con disabilità nei confronti della società e ne sono uscite persone istruite capaci di reclamare i loro diritti, di fare movimento e di voler essere delle persone capaci di protestare e di proporre, ed è proprio con queste persone che abbiamo costituito nel 1994 la Federazione Italiana Superamento Handicap (FISH) e solo dopo un anno anche la FISH Calabria di cui ancora oggi sono la presidente. I movimenti delle persone con disabilità in tutta Italia hanno iniziato e continuano a combattere contro la delega piatta per proporre una società capace di accogliere e di realizzarsi anche attraverso le diversità. Un problema grosso comunque che continua ad esistere è quello delle persone con disabilità psichiche gravi o meno gravi che finita la scuola, non trovano percorsi inclusivi capaci di accoglierli e molto spesso restano chiusi in casa o finiscono in istituti o nel migliore dei casi nei centri diurni.

Disabili e matrimonio, disabili e sesso, in Italia, contrariamente agli altri Stati, solo da poco si è affrontato questo argomento, vuoi per pregiudizi, vuoi per tabù, o per falsi pudori. La tua opinione in merito? Come già accennato quando ho parlato del mio primo giorno di entrata a Capodarco di Roma, vedere una coppia di persone con disabilità che si sposavano mi ha fatto molto bene, mi ha offerto altri orizzonti, mi ha fatto capire che era possibile. Oggi ho moltissimi amici e amiche in Italia e all’estero sposati o coppie di fatto tra persone con disabilità o tra persone con disabilità e non, personalmente ho fatto una scelta diversa ma sono convinta che le persone con disabilità debbano avere pari opportunità di tutti gli altri quindi anche sposarsi e mettere su famiglia tutto questo con la consapevolezza necessaria verso le scelte fatte ma questo vale per tutti e non solo per le persone con disabilità.

Tu sei donna e sei disabile, il tuo essere “femminile” come affronta il problema? Non è stata soltanto una mia prerogativa riconoscere il mio essere donna e la mia femminilità perché la disabilità di per sé è molto invadente e riconoscibile a prima vista tanto da confondere tutto il resto. Le persone con disabilità vengono viste come persone che non hanno una sessualità come tutti gli altri e questo convincimento è molto forte ancora oggi nonostante siano moltissime le persone con disabilità che si sposano e mettono su famiglia. Un esempio per tutti: nei bagni pubblici troviamo separati il bagno per uomini il bagno per donne e il bagno per disabili senza distinzione per quest’ultimo, tra uomini e donne. Questo è il risultato di una mentalità molto diffusa, e chissà perché i cosiddetti normodotati hanno bisogno di bagni diversi e le persone con disabilità no, in fondo basterebbe fare un bagno per ogni genere solo un pochino più grandi per consentire l’accesso anche alle persone con disabilità perché la disabilità non è una situazione in contrasto con i normodotati ma è la diversa sessualità che crea la necessità di avere dei bagni differenti tra uomini e

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Donne e varie feste/giornate dedicate alle donne: quella sulla violenza alle donne, la festa delle donne, la giornata dedicata al “percorso rosa”, e, probabilmente altre di cui non conosco l’esistenza? Non le trovi esagerate tutte queste “rimembranze”? la donna è una sola, che sia una donna tradita, che sia una donna che subisce violenza, che sia maltrattata sul posto di lavoro o discriminata sul lavoro, per il sesso, non basterebbe una sola giornata? che racchiudesse tutti i problemi dell’Universo femminile? Per quanto mi riguarda penso che le giornate dedicate in generale qualcosa di specifico possono diventare occasioni per il semplice motivo che quel giorno tutti sono disponibili ad ascoltarti se ne potrebbe fare a meno o farne anche una sola se la cultura dei diritti dell’equità del valore delle differenze e del rispetto del genere umano diventassero patrimonio di tutti non per un solo giorno ma per tutti i giorni. Una società inclusiva dovrebbe avere questa prerogativa nel riguardo di tutto il genere umano che la compone. C’è anche la giornata del Disabile, la condividi o credi che, al contrario, sia discriminante e sia stata creata a puro scopo commerciale? Credo che anche per le giornate che riguardano la disabilità sia quella del 5 maggio per la vita indipendente delle persone con disabilità che quella del 3 dicembre giornata internazionale per la disabilità vale quello che ho detto per la festa delle donne e per tutte le giornate dedicate a qualcuno. Purtroppo questa società ha bisogno della giornata particolare per non dimenticare che non è una società composta solo da normodotati in buona salute con fisico muscoloso potenti e realizzati (!). Resta il fatto che noi il 3 dicembre di ogni anno organizziamo tante iniziative perché è un’ottima occasione per stare insieme, contarci ed essere ascoltati da tutti. A dicembre il Consiglio di Stato ha stabilito che per gli educatori che lavorano nei Centri Diurni Disabili, non è più necessario il titolo rilasciato dalla facoltà di medicina questo perché il disabile non è “affetto” da alcuna malattia, sei d’accordo con questa decisione? La disabilità è spesso la conseguenza di una malattia e in alcuni casi di un

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incidente e comunque è sempre una conseguenza. Per molti anni abbiamo subìto la definizione disabilità = malattia sulla nostra pelle. Questo ha portato a favorire la cultura della cura sanitaria con prospettiva di guarigione. I servizi e le risposte sia pubbliche che private sono state pensate e organizzate come strutture talora con livelli di qualità alta legati alla cura sanitaria portando la persona con disabilità a vivere una vita in attesa della guarigione e in una condizione di vita più ospedaliera che di socialità e questo ha favorito l’esclusione sociale e l’assistenzialismo delle persone con disabilità. Come sempre le cose però non sono mai tutte di un colore e se da una parte questa cultura fortemente sanitarizzata ha penalizzato la qualità della vita e inclusione delle persone con disabilità, non è detto che non ci possono comunque essere situazioni in cui la disabilità é integrata da una situazione di malattia che comunque richiede anche un’attenzione sanitaria e specialistica. Ancora oggi, cosa ti dà fastidio, nel rapporto con i non disabili, che so, il fatto che ti fissino, che ti diano una carezza, che ti guardino con pietà o con un senso di fastidio? Sono sempre meno numerose le persone che si avvicinano con un atteggiamento improprio, attraverso il mio lavoro politico culturale sociale sono diventata una persona molto conosciuta e questo fatto ha ridotto automaticamente gli avvicinamenti strani quelli in cui la persona viene completamente soppiantata dal suo essere disabile pertanto ognuno si sente autorizzato alla carezza, allo schiaffetto, alla pacca sulla spalla. Ho detto sono sempre di meno ma non ho detto che non esistono ci sono e danno fastidio. Se per un giorno tu avessi il potere assoluto di prendere decisioni che riguardano i disabili, che leggi faresti attuare? Che cosa renderesti obbligatorio nella società per agevolare chi vive nell’handicap? Se avessi il potere di prendere decisioni che riguardano le persone con disabilità obbligherei tutti gli enti competenti ad applicare la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità che con la Legge 3 marzo 2009, n. 18 (pubblicata in G.U. n. 61 del 14 marzo 2009) il Parlamento ha autorizzato la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità e del relativo protocollo opzionale, sottoscritta dall’Italia il 30 marzo 2007 e la sua applicazione. Quindi l’Italia ha già uno strumento fondamentale per riconoscere tutti i diritti e interventi sociali finalizzati a garantire alle persone con disabilità una migliore qualità della vita. La Convenzione che è stata scritta da persone con disabilità di tutto il mondo tocca tutti gli aspetti della vita e riafferma i diritti universali al fine di sostenere che le persone con disabilità devono poter svolgere tutti gli atti della vita come qualsiasi altra persona. Progetto Sud, come già dissi nell’intervistare Don Giacomo, non basterebbe un anno di speciali sulla Comunità per riuscire a dire tutto quel che è riuscita a fare, il tuo rapporto con la Comunità? Come ha cambiato la tua vita? Sono una dei fondatori della Comunità Progetto Sud e quest’anno compiamo quarant’anni e potrei dire con tanta serenità che della mia vera vita questi i sono i quarant’anni più significativi. Per me scegliere la comunità, venire Calabria, credere nell’autogestione, nell’accoglienza, nel condividere la vita con altri in un rapporto alla pari ha significato rinascere e anche dare un valore maggiore all’esperienza di prima perché tutta quella sofferenza paradossalmente mi ha fatto valorizzare maggiormente la vita comunitaria. Ho capito quanto è importante condividere con altri obiettivi e idee e quanto sia importante mettersi in gioco per delle idee in cui si crede, far le cose insieme, aiutare gli altri. Sono queste le cose che davvero fanno crescere e danno senso alla vita. Anche in Istituto era con altri ma non esisteva un confronto e non avevamo

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obiettivi: era solo una lunga attesa senza sapere cosa aspettavamo. La Comunità ha cambiato completamente la mia dimensione di vita in comune e tutto quello che ho fatto e sto facendo è nato comunque da un’idea condivisa con le persone con cui condivido la mia vita. Visto che abbiamo parlato della Comunità non posso non chiederti: anche tu vittima di intimidazioni nonostante disabile, se tu potessi dire qualcosa, non ai maschi della ndrangheta, della mafia o ai malavitosi in genere, ma alle donne, a quelle che tirano i fili ed a quelle che soggiacciono, rendendosi complici, cosa diresti? Ho vissuto molto da vicino e sono stata vittima di intimidazioni che non so se erano rivolte proprio a me o alla Comunità in generale ma il taglio dei freni nella mia macchina ha fatto il suo effetto, sono cose che fanno pensare, poi ci sono stati gli altri attentati li nella casa confiscata dove lavoro dove sono stata la prima ad entrare con le mie attività. Alle donne della ndrangheta vorrei dire che il loro essere donne, madri, nonne non si addice affatto alla prepotenza che uccide, la donna nel suo ventre porta la vita e questo è già un motivo per difenderla e amarla. Che siano donne fino in fondo. Un sogno nel cassetto di Nunzia? Riuscire a trovare qualcuno che dia continuità alle attività da me avviate. Parlo di persone con disabilità che abbiano voglia di coinvolgersi e impegnarsi nella politica e nella cultura dei diritti, che promuovano l’aggregazione tra persone e organizzazioni, che elaborino strategie finalizzate a promuovere una migliore qualità della vita delle persone con disabilità all’interno di una società più inclusiva e giusta. Questo diventa sempre più complicato poiché i giovani con disabilità sono poco consapevoli e soprattutto sono convinti che tutto gli è dovuto, non sono abituati a lottare per ottenere e soprattutto a lottare per non perdere i diritti acquisiti. Dietro queste lotte non può esserci individualismo perché o le campagne per i diritti si fanno insieme o non si cambia nulla e i giovani con disabilità oggi fanno fatica a capire questi concetti. Se il domani è legato alla logica dei giovani di oggi difficilmente continuerà la storia dei movimenti per i diritti delle persone con disabilità, quella che continuerà ad esserci sarà la protesta delle famiglie che chiederanno il sostegno nell’assistenza. Festa della donna, ti abbiamo dedicato questa copertina perché credo che il tuo coraggio sia rappresentativo di quello che una donna dovrebbe essere: forte, capace di ribaltare una triste realtà e riuscire a volgerla in suo favore, emergendone, che consiglio daresti alle altre donne nella tua stessa condizione? Alle donne con disabilità vorrei dire di ricordarsi sempre che la disabilità non deve cancellare la loro femminilità. Il loro essere donne non è secondario alla disabilità e pure al loro essere persona. Solo accettando tutti e tre i componenti descritti sopra cioè donna persona e disabilità si può vivere una situazione di completezza. Un corpo disabile è molto difficile da accettare e per una donna lo è ancora di più se il confronto con altre donne diventa spietato o se alcune esperienze della vita di relazione con altri accentuano tali diversità ma vorrei approfittare di questa occasione per dire alle donne con disabilità che ancora non hanno superato il limite del proprio corpo e tendono a limitare le loro esperienze di vita per non confrontarsi con questi problemi di farsi aiutare o di impegnarsi fortemente a lavorare sul proprio corpo per accettarlo e viverlo pienamente poiché solo in questo caso potranno vivere dimensioni di vita complete. E che consiglio daresti alle donne “normali” a quelle che apparentemente hanno tutto ma non fanno che lamentarsi, magari per qualche chilo in più?

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Alle donne “normali” che apparentemente hanno tutto ma continuano a lamentarsi magari per qualche chilo in più vorrei dire di guardarsi intorno e di apprezzare il dono che la vita gli ha fatto. Forse potrebbero confrontarsi con altre donne con disabilità per apprezzare maggiormente la situazione di benessere di cui godono. Sono convinta che per essere felici bisogna saper apprezzare e godere ciò che ci sta intorno, scegliere di impegnarsi per degli ideali, vivere da cittadini attivi, amare e lasciarsi amare, impegnarsi per un mondo migliore. Vivendo intensamente la propria vita si impara ad apprezzare quello che si ha. Ed ora, dopo tante domande serie, passiamo a domande un po’ più leggere ma che forse possono aiutarci a conoscerti meglio: Nunzia ama la musica? ha un cantante preferito? E’ andata a qualche concerto? Ho amato e credo di non essere originale in questo, la musica degli anni 60/70 che tra l’altro ho conosciuto proprio durante gli anni che ho trascorso in Istituto, musica che mi ha aiutato ad evadere con la fantasia dalle mura che mi circondavano. Per molti anni il mio cantante preferito è stato Adriano Celentano e forse nella mia gioventù ne sono stata anche follemente innamorata. Ora non ho un genere di musica preferito ma brani musicali o canzoni che mi piacciono. Quando lavoro preferisco ascoltare musiche o canzoni straniere che non mi fanno perdere la concentrazione. Sono stata a molti concerti nei primi vent’anni della Calabria e forse anche nei primi trenta, ora preferisco seguirli in televisione perché l’idea di andare in mezzo alla folla con la carrozzina mi fa un po’ paura. Guidare la carrozzina elettronica in mezzo a tanta gente mi dà ansia perché le persone non mi vedono e mi cadono sopra per cui mi faccio male io e si fanno male loro. Da questa esperienza ho immaginato che si cammina automaticamente senza concentrarsi molto su chi ti trovi davanti, in particolar modo se non si è alti ed io essendo seduta vengono sopraffatta. Questo è uno dei motivi per cui non ho più voglia di andare ai concerti. Ami leggere? se sì quali sono le tue letture preferite? Ho iniziato a leggere in Istituto e considerato che molte letture erano proibite mi sono letta tutti i libri della biblioteca dell’Istituto: erano vite di santi o romanzi rosa, questi ultimi mi piacevano di più perché finivano sempre bene. Uscita dall’Istituto il genere di lettura è diventato tutt’altro ed ho iniziato con i libri di Ignazio Silone poi sono passata a letture più impegnative Hermann Hesse, Oriana Fallaci ecc. Ho ripreso libri di filosofia e letteratura per compensare le mie lacune causate dall’assenza della mia frequenza scolastica infatti in Istituto non mi hanno permesso di studiare e quando sono uscita in due anni ho recuperato i tre delle scuole medie ed ho frequentato contemporaneamente un corso di formazione professionale per ceramista ma poi ho scelto di scendere in Calabria per vivere in una comunità autogestita che si è mantenuta attraverso il lavoro artigianale rifiutando la proposta di andare in una comunità a Fabriano dove potevo continuare gli studi e laurearmi. Ma questo non ha significato un disinteresse da parte mia per l’istruzione anzi con gli altri comunitari abbiamo sempre sostenuto che era importante per recuperare una buona istruzione, infatti i primi anni oltre al lavoro artigianale abbiamo dedicato molto tempo per il recupero scolastico. In questo modo ho scelto di essere autodidatta e non mi sono mai pentita di questa scelta. Ora purtroppo non riesco più a tenere un libro in mano e questo mi impedisce di leggere molte cose, leggo attraverso i formati elettronici ma questo significa che devo togliere tempo alle altre attività ad esempio ho perso il gusto di leggere prima di dormire.

Ci si incontra sempre meno per vivere sempre più una vita virtuale nella quale si può essere ciò che non si è, hai, a volte la sensazione che la persona con la quale parli attraverso uno schermo non sia poi quella che dice di essere? In parte ho già risposto sopra anche se oltre a facebook esistono altri strumenti che personalmente ritengo utili per le comunicazioni private e di lavoro. Non ho esperienza di incontri virtuali con persone che non conosco e non mi interessano utilizzo invece alcuni strumenti virtuali per risparmiarmi viaggi lunghi finalizzati a riunioni di lavoro. È vero che una conferenza dal vivo “rende” più di una videoconferenza, ma è anche vero che il risparmio di risorse economiche e di energie fisiche merita attenzione. In questo senso ben vengano gli strumenti tecnologici. Gli hobby di Nunzia quali sono? Costruire siti web ma ho troppo poco tempo per realizzarli. Come ama passare il tempo libero, oltre che coltivando gli hobby personali? Passeggiando all’aria aperta, facendo ricerche su internet, giocando su internet, vedendo un film. Ma è talmente poco il tempo libero che raramente mi si presenta l’occasione. Concludiamo anche la tua intervista, come tutte quelle che facciamo, con una domanda alla Marzullo, qual’è la domanda che non ti ho fatto e che avresti voluto ti facessi? Fatti la domanda e dacci la risposta Ti piacerebbe dare un seguito all’autobiografia “Al di là dei girasoli”, vorresti scrivere un altro libro? Mi piacerebbe e penso che dovrei scrivere e dare un seguito al mio libro “Al di là dei girasoli”. Il tempo scritto sulla mia prima autobiografia e terminato ormai da molto anche se mi rendo conto che le storie scritte purtroppo sono ancora molto attuali ma il mio vissuto dopo è altrettanto singolare, particolare e forse unico, tenerlo per me non mi sembra giusto poiché sono convinta che molte esperienze vissute potrebbero ancora oggi aprire la strada della partecipazione attiva ad altre donne e uomini con disabilità. Un’altra intervista si è conclusa, un nuovo arricchmento del nostro sapere, un vedere quello che ci circonda con occhi diversi. Che dire di Nunzia? E’ una donna straordinaria, super impegnata, sempre al lavoro, per concedere interviste, per affrontare dibattiti, per proporre idee. Una donna che ha grinta da vendere ma è anche una donna fragile e sensibile, che ha tanto sofferto, che ha affrontato e vinto dure battaglie e che sorride alla vita pensando al mondo che verrà alle altre battaglie da affrontare e da vincere. Parlare con lei mi ha fatto venire in mente un’altra grande donna che ha molto sofferto, Alda Merini, le dedico un suo scritto: Mi piace il verbo sentire . Sentire il rumore del mare, sentirne l’odore. Sentire il suono della pioggia che ti bagna le labbra, sentire una penna che traccia sentimenti su un foglio bianco. Sentire l’odore di chi ami, sentirne la voce e sentirlo col cuore. Sentire è il verbo delle emozioni, ci si sdraia sulla schiena del mondo e si sente…

La tecnologia ti piace, la utilizzi, basta vedere il tuo sito per capirlo, ma non credi che l’uso smodato dei social stia allontanando la gente? La tecnologia mi piace perché ha aumentato la mia possibilità di comunicare con altri, inoltre mi permette di scrivere e di lavorare ed è stata per me una grande conquista. Io passo giornate intere al computer e i social sono una grande opportunità per rimanere in contatto e trasferire informazioni immediate tra tutte le persone con disabilità collegate, per noi ha un grande vantaggio, nonostante ciò riconosco che i social possono essere anche pericolosi perché affievoliscono il bisogno dell’incontro e del confronto diretto. Incredibile quanti “amici” ci sono su Facebook ma un po’ snaturano la parola amicizia che è ben altro che cliccare un bottone per accettare un contatto. Secondo me non bisogna mai essere assoluti in queste cose prendiamo di buono la possibilità di favorire la comunicazione immediata ma cerchiamo di non perdere di vista il valore di una relazione di amicizia vera.

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Fidapa Sezione di Lamezia Terme

La notte delle candele I valori delle donne sono alla base della Fidapa – BPW Italy, la federazione che, da ormai 80 anni, conta circa 11.300 iscritte e che parla di donne, con le donne e per le donne. Proprio la capacità di mettere insieme donne di qualsiasi età, religione, cultura, professione ecc. e di porre sempre al centro la donna nella sua interezza è sicuramente il punto di forza che ha portato delle giovani donne ad aderire e diventare socie di questa associazione e, nello specifico, della grande famiglia della sezione Fidapa- BPW di Lamezia Terme. Convinte che, per promuovere la figura e i talenti delle donne, bisogna lavorare insieme, mettere in rete le professioni e promuovere nuove idee per valorizzare la figura femminile e le sue capacità sul territorio e per il territorio lametino e per favorirne un maggiore sviluppo, delle giovani donne hanno deciso di intraprendere questo percorso di associazionismo e di costituire un gruppo di socie young. Hanno quindi partecipato, per la prima volta, alla “Cerimonia delle Candele”, tenutasi a Lamezia il 20 febbraio u.s, con l’intento di vivere e condividere tale evento insieme alla Presidente Nazionale Pia Petrucci, alla Presidente del Distretto sudovest, Vincenzina Nappi e alla Presidente della sezione di Lamezia Terme, Angela De Sensi Frontera, al comitato tutto e alle socie delle sezioni di Lamezia Terme, Curinga e Amantea. Aderire alla Fidapa – BP significa creare relazioni, apprendere dal passato per costruire il futuro, stare insieme ad altre donne e fare rete tra giovani professioniste per dare voce alle donne stesse. Tale impegno si traduce fin da oggi, nel lavorare per dare nel piccolo un grande contributo alla sezione e alla città di Lamezia Terme. La FIDAPA (Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari) è un’associazione che si propone di promuovere e sostenere le iniziative delle donne che operano nel campo delle arti, delle professioni e degli affari, senza distinzioni di razza, lingua e religione. La fondatrice della F.B.P.W., la statunitense Lena Madesin Philips, nata nel 1881 a Nicholasville, in Kentucky, fu la prima donna a conseguire, nel 1917, la laurea in legge, presso l’Università di quello stato. Successivamente fu ammessa all’esercizio della professione forense che esercitò tutta la vita. Alla fine del primo conflitto mondiale, il governo degli Stati Uniti d’ America, pensò di utilizzare le energie femminili che, durante il corso della guerra,

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avevano dato prova di serietà, impegno e capacità, sostituendo gli uomini impegnati in attività belliche. Fu così affidato a Lena Madesin l’incarico di organizzare le donne lavoratrici, per inserirle nella Y.W.C.A. (Young Women ‘s Christian Association).Questa esperienze le permise di procedere al censimento delle donne americane impegnate nelle professioni e negli affari e, successivamente, di creare dei Circoli in varie città. Nel 1919 la Madesin organizzò una grande assemblea a St. Louis, per Coordinare il lavoro e l’attività dei Clubs e nell’occasione fu fondata la F.B.P.W.. L’ Associazione era intesa a “potenziare il senso di responsabilità nella donna lavoratrice, elevarne il livello di cultura e di preparazione, renderla idonea ad intraprendere qualsiasi carriera, senza discriminazione di sesso e di razza”. Lena Madesin auspicava, nel suo programma, di divulgare l’Associazione in tutto il mondo, dichiarandosi convinta che una Federazione Internazionale di donne dedite agli affari e alle professioni avesse “una grande missione, non solo potendo far molto per le donne in se stesse, per la loro emancipazione e l’aumento del loro prestigio nell’ambiente sociale del Paese in cui vivevano, ma giovando anche ad una maggiore comprensione tra le appartenenti a nazioni e civiltà diverse”. Per attuare il suo programma, la nostra fondatrice intraprese dal 1928 al 1930i cosiddetti “viaggi di buona volontà (good will-tours), con lo scopo di sollecitare le autorità dei Paesi visitati ad individuare e promuovere l’attività produttiva femminile. Si recò dapprima in Europa, (Francia, Inghilterra, Austria, Belgio e Italia) e quando giudicò maturi i tempi, nell’agosto 1930, decise di riunire le Federazioni Nazionali di Austria, Canada, Francia, Inghilterra, Italia e Stati Uniti in una grande assemblea a Ginevra, dove, alla presenza di due rappresentanti delle Società delle Nazioni, fondò l’I.F.B.P.W. (Federazione Internazionale Donne Professioni e Affari) e ne assunse la presidenza che tenne fino al 1947. Dopo un periodo di silenzio, dovuto agli eventi bellici della seconda guerra mondiale, Lena Madesin Phlips si adoperò per ricostituire le Federazioni che avevano interrotto l’attività e per fondarne altre. La Fondatrice morì nel maggio 1955 a Marsiglia. Oggi la B.P.W. Internazional svolge molteplici compiti, avvalendosi di socie altamente qualificate che fanno parte di Commissioni permanenti quali: Agricoltura, Ambiente, Commercio e Tecnologia, Legislazione, Proselitismo, Rapporti con l’ONU, Salute, Sviluppo-Formazione-Impiego. E’ organo consultivo di prima categoria presso le Nazioni Unite; collabora con la F.A.O., l’U.N.E.S.C.O., l’I.L.O., l’O.M.S. (agenzie che si dedicano rispettivamente ai problemi dell ‘ alimentazione, della cultura,del lavoro e della sanità. ) Il Comitato Esecutivo della Federazione Internazionale viene eletto ogni tre anni, in occasione di un congresso, durante il quale si conclude il tema internazionale svolto nel triennio precedente e ne viene proposto uno

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nuovo, in base alle indicazioni fornite dai club sparsi nel mondo. Il logo BPW riproduce i due emisferi del globo terrestre uniti simbolicamente da una foglia stilizzata, con la sigla delle Business and Professional Women. Quest’anno come ogni anno si è tenuta la consueta “Cerimonia Delle Candele” che sancisce l’ingresso ufficiale delle nuove socie. L’appuntamento, fortemente sentito da tutte le socie, simboleggia l’unione delle donne in ogni parte del mondo, fonti di quella luce particolare che l’universo femminile sa esprimere nella cura, nel sostegno e nella cooperazione reciproca, momento particolarmente importante perché destinato anche all’ingresso ufficiale delle nuove socie. Nata nell’inverno del 1942, in un momento tragico della storia dell’Europa e del mondo, la Cerimonia delle Candele fu istituita dalla presidente fondatrice Léna Madesin Phillips col fine di richiamare, attraverso un simbolo concreto, uno degli obiettivi della federazione: stabilire dei legami di amicizia con le donne di tutto il mondo. Così, durante i giorni più cupi della Seconda Guerra Mondiale, ogni nazione venne rappresentata da una sua delegata e da una candela accesa, che rimaneva spenta qualora il paese si trovava in stato di guerra. Con questo gesto, Léna Madesin Phillips mise in luce le sofferenze dell’Europa e mantenne viva la fiamma della speranza in tutte le donne che, nel mondo, erano vittime di ingiustizia ed erano private della loro libertà a causa dei conflitti. Oggi, questo rito rivive attraverso un momento suggestivo ed istituzionale, che si svolge secondo un rigido protocollo, nel corso del quale sono accese, in sequenza, le candele simboliche della Federazione. L’evento si è svolto il 20.02.2016 presso il Grand Hotel Lamezia di Lamezia Terme. In apertura, la Presidente di Sezione, dopo il saluto alle Autorità della FIDAPA, alle Autorità civili e militari, nazionali e locali ed agli ospiti, ha parlato della storia, delle finalità e delle attività della FIDAPA e della BPW. In tale occasione poi, è stato costituito anche il gruppo FIDAPA YOUNG e nuove giovani socie hanno deciso di iscriversi. La decisione di formare questo nuovo gruppo, voluto dalla Presidente Frontera, che già 20 anni fa, durante il primo mandato come Presidente Fidapa, aveva creato un gruppo molto nutrito di socie young, è stata presa con molto entusiasmo dalle socie young che credono molto in questa associazione, nei suoi scopi e nelle sue finalità e per questo sono contente di fare parte di questa associazione che promuove le donne in tutti i suoi aspetti e le incoraggia a dare un continuo impegno ed ad una partecipazione consapevole alla vita sociale. Far parte di questa storica associazione è un modo per arricchirsi e sicuramente potrà dare un grande contributo sia nella vita sociale che nella vita lavorativa. Le socie young fine 1^ parte, seguirà 2^ parte nel numero di marzo

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Marcello Comitini e Paola Testa all’Uniter di Lamezia Terme “Quando leggi le opere dei grandi poeti hai la sensazione che non stiano più rivolgendosi alla gente, o a qualche creatura serafica. Quello che stanno facendo, in realtà, è rispondere alla lingua, in termini di bellezza, sensualità, saggezza, ironia, vale a dire quegli aspetti della lingua che il poeta riflette come uno specchio limpido. La poesia non è un’arte, o una branca dell’arte, è qualcosa di più. Se la parola è ciò che ci distingue dalle altre specie, allora la poesia – l’operazione linguistica per eccellenza – è il nostro scopo antropologico. Chiunque consideri la poesia alla stregua di intrattenimento, di “lettura”, commette un crimine antropologico, in prima istanza contro se stesso”. Queste le riflessioni di Iosif Brodskij riportate in quarta di copertina del suo libro Conversazioni che con estrema chiarezza danno voce alle mie sensazioni, a quelle che io mai avrei saputo tradurre in parole, nate durante quel magnifico pomeriggio dedicato a “Terra Colorata” di Marcello Comitini, nel salone dell’Uniter. L’accostamento Musica, Poesia e Pittura è stato “qualcosa di più” dei soliti incontri in cui si legge poesia, è stata un’emozione profonda e struggente che ha prodotto stupore e gioia intensa, creando tra i presenti un’atmosfera sublime che non capita spesso. Gabriella Barattia, amica di vecchia data di Marcello, con dovizia di particolari ci ha fatto conoscere l’uomo e il poeta affermando che sono i suoi versi, la sua metrica, le sue rime e le sue metafore a tracciarne la biografia. Marcello sogna per far sognare gli altri, talvolta sogni anche tristi, dolorosi ma sicuramente umani. “Io non sono un poeta, /sono un povero illuso/che traccia in parole la vita” L’attacco delle prime note dell’arpa impone il silenzio in sala e un senso di calma e di attesa si diffonde nell’aria mentre Paola con movimenti agili e virtuosi esegue il primo brano scelto insieme a Marcello come gli altri che seguiranno, intercalandosi alla lettura delle poesie rese ancora più suggestive dalla voce roca del poeta. L’affascinazione è all’apice quando l’occhio rapito si sofferma sullo schermo per ammirare “l’universo femminile”, dipinti di Beatrice Borroni. “Figure di donne, sole, in un groviglio di corpi, in primo piano, di scorcio, semi nascosta, nuda, vestita, seminuda con colori dai toni caldi e vibranti”, come scrive Gabriella Barattia in una sua recensione. Sulle note di Gnossienne n° 1 e i versi “danzare, /perché la morte e il vento / sappiano che la vita non si spegne /con un soffio”, ci avviamo verso la conclusione non senza aver apprezzato l’intervento del Presidente, prof. Italo Leone, che con spiccata sensibilità di letterato traccia l’arte poetica, espressione di sentimenti e di intuizioni simboliche, di Marcello Comitini tra la prima raccolta “Un Ubriaco è morto” e “Terra Colorata”.

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Il Soroptmist ed il PERCORSO ROSA BIANCA I

Incontri formativi-informativi rivolti proprio al mondo scolastico per trattare di temi importanti e attuali quali la violenza, il bullismo, le insidie nascoste dei social network

l Soroptimist International è un’associazione internazionale di donne con qualificazione elevata nel proprio impegno lavorativo, sociale e culturale, attive nei vari ambiti della società in cui vivono. Secondo principi di etica professionale e di elevata moralità nelle proprie attività e nella vita in generale, le soroptimiste operano al servizio della società civile per promuovere l’avanzamento della condizione femminile nel mondo, l’accettazione delle diversità e la promozione dei diritti umani, attraverso la realizzazione di progetti ed iniziative in linea con quanto definito dalla programmazione nazionale. Ancora una volta le “Sorores Optimae” del Club Soroptimist di Lamezia Terme, guidate dalla Presidente Giusy Mazzocca, hanno dato grande dimostrazione di professionalità e competenza presentando alla cittadinanza un progetto integrato di ampio respiro e di grande importanza, coinvolgendo le scuole, le istituzioni, la cittadinanza e la sanità pubblica. Nel 2014 il Soroptimist International d’Italia ha siglato, nella persona dell’allora Presidente Nazionale, Prof.ssa Anna Maria Isastia, Docente di Storia Contemporanea all’Università La Sapienza di Roma, un protocollo d’intesa triennale con il MIUR, protocollo che accredita ufficialmente il Soroptimist presso le scuole di tutta Italia. Con la sottoscrizione del Protocollo il Soroptimist si è impegnato a promuovere l’avanzamento della condizione femminile e prevenire e contrastare ogni tipo di violenza e discriminazione di genere. Nel rispetto di quanto previsto dal protocollo il Club Soroptimist di Lamezia Terme ha organizzato, in collaborazione con la Polizia di Stato di Lamezia Terme, una serie di incontri formativi-informativi rivolti proprio al mondo scolastico per trattare di temi importanti e attuali quali la violenza, il

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bullismo, le insidie nascoste dei social network. Gli incontri saranno tenuti, per il Soroptimist, dalla dott.ssa Sabrina Curcio, Dirigente medico psicologo, e per la Polizia di stato, dalla dott.ssa Tania Ventriglia, Sostituto Commissario della Polizia di Lamezia Terme. La mattina del 5 febbraio scorso nei locali del Liceo Classico F. Fiorentino si sono riuniti gli studenti frequentanti le ultime classi delle scuole superiori lametine per il primo di questi incontri dal tema “La cultura della non violenza”. I ragazzi hanno potuto, altresì, ascoltare le testimonianze della Prof.ssa Anna Maria Isastia, della dott.ssa Vittoria Doretti e del dott. Claudio Pagliara, del Gruppo di lavoro regionale Codice Rosa della Regione Toscana, arrivati a Lamezia per il Convegno sul “Percorso Rosa Bianca” organizzato dal Club. Il Percorso Rosa Bianca è un percorso riservato alle vittime di violenza che parte dai Pronto soccorso, coinvolgendo le Aziende ospedaliere, le ASL, le Procure della Repubblica, le Forze dell’Ordine, le Associazioni di volontariato, secondo un modello di stretta collaborazione e integrazione tra le varie istituzioni, per consentire di intervenire con tempestività e in maniera sinergica a tutela delle vittime di violenza, nel rispetto della privacy e del diritto alla riservatezza. Il Codice Rosa nasce come progetto pilota nel 2010 nell’Azienda Sanitaria 9 di Grosseto su iniziativa della dott.ssa Vittoria Doretti, e del dott. Giuseppe Coniglio, Sostituto Procuratore della Repubblica di Grosseto, che promuovono la sottoscrizione di un Protocollo d’Intesa finalizzato alla creazione di una Task force interistituzionale per la prevenzione e il contrasto della violenza nei confronti delle fasce deboli. Anna Maria Isastia, durante la sua Presidenza, si è impegnata come Soroptimist alla diffusione nazionale del Codice Rosa invitando tutti i club a sostenere il progetto attraverso attività

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di informazione, divulgazione e attraverso veri e propri services che hanno portato alla realizzazione, all’interno di diversi presidi ospedalieri italiani, di apposite stanze dedicate al “Codice Rosa Bianca”. In linea con quanto richiesto dalla programmazione nazionale, il Club Soroptimist di Lamezia Terme si è assunto l’impegno di promuovere l’attivazione del Codice Rosa anche sul territorio locale. Un impegno che, unito a quello di altre forze presenti a livello locale, ha portato alla sottoscrizione, l’11 novembre 2015, insieme ad Enti e Istituzioni, del “Protocollo d’intesa per la prevenzione ed il contrasto della violenza: attivazione del Percorso Rosa in Provincia di Catanzaro”, grazie all’iniziativa del Prefetto di Catanzaro Dott.ssa Luisa Latella che, accogliendo le richieste provenienti da più parti, ha da subito attivato il tavolo tecnico per la redazione del Protocollo. Con la sottoscrizione del Protocollo d’intesa il Club si è impegnato in una serie di attività di promozione, diffusione, divulgazione, e sensibilizzazione: attività prioritarie e fondamentali per la buona riuscita di ogni progetto. Nel corso del Convegno, dopo i saluti della Presidente del club Giusy Mazzocca e delle autorità presenti, i relatori, la Dott.ssa Vittoria Doretti e il Dott. Claudio Pagliara, hanno parlato della loro esperienza e spiegato le modalità operative del Codice

Rosa all’interno dei Pronto Soccorso mentre la Prof.ssa Anna Maria Isastia ha illustrato l’impegno del Soroptimist alla sua diffusione. Le soroptimiste Lucia Greco e Sabrina Curcio hanno poi presentato l’opuscolo “Percorso Rosa Bianca” da loro stesse realizzato con la cura grafica della socia Carla Anania. L’opuscolo verrà distribuito in migliaia di copie alla cittadinanza con un’accurata attività di diffusione che sarà indirizzata in modo capillare a tutto il territorio locale. Una splendida iniziativa che ha ricevuto il plauso da parte del Presidente del Tribunale Bruno Brattoli, che ha ricordato la lunga collaborazione con il Soroptimist lametino, del Sindaco Paolo Mascaro, che si è detto entusiasta del fattivo impegno delle socie Soroptimist, del direttore amministrativo dell’Asp Montuoro, che ha ‘scoperto’ il Soroptimist in questa occasione, e di tutte le altre autorità presenti. L’amicizia, la professionalità e la condivisione, che rappresentano i punti di forza di questo favoloso gruppo di “Sorores Optimae”, ancora una volta hanno permesso al Club Soroptimist di Lamezia Terme di raggiungere un grande risultato.

L’angolo della Poesia

Senza Parole

Giaceva raggomitolata sull’ asfalto colpi di pugnale attraversavano il suo cuore tentacoli di ferro stringevano la bianca gola. L’uomo picchiava,batteva, tirava calci: Furia dalle cento teste sulla donna inerme. I colpi arrivavano senza pietà,sui fianchi sul basso ventre,sulle anche, senza

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tregua. Lei gridava:-basta basta, ma l’uomo traeva maggior forza proprio dalle grida della donna e insisteva... L’esaltante follia,galoppando senza meta crercava consensi in gesti che trasormavano l’individuo da uomo a bestia. Le lacrime della donna si sono mescolate alla polvere della strada e... sono sparite.

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Domani nessuno saprà del suo dolore lei stessa farà di tutto per dimenticare. Da li nascerà un fiore. il fiore della speranza, della comprensione, della tenerezza della consapevolezza di sè ed aiutata da mille ali fantastiche spiccherà un volo nello spazio in cerca di cieli infiniti.

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La negoziazione assistita in materia di separazione consensuale Il giorno 11 febbraio 2016 l’AIGA sezione di Lamezia Terme ha organizzato il consueto appuntamento con il Caffè Giuridico. Questa volta l’incontro è avvenuto presso i locali del Kubic di Lamezia Terme. A relazionare è stata l’Avv. serena Ciccone che ha trattato la negoziazione assistita in materia di separazione consensuale, introdotta dal Presidente dell’Aiga di Lamezia Terme Avv. Andre aParisi. Il nuovo istituto della negoziazione assistita è stato introdotto nell’ordinamento giuridico italiano con il decreto giustizia (D.L. 132/14 poi convertito nella Legge n.162/14) finalizzato a dettare misure urgenti in materia di processo civile. Da quando è entrata in vigore la Legge 162/14 la coppia che consensualmente vuole separarsi, avrà la possibilità di scegliere tre strade: 1) presentare un ricorso congiunto al Tribunale e quindi, ottenere l’omologa della separazione; oppure scegliere tra due nuove opzioni che riducono notevolmente i tempi della giustizia e previsti dalla L. 162/14 e cioè: 2) avvalersi della convenzione di negoziazione assistita con un avvocato per parte prevista dall’art. 6; 3) la possibilità di separarsi consensualmente dinanzi all’Ufficiale di Stato Civile del Comune prevista dall’art. 12 della stessa Legge. In questa relazione tratterò della seconda opzione, quella prevista dall’art. 6, cioè la possibilità dei coniugi di avvalersi dell’accordo di negoziazione assistita tramite il quale, assistiti da due avvocati, raggiungono una soluzione di separazione personale senza la necessità di adire l’autorità giudiziaria. La ratio di tale norma si rinviene proprio nel principio di

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economia processuale perchè l’istituto della negoziazione assistita mira a portare fuori dalle aule dei tribunali i contenziosi, ponendola come alternativa stragiudiziale alla procedura giudiziale davanti al Presidente del Tribunale. Nonostante vi siano dei benefici però, rinvenibili nella riduzione dei tempi e nella riduzione dei costi, rispetto alle procedure ordinarie ( perchè la procedura di negoziazione assistita è esente dal contributo unificato), la riforma ha lasciato aperte ampie zone di dubbia interpretazione che sono state colmate solo in alcune parti da dossier predisposti dalle Procure di alcuni Tribunali, per dare un taglio pratico agli avvocati, e da alcune circolari ministeriali. Ciò che emerge quindi, è che ad alcuni operatori del diritto , cioè gli avvocati, si è lasciato il compito di interpretare una legge relativamente giovane e della quale ovviamente non si ha chiarezza e che ancora va studiata ed assimilata. Certo è che se si dovesse adoperare in maniera più diffusa tale procedura, sarebbe uno strumento efficace per smaltire il carico di lavoro dei Tribunali e per dare agli avvocati un ruolo più ampio riconoscendo loro, facoltà che prima non avevano e che spettavano esclusivamente al Presidente del Tribunale. Fatte queste prime considerazioni, entriamo nel merito parlando della negoziazione assistita che, ripetesi, altro non è che un accordo stragiudiziale tra i due coniugi che intendono separarsi consensualmente. Il procedimento di negoziazione assistita ha inizio con un’informativa da parte dell’avvocato al proprio assistito, della facoltà di ricorrere alla convenzione. Quindi la parte che sceglie di avvalersi di questa nuova procedura, invia all’altro coniuge, per il tramite del proprio legale, l’invito a stipulare l’accordo che generalmente viene posto in essere con lettera raccomandata. L’invito dovrà contenere non solo l’oggetto della controversia

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e cioè la volontà di separarsi, ma anche l’avvertimento che la mancata risposta, ovvero il rifiuto ad accedere alla negoziazione assistita entro il termine di 30 giorni dalla ricezione dell’invito, può essere valutata dal giudice ai fini dell’addebito delle spese di giudizio e della condanna al risarcimento per lite temeraria ex art. 96 c.p.c. Tale invito poi dovrà essere firmato dalla parte e poi, a sua volta debitamente sottoscritto dall’avvocato. Una volta ricevuto l’invito, e se l’altra parte dovesse confermare la volontà di avvalersi di tale procedura, gli avvocati tenteranno la conciliazione. Tale strumento, qualora non dovesse andare a buon fine darà la possibilità di procedere alla stipula dell’accordo vero e proprio che, a pena di nullità, dovrà essere redatto in forma scritta. Ovviamente, giova anche precisare che l’invito alla negoziazione assistita può essere anche non accettato dall’altro coniuge e quindi, nel caso via sia un esito negativo, gli avvocati designati dovranno redigere la dichiarazione di mancato accordo. In caso di esito positivo invece si procederà alla redazione dell’accordo di negoziazione che dovrà contenere , ai sensi dell’art. 2 della L. 162/14 il termine concordato dalle parti per l’espletamento della procedura che non può essere inferiore ad un mese e superiore a tre mesi ( salvo proroga di 30 giorni su richiesta concorde delle parti). In più si dovra’ dare atto, scrivendolo espressamente, che gli avvocati : - hanno tentato di conciliare le parti; - di averle informate della possibilità di esperire la mediazione familiare ; - di averle informate dell’ importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori, ovviamente in caso di presenza di figli minori secondo l’art. 6 n.3, - e di aver provveduto all’ invio della lettera di invito con autografia della parte e poi del difensore. Come doveri deontologici invece, gli avvocati dovranno inserire la clausola nella quale dichiareranno di aver cooperato con buona fede e lealtà nelle informazioni prese e nei documenti prodotti e di servirsi della riservatezza per le informazioni ricevute. Infine sotto la propria responsabilità, dovranno esplicitare che gli accordi non sono contrari a norme imperative di legge e all’ordine pubblico o che non siano presenti condizioni che ledano diritti considerati indisponibili. Dopo aver dato atto di tutto ciò in premessa, si darà seguito quindi alla volontà di separarsi adducendone i motivi della scelta e si procederà alla stesura delle condizioni che dovranno

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precisare e tenere conto soprattutto delle esigenze di tutela dei figli minori e quindi riguardanti l’affidamento congiunto, il mantenimento dei figli, l’assegno di mantenimento per il coniuge, i trasferimenti di tipo patrimoniale, gli orari di visita, gli obblighi di frequenza, ecc. Infine l’accordo dovrà essere firmato dai due coniugi ed autenticato dai due avvocati che certificheranno le firme delle parti come apposte davanti a loro e la data ed il luogo nelle quali sono state apposte. Conclusa la convenzione di negoziazione assistita, e quindi raggiunto l’accordo, la legge ha introdotto un successivo controllo ad opera del PM per rafforzare la posizione del coniuge debole e della prole. A seconda delle condizioni familiari, e cioè se i coniugi hanno figli o meno, ci si troverà di fronte a due scenari. Infatti, in assenza dei figli minori, maggiorenni non autosufficienti o portatori di handicap grave o incapaci ( intendendo con il termine incapace solo gli interdetti, inabilitati o con amministratore di sostegno, non quindi gli incapaci naturali, cioè gli incapaci di intendere e volere ex art. 428 cc) l’accordo concluso dovrà essere trasmesso, senza specificazione di un termine entro il quale trasmetterlo al PM, presso la Procura della Repubblica competente per territorio ( la competenza per territorio è individuata secondo le regole dell’art. 706 cpc e quindi la Procura in cui i coniugi hanno avuto la residenza comune). In questo caso se il Pm non ravvisi irregolarità, concederà il nullaosta. Se invece dovesse ravvisare irregolarità, ovviamente non concederà il nullaosta ma le parti potranno “rinegoziare” l’accordo ovvero procedere in via giudiziale. Altro scenario invece si prospetta nel caso in cui vi siano figli minori o maggiorenni non autosufficienti o con handicap grave, dove sono previste regole più stringenti. In questo caso infatti l’accordo deve essere sottoposto al vaglio del Procuratore della Repubblica nel termine perentorio di 10 giorni dalla sua conclusione, o meglio dalla c.d. data certificata di conclusione. La conseguenza del mancato rispetto del termine sarà la irricevibilità con l’ulteriore conseguenza per le parti di dover ripresentare un nuovo patto. Il PM, valutato il contenuto, può autorizzare l’accordo se ritiene che corrisponda al maggiore interesse dei figli. Se diversamente non dovesse ritenere che l’accordo non risponde all’interesse dei figli, non lo autorizza e lo trasmette entro 5 giorni al Presidente del Tribunale il quale fissa, entro i successivi 30 giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo. Ora, nonostante la riforma tace su quali possano essere le vie che in sede di comparizione si possano prospettare, si può

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desumere che il Presidente, analizzato l’accordo potrebbe o omologarlo non tenendo conto delle osservazioni del PM, oppure avviare una vera e propria fase contenziosa assumendo i provvedimenti temporanei ed urgenti. Pertanto, una volta ottenuto dal PM il nullaosta ( nel caso che non vi siano siano figli) o l’autorizzazione ( nel caso vi siano figli ), l’accordo è equiparato ai quei provvedimenti giudiziali che definiscono gli analoghi procedimenti in materia; in più costituisce titolo esecutivo ed in un eventuale atto di precetto, deve essere integralmente trascritto ai sensi dell’art. 480 II comma 2 bis L.162/14. Non solo, ma dopo aver ottenuto il vaglio da parte del Pubblico Ministero, il difensore è gravato di due responsabilità: 1)La prima concerne la trasmissione entro 10 giorni della copia, autenticata e conforme, dell’accordo originale all’Ufficiale del Comune in cui il matrimonio fu iscritto e trascritto, al fine di procedere a tutti gli adempimenti successivi necessari quali la trascrizione nei Registri dello Stato Civile, l’annotazione sull’atto di matrimonio e di nascita e la comunicazione all’Ufficio Anagrafe. Si precisa che i dieci giorni per inviare l’accordo all’Ufficiale del Comune iniziano a decorrere dal giorno in cui l’avvocato ha ritirato l’accordo con relativa autorizzazione e/o nullaosta del PM. A tal fine infatti sarà onere dell’Ufficio della Procura comunicare all’avvocato delegato la relativa apposizione del vaglio, il quale avvisato ai sensi dell’art. 136 cpc, ritirerà l’atto dopo l’apposizione della sigla o timbro da parte dell’operatore della Procura della c.d. data del ritiro. La conseguenza di un eventuale ritardo o omissione dell’invio al Comune comporterà per l’avvocato l’applicazione di sanzioni amministrative da €. 2000 e fino a €. 10.000 e che saranno irrogate dal Comune ricevente l’atto. C’è da dire però che in caso di ritardo l’Ufficiale di Stato civile trascriverà ugualmente la convenzione attivandosi però per l’accertamento della sanzione. Successivamente la convenzione di negoziazione assistita verrà trascritta nel Registro entro 30 giorni dal ricevimento. I 30 giorni quindi, decorreranno dalla data del deposito/ protocollo o della ricezione dell’ultima comunicazione Pec , contenente l’accordo, da parte dell’avvocato al quale verrà inviata conferma della trascrizione. Ci si chiede in ogni caso se la trasmissione possa essere posta in essere in forma congiunta da entrambi gli avvocati. Si suppone che quest’ultima sia la migliore soluzione. Una seconda responsabilità che grava sull’avvocato , come obbligo procedurale successivo è quello di trasmettere la copia dell’accordo di negoziazione assistita al Consiglio dell’Ordine

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degli Avvocati presso cui è iscritto uno degli avvocati ovvero quello del luogo dove l’accordo stesso è stato concluso. Ciò ai fini del monitoraggio delle procedure e di raccolta dati. Successivamente sarà il Consiglio dell’Ordine ad inviare tali dati al CNF che provvederà al monitoraggio delle procedure di negoziazione assistita e che a sua volta li trasmetterà al Ministero della Giustizia. Nell’accingermi alla conclusione del mio excursus, non posso esimermi dal dare un taglio pratico alla relazione, elencando i documenti che vanno allegati in Procura insieme all’originale della convenzione assistita. Premettendo che una volta stipulata la convenzione vanno redatti due originali per parte che verranno custoditi dai due avvocati che assisteranno i due coniugi, in Procura verrà depositato solo un originale della convenzione sulla quale verrà apposto il timbro della data di deposito ed un fascicolo che deve contenere i seguenti allegati: 1) estratto dell’atto di matrimonio; 2) stato di famiglia dei coniugi; 3) certificato di residenza di entrambi i coniugi, 4) fotocopia della carta d’identità e codice fiscale dei due coniugi: 5) dichiarazione dei redditi di entrambi i coniugi degli ultimi tre anni, e le ultime tre buste paghe se in possesso. Se poi vi sono figli maggiorenni incapaci, dovrà essere allegata la relativa certificazione sanitaria ed i relativi provvedimenti che attestano l’incapacità. Se invece vi sono figli maggiorenni autosufficienti dovrà essere allegata la dichiarazione sostitutiva ex art. 45 DPR 445/2000 dei coniugi. Di tale documentazione allegata al fascicolo, insieme alla convenzione di n. a., andrà fatta una copia per l’Ufficio. Una volta depositata in Procura, come sopra detto, a tale documentazione verrà apposta la data di deposito. Avuta poi la comunicazione da parte dell’Ufficio della Procura del Nullaosta e /o autorizzazione, l’avvocato delegato ritirerà l’originale e, per le trascrizioni, annotazioni da fare al Comune, sarà l’avvocato stesso a predisporre una copia autentica e conforme all’unico originale che rimarrà in possesso all’avvocato e che conserverà “gelosamente” in studio. E’ consigliabile, per la conservazione dell’unico originale, che le parti stipulino una clausola ad hoc all’interno della convenzione stabilendo che la stessa sia trattenuta presso lo studio di uno degli avvocati partecipanti alla Convenzione o un notaio ed eventualmente indicando anche le modalità di rilascio copie autentiche della stessa.

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Le donne ed il silenzio sulle donne emancipazione involuta?

I

l e cammino della donna rappresenta una storia complessa e affascinante e anche con evidenti contraddizioni: infatti, fino all’800 i diritti della donna non erano presi in considerazione neanche dalle frange di popolazione più progressiste, eppure, nell’ambito artistico-letterario si costruiscono bellissime figure femminili; nell’Arte non si contano le Madonne, Maria era considerata la Donna per eccellenza, nell’ambito letterario si diffonde la donna-Angelo del Dolce Stil Novo, degna di ogni rispetto e tramite tra Dio e l’uomo, la donna terrena petrarchesca, la Fiammetta del Boccaccio. Nei secoli a venire incontriamo donne di una modernità che ci sconcerta per i tempi come l’Angelica dell’Ariosto o Mirandolina di Goldoni. Quindi, il “rispetto” artistico per la donna non è certo mancato nei secoli passati. Come dimenticare la rivoluzionaria Pisana del romanzo Le Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo? Coraggiosa, forte e fragile, anticonformista, idealista e passionale. Agli inizi del ‘900 la donna inizia il suo percorso di emancipazione divenendo realmente protagonista della Sua Storia: Sibilla Aleramo, dibattiti sul femminismo, suffragette, diritto al voto, Oriana Fallaci, Nilde Iotti, in una cor-

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sa che giungerà al ‘68. Oggi, epoca di diritti acquisiti (giustamente), di parità ( il nuovo diritto di famiglia ad esempio) il punto interrogativo è quello riguardante la sfera dei sentimenti privati: l’uomo involuto, che non ha analizzato criticamente il tutto, cade nel delitto squallido ed efferato del femminicidio. Il non risolto in situazioni di portata storico-sociale ha inevitabilmente risvolti drammatici; è necessario comprendere il giusto equilibrio delle cose per “leggerle” nel modo più completo possibile, carpirne i percorsi al fine di portare avanti il non fatto, un’opera da completare, per dirla in breve. Ma, e mi pongo un marcato Ma, non vorrei accadesse un fenomeno di regressione, un tornare indietro in nome di una politica suicida di ordine sociale di cui parleremo in un altro momento. Mi chiedo, come mai il Silenzio delle tante donne emancipate, femministe, evolute, (che hanno lottato lunghi anni per il riconoscimento dei loro diritti ) del nostro Occidente europeo nei confronti dei gravissimi fatti di Colonia? Come mai il silenzio delle tante donne emancipate, femministe, evolute del nostro Occidente europeo nei confronti della drammatica situazione di vita in cui versa la donna mussulmana?

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Ho Visto Donne Ho visto donne: sogno di un otto marzo che sia il Quarantotto dell’identità condivisa. Ho visto donne Ho visto donne preparare tinozze d’acqua calda e strofinare suocere e mariti Ho visto donne che lavavano i piedi a uomini giovani, maturi Ho visto donne spadellare pranzo e cena, primo, secondo, contorno e frutta, senza sedersi, servendo mariti, cognati, figli. Ho visto donne preparare grandi bracieri dove loro non si sarebbero mai potute riscaldare, lavare lenzuola al fiume e lasciarli poi in grandi ceste con la liscivia a profumare, donne curve su camicie da stirare, su melanzane da tagliare. Ho visto donne partorire e rialzarsi perché lui era tanto stanco. Allattare pulire il piccolo e senza cibo riallattare, senza tempo per se stesse. Ho visto di tutto di più ed ho trascorso infanzia e adolescenza borbottando, ribellandomi e schifando un servilismo immondo anche per lo stesso uomo al quale era diretto. Mi rifiutavo di vedere, di crescere, di partecipare e mi isolavo scontenta nel Grande Meaulnes di Fournier, nel Signor Fogg, nella Jo di Piccole donne, sognando e risognando il giorno in cui sarei andata via Mi ero giurata che mai avrei perpetuato nessuno di quei gesti e così ho fatto, non per mia bravura, ma perché la modernità avanzava e disfaceva il feudalesimo con lavatrici, lavastoviglie e riscaldamenti. Questa è stata una rivoluzione facile, Carosello e i Pampers si portarono via i comportamenti più retrivi. E tutto si complicò da allora. Le donne hanno studiato, pag. 18

si sono laureate, ma la mente imprigionata ha imbracato, imbavagliato, le donne per metà. Il tempo delle donne è ancora a disposizione di un lui, di una famiglia, di un figlio, di un nipote. il tempo delle donne è sempre tempo perso ad aspettare un lui che dice:-Sei pronta? Sto arrivando.Siamo pronte… ma Le donne ancora aspettano con costanza, senza nessun cedimento, senza accorgersi di ripetere le nonne, le mamme, le zie, tutte le altre donne che hanno condannato. Aspettano Anche le ragazzine, anche loro, che a noi sembrano scafate, sono sempre innamorate e come mi disse la mia più brava alunna:- Professoressa, io continuerò gli studi solo se vorrà il mio ragazzo.Non meravigliatevi perciò se dico che ancora il cammino è solo un mettersi in cammino. Troppe donne vengono uccise, troppe donne vengono picchiate e tutte, proprio tutte, chiudono un occhio, anche due, sulle innocenti evasioni di un carissimo lui, basti che torni a casa. Basti che torni a casa La strada è lunga, è tanta lunga E passa per un solo sentiero ancora poco asfaltato Il sentiero del rispetto e della amicizia di donne con le donne Questa è la mia riflessione sull’Otto marzo 2013, sempre attuale anche nel 2016: un otto marzo che sia il Quarantotto dell’identità condivisa. Il nostro Quarantotto interiore. Una rivoluzione ancora da venire La vera mutua assistenza fra un femminile empatico ed un femminile pratico, un patto con le nostre emozioni e la realtà effettuale delle cose.

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8 MARZO FESTA DELLE DONNE

IO fra le donne Festeggiamo, dunque, la nostra emancipazione? Il tanto agognato pari livello nella società lavorativa? Al punto tale che se qualcuno violenta una donna trascorre, se va bene, soltanto 2/3 anni in prigione ? Certo ancora ci sarebbe da lottare per farci valere ! Ma perché mai noi Donne siamo ancora definite il ‘Sesso Debole’? Debole in che senso? Nel senso che non abbiamo la forza sufficiente per sollevare pesi come gli uomini? Questo è vero,ma Noi siamo più forti grazie al cromosoma X ! Se gli uomini son più forti perché sollevan carichi più pesanti, fàcciano pure, certamente, però, non sanno che, le più forti siamo Noi. Una ricerca condotta presso l’Università di Gand, in Belgio,ha dimostrato infatti, che il nostro sistema immunitario è più resistente,grazie al cromosoma X presente in doppia copia nel DNA femminile. Questo ci permette di combattere meglio le malattie. Perciò, lasciamo pure che gli uomini si ammirino davanti allo specchio, gonfiando i muscoli. Sappiano però, che le più forti siamo noi ! Forti e sensibili:Anche la sensibilità è donna, infatti. Probabilmente il testosterone determina alcune differenze nei due sessi: Noi siamo, in verità, anche più sensibili e ricettive rispetto agli uomini, che sono al contrario più concreti: Noi riusciamo a cogliere meglio alcune sfumature. La ricettività è una caratteristica femminile ed è parte integrante della Nostra Ricchezza Interiore che sa cogliere meglio dell’uomo, il quale generalmente è più pratico e va subito al sodo, mentre la donna è sostanzialmente più emotiva, più romantica e sognatrice. Chiaramente questo è un discorso generico e discutibile come lo sono tutti i discorsi in generale. Grazie al cielo, ci son le eccezioni: Senza dubbio esistono uomini di grande sensibilità e profondità d’animo, che fortunatamente ho avuto l’opportunità di conoscere e che frequento, così come esistono donne superficiali e ciniche. A proposito di resistenza, di forza e di sfide da superare, a me è accaduto di dover affrontare e superare, un ostacolo enorme “ … nel mezzo del cammin …“ della mia vita ‘universitaria’ a Roma. Nella capitale vivevo, studiando “ Lingue e letterature Straniere Moderne “ e, nel periodo della stesura della Tesi, fui investita da un’auto. Infortunio che mi trattenne ben sei mesi in ospedale in condizioni gravissime, in Rianimazione prima e in Riabilitazione dopo. Fortunatamente mi ripresi, grazie a cure e terapie adeguate e grazie a mia madre che mi rimase sempre accanto. Quando tornai a Lamezia per continuare la terapia riabilitativa, il mio rientro fu per me un altro grosso ostacolo: Non avevo più amici qui e mi ritrovai sola: Potei contare soltanto sull’affetto e la forza d’animo di mia madre e dei miei più stretti familiari. Mio padre purtroppo, l’avevo perso molti anni prima. Guardandomi intorno mi resi conto che tutti i miei colleghi già insegnavano, ( era questo il mio obiettivo), avendo superato il Concorso mentre io mi ritrovavo ancora senza laurea né lavoro e dovetti attendere molti anni perché ne bandissero un altro. Ero senza impiego né retribuzione, senza amici e con una riabilitazione fisica ancora da portare avanti. Tutto questo però, non mi demoralizzò più di tanto. Mi resi conto che la forza avrei dovuto trovarla in me stessa, che nessun altro avrebbe potuto aiutarmi, perché io soltanto conoscevo le mie aspirazioni, i miei obiettivi e le mie potenzialità. Iniziai così, a rielaborare la Tesi per terminarla. Questo mi aiutò, essendo il mio unico impegno, a trascorrere le giornate. Mi laureai, finalmente, l’anno suc-

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cessivo. Per non abbandonare la seconda lingua, il francese,feci un buon ripasso generale e iniziai a insegnare presso una scuola parificata. Nel frattempo frequentai una palestra per riprendere la mia forma fisica ed ebbi modo, così, di socializzare. Frequentai anche un corso di Balli Sociali, molto in voga negli anni ’90, anche perché la danza è sempre stata la mia passione. Pian piano le mie giornate si riempirono d’impegni, di nuovi amici e arrivò anche un lavoro part-time presso una banca locale, che accettai in attesa dell’agognato Concorso a Cattedra. Ottenni così l’ indipendenza economica che mi permise di viaggiare, sogno tenuto a lungo nel cassetto. Ebbi l’opportunità di visitare finalmente la Scozia e la bellissima Edimburgo, l’ Irlanda: Dublino e Cork city e Londra, città indimenticabile. Altro entusiasmante viaggio, quello in Terra Santa: Nazareth e Gerusalemme e in Turchia e poi a Parigi, Bruxelles ed Amsterdam, sempre con simpatici e gentilissimi compagni di viaggio. Trovo che L’Europa sia bellissima, piena di storia e di fascino, così come anche il Medio Oriente, per quel che finora abbia avuto modo di conoscere. Tornando al mio lavoro, nel ’99 finalmente fu bandito il Concorso a Cattedra per l’insegnamento dell ‘Inglese, che superai e, nel 2001 arrivò la nomina in ruolo nelle scuole medie di primo grado. Il primo anno capitai a Taverna, famosa città d’arte che diede i natali al pittore Mattia Preti. Qui vissi il mio primo anno di servizio, circondata dall’affetto degli alunni e di tutti gli abitanti abitanti del paese. L’anno successivo ottenni il trasferimento per Decollatura dove insegnai per tre anni e dove ricevetti altrettanto affetto da alunni e colleghi. E’ proprio questo che amo del mio lavoro, il rapporto con le nuove generazioni: Innanzitutto creando in classe un ambiente linguistico naturale e gradevole, evitando gli stati d’ansia che ostacolerebbero i ragazzi, ma ricco di riferimenti concreti per facilitare l’apprendimento e le potenzialità comunicative di ciascuno. Dopo Decollatura giunse il trasferimento a Lamezia, dove attualmente lavoro e dove nel frattempo, mi sono informatizzata e aggiornata, dal momento che essendo a disposizione delle scuole ormai, Lavagna Interattiva e Computers, è giusto che anch’io sappia farne buon uso, per offrire agli alunni lezioni più gradevoli e motivanti, mostrando loro filmati di Civiltà Inglese in lingua inglese creando un ambiente linguistico adeguato. Oltre al lavoro i miei hobbies sono: Dipingere, ma soprattutto fare ritratti a matita in bianco e nero, ad amici o parenti e, generalmente, riesco a cogliere l’espressione dei soggetti ritratti; dipingo le T-shirts, coi colori per stoffa, leggo, ascolto musica e vado in palestra per tenermi in forma. Per quel che riguarda gli affetti: Ho tre Splendidi Nipoti figli di Mio Fratello: Francesco Giulia e Chiara che adoro e a cui preparo ogni tanto dei dolci gustosi. Ho qualche amico/a: Pochi, … ma buoni e sono legata sentimentalmente a una persona splendida, un uomo che fa parte delle eccezioni di cui parlavo prima: E’ forte sì, ma…Sensibile, Riflessivo, Affettuoso, Concreto e Dolcissimo. In poche parole: Posso considerarmi fortunata di averlo al mio fianco.

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TRACCE. Storie

Sabato 13 Febbraio il Cafè Retrò di Lamezia Terme è stato cornice e salotto per la presentazione del libro di Valeria Annaro “Tracce. Storie di assenze”. Questo romanzo in forma di racconti è stato pubblicato con ilmiolibro.it, la più grande writing community italiana ed è arrivato in finale tra più di duemila titoli al concorso #ilmioesordio2015 organizzato dal Gruppo l’Espresso. Insieme all’autrice, Giulia Migneco e Myriam Bellantone hanno conversato e riflettuto e conosciuto meglio questo libro che conduce il lettore in storie che sono luoghi dell’anima fra colori, musica e ricordi, tutti tesi a ricercare il complicato rapporto tra la vita e la scrittura. Valeria, aretusea trentenne trapiantata a Roma da più di dieci anni, dottore di ricerca in Scienze Filosofiche e Sociali, ha spiegato al nutrito e attento gruppo di presenti, quanto i suoi studi e le sue influenze letterarie siano stati fondamentali per il processo di scrittura, passione che la accompagna sin da bambina. Abbandonate, però, le velleità poetiche cui musa era la propria famiglia, ha cominciato a scrivere innanzitutto come terapia, per poi pian piano rendersi conto quanto la scrittura fosse per lei urgenza e necessità, cifra che costituiva il proprio essere e la sua natura. Durante l’incontro, apertosi in musica ascoltando “Il colore delle idee” di Jacopo Ratini, giovane cantautore romano, tra sorrisi, scambi di battute e riflessioni più profonde, sono stati tanti i temi affrontati e che costituiscono la tessitura dei racconti del romanzo. L’emozione della giovane scrittrice man mano si è allentata anche grazie alla complicità e all’intesa con le sue interlocutrici, discutendo di valori come l’amore, dalle sue fasi più liriche e romantiche alle fasi poi corrotte dalla banale quotidianità e dal cinismo. Si è parlato dell’importanza dell’amicizia attraverso uno dei protagonisti dei racconti, Emma che racchiude in sé tutti i tratti fondamentali e le cose più belle che nell’esperienza della sua vita ha rappresentato l’amicizia. Tra una lettura e un’altra di alcuni brani scelti per entrare nel vivo della scrittura stessa, è emersa naturalmente la domanda sul titolo

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di Assenze

del lavoro. Per questo, innanzitutto, Valeria ha spiegato che la parole e il senso di traccia è in stretta comunicazione con quello di scrittura, cardini del filosofare di Jacques Derrida, autore caro alla scrittrice, posto difatti in epigrafe con queste parole: “Scrivere, significa ritrarsi dalla scrittura. Arenarsi lontano dal proprio linguaggio,emanciparsi o sconcertarlo, lasciarlo procedere solo e privo di ogni scorta. Lasciare la parola, lasciarla parlare da sola, il che essa può fare solo nello scritto.” Riflettendo ancora sul titolo, era inevitabile parlare anche di assenze: nelle storie di questo romanzo sembra esserci sempre qualcosa che manca, che sfugge. Ma non è rassegnazione nichilista, spiega Valeria, quanto piuttosto l’abbandonare la pretesa di spiegare il reale sotto la luce arrogante della presenza e del senso compiuto. Spesso la vita e ciò che accade non sono sempre immediatamente comprensibili, spesso il senso sfugge, manca. Per questo si parla di assenza come se fosse il tempo di gestazione necessaria cui ognuno di noi ha bisogno per dare significato alla propria esistenza e ai propri accadimenti. La risposta arriverà, da assenza si farà presenza, è necessario però regalarle e regalarci il tempo giusto per riappropiarcene. Si è parlato anche di disabilità, e di accessibilità e per questo Valeria, dalla sua sedia a rotelle, ha spiegato l’intenzione di voler trasformare il suo libro in un audiolibro per non vedenti, in modo tale da rendere accessibili le sue storie anche a chi non ha la possibilità di leggerle con i propri occhi. Tra le curiosità dei presenti si è poi concluso l’incontro riflettendo sul senso del ricordo produttivo legato al tema della società e della (mala)politica, sulla rapporto tra scrittura e (auto)biografia, sull’importanza del colore e delle tonalità emotive che riempiono le pagine di “Tracce”. Tenendo sempre presente, come leggiamo, che “chiunque io fossi, ero nelle parole”. Il libro è disponibile in versione cartacea nelle librerie del circuito LaFeltrinelli, e sul sito del miolibro.it. È, inoltre, disponibile anche in ebook in tutti i pricipali digital store quali amazon, applestore, googleplay, etc. Altrimenti contattando l’autrice alla sua personale pagina di facebook o a quella del libro: https://www.facebook.com/valeriannarotracce/ .per essere sempre aggiornato sulla novità e sulle evoluzioni del progetto audiolibro

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L’8 marzo

Nei volti delle donne attraverso l’obiettivo di francesco Caligiuri

Sono nata qui, è qui la mia ultima ora

Eccoli là i miei figli - stanno tutti bene

Quel po’ che rimane del pianto greco

Siamo il saio che portiamo

Le antenate ritornano nelle vesti

Una grazia - solo una grazia

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Il senso da dare alla vita lo cerchi in te

Chi fa la scelta di fare l’avanguardia

La bellezza di una madre di più è il suo coraggio

Donne di altre terre

Donna col fiore il mano

Chiamate a nuovi doveri

Chi bada a come vanno le cose a questo mondo

E comunque è bello affacciarsi alla vita

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La ragione dell’Informale mostra personale di Alberto Badolato La mostra personale dell’artista Alberto Badolato La ragione dell’Informale, si propone di accompagnare noi fruitori in un viaggio in cui la primordialità della materia, in connubio con l’eleganza e l’equilibrio, fa da protagonista. La mostra, in corso per tutto il mese di marzo, splendidamente approntata dal proprietario della galleria BeCause di Lamezia Terme, Luciano Pesce, insieme all’artista Badolato, fa risaltare su bianchissime pareti, il colore e la consistenza materica delle opere che seguono con precisione geometrica la profondità della galleria stessa. Badolato, in questo percorso, non parte da un soggetto ma dalla materia da cui si rende necessaria l’evoluzione di un racconto interiore che dà la possibilità al significato dell’opera e alla materia stessa di essere in accordo e sintonia. Attraverso la spontanea immediatezza dell’arte informale, le opere proposte hanno la peculiarità di presentare non solo la personale esperienza dell’artista, ma anche ciò di cui si serve con il quale egli dialoga. Stucco, carta da parati, foglia d’oro, colore, inseriti in un contesto vuoto, raggiungono attraverso il gesto artistico e la loro interazione, una eleganza formale priva di rappresentazioni oggettive che nel caos materico giungono ad un equilibrio appena accennato attraverso motivi geometrici. Il pensiero dell’artista Badolato matura intorno ad una meditazione sul concetto di materia da cui parte tutto, dalla quale prende vita la bellezza e la sua intima po-

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esia. In questo contesto, l’opera d’arte esiste in quanto l’atto del creare coincide con l’intervento gestuale e dunque con l’esistenza stessa di colui che quel gesto lo ha creato. L’intensa bellezza delle opere proposte consiste quindi nell’eleganza e nell’equilibrio della composizione che valorizza l’intima sostanza dell’opera che travolge ed emoziona noi fruitori. Colore, segno e materia hanno lo scopo di alludere ad un intricato e indefinito pensiero che è proprio dell’artista, da cui prende vita quell’elemento certo trasportato sapientemente sulla tela. Il materiale artistico diventa il soggetto principale mentre quello che più tradizionalmente è stato sempre identificato con un soggetto più o meno riconoscibile è stato qui escluso. Non a caso il centro dell’opera è il linguaggio pittorico che attraverso la fisicità e la concretezza si trasforma in immediata e profonda espressione della soggettività. L’opera diventa un atto concreto in cui Badolato afferma la sua stessa esistenza attraverso la traccia che lascia del suo passaggio. Una traccia che si trasforma in attività autobiografica carica di pathos e intense suggestioni. “La ragione dell’Informale” di Alberto Badolato. Galleria BeCause di Luciano Pesce, Via E.Toti, 33, Orari: Da lunedì a venerdì 10/12 – 16/19. Sabato e domenica su appuntamento.

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CRESCERE

con lo Sport per lo Sport

L’avviamento razionale dei giovanissimi al gioco del calcio, costituisce un compito impegnativo, ed al tempo stesso delicato, in quanto investe quelle età che determinano la corretta evoluzione psico-fisica dei bambini di ambo i sessi, con influenza decisiva sul loro futuro e definitivo aspetto corporeo. L’esperienza agonistica incide moltissimo nel migliorare il carattere, la volontà, la lealtà, il rispetto delle regole; in altre parole nell’educare alla vera sportività, contribuendo altresì a fare superare gli inevitabili stati emotivi, esaltando, in definitiva, talune qualità morali più significative per i giovani. La vita è una continua ricerca di scopi e di motivazioni, un superamento di situazioni disagevoli, un confrontarsi frequente con gli altri e con se stessi; lo sport atletico contribuisce, con il suo costante impegno psicofisico e con la volontaria accettazione di fatiche di sacrifici, a creare nei giovani le premesse per affrontare con animo sereno ma determinato, e con sano spirito competitivo, le difficoltà degli ostacoli cui la nostra esistenza non può in ogni caso sfuggire, perché la vita ci impone comunque di superare. È facile tuttavia incorrere in errori di valutazione perché sappiamo quali grandi mutamenti si verificano nell’età evolutiva, specialmente fra i giovani dai 13 ai 15 anni; comunque, le indicazioni sopra riportate possono costituire un accettabile metro di giudizio. È importante, infine, conoscere le preferenze del ragazzo e favorirne le naturali disposizioni verso la pratica di un determinato esercizio atletico. In fondo si riesce di più in ciò che piace fare che in ciò che viene imposto o male accettato. In questa difficile scelta saranno molto utili il consiglio e la guida di un tecnico esperto, la cui opera potrebbe essere determinante per l’avvenire sportivo del futuro atleta. Vincenzo De Sensi Centro di avviamento allo sport S. C. Juventus Piazza T. Campanella, 18 Lamezia Terme

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“FATTI DI MUSICA 2016”: GRANDE ATTESA IN CALABRIA PER IL

CONCERTO di EZIO BOSSO DEL 17 MAGGIO AL TEATRO CILEA DI REGGIO

Grande attesa in Calabria per l’unico concerto in regione di Ezio Bosso confermato per il 17 maggio alle ore 21 nello storico Teatro Cilea di Reggio. Dopo la straordinaria ed emozionante partecipazione a Sanremo, anche in Calabria è esplosa un’autentica febbre per il pianista, compositore e direttore d’orchestra torinese. La vendita dei biglietti è partita oggi in tutti i punti Ticketone e, come comunica l’organizzatore Ruggero Pegna, sono numerosissime le prenotazioni già raccolte in poche ore. L’evento fa parte di “Fatti di Musica Radio Juke Box 2016”, la trentesima edizione della rassegna del miglior live d’autore diretta dal promoter calabrese ed ha il Patrocinio dell’Assessorato comunale alla Cultura. Come consuetudine di questa prestigiosa kermesse del live d’autore, Ezio Bosso riceverà il “Riccio d’Argento” del celebre orafo Gerardo Sacco, premio ai migliori live di ogni stagione. Bosso ha cominciato lo studio della musica a quattro anni. Si forma poi a Vienna, sotto la guida di Streicher e Österreicher e Schölckner. Da anni è ormai considerato uno dei compositori e musicisti più influenti della sua generazione. Il suo stile cellulare e la sua ricerca sinestetica, il suo approfondito lavoro sugli strumenti ad arco e la agogica, così come il suo avvicinarsi a diversi linguaggi musicali, e la sua ricerca sul concetto di musica empatica, sono riconosciuti da pubblico e critica in tutto il mondo. Sia come solista, che come direttore o in formazioni da camera si è esibito nelle più importanti stagioni concertistiche internazionali; come Royal Festival Hall, Southbank Center London, Sydney Opera House, Palacio de las Bellas Artes di Mexico city, Teatro Colon di Buenos Aires, Carnegie Hall NYC, Teatro Regio di Torino, Houston Symphony, Auditorium Parco della Musica Roma. Vincitore di importanti riconoscimenti, come il Green Room Award in Australia (unico non australiano a vincerlo) o il Syracuse

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NY Award in America, la sua musica viene richiesta nella danza dai più importanti coreografi come Christopher Wheeldon, Edwaard Lliang o Rafael Bonchela, nel teatro da registi come James Thierrèe e nel cinema ha collaborato con registi di fama internazionale tra cui Gabriele Salvatores. Per Salvatores ha composto la famosa e innovativa colonna sonora per quartetto d’archi del film “Io non ho paura”. Vive a Londra, dove è stato direttore stabile e artistico dell’unica orchestra d’archi di grande numero inglese: The London Strings. Dal 2013 su suggerimento di Gidon Kremer, il famoso violoncellista Mario Brunello gli scrive chiedendo di incontrarlo. Da questa casualità è nata una intensa collaborazione in duo pianoforte e violoncello e una profonda amicizia. Nel 2014 ha debuttato con la sua Fantasia per Violino e Orchestra alla testa della London Symphony Orchestra con Sergey Krylov al violino solista. Dal loro incontro è nata una collaborazione continuativa che li vedrà impegnati anche in duo e in trio per le prossime stagioni. Nel 2015, The Arts News Paper e Penelope Curtis (il direttore di Tate Britain) hanno definito il suo concerto alla Ikon Gallery all’interno dell’opera 3 Drawing Rooms l’evento artistico dell’anno del Regno Unito. Sempre nel 2015, Ezio è stato scelto dall’Università Alma Mater di Bologna (la più antica università del mondo occidentale) per comporre e dirigere una composizione dedicata alla Magna Charta dell’Università che contiene il primo inno ufficiale di questa importante istituzione mondiale. Ed ora, dopo l’apparizione a Sanremo che ha stregato il mondo intero, parte con un tour nei principali teatri d’Europa. Per l’appuntamento del 17 maggio al Teatro Cilea di Reggio Calabria le informazioni sono reperibili al numero telefonico 0968441888 e al sito www.ruggeropegna. it.

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“Sogno di una notte di mezza estate” Metti una sera fredda ed uggiosa un palcoscenico, un pianoforte, un leggio … metti sul palcoscenico, Giovanni Bellucci al pianoforte e Giancarlo Giannini al leggio e … ed è subito Magia. A volte si teme di non riuscire a trovare le parole giuste per descrivere un evento al quale si è partecipato, nel timore di apparire troppo melensi o di non riuscire a trovare le parole giuste per spiegare la malìa che si è venuta a creare. Giancarlo Giannini non ha bisogno di presentazioni, almeno per la maggior parte della gente, è un artista completo, è un attore di cinema, di televisione, di teatro, è un regista, ha una voce calda, unica, ha una voce che ti porta là dove vuole e si trasforma in ciò che tu ascolti, è … lui e su di lui si è detto di tutto e di più. Stasera ascoltarlo è stato … straordinario, socchiudendo gli occhi era quasi come un vedere scorrere le immagini del personaggio in cui si calava, è stato un abile interprete della Canzone dell’Ancella, (Enrico VIII) quasi un omaggio al pianista , poi un accorato Marco Antonio (Giulio Cesare) che denunciava i traditori per la crudele morte di Cesare, un risentito Calibano che lancia improperi contro il padrone Prospero sentendosi vittima della sua magia, un tuonante Ariel che si scaglia contro chi aveva tradito il padrone e prevede per loro morte certa, a meno che non si pentano e non conducano, da lì in poi, una vita morigerata, è poi stato Prospero, nel suo appassionato monologo quando annunzia che rinuncerà alla Magia (tutti da “la Tempesta”), e poi Lorenzo e Gessica nel loro duetto amoroso da Il Mercante di Venezia, e ancora Amleto nel celeberrimo “essere o non essere”, ed il sonetto 144 con il dubbio sulla dualità dell’amore, maschio e femmina, angelo e demone, ed ancora Jago infame, subdolo, mentre escogita il piano per fare ingelosire Otello, concludendo, apparentemente, con l’omaggio all’opera che ha dato il titolo alla serata “Sogno di una Notte di Mezza Estate”, apparentemente perchè c’è poi stata la

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vera conclusione con la scena del balcone di “Romeo e Giulietta” che ha rapito la platea tutta. Giovanni Bellucci, per i non amanti della Musica Classica, è stata una autentica e piacevole scoperta. Pianista che gli amanti della buona musica ci invidiano, che ha avuto numerosi riconoscimenti di grande prestigio, collocato nella top ten dei pianisti lisztiani nella storia , definito il naturale erede di pianisti come Busoni, Zecchi Pollini. I brani scelti per accompagnare o sottolineare ogni passo recitato, erano il massimo della melodia e sottolineavano la bravura del pianista. Abbiamo ascoltato brani di Byrd, Busoni, Beethoven, Chopin, Alkan, Liszt, Mendhrlssohn, Prokofiev. Non solo ascoltarlo era un piacere, ma anche vedere come quelle mani, dalle dita lunghe e sottili, scivolassero sulla tastiera, sfiorandola, picchiettandola, carezzandola, regalandoci momenti di grande suggestione. Il tempo è volato e ci ha portato in un mondo fantastico fatto di voci e di suoni, regalandoci emozioni senza tempo. La brochure, recitava: “L’uomo che non ha musica nell’animo né si commuove alle dolci armonie, è pronto al tradimento, agli inganni e alle rapine; foschi come la notte sono i moti del suo spirito, e i suoi affetti tenebrosi come l’Erebo: nessuno confidi mai in un uomo simile”. (Shakespeare), pecca che non appartiene al pubblico presente, che ha ascoltato, come richiesto, in religioso silenzio, rotto solo, su invito di Giannini, da uno scrosciante applauso per Bellucci dopo il virtuosismo per l’esecuzione del pezzo di Alkan, applausi che si sono ripetuti alla fine, lunghi, calorosi, Un plauso all’Ama Calabria che, ancora una volta, ha scelto di offrirci una serata che porteremo sempre nel cuore.

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STAGIONE TEATRALE Stressati…ancora di più A LAMEZIA TERME Questa commedia, scritta a quattro mani da Lello Marangio e

L’amalgama di tutti questi fattori, sapientemente impastati a 4

Lucio Pierri, è uno spaccato della società moderna in continua

mani da Lello Marangio e Lucio Pierri, è “StresSsati…ancora di

corsa, perchè volendo tutto e di più, corre, fa il passo più lungo della gamba ed infine arriva lui, il comune denominatore della

più!”. Due ore di puro divertimento, di risate, di applausi scroscianti.

gente del XXI secolo: l’esaurimento, oggi conosciuto come stress!

Bravissimi gli attori, Lucio Pierri, consumato attore è stato un

Gli elementi ci sono tutti:

perfetto Dottor Jekyll e Mister Hyde nel doppio ruolo dei gemelli

-la famiglia con le sue problematiche fatte di caratteri opposti (vedi i due fratelli gemelli completamente diversi) e di interessi (un fratello presta all’altro soldi con interesse da usuraio e l’altro gli nasconde un quadro di Salvator Dalì; -le tasse, croce e basta (delizia non ci sta proprio) degli italiani che le studiano tutte per evaderle, con i falsi esattori ed il medico che ricorre alla famigerata “bustarella”; -il sesso, che sia virtuale o reale, oggi non si fa che parlarne e nella commedia è rappresentato da una donna bellissima e … ninfomane, il sogno di tutti i maschi, non solo quelli presenti in sala; -le fobie, quelle che oggi giorno, apparentemente, nessuno può evitare di avere, che sia la banale paura del ragno o, quella, ben più seria, del contatto con gli altri per paura di virus-killer

tanto uguali ma tanto diversi, Massimo Carrino ed Ettore Massa, giovani attori, hanno reso perfettamente con la loro performance i pazienti idiosincrasici con le loro ossessioni, ma non per questo incapaci, anche loro, di un doppio ruolo nell’apparire quello che non si è, e poi c’è stata lei, Laura Freddi, che con ironia ha saputo fare muovere sul palco la donna sesso-dipendente, senza mai scadere nella volgarità, una vera scoperta anche per chi ben la conosceva nel suo ruolo si show girl. Ed anche la fine è stata una autentica sorpresa, forse neppure l’abile Hercule Poirot sarebbe riuscito a capire chi fosse chi, prima del finale che lo ha svelato a tutti.

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Immensamente…Lina STAGIONE TEATRALE Lina Sastri è “La Lupa” di A LAMEZIA Giovanni Verga TERME IIn scena, venerdì 19 febbraio 2016, al Teatro Comunale Grandinetti, nell’ambito della V Rassegna teatrale “Vacantiandu - Città di Lamezia Terme diretta da Nico Morelli, Walter Vasta e Sasà Palumbo, La Lupa di Giovanni Verga con Lina Sastri e Giuseppe Zeno, regia di Guglielmo Ferro, adattamento di Micaela Miano. Lo spettacolo, tratto dal dramma teatrale e dal libretto d’opera destinato ad essere musicato da Puccini, presenta una mise en scène stilizzata, con la suggestiva scenografia di Françoise Raybaud che nei cromatismi ricorda alcuni campi di grano, illuminati dalla luna, alla maniera di Van Gogh. Accurato e rigoroso il disegno luci che svolge la sua funzione di sub-codice teatrale distillando bagliori e ombre sulla scena e sui paesaggi interiori dei protagonisti. Anche la scrittura drammaturgica risponde allo stessa esigenza di sintesi scenica. L’adattamento di Micaela Miano, oltre all’eliminazione di alcuni personaggi che poco avrebbero giovato all’economia drammatica, non esita a condensare i dialoghi e a ridurre la lunghezza delle battute facendone quasi dei versi brevi e incisivi e dando spazio ai silenzi e alle pause emotive supportate da una gestualità misurata, quasi intima. Un atto unico, due quadri. Un unico spazio esterno con qualche elemento di colore locale e due porte, sulle quinte, a suggerire due povere abitazioni. Un solo “buio”, a sipario chiuso, per scandire lo scarto temporale e far crescere i papaveri. Sull’aia scene di fatica nei campi, stornelli e balli. La giusta ricompensa dopo una giornata di lavoro. Scaramucce tra la “gioventù del loco” e la matronale zia Filomena seduta a dispensar consigli, monete e a raccontare storie “Sopra la cima del Monte Rosato. Viveva una maga…Vieni, ama, godi… erano le note del canto della maga che chiamava gli uomini…” Un “cuntu” che anticipa, di fatto, il dramma che si consumerà a breve sulla scena. Solida e autorevole Clelia Piscitello, interprete di una zia Filomena a tutto tondo capace di racchiudere ed esprimere amore, esperienza, sag-

gezza, cura, dedizione, generosità, ascolto, rispetto. L’unica che avrà un moto di umana pietas nei confronti della Lupa quando questa, ormai povera e pazza, sarà scacciata da tutti. Disponibili, vivaci e gioviali, ma senza eccessi, i giovani contadini che animano le scene corali Simone Vaio, Giorgio Musumeci, Valeria Panepinto e Giulia Fiume. Caparbio e volitivo Enzo Gambino nella perfetta interpretazione di Malerba “il buffone della compagnia - faccia di scimmia, dal ghigno malizioso.” Bello Nanni Lasca, interpretato da un convincente Giuseppe Zeno capace di districarsi con calibrata perizia tra dolcezza e violenza. Pelle dura e cuore di sasso. È lui il “garofano pomposo” dello strambotto verghiano, “Carofanu pumpusi / duci amuri “, che nell’arrangiamento di Battiato, interpretato dalla Lupa, diventa un canto d’amore alla maniera dei lieder tedeschi laddove l’aggettivo “pomposo”, nell’accezione di smorfioso, è usato nella tradizione letteraria per indicare la ritrosia femminile. Ma ben presto questa (apparente) ritrosia crollerà sotto gli assalti amorosi di gnà Pina. “ Non avrai né colpa né peccato!” dice la Lupa. Ecco allora certi sguardi stralunati, le esplosioni di ira minacciosa, il tentativo di redenzione, la continua fuga da sé che, sempre, lo riporta stremato al punto di partenza, questa passione malata, urlata, insultata, bestemmiata, denigrata, negata ma poi vissuta fino nelle più piccole escrescenze, quasi un destino a cui è inutile ribellarsi, anzi ribellarsi serve a stringere con più forza il nodo. A niente servono le sue implorazioni “Io ho paura di voi! Siete il diavolo, l’anticristo che venite qui a tentarmi… e io ci casco!” Fino a soccombere, anche lui carnefice e vittima al tempo stesso, con la collera incollata al cuore. Dolce, quasi diafana Eleonora Tiberia nel ruolo di Mara, figlia di gnà Pina. Eppure è l’unico personaggio a subire una evoluzione. L’iniziale arrendevolezza vira piano piano verso una carattere più fermo e deciso che si palesa in una presenza scenica più vitale e dinamica. Timorosa e timorata di Dio, non vorrebbe sposare Nanni e cerca di sottrarsi all’imposizione materna. Poi accetta quel matrimonio e finisce con l’innamorarsi del marito. Questa consapevolezza la porta a combattere, come può, per l’uomo che ama e a scacciare la madre, non in quanto tale ma perché rivale in amore. È la lotta di due femmine che si contendono la preda. “Tu mi ha preso tutto. Tutto m’hai preso! Vera di figlia di lupa!” le urla la madre. “Scomunicata! Ladra!” ribatte lei. Due sole parole, pesanti come pietre, schiumanti di rabbia mal repressa che esplodono in una ribellione/ liberazione da una figura materna dominante e divorante. Immensa Lina Sastri nel ruolo di gnà Pina, la Lupa, fin dal suo ingresso felpato e solenne. Lina si insinua nelle pieghe dell’anima di Pina e ne dà una interpretazione lucida, inquieta, vibrante, forte, sicura, senza sbavature, raggiungendo

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una tensione interiore e una autenticità che può appartenere solo ai grandi. Avvolta nel nero della vedovanza spezzato da un grembiule rosso fuoco, riempie la scena senza profferire verbo. Il volto impassibile, mentre le luci che lo attraversano delineano, da sole, espressioni mutevoli, incavate, ora fluide ora granitiche. Leggera e sinuosa, si libra in una danza popolare con un touch vagamente orientaleggiante accompagnandosi con le mani che disegnano immaginari arabeschi nell’aere. Poi la schermaglia amorosa con Nanni che culmina in quell’unico “assolo” che la Lupa si concede “Amuri amuri / chi m’hai fattu fari / m’hai fatti fari na grandi pazzia / Lu Patri Nostri m’hai fattu scurdari / la megghiu parti di l’Avi Maria.” Una canzone/preghiera rivolta alla luna, in un notturno campo di grano. Quel refrain “Amuri amuuuuri” con quella “u” allungata in un ululato è un disperato grido di solitudine. E l’inserimento di questa canzone popolare siciliana - voluto dalla Sastri - risulta oltremodo felice perché la realtà scenica lo giustifica. Gnà Pina è “come un cane senza padrone”. È una donna sola con una ferita che sanguigna dentro: “Se ho fatto del male

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l’ho fatto a me stessa e al mio cuore”. Una lupa affamata d’amore. Una figlia della natura, e di quella natura reca tracce nel suo stesso nome. Forte e fragile Pina. Analfabeta sentimentale, estranea al linguaggio femminile della seduzione, segue la legge del desiderio. Non c’è distanza tra la pelle e il cuore. Quel “Vogghiu a ttia” è un grido d’amore che accomuna tutte le donne rifiutate, è un urlo di libertà che vuole rivendicare il diritto di scegliere chi amare. “Non avrai né colpa né peccato” dice a Nanni e il suo cuore crudele di madre non va in conflitto con questo amore. È una guerra tra donne, il vincolo di sangue è rescisso “Pigliatevi a mia figlia. Volete Mara? E io ve la do… “. Scartando e sovvertendo le regole familiari e sociali, si fa coinvolgere dal puro flusso esistenziale fatto di bisogni primari che abiura norme e sovrastrutture e diventerà dannata, maledetta, reietta e rifiutata fino al sacrificio finale. Perché la morte, come l’amore, per la Lupa è una necessità “Allora se io sono la Lupa e non ti basta il cuore, chiudi gli occhi, non guardare. Finiscila!” Buio. Applausi, applausi e ancora applausi.

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L’ORA di CINEMA il cinema a Lamezia Terme 2016 L’ORA DI CINEMA è arrivata nelle scuole, e si può dire senza tema di smentita che il primo mese “di prova” è stato un successo. In due settimane di programmazione, con cinque spettacoli, ci sono state quasi mille presenze. Per chi lavora con e dentro le scuole sa che non è una cifra da prendere alla leggere, perché oggi i ragazzi (dalle elementari fino alle superiori) sono oberati da mille impegni scolastici ed extra, sempre quindi meno inclini -loro e i docenti- ad aggiungere una nuova attività. Chi invece lavora nel cinema sa che mille spettatori sono una chimera irraggiungibile: la dispersione dell’attenzione di cui parlavamo il mese scorso è chiaramente uno dei tanti motivi per cui sempre meno gente va in sala. Ma probabilmente, l’attrattiva de L’ORA DI CINEMA, il quid pluris, può rintracciarsi nel supporto critico: i film non sono stati soltanto offerti in visione, ma supportati da una dettagliata nota critica prima e dopo la visione. A prima vista, V Per Vendetta, o Watchmen (due titoli appartenenti alla cerchia dei cinecomics, ovvero il genere tutto postmoderno dove i film sono tratti da storie a fumetti) o anche E.T. o Il Ragazzi Invisibile o Blow Out di Brian De Palma sono bei film ma ascrivibili ad un cinema d’intrattenimento: L’ORA DI CINEMA invece ha dimostrato che sono film che parlano di temi altissimi, come il metacinema e quindi la metaletteratura, che approfondiscono le lezioni di Hegel, Cartesio e Schopenauer, che raccontano ad uno spettatore distratto il pericolo scongiurato della Guerra Fredda, che riecheggiano il Grande Fratello di Orwell e il suo 1984. Parliamo di Watchmen. Il film di Zack Snyder è tratto da una delle più importanti opere letterarie del Novecento, ovvero il graphic novel omonimo scritto da Alan Moore e disegnato da Dave Gibbons. L’opera è stata oggetto di culto per decenni, e per altrettanto tempo si è favoleggiato circa una sua riduzione cinematografica: difficilissima, per l’ampiezza strutturale del racconto, per le profondità di significato abissali che offre, per la lunghezza del racconto in sé (220 pagine disegnate e scritte). Zack Snyder è riuscito nell’impresa dell’adattamento, variando qualcosa sul finale e tagliando qua e là: ma restituendo in pieno la complessità del capolavoro di Moore. Nonostante durante il corso di tutta la storia Moore sappia offrire numerosissimi spunti di riflessione filosofica, idee psicologiche, domande sulla vita, cenni metafumettistici e tante citazioni, il clou dell’opera stia proprio nel finale, quando tutti i nodi vengono al pettine. E non per la scoperta del colpevole, bensì per le motivazioni che stanno alla base del suo complesso piano. Ozymandias è sicuramente un uomo narcisista, ma non ha costruito il suo impero finanziario solo pensando a se stesso; per quanto istintivamente è l’elemento del gruppo di exeroi che attira meno simpatie, bisogna riconoscergli che insieme a Manhattan ha usato i suoi soldi per investire nelle ricerche tecnologiche che hanno migliorato la vita delle persone. Ma Ozymandias non è un “cattivo da fumetto”, come dice lui stesso: non ha compiuto un atto atroce per conquistare il mondo o per sadismo, l’ha fatto per salvare il pianeta.La giustificazione del personaggio è lucida,

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chiara, logica: proprio il Comico, con la sua proverbiale ironia cinica, alla fantomatica riunione degli AcchiappaCrimini aveva evidenziato come un gruppo di persone in costume potesse anche solo pensare di cambiare in meglio il mondo, limitandosi a catturare qualche criminale di tanto in tanto. Da lì Veidt è rimasto ossessionato dal modo adatto per agire in grande scala, per poter estirpare il male alla radice. E il male ormai da anni si chiamava guerra fredda, con il costante e sempre più pressante pericolo dello scontro atomico, l’Apocalisse. Stabilito questo, il rimedio logico era quello di fare in modo che i due blocchi contrapposti, USA e URRS, trovassero un valido motivo per venirsi incontro e cessare il periodo di opposizione ferrea reciproca. Ozymandias si chiede cosa può funzionare in tal senso, e la risposta logica è: un pericolo così grande e così mostruoso da rappresentare una minaccia su scala mondiale. Di fronte a tale nemico comune, le due maggiori potenze mondiali avrebbero stabilito una tregua per forza.Il filosofo Hans Jonas, parlando del tema del progresso medico e della validità dell’uso di uomini per cure sperimentali, afferma che nessuno può chiedere all’individuo sacrificarsi in ordine di un bene superiore o destinato a un gran numero di persone, perché si rientrerebbe in una visione di sacrificio unilaterale che si pone al di fuori del contratto sociale, che prevede che l’individuo limiti le proprie libertà non solo per favorire gli altri ma anche se stesso di riflesso. Sacrificando la vita inevitabilmente il sacrificio porterà dei vantaggi solo a terzi. Ovviamente il discorso cambia se la persona decide autonomamente di sacrificarsi per un ideale o per motivi altruistici, in quel caso la decisione è moralmente accettabile.Guardando ancora alla filosofia Veidt potrebbe trovare un valido contraltare in Hegel, che riteneva che per l’attuazione del bene comune fosse possibile, e spesso necessario, l sacrificio del singolo il quale non era dotato di significativa importanza sociale. Ozymandias come novello condottiero si pone alla testa di questo nuovo ordine mondiale che vede la fine delle ostilità: e i telegiornali di tutto il mondo sembrano dargli ragione. Ma non è una valida giustificazione per le atrocità commesse.E passiamo a V For Vendetta: altro capolavoro di Alan Moore, portato sullo schermo da James McTeigue e prodotto dai fratelli Wachowski (quelli di Matrix, per capirci). Gran parte della letteratura di Moore è incentrata sull’intertestualità intesa quale creativa reinterpretazione di elementi familiari e tradizionali. Il mondo della narrativa è la principale fonte di ispirazione del nostro autore tanto che, come egli stesso dichiara, le sue idee derivano principalmente dalla tradizione letteraria o scaturiscono dal riutilizzo dei principali miti della civiltà occidentale: “ If anything, I’d say that what I’d like to do as a writer is to try and translate some of the intellect and sensibilities that I find in books into something that will work on a comics page.”

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Attraverso la de-costruzione prima e la ri-costruzione poi di elementi narrativi preesistenti e ben consolidati, Moore reinterpreta e lancia un guanto di sfida a simboli

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e idee arcinote e comunemente accettate da tutti, riproponendoli in contesti estranei/altri e, pertanto, rivestendoli di significati inediti (l’innovativa decostruzione dell’eroicità tradizionale dei supereroi Marvel in Watchmen ne è un esempio più che lampante). La reinterpretazione del “classico” assume spesso in Moore una forma parodica, mediante l’attribuzione di tratti sovversivi e inaspettati a formule già note. Va precisato, tuttavia, che questo tipo di parodia non sfocia in un atteggiamento critico verso la fonte d’ispirazione ma diventa piuttosto una sorta di tributo con il quale Moore omaggia l’opera originale che viene sempre rispettata e mai oscurata o ripudiata. Il risultato di tale operazione è un arricchimento delle tecniche narrative tradizionali nonché la generazione di una nuova modalità di narrativa – le cui fondamenta poggiano, però, su stilemi tradizionali – che deriva dalla natura de-costruttiva della scrittura di Moore. Attraverso la manipolazione di forme e formule antiquate, l’autore dà vita, di fatti, a una riflessione critica su aspetti essenziali – sociali politici e culturali – della nostra esistenza.

regime che li governa), stridono fortemente con gli stilemi tradizionali e consolidati del mondo del fumetto. V non assomiglia per niente al supereroe tradizionale, che resta passivo e nell’ombra e che interviene solo in caso di pericolo. Al contrario, capovolgendo i ruoli classici, V assume il compito di sovvertire e non preservare lo status quo, ponendo al centro del suo operato il cambiamento e non il mantenimento della situazione pre-esistente. Un supereroe atipico, dunque, che mira a distruggere una società che racchiude il male in se stessa piuttosto che a difenderla da pericoli e minacce esterni.

Per Moore, l’importanza di una piena comprensione delle formule narrative della precedente tradizione è funzionale a una migliore comprensione del proprio presente, grazie a una piena consapevolezza del proprio passato. Sotto questo aspetto, Moore condivide l’idea di Eliot secondo cui solo il possesso di un’adeguata prospettiva storica permetterebbe all’uomo di assumere piena coscienza della propria contemporaneità. L’infinita serie di relazioni possibili che esistono tra il passato e il presente è una perfetta rappresentazione della natura univoca della letteratura, capace di coesistere in epoche e culture distinte in base all’idea per cui “eveything is connected”.

Moore mette in piedi, in tal modo, un’intricata rete di connessioni i cui significati profondi si scagliano ben al di là del mero livello testualenarrativo. Partendo da un’idea inizialmente avanzata da David Lloyd, l’autore sviluppa il concetto in modo da inglobare alla perfezione i temi della ribellione e della messa in discussione del potere stabilito che permeano l’intero lavoro. Anche il parallelismo con Guy Fawkes si dimostra essere, ancora una volta, uno splendido esempio del decostruttivismo di Moore: l’autore, infatti, modifica l’interpretazione tradizionale della figura di Guy Fawkes che da traditore della patria, come viene comunemente ricordato nei libri di storia, si trasforma in figura salvifica ed eroe. Tramite un ironico capovolgimento della storia ufficiale –V/Guy Fawkes riesce alla fine a far esplodere il Parlamento – il nostro autore sembra suggerire che non è il fallimento della ribellione, e pertanto la vittoria del Potere, che deve essere ricordato ma, piuttosto, la ribellione stessa, in quanto simbolo di libertà.

Il personaggio di Evey Hammond è un primo esempio della dissimilarità decostruttiva che caratterizza l’intera opera. Il ruolo della ragazza ricorda chiaramente al lettore la figura del giovane aiutante dell’eroe principale, elemento tipico della letteratura a fumetti classica. Tuttavia, il fatto che Moore scelga un’aiutante donna costituisce certamente un fattore di novità, assolutamente non casuale, dato che la femminilità di Evey si carica di un forte simbolismo in tutta l’opera. La reinterpretazione intertestuale che Moore adotta in V for Vendetta, inoltre, è perfettamente sintetizzata già nella sola figura del protagonista, V, che vuol essere un supereroe ma che nulla, o quasi, ha che vedere con il supereroe classico. Tanto la sua caratterizzazione fisica (l’oscuro costume da Guy Fawkes), quanto la natura stessa della sua lotta contro i “cattivi” (V non protegge lo stato dal mostro di turno ma piuttosto difende i cittadini dal mostruoso

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Un secondo, e per certi versi, ovvio riferimento intertestuale connesso alla figura di V è Guy Fawkes, uno dei tredici cospiratori che presero parte, nel 1605, alla congiura contro il sovrano James I, denominata Gunpowder Plot e organizzata da Robert Catesby, leader del movimento cattolico. Nella graphic novel, V tenta, secoli dopo, di portare a termine il tentativo di far esplodere il Parlamento, in passato sventato all’ultimo minuto dalle guardie del re. Il parallelismo tra la figura storica di Guy Fawkes e quella fantastica di V è certamente innegabile. Non che gli indizi disseminati da Moore fin dalle prime pagine dell’opera non siano chiari: il giorno scelto da V come inizio del suo attacco contro la dittatura di Fate, la modalità tramite cui V sceglie di dar vita alla sua ouverture e, palesemente, il travestimento adottato dal nostro supereroe, una maschera in cartapesta che riproduce le fattezze di Fawkes.

Di particolare rilievo, l’omaggio che Moore rende a Shakespeare attraverso continue citazioni tratte dalle opere

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( lui e noi ) per un istante la vittima ‘nuda’ che terrorizzata esplode in un urlo..Un miagolio depresso, forse. Stop. L’aggressione tipica nella doccia è un deja-vù cinematografico, la scenaclou che si svolge sullo schermo di una sala di proiezione (film nel film, quindi). Tutto vero, tutto falso. In pratica, dichiarazione di poetica e tematiche dell’intero Cinema di Brian De Palma. Dopo tale rivelazione di ‘fiction’ implicita, lo spettatore assiste alle immagini appena proiettate in rewind, al contrario; e realizza che la mano del killer sulle tende, un attimo prima ‘assassina’ e malvagia, ora pare chiuderle in maniera pudica, quasi timida.

del grande bardo inglese. Ancora una volta, l’autore riesce a creare nuove e inedite interpretazioni di classici letterari, estrapolandone i versi e immergendoli in un contesto del tutto inusuale e originale. Il risultato è una forte decontestualizzazione dell’opera che provoca un effetto di straniamento e di messa in discussione dell’intero universo letterario. Nelle pagine iniziali del testo, ad esempio, V recita un passo tratto da Macbeth, Atto I, scena 2, ma, in un mondo in cui il passato culturale è stato cancellato dal regime, nessuno è in grado di riconoscere la citazione di V, motivo per cui il poliziotto lo bolla come una specie di ritardato scappato da un ospedale. Più nel dettaglio, i versi di Macbeth citati nelle pagine iniziali del graphic novel, sembrano suggerire una implicita connessione tra la pazzia di quest’ultimo e l’atteggiamento folle in cui spesso ricade il fervore ideologico di V. Si pensi alle tavole che mostrano V che, dall’alto di un tetto, contempla estasiato la distruzione di alcuni edifici chiave simbolo del potere del regime, dirigendone la stessa demolizione con una bacchetta, a mò di direttore d’orchestra. Tali movenze quasi “teatrali” sembrano suggerire che V, in realtà, non fa che recitare tutto il tempo. La vita, in fondo, non è altro che un “melodramma” proprio come confermano le parole “all the world is a stage” tratte da “As You Like It” che V pronuncia mentre indossa il travestimento da cabaret per lo spettacolo di vaudeville che di lì a poco andrà a inscenare per Mr. Prothero, la voce del supercomputer Fate. Il fatto, poi, che V utilizzi spesso il pentametro giambico, verso tipico del teatro shakespeariano, è stato interpretato, come già suggerito da Di Liddo, quale elemento critico nei confronti dell’odierno utilizzo del linguaggio di Shakespeare, spesso adoperato in modo improprio nonché una critica alla condizione di decadenza in cui versa attualmente la lingua moderna, ormai priva di significati pregnanti e caratterizzata dall’assenza di poesia. Il blank verse, inoltre, era il metro tipicamente adoperato nelle opere teatrali conosciute come “revenge plays”, i drammi della vendetta, che è anche, e non a caso, il tema centrale della graphic novel di Moore. La tecnica di ri-elaborazione delle fonti culturali e letterarie appare, dunque, una delle tecniche più efficaci tramite cui Moore svecchia e rinnova il mezzo fumettistico. Tramite allusioni, citazioni e parodie, l’autore costruisce una fitta reti di riferimenti testuali e non testuali, un labirinto intertestuale, vera e propria sfida anche per il lettore più attento che, come Evey, continuerà a chiedersi: “It is, isnt’it? It’s another bloody quote!”. E finiamo con Blow Out, uno dei capolavori massimi del cinema, firmato da Brian De Palma. Blow Out: o il triste suono dei ricordi. Brevi fotogrammi di un trash movie. Notte. Soggettiva di uno sconosciuto, probabile voyeur. Piano sequenza di un collegio femminile. In camera qualche ragazza studia. Oppure ascolta musica a tutto volume. Alcune amano divertirsi, altre ‘amano’ e basta. A passi lenti, l’occhio del nostro guardone entra e giunge nel bagno, rivela il suo truce aspetto nel vetro appannato d’uno specchio e vede il corpo di una giovane donna dietro le tendine della doccia. Qualche metro avanti, la ‘nostra’ mano è quella dell’assassino che impugna un coltello: sposta con fare minaccioso la tenda, osserva

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Il discorso metacinematografico depalmiano continua a mescolarsi sulla base del suo linguaggio-thriller (angolo della mdp hitchcockiano, split screen, protagonista che identifica il pubblico etc.). Come in passato, ma con riferimenti più o meno espliciti alla manipolazione sul ‘reale’ operata dal Regista-demiurgo; anche tramite complotti\intrighi politici e l’ironia che sovente torna (lo studio di film a basso costo presso cui Jack lavora, il fittizio ‘Indipendent pictures incorporated’, la scoperta dell’attentato grazie al film a scatto singolo e ai ‘flashback’ con cui ne ricostruisce le dinamiche). De Palma in Blow out (chiaro il richiamo-omaggio verso Antonioni) sposta il punto d’osservazione da scopico a sonoro, e la storia rappresentata diviene metafora del meccanismo dei film e del rapporto instaurato con lo spettatore. Una retta parallela schermo-pubblico, dove il protagonista della pellicola assume il duplice ruolo d’intermediario degli spettatori in sala e ‘ascolta’ , ‘osserva’ come loro. Il motore dell’intera vicenda rimane la figura del sonorizzatore, dapprima ignaro di trovarsi nel mezzo di un puzzle intricato e pericoloso, troppo grande per considerarlo un ‘banale’ incidente stradale, infine trascinato dalla sua ossessione di verità che porterà alla morte della povera Sally. Una sorta di peccato ‘cognitivo’, derivato dall’educazione calvinista del regista. Ancor più grave, poiché Terry era già stato anni addietro (e lo narra lui stesso) causa indiretta dell’uccisione d’un collega poliziotto; infiltrato nella mala e individuato per un guasto tecnico al microfono fornito da Jack. Il cortocircuito dell’informazione e l’istinto conservatore di ‘poteri occulti’, la centralità della tecnologia in Travolta\Terry (fisico e tecnico di computers come il giovane De Palma..) e l’illusione di una realtà costruita, e ‘scomparsa’, dai mezzi di comunicazione: il fonico Jack porta fino al narcisismo filmico l’interazione con pellicola, cinema d’animazione (il ‘filmato’ dell’incidente ottenuto dalle foto sul giornale, paragonato dal vile Karp a quello di Zapruder su JFK), microfoni direzionali, intercettazioni telefoniche (nel post-Watergate sempre vivo), registratori e monitor tv. Esemplare, a proposito, la formidabile panoramica della stanza in cui lavora Terry: un virtuoso movimento circolare della mdp, senza stacchi e col protagonista che entra ed esce dal riquadro della cinepresa. L’ORA DI CINEMA è stato tutto questo: e si spera che almeno un piccolo seme sia stato piantato nei ragazzi che hanno assistito agli spettacoli, dando uno spunto per riflettere. Perché il cinema è questo, e questo dovrebbe essere per tutti: arte, che stimola e che fa riflettere, che fa del proprio contenitore il suo contenuto (chi meglio di De Palma ha saputo dire che l’arte del cinema è pura visione? Che la stessa bellezza di un’immagine ha in sé la potenza del suo significato, senza bisogno di riempirlo d’altro?)

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Cinque Suore Clarisse nel

Monastero di Conflenti dal Brasile 5 suore dell’Ordine delle Clarisse provenienti dal Brasile abiteranno nel nuovo Monastero di Conflenti, un luogo di silenzio e di preghiera voluto dal Vescovo Luigi Cantafora nei pressi della Querciuola, la località del comune montano dove apparve la Vergine Maria al pastorello Lorenzo Folino nel 1578. Le 5 religiose, giunte a Lamezia nelle scorse settimane, sono state presentate questa mattina alla comunità diocesana dal Vescovo Luigi Cantafora nel corso della celebrazione eucaristica al Santuario Diocesano di Conflenti. Nella giornata di oggi, ricorre la festa votiva con cui ogni anno la comunità conflentese ringrazia la Vergine Maria per la protezione in occasione del terremoto del febbraio 1783. Una vita tutta dedita al silenzio, alla preghiera, al lavoro; una presenza orante per la tutta la Diocesi lametina; una comunità pronta ad accogliere chiunque desideri intraprendere un cammino di ricerca interiore per aprirsi a Dio e ai fratelli. Sarà questa la missione a servizio della Chiesa di Lamezia delle sorelle Clarisse del Protomonastero di Conflenti, un punto di riferimento spirituale a livello mondiale per l’ ordine religioso delle figlie di S. Chiara, dove saranno formate le badesse che poi verranno inviate nelle missioni in Estremo Oriente. Insieme alla madre badessa, la prima comunità sarà composta da 2 giovani sorelle con professione solenne, una con professione temporanea a una novizia. Il monastero sorgerà accanto alla Fazenda da Esperança femminile, dove già da diversi mesi donne vittime delle diverse forme di dipendenza vivono percorsi di liberazione e guarigione interiore nello spirito della Fazenda da Esperança di Nelson Giovanelli, attraverso la dedizione quotidiana alla preghiera, alla vita comunitaria e al lavoro. Una vicinanza che è segno di fraternità, che mette insieme la vita contemplativa delle Clarisse e l’impegno caritatevole dei volontari della Fazenda, come segno dell’unione inscindibile tra la preghiera e la carità, tra la ricerca di Dio e l’amore concreto verso i fratelli. “Voi sorelle di Santa Chiara siete come piccole lampade su questo monte. Da qui veglierete sulla città e sull’intera Diocesi di Lamezia, sostenendoci con la vostra preghiera e l’offerta della vostra vita”, così il Vescovo Luigi Cantafora che ha invitato a guardare alla presenza delle Clarisse in Diocesi come “un segno della benevolenza di Dio, un dono per tutta la comunità e in particolare per questo luogo dove tante volte la Vergine Maria ha manifestato la sua benevolenza”.

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Corso Numistrano Funzione indispensabile come spazio di socializzazione collettiva Necessita di un progetto di recupero in un piano complessivo per la tutela dei beni culturali Con la sua invidiabile posizione ai piedi del sistema di colline che delimita l’ampia pianura lamettina e per la sua secolare funzione di luogo di mercato e centro di servizi per tutto il circondario pedemontano e montano (Ospedale, Scuole, Tribunale, Uffici distrettuali di vario genere), Nicastro ha visto crescere costantemente la sua popolazione, di pari passo col progressivo trasferimento in essa dai Comuni vicini di singoli individui o di interi nuclei familiari attratti da maggiori e migliori possibilità di vita e di lavoro. Ne è seguita un’espansione edilizia, soprattutto negli ultimi decenni, non sorretta purtroppo da una lungimirante politica urbanistica, che è andata a saturare di costruzioni, senza alcuna contestuale previsione di spazi verdi, l’area urbana di più recente espansione (lungo i due lati di Viale Stazione e negli spazi retrostanti) e che ha soprattutto fatto nascere in tempi relativamente brevi interi nuovi quartieri (Pietà, Capizzaglie, Scinà ecc.), in forma potremmo dire “spontanea” per usare un eufemismo, al di fuori di una qualsivoglia programmazione urbanistica. Era in sé lodevole il progetto, varato esattamente venti anni fa, di dare a Nicastro, mediante l’accorpamento coi limitrofi comuni di Sambiase e di S. Eufemia Lamezia, le dimensioni minimali per un centro urbano che, sotto la nuova denominazione di Lamezia Terme, si intendeva proporre come significativo polo di sviluppo della regione; se, nel corso della sua realizzazione, ha in parte fallito questo scopo, per cause che non vale la pena qui indagare, ha tuttavia sortito l’effetto di una ulteriore dilatazione del fenomeno di inurbamento, che ha coinvolto anche gli altri due ex-comuni autonomi, con una conseguente dislocazione di punti vendita, centri di servizio ecc. sempre più disseminata su un territorio urbano, diventato vasto e di difficile gestione nella sua disomogeneità strutturale. Se, nella nuova realtà cittadina, Piazza Italia a S. Eufemia e Piazza Fiorentino a Sambiase continuano come è giusto ed opportuno che continuino, a svolgere il loro ruolo di ideale punto di riferimento e di incontro per i lametini colà residenti, e nonostante gli sforze di Sambiase (o meglio dei suoi influenti uomini politici) di proporsi come nuovo centro “reale” della vita lamettina, il “cuore” di Lamezia Terme resta tuttavia – non si sa ancora per quanto – l’antico Corso Numistrano, col suo prolungamento in corso Giovanni Nicotera. E’ lì che continua a svolgersi ogni manifestazione di maggior rilievo, che pretenda di coinvolgere l’intera collettività lamettina; è l’ che convergono, fedeli ad un appuntamento ideale ed inespresso giovanissimi, giovani e meno giovani per quella passeggiata serale e domenicale che si configura come una consuetudine dalle radici profonde e durevoli. Sarebbe certamente riduttivo individuare il richiamo che il “Corso” esercita solo nel fatto che esso, in mancanza di parchi, piazze alberate ecc., in fondo rappresenta l’unico spazio pubblico che si presti in qualche modo all’esercizio di un’attività motoria, quale il passeggio. La realtà è un’altra, ed è che il “Corso” ha mantenuto la sua funzione di “salotto” dei Lametini e ciò

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malgrado si sia progressivamente svuotato di negozi di grande richiamo – che si addensano ora quasi tutti nella zona commerciale trainante di Viale Stazione – e nonostante sia costantemente invaso da un fiume di macchine, che neppure i divieti serali e festivi valgono a bloccare, se qualche vigile di buona volontà, o qualche “trimestrale” zelante, non si impegna a farli rispettare sbarrandone l’accesso in alcuni punti col proprio corpo e a colpi di fischietto. E si tratta di una funzione di cui non è difficile cogliere le ragioni profonde: in una città che, a livello di strutture e di iniziative pubbliche, a parte qualche sporadica manifestazione musicale, culturale o sportiva che scalfisce appena la sonnacchiosa comunità, è in grado di offrire ben poco per una gradevole o proficua utilizzazione del tempo libero, questo “salotto” svolge la funzione di indispensabile spazio di socializzazione collettiva; è luogo privilegiato di incontri e favorisce il mantenimento di quella rete di rapporti umani, che costituisce la più vistosa differenza fra la vita in una grande città e la vita in un centro di provincia; è luogo di scambio di idee, di riflessioni sul quotidiano e sul futuro, di dibattito politico, di elaborazione di strategie e verifica di metodi e di risultati, di propaganda non meno che di critica; è l’unico luogo di incontro per i giovanissimi, che se ne sono ritagliato un pezzo tutto per sé, in alternativa a qualche sala da giuoco invasa dal fumo e dagli assordanti rumori dei video-games. Vale dunque la pena non lasciarlo lentamente languire sotto l’inesorabile opera del tempo e la meno inesorabile, ma non meno distruttrice, incuria umana, com’è successo, ad esempio, a Corso Garibaldi, via via abbandonato al suo destino di centro storico di auspicato ma sempre più improbabile recupero, a mano a mano che si è trasferita altrove la sede del Municipio, la comunità conventuale, la residenza dei proprietari più facoltosi dei vecchi palazzi che lo fiancheggiano, i soli che sarebbero stati in grado di operare di volta in volta quegli interventi di restauro e di ammodernamento interno, che ne avrebbero impedito il progressivo degrado ed il conseguente abbandono. Si resta stupiti, quando si soggiorna per qualche tempo o anche ci si trova di passaggio in centri anche modesti e di scarso richiamo turistico dell’Umbria, della Toscana, in genere dell’Italia centro-settentrionale, nel riscontrare persino in essi – e non solo nella grandi “città d’arte” - una cura amorosa per le vestigia, a volte addirittura insignificanti ai nostri occhi, del loro passato più o meno recente; nel constatare tra la gente l’abitudine profondamente radicata ad un rispetto quasi religioso dell’originario assetto urbanistico ed architettonico, anche quando questo comporti il mantenimento di edifici modestissimi e privi di qualsiasi valore artistico; nel toccare con mano la praticabilità di una seria e costante politica di recupero e salvaguardia, laddove le comunità esprimano, a livello di amministratori e di comuni cittadini, una “cultura dell’antico”, che non paralizza affatto l’espansione urbanistica e l’attività edilizia, ma sottomette e l’una e l’altra al rispetto di ciò che viene localmente individuato come valore collettivo fuori discussione. E allo stupore segue, immancabilmente, la rabbia. Rabbia nel constatare, per contrasto, l’incuria, il disamore, lo scempio che contraddistinguono tanti centri storici del Sud e, nello specifico, di Lamezia Terme, tutti i quartieri più antichi delle aree urbane. Personalmente ho cercato di capirne il perché: all’origine di un atteggiamento così diffuso a livello di comunità e di amministratori una ragione profonda deve esserci. E non credo che essa vada cercata nei ricorrenti cataclismi naturali (alluvioni, terremoti ecc.) che periodicamente hanno sconvolto il preesistente assetto, quanto piuttosto nel retaggio storico di miseria, di oppressione, di marginalità, di dipendenza da poteri esterni, da cui solo in tempi piuttosto recenti ci si è affrancati, e nella sottocultura che ancora contraddistingue la nostra collettività: da noi a livello istintivo ed inconscio, “l’antico” non si configura come un valore da tutelare, ma

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come un disvalore di cui disfarsi; al posto della “cultura dell’antico” è diffuso fra troppi lametini, soprattutto anziani e di mezza età e non necessariamente di estrazione sociale più umile, un “ripudio del vecchio” che può toccare con mano chiunque si faccia un giro nei quartieri più antichi della città nel suo complesso. Non occorre, infatti, una particolare competenza architettonica per notare dove i tetti di gloriose tegole rosse hanno lasciato il posto a tetti di eternit, più funzionali forse, ma certo esteticamente meno validi; dove porte ed imposte di legno sono state sostituite con infissi di metalluminio nuovi fiammanti; dove amorfi parapetti di cemento hanno “economicamente” rimpiazzato ringhiere di ferro battuto, artistiche anche se arrugginite, testimonianza storica di un artigianato locale tuttora fiorente e pregevole, certamente in grado – all’occorrenza e a richiesta – di riprodurre vecchi modelli….: sostituzioni, modifiche, rifacimenti sempre operati in forma “spontanea”, al di fuori di qualsiasi logica “comunale” di tutela di qualcosa e di rispetto di regole esistenti sulla carta. Si direbbe che manchi nella cittadinanza nel suo insieme la capacità di stabilire una chiara differenza tra ciò che è “ antico” e che merita perciò di essere tutelato per un qualche motivo (paesaggistico, artistico, architettonico, turistico ecc.) e ciò che è semplicemente “vecchio” e che senza danno può essere sostituito o modificato in qualche modo. Da ciò probabilmente il diffuso erroneo preconcetto che di monumenti “antichi” meritevoli di tutela ci siano a Lamezia solo i miserevoli resti del Castello normanno e dell’Abbazia benedettina o il poderoso, e pressocchè integro all’esterno, Bastione di Malta, sicchè solo o prioritariamente questi edifici vengono tirati in ballo quando si parla di recupero, come se nella categoria dei monumenti “antichi” non rientrassero anche chiese, edifici, quartieri, strade, ciascuno per le proprie caratteristiche peculiari. E’ ormai tempo, però, che si creino i presupposti per una inversione di tendenza e che una sensibilità nuova a livello collettivo venga costruita anche in questo campo, se non altro per stare al passo coi tempi, per non mortificare in sede locale un processo di valorizzazione dei beni ‘culturali ed ambientali’ che anche in Calabria si è finalmente avviato, per non restare tagliati fuori dai cospicui finanziamenti nazionali, regionali, comunitari destinati a questo specifico settore. In questa prospettiva qualcosa s’è già cominciato a fare, pur tra contrasti, difficoltà, lentezze ingiustificate. Ma è ben poca cosa rispetto a quello che si può e si deve progettare, per attivare opportunamente e tempestivamente tutti i canali legislativi oggi disponibili anche a carattere eccezionale (legge 449; legge 64; normativa CEE ecc.): eventuali inadempienze ed omissioni al riguardo sarebbero un’ennesima prova di sottocultura complessiva, di inefficienza, incapacità ed ottusità politica. E’ urgente, al contrario, prefigurare una tipologia complessiva di intervento nei quartieri storici di Nicastro e Sambiase, che miri al recupero funzionale degli edifici pubblici, privati, ecclesiastici di valore storico-artistico. Certo occorre un’attenta e capillare ricognizione, da cui si evidenzino oggettivamente le esigenze e le priorità di intervento; ma l’Ufficio tecnico cittadino dispone di un numero spropositato e poco utilizzato di architetti, ingegneri, geometri, sicchè di questa ricognizione preliminare e dell’elaborazione di piani di intervento potrebbe, anzi dovrebbe farsi carico. Senza contare che ad ancora più specifiche competenze è possibile far ricorso all’occorrenza, coinvolgendo gli esperti della Soprintendenza a ciò preposta, dei liberi professionisti di accertato valore, dei docenti universitari di architettura dentro e fuori la regione. Fermo restando che bisogna mirare ad un recupero progressivo di tutto ciò che è ancora recuperabile, non v’è dubbio a mio avviso, per quanto già detto sul ruolo che svolge nella vita cittadina, che un’attenzione particolare debba essere dedicata al Corso Nimustrano: oltretutto rappresenta una realtà urbanistica non eccessivamente stravolta, di più immediato recupero, con interventi già in atto, che è necessario portare a termine nel migliore dei modi e in forma definitiva, prima di avviare altri, più complessi onerosi progetti di recupero. Merita sottolineare che quando fu progettato, circa un secolo e mezzo fa, si ebbe la lungimiranza di prevederlo ampio, fiancheggiato da due ampi marciapiedi. Su di esso si affacciano a tre o quattro piani, no sfarzosi ma di linea elegante, con belle ringhiere in ferro battuto e fregi ancora in ottimo stato di conservazione: basterebbe qualche modesto intervento di restauro a riportarli alla bellezza originaria, come dimostrano i recenti rifacimenti esterni di alcuni di essi, tra cui il Municipio e il Palazzo di città ai lati della Cattedrale, o la sede attuale della Banca popolare, sull’altro lato del Corso. Si tratta, comunque, di palazzi privati, sui quali gli amministratoti non possono intervenire direttamente. Non sarebbe inopportuna, tuttavia, una adeguata informazione e sollecitazione dei proprietari ad avviare quelle pratiche, che consentano loro di beneficiare delle agevolazioni

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economiche previste dalle leggi. Il rifacimento in atto dell’illuminazione, che prevede la sostituzione dei fanali da piazzale autostradale, installati negli anni sessanta, con lampioni a più bracci in stile, presagisce un netto miglioramento estetico del “Corso” nel suo insieme. Altro scempio di quel periodo fu la costruzione di u n palazzone moderno al centro del lato sinistro del Corso, al posto di un palazzo ottocentesco analogo a quelli laterali; la Cassa di Risparmio lo ha ormai abbandonato come sede e, visto che non ha voluto cederlo al Comune per allocarvi la Biblioteca civica o altro, dovrebbe quanto meno essere costretta a ristrutturarne la facciata, in maniera che si armonizzi in qualche modo con la struttura ottocentesca del Corso. Anche i lavori, in atto da lungo tempo, per il recupero del Teatro Umberto I (il cosiddetto “Pidocchietto”) e quelli avviati da poco per il rifacimento della facciata dell’attiguo Ginnasio F. Fiorentino promettono a breve scadenza (se nel frattempo non si esauriscono i fon di) una sistemazione estetica un po’ più gradevole dell’angolo più antico del “Corso”. Ma non ci si può considerare paghi di ciò; bisogna urgentemente progettare il recupero organico di tutta quell’area, il che non comporta solo di richiedere nuovi finanziamenti per ultimare all’interno ed arredare il Pidocchietto e operare finalmente il recupero totale del Ginnasio, sempre più cadente; contestualmente l’occasione è da cogliere anche, ad esempio, per ripristinare l’assetto originario dell’atri dell’adiacente Chiesa di S. Domenico. Questa chiesa, rifatta più volte tra il 1502 e gli anni Cinquanta del nostro secolo per le ricostruzioni rese necessarie da terremoti ed alluvioni e temporanei abbandoni, mantiene lo stile barocco con cui la fecero riedificare intorno al 1650 i Principi D’Aquino, feudatari della città a quel tempo, lo stemma dei quali sovrasta l’arcata esterna centrale. Le due arcate laterali, che delimitavano il piccolo portico di accesso all’interno, sono state rese cieche in tempi recenti per ricavarvi due locali, uno adibito ad ufficio parrocchiale, l’altro trasformato in negozio, con porta che si apre in maniera obbrobriosa nella fiancata laterale della Chiesa. Ancora più urgente che ripitturare la facciata (cosa che pare si stia pensando di fare, quando lo si farà per il Ginnasio e per il Teatro Umberto), è ripristinare il portico dell’ingresso, rimuovendo le opere murarie recenti. Per rivalorizzare questo angolo del Corso occorre, infine, avere il coraggio di smantellare l’attuale sede dell’EPT, che potrà trovare più idonea collocazione in un qualsiasi altro stabile. Il locale in oggetto venne costruito anch’esso agli inizi degli anni Sessanta, allorchè al posto dell’ampia gradinata di accesso da Piazzetta S. Domenico al Corso furono creati dei locali pubblici adibiti a diurno ed ormai in disuso; la copertura di essi, a livello del Corso, fu sistemata a spiazzo con ringhiera, e vi venne eretto al centro un monolocale di proprietà comunale. Anch’esso, con la sua forma tozza e il suo rivestimento piastrellato, non si armonizza affatto con le strutture architettoniche circostanti e serve solo a impedire la vista della facciata del Teatro Umberto, che, a lavori ultimati, meriterà una migliore visuale prospettica. A conclusione di queste rapide riflessioni, che hanno inteso appena sollevare un problema meritevole di ampio approfondimento, va ribadito che una città come Lamezia (la quale ha tra l’altro l’ambizione di diventare un polo di attrazione per una politica di riequilibrio regionale e che comunque, per popolazione segue immediatamente i tre capoluoghi) una politica urbanistica rigorosa deve pur riuscire a darsela; accanto al Piano Regolatore, che dovrà consentirne lo sviluppo edilizio futuro in maniera più razionale, deve anche dotarsi di un piano generale di recupero di edifici e quartieri storiuci, che ne blocchi, finchè si è in tempo, il degrado strutturale e sociale.

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Riforma dei tributi comunali a Lamezia Terme? Nelle sue dichiarazioni programmatiche il Sindaco, avv. Paolo Mascaro, promise che si sarebbe proceduto ad un riordino complessivo del settore tributi comunali. A distanza di oltre cinque mesi i lametini hanno il diritto di conoscere a che punto sono i lavori relativi a quell’impegno assunto dal Primo cittadino di Lamezia

Ho appreso dalla stampa locale che il consigliere Rosario Piccioni, alcune settimane addietro, ha rivolto al sindaco una interrogazione che ha per oggetto i tributi comunali. Non ne ho letto l’intero testo perché sul website dell’avv. Piccioni non sono stato in grado di trovarlo. Ho letto e riletto, viceversa, le “linee programmatiche” che l’avv. Paolo Mascaro ha reso in Consiglio comunale in data il 15 settembre 2015. Il sindaco dedicò al problema dei tributi dodici/quindici righe delle quasi 50 cartelle che contengono le sue dichiarazioni programmatiche. In esse vi è esposto lo scibile umano. Come facente parte della comunità lametina mi riterrò soddisfatto se, alla fine del suo mandato, l’Amministrazione comunale sarà riuscita a realizzare il 10% di quanto si è proposta di fare. Si parva licet .. ho sul mio tavolo, il programma letto dall’on. Giulio Andreotti in uno dei suoi 7 governi. Vi sono contenuti, come c’è da aspettarsi, argomenti di politica interna ed estera, di economia e finanza, di relazioni politiche tra i partiti della maggioranza e di quelle della maggioranza con l’opposizione: 30 cartelle in tutto. Ma torniamo ai tributi. Il sindaco ha impostato il problema della “riscossione dei tributi comunali” in termini che a me sembrano corretti. Premesso che dal “bilancio consuntivo, nonchè da quello previsionale si evinceva una mancata riscossione del 70% e che quindi si riscuoteva solo il 30%” di quanto i cittadini lametini debbono pagare, il sindaco dichiarò che: 1) si sarebbe dovuto procedere “all’aggiornamento dell’anagrafe tributaria, mai aggiornata da tempi immemorabili.” 2) si sarebbe dovuto procedere “all’aggiornamento della numerazione civica delle strade del nostro comune, causa principale della mancata individuazione ed identificazione dei reali debitori;” 3) si sarebbe dovuto procedere ad “un’azione giudiziaria, seria e concreta, per il recupero delle somme ad oggi accreditate dal

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Comune di Lamezia Terme.” “Nella sua premessa alla trattazione del problema, il sindaco aggiunse anche che “sarà indetto un bando di gara europeo per l’affidamento, a nuove condizioni, essendosi dovuto da subito verificare il totale fallimento dell’opera di riscossione fino ad oggi portato avanti da Equitalia S.p.A. senza risultati tangibili.” Ritengo che questo bando dovrebbe essere indetto a conclusione del percorso complessivo di riordino dei tributi. Che se dovesse essere portato a compimento costituirebbe, sempre a mio avviso, un merito storico di grande portata per l’Amministrazione comunale. Oltre che un vantaggio incalcolabile per i cittadini di Lamezia: pagare tutti per pagare meno è infatti una riflessione forse banale ed abusata, ma in realtà dovrebbe costituire l’obiettivo principale di una sana ed intelligente politica tributaria di un Ente locale. Alla luce della citata impostazione mascariana che, ripeto, a me sembra vada nella giusta direzione, piuttosto che chiedere di “fare un’azione giudiziaria contro Equitalia”, sarebbe opportuno interrogare il sindaco su qualcos’altro di più importante e produttivo per la collettività. Per esempio, gli si potrebbe chiedere d’informare la città qual è lo stato dell’arte circa il lavoro che si è impegnato a compiere, a distanza di oltre cinque mesi dal giorno delle sue dichiarazioni e da dieci sa quello del suo insediamento. E, quindi, di far conoscere, non solo ai consiglieri comunali, ma ai cittadini lametini, se ha preso il via o meno l’iter per giungere al riordino del settore dei tributi, così come lui l’ha delineato nelle sue “linee programmatiche” oppure se esso sia destinato a rimanere una pia illusione, quasi una promessa resa a futura memoria, che resterà seppellita sotto le cinquanta cartelle delle dichiarazioni programmatiche del 15 settembre 2015. Un discorso approfondito meriterebbe l’aspetto dei tributi che concerne la loro equa ripartizione tra i cittadini. Ma questo è un altro, importantissimo e connesso problema, che potrà essere trattato in qualche altra occasione.

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Allu lustru da lumera sunu tutti ‘i ‘na manera?

La vendetta della Nemesi!

Alcune considerazione a margine dell’arresto del leghista Fabio Rizi. L’ex senatore della Lega Nord Fabio Rizzi collaboratore “fidatissimo” del governatore della Lombardia Roberto Maroni e presidente della Commissione sanità della regione, è stato raggiunto da un ordine di carcerazione preventiva emesso dalla Procura della repubblica di Monza. Insieme a lui sono finiti in carcere, o ai domiciliari, altre ventuno persone tra cui la compagna del Rizzi, Lidia Pagani, e il suo braccio destro, Mario Longo, anche lui in compagnia della sua compagna! Tutti sono accusati di associazione a delinquere e corruzione per trarre vantaggi economici da affari fraudolenti e traffici loschi. Reati che, come si vede, sarebbero stati consumati in famiglia, o quasi! Consapevole che l’indagine è appena agli inizi e che in Italia vige, giustamente, la presunzione di innocenza, non essendo colpevolista a senso unico, né innocentista per partito preso, non è mia intenzione emettere alcuna sentenza di condanna o di assoluzione nei riguardi di chi oggi è oggetto di indagini giudiziarie. Intendo solo fare qualche considerazione prendendo spunto dall’ultima vicenda di malaffare in cui sono coinvolti , insieme a tanti altri, anche militanti e politici della Lega Nord. Vi dice qualcosa la fotografia che è pubblicata qui accanto? Ai più giovani forse niente, agli anziani come me qualcosa dovrebbe ricordare. Vi è rappresentato l’ex deputato leghista di Cantù Luca Leone Orsenigo che nella riunione alla Camera dei deputati del 16 marzo1993 (esattamente 23 anni fa) sventolò un cappio con il quale il leghista, sbraitando con voce alterata e semi-strozzata, tra gli sghignazzi ed applausi dei suoi compari di partito, additò al pubblico ludibrio i “ladroni” democristiani e socialisti ed i politici di tutti gli altri “vecchi” partiti che, in quel torno di tempo, risultavano indagati nelle inchieste di ‘Mani pulite’, minacciandoli che li avrebbe appesi alla forca. Tutti quanti. Correva la stagione in cui il leader lumbard Umberto Bossi urlava che Roma era ladrona, perché covo di malfattori e grassatori ed i politici romani tutti corrotti e ladri. Quelle frasi, ripetute ossessivamente ogni giorno, in ogni comizio, ogni convegno e sulle televisione ed i giornali, fecero la sua fortuna economica e quella dei suoi familiari, moglie e figli, che insieme a lui nel corso degli anni aurei del potere bossiano sarebbero diventati ricchissimi. Era anche la stagione in cui i militanti leghisti, imitando il loro capo carismatico, urlavano che il Mezzogiorno aveva vissuto, per decenni, e viveva ancora, alle spalle del Nord, ricco, produttivo e laborioso, mentre i meridionali erano dei parassiti, oltre che sporchi e puzzolenti. Sapendo ora di quanti e quali reati sono stati e sono, a regolari intervalli di tempo, accusati, rinviati a giudizio ed alcuni condannati definitivamente, Bossi, i

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suoi figli ed i componenti del suo ‘cerchio magico’viene da sorridere riflettendo a come e quanto irridente, beffarda e impietosa sia la Nemesi, che attende tutti al varco della storia e, prima o poi, fa scattare la sua inesorabile vendetta. Con quel cappio, agitato quasi 25 anni fa, vengono oggi impiccati, metaforicamente, Bossi, i suoi familiari e tutti quei militanti che, di volta in volta, si sono associati per delinquere al fine di corrompere, rubare ed intascare i soldi dei cittadini italiani destinati al loro partito ed ai correlati gruppi parlamentari. Sono ormai così numerosi gli indagati ed i condannati della Lega che è anche difficile tenere la contabilità di quanti complessivamente siano stati, fino ad oggi, nei tre decenni di storia della Lega. Così come risulta difficile ricordare la quantità e qualità dei reati di corruzione e di brogli per cui sono stati giudicati e costretti a sparire dalla vita politica. Scrive a tale proposito Gianna Finardi su ‘IlVaglio.it’ “Nel maggio 2012 Bossi è stato iscritto nel registro degli indagati dalla procura di Milano con l’accusa di truffa ai danni dello Stato a causa dello scandalo dei rimborsi elettorali, ossia danaro pubblico utilizzato per esigenze personali (nell’ambito del cosiddetto scandalo Belsito). Il denaro sarebbe stato utilizzato dagli appartenenti del cosiddetto “cerchio magico”, cioè esponenti del partito e familiari di Umberto Bossi, per spese personali di ogni tipo: rosticcerie, abbonamenti sky, bollette, affitto, veterinario, carrozziere, multe, auto di lusso, parcheggi, fiorista, hotel, serramenti, bonifiche ambientali, ricariche telefoniche, munizioni e armi e persino lauree in Albania, mentre circa 6 milioni di euro in Cipro e in Tanzania, l’acquisizione di lingotti d’oro e diamanti come investimento. Il 5 febbraio 2015 la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Genova ha chiesto di rinviare a giudizio Bossi e Belsito per truffa sui rimborsi elettorali ai danni dello Stato (40 milioni di euro). L’inchiesta, da Milano, era stata trasferita a Genova per competenza territoriale.” Loro, i leghisti, che dicevano di voler essere di esempio e modello per tutti gli altri, di voler rinnovare la politica italiana e portare una costume nuova all’insegna dell’onestà e dell’impegno politico irreprensibile, sono risultati, nel corso della loro storia, più ladri e disonesti degli altri. Dobbiamo allora, rassegnarci a credere che mai niente cambierà e che non ci possa mai essere nulla, in questa nostra Italia, di diverso di ciò che detta il vecchio adagio lametino secondo cui “Allu lustru da lumera sunu tutti ‘i ‘na manera?”. Se così dovesse essere, triste sarebbe l’avvenire del nostro Paese, dei suoi cittadini, disperato quello dei nostri figli.

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Marzo GIORNATA MONDIALE DELL’ACQUA

In ragione della sua importanza per la vita, l’acqua deve essere preservata come una risorsa fragile e come un bene comune.

È necessario tenere conto del carattere prioritario del suo utilizzo per le esigenze umane fondamentali. Geologo del Consiglio

Il 22 marzo di ogni anno, per sensibilizzare e promuovere iniziative per la difesa e un consumo consapevole, si celebra la Giornata mondiale dell’acqua (World Water Day). La ricorrenza, istituita dalle Nazioni Unite nel 1992, merita particolare attenzione nel Territorio lametino ricco di risorse idriche e specificità idrogeologiche che hanno condizionato sempre la qualità della vita delle popolazioni presenti. Ricorrenza utile per informare e educare i cittadini affinché diventino soggetti attivi nel processo di gestione delle risorse idriche e di tutela dell’ambiente; per assicurare il riconoscimento generale dell’acqua come elemento prezioso e vitale da rispettare attraverso un uso sostenibile; per promuovere la conoscenza dell’acqua come fattore essenziale per l’agricoltura e per una sana alimentazione. E tra le specificità che caratterizzano il lametino e da non trascurare per la ricorrenza del 22 marzo, due aspetti: 1) Il primo riguarda la grande disponibilità d’oro blu presente nel territorio. Abbondanza che ha sempre condizionato nel bene e nel male la vita e le condizioni socio-economiche delle popolazioni che da millenni hanno abitato lo stesso territorio lametino. Sulla rilevanza del prezioso patrimonio di oro blu disponibile va ricordato che all’interno degli oltre 160 chilometri quadrati di superficie del comune di Lamezia Terme sono state rilevate ben104 sorgenti con portata maggiore a sei litri al minuto. Nel settore occidentale, nel territorio dell’ex comune di Sambiase, sono state censite 68 sorgenti tra le quali le preziose sorgenti termali solfuree di Caronte. E, tra le 36 sorgenti censite, nell’ex comune di Nicastro nei primi decenni nel secolo scorso, ci sono alcune con portate di centinaia di litri al secondo. Si tratta delle 4 sorgenti denominate Candiano, Sabuco, Cappellano e Risi, che complessivamente riescono a fornire ogni anno circa 20 miliardi di litri d’acqua in ottime condizioni di mineralizzazione. Sulla rilevanza di questo dato, è da considerare che per fornire ad ogni abitante di Lamezia 270 litri d’acqua al giorno necessitano circa 7 miliardi di litri all’anno. Una quantità che, secondo i più recenti dati Istat, corrisponde al consumo medio di 115.000 abitanti nel resto d’Italia, dove il consumo medio di acqua potabile, nel 2011, è stato pari a 175,4 litri per abitante al giorno. In pratica, con un consumo di 175,4 litri al giorno pari a quello medio nazionale, la quantità d’acqua disponibile dalle 4 sorgenti può soddisfare il fabbisogno di 313 mila persone, poco meno dell’intera popolazione della Provincia di Catanzaro, oggi di 363.979 abitanti.

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L’assenza di memoria storica Nazionale Associazione ed il mancato riferimento alla Amici della Terra specificità del Territorio da parte dei responsabili del governo e gestione delle dello stesso territorio hanno fino ad oggi impedito la piena e razionale valorizzazione delle risorse naturali e nel contempo ritardato la realizzazione d’interventi idonei garantire la disponibilità d’acqua a tutti i cittadini e la sicurezza delle popolazioni dei vari quartieri dalle cosiddette “calamità naturali” cui è esposto il territorio. 2) L’altro aspetto riguarda i rischi d’inquinamento e di depauperamento delle stesse risorse idriche. La mancata raccolta e l’irrazionale utilizzazione delle acque dei tredici corsi d’acqua e delle preziose sorgenti disponibili, oltre a limitare lo sviluppo e a creare disagi nelle popolazioni, accentuano i ben noti processi di degrado e dissesto idrogeologico del territorio collinare e montano. Nelle zone di pianura costiera l’irrazionale emungimento delle falde operato attraverso migliaia di trivellazioni, non essendo compatibile con i tempi di ricarica sta riducendo le stesse falde idriche con conseguente ed irreversibile avanzamento delle acque salmastre ed il costipamento delle rocce serbatoio, con il ben noto abbassamento del suolo al quale sono connessi i fenomeni di deperimento della copertura vegetale e l’arretramento dei litorali con l’invasione del mare. Tra le specificità del territorio di Lamezia Terme, riguardo il suo assetto idrogeologico, va anche considerato che il territorio di Lamezia Terme è attraversato da tredici corsi d’acqua e che gran parte delle aree collinari e montane prossime ai nuclei urbani di Nicastro, Sambiase, Bella, Zangarona, Fronti, Gabella e Acquafredda dello stesso comune sono interessate da numerose e estese aree in frana. Sulla localizzazione delle stesse aree basta osservare la Tavola 2 del “Rischio idraulico e stabilità dei versanti” del 2010 del Quadro Conoscitivo del Piano Strutturale comunale. Otre ai vari fenomeni franosi, nel Piano di Assetto Idrogeologico della Calabria, sono delimitate anche le zone a rischio. In particolare sono circa 12.000 metri quadrati le sole aree a rischio elevato R3 e molto elevato R4 nelle quali esiste la possibilità di perdite di vite umane. L’estesa rete idrografica, costituita dai corsi d’acqua: Spilinga, Bagni, Zuppello, Fella, Cantagalli; Piazza, Canne, Zangarona, S. Ippolito, Pesipe, Cottola, La Grazia e Turrina che da nord a sud attraversano il territorio, può e deve costituire una risorsa come nei periodi di buon governo del territorio e delle sue risorse naturali. La celebrazione della Giornata mondiale dell’acqua è anche l’occasione per riproporre l’attenzione sugli interventi necessari per prevenire e mitigare i danni connessi ai cambiamenti del clima in atto. E sul che fare per gestire possibili fenomeni di siccità e desertificazione, riduzione delle risorse idriche, ondate di calore, precipitazioni brevi e intense dette “bombe d’acqua”, ecc..

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Di seguito si riportano i due dati che aprono e chiudono la pagina web di presentazione della direttiva quadro sulle acque dell’UE.

Dato n. 1 – In Europa l’acqua è sotto pressione Tutti hanno bisogno di acqua, non soltanto per bere. Utilizziamo l’acqua per generare e sostenere la crescita economica e la prosperità tramite attività quali l’agricoltura, la pesca commerciale, la produzione energetica, l’industria manifatturiera, i trasporti e il turismo. L’acqua è inoltre un elemento centrale degli ecosistemi naturali e della regolazione del clima. Tuttavia, la disponibilità delle risorse idriche è particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici. Gli scienziati temono un incremento del rischio sia di siccità sia di alluvioni nei prossimi decenni. La domanda complessiva di acqua è in aumento e mette sotto pressione le scorte disponibili. La qualità delle risorse idriche, al contempo, è minacciata dall’inquinamento, dall’estrazione eccessiva e dai cambiamenti idromorfologici dovuti alle attività industriali, all’agricoltura, allo sviluppo urbano, alle misure per la difesa dalle alluvioni, alla produzione di elettricità, alla navigazione, alle attività ricreative, allo scarico di acque reflue e ad altro ancora. Dato n. 7 – I cambiamenti climatici pongono sfide per il futuro Nei prossimi decenni il cambiamento climatico rappresenterà una sfida significativa per la gestione delle risorse idriche in tutta l’UE, in quanto comporterà: • Minori precipitazioni e un aumento delle temperature estive, so-

prattutto nelle zone meridionali e orientali, accentuando lo stress su risorse già scarse di per sé. Il piano per la salvaguardia delle risorse idriche europee propone una serie di misure di efficienza idrica, tra cui il calcolo del flusso ecologico (ovvero il volume di acqua di cui gli ecosistemi necessitano per prosperare), la realizzazione della contabilità delle risorse idriche per l’allocazione efficiente dell’acqua, il riutilizzo delle acque per l’irrigazione o per uso industriale, la misurazione e la tariffazione del consumo di acqua e criteri di progettazione ecocompatibile per i prodotti che comportano consumo di acqua. • Piogge più intense e un maggior rischio di alluvioni, soprattutto nelle zone settentrionali. La frequenza delle alluvioni è in continuo aumento, dall’Europa orientale al Regno Unito e all’Irlanda. Secondo le compagnie di assicurazione, la frequenza delle alluvioni in Germania e in Europa centrale è raddoppiata dal 1980. Nel periodo 1989-2008, le alluvioni sono state responsabili del 40% del totale dei danni economici in Europa. La direttiva sulle alluvioni del 2007 adotta un approccio proattivo, chiedendo agli Stati membri di elaborare piani di gestione del rischio di alluvioni entro il 2015, da coordinare con il prossimo ciclo di piani di gestione dei bacini idrografici (2016-2021). Il piano per la salvaguardia delle risorse idriche europee promuove le infrastrutture verdi, quali il ripristino delle pianure alluvionali, come metodo naturale al fine di ridurre il rischio di alluvioni.

Sapevate che...? Per produrre 1 kg di carne bovina sono necessari circa 16.000 litri di acqua, 140 litri servono invece per una tazza di caffè e 900 litri per 1 kg di granoturco. Ogni anno, circa 247.000 milioni di metri cubi di acqua sono estratti dalle riserve idriche superficiali e sotterranee dell’UE (torrenti, laghi e fiumi). Una quota cospicua dell’acqua estratta (il 44%) è destinata ai processi di raffreddamento nel settore della produzione di energia, e rifluisce per la maggior parte nei fiumi. Anche i processi connessi all’agricoltura e alla produzione alimentare esigono la loro parte, utilizzando il 24 % dell’acqua estratta, percentuale che in alcune regioni me-

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ridionali può salire fino all’80 %. Molte imprese agricole ad alta redditività operano servendosi di una porzione ridotta di terra irrigata. In Spagna, ad esempio, oltre il 60% del valore totale della produzione agricola nazionale ha origine dal 14 % dei terreni agricoli soggetti a irrigazione. Il 17 % dell’acqua estratta è destinato all’approvvigionamento pubblico (utenze domestiche, settore pubblico e piccole imprese) e il 15 % è utilizzato a fini industriali. Metà dell’acqua impiegata per usi produttivi è utilizzata nel settore chimico e nelle raffinerie di petrolio, mentre la maggior parte di quanto rimane va alle industrie metallurgiche, alimentari e della carta.

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Marzo è, per convenzione, il mese dedicato alle donne, per la festa dedicata. E non c’è cosa più bella che leggere un libro che parla di una donna. Un personaggio speciale: una donna speciale, per un autore speciale. Il rispetto che Andrea Camilleri ha, notoriamente, per il genere femminile, mi ha spinto a suggerire, ancora una volta, per marzo, un libro scritto da lui. Si tratta del suo ultimo lavoro, infatti. Un vero gioiello che vi terrà avvinti fino all’ultima pagina. NOLI ME TANGERE, parte come un giallo e si snoda, invece, come l’esaltazione di un percorso femminile fuori dagli schemi. Lo stesso Camilleri, alla fine dell’intera narrazione, dirà: “Questo breve romanzo non intende essere un racconto poliziesco sulla scomparsa di una giovane donna, ma il tentativo di disegnare, con mezzi semplici, un ritratto femminile complesso” (cfr. pag. 171) In ogni sua narrazione che si rispetti, Camilleri pone la donna al primo posto, con un rispetto reale verso i suoi personaggi. La donna è vista da una certa distanza, col giusto distacco che permette all’uomo di non diventarne possessore, né posseduto. La bellezza di Laura, la protagonista di questo romanzo, sta nel fatto di essere completamente diversa dalle eroine di molti romanzi. Laura va oltre la femminilità tradizionale. Apparentemente fredda e cinica, superficiale e senza scrupoli, nasconde una complessa profondità esistenziale. Una donna fuori dal comune, alla ricerca dell’assoluto: che attraversa altezze e bassezze umane, senza sporcarsi mai del tutto, fino a giungere a capire il senso della sua vita. Una donna che intende andare oltre l’amore tradizionale che il genere femminile esalta e preferisce (amore-figli-casa-lavoro), per mirare più in alto: a qualcosa che va oltre il narcisismo del sé e della propria affermazione o realizzazione, per puntare a qualcosa che addirittura trascewnda

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tutto questo. Il desiderio di Camilleri è, dunque, in questa narrazione, quello di dedicare il romanzo ad una sua amica brasiliana non comune “che fu attrice, poi cantante e infine suora, morendo uccisa dagli indigeni dell’Amazzonia, tra i quali svolgeva la sua missione” (cfr. pag. 171), ma anche quello di rappresentare una donna che vada oltre lo schema femminile che le donne, in genere, si prefissano o che viene loro consigliato dalla società. Perché, dimostrare che una donna sia tale anche se non si accontenta del trinomio amore-figli-lavoro, andando oltre è, per Camilleri, fondamentale ed estremamente moderno. Laura rinuncia a un figlio volontariamente, non trincerandosi dietro la maternità: non si ferma, come molte, ma continua a cercare oltre, quello che sarà il fulcro della sua vita e il reale significato della sua esistenza, perché avverte che tutto ciò che basta a molte donne, a lei non basta. Laura è, per Camilleri, in questa sua ultima opera, il simbolo del coraggio femminile. Ancora una volta e ancora in maniera insolita, egli traccia, lentamente, come un pittore, il volto di una donna che non si accontenta, che lotta, a modo suo, per sconfiggere i fantasmi che vorrebbero rinchiuderla nel cerchio magico prestabilito e cerca, invece, la sua verità più profonda. Non ci si affeziona subito a Laura: la si scopre, di volta in volta, attraverso le pagine del libro e attraverso la descrizione dei personaggi, maschili e femminili chje la circondano. Ma i personaggi maschili, in particolare, rappresentano, in fondo, tutti i modi maschili per guardare una donna. Singolare è l’intuizione. Il Commissario Maurizi, il più estraneo alla donna è il più intuitivo: Camilleri vuole dimostrare con questo, e non con la confidenza che una donna possa riporre in un uomo amato, che la comprensione verso una donna non dipende dal tempo trascorso con lei, ma dalla cura a lei rivolta. Un po’ come per il piccolo principe e la sua rosa... Buona lettura e... buona Festa della Donna.

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La donna

e la sua emancipazione in Italia Ogni tanto, è bene rispolverare il passato per non dimenticare e per meditare su quanto sia stato difficile raggiungere, per le donne l’eguaglianza giuridica e la parità dei diritti di cui godono gli uomini. Oggi le donne possono accedere a tutte le professioni e a tutti gli uffici,ma non è stato sempre così. In passato la donna dipendeva totalmente dal capofamiglia,non aveva nessun diritto di tutela sui suoi figli e non potevano, se sposate, neppure gestire i soldi guadagnati con il proprio lavoro. Ricordo, che fino agli anni cinquanta,alcuni mariti, andavano a ritirare personalmente lo stipendio della moglie insegnante, senza lasciar nulla alla donna con la scusa che i soldi servivano per la famiglia e se lei aveva bisogno di un paio di calze doveva rivolgersi al consorte. IN più, in caso di adulterio la donna veniva punita con una pena detentiva da tre mesi a due anni, mentre ill marito veniva punito solo in caso di concubinato. Neanche nel periodo del Risorgimento le cose andavano meglio: per il Gioberti, la donna, in un certo modo era come una pianta parassita. Per Rosmini, competeva al marito essere capo e signore,mentre la donna non doveva essere altro che un compimento del marito, tutta consacrata a lui e dal suo nome dominata. Secondo Filangieri alla donna spettava l’amministrazione della famiglia,mentre le funzioni civili spettavano all’uomo.Queste teorie,rimasero fino al 1975 quando venne riformato il diritto di famiglia che garantiva la parità legale fra i coniugi e la possibilità della comunione dei beni. Che dire poi sul fronte dell’ istruzione della donna? Solo nel 1874 venne permesso l’accesso delle donne ai licei e alle università e per la verità in alcune università venivano respinte le iscrizioni femminili. Ma l’emancipazione delle donne non si ferma e nel 1900 risultano iscritte all’università 250 donne, ai licei 287 ,267 alle scuole di magistero superiore,1187 ai ginnasi e quasi 10.000 alle scuole professionali e commerciali. Quattordici anni dopo le iscrizioni agli istituti di istruzione media saranno circa 100.000

Mensile di informazioni varie - anno 24°-n. 19 - MARZO 2016 Iscrizione al Tribunale di Lamezia Terme n. 609/09 Rug. - 4/09 Reg. Stampa Direttore Responsabile: Antonio Perri Edito da: Grafichè Perri Lamezia Terme - Via del Progresso, 200 Tel. 0968.21844 - e.mail. perri16@gmail.com Stampa: Michele Domenicano Allestimento: Peppino Serratore Redazione: Nella Fragale - Perri Antonio Progetto grafico&impaginazione: Grafiché Perri-0968.21844

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Nel 1906 fu la nostra pedagogista MARIA MONTESSORI ad appellarsi alle donne perchè si iscrivessero alle liste elettorali, anche se poi parecchie Corti d’Appello le respinsero. Finalmente il 1 febbraio del 45 su proposta di Togliatti e di DE GASPERI VENNE CONCESSO IL VOTO ALLE DONNE E LA COSTITUZIONE GARANTIVA L’EGUAGLIANZA FRA I DUE SESSI. Nel 1958 viene approvata la legge Merlin contro lo sfruttamento della donna, nel 1959 nasce il corpo di Polizia Femminile. Nel 1961 sono aperte alle donne la carriera nel corpo diplomatico e in magistratura. La donna così entra nel centro della storia, il lavoro viene visto non solo come fonte di guadagno ,ma come dimensione di vita. L’emancipazione è raggiunta, ma la felicità? Sembra che la stessa emancipazione non sia stata raggiunta da nostri parteners,mi perdonino alcune persone perbene altrimenti come si spiega ad oggi, questa violenza tremenda sulle donne? Le donne non sono cose da possedere, la gelosia genera un senso di frustazione e di sconfitta profonda che fa capire all’uomo, che non è possibile possedere interamente l’essere amato, non tanto per le probabili infedeltà, ma perchè il tempo passato prima di conoscersi, ha già contribuito a formare in un determinato modo quella creatura e nessuno potrà cambiarla per cui l’unica cosa per andare d’accordo è il rispetto e la comprensione reciproca NESSUNO, PER FORTUNA, PUO’ PENETRARE L’ANIMA DELL’ALTRO. E’ TANTO BELLO VOLARE PER CIELI INFINITI

Le iscrizioni, per i privati sono gratuite; così come sono gratuite le pubblicazioni di novelle, lettere, poesie, foto e quanto altro ci verrà inviato. Lamezia e non solo presso: Grafiché Perri - Via del Progresso, 200 - 88046 Lamezia Terme (Cz) oppure telefonare al numero 0968/21844. Per qualsiasi richiesta di pubblicazione, anche per telefono, è obbligatorio fornire i propri dati alla redazione, e verranno pubblicati a discrezione del richiedente il servizio. Le novelle o le poesie vanno presentate in cartelle dattiloscritte, non eccessivamente lunghe. Gli operatori commerciali o coloro che desiderano la pubblicità sulle pagine di questo giornale possono telefonare allo 0968.21844 per informazioni dettagliate. La direzione si riserva, a proprio insindacabile giudizio, il diritto di rifiutare di pubblicare le inserzioni o di modificarle, senza alterarne il messaggio, qualora dovessero ritenerle lesive per la società. La direzione si dichiara non responsabile delle conseguenze derivanti dalle inserzioni pubblicate e dichiara invece responsabili gli inserzionisti stessi che dovranno rifondere i danni eventualmente causati per violazione di diritti, dichiarazioni malevoli o altro. Il materiale inviato non verrà restituito.

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