Lameziaenonsolo maggio 2019 Caterina Bartolotta

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MAGGIO DEI LIBRI 2019 GRAFICHÉDITORE PRESENTA:

Scrittori in cerca di lettori 2019 Conversazioni con gli autori tra note musicali e tè Voce Recitante Giancarlo Davoli Coordina Nella Fragale Agli incontri saranno presenti gli Autori

GIORNO 22 MAGGIO ore 18/19 Gianni Renda,

il volto splendente di un giovane del Sud di Filipppo D'Andrea Joachim Murat, la vera storia della morte violenta del re di Napoli di Vincenzo Villella

Rêverie,

tratto da una storia falsa, di Luca Francesco Giacobbe

GIORNO 25 MAGGIO ore 18/19 3D Therapy

La materializzazione dell’emozione di Mariannina Amato

Dal “Codice di impulsi informativi” di Aristotele all’Editing del Genoma di Luigino Mazzei

Respirare: La tracheotomia,

Scelta e sfida per una vita indipendente di Antonio Saffioti e Salvatore D’Elia

Cujjianti cari

Il Tango

di Ciccio Scalise

ed i suoi labirinti di Antonio Cittadino

Giorno 22 ore ore 19,15/20,15

Giorno 25 Maggio ore 19,15/20,15

Sulle ali del tempo

La foglia Camilla di Anna Veraldi

di Sara Matera

E vissi aspettando il sole di Maria Russo

Sussurri del Reventino

di Maria Grazia Paola

Il racconto di una lunga vita associativa

Angeli di carta

di Anna Maria Casalino

Fratelli?

No, Feroci Conquistatori di Francesco Anonio Cefalì

conquistata sul campo di Ippolita Lo Russo Torchia

CHIOSTRO DI SAN DOMENICO - LAMEZIA TERME

A passo di capre di Filippo D’Andrea


LAMEZIAENONSOLO

incontra

CATERINA BARTOLOTTA di Fernando Conidi

Caterina Bartolotta, mistica calabrese, è una donna semplice, umile, scevra di personalismi, che ama vivere nel nascondimento e nella preghiera. Il 12 luglio 1973, a quasi dieci anni d’età, ha avuto la prima apparizione della Madonna, che le è apparsa per concederle la grazia della guarigione da una grave forma di epilessia, che era risultata resistente a qualsiasi cura, nonostante i ricoveri ospedalieri. Dopo poco tempo, in un’altra apparizione, la Madonna le affidò una missione per la salvezza delle anime. Da allora sono passati quasi quarantasei anni, durante i quali si sono verificati molti episodi straordinari, tra cui guarigioni fisiche e spirituali. Caterina è una delle più giovani stigmatizzate della storia; ha avuto la prima stimmata ad appena dieci anni. Il fenomeno, da allora, si ripete ogni anno, in genere durante la Quaresima e con particolare evidenza nella Settimana Santa. La vita di Caterina è carica di sofferenze fisiche e morali, che offre al Signore come dimostrazione del suo amore e della sua fedeltà. Lei ha fondato il gruppo di preghiera “Maria Santissima della Purificazione”, dall’epiteto con cui la Madonna le si è presentata nella prima apparizione. Il gruppo di preghiera, già da qualche anno, viene guidato dal direttore spirituale di Caterina, mons. Giuseppe Silvestre, un sacerdote dotato di una grande umiltà e di una notevole preparazione teologica, che su incarico dell’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, S. E. Mons. Vincenzo Bertolone, ricopre questo delicato e importante ruolo. Con questa prima intervista ci addentriamo, in modo diretto, nella storia straordinaria di Caterina Bartolotta, cercando di scoprire l’umanità e la spiritualità di una delle più grandi mistiche cattoliche dei nostri tempi. L’INTERVISTA Buongiorno Caterina, la ringrazio per aver accettato questa intervista. Buongiorno, sono io che devo ringraziare lei, perché l’intervista mi dà la possibilità di poter divulgare il messaggio di conversione e di fede che la Madonna mi chiede di diffondere. Io non amo farmi intervistare, infatti, questa è una delle poche interviste che ho deciso di rilasciare; sono di poche parole, preferirei rimanere nella semplicità e nel silenzio, ma il messaggio della Madonna deve essere conosciuto. Bene, allora iniziamo subito con la prima domanda. Caterina, lei è una mistica conosciuta sin dagli anni Settanta, quando le è apparsa per la prima volta la Madonna; può raccontarci come è iniziata la sua storia? Sì, certamente! Nel 1973, all’età di nove anni e mezzo circa, mi sono ammalata di epilessia. Le crisi si scatenavano improvvisamente lasciandomi tramortita. I miei genitori mi ricoverarono prima all’Ospedale civile di Catanzaro e poi a Roma, al “San Camillo”, ma la malattia non

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Caterina Bartolotta durante un momento di preghiera

regrediva, nessuna cura mi faceva effetto. Poi, rientrata da Roma, sembrava che tutto si fosse calmato, fino a quando la mattina del 12 luglio ho avuto tre crisi convulsive, una dietro l’altra, e dopo l’ultima crisi, guardando la parete vicina al letto, nella stanza dei miei genitori, dove mi trovavo, ho iniziato a vedere la figura di una

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bellissima ragazza dell’età di circa sedici/diciassette anni, avvolta nella luce, splendente; aveva una corona con dodici stelle, gli occhi grandi e azzurri, i capelli lunghi e fluenti sul petto, le braccia aperte e sulla mano sinistra portava un rosario, aveva un manto azzurro a stelle gialle, una veste bianca con delle rose dorate, i piedi erano nudi e poggiavano su un intreccio di trentuno rose rosse, su ogni piede aveva poggiata una rosa gialla, quattro angioletti Le stavano accanto reggendole la veste. Poi mi ha parlato, dicendomi che mi avrebbe concesso la grazia della guarigione e che il 2 agosto avrei avuto l’ultima crisi convulsiva della mia vita e poi non ne avrei avute più. Quel giorno avvenne proprio come aveva predetto la Madonna; da allora non ho più avuto nessuna crisi epilettica. Quindi, la Madonna le è apparsa per guarirla da quella malattia? Sì, ma la cosa più importante che mi ha concesso non è stata questa. Lei in una delle apparizioni successive mi disse che, così com’ero stata aiutata, anch’io dovevo aiutare gli altri. Con queste parole mi ha dato una missione da compiere, che dura da allora;

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il prossimo 12 luglio saranno quarantasei anni di apparizioni. È questa la cosa più importante che la Madonna mi ha concesso!

vezza. Meglio essere guariti nell’anima che nel corpo, perché su questa terra il nostro tempo è breve, mentre davanti a noi abbiamo l’eternità e questa si vive con l’anima, non con il corpo. La Madonna desidera questo da me, che io aiuti gli altri a convertirsi, a salvare la propria anima. L’aiuto che la Madonna le chiede di dare agli altri è soprattutto spirituale? Sì, morale e soprattutto spirituale! Perché l’anima ha un valore inestimabile ed è eterna, il corpo invece ha la sua durata terrena. Gesù e la Madonna mettono la salvezza dell’anima al primo posto, ma, ovviamente, ci aiutano in tutto ciò che viviamo; non sono mai lontani da noi! L’importante è che ognuno di noi dia priorità alla salvezza dell’anima e dopo alle altre cose del mondo. Infatti, Gesù nel Vangelo dice di cercare prima il Regno dei cieli, perché il resto ci sarà dato in aggiunta.

Immagine pittorica della Madonna della Purificazione, così come si presenta a Caterina, realizzata da Giuseppe Grembiale di Tiriolo (CZ) nel 1974

La Madonna l’ha guarita e le ha chiesto di aiutare gli altri, ma in quale modo? Voglio chiarire bene questo che mi sta chiedendo. Io sono stata guarita dalla Madonna; quelle convulsioni mi facevano soffrire molto. Attraverso quella guarigione anch’io ho capito il vero significato della grazia; ho compreso cosa significa quando un altro si prende cura di te veramente, desiderando che tu viva nella serenità, nella contentezza e smetta di soffrire. Per me è stata una gioia immensa esser guarita e anche io, dentro di me, desidero che la Madonna guarisca tutti coloro che soffrono. Questa è stata per me un’esperienza forte, che mi ha insegnato molto, anche se ero ancora una bambina, e ancora oggi da quell’esperienza imparo qualcosa. Con il passare del tempo, la Madonna mi ha fatto comprendere una cosa ancora più importante, che la grazia più grande non è quella della guarigione fisica, ma la guarigione dell’anima dalla schiavitù del peccato, perché così avviene la salpag. 4

Come svolge questa che lei ha definito una missione, l’aiuto verso gli altri, concretamente, come avviene? Innanzitutto attraverso le apparizioni della Madonna. Negli anni passati Lei mi appariva ogni giorno; centinaia di persone ogni mese venivano a trovarmi per assistere alle apparizioni. Io pregavo assieme a loro e ascoltavo le loro domande, che poi porgevo alla Madonna e lei rispondeva con consigli, guarigioni e segni, invitando tutti a vivere veramente nella fede in Gesù Cristo. Io faccio da tramite tra le persone e la Madonna. Questa è la prima parte della mia missione, ma ce n’è un’altra importante, che pochi conoscono veramente, perché la viviamo soprattutto io e la mia famiglia, ed è la mia sofferenza, attraverso la quale aiuto le anime a salvarsi. In che senso attraverso la sofferenza? La mia vita, da quando ero bambina, è una continua sofferenza, oltre che una continua gioia per i carismi e le grazie che il Signore e la Madonna mi hanno concesso. La Madonna mi ha guarita dalle convulsioni epilettiche, ma le malattie e la sofferenza moraGrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

le non mi hanno mai abbandonata. All’inizio delle apparizioni ho sofferto per l’incredulità della gente e per quella di mio padre, che credeva che le mie fossero allucinazioni. Poi, pian piano, col tempo, attraverso i segni della Madonna, la sua opposizione si è allentata. Mio padre era un uomo buono, dignitoso e onesto, ma per lui la fede era vivere nell’onestà e nella semplicità, nulla di più. Dopo quelle sofferenze morali ne sono arrivate altre e anche molte malattie. Nel 1991 sono stata operata per un carcinoma tiroideo, avevo solo ventotto anni e i miei figli erano ancora piccoli; da lì è stato un crescendo. Oggi mi trovo con una patologia cardiaca, per la quale devo effettuare un intervento al più presto, e ho delle malattie autoimmuni per le quali sembra non esistere alcuna cura. Tra le altre cose, mi è stata rilevata un’allergia ai farmaci molto grave, quindi, non solo ho le malattie, ma non posso neanche curarle come dovrei. Oltre a questo, si sono aggiunte situazioni molto difficili, come la condizione economica della mia famiglia, che è alquanto grave. In tutto questo, c’è da aggiungere che per curare le mie patologie sono costretta ad andare in Toscana, poiché da molti anni mi seguono i medici di alcune strutture toscane, e questo comporta molti sacrifici per me e la

Caterina osserva una delle prime stimmate, a forma di croce, formatasi sul palmo della mano destra - Anno 1973

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mia famiglia. Tutte queste sofferenze sono permesse dal Signore; Lui poteva guarirmi da tutto, ma io ho accettato di soffrire per gli altri e di offrire tutto secondo la sua volontà. La Madonna mi ha detto che per ogni viaggio che faccio per curarmi salvo cento anime; come potrei dire di no! Io ho offerto la mia vita a Gesù e alla Madonna da quando ero piccola, oggi ho quasi cinquantasei anni. Sono passati tanti anni dalla prima apparizione, ma la mia promessa alla Madonna resta sempre valida, finché un giorno mi chiamerà a sé e la mia sofferenza finirà, solo allora potrò essere veramente felice. Se il Signore le dovesse togliere o attenuare questa sua sofferenza, lei cosa penserebbe, cosa farebbe? Se Gesù mi dovesse togliere la sofferenza cosa potrei offrire d’importante a Lui? Che cosa potrei fare per le moltissime anime che si perdono ogni giorno? Se lui poi dovesse attenuarla, come sta dicendo lei, nello stesso tempo attenuerebbe la sua grazia verso di me, perché se mi viene valutato un merito è proprio quello del mio sacrificio, della sofferenza che offro a Gesù per la salvezza delle anime. Ciò che faccio per gli altri, nel pregare, nel riceverli e dare loro la risposta della Madonna, rispetto alla sofferenza che offro al Signore, è poco, troppo poco, anche se tutto ciò lo faccio da quando ero bambina. È vero che ho molte sofferenze fisiche e morali; le malattie sono molte e le umiliazioni e le mortificazioni non mancano mai, ma il Signore mi ricolma di beni spirituali e anche di gioia umana. E poi la mia sofferenza salva anche la mia anima. Non dobbiamo mai sentirci al di sopra degli altri, l’umiltà è alla base della fede. È vero, io vedo Gesù e la Madonna, ma sono una donna come tutte le altre, anch’io ho bisogno che Dio mi salvi. Ognuno di noi è chiamato a percorrere la strada della santità; siamo tutti umani e peccatori. Comunque, non posso dire che vivo solo nella sofferenza, ci mancherebbe. Ho molti problemi, ma ho una famiglia, un marito e dei figli, che mi

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E comunque questa vita non dura per sempre, un giorno lascerò questa terra e i miei problemi cesseranno; spero che quando arriverà quel giorno Dio possa concedermi di continuare a vedere la Madonna per sempre; questo è quello che auguro a tutti.

Don Giovanni Capellupo, direttore spirituale di Caterina, la segue durante un’apparizione della Madonna - Settingiano (CZ), 1974

vogliono bene e mi sostengono nella missione, e tanti amici, e poi so perfettamente che Gesù e la Madonna non mi hanno mai abbandonata e mai lo faranno; questo mi dà la serenità di andare avanti, perché Gesù dona le prove, ma concede anche la forza di superarle. Se mi ha dato una grande sofferenza vuol dire che, con il suo aiuto, posso sostenerla.

Caterina, il concetto della sofferenza come strumento di salvezza per sé e per gli altri non è facilmente accettabile e comprensibile. Molti si domandano come mai un Dio buono usi la sofferenza per redimere e salvare. Lei, che ha un’esperienza diretta, cosa pensa di questo? Molte persone mi fanno questa domanda. Non è facile comprendere veramente il significato della sofferenza, perché siamo umani, con le nostre debolezze e con le nostre paure. Io stessa, quando la sofferenza si fa più pesante e ai problemi di salute si aggiungono anche quelli economici, e mi mancano i mezzi per curarmi, in quei momenti mi sento demoralizzata. Poi, pregando, chiedo aiuto al Signore e alla Madonna, affinché mi sostengano, e così riesco ad affrontare meglio le situazioni di difficoltà.

Caterina con i segni delle emografie, durante la Settimana Santa dell’anno 1978

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Caterina Bartolotta con i segni delle emografie, durante la Settimana Santa dell’anno 2009

Dobbiamo capire che c’è sempre una ragione per cui le cose che ci fanno soffrire vengono permesse da Dio. Nella mia esperienza ho imparato che il Signore non abbandona mai! Noi, nella nostra debolezza, ci sentiamo abbandonati, ma Gesù non lascia mai soli. Ricordo che una volta, quando i miei figli erano piccoli, mio marito aveva perso il lavoro, abbiamo passato un periodo difficile; vivevamo in ristrettezza economica e ci era venuto a mancare pure il pane. Un giorno, abbiamo sentito bussare alla porta ed era una signora che, avendo preparato il pane per lei, aveva pensato anche a noi. Lei non sapeva che non avevamo il pane da mangiare, ma lo sapevano Gesù e la Madonna. Quella è stata una provvidenza del Signore. Alcuni pensano che, siccome vedo la Madonna, ciò significa che lei dovrà provvedere a tutte le mie necessità materiali, oltre che a quelle spirituali. Devo dire che questo è un modo di pensare sbagliato, perché il Signore non ci fa mai mancare solo quanto ci serve per vivere. La sofferenza fa parte della vita, le battaglie sono nostre; ogni giorno dobbiamo imparare ad affrontare la vita e vivere nella fede. Gesù stesso è nato in una

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mangiatoia. Dormiva all’aperto con gli apostoli e viveva tutte le difficoltà del suo tempo. Eppure è il Figlio di Dio e Dio stesso. Chi non capisce questo e non riflette, come potrebbe capire le mie sofferenze e il motivo per cui il Signore le permette? Per rispondere direttamente alla sua domanda, le dico che la sofferenza avvicina a Dio. L’uomo non si converte quando è nell’abbondanza, ma soprattutto quando si trova nella sofferenza e capisce che non ha alcun potere senza il Signore. L’arroganza di questo mondo è troppa. L’uomo è amante del denaro e non pensa che a divertirsi e ad accumulare beni materiali, senza pensare che il tempo su questa terra è breve e noi non conosciamo mai il tempo che ci resta; se ognuno riflettesse meglio su tutto questo, avrebbe un motivo in più per cercare Dio e convertirsi.

Particolare dei polsi con le emografie

di misericordia; ha detto di amare i propri nemici, eppure c’è qualcuno che vorrebbe far ricadere la colpa e la responsabilità dell’uomo e dei suoi disastri su Dio. Egli ha creato una natura benigna e noi la stiamo distruggendo. I popoli combattono contro gli altri popoli per accaparrarsi il potere del mondo; ma sulla terra nessun uomo mai è vissuto più del tempo che gli è stato concesso. L’uomo si è ribellato contro Dio. Continuamente si sentono cose che fanno inorridire, fatte dall’uomo, e poi si ha il coraggio di dire che Dio non è buono perché permette le malattie o altre sofferenze? È l’uomo stesso che cerca il potere e il denaro in tutto, anche nel curare i poveri del mondo. Senza il profitto l’uomo non fa nulla, perché non ha più carità nel cuore. L’uomo che accusa Dio, prima di farlo, se ha un po’ di coscienza, dovrebbe essere giudice di se stesso, ma preferisce accusare Dio per non accusare se stesso. Se Dio permette la sofferenza è perché l’uomo non si vuole convertire. Senza sofferenza non c’è conversione, di conseguenza neanche la salvezza eterna. L’uomo è sordo ai richiami della Madonna, perché non conosce e non vuole conoscere l’amore di Dio, e vuole essere libero da ogni legge; è l’impulso che viene dal male che spinge l’uomo a ribellarsi alla legge divina, e più si allontana da Dio più diviene sordo a ogni richiamo celeste, ma se continua così e non si converte farà la fine del maligno, a cui molti, purtroppo, danno già ascolto.

L’uomo vive il male di questo mondo, dando in una qualche maniera la responsabilità a Dio. La Madonna è apparsa in passato e continua ad apparire ancora per indicare un cammino di salvezza, ma l’uomo sembra essere sordo a questi richiami. Qual è la sua opinione al riguardo? La Madonna appare per salvare tutti, questo è il suo desiderio, ed è presente sulla terra per volontà di Gesù, ovviamente. Sappiamo tutti che non è Dio a volere il male; le guerre è l’uomo a scatenarle. Gesù ha sempre parlato di amore, di perdono e

Caterina, molti si chiedono come mai Dio permette tutto senza intervenire direttamente per risolvere i problemi dell’umanità. Lei cosa ne pensa? Io penso che Dio nella storia è sempre intervenuto, basti pensare a ciò che è scritto nella Bibbia. La nascita di Gesù con la sua vita terrena, la passione, la morte e la resurrezione non sono frutto di un intervento divino? Dio ha sacrificato il suo Unigenito Figlio per salvare l’umanità dal peccato. Con Gesù ci è stata data l’unica e grande possibilità di salvezza, se l’uomo dovesse rifiutar-

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la sarà artefice del proprio destino, e possiamo immaginare quale sarebbe. Non bisogna mai perdere la speranza e la fiducia in Gesù e nella Madonna. E non bisogna dimenticare che Lui ha detto che ritornerà alla fine dei tempi. Io stessa ho ricevuto un messaggio sulla sua venuta già negli anni Settanta. Nel mondo ci sono molti veggenti come me e tutti sappiamo che la venuta del Signore si avvicina sempre di più! È sbagliato pensare che Dio vede, ma non fa nulla; nell’ora che ha deciso il Padre Eterno ci sarà la giustizia di Dio sul male e finalmente saremo liberi dalla schiavitù del peccato, tutto questo grazie a Gesù.

Caterina, assieme ai componenti del suo gruppo di preghiera “Maria Santissima della Purificazione”, al “Parco della Biodiversità mediterranea” di Catanzaro - anno 2008

per tutta l’umanità. Credo che non ci sia bisogno di spiegare il perché di questa richiesta. Inoltre la Madonna mi appare da quasi quarantasei anni. Bisognerebbe chiedersi perché è così presente sulla terra; ciò vuol dire che l’umanità sta rischiando di perdersi, e il Signore e la Madonna desiderano che si salvino tutti. Ecco perché la Madre di Dio appare da tanti anni a molti veggenti, inclusi quelli di Medjugorje.

Caterina, durante l’apparizione della Madonna, presso la sede del gruppo di preghiera a Santa Maria di Catanzaro

Secondo lei, visto ciò che sta succedendo nel mondo con la persecuzione dei cristiani, l’incendio delle chiese, c’è un accanimento verso la religione cristiana più che verso le altre? Credo proprio di si! La cosa è evidente. La Chiesa è come se fosse sotto assedio e, ovviamente, non parlo solo del Vaticano, ma della Chiesa mondiale. Ma non bisogna dimenticare che Gesù ha detto che le porte dell’inferno non prevarranno mai sulla sua Chiesa. La Madonna mi chiede preghiere per la Chiesa e per i sacerdoti, per il Santo Padre e

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Caterina completiamo questa intervista con un’ultima domanda. Cosa vuole dire agli altri, qual è il messaggio importante che lei, da mistica, vorrebbe comunicare a tutti? Di avere fede, di credere in Gesù Cristo, perché Egli è il vero Dio e non ci abbandonerà mai! Di non spaventarsi per ciò che succede nel mondo, perché il Signore tornerà sulla terra e il male sarà sconfitto una volta per tutte. Poi vorrei dire a tutti di seguire la Chiesa e di pregare per il Papa, per i sacerdoti e per tutta l’umanità; questo è ciò che chiede continuamente la Madonna, perché nella preghiera s’incontra veramente il Signore e la vera preghiera è un colloquio con Dio, ed Egli ascolta sempre i suoi figli. Poi di non perdere mai la fede e la speranza davanti a nulla, perché Dio è nostro Padre e il suo amore per noi e la sua misericordia sono infiniti; anche il più grande peccatore, se si pente, viene perdonato da Gesù e si salva. Inoltre, voglio dire che io ho sempre seguito le

direttive della Chiesa e per questo, qualche anno fa, ho chiesto all’arcivescovo di Catanzaro, S.E. Mons. Vincenzo Bertolone, che mi concedesse un direttore spirituale per me e il mio gruppo. Egli ha acconsentito, e già da qualche anno abbiamo con noi don Giuseppe Silvestre, un sacerdote verso cui ho una stima e una fiducia infinite. Gli incontri di preghiera, assieme a don Giuseppe Silvestre e a don Franco Cittadino, sono ogni lunedì, chiunque volesse venire a pregare è il benvenuto! Caterina, la ringrazio nuovamente per il tempo che mi ha dedicato. Spero che in seguito ci siano altre possibilità di poterla intervistare. Credo che sia importante che le persone sappiano che il Signore e la Madonna si manifestano veramente. Viviamo in un mondo in cui Dio viene dimenticato. Io vedo Gesù e la Madonna e vorrei che tutti sapessero quanto ci amano e quanto ci sono vicini e che non ci abbandoneranno mai. La potenza ce l’ha Dio, e non il male che presto sarà sconfitto. In seguito le potrò rilasciare qualche altra intervista, perché ho visto che le sue domande hanno il fine di far conoscere il messaggio della Madonna. Grazie! Allora, alla prossima intervista.

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amici della terra

PETRARCA TESTIMONE DEL DISASTROSO TSUNAMI DEL 1343 ORIGINATO DALLO STROMBOLI E I RISCHI DA CONSIDERARE di Mario Pileggi La fascia costiera del Tirreno meridionale posta a poche decine di chilometri da Isole vulcaniche come lo Stromboli, oltre a godere dei vari vantaggi legati all’abbondanza di acqua, suoli fertilissimi e clima favorevole allo sviluppo della più ricca e varia biodiversità d’Europa, è soggetta ad eventi naturali sfavorevoli come sismicità e tsunami ben documentati nei terreni e nei documenti storici di ogni epoca. Le grandi frane nelle isole vulcaniche rappresentano uno dei fenomeni geologici più pericolosi perché possono generare tsunami i cui effetti possono interessare anche aree lontane dalla sorgente. La rilevanza e le conseguenze di alcuni tsunami innescati nel Medioevo da grandi frane sulle pendici dello Stromboli emergono da un recente studio: “Geoarchaeological Evidence of Middle-Age Tsunamis at Stromboli and Consequences for the Tsunami Hazard in the Southern Tyrrhenian Sea” condotto in collaborazione con Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Università di Modena-Reggio Emilia e Urbino, Istituto di studi del Mediterraneo antico del Consiglio Nazionale delle Ricerche, City University of New York, American Numismatic Society, Associazione Preistoria Attuale, pubblicato su “Scientific Reports” nel Gennaio scorso.

Si tratta di una indagine archeologico-vulcanologica sugli eventi che si sono verificati sull’isola nel tardo Medioevo. Lo studio evidenzia la presenza di un significativo insediamento umano sull’isola nei primi anni del 1300 e che questa comunità abbandonò improvvisamente l’isola, dopo la prima metà del XIV secolo, a causa di eventi catastrofici legati all’attività vulcanica e frane sui fianchi del cono vulcanico. Sulla base di prove archeologiche e datazioni di radiocarbonio, ipotizza che i documenti storici che descrivono enormi tempeste marine e devastazioni dei porti di Napoli e Amalfi, 200 km a nord dell’isola di Stromboli, possano essere potenzialmente attribuiti all’arrivo di onde di tsunami generate a Stromboli. In pratica, dallo stesso studio emerge che il rischio tsunami, oltre che dai grandi vulcani sottomarini come il Marsili, è connesso all’attività e dinamica geomorfologica anche di piccoli vulcani come lo Stromboli che si trova a circa 80 chilometri dal litorale lametino.

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Per farsi un’idea degli effetti e danni delle onde di tsunami generate dallo Stromboli, sui litorali e fino a 200 chilometri di distanza, è da considerare la devastante tempesta di mare e distruzione dei porti di Capri e Napoli del 25 novembre del 1343 testimoniata da Francesco Petrarca che in quel momento si trovava a Napoli, ospite dei Frati di San Lorenzo, come ambasciatore di Papa Clemente VI al Consiglio Reggenza del regno. L’impressionante ed eccezionale mareggiata che nella notte tra il 24 e il 25 novembre del 1343 provocò centinaia di morti nel porto di Napoli e la distruzione di molte imbarcazioni sia all’interno che all’esterno dello stesso porto è descritta nella lettera del 26.11.1343 inviata dal Petrarca al cardinale Giovanni Colonna. Oltre alla distruzione delle strutture portuali di Napoli e Capri, lo stesso evento generato dallo Stromboli ha avuto un grosso impatto su tutta la fascia costiera campana. Si tratta di eventi che si possono verificare anche in futuro e che richiedono di essere considerati adeguatamente sia nei Programmi di utilizzo e sviluppo delle stesse fasce costiere sia nei Piani di Protezione civile di tutti i comuni costieri. Di seguito il testo della testimonianza del Petrarca riportato nel sito: http://www.historiaregni.it/petrarca-ed-il-maremoto-di-napoli-del-1343/: <<Orazio volendo descrivere una gran tempesta disse, ch’era tempesta poetica, e mi pare che non poteva più brevemente esprimere la grandezza d’essa, perchè nè il Cielo irato nè il mare tempestoso può fare cosa che non l’agguagli, e vinca lo stile de’ Poeti, descrivendola; e già voi vedete s’è vero nella tempesta di Cesarea, descritta da Omero, ma non si può pingere con pennello, nè scrivere con parole quella, ch’io vidi jeri, la qual vince ogni stile, cosa unica ed inaudita in tutte l’età del mondo, ch’Omero con la tempesta di Grecia , Virgilio con quella di Sicilia, e Lucano si stia con quella d’Epiro, che s’io avrò mai tempo, questa di Napoli sarà materia de versi miei, benchè non si può dire di Napoli, ma universale per tutto il mare Tirreno e per l’Adriatico; a me pare chiamarla Napolitana, poichè contra mia voglia mi ha ritrovato in Napoli, però s’io per l’angustia del tempo, ” partirsi il messo, non posso scriverla a pieno, persuadetevi questo, che la più orribile cosa non fu vista mai (...) mi risvegliò un romore ed un terremoto, non solo aperse le finestre e spense il lume ch’io soglio tenere la notte, ma commosse dai fondamenti la camera, dove io stava: essendo dunque in cambio del sonno assalito dal timore della morte vicina, uscii nel Chiostro del Monastero, ov’io abito, e mentre tra le tenebre l’uno cercava l’altro, e non si potea vedere, se non per benefizio di qualche lampo, cominciammo a confortare l’un l’altro (...). Sarebbe troppo lunga Istoria, s’io volessi con-

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tare l’orrore di quella notte infernale; e benché la verità sia molto maggiore di quello che si potesse dire, io dubito che le parole mie pareranno vane: che gruppi d’acqua? che venti? che tuoni? che orribile bombire del Cielo? che orrendo terremoto ? che strepito spaventevole di mare? e che voci di tutto un sì gran popolo ? parea che per arte magica fosse raddoppiato lo spazio della notte, ma al fine pur venne l’aurora, la quale per l’oscurità del Cielo si conoscea più che per indizio di luce alcuna, e per congettura: allora i Sacerdoti si vestiro a celebrare la Messa, e noi che non avevamo ardire ancor d’alzare la faccia in Cielo, buttati in terra, perseveravamo nel pianto e nell’orazioni; ma poichè venne il dì, benchè fosse tanto oscuro che parea simile alla notte, cominciò a cessar il fremito delle genti dalle parti più alte della Città, e crescere un romore maggiore verso la marina, e già si sentivano cavalli per la strada, nè si potea sapere che cosa si fosse; al fine voltando la disperazione in audacia, montai a cavallo ancor io per vedere quel ch’era, o morire: Dio grande! quando ” mai udita tal cosa? i marinari decrepiti dicono, che mai fu nè udita nè vista: in mezzo del Porto si vedeano sparsi per lo mare infiniti poveri, che mentre si sforzavano d’arrivar in terra, la violenza del mare gli avea con tanta furia buttati nel Porto, che pareano tante ova che tutte si rompessero; era pieno tutto quello spazio di persone affogate, o che stavano per affogarsi, chi con la testa, chi con le braccia rotte, ed altri che lor uscivano le viscere, nè il grido degli uomini e delle donne, che abitano nelle case vicino al mare, era meno spaventoso del fremito del mare, si vedea, dov’il dì avante s’era andato passeggiando sulla polvere, diventato mare più pericoloso del Faro di Messina; mille Cavalieri Napolitani, anzi più di mille erano venuti a cavallo là , come per trovarsi all’esequie della Patria, ed io messo in frotta con essi, cominciai a stare di meglio animo, avendo da morire in compagnia loro, ma subito si levò un rumore grandissimo, che ‘l terreno che ne stava sotto ai piedi, cominciava ad inabissarsi, essendogli penetrato sotto il mare, noi fuggendo ne ritirammo più all’alto, e certo era cosa oltremodo orrenda ad occhio mortale, vedere il Cielo in quel

modo irato e il mare così fieramente implacabile; mille monti d’onde, non nere nè azzurre, come sogliono essere nell’altre tempesta di, ma bianchissime si vedeano venire dall’Isola di Capri a Napoli. La Regina giovane scalza, con infinito numero di donne appresso, andava visitando le Chiese dedicate alla Vergine madre di Dio. Nel Porto non fu nave che potesse resistere, e tre galee ch’erano venute di Cipri, ed aveano passate tanti mari, e voleano partire la mattina, si videro con grandissima pietà annegare, senza che si salvasse pur un uomo ; similmente l’altre navi grandi ch’aveano battute l’ancore al Porto, percotendosi fra loro si fracassaro, con morte di tutti i marinari; sol una di tutte, dov’erano quattrocento malfattori, per sentenza condannati alle galee, che si lavoravano per la guerra di Sicilia, si salvò, avendo sopportato fin al tardo l’impeto del mare, per lo grande sforzo de ladroni che v’erano dentro, i quali prolungaro tanto la morte, ch’avvicinandosi la notte contra la speranza loro e l’opinione di tutti, venne a serenarsi il cielo ed a placarsi l’ira del mare, a tempo che già erano stanchi, e così d’un tanto numero si salvaro i più cattivi, o che sia vero quel che dice Lucano, che la fortuna aita li ribaldi, o che così piacque a Dio, o che quelli siano più securi nei pericoli, che tengano più la vita a vile. Questa è l’istoria della giornata d’ieri, voglio ben pregarvi, che non mi comandiate mai più a commettere la vita mia al mare ed ai venti, perchè nè a noi nè al Papa, nè a mio padre se fosse vivo, potrò essere in questo ubbidiente, lasciamo l’aria agli uccelli, il mare ai pesci, ch’io come animale terrestre voglio andare per terra, e mandatemi pur in Mauritania, in Sarmazia ed in India, altramente io mi protesto che mi servirò della mia libertà, e se mi potrete dire, io ti farò avere una buona nave guidata da esperti marinari, e potrai ridurti avanti notte al Porto, o potrai andare terra terra, io dirò, che non ho letto nè udito da altri, ma ho veduto dentro al Porto perire navi gagliardissime con famosi marinari, e per questo la modestia vostra deve perdonare al timor mio, e sarà meglio se mi lascerà morire in terra, poichè son nato in terra, ch’io, che nel mar Mediterraneo ho corso più volte fortuna, non voglio che mi si possa dire quel proverbio, che a torto si lamenta del mare, ch’essendo stato una volta per annegarsi, si pone la seconda volta a navigare. State sano.>> Geologo Mario Pileggi del Consiglio Nazionale di “Amici della Terra”

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Rubrica di Antonio Saffioti totosaff@gmail.com

Il Crocifisso di Cutro di Antonio Saffioti INel santuario dei frati minori francescani di Cutro, è custodita una statua lignea raffigurante il “Cristo sulla Croce”, scolpita nel XVII secolo da frate Umile Pintorno da Petralia. La scultura è stata dichiarata “monumento nazionale” nel 1940 ed è stata restaurata nel 1999. È particolare la triplice espressione del volto a seconda delle angolazioni da cui lo si osserva: dal centro sorridente, da sinistra sofferente, da destra l’aspetto del Cristo morto. La statua lignea è l’unica ad avere la perla sospesa sulla punta del naso a mo’ di lacrima caduta dall’occhio sinistro. La tradizione popolare narra che nel 1854 vi fu una forte siccità, che colpì fortemente le colture di cereali. I contadini si rivolsero ai frati del santuario affinché, grazie alle loro preghiere, il Santissimo Crocifisso mandasse la pioggia tanto desiderata. Monsignor Antonio Piterà, decise di portare la statua in processione per le vie del paese, in segno di penitenza, e durante la processione, finalmente arrivò la pioggia che pose fine alla siccità, salvando il raccolto. Le abbondanti e improvvise precipitazioni costrinsero i Cutresi ad interrompere la processione e portare il Crocifisso al riparo nell’edificio più vicino, cioè la chiesa della Santissima Annunziata, ivi rimase fino alla fine delle piogge, cioè il 3 maggio, giorno in cui fu riportata nel santuario con sentita devozione e giubilo. In seguito, la festa del Santissimo Crocifisso è diventata la festa patronale del paese, celebrata ogni anno nella giornata del 3 maggio, preceduta da 9 giorni di preghiere, la cosiddetta “Nuvena” (tipica per le litanie in dialetto cutrese) in memoria delle penitenze che i cutresi e i frati francescani fecero per ricevere il così desiderato miracolo. Inoltre, in ringraziamento per la grazia ricevuta fu deciso di celebrare ogni sette anni una festa speciale che dura dal 30 aprile al 3 maggio. Nella sera del 30 vi è la cosiddetta “Calata”, durante la quale il Crocifisso viene traslato dall’altare e disteso, fissato alla portantina, per poi essere issato, richiamando simbolicamente la scena del martirio sul Golgota. Nei tre giorni seguenti vi sono le due processioni, nelle quali, oltre al crocifisso, vengono portate a spalla le statue di San Giuliano (ex patrono del paese), San Rocco (protettore dell’omonimo rione), San Giuseppe e la Beata Vergine assunta in cielo. La prima processione, cioè quella del 1º maggio, è di penitenza, accompagnata dal suono di marce funebri e va dal Santuraio del Crocifisso alla chiesa Madre (lungo le vie principali e storiche del paese) al termine della quale vi è l’ostensione del Crocifisso nella chiesa Madre che dura fino al 3 maggio. La seconda processione, cioè quella del 3, invece, seguendo il tragitto inverso, è caratterizzata da segni di giubilo per il dono divino. Una festa straordinaria si è svolta nel 2000, in occasione del Giubileo. L’ultima festa settennale ordinaria si è svolta invece nel 2016; la prossima si terrà nel 2023. La religiosità dei Cutresi si identifica fortemente in questa Cristo Crocifisso. E la maggior parte dei cutresi emigrati in altre terre ogni anno viene ad incontrare la Misericordia offerta dal suo miracoloso Crocifisso. Cutro un popolo che si raccoglie attorno al “suo” Crocifisso per dedicargli giorni di fede e amore. Infatti i Cutresi sono orgogliosi di possedere un’opera taumaturgica ed artistica nel contempo Autore dell’opera cutrese è Fra’ Umile (al secolo Giovanni Francesco) Pintorno nato a Petralia Soprana (PA) tra il 1600 e il 1601 e morto, 9 febbraio 1639, in odore di santità e lo stesso Ordine dei Frati Minori al quale apparteneva lo annovera tra i Beati. Personalità ascetica e penitenziale la sua opera si caratterizza per uno stile personale di grande drammaticità che enfatizza la sofferenza ed il dolore e che ebbero una pag. 10

grande fortuna nella Sicilia del XVII secolo. Il forte espressionismo del volto, l’enfasi dato alle ferite, ai lividi ed al sangue, richiamano opere nordiche,[4] ma sono perfettamente inserite nelle direttive culturali della Controriforma, nei temi iconografici prediletti dai francescani fin dal Medioevo, e nella cultura spagnoleggiante della Sicilia seicentesca. La sua biografia risulta piuttosto oscura, anche a causa di una tradizione ricca di aneddoti miracolistici tramandata da scrittori francescani, desiderosi di far apparire la sua opera come frutto di un dono divino. Realizzò le sue opere vagando per tutta la Sicilia, seguendo le numerose commissioni che gli arrivavano. Negli ultimi anni, forse malato, si fermò a Palermo nel convento di Sant’Antonio dove formò una scuola con numerosi discepoli. Frate Umile da Petralia è sepolto nella chiesa del convento di Sant’Antonio di Padova o Sant’Antonino di Palermo. Nella sua breve stagione terrena pare che il monaco-artista abbia scolpito 33 statue tra Crocifissi ed Ecce Homo, ma in realtà dai recenti studi è emerso che il numero delle opere potrebbe essere molto più consistente. Le sculture sono sparse in Sicilia, a La Valletta di Malta e in Calabria il Crocifisso di Cosenza bombardato durante il conflitto mondiale, l’Ecce Homo di Mesoraca, di Dipignano. Sempre in Calabria significativo, per gli aspetti storico-artistici, il Crocifisso di Bisignano (sul retro della croce reca incisa questa scritta:”1637 P.F. Gregorio a Bisin° Custod F.Humilis a Petralia refor. Sculp.”) che assieme a quello di Polla di Salerno (l’unico che reca data 2 novembre 1636 e firma dell’autore incisi sui glutei) ed il nostro di Cutro costituiscono il trittico della piena maturità artistica, vista l’assoluta somiglianza fra i tre. Sono quattro secoli che la chiesa cutrese dei Francescani riformati custodisce gelosamente la statua lignea e, per onorarne la presenza, nel 1772 venne consacrata al SS. Salvatore come si evince dalla lapide murata nel chiostro dell’annesso convento, grazie ai lavori di restauro che attorno al 1967 volle operare l’allora Superiore P. Modesto Calabretta. La cerimonia di consacrazione fu solennemente officiata da Mons. Domenico Morelli, vescovo di Strongoli (1748 - 1793), uno degli otto vescovi nativi di Cutro, professore anche di Giurisprudenza all’Università di Pisa e lo stesso che il 13 giugno 1756 consacrò anche l’artistica chiesa di San Giuseppe di Crotone. Da allora (1772), con le inevitabili trasformazioni dei tempi, ogni anno il 3 maggio, e con maggior solennità ogni sette anni, si rinnova il commovente atto di fede che richiama da tutto il mondo i figli di Cutro per stringersi attorno al “loro” Cristo di legno “scudo... usbergo...difesa” come lo ebbe a solennizzare l’altro illustre e dimenticato cutrese Mons. Antonio Piterà, vescovo di Bova e al quale si deve l’istituzione (1861) dei solenni festeggiamenti settennali. Quando l’arte rappresenta il sacro, la materia si sublima trasformandosi in qualcosa che trascende il, il marmo o il bronzo. Un’emozione pervade il visitatore, credente e non, che si lascia assalire dalla forza del bello e del divino. Il Cristo capace di spiegare a chi lo osserva come è possibile che un modesto artista di tre secoli orsono sia riuscito a realizzare, e non solo questa di Cutro, un’opera così alta e coinvolgente. Come entri in chiesa la grande scultura ti fa trattenere da subito il fiato perché domina la scena con la sua struggente bellezza. Il valore artistico è indiscusso. La sapienza costruttiva, l’armonia anatomica, il forte pathos che lo pervade ne fanno un capolavoro assoluto, oggetto di sconfinata ammirazione e di stimolo ad una lettura più profonda che libera suggestioni spirituali intense e stimolanti.

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inchiostri d’autore

“A passo di capre. Liriche per la contemplazione filosofica”

di Filippo D’Andrea (GrafichEditore, Lamezia Terme 2019). di Chiarina Macrina Non è semplice parlare di un libro, soprattutto se si tratta di una raccolta di poesie, si rischia di non comprendere appieno quanto l’autore ha voluto comunicare. Il problema non si pone quando a parlare è il libro stesso. A Passo di Capre. Liriche per la contemplazione filosofica di Filippo D’Andrea: uno stile lineare, una sintassi apparentemente semplice, frasi brevi, spesso nominali, sia pure arricchiti da preziosismi letterari lasciano chiaramente trasparire la storia di una vita. Con una accurata sapienza stilistica l’autore adotta una varietà di metri e strutture strofiche, un andamento parattattico che abolisce i nessi logici più comuni e traduce in musicalità la sua presenza sensibile nel mondo. È suggestivo partire dalla copertina, un tramonto che induce a riflettere, un foscoliano momento serale, una “fatal quiete” che spinge l’uomo ad intimi pensieri, un’infinita sera che timida si adagia sui calmanti dolori di questo perduto mondo. Il titolo, saggiamente scelto, “A Passo di Capre” esalta l’avanzare lento per poter essere consapevolmente e pienamente presente negli spazi vitali. Un’immagine che richiama alla memoria l’intimo dialogo di Umberto Saba che nel belato sofferente di una capra riconosce la sofferenza che affratella tutti gli esseri viventi, l’universale condizione di dolore ravvisabile altresì nel modello leopardiano (nello specifico, nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia). Ma il volume non è solo opera di un poeta, è il frutto dell’esperienza di un filosofo che ha saputo realizzare un sapiente

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bria che è capace di provare profondi sentimenti di amicizia, una Calabria piena di ricordi, scorci di vita paesana, relazioni gratuite in questo calabro incanto che hanno odore di Sud. E’ qui che il poeta cede il passo all’uomo, ad un’anima assetata d’infinito che se in un primo tempo riconduce alla visione leopardiana, tuttavia non rimane frutto dell’immaginazione e del desiderio, puro prodotto della mente umana, ma si innalza oltre la siepe per giungere a quell’Assoluto anelito dei filosofi romantici, a quel celeste Tutto che ha il sapore agostiniano.

equilibrio tra cognizione ed emozione. Il sottotitolo “Liriche per la contemplazione filosofica”, sottolinea la funzione svolta dalla contemplatio, dall’attenta osservazione dei significati più intimi dell’anima che solo la pratica filosofica può attuare. Non a caso l’autore pensa di riportare la prefazione alla sua traduzione italiana del saggio sulla Contemplazione filosofica del filosofo Ran Lahav. Le poesie sono suddivise in sezioni in base alla data di composizione e segnano il percorso della vita dell’autore: All’imbrunire, Passo dopo passo, Orme di pensiero, Tutto torna, A passo di capre. Ed è così che in questo viaggio nei luoghi nascosti del pensare troviamo la terra di Calabria con i suoi paesaggi e i suoi mille luoghi d’incontro, il mare e gli ermi monti, l’umile vigna e la campagna, una Cala-

Lo straordinario potere della lettura consiste nel regalare emozioni uniche, nel vivere con partecipazione altre vite, fino a sentirsi una cosa sola col personaggio. A tal proposito più di un secolo fa Giovanni Pascoli scriveva che «intenso il sentimento poetico è di chi trova la poesia in ciò che lo circonda, e in ciò che altri soglia spregiare». Un pensiero vecchio e superato, si penserà, dal momento che oggi pare sempre più complicato scorgere il bello, ma “se ci sforzassimo ad apprezzare le piccole cose, se accettassimo poeticamente i limiti del vivere quotidiano, forse la nostra esistenza sarebbe più appagante o, quantomeno, meno arida”. Filippo D’’Andrea, sulla scia degli insegnamenti del grande oratore latino Quintiliano, realizza un’opera in cui appare oltremodo un buon maestro capace di trasferire ai suoi discepoli/lettori al di là dei contenuti quel valore morale, il valore aggiunto, costruito con l’esperienza e l’esempio.

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Il nostro territorio DOPO LE ELEZIONI REGIONALI IN ABRUZZO, SARDEGNA E BASILICATA. LE PREVISIONI DELL’OCSE E LO SCATOLONE VUOTO DEL DEF PER IL 2020 di Giuseppe Sestito Dai risultati delle elezioni che in poco più di un mese si sono celebrate in tre regioni italiane, Abbruzzi, Sardegna e Basilicata, è chiaramente emerso che continua inarrestabile lo sbriciolamento del Movimento grillino. Nelle ultime regionali in Basilicata, i 5-Stelle hanno perduto oltre la metà dei voti ottenuti nelle consultazioni politiche del 4 marzo 2018, passando dal 44,0% al 20,0%. Nonostante ciò, Di Maio esulta e proclama “urbi et orbi” che “tutto la va bene madama la Marchesa”. <<Siamo il primo partito della Basilicata - si lascia andare, prorompendo in un urlo liberatorio di gioia, il vice-presidente del consiglio e restiamo inchiodati saldamente al governo.>> Aveva visto giusto Matteo Renzi a non fidarsi dei 5-Stelle ed ostacolarne l’eventuale alleanza con il Pd dopo le elezioni del 4 marzo 2018. Sono i pentastellati, questo è stato il ragionamento dell’ex presidente del consiglio, un Movimento inaffidabile, che si basa esclusivamente sulla propaganda, per lo più qualunquistica e demagogica; sono pressocchè privi di cultura e contenuti di governo. Durante gli anni della loro opposizione ai ministeri che si sono succeduti nel quinquennio scorso, “hanno avvelenato i pozzi intossicando la vita civile. Hanno diffuso l’odio e la menzogna, usando la diffamazione come mezzo di lotta politica”. Approdati, adesso, al governo, la ineludibile necessità di amministrare e risolvere i problemi del Paese li costringerà a fare i conti con la realtà per mantenere le promesse fatte in tutti gli anni di opposizione e riempire di proposte politiche il loro vuoto blaterare pre-elettorale. Non ce la faranno, questa la liquidatoria conclusione renziana, e crolleranno. E’ ciò che sta puntualmente avvenendo elezione dopo elezione. Forse la prova generale e complessiva delle consultazioni europee del prossimo maggio ne potrebbe

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determinare il completo tracollo. E, dunque, la fine dell’ “epopea” grillesca! Il Centro-destra vince le elezioni e la Lega di Salvini aumenta i suffragi. Ai nostri concittadini è sempre piaciuto, storicamente, l’Uomo forte al potere e solo al comando; ed oggi gli italiani, sia al Nord come al Sud, intravedono nel leader leghista un boss, non alla maniera di un Duce fascista, bensì a quella di un Capo-popolo sud-americano in grado, da solo e in brevissimo tempo, di risolvere i loro problemi sia interni che internazionali che dell’immigrazione. Facendo ricorso ad una campagna elettorale spregiudicata, che non conosce soste, e ad un’abile capacità di veicolare in tutti i ceti sociali le sue promesse propagandistiche, Salvini, che di fatto è il presidente del consiglio e manifestamente gongola di compiacimento quando si sente denominare con l’appellativo de “il nostro Capitano”, impersona, ormai, nell’immaginario collettivo, questo tipo di Masaniello a cui nulla è impossibile. E gli italiani, sia al Nord che al Sud, ripeto, dando credito al profluvio delle sue fantasmagoriche promesse, hanno continuato a premiarlo con il loro voto in tutte le consultazioni elettorali che si sono tenute dal 4 marzo 2018 in poi. Nel frattempo, mentre lui trattiene a stento, anche pubblicamente, un senso di intima soddisfazione perché sia il ridimensionamento della legge Fornero, che la legge sulla legittima difesa che, infine, il proprio salvataggio al Senato, ad opera delle Cinque Stelle, dalla richiesta ad essere giudicato per il reato di sequestro di persone dalla magistratura italiana, sono andati in porto, anche il “suo” ministro del tesoro, Giovanni Tria, deve candidamente ammettere che l’Italia, dal punto di vista economico è ferma nella palude della stagnazione ed il Pil nel 2019 sarà a quota zero. Se non al disotto dello zero, con l’economia in totale recessione. A non volerne prendere consapevolezza è solo la litigiosa Trimurti del governo gialloverde: Salvini, Di Maio e Conte. La coalizione di centro-sinistra articolata, nelle elezioni umbre, in una miriade di liste, si è posizionata al secondo posto dopo il centro/destra, con il 33,11%. Il Pd a trazione zingarettiana, che assume sempre più il

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volto del vecchio PDS, spostandosi passo dopo passo a sinistra e riducendo la presenza del centro, cerca di raccattare e re-imbarcare i fuggiaschi dal Pd a conduzione renziana, non ce la fa a decollare. E raccoglie a mala pena, mi pare, il 7 virgola qualcosa, per cento….…. Nella kermesse delle primarie vinte da Zingaretti i candidati erano tre; due dei quali – lo stesso Zingaretti e Martina - di derivazione post-comunista e l’altro, Giachetti, di derivazione radicale. Assenti del tutto sono stati candidati provenienti dall’area cattolica. Dico questo perché da come il presidente della regione Lazio si sta muovendo per organizzare il “nuovo” Pd (che a suo dire deve essere “aperto, largo, plurale, inclusivo” e bla…bla…bla…) non mi sembra stiano trovando posto esponenti che derivino da quell’area politico/culturale, appunto. Forse nella concezione del “nuovo” Pd, targato Zingaretti, i cattolici potrebbero svolgere il ruolo che nel vecchio PCI svolgevano quei cattolici immessi come “indipendenti” nelle sue liste, ma che, alla fin fine, servivano solo per imbellettarle. A parte questo non trascurabile aspetto, tuttavia, altri due ne destano non poche apprensioni in ambito pidiessino. La totale mancanza finora di un programma, con proposte ben definite, alternative alle politiche fallimentari del governo gialloverde e la figura di leader di Zingaretti. Zingaretti, appunto, a differenza di Salvini, trasmette all’esterno tutt’al più l’immagine politica sfuocata di un modesto capo partito di secondo livello. Il presidente della regione Lazio è carente, a mio avviso, del carisma di un vero leader; non ne ha la stoffa, manca del physique du role, insomma! Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni si barcamena intono al 4,0% o poco più. La tattica politica di opposizione e di governo, con cui cerca di destreggiarsi in Parlamento, non ha dato finora tutti i frutti che la “pasionaria nera” della destra, spera di raccogliere dall’ambiguo ruolo che ricopre. Essere, infatti, di sostegno al governo quando si tratta di votare a favore dei provvedimenti proposti dalla Lega e da Salvini e votargli contro, bocciando quelli proposti dal Movimento a 5-Stelle, non le ha consentito finora di realizzare il suo obiettivo strategico: rosicchiare quanto più è possibile da ciò che rimane ancora dell’elettorato di Forza Italia, incollato a Berlusconi, e diventare la seconda gamba della destra, accanto alla Lega salviniana. Tuttavia, qualche risultato sostanziale lo ha portato a casa come, per esempio, l’elezione del presidente della regione Abbruzzo, Marco Marsilio, di derivazione politica e cultura della fu Alleanza nazionale, erede naturale del Movimento sociale italiano. L’OCSE ed il Def. In queste ultime settimane due fatti importanti, per quanto riguarda lo stato dell’economia

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italiana, si sono verificati. La pubblicazione del Rapporto dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) di cui l’Italia fa parte e l’approvazione del Def (Documento di economia e finanza) per il 2020 da parte del governo. Il primo è uno spietato, ma realistico documento che mette a nudo tutte le problematicità della economia italiana in questa congiuntura. il Pil allo 0,1% (quindi l’economia in fase di totale stagnazione); il debito pubblico in vertiginosa salita, al 132,8%, come mai si era visto; il rapporto deficil Pil salito dal 2,04% al 2,4%, la disoccupazione in ascesa e la occupazione, soprattutto giovanile e femminile, in discesa. Il Def gialloverde è uno scatolone vuoto, pieno di quegli slogan a cui la propaganda gialloverde ci ha abituati e privo di un qualsivoglia progetto di investimenti pubblici che possano tornare utili per arrestare la deriva fallimentare dell’economia ed invertirne la rotta verso obiettivi di crescita. Tuttavia, il governo è costretto ad arrendersi all’evidenza ed ammette lo stato di stagnazione e riconoscere che per il 2019 il Pil - che nel Def del 2018 era stato stimato per l’anno in corso prima all’1,5% per poi essere rivisto al ribasso all’1% - crescerà, se tutto andrà bene, dello 0,1%. Ma, Di Maio non aveva proclamato che la povertà era stata abolita? E Conte non aveva rassicurato gl’italiani che quest’anno sarebbe stato bellissimo? (Certamente, meraviglioso lo è per le sue tasche a motivo degli emolumenti e di tutti i benefici ed i vantaggi che la carica di presidente del consiglio gli assicurano). E Salvini non aveva spergiurato, a più riprese, che quota cento e la tassa piatta avrebbero rappresentato la medicina adatta per guarire da tutti i mali l’economia italiana? Per la verità, nel suo rapporto la succitata OCSE raccomanda l’opposto di ciò che dicono Di Maio Salvini: e cioè di non dare esecuzione alla quota cento ed al reddito di cittadinanza se si vuole spingere in sù l’economia italiana. Niente di tutto quanto hanno propagandato, a getto continuo, Salvini, Di Maio e Conte si è finora verificato. E lo stato di confusione tra i due partiti ed entro il governo è tale che dopo l’approvazione del Def nessuno ha avuto il coraggio di presentarsi ai giornalisti per le consueta conferenza stampa. Tutti se la sono, quatti quatti, squagliata. Non era mai successo prima. In compenso il giorno dopo ciascuno dei Dioscuri gialloverdi ha esultato dichiarando: “Nessun aumento dell’Iva” (Salvini); “Andiamo avanti così, facendo ripartire il Paese” (Di Maio). Una faccia, quella dei due viceministri, fatta con un bronzo di una qualità così eccelsa da non aver nulla da invidiare al bronzo che i più famosi scultori del Rinascimento italiano impiegavano per fondere i loro celebri capolavori che tutti conosciamo!

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Donne: Mamme e Imprenditrici Eugenia Raffaele nata Rizzo di Francesco De Pino Il commercio per Nicastro, prima, Lamezia Terme, dopo, è, da sempre, uno dei punti di forza della loro economia. Con un operare pieno di servizio e con prezzi accessibili, ha favorito e favorisce il suo sviluppo economico, lo scambio di merci e di prodotti, ma, soprattutto, l’incontro d’operatori provenienti dalle più disparate regioni, molti dei quali hanno finito per risiedervi definitivamente, attratti dall’ospitalità degli abitanti, dai servizi resi, da quelle passeggiate in carrozzella, dal clima ameno, dal verde rigoglioso e dai paesaggi paradisiaci dalle colline circostanti, con l’un mar che guarda l’altro, il cadere e il sorgere del sole, da sembrar, Mosè, che guarda la sua Terra Promessa, …. dalla centralità nel contesto calabrese. Così, la mia, la Tua, la nostra, la Vostra, Turisti e Operatori commerciali, Lamezia e il suo Hinterland, nel tempo, oggi. Favorisce queste presenze, inoltre, la bellezza della Città, il suo Corso Numistrano, Giovanni Nicotera, la sua accoglienza cordiale, la sua dinamica rete commerciale, tra cui, spicca la “Raffaele spa” dove, per la varietà e la qualità dell’offerta, un personale pieno di servizio, immediato a suggerirti e aiutarti nelle scelte, dov’è possibile soddisfare i propri bisogni, mentre un’esposizione intelligente, sia per la vastità dell’area dei Due Mari, sia in Via Cristoforo Colombo, stimola nel visitatore la creatività per riformulare nuove esigenze, da soddisfare nell’economicità. Non sono queste parole di circostanza ma vere, perché la “Raffaele spa” viene da lontano, un’azienda storica in Nicastro, avendo costruito il suo successo nel tempo, ravvivato e rilanciato, poi, dalla fantasia e dall’operatività instancabile di una donna eccezionale, Eugenia Raffaele, nata Rizzo, continuata dai “magnifici sette”, i suoi sette figli che hanno saputo raccogliere il testimone per proiettare un servizio in un mercato esigente e sempre nuovo nella domanda-offerta, dove tutto deve essere perfetto per soddisfare un cliente esigente perché, profondo conoscitore, parsimonioso. Per questo, mirato nelle scelte. Questa “Donna” eccezionale, che ha saputo coniugare famiglia e impresa, sette figli non sono pochi, entra in commercio, subito, dopo aver dato alla luce il 5°figlio, Massimo. Era il 1966, quando raccoglieva, con decisione, un testimone, pieno di servizio, dopo la morte di uno dei fondatori della società, Salvatore, per gli amici, per i nicastresi tutti, devotamente, “ Turuzzu u Sirrisi”, rilanciando l’azienda verso i traguardi d’oggi. Certamente, colmare quel “vuoto”, era arduo per una donna dedita, esclusivamente, alla famiglia, e numerosa. Peraltro, non era cosa da poco, sostituire un uomo dalla personalità piena di carisma, calmo nel parlare, carico di ascolto, sorretto nella vita di tutti i giorni dalle idealità di un socialismo, convinto, e vissuto in città e nel civico consesso di Nicastro. Dalle parole misurate e dette con saggezza, un riferimento nella “Raffaele” d’allora, soprannominata, “U Sirrisi”, dagli artigiani nicastresi. Presenti, sin dal dopo guerra, nella nostra fiorente realtà nicastrese, fatta di commercio e d’artigianato, gemellati con l’Agricoltura, i fratelli Salvatore, Armando e Michele, dalle specificità e pag. 14

competenze diverse ma complementari, costituivano un’offerta commerciale che favoriva la ricostruzione dopo la triste pausa della guerra, e a dir, in quel di Piazza d’Armi, un tempo, non lontano, il “ventennio” scenario, ahimè, di parate militari, poi commerciali nella ripresa “postum bellum” Il segreto di tanta capacità imprenditoriale in una “Donna”, sono nella sua famiglia. Ereditata, da Papà, Antonio Rizzo, commerciante in calzature in Via e R. De Medici, professionalità, la Sua da profondo conoscitore di pelli e cuoio, mentre lo accompagna scrupolo, pacatezza e attenzione per il cliente, … lo stimolo di una famiglia numerosa, ben sette figli. In particolare, dalla famiglia materna, di Eugenia Raffaele, nata Rizzo, dove spiccava il nonno, Carmine Basile, l’intraprendere incessante e dalle molteplici attività, tutte di successo, in quel di Cirò: dalla distilleria dell’alcol, ai bazar (i supermercati d’oggi), al mobilificio, ai bitumi, ai trasporti, all’impegno per una vita piena e senza pause. Il “fiuto del servire la gente” in questa “Donna”, audace e serena, motivata da fervente Fede Cristiana che, fino al quinto figlio non ci pensava nemmeno, era, quindi, innato, veniva da tanti trascorsi familiari: una figlia d’arte, si direbbe, che si compensava nei nuovi compiti con il marito Armando, dedito a gestire l’interno e con il merito di avere individuato le capacità della compagna, sua sposa, e lasciarla operare. Per un uomo meridionale non è cosa da poco! E’ un’azienda che, con radici, così profonde, costituisce un patrimonio per ognuno di noi lametini, ci appartiene, così, come i Bertucci, al tempo, pur vicino, i De Sarro&Torchia! Le imprenditorialità “SANE” costituiscono servizio e successo di una Città, un riferimento, un vanto, quindi, anche, per ogni cittadino. Mons. Bregantin, già, Vescovo di Locri-Gerace, un Pastore “dal puzzar di pecore”, (così come chiede e richiede nei Pastori, con l’esempio del Suo operare, S.S. Papa Francesco) voleva, l’aprirsi di un’azienda “sana”, facesse seguito il suono delle “Campane” nelle Citta o Paesi, ove spiccavano il volo, perché era garantita la continuità di quel “sano” facere, poi, nella “RAFFAELE SPA”, resa più forte dai sette figli, numero sette, anch’esso, una tradizione, perché una costante di famiglia. Noi ci incontriamo con i “magnifici sette”, i figli dell’imprenditrice, per antonomasia. Manca, solo, la colonna sonora dell’omonimo film che la televisione spesso propone, ma le sale mostre, la presenza di una clientela numerosa, il decoro degli ambienti, le maestranze diligenti, puntuali e dal volto sereno, pare vogliano sostituire quell’incalzante e soave motivo che ci ricordano un “ western” pieno dei valori della giustizia, e che, ben volentieri, vorremmo che si proponessero, concretamente, nella nostra società calabrese. “Un sacciu e un vogliu mu sacciu” non possono coniugarsi con il “Civismo“, dovuto dal “cittadino”, e da far proprio, nostro, mentre la “Casa dell’Uomo”, l’Italia, ora, così come nella ricostruzione post bellica, necessita. Le Istituzioni Repubblicane ci appartengono, perché binario del vivere democratico, con la Costituzione e i suoi stupendi “Principi.”

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l’opinione

NON CHIAMIAMOLA PIU’ “QUESTIONE MERIDIONALE”

di Alberto Volpe

Vista la propensione abitudinaria della classe politica a servirsi della condizione del Sud, sempre più arrancante rispetto al resto del Paese sotto l’aspetto dei diritti del cittadino, non mi pare che siano venuti meno i motivi per ribadire questa mia convinzione, che asetticamente da appartenenza politica può e deve trovare condivisione. E, allora convertiamo quella espressione in una più logicamente e realisticamente corretta “problematica meridionale”. Va da sé che non trattasi di uno sfizio bizantini stico. Esso, è sotto gli occhi di tutti come sia divenuto un luogo comune, nel senso che sbrigativamente parlare del Sud vale parlarne in termini di “questione” appunto. Non sempre accorgendosi che, pur nel tentativo di voler esaminare cause ed effetti di una condizione meridionale in genere, si finisce per lasciarla inalterata con pretesa inestricabilità. L’invito a modificare definizione, quindi, è rivolto a critici, letterati, storici, ed artisti della ex celluloide. Dire “questione”, allora, potrebbe assumere il senso ed il significato storico-culturale di una sorta di “ineluttabilità” di quella condizione socioeconomica arretrata. Come se quel gap rispetto al resto dello Stivale d’Italia fosse strutturale e come tale non modificabile. E’ come se “è sempre stato così…ormai”. Ed invece, abbandonare quel termine vale dare speranza di un recupero di memoria e su di essa la possibilità di azzerare quel gap e potersi mettere al passo di una

Europa , la cui propositiva e rinnovata funzione di spinta al progresso dei Paesi che la compongono è legata alla reale e convinta capacità di ogni singolo Stato. Altro che rendere inoperosi e restituibili i miliardari fondi europei ! Invece, proprio storicamente lo sviluppo del Nord è passato da un Sud sempre al centro di uno stato di benessere di cui il bacino occidentale del Mediterraneo è stato fertile teatro. Ieri come oggi le regioni del suda hanno rappresentato gli approdi privilegiati delle democrazie e delle conquiste dell’Oriente. Se nel corso della storia una dualità di fatti ed eventi hanno spostato traffici e mercato verso il centro-nord, ciò non può finire per penalizzare l’oggi del sud, la cui volontà di riscatto non è stata certo favorita da quel vero e proprio sistema di colonizzazione (oggi si riscopre questa condizione) dei vari “governi” che si sono succeduti sui territori meridionali. Neo-feudalesimi renitenti ad uno scatto culturale dei popoli. Il profitto dei “padroni” di ieri, e neo-liberisti di oggi con la centralità assoluta del “dio denaro”, non hanno dato alcuna spinta alle modificazioni di sistemi di vita che i tempi andavano disegnando. D’altronde, che una potenzialità culturale (oggi diconsi fuga di cervelli) fosse stata trattenuta per lungo tempo, questo lo testimonia la determinazione di quelle popolazioni a cercare di “recuperare” ,non appena si aprivano spiragli di scolarizzazione e di acculturazione, non disgiunti da opportunità, legislative e non,

E il “Lavoro” la fattività dei cittadini operosi che costruiscono posti di lavoro, da quel “ facere” nella “Raffaele spa” cogliamo le motivazioni e comprendiamo che la vera strategia di crescita è servire l’Uomo “faber”, metterlo al primo posto, quando, cliente, scoprendone le motivazioni di un acquisto, accrescendone la fedeltà, verificando, di continuo, il “servizio” reso: la chiave del successo che la sig.ra Eugenia ha saputo far suo, infondere nei collaboratori. Compiaciuti, lasciamo questa realtà viva che, come le altre che vi racconteremo, perché han fatto o fan parte del nostro patrimonio di cittadini, il potenziale economico di Lamezia Terme. “Ad Malora, semper”, Magnifici 7, con un saluto, riconoscente, a Mamma Eugenia. Ora, che, unitamente ai suoi compiti di nonna, è impegnata al Lamezia e non solo

di soddisfacimento di prime necessità. Altra cosa è una sorta di subalternità che le classi dominanti, potentati economici e casta politicxa sono andati dimostrando nei confronti di una sedimentata egemonia politica romana, come di quella finanziaria del centro-nord, e che il sud non ha saputo arginare per via di un “carrierismo” politico sempre più “servile” a capicorrenti politiche di Partito. Per altro verso, e a testimonianza della intrinseca capacità intuitiva ed organizzativa dell’uomo (leggasi umanità) del sud, è la immediata affermazione della affermazione di una personalità nell’espletamento di funzioni alte affidate e conquistate. Dunque, è il caso che scrittori, giornalisti e studiosi rimuovano dal loro “lessico abituale” quella sorta di “handicap” da meridionale, sostituendo, per l’appunto, il termine “questione” con quello più realistico ed adeguato di “problema”. Ciò nella convinzione e nell’auspicio insieme che giovi a scardinare e rivedere condizionamenti culturali e comportamentali di quanti si candidano nella rappresentanza istituzionale ad ogni livello per conto del Sud, partendo dal presupposto non straordinario, ma intrinsecamente originario dell’articolazione costituzionale, di un potere rappresentativo come servizio, ragionevolmente e realisticamente promozionale di un progresso ad oggi negato al Sud.

mattino nell’azienda, nei lavori più semplici, per i meno attenti! Una presenza, nella continuità, la Sua, per noi, che ispira, con l’esempio, gli altri, a trovare la loro, “Voce”, noi tutti. Nella vita di ognuno di noi viene il momento in cui il fuoco interiore si spegne, poi l’incontro con un altro essere umano lo riaccende. Dovremmo essere tutti grati a chi ha ravvivato il nostro spirito, e che segna profondamente il resto della nostra vita. In Eugenia Raffaele Rizzo, è la tensione ideale, che la muove. Non s’incontra, ti vede, ti legge da lontano, lesta, lascia il suo proseguire, vien da te serena, ti avvolge con sorriso, accennato ed eloquente, piena di afflato umano, di Fede ardente in Cristo, ti scuote, novella “ Veronica” “Alzate la testa”, ti dice, con tutto di sé, pregherò Dio”. E, Dio l’ha ascoltata. Quel sorriso non si spegne, ti segue…… Grazie, Eugenia, francesco nella Fede Cristiana, il sentir comune!

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Associazionismo

L’uniter incointra Giovanni Caruso Responsabile settore Neuroscienze Le neuroscienze, negli ultimi anni, hanno avuto un significativo sviluppo nelle discipline mediche poiché tutte le attività umane, sia motorie che mentali, sono regolate dal sistema nervoso. Diversi specialisti stanno cercando di avvicinare le neuroscienze al loro lavoro . Molti, interessati alla neuroodontoiatra, hanno sottolineato lo stretto rapporto tra denti e sistema nervoso centrale e periferico, mettendo in risalto Università della Terza Età e del tempo libero chevitaogni dente ha una sua rappresentazione celebrale. Dare agli anni Il dentista è chiamato a concentrarsi su due aspetti fondamentali: l’estetica e la masticazione. In relazione a quest’ultima un’attenzione particolare va data all’ATM (l’ articolazione temporomandibolare) e alle parafunzioni (bruxismo/digrignamento per lo più notturno) e quindi ai muscoli masticatori coinvolti e al contatto dei denti (occlusione). Nel cervello sono state scoperte connessioni, nel sollievo del dolore, nell’insula posteriore e mesencefalo. Altri studi scientifici hanno sottolineato come condizioni di stress ,veicolate dal SNC, possano indurre gengivite e problemi parodontali. L’ infiammazione cronica dei tessuti intorno ai denti, causata dai batteri presenti nella placca che si deposita sulle superfici dentali, potrebbe indurre addirittura il parto pre-termine associato a un ridotto peso del bambino alla nascita . Inoltre,la relatrice ,giovane neuro-odontoiatra lametina, già Presidente Associazione Medici e Odontoiatri della Calabria, ha accennato anche a come l’intelligenza artificiale sia entrata a pieno titolo nella diagnosi e la pianificazione del trattamento nella riabilitazione estetica. La masticazione è una funzione complessa, automatica, acquisita: si impara a masticare allo spuntare dei denti da latte (a 6-12 mesi). La deglutizione è un riflesso non acquisito e inizia già

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nell’utero dove il feto deglutisce il liquido amniotico. La masticazione si modifica durante l’arco della vita con la perdita dei denti e la sostituzione con protesi fisse e mobili. “La Neuro-Odontoiatria è il nuovo campo del mondo dentale che studia il quadro neurologico e psicologico di riferimento del paziente e quindi le tendenze al serramento / digrignamento, le paure verso il dentista, le sensazioni di dolore legate ai denti in maniera diretta e indiretta. “ Fobie, ansie, dolore dentale e cranio-facciale, sensibilità al contatto dei denti (occlusale), e reattività alle procedure odontoiatriche (controllo del dolore e dell’ansia) sono solo alcuni esempi di quanto il sistema nervoso condizioni il lavoro dello specialista”. La fase orale è, in psicoanalisi, la prima fase dello sviluppo psicosessuale, in cui il piacere è derivato dalle labbra e dalla bocca, come nell’atto di succhiare al seno della madre. Quest’ultimo è l’oggetto primario attraverso cui viene soddisfatta la pulsione: gli atti della suzione del capezzolo e della ingestione del latte sono due momenti complementari in cui viene vissuto il piacere di incorporare qualcosa che diventa proprio (S. Freud). W. Penfield, neurochirurgo canadese fu il primo ad effettuare gli studi sugli essere umani. Durante interventi sull’uomo,in anestesia locale, stimolando il cervello, chiedeva ai pazienti cosa sentissero: i pazienti riferivano sensazioni tattili, di pressione, di formicolio in particolari sedi nella metà del corpo dal lato opposto all’area che veniva stimolata. In questo modo fu possibile tracciare una mappa della rappresentazione neuronale del corpo nella corteccia somatosensoriale: l’homunculus somatosensoriale. La dr.ssa Paola Ziarelli ha concluso con interessanti riferimenti ,tra l’altro, all’importanza della occlusione dentale nella regolazione della funzionalità della colonna vertebrale nel suo insieme e ai suoi effetti benefici con la correzione di tali disturbi. Un interessante dibattito, coordinato dalla vice Presidente Prof.ssa Costanza Falvodurso, ha concluso i lavori presso l’Uniter (Università di Lamezia Terme).

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Associazionismo

“L’unità plurale della vita interiore” al Cenacolo Filosofico Intellettuali a confronto

di Filippo D’Andrea

Sabato 6 aprile 2019 al Complesso monumentale di san Domenico a Lamezia Terme si è svolto l’incontro mensile del Cenacolo Filosofico, fondato e diretto dal 1992 dal prof. Filippo D’Andrea, sul tema “L’unità plurale della vita interiore: psiche, anima intelletto”. I relatori: la psicologa Emanuela Cario, il filosofo e scrittore Pasquale Allegro, lo psicologo e farmacista Antonio Mallamo, il neurologo Giovanni Caruso. Filippo D’Andrea ha introdotto l’incontro offrendo una prospettiva unitaria alle varie dimensioni della realtà interiore percorrendo la storia del pensiero sia filosofico che teologico, ma anche della psicologia che hanno formato le categorie tematiche. Emanuela Cario, psicologa, con un notevole impegno nel mondo del disagio esistenziale e della disabilità mentale di tutte le età (bambini, adolescenti, adulti, anziani) ha affermato che “Psiche, anima, intelletto sono punti di vista diversi da cui osservare la stessa realtà. Entità astratte che si fondono e si confondono con il tangibile. Il mentale sconfina nel corporeo e gli invisibili meccanismi della mente traspaiono dai comportamenti e, attraverso di essi, si cristallizzano e diventano visibili. Talvolta basta ‘solo’ cambiare punto di vista per trovarsi davanti una realtà completamente nuova”. Pasquale Allegro, dottore in filosofia e scrittore, che lavora nell’editoria, si è espresso dicendo che “La vita interiore è la dimensione che noi preserviamo dentro, che ci abita, che ci dà il senso di quello che avviene fuori, preserva il vero autentico uomo compiuto che abbraccia l’uomo nuovo in spirito, idea e carne, (così come gli elementi nel titolo dell’incontro: psiche, anima, intelletto), l’uomo che non si stanca di entrare in relazione con gli altri uomini e con Dio”. E continuando: “La vera libertà dell’uomo, ciò che lo rende Lamezia e non solo

umano, consiste nel far emergere la parte divina presente in ognuno, e di conseguenza di r trovare l’unità della vita interiore. E per completarsi l’uomo deve anche darsi agli altri, l’esistenza si esprime infatti nelle relazione: l’uomo ha bisogno di essere accolto, di essere amato e di amare”. Antonio Mallamo, psicologo con indirizzo antropologico personalista esistenzialista e farmacista ha affermato che “La capacità di unificare le varie componenti che abitano l’uomo, sia consce che inconsce è essenziale alla realizzazione della Persona, è l’arduo compito a cui si è chiamati quotidianamente a fronte di stimoli separativi che provengono dal nostro mondo interiore, ma anche, massicciamente, dal mondo esterno”. E continuando: “Al contrario, l’opposto di unificazione è separazione, in termine tecnico ‘scissione’ modalità che caratterizzano il pensiero scisso, che è alla base non solo delle patologie più o meno gravi, ma, in dosi minori, del disagio quotidiano da cui nessuno, in maniera più o mendo pervasivo, può dirsi totalmente esente. In questa unificazione indispensabile è comprendere la componente corporea, sottoposta oggi, ad una sempre più massiccia scissione, grazie anche a interessi commerciali che ne sfruttano o inducono la sua separatezza dalla componente psichica ed esistenziale della persona, con

cui, occorre, ribadirlo, rappresenta un tutt’uno.” Giovanni Caruso, neurologo primario emerito, già presidente del Comitato etico dell’Ospedale di Lamezia Terme, responsabile del dipartimento bioetico dell’Uniter, già presidente dei Medici Cattolici, ha posto il tema su un terreno precisamente neurologico, considerando la mente una sede biologica da cui muovono aspetti tuttora coperti di mistero scientifico e che rendono il futuro apparentemente determinato, ma in sostanza ancora ignoto pur nell’enorme progresso degli studi delle neuroscienze. Ha anche tracciato i rischi di studi staccati dal senso di responsabilità etica, relazione di prudenza e saggezza scientifica che garantiscono la bontà e la verità di un cammino verso il futuro dell’uomo e dell’umanità. Il dialogo, moderato da Filippo D’Andrea, ha visto interventi diversificati: Cesare Perri, psichiatra, ho colto il valore dell’amore nell’esistenza umana come dimensione unificante della persona. Francesco Bevilacqua, avvocato, ambientalista e scrittore, ha detto: “Ho ascoltato cose di enorme interesse. Grazie a tutti. E’ confortante che siamo ancora in grado di riflettere”. Ma anche Luciana Parlati, letterata e poetessa, Francesco Caligiuri, giornalista documentarista, Domenico Ciccone, docente di matematica e scrittore, Caterina Restuccia, avvocato, e tanti altri. Il prossimo incontro del Cenacolo Filosofico sarà sabato 4 maggio 2019, ore 18 sempre al Chiostro san Domenico a Lamezia Terme sul tema “I libri e le 3 C: cultura, crescita, cura”, proposto da Giacinto Gaetano, direttore del Sistema Bibliotecario Lametino e da suoi giovani collaboratori.

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Spettacolo

“Filumena Marturano” o il coraggio delle donne di Giovanna Villella Teatro Comunale. In scena, per il penultimo appuntamento con la rassegna teatrale Vacantiandu, direzione artistica di Diego Ruiz, Nico Morelli e direzione amministrativa di Walter Vasta, lo spettacolo Filumena Marturano di Eduardo de Filippo con la Compagnia Teatro Incanto di Francesco Passafaro, nella doppia veste di attore e regista. La scenografia riproduce l’interno di una casa borghese: al centro un grande tavolo da pranzo con delle rose rosse fresche, una vetrata che dà su un terrazzo, delle pesanti tende scarlatte che lasciano intravvedere altri ambienti. Sulle pareti due bandiere incrociate e qualche quadro. In questo spazio si incontrano e si scontrano tutti i personaggi. Francesco Passafaro si accosta a questo capolavoro indiscusso del teatro mondiale con la giusta discrezione realizzando una regia onesta caratterizzata da sobrietà nello stile, essenzialità della struttura, aderenza al testo. Un piccolo mondo che nel meccanismo teatrale diventa metafora universale con i suoi temi incentrati sull’amore, sulla famiglia, sui figli e sui “diritti” dei figli, sulla fede, sul peccato, sul coraggio e sulla capacità di riscatto di una donna che crede fermamente alle leggi del suo cuore. La recitazione degli attori si realizza in una forma di reciproca complementarietà e pur non raggiungendo ancora il suo punto più alto di sviluppo e di maturazione riesce, comunque, ad imporsi all’attenzione del pubblico e ad assicurare allo spettacolo un preciso carattere di dignità e omogeneità. La Filumena di Luisa Covello è molto più “madre” che “donna”. La misurata interpretazione della Covello ne accentua-

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no il côté materno e il tormento per quei figli non riconosciuti che continuano a starsene raggomitolati nelle acque amniotiche dell’anima. È il desiderio/bisogno di quella maternità negata che la spinge all’inganno. Mentre il carattere passionale della Filumena “donna” sembra ormai levigato dal tempo e dalle sofferenze. La sua durezza nei confronti di Domenico Soriano è frutto di un dolore muto, di una illusione tradita che vira verso la rassegnazione per sciogliersi finalmente in pianto dopo essere riuscita ad allontanare il dramma da se stessa. Il Domenico Soriano di Francesco Passafaro è spavaldo e sicuro di sé fino all’insolenza. Affetto da perenne dongiovannismo, collerico e furibondo si aggira sul palco co-

vando vendetta ma poi finisce per diventare docile e remissivo in nome di una paternità “imposta” che lo spinge ad “esaminare” i figli di Filumena per scoprire in loro qualche traccia del proprio DNA. Così Passafaro ci regala un don Mimì che ritrova la sua dimensione umana scoprendosi prima di tutto a sé stesso e rivelandosi debole e spaurito ma anche piacevolmente divertente.

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E in questo clima di naturalezza garbata ben si inseriscono tutti gli altri personaggi che appaiono efficaci e convincenti. Ben disegnata la fedele Rosalia di Rita Sia che infarcisce la sua parlata con quelle finali in “e”. Irresistibile l’Alfredo di Stefano Perricelli tutto costruito sul tono della giocosità espansiva e colloquiale anche se truccato per caricare di anni e di pathos il personaggio. Insinuante e sfacciata la Diana di Francesca Guerra. Disinvolto e incisivo l’Avvocato di Roberto Malta. Vivace e scaltra la Lucia di Chiara Pappaianni. Pure la fugace apparizione di Damiano Truglia nel ruolo di Antonio, incaricato di consegnare la raffinata cena per il tête-à-tête tra Don Mimì e Diana e quella di Daniele Sgro nel ruolo di don Peppino il sarto, appaiono ben virgolettate. Mentre forte e limpida nella personalità come nella presenza scenica è l’interpretazione di Gabriele Santo, Michele Grillone e Michele Muzzi che ben rendono la naturale riservatezza di Umberto, l’eleganza e la protervia di Riccardo, la semplice –quasi imbarazzante - affabilità di Michele. L’allestimento scenico pulito e rispettoso del testo mantiene il nucleo drammatico originario e, seppur attraversato da una reale anche se non dichiarata spinta comica, suscita nel pubblico una emotività partecipe e condivisa. Applausi per tutti! Al termine dello spettacolo, il consueto omaggio della tradizionale maschera, simbolo della rassegna Vacantiandu ideata dal graphic designer Alessandro Cavaliere e realizzata dal maestro Raffaele Fresca, che il direttore artistico Nico Morelli e il direttore amministrativo Walter Vasta hanno consegnato a Francesco Passafaro.

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Spettacolo

“Se questo è un uomo”, quattro voci per

Primo Levi

di Giovanna Villella Catanzaro, 28 marzo 2019. In scena al Teatro Comunale, per la Stagione teatrale organizzata da AMA Calabria, Se questo è un uomo, reading di alcune pagine dell’opera autobiografica di Primo Levi, una delle testimonianze più alte e significative del funesto periodo nazista, con Daniele Salvo, Martino Duane, Patrizio Cigliano, Simone Ciampi, regia di Daniele Salvo.

Scarne ed essenziali le scene firmate da Fabiana Di Marco. Quattro leggii, valigie impolverate di passeggeri senza ritorno, sedie rovesciate, mucchietti di scarpe e di abiti come macerie della storia che acquistano il valore di metafore. Un grande schermofondale getta le mute immagini filmiche, elaborate da Michele Salvezza, sul palcoscenico e la fa vivere attraverso l’attore-voce su contrappunti di un paesaggio sonoro curato da Fabrizio Cioccolini. Ma il carico emotivo imprigionato nella scrittura, per dar senso al proprio peso ha bisogno di inquietudini. Le voci di Daniele Salvo, Martino Duane, Patrizio Cigliano, Simone Ciampi si alternano calde, forti, taglienti, sommesse, imperiose, severe, potenti, vibranti per una lettura critica e, nello stesso tempo, mai prevaricante il testo ma capace di trasmettere emozioni e accensioni liriche mediando tra i due diversi linguaggi espressivi e ponendosi come attivo scambio di segni tra la narrazione dell’autore e l’intenzione registica che tende all’isomorfismo tra parola agita e concretezza visiva. La Parola diventa così atto drammaturgico e non mera pronuncia poetica o filosofica o narrativa. Non, dunque, la dilatazione a spettacolo di un testo letterario quanto la riduzione a rigore di testo di un progetto di spettacolo il cui fascino spietato sta nel suo procedere per quadri e per immagini - canti vengono chiamati - che scavalcano il tempo, il dopo e il prima di uomini, donne e bambini che vivono e che sono già morti. L’andamento della istanza personale dell’autore segue il flusso

della storia e degli eventi collettivi senza, tuttavia, annullarvisi, anzi offrendo loro una cifratura appassionata e commovente. E sul grande telo bianco angoscia follia crudeltà e quotidianità. Deportazioni e campi di concentramento. Tempie incavate, orbite vuote, identità negate, corpi consumati e vite mutilate. Fuori neve spenta e filo spinato. Dentro atmosfere claustrofobiche. Aria spettrale congelata sulla rassegnazione di una umanità che deve essere estirpata. Ex/stirps : fuori, via, lontano dal ceppo primigenio.... Ultimi giorni di uomini/ombra svaporanti nel denso fumo sacrificale che si leva al cielo come muta preghiera. Neanche la pietà come ultimo balsamo. Eppure in una condizione di non-vita è possibile ancora immaginarsi la vita aggrappandosi a sinapsi intermittenti che fanno riaffiorare il Canto di Ulisse nella Divina Commedia. E noi, spettatori senza scampo di una mise en espace poetica e dolorosa. Lirismo della sofferenza. Discesa agli inferi di grande compattezza espressiva che ripensa e ripropone dal vivo la vertigine di orrori che degli uomini hanno inflitto ad altri uomini. Rimane la verità dello scrittore, Primo Levi, e soprattutto dell’uomo e della Storia. E la necessità del Teatro come testimonianza e potente strumento di esercizio della memoria. Grido al mondo di milioni di bocche silenti. Per non dimenticare.

Spettacolo

A Ruga Scenette, Musiche e Poesie per rivivere le nostre tradizioni Ancora una volta la casa canonica della parrocchia della Beata Vergine del Carmine è stata animata da gioia e da sorrisi che riempiono il cuore. Il Gruppo Famiglie, infatti, domenica 7 aprile ha messo in scena un tripudio di ricordi e di tradizioni che col tempo rischiano di smarrirsi nei meandri della memoria, regalando un po’ una caricatura di quel lontano passato, completamente ignoto ai giovani di oggi. Attraverso ‘A Ruga’, termine dialettale che indica gli stretti vicoli in cui si cresceva sin da bambini, nonché scenari di situazioni e dinamiche più disparate, il Gruppo Famiglie ha dato vita a dei siparietti davvero divertenti, Lamezia e non solo

raccontando i chiacchiericci e le dicerie che venivano alimentate dalla fantasia dei pettegolezzi, capaci in poco tempo di fare il giro della città. Non vi era bisogno dei social network, dei cellulari e dei computer allora per sapere tutto di tutti, e vivere la realtà, anziché la virtualità che ormai ha travolto ciascuno di noi, era il sapore più bello e prezioso che si potesse custodire. Attraverso musiche locali, tradizioni, poesie e dicerie, i bravissimi attori del Gruppo Famiglie hanno saputo rivivere e far rivivere in allegria quegli antichi sapori, regalando risate, spensieratezza e un po’ di nostalgia al pubblico in sala. GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

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Spettacolo

di Giovanna Villella

“La cameriera brillante” o del brillante gioco del teatro

. Ultimo appuntamento al Teatro Comunale con la rassegna teatrale Vacantiandu con la direzione artistica di Diego Ruiz, Nico Morelli e direzione amministrativa di Walter Vasta. In scena la compagnia de I Vacantusi, organizzatrice della rassegna Vacantiandu, con il suo nuovo spettacolo La cameriera brillante di Carlo Goldoni, regia di Imma Guarasci, realizzato in collaborazione con l’Associazione Maschera e Volto. Una rappresentazione sulla scena simile ad una pittura su tela. Il palcoscenico è la pagina di un libro in 3D sulla cui superficie si materiano i pochi elementi scenici cartonati in stile settecentesco che, caricandosi di inusitata suggestione, perimetrano i vari ambienti: uno specchio verticale con sgabello, un servo muto, una poltrona al centro, un orologio, una cassapanca e un trespolo con un vaso di fiori. Impalpabili e diafane tende a filo, simili a piogge di luce, disegnano tre porte immaginarie che scandiscono l’entrata e l’uscita dei personaggi e risolvono il rapporto interno/esterno, finzione/realtà scenica in un continuum spaziale tra quinte e palcoscenico. Sul fondo, dietro la tenda centrale, un tavolo in stile e dei panni stesi a indicare un cortile sul retro. Una scenografia frutto della felice intuizione di Maria Faragò che trasforma il palco in una boîte à surprise foderata di quinte nere e attraversata dai guizzi di colore dei bellissimi costumi disegnati da Nataliya Kotsinska con qualche tocco di ironica sontuosità e dalle luci accurate e rigorose di Camillo Benzo. Una menzione speciale per il trucco di scena eseguito con sapienza e maestria dalla make-up artist Patrizia Michienzi. Molto interessante anche l’uso di mezze maschere in cartapesta, “graffiate” di segni tipografici, che pur rievocando quelle delle Commedia dell’Arte, si trasformano via via in caratteri da commedia concorrendo alla riscrittura scenica delle pagine goldoniane. La commedia fa parte della cosiddetta riforma goldoniana che mirava all’innovazione dei caratteri teatrali, a discapito delle solite maschere che limitavano l’analisi psicologica e comportamentale del personaggio. Il nucleo narrativo ruota, infatti, intorno al carattere di Argentina, la cameriera brillante che riuscirà ad ammorbidire il cuore del burbero padrone Pantalone e aiuterà le di lui figlie, Clarice e Flaminia, a convolare a giuste nozze con i rispettivi fidanzati, il nobile ma spiantato Ottavio e il parvenu Florindo. L’azione scenica si svolge a Mestre nella casa di villeggiatura del mercante Pantalone… Ed eccola l’Argentina di Sabrina Pugliese entrare in scena con un meraviglioso abito policromo e muoversi leggera come Ariel ne “La Tempesta” di Shakespeare. Lei non cammina, danza saltella piroetta tra inchini e giravolte. Le braccia tese a tracciare grandi segni nell’aria o a dare ausilio al suo pag. 20

declamare mentre irretisce, irride, blandisce, parlotta, complotta con verve ed energia inesauribili. Decisiva nell’elargire consigli, anche spregiudicati, alle sue padroncine si dimostra anche maestra nell’arte (tutta femminile) della finzione calandosi nel ruolo di regista/capocomica e organizzando, nel terzo atto, una “commedia nella commedia” che coinvolge i personaggi in un mimetico scambio di ruoli tutto giocato su complessi equilibri emotivi e psicologici. Vivace, impertinente, scaltra e civettuola, Sabrina Pugliese è bravissima nel dare colore e spessore al proprio personaggio tratteggiandone femminilità, capacità di seduzione e potere di mediazione che la innalzano da serva a padrona incarnando, così, un senso di moderna emancipazione della donna. Unico appunto, in una interpretazione altrimenti impeccabile, la scelta registica di un timbro vocale basso e cupo che mal si attaglia ad un personaggio brioso e spigliato come Argentina. Burbero, bilioso e irascibile il Pantalone di Nico Morelli in particolare stato di grazia. Coadiuvato dalla mezza maschera egli carica il personaggio di tutti i vizi della sua vecchiaia: sospettosità, inquietudine, avarizia mostrando una grande tenuta scenica con quel falsetto che tanto si addice al personaggio e la postura incurvata da vecchio rustego, sostenuto da un bastone come ultimo segno di comando, e scosso da sussulti di amore senile in cui il sentimento sensuale per Argentina si mescola con il sentimento del denaro che fa tintinnare, con una punta di lascivia, in un sacchetto appeso sotto la cintola. Incipriata come una dama, la Flaminia di Angela Gaetano si presenta in scena con graziose movenze. Ella mostra un candore che si riverbera nel pallore del viso nimbato da una vaporosa parrucca bianca e nei riflessi serici del suo abito a bustier con ricami floreali. Dotata di straordinaria mimica facciale e sapiente gestualità Flaminia/Angela sa ben coniugare i tratti infantili e capricciosi di una bimba (adorabile la scelta dei calzettoni rosa confetto) con i desideri della donna in un alternarsi di ingenuità, stupori e lacrimevoli pene d’amore per il suo innamorato Ottavio. Financo la voce, colorata di modulazioni e variazioni timbriche che virano al birignao con quelle finali prolungate, concorre alla definizione psicologica del suo personaggio. A far da contraltare alla dolcezza di Flaminia, la sorella Clarice a cui Rita Scalzo imprime forte personalità. Un carattere focoso, il suo, anticipato da quel matronale abito rosso e dalla elaborata parrucca corvina GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

che conferisce durezza e intransigenza ai tratti del volto. In conflitto perenne con Argentina a cui contende la benevolenza di Pantalone, ella brandisce il ventaglio come un’arma per mantenere la distanza sociale che conviene al suo rango. Altera e acida, con punte di femminea nevrastenia, è sempre in bilico nel suo amore per Florindo, uno zotico arricchito a cui dovrà concedersi per uscire dallo stato di zitellaggio permanente. Cicisbeo superficiale, vanitoso, mutevole e millantatore l’Osvaldo di Walter Vasta. Con le donne è volubile nella sua futile loquacità e svenevole negli atteggiamenti quanto risulta invece rozzo e ignorante il Florindo di Ruggero Chieffallo che ostenta la “nuova ricchezza” in un godibile mix tra il Don Rodrigo di manzoniana memoria e il Pirata dei Caraibi di Johnny Depp. Delizioso con quel tocco da marinaretto il Brighella di Rosa Aiello nella sua dizione con inflessioni venete e nel suo esaltato gesticolare. Di grande effetto Nunzio Santoro nel rendere con sottigliezza le due personalità di Traccagnino e Giangurgolo. Funambolico come uno zanni, è fedele alla maschera di Traccagnino quando ammette che la sua maggior destrezza sta nel “magnar” ed è abilissimo nel cambiare personaggio e registro linguistico quando si cala nelle vesti di Giangurgolo in un ideale gemellaggio tra il Veneto e la Calabria. Ben tratteggiato anche il Padrone di casa di Vincenzo Muraca in continuo affanno tra l’esaltazione per le false, maliziose promesse di Argentina e le cocenti delusioni che ne derivano. Bel finale con minuetto su coreografie di Emanuela Grillo. L’adattamento contemporaneo e la regia di Imma Guarasci conferiscono all’intero spettacolo freschezza e levità in una dimensione di work in progress. Certo lo scavo psicologico di alcuni personaggi non è ancora profondo ma l’impegno di tutti gli interpreti favorisce una bella prova d’insieme dove alcune acerbità e défaillance vengono compensate dalla solidità e dalla solidarietà di una Compagnia come quella de I Vacantusi che ancora una volta ha saputo mettersi in gioco con serietà e abnegazione misurandosi con un testo e con un autore che presentano non poche difficoltà e sul piano linguistico e su quello drammaturgico. Applausi a tutti!

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eventi

Mio fratello, storia di una rapporto fraterno tanto saldo quanto inconsapevole di Pierluigi Mascaro La perdita di un “valore affettivo” segna inevitabilmente, in qualche modo, l’animo dell’uomo. E’ questa la riflessione che propone, in chiave letteraria, il recentissimo capolavoro di Daniel Pennac, Mio fratello, edito in Italia da Feltrinelli. “Non so niente di mio fratello morto, se non che gli ho voluto bene. Sento moltissimo la sua mancanza, e tuttavia non so chi ho perso”. E’ forse proprio questa una delle cose che caratterizza e affligge l’uomo del nostro secolo, ci abbiamo mai pensato? Moltissime volte si instaurano ed intrattengono relazioni umane anche molto profonde, senza tuttavia riuscire ad attribuire ad esse una precisa e specifica valenza affettiva, senza comprendere appieno il ruolo di ogni personaggio, in quel magnifico ma spesso imperscrutabile copione scenico, che è la vita. Sono davvero in tanti coloro i quali, nel corso dell’esistenza, si creeranno, in qualche maniera, una comoda dimora all’interno del nostro “io”, ma chi, in questa moltitudine, ci renderà migliori? Chi, invece, peggiori? E chi, infine, sarà soltanto di passaggio, insignificante, come un minuscolo puntino bianco labilmente tracciato su un’ immensa tela anch’essa bianca, lasciandoci esattamente uguali a noi stessi? Non sempre

è facile capirlo, o almeno capirlo subito. E’ la riflessione circa questi interrogativi ad accompagnare Pennac nel tracciare, con dolcezza e grande sensibilità, la figura ed il ricordo del suo defunto fratello Bernard, mediante una serie di aneddoti a volte quotidiani e caserecci, altre più ricchi e profondi, quasi sempre accompagnati da una sorta di malinconica ironia, che sembrano portare la figura di Bernard a conoscenza del lettore. Non a caso, le pagine che l’Autore dedi-

ca alla memoria del fratello scomparso si alternano a quelle della trasposizione scenica di un celebre racconto di Melville, Bartleby lo scrivano, che lo stesso Pennac decide di proporre al proprio pubblico dopo la morte di Bernard. Egli scorge una

singolare affinità intellettuale e spirituale tra i due personaggi, entrambi infatti inclini a vivere una vita in disparte, schiva, introversa, dominata quasi da un ignavo timore di contribuire a produrre significativi cambiamenti del proprio circostante, e cioè di lasciare il segno di sé nella natura e nel prossimo. Per dirla, in breve, con le parole di Bernard, essi non volevano correre il rischio di “aggravare l’entropia”. “Preferirei di no”. Così rispondeva, scostante, Bartleby ad ogni richiesta del suo datore di lavoro che intendeva affidargli un qualsiasi compito. E’ proprio questo il punto. La scelta del verbo, “preferire”, non è di certo casuale. Esso indica una precisa scelta, e cioè, tra le tante possibilità che la vita offre, la scelta del “no”, della non azione, della staticità, la decisione consapevole di non contribuire a cambiare ed a migliorare noi stessi e gli altri, nonché la realtà che ci circonda. Proprio di ciò sembra essere pienamente consapevole l’Autore, il quale, circondato da una realtà tanto arida ed inconsistente, possiede comunque una tangibile, immensa certezza: l’affetto sconfinato verso il fratello Bernard e l’incolmabile vuoto interiore causato dalla sua perdita, accompagnato dal dolce e crudele ricordo di ciò che un tempo è stato e che non potrà più essere.

solidarietà

Scout e Solidarietà Ottimo riscontro per il gruppo MASCI Lamezia Terme 4 in occasione del suo ultimo evento, svoltosi presso la Casa Canonica della Parrocchia Beata Vergine del Carmine.

con la sua partecipazione ha regalato un tocco di allegria in più ai presenti. Sorrisi, solidarietà, buon cibo, musica locale e fratellanza, sono questi gli ingredienti che hanno dato vita alla cena del Lamezia Terme 4, trasformando un piccolo momento di collettività in un grande gesto di beneficenza.

Proprio lì, gli adulti scout lametini hanno dato libero sfogo al loro talento culinario, riuscendo a coinvolgere più di cento persone, accorse alla ‘Cena Comunitaria’ che aveva l’obiettivo di offrire il proprio tangibile supporto all’attività pastorale, alla quale è stato devoluto il ricavato della serata. Sono stati i membri del MASCI Lamezia Terme 4, infatti, a mettersi fattivamente in gioco, nel pieno stile scout, preparando pietanze tipiche calabresi per i loro ospiti, che hanno partecipato in maniera attiva e concreta all’evento. Ad animare ulteriormente l’atmosfera ha contribuito l’Associazione Felici e Conflenti, che Lamezia e non solo

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mostre

La pittura di Rina Minardi di Tommaso Cozzitorto Ho aperto e presentato con grande piacere la mostra di pittura di Rina Minardi, " Quando la pittura va oltre la forma", pittura e letteratura si incontrano, presso il Chiostro di San Domenico in Lamezia Terme. La Pittrice ha elaborato uno stile molto personale utilizzando il colore per esprimere idee e sentimenti, modi di vedere il mondo, punti di vista sulla realtà; la forma viene spesso nascosta dal colore in modo che colui che si trova a guardare il dipinto diventa parte attiva nell'interpretazione dell'opera in oggetto. I lavori suscitano emozioni, suggestioni, evocazioni oltre ad un senso di ricerca della libertà quale ideale massimo da conquistare, raggiungere, conservare. Alcuni dipinti sono ispirati a poesie di Angela Falbo, Ines Pugliese, Angela De Sensi Frontera, Maria Cianflone, Cesare Perri. Interessante il quadro che rappresenta in modo molto originale il concetto di panismo dannunziano: la figura umana diventa natura in un processo di metamorfosi che reca in sè magia e incanto oppure l'albero che si smaterializza e assume i colori del cielo.

eventi

DANIELE FABIO TRIO al Chiostro con il “Concorso internazionale dell’Istmo” e “Chitarre e oltre” di Annamaria Davoli Nuova rassegna musicale a Lamezia Terme: Concorso di Chitarre al Chiostro di San Domenico. Promotore del concorso, il Circolo Culturale diretto da Claudio Fittante in collaborazione con l’ Istituto Comprensivo di S. Eufemia e il Liceo T. Campanella con il patrocinio della Regione Calabria. I vincitori han ricevuto in premio tra i vari riconoscimenti anche l’opportunità di partecipare a concerti in tutta Italia. Le esibizioni hanno avuto inizio venerdì 22 marzo alle ore 16,00 per terminare alle ore 20,00, e riprendere nella mattinata di sabato 23. Hanno avuto occasione di partecipare undici musicisti appartenenti a tre categorie: solisti, duo di chitarre, formazione da camera, ciascuna divisa in fasce in base all‘età. Una giuria d’eccezione, come di consuetudine, ha valutato ciascun brano e ciascun musicista; giuria composta da nomi eccellenti del panorama musicale: Piero Viti, docente al Conservatorio di Benevento; Vincenzo Saldarelli, ex docente di chitarra all’Istituto Superiore di Studi Musicali “O. Vecchi-A. Tonelli” di Modena, Giacomo Parimbelli, fondatore e presidente dell’Associazione “Bergamo Chitarra - Centro Studi e Ricerche “La Chitarra”. Ganesh Del Vescovo, esponente della scuola chitarristica fiorentina; Vincenzo A concludere la rassegna sabato 23 marzo alle 19.30, sempre al Chiostro, il concerto di “Daniele Fabio Trio”, con Daniele Fabio alla chitarra e Voce, Francesco Magaro alle percussioni, Daria Rossi Poisa al violoncello. I musicisti ci hanno offerto brani di musica pugliese, pag. 22

la ‘pizzica’ campana e vari altri brani cantati e piacevolissimi, con un ritmo cadenzato che accompagnava magnificamente ogni brano. La voce e la musica di Daniele ha conquistato tutti i presenti. Chitarrista e compositore, egli ha studiato musica classica, barocca, jazz e musica etnica, pubblicando il disco “Mondi Interni”. Iniziò a studiare chitarra e composizione Jazz, svolgendo contemporaneamente un’attività concertistica in club, anfiteatri e piazze calabresi. Entrò poi in contatto con il mondo della musica classica studiando liuto rinascimentale e barocco al conservatorio di Cosenza, collaborando con diverse orchestre barocche svolgendo con esse attività concertistica in tutta Italia e vincendo parecchi concorsi internazionali. Approfondì lo studio della musica etnica, della voce, composizione e arrangiamento e lo studio di strumenti come l’oud arabo, il bouzuki irlandese, le percussioni, la chitarraarpa, ocarina e flauto dolce, mandolino, batteria, basso, tastiere, chitarra classica, acustica, elettrica. Partecipò a molte produzioni discografiche come musicista, compositore e cantante, e attualmente svolge un’intensa attività concertistica sia come turnista sia per altri artisti, sia in formazioni da lui dirette. Inoltre compone e arrangia le musiche GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

esibendosi in importanti teatri calabresi. Cura inoltre la didattica musicale presso diversi istituti Calabresi e Lombardi. Egli Durante il suo percorso di presso il conservatorio di Nocera Terinese, entrò in contatto con alcuni cantanti lirici insieme ai quali si esibirono in alcini teatri teatri calabresi, come il Teatro Rendano o il Morelli e molti altri. Egli vinse molti concorsi internazionali come chitarrista è iniziò a collaborare con Giulio Tampalini, con il quale svolse alcuni concerti in duo di chitarre, componendo per il duo. Nel 2017 la sua prima produzione discografica come chitarrista, solista e compositore, dal nome Mondi Interni per l’etichetta Movimento Classical, con distribuzione Brilliant, inizia il tour di presentazione del disco con diverse collaborazioni importanti, e in importantissime location.

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la criminologa

Giovani e dipendenze di Angela Sara De Sensi Prima di parlare della dipendenza bisogna definire cos’è la dipendenza. La dipendenza è una alterazione del comportamento che da semplice o comune abitudine diventa una ricerca esagerata e successivamente patologica del piacere in cui l’individuo dipendente tende a perdere la capacità di autocontrollo. Fino a qualche anno fa si parlava di tossicodipendenza riferito all’uso e abuso di sostanze, adesso si parla di New Addiction perché il concetto di dipendenza si è esteso anche alla dipendenza affettiva, dipendenza da internet, il gioco d’azzardo patologico (GAP) , chiamata anche ludopatia, la dipendenza da sesso, la dipendenza da sport, lo shopping compulsivo e la dipendenza da lavoro. (DSMV). In Italia il 20% dei giovani tra i 15 e i 34 anni consuma alcolici, il 16% fuma fino al compimento dei 24 anni e il 19% ha consumato cannabis nell’arco di un anno. Inoltre è del 49% la percentuale dei giovani tra i 14 e i 19 anni che hanno giocato d’azzardo almeno una volta all’anno. Queste sono statistiche sulle dipendenze giovanili condotte e presentate dagli esperti dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Oggi l’alcool assume il ruolo di facilitatore poiché i ragazzi pensano apparentemente che i suoi effetti possono aiutarli a superare ansie e paure. Al contempo però, un’assunzione eccessiva e prolungata nel tempo può originare malessere psico-fisico e comportamenti pericolosi. Negli ultimi tempi si è diffuso il ‘binge drinking’ cioè l’abbuffata alcolica che consiste nel consumo di 6 o più bevande alcoliche in un’unica occasione. Recentemente è stato dimostrato che che l’uso di alcol è frequente già tra gli 11 e i 15 anni di età, nonostante in ambito medico se ne raccomandi il divieto almeno fino ai 16 anni. Perché gli adolescenti iniziano a fumare in tenera età? La risposta è semplice. L’adolescenza è un passaggio critico nella vita dei ragazzi perché viene abbandonato il ruolo di bambino in famiglia e si costruisce una nuova identità, come adulto, all’interno della società. All’interno di questi cambiamenti il fumo potrebbe assumere un ruolo di facilitatore nell’inserimento del gruppo dei pari. È opportuno distinguere tra uso saltuario e dipendenza. Le sigarette confezionate, a mano o elettroniche, sono tutte nocive. È importante non giudicare o rimproverare il ragazzo, ma ascoltare e capire se si tratta di un gesto per sentirsi accettato dal gruppo dei pari ed emulare i compagni oppure una richiesta di aiuto per alleviare un disagio. Successivamente sarà opportuno cercare insieme strategie alternative avvalendosi di specialisti come medici, neuropsichiatra, psicologi, educatori e pedagogisti. Secondo i dati del 2017 dell’Osservatorio europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze, la Lamezia e non solo

cannabis è la sostanza stupefacente più consumata al mondo. In Europa ne fanno uso quasi 90 milioni di persone: di queste, 17 milioni di età compresa tra i 15 e i 34 anni dichiarano di averla consumata almeno una volta nell’ultimo anno. Secondo una ricerca del 2014, pubblicata sulla rivista scientifica The Lancet Psychyatry, il 17% dei consumatori adolescenti in seguito diventa dipendente da essa. Si arriva al 50% quando viene consumata ogni giorno. In genere la sostanza viene assunta attraverso il fumo con il coinvolgimento del sistema cardio-respiratorio. Il più importante principio attivo della cannabis si chiama Delta 9 Tetraidrocannabinolo (THC). Esso agisce su diverse zone del cervello, causando effetti negativi su memoria, apprendimento e sul sistema di regolazione dei movimenti. I genitori, gli insegnanti, l’educatore, il pedagogista e lo psicologo devono essere consapevoli che l’abuso di cannabis è tra i principali fattori di rischio di malattia psichiatrica, inoltre devono sapere riconoscere alcuni segnali indicatori. Tra questi troviamo modificazioni del comportamento e l’arrossamento oculare. E’ importante non assumere un atteggiamento repressivo e severo nei loro confronti ma è bene suggerirgli alternative più sane per rilassarsi ma soprattutto

è opportuno fargli passare il messaggio che per essere accettati dagli altri non sempre bisogna essere euforici. I giochi online sono rientrano in un’altra sfera della dipendenza cioè quella da internet. I medici dell’Ospedale Pediatrico della Santa Sede affermano che sono tre i sintomi fondamentali su cui si basa ogni forma di dipendenza, compresa anche quella da gioco: il craving cioè il desiderio di assumere una sostanza, l’astinenza cioè l’irrequietezza con evidenti sintomi fisici e psicologici se non si riesce a giocare e la tolleranza intesa come un disinteresse verso gli hobby precedenti e l’aumento progressivo del tempo di gioco. La perdita del senso di realtà, lo sviluppo di sintomi dissociativi e il ritiro sociale sono le prime conseguenze evidenti da tenere sotto controllo perché sono causate dall’assorbimento nei mondi virtuali. I dati sulla dipendenza dal gioco d’azzardo sono allarmanti. Secondo l’Osservatorio Nazionale sulla Sa-

lute dell’Infanzia e dell’Adolescenza, in Italia il 20% dei ragazzi tra i 10 e i 17 anni frequenta agenzie di scommesse e il 25% dei più piccoli (di età compresa tra i 7 e i 9 anni) usa la propria ‘paghetta’ per lotterie e ‘gratta e vinci’. Il gioco diventa pericolo quando si perde la capacità di controllo nel stabilire e rispettare un limite di tempo e denaro da impiegare. Gli indicatori da osservare sono l’interesse continuo per il gioco d’azzardo, il disinteresse verso attività scolastiche e ricreative, frequenti assenze ingiustificate, disturbi del sonno e furti in casa. Parole chiave per fronteggiare qualsiasi dipendenza sono il dialogo e la prevenzione perché è fondamentale non sottovalutare l’entità e avviare prontamente interventi terapeutici in strutture specifiche. Un ruolo fondamentale ce l’hanno le agenzie educative cioè la famiglia e la scuola che hanno il compito tramite progetti di mettere al corrente i propri ragazzi sui rischi legati all’uso e abuso di droga, alcool e dipendenza da internet e da gioco. Recentemente sono stata coinvolta insieme alle mie colleghe e l’Associazione Cepedu’ (Educatori e pedagogisti calabresi) nel progetto “Teencontro”, svoltosi nelle scuole secondaria di primo grado della città di Cosenza. E’ stato un progetto voluto fortemente e finanziato dall’amministrazione comunale guidata dal sindaco Occhiuto e dal dirigente del settore educazione del Comune di Cosenza Mario Campanella. Il progetto è stato elaborato dall’Associazione Cepedu’. E’ stato un esempio pratico che ha sottolineato l’importanza di fare una sana prevenzione e come anche noi educatori e pedagogisti, insieme agli psicologi e a tutti gli specialisti del settore, possiamo intervenire sulle dipendenze. Durante il progetto si sono alternati i laboratori pedagogici condotte dalle dott.sse Fabiola Ammirata ed Elvira Servidio, la psicologa e psicoterapeuta Natalia Altomari per il laboratorio di alfabetizzazione emotiva, lo scrittore e operatore sociale msna Angelo Sposato che ha curato il laboratorio di scrittura, Amaele Serino e Mario Vert per il laboratorio sulla Street Art, l’Avv. Francesca Ferrante per il laboratorio sulle norme che regolano la prevenzione alle dipendenze. Questi cinque laboratori a sua volta sono stati svolti con il supporto di tutti noi educatori dell’associazione Cepedù in ordine: dott.sse e dott. Angela De Sensi, Francesca Liberata Perricone, Ilaria Granata, Emanuela Nicoletta Verdiglione, Elena Staropoli e Piero Luigi Astorino. Dott.ssa Angela De Sensi, educatrice, laureanda in pedagogia e specializzanda in criminologia.

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di Maria Palazzo

Carissimi lettori, il libro che voglio segnalarvi è dedicato ad un grande uomo. A distanza di un anno dalla morte, parlare di Fabrizio Frizzi, è doveroso. E’ come parlare di un amico, che ci ha allietati col suo sorriso. Il giornalista Alberto Infelise, col suo libro FABRIZIO FRIZZI MERAVIGLIOSO, ha inteso, non solo ricordarlo, ma rendergli omaggio, raccontando di lui e della sua grande tempra, della capacità meravigliosa di comunicare del conduttore e della sua forza interiore. Un libro che ci trasporta all’interno del fascino di Fabrizio Frizzi in punta di piedi, ma decisamente. Che ci parla di lui, come di una persona cara, che si muoveva con naturalezza e semplicità all’interno di un mondo che sembra non avere mai avuto nulla di semplice e tutto di innaturale. Nel volume, troviamo anche molte foto, con cui emozionarci: una raccolta visiva di colui che continua a riempire le nostre serate, col sorriso indelebile che ci ha lasciato. E’ diviso in vari capitoli, il libro di Infelise: in ognuno ritroviamo il calore di un uomo che non ci ha mai deluso, un uomo che entrava nelle nostre case, puntualmente, sempre alla stessa ora, che aspettavamo, come si aspetta un amico, come si aspetta un caro di famiglia. Fabrizio Frizzi è descritto con la stessa grazia che caratterizzava lui stesso e con tratti ora forti, ora pastello, con tinte accese nei momenti di maggiore pregnanza e tinte delicate, quando egli preferiva non essere al centro dell’attenzione. Fabrizio è dipinto esattamente per come era e per come è rimasto in noi. Fabrizio frizzi meraviglioso è un testo che non è affatto celebrativo, è come una conversazione. E’ un ricordo, ma senza la nostalgia deleteria della mancanza: è un angolo di tenerezza, non solo per non dimenticare o per rimembrare, ma un inno all’amico di tutti, al compagno di serate, sempre ammirato e sempre sentito vicino. In questo libro, sinceramente, ho ritrovato anche il mio amico. Perché io stessa ho una testimonianza da raccontare, di quel Fabrizio che tutti amavamo. Esattamente il giorno dopo che fu annunciata la sua morte, ero uscita di casa, appena dopo aver ascoltato le testimonianze degli amici e del pubblico, a lui dedicate. pag. 24

Era un pomeriggio uggioso, i lati dei marciapiedi erano pieni di pozzanghere. Per evitarne una, mi sposto per salire sul marciapiede, non distante da casa mia. Il mio piede sinistro becca una pietra, mi accorgo di stare per perdere l’equilibrio e provo a saltare sul marciapiede stesso. Ma, sbilanciandomi, prendo un volo che punta la mia testa a schiantarsi esattamente contro il muro di fronte! Vedo la morte con gli occhi e, in una frazione di secondo, penso: “Se muoio, vedrò Frizzi” … Ad un tratto, mi sento spinta all’indietro e avverto come l’ombra di una mano gigantesca che mi spinge lontano dal muro e cado, con un grande e rumoroso tonfo, sule ginocchia, poi con la faccia in terra… Lo zainetto che avevo sulle spalle si è ribaltato, non consentendomi di sbattere il mento a terra con gravi conseguenze. Vengono in mio soccorso i commessi dei negozi circostanti, specie una ragazza, di un noto negozio di moda. Lei mi chiede se sono stata investita, dato il mio volo, e mi chiede come ho fatto a non schiantarmi contro il muro… Le dico cosa ho sentito e di avvertire ancora come la sensazione di un abbraccio. La commessa mi tende la mano, si china per aiutarmi, ma io devo testare di non avere qualcosa di rotto e prendo tempo… Mi sento confusa, ma provo a rialzarmi, una nausea terribile... La ragazza mi batte una mano sulla spalla e dice: “Credimi, qualcuno ti ha protetta. Ti dovevi sfracellare contro il muro, ma poi ti ho visto cambiare traiettoria e ti ho vista, stranamente, a terra…” … Provo a rialzarmi e poi a camminare. Cammino. Mi scendono le lacrime. Sono ammaccata, Ma nulla di rotto, neppure i miei abiti. Giuro che ho visto il teschio sul muro e l’ombra di una falce… Un attimo. Poi l’ombra di quella mano, che mi ha spinto indietro… Era il mio angelo? O era proprio Fabrizio, dato che lo pensavo, in quel momento? Quella notte, ho pianto per tutto il tempo. Ancora oggi, a distanza di oltre un anno, vedo e sento ancora quella mano che mi ha protetta, che mi ha spinta lontano dal muro. Grazie, Fabrizio, ovunque tu sia. E un immenso ringraziamento va ad Alberto Infelise, per il suo splendido, anzi meraviglioso, libro che ci fa ancora sentire il profumo di Fabrizio e la fragranza della sua anima. Buona lettura.

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