lameziaenonsolo febbraio 2020 parlando con nessuno

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Lamezia e non solo

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IX EDIZIONE

TEATRO GRANDINETTI COMUNALE LAMEZIA TERME Sab 26 OTTOBRE Fita V Ed. Premio Bronzi

Gran Premio del Teatro Amatoriale Italiano NOVEMBRE Dom 3 | Sab 9 | Sab 16 | Sab 23 DICEMBRE Dom 1 | Sab 14 | Sab 28 GENNAIO Sab 4 | Sab 18 | Sab 25 FEBBRAIO Sab 1 | Sab 8 | Sab 22 MARZO Dom 1 | Sab 7 | Sab 21 Finale Sab 28 MARZO

Ven 14 FEBBRAIO Biagio Izzo TARTASSATI DALLE TASSE Ven 28 FEBBRAIO Cabaret FESTIVAL FACCE DA BRONZI Semifinale Nazionale

I Vacantusi LA CAMERIERA BRILLANTE Mer 6 NOVEMBRE Paolo Ruffini UP&DOWN

organizzato dall’Associazione Calabria dietro le quinte in collaborazione con I Vacantusi

Sab 7 DICEMBRE Sergio Cammariere

Sab 14 MARZO I Vacantusi Mar 31 MARZO Mummenschanz YOU&ME

in coproduzione con Fatti di Musica

Mar 21 GENNAIO Lello Arena MISERIA E NOBILTÀ

CON IL CONTRIBUTO DI:

Info e prevendite Segreteria Organizzativa C.so G. Nicotera, 237 Lamezia Terme 0968 23564 / 327 1310708 www.ivacantusi.com ivacantusi@gmail.com

UNIONE EUROPEA

IN COLLABORAZIONE CON

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CITTÀ DI LAMEZIA TERME

Vacantiandu è un progetto beneficiario del fondo PAC Calabria 2014/2020 Az. 1 Tip. B


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Parlando con nessuno di Antonello De Sarro di Antonio Perri

Presentato il libro di Antonello De Sarro “Parlando con Nessuno” prima nei locali della Grafiché Perri, poi dopo un mese al Chiostro di San Domenico. Alla presenza dell’Assessore alla Cultura Giorgia Gargano, del Vice Sindaco Antonello Bevilacqua, e di Pasquale Allegro, fra le grandi macchine della Tipografia, è andata in scena la prima presentazione.

Fra un intervento e l’altro Rodolfo Bagnato ha intrattenuto il pubblico con degli intermezzi musicali. “Un mondo quasi incantato, in cui il

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Vecchio Fiume ed il Grande Olmo” dice Pasquale Allegro diventano quasi umani e condividono la loro sapienza con Penna Nera che proprio nel confronto con questi esseri viventi trova, in un mondo di caos, la pace” Un viaggio alla ricerca di se stessi attraverso la conoscenza della natura e del mondo circostante, attraverso l’interazione con gli altri e il rapporto con il “Creatore dell’Universo”.

L’autore, alla sua prima esperienza narrativa, cerca di educare il lettore ad avere più rispetto per tutto ciò che lo circonda. Molto importante è, infatti, all’interno delle pagine, la “preghiera del Rispetto”, scritta dal protagonista

“Penna Nera” e poi condivisa da tutti. Nel Chiostro di San Domenico, invece, oltre all’autore Antonello De Sarro e all’editore Antonio Perri, hanno partecipato Rodolfo Bagnato e Suor Ludovica, Sia nella presentazione al Chiostro che nella sede della Grafichéditori a recitare le poesie è stata la bravissima e giovanissima nipote dell’autore, Maria Gaetano.

Suor Ludovica, parlando del libro lo descrive come “un lungo viaggio verso il mare, dove, una volta arrivati e tuffatisi nella sua acqua cristallina, le storture della vita vengono lavate via”.

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Rodolfo Bagnato si sofferma, invece, sul rapporto con la Fede. Una fede salda, forte, che spinge “Penna Nera” a lasciare tutto ciò che gli è caro e familiare per cercare quelle risposte da poter tramandare poi, al genere umano. L’autore, Antonello De Sarro, ci racconta che questo libro è nato quasi da un’ispirazione, ha sentito il bisogno di scrivere questo libro mentre era in Germania, e la notte, a lume di candela, buttava giù le idee per questo racconto. Antonio Perri, editore, si sofferma anche sul rapporto del protagonista

stesso, ma per tutti gli altri, gli altri intesi come quelli diversi da noi, vuoi per un colore diverso della pelle, vuoi per un diverso modo di vivere la propria sessualità, vuoi per un diverso credo religioso. Antonello è convinto che la con il mondo che lo circonda. Lo descrive come un moderno Napoleone Bonaparte. “Penna Nera è nato in un mondo diverso da quello attuale in cui si trova a vivere, un mondo in cui la reciprocità, l’aiuto verso gli altri erano alla base della società civile. Oggi, invece, si trova a vivere in um mondo in cui prevale l’egoismo. La vittoria del singolo sulla collettività, un mondo che “Penna Nera” trova stretto. Non riesce più a guardarsi intorno senza far nulla. Ed ecco il desiderio dell’autore di ritrovarsi protagonista non per se

dalla prefazione:

esprimono la vera fratellanza. ...

NESSUNO Antonello De Sarro

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gr

praterie sconfinate nelle quali tante forme di vita e innumerevoli colori

Parlando con

e

con ingegno, grandi sacrifici e tanta laboriosità, comunità simili a delle

Ascolta la pioggia che cade silenziosa, così domani questa strada non sarà più polverosa e i tuoi occhi potranno guardare lontano, rispetta il colore della mia pelle, così domani i nostri figli cammineranno insieme senza pregiudizi, rispetta le mie idee, così domani sarai una persona migliore, rispetta il mio dolore così domani potrai capire chi viene da lontano e ha perso la sua identità tra le onde del mare, rispetta chi è arrivato prima di te e ora riposa nei libri di storia, rispetta il giorno e la notte, il sole la luna e le stelle, così domani vivremo in un mondo migliore, rispetta la mia diversità, così domani i tuoi occhi vedranno solo la normalità, rispetta le preghiere degli altri, così tutte le croci riposeranno in pace, rispetta tutti gli uomini e le donne che vivono intorno a te, tutte le forme di vita, le montagne piene di neve e le foreste che ti danno l’aria fresca della sera, rispetta e sarai rispettato.

Antonello De Sarro - Parlando con Nessuno

... Ma soprattutto consapevoli di avere conquistato la più grande certezza che consiste nel vivere la propria esistenza, sapendo di avere l’assoluto bisogno dell’universo circostante e dell’immensità che lo circonda. Persone che vivono nella terra di mezzo tra due mondi, grandi conoscitori del rispetto, che gli consente di camminare sopra questa terra, e non di calpestarla, persone ricche, non perchè hanno le tasche piene di soldi ma bensì capaci di dare un pò di quel poco che hanno a gli altri. Esseri umani partoriti per poi vivere dentro una società che chi prima di loro ha costruito


felicità non sta nell’accumulare averi per se stessi senza guardare in faccia nessuno, senza osservare la natura che ci circonda, la felicità è data da piccole cose, il profumo del caffè la mattina con la persona che si ama, il poter svegliarsi e ringraziare il “Creatore dell’Universo” per un altro giorno, l’aiutare gli altri senza chiedere nulla in cambio.

Una parte fondamentale del libro riveste la natura, come più volte sottolineato, la natura che è la “madre” di tutti, che conosce ciò che è stato e, attraverso i suoi racconti, cerca di spingere “Penna Nera” a riportare gli uomini sulla giusta strada. In fondo, ci ricorda l’autore, la natura c’è stata prima di noi e ci sarà dopo di noi.

Antonello De Sarro nato a Nicastro il 18 settembre del 1963.

Parlando con

NESSUNO Antonello De Sarro

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Un uomo che, dopo aver visto tanto fare e ascoltato tanto dire, si è messo in cammino lungo un sentiero, percorso da parlatori silenziosi come lui. Un uomo che, a modo suo, si consi-

dera un artigiano della parola, vissuto tra il mondo vecchio e quello nuovo, nella terra di mezzo, in quel luogo dove le esperienze gli hanno insegnato ad amare l’universo circostante nel rispetto e nella pace.

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amici della terra

INFORMARE SUGLI EFFETTI DEGLI EVENTI NATURALI PER PREVENIRE I DANNI ED ACCRESCERE LA RESILIENZA di Mario Pileggi Per porre fine alla rassegnata passività attribuita ai calabresi e per accrescere la resilienza delle popolazioni bisogna far conoscere a tutti i prevedibili effetti degli eventi naturali e i mezzi disponibili per prevenire gli effetti dannosi che possono determinare. Tra gli eventi naturali ai quali sono esposte le popolazioni del lametino come è noto che ci sono i terremoti. E l’ultimo evento avvertito nel 2020 da molti anche nel lametino è quello di magnitudo Mw 3,8 registrato poco dopo la mezzanotte del 17 gennaio scorso con epicentro e nella zona di Albi. Sulla particolarità di questo evento di modestissima entità e con epicentro non vicino ai centri urbani di Lamezia Terme sono significative le due mappe ricostruite sulla base dei questionari compilati tramite internet e pubblicate dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) subito dopo e riportate di seguito. Come si può notare sia nella mappa con

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la percentuale di scuotimento di porte e finestre sia in quella degli effetti, in corrispondenza del comune di Lamezia Terme si segnala una condizione simile a quella più prossima all’epicentro. È anche da evidenziare che le moltissime decine di scosse che interessano la zona di Albi, limitrofa alle tre province di Catanzaro, Crotone e Cosenza, mentre suscitano interrogativi e qualche timore in alcuni cittadini non sembrano di magnitudo sufficiente a sollecitare classi dirigenti regionali e nazionali ad agire per prevenire i danni. Come è avvenuto per le scosse d’autunno seguite a quella di magnitudo 4,4 del 25 ottobre scorso con epicentro nel Tirreno meridionale che portò alla sospensione della circolazione ferroviaria tra Sapri e Paola e alla chiusura delle scuole di alcuni comuni. In pratica si continua a non informare e preparare le popolazioni esposte sul che fare prima durante e dopo per fronteggiare la naturale attività sismica del territorio connessa ai ben noti e inarrestabili processi geodinamici in atto. E si continua a non agire per mettere in sicurezza gli edifici pubblici, in particolare scuole ed ospedali, le opere stradali e ferroviarie non idonee a resistere a terremoti come quelli del passato. Scosse con le quali dobbiamo imparare a convivere realizzando i necessari e molteplici interventi di prevenzione idonei ad evitare quegli incubi notturni che ha dichiarato più volte di avere avuto l’attuale Capo della Polizia Gabrielli quando era a Capo della Protezione Civile. Al momento, rispetto alla condizione che non faceva dormire sonni tranquilli al Capo della Protezione Civile Gabrielli, di nuovo c’è qualche risorsa finalizzata all’adeguamento sismico di alcuni edifici pubblici e il recente annuncio di apertura di una nuova sezione dell’INGV a Cosenza. Le attività di ricerca e servizio dello stesso INGV si svolgono presso le Sezioni, unità organizzative tecnico-scientifiche e presso i Centri dedicati ad attività specifiche; e le sezioni INGV coinvolte sono: Sezione Osservatorio Nazionale Terremoti, Sezione di Roma1, Sezione di GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

Napoli (Osservatorio Vesuviano), Sezione di Catania (Osservatorio Etneo), Sezione di Milano, Sezione di Palermo, Sezione di Roma2, Sezione di Bologna e la Sezione di Pisa aperta di recente. L’annunciata Sezione di Cosenza sarebbe la prima nella regione più esposta al rischio e con tutti i comuni a più elevata pericolosità sismica del BelPaese. Una Sezione attesa da tempo e giustificata dalla rilevanza e specificità geotettonica del contesto Geologico-strutturale dell’Arco Calabro-peloritano. Una specificità, tra l’altro, motivata dal fatto che tra gli otto terremoti e maremoti più disastrosi e di massima intensità elencati nei più aggiornati Cataloghi italiani, quattro, in pratica il 50%, sono localizzati nel territorio calabrese. E che il terremoto del 1905 con epicentro nel Golfo d Sant’Eufemia, oscurato dagli effetti disastrosi del successivo terremoto del 1908, viene considerato quello con la magnitudo più grande mai registrata strumentalmente in Italia (Ml =7.9,secondo DUNBAR et al., 1992; Ms=7.47, secondo Margottini et al., 1993; CPTI99); una magnitudo maggiore di quella calcolata per il catastrofico evento di Messina del 1908 valutata Ms=7.32 da Margottini et al., 1993. A rendere elevato il rischio sismico in Calabria concorrono vari fattori: attività sismica, patrimonio edilizio degradato e inidoneo a resistere a scosse come quelle del passato, dissesto idrogeologico e impreparazione delle popolazioni esposte. La pericolosità è legata al movimento della crosta terreste che provoca decine di migliaia di scosse ogni anno; movimenti e scosse documentati sia sulle rocce e dalla storia umana sia da moderni strumenti di misura. Evidentemente sulla pericolosità non possiamo fare nulla perché non possiamo fermare il movimento della Terra. Mentre si può e si deve molto per la messa in sicurezza del patrimonio edilizio e del territorio e per salvaguardare la vita delle popolazioni esposte. .D’altra parte la rilevanza dei processi Lamezia e non solo


geodinamici nella regione emerge dall’entità dei molteplici movimenti rilevati. Movimenti sia di sollevamento, dell’ordine di un metro ogni mille anni, sia di spostamenti orizzontali di un metro ogni cento anni, nello zona dello Stretto di Messina. Si stima che l’Aspromonte negli ultimi 700 mila anni si sia sollevato di circa 1.500 metri; la Catena Costiera di oltre 600 metri; la Catena del Pollino di oltre 500 metri e la Sila di circa 500 metri. Questi dati si riferiscono ad un intervallo di tempo, geologicamente, molto breve e successivo ad altri periodi ed ere caratterizzate da movimenti ancora più rilevanti. Il territorio nazionale, secondo la più recente normativa antisismica, è suddiviso in 4 categorie: - Zona 1: la più pericolosa, dove possono verificarsi forti terremoti; comprende in tutta l’Italia 708 comuni dei quali, circa un terzo, 261 sono in Calabria. - Zona 2: dove possono verificarsi terremoti abbastanza forti e comprende complessivamente 2.345 comuni dei quali 148 della Calabria. - Zona 3: soggetta a scuotimenti modesti e comprende 1.560 comuni. - Zona 4: la meno pericolosa con 3.488 comuni dove le possibilità di danni sismici sono basse. In pratica, i comuni della Calabria ricadono tutti nella prima e seconda zona, quelle più pericolose. E nei 261 comuni a più elevata pericolosità sono compresi 4 capoluoghi di provincia. Sulla idoneità l’idoneità sismica del patrimonio edilizio realizzato nel secolo scorso è da considerare che l’aggiornamento della precedente classificazione ha comportato il passaggio di ben 114 comuni, tra cui Cosenza e Lamezia Terme, dalla seconda alla prima categoria, quindi, negli stessi 114 comuni, anche dove si è stata rispettata la normativa sismica vigente, si è progettato con margini di sicurezza inferiori a quelli ritenuti successivamente necessari. L’attuale Governo nazionale, definito come il più numeroso di ministri meridionali non può continuare a trascurare o sottovalutare che l’attuale condizione di dissesto idrogeologico della regione predispone, in concomitanza di inevitabili eventi naturali, a disastri di proporzioni enormi. Sull’entità delle masse di terreno soggette a scivolare, oltre alla frana di Maierato nota in tutto il mondo, sono significative le raffigurazioni dei dissesti innescati Lamezia e non solo

dalla sequenza dei terremoti del 1783, e riportate nei rapporti degli scienziati di ogni parte d’Europa. Dissesti e scivolamenti di masse così rilevanti da far insorgere, tra l’altro, numerose dispute legali tra i proprietari di terreni coltivati a piante arboree poste in alto e i proprietari di altri terreni più a valle dove erano scivolate le stesse piante. Lunghe dispute legali, trascinate e documentate fino ai primi decenni del 1800, e tese a stabilire se le piante traslate in basso restavano all’originario proprietario dell’area che stava in alto prima della frana, oppure erano da attribuire al proprietario della sottostante superficie dove erano scivolate le stesse piante. È vero che non è possibile prevedere quando e come si manifesterà il prossimo terremoto; ma è altrettanto vero che esistono le condizioni per arrivare preparati ed affrontarlo come si fa in altri Paesi, ad esempio, gli Stati Uniti ed il Giappone con attività sismica superiore a quella della Calabria. Per arrivare preparati, bisogna darsi una mossa: oltre agli interventi di risanamento e di bonifica sismica del patrimonio edilizio esistente ed in particolare delle costruzioni di maggior rilievo e più esposte al rischio di crollo, è necessario porre, ad ogni livello di responsabilità, adeguata attenzione ai vari aspetti della moderna attività di Protezione Civile. In particolare, è necessario intensificare e potenziare una capillare azione di sensibilizzazione e di crescita della coscienza sismica di massa indispensabile per attuare una razionale, estesa ed efficace rete di Protezione Civile. Nel caso di un evento sismico di grandi dimensioni, qualunque struttura di protezione civile, benché organizzatissima, impiegherà sempre diverse ore prima di poter essere completamente operativa nella zona del disastro. In questo periodo è necessario che l’aiuto ed il soccorso alla popolazione arrivi dal sistema locale. Per tale motivo è necessario che la pianificazione comunale di emergenza sia aggiornata, divulgata e resa nota ai cittadini. Ognuno di noi può e deve sapere cosa fare e dove recarsi nella malaugurata ipotesi che la propria abitazione venga irreparabilmente danneggiata da un evento sismico. Continuare a sottovalutare queste necessità, fare come gli

struzzi senza contrastare atteggiamenti di rassegnata passività è, a dir poco, da irresponsabili. Così come non è responsabile l’atteggiamento di chiunque trascura che le situazioni di emergenza possono verificarsi in qualunque posto ed in qualsiasi momento. La storia dell’attività sismica della regione e le varie scosse del 2020 rappresentano ulteriori solleciti a muoversi e presto, a Roma e in ogni comune, per realizzare sia interventi di consolidamento sia attività continue di informazione ed esercitazione in ogni contesto, dalle scuole ai luoghi di lavoro, dai singoli quartieri agli interi comuni, e, quindi, attrezzare i singoli cittadini e le comunità a convivere con i terremoti e ad affrontare in sicurezza l’emergenza terremoto. Per favorire la resilienza è inoltre da ricordare che alla specificità degli assetti geostrutturali e ai processi geodinamici che caratterizzano il Territorio dell’Arco Calabro-Peloritano, oltre all’attività sismica, sono da associare importanti «ambienti geodinamici» che presiedono alla formazione degli accumuli di minerali utili e, quindi, alla grande varietà di minerali e rocce esistenti nella regione. In pratica, la Calabria, oltre ad essere la regione a più alta sismicità, è anche una delle realtà del BelPaese più ricche di depositi minerari metallici e litoidi e di acque termali. La rilevantissima disponibilità ed utilizzazione dei preziosi giacimenti minerari, in particolare nel territorio dell’antica Provincia di Catanzaro, sono ampiamente documentati dalla Storia umana e geologica dello stesso territorio.

Geologo Mario Pileggi

del Consiglio Nazionale di “Amici della Terra”

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Il nostro territorio

Corso Numistrano il più importanti e prezioso bene culturale di Lamezia Terme da tutelare, conservare, valorizzare. di Giuseppe Sestito

Corso Numistrano di Nicastro è il monumento, non tra i più preziosi e belli di Lamezia Terme, ma il più prezioso, bello e significativo della Città. Quanti dei suoi abitanti ne conoscono la derivazione del nome? Non si chiama Numistrano perché, come alcuni pensano, sia stato intestato ad un inesistente santo che portava questo nome; né, come immaginano tanti altri, perché dedicato ad un illustre suo concittadino vissuto negli anni anteriori al primo ‘800 quand’esso fu costruito. Deriva, invece, il nome Numistrano del Corso, dalla credenza, <<introdotta da Gabriele Barrio (1506 circa – 1577 circa), portata avanti da Giovanni Fiore da Cropani (1622 – 1683) e fatta propria da Pasquale Giuliani (1833 - 1884), che Nicastro fosse una città abitata nell’antichità dagli Ausoni o dagli Enotri. Aggiunge il Barrio che la città appena fu fondata “da principio venne detta Numistro”>>. Sulla base di questa specie di fola, tramandata nei secoli dagli eruditi, soprattutto locali, il Corso più importante di Nicastro, allorchè venne edificato, fu chiamato Numistrano, appunto. Esso costituisce, tuttavia, il “regalo” più bello e, ripeto, più significativo e prezioso, che i nostri avi abbiano saputo costruire, conservare a trasmettere alle generazioni che si sarebbero succedute dopo di loro perché queste, a loro volta, lo tutelassero e lo trasmettessero, integro, alle generazioni future. Oggi, con grande rammarico e sofferenza, dobbiamo constatare ch’esso è stato trasformato, dall’incuria delle amministrazioni comunali che si sono susseguite negli ultimi decenni e pag. 8

nell’indifferenza generale della comunità sociale lametina, in una invereconda area di parcheggio su entrambi i lati, per le macchine e, di quello che rimane al centro, in una carreggiata per il transito 24 ore su 24 dei veicoli di ogni marca, specie e dimensione. Sia nei giorni feriali che in quelli festivi. Un’autentica schifezza, uno squallore indicibile ed insopportabile. Corso Numistrano andrebbe, invece, trasformato in isola pedonale con il divieto assoluto di transito e parcheggio, con l’eccezione della sosta temporanea per il carico e lo scarico di merci e quant’altro possa interessare gli ormai residui negozi che vi sono rimasti nonchè i residenti delle abitazioni.

Va conservato, Corso Numistrano, nel senso che se ne deve “mantenere l’integrità, l’identità e l’efficienza funzionale”; va riqualificato ed, infine, valorizzato e ridato alla fruizione dei cittadini lametini. Deve cioè ridiventare il “Salotto della GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

città”, luogo d’incontro tra le persone, d’intrattenimento, di socializzazione, di passeggio. C’è chi sostiene che, se una futura, coraggiosa amministrazione dovesse essere capace di adottare un simile provvedimento di trasformazione in isola pedonale, avrebbe contro l’opposizione dei negozianti. Di quali negozianti? Degli sparuti che vi sono rimasti? Se veramente ci fosse questa opposizione, ma io ne dubito, bisognerebbe rispondere a questa domanda: <<sarebbe utile per l’intera cittadinanza, e moralmente lecito, sacrificare l’interesse generale per l’ingordigia e gli interessi di pochi?>>. E’ risaputo, invece, che le piazze ed i corsi di tutte le città nelle quali i luoghi d’interesse generale e d’intrattenimento pubblico sono stati chiusi al traffico e convertiti in isole pedonali, gli affari dei commercianti che vi sono allogati sono cresciuti non diminuiti. Bisognerebbe insomma intervenire, come si fece, a suo tempo, per Corso G. Nicotera dall’Amministrazione Lo Moro negli anni ’90 del secolo scorso. Quel pezzo di Corso intestato al combattente sambiasino per l’Unità d’Italia, è diventato il migliore spazio pubblico che esista a Lamezia, insieme a Piazza Fiorentino di Sambiase e a Piazza Italia di Sant’Eufemia Lamezia. Piazze entrambe trasformate in isole pedonali. L’amministrazione che adottò quel provvedimento porta però la responsabilità “storica” di non aver completato l’opera chiudendo al traffico anche il Numistrano. Non solo, ma - impedendo, sebbene parzialmente, il transito veicolare anche lungo la piazza Lamezia e non solo


sottostante, Felice Sacchi, sede fino ai primi decenni del secondo dopoguerra del Mercato nicastrese, e facendovi costruire persino una specie di deforme “vasca/fontana”, inutile a qualsivoglia scopo ed unicamente ricettacolo di immondizie e rifiuti d’ogni genere, sdraiata per alcuni metri e risultante al di fuori di ogni contesto urbanistico preesistente, risalente all’inizio dell’ Ottocento - ha fatto sì che l’intero traffico venisse dirottato sul Corso Numistrano, Centro storico di Nicastro, di fatto trasformandolo nell’area indecente di parcheggio di cui tutti, lametini e turisti di passaggio, possono adesso ammirarne la bellezza. Tante città, grandi e meno grandi della Calabria, hanno saputo fare dei loro corsi o delle loro piazze principali un gioiello di decoro e ritrovo pubblico con l’assenza totale di transito e parcheggio veicolare. Basti citare Piazza Matteotti a Catanzaro, Corso Garibaldi e lo splendido Lungomare a Reggio Calabria, Corso Mazzini a Cosenza. Ma anche la piazza principale di Pizzo Calabro, il corso di Amantea, quello di Tropea. Tanto che, in estate, nei mesi di massima esplosione turistica, luglio ed agosto, quando alle 10 di sera il Numistrano di Lamezia è privo di gente, risulta essere più del deserto del Sahara ed è attraversato solo dai veicoli delle persone rimaste in città, le piazze ed i corsi di Pizzo, Tropea, Amantea, per citare solo quelle delle cittadine più vicine a noi, sono affollatissimi di gente e turisti provenienti da tutte le parti che, fino alle prime luci dell’alba, possono tranquillamente divertirsi, godere, conversare, trastullarsi in compagnia di amici e parenti. Ed assaporare un gustosissimo tartufo, se dovessero trovarsi nella cittadina tirrenica in cui fu catturato e giustiziato Gioacchino Murat. Solo Lamezia, dunque, una delle maggiori città della Calabria per numero di abitanti, ha mantenuto lo sconcio di un corso, di per sè bellissimo, con pochi eguali nel resto

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della Calabria, in cui tutto è permesso ai veicoli di ogni genere, anche la sosta in duplice e triplice fila, e nulla ai cittadini. Ad essi, ai cittadini, cioè, è solo consentito di bascularsi da un capo all’altro, ma assiepati e costretti sui marciapiedi laterali con il disgusto di doversi spesso scontrare tra di loro allorchè essi sono particolarmente affollati. Mi auguro vivamente, dunque, che il flebile senso civico che contraddistingue i comportamenti pubblici dei cittadini di Lamezia, che “vivono tranquillamente nel ventre della vacca senza accorgersene”, abbia un sussulto di dignità civica ed amore per le cose belle della nostra città e non faccia cadere nel vuoto questa urgente necessità. Ma si crei un movimento d’opinione pro-Corso Numistrano che induca l’amministrazione comunale, che si è insediata da alcuni mesi, a porre nel proprio programma la ricerca dei fondi necessari per intervenire anche con operazioni di restauro e manutenzione. Affinchè venga allontanato per sempre il pericolo che, diventa sempre più incombente se si continua con la solfa di questi ultimi decenni, fino ai nostri giorni, che il Numistrano cada progressivamente e sempre più velocemente in uno stato di abbandono con conseguente, irreversibile

degrado. Com’è successo, d’altronde, per l’attuale via Garibaldi, anch’essa abbastanza lunga e bella che, prima che il Numistrano venisse costruito, era il corso principale della vetusta città di Nicastro (la sua fondazione risale la IX secolo d.C.), fiancheggiata su entrambi i lati, dall’inizio di Piazza Stocco al suo punto terminale, dove principia via Santa Lucia, da bellissimi palazzi, alcuni dei quali gentilizi, ed altri sede, in quell’epoca, dei principali uffici amministrativi, Palazzo Comunale e Tribunale compresi. Concludendo: poiché il sindaco Mascaro ha manifestato l’intenzione d’ “intervenire, attingendo ai fondi dell’Agenda Urbana, POR Calabria 2014-2020, per la rigenerazione urbana del Palazzo di Città e del Palazzo ex anagrafe”, nonché per il “recupero funzionale ed il riuso del Teatro Umberto”, che sono allogati tutti e tre, guarda il caso!, lungo il Corso Numistrano, non sarebbe logico e lungimirante, intervenire immediatamente per la rigenerazione urbana, in primis, del Corso Numistrano, appunto, chiudendolo al traffico, trasformandolo interamente in isola pedonale ed effettuando tutte quelle piccole o meno piccole opere di restauro e riqualificazione (quale ad esempio, una risistemazione del manto stradale, ove occorresse…) che si dovessero rendere necessarie per restituirlo al completo godimento ed alla gioia dei suoi abitanti? Penso che questa sarebbe l’operazione più opportuna – intelligente? - che di più e meglio avrebbe influenza sul decoro dell’intera città. E credo, infine, che la citata operazione darebbe più merito al sindaco ed alla sua giunta comunale che se, insieme, riuscissero a concretizzare l’intera quintalata di progettazioni che il primo cittadino ha elencate nel programma con cui si è presentato per ottenere il voto dei lametini ed ha promesso di realizzare per rendere Lamezia la città bella, che a suo dire, tutti c’invidiano (sic!).

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associazionismo

UNITER. Il monumentale romanzo “Oga Magoga” di Giuseppe Occhiato nella relazione del prof. Emilio Giordano. di Giovanna Villella

Incontro culturale di grande spessore all’UNITER in occasione del XXXI Anno Accademico. Ospite il prof. Emilio Giordano con una relazione dal titolo Un classico dei nostri tempi: Giuseppe Occhiato e la scrittura di Oga Magoga. Il prof. Giordano è stato affiancato dalla prof. ssa Anna Stella Scerbo che ha offerto un suo personale contributo all’opera di Occhiato, scrittore calabrese nato a Mileto nel 1934 e morto a Firenze nel 2010. “Chi di voi conosce uno scrittore di nome Giuseppe Occhiato? - così la prof.ssa Costanza Falvo D’Urso, presidente dell’UNITER, introduce l’ospite - È la domanda posta da Antonio Moresco, scrittore, e da Vito Teti, docente Unical, e che io ho fatto mia e pongo a voi. La risposta: pochi o nessuno, eppure Occhiato è uno scrittore di grande valore, scomparso prima che i critici e i lettori si rendessero conto della sua bravura e del suo talento, del contributo che egli ha dato alla storia del romanzo del ‘900.[…] L’incontro di oggi è molto importante perché il professor Emilio Giordano e la professoressa Anna Stella Scerbo ci aiuteranno ad accostarci alla lettura di questo monumentale romanzo per non perdere niente di tutti gli incanti nascosti nel testo, ci suggeriranno di leggerlo lentamente soffermandoci a lungo sulle pagine o sulle frasi o su una parola per captare l’eco di una lontana cadenza musicale.” Il prof. Emilio Giordano, riprendendo il titolo della relazione, inizia citando Calvino e la sua definizione di “classico”. Che cos’è un classico? È il libro che si legge e rilegge, ogni rilettura è come una prima lettura perché può rivelare cose nascoste e ogni lettura e come se fosse una rilettura perché succede alle tante letture che si sono avvicendate nel tempo. Il classico può a volte stabilire con il lettore un legame così forte per cui il libro diventa per il lettore una sorta di “opera-mondo” cioè il mondo descritto da un autore in cui il lettore si riconosce. Un classico entra sempre in contraddizione con il suo tempo, con la modernità. Infatti, nel momento in cui leggiamo il classico la modernità diventa un rumore di fondo in una stanza e quando la modernità riesce, invece, a catturare l’attenzione del lettore, il classico non sparisce ma è un rumore di fondo che fa nascere in noi rimorsi. Perché leggere un classico allora? Perché, come dice Calvino, è meglio leggere i classici che non leggerli. Nel libro Opere-Mondo. Saggio sulla forma epica dal Faust a Cent’anni di solitudine, Franco Moretti definisce questi classici assoluti “monumenti”, “testi sacri dell’Occidente pag. 10 e non solo Lamezia

moderno” che la storia letteraria non sa bene come classificare o collocare trattandoli alla stregua di fenomeni isolati, stranezze, anomalie e ne elenca otto: Faust, Moby Dick, L’anello del Nibelungo, Ulisse, Cantos, La terra desolata, L’uomo senza qualità, Cent’anni di solitudine. Occhiato, dopo la prima pubblicazione di Oga Magoga in 3 volumi di 1385 pagine, rendendosi conto della complessità del suo libro scrive l’opuscolo “Appunti per la lettura di Oga Magoga” ovvero una guida alla lettura del romanzo che veniva continuamente aggiornata. E in questo opuscolo elenca le opere che sono state fondamentali nella sua vita e tre coincidono con le otto indicate da Moretti Moby Dick, Ulisse, Cent’anni di solitudine. Gli altri testi sono l’Odissea, il Guerin meschino e l’Orlando Furioso (il libro più amato da Occhiato). Le “opere- mondo” costituiscono le fonti del romanzo di Occhiato, un’opera impegnativa, un classico dei nostri giorni. Furio Jesi, un grande studioso di miti morto nel 1980, a soli trentanove anni, nel saggio Orfani e fanciulli divini che è il titolo della sua introduzione alla raccolta Letteratura e mito scrive che nei momenti di passaggio da una civiltà che tramonta ad una che appare all’orizzonte, lo scrittore spesso inventa la figura di un orfano. L’orfano è colui che conosce gli oggetti e le cose del mondo che è tramontato e ha gli occhi per riconoscere quelli del mondo che sta nascendo. Occhiato, che descrive il tramonto del mondo contadino, non ha la necessità di inventare la figura di un orfano perché l’orfano, protagonista del suo romanzo, è lo scrittore stesso e questo stabilisce un legame diretto con la sua vita. Il padre è fidanzato con Teresa Currà che muore improvvisamente di polmonite e così si fidanza con la sorella minore di Teresa, Maria Elsa. Ma Giuseppe rimane orfano a tre anni e viene affidato, insieme alla sorella, alla nonna

Antonia sposata ad un ex seminarista, uomo colto che legge alla moglie, semianalfabeta, i classici e la nonna che ha una memoria formidabile è una grande novellatrice. Nel ‘43 Occhiato, che ha solo nove anni, ricorda gli sfollamenti della guerra e di quel mondo sottosopra ne rammenta non solo la paura ma anche la dolcezza. La memoria di quei giorni gli rimane “rannicchiata negli archi del petto” e la sua missione nella vita è propria quella di mettere sulla carta, di ricostruire quel mondo che poteva essere ricostruito soltanto recuperando la lingua che si parlava in quel tempo, nella assoluta consapevolezza che recuperare una parola dialettale significava far emergere dal passato un mondo che andava sparendo. Nato come una biografia, il libro diventa così un’opera monumentale a cui egli dedica tutta la sua vita pur lavorando come dirigente scolastico. Del libro esistono quattro redazioni in versi con rime casuali ma quello che colpisce è una musica, un ritmo interno che si conservano anche nel passaggio alla prosa (1954-1981). Il primo titolo era Orì, nome della zingara che porta alla rovina il protagonista. Nel 1981 l’opera viene inviata senza successo a qualche editore. Scoraggiato cerca di raccontare la vicenda in un altro modo e scrive Carasace, storia della strage avvenuta nella contrada omonima poi rivisto e pubblicato con altro titolo Lo sdiregno (Edizioni Illisso – Rubbettino Soveria Mannelli, 2006). In seguito, durante una visita al mercato degli zingari, l’incontro con una zingara che nelle fattezze e nella bellezza è identica ad Orì, la protagonista del suo romanzo, lo turba molto. È un segno, Orì gli chiede di non essere dimenticata. Alla fine del decennio riprende la scrittura del romanzo con un nuovo titolo Cunto di Rizieri, di Orì e del minatòtaro che diventerà poi il sottotitolo del definitivo Oga Magoga.

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scuola

#cantierescuola di Teresa Goffredo La Scuola, da sempre, è considerata un cantiere in continua evoluzione. Molti sono coloro che continuano a invocare un cambiamento e tante sono state le trasformazioni che la Scuola ha subito e continua a subire. Alcuni aspirano a una scuola “divertente “ opposta alla scuola “noiosa”, a un luogo, quindi, che si presenti accattivante a studentesse e studenti. Ma cosa si cerca realmente? Cosa desiderano gli studenti? E i genitori? E cosa offrono i docenti? Insegnare è un compito arduo e difficile che implica una grande passione e dedizione verso i giovani! A mio parere, noi abbiamo una Scuola lodevole, per molteplici e lapalissiani aspetti, con docenti professionalmente validi e capaci, che andrebbero sostenuti e apprezzati… soprattutto dalle famiglie! Il problema è legato a qualche retaggio cattedratico che si annida ancora in qualche liceo dove alcuni docenti (per fortuna pochi!) credono ancora che il docente sia un mero trasmettitore di contenuti. Bisognerebbe scrollarsi di dosso qualche stereotipo e cominciare finalmente a collegare ciò che si insegna in segnaletica orientativa per la vita futura dello studente. Moltissimi docenti, soprattutto d’Istituti periferici o tecnici e professionali, riescono, con grande maestria, a raggiungere questi traguardi! Docenti, spesso esposti al dileggio, costruiscono un ambiente di lavoro motivante ed entusiasmante con successi formativi di Oga Magoga è un’espressione di origine biblica riportata nelle profezie di Ezechiele ad indicare il male assoluto e qui il male assoluto è il Minotauro, mostro che proviene dal sottosuolo, dalla notte dei tempi. Il libro esce nel 2000 in 3 volumi con scarso successo ma nel 2003 riceve il Premio Alvaro. Il romanzo è diviso in 4 parti, ogni parte prende il nome di una stella e in ognuna di queste stelle c’è l’immagine di una donna Stilla Farota (ninfa Calipso), Stilla Diana (Dianora, fidanzata di Rizieri), Stilla Oriana (Orì, la zingara), Stilla Vavara (la Madonna). Ambientato a Mileto e nei paesi limitrofi nell’estate del ’43, il romanzo racconta, attraverso gli occhi di un bambino di nove anni, la storia di Rizieri Mercatante, un falegname di 23 anni partito per la guerra che ritorna al suo paese in licenza e lo trova terrorizzato dal Minotauro. Rizieri è il falegname, il soldato ma è anche Ulisse e Teseo che si lascia sedurre da Arianna/Orì e come Gesù accetta la settimana della sua passione e la morte. Morte che è presente fin dalla prima pagina e che ritorna nel corso nella narrazione metamorficamente sotto varie forme. Non c’è resurrezione nel romanzo. La grandiosità dell’opera di Occhiato

qualità! Capire ciò e attuare questo percorso didattico fa accedere alla comprensione e far comprendere che bisogna smettere di esibirsi in soliloqui egocentrici in cui il docente crede di essere depositario di grandi messaggi universali e lo studente avverte, conseguentemente, un triste vuoto finendo con l ‘ estraniarsi. Mi viene in mente Italo Calvino che nel narrare di due merli scrive “Il problema è capirsi. Oppure nessuno può capire nessuno: ogni merlo crede d’aver messo nel fischio un significato fondamentale per lui, ma che solo lui intende; l’altro gli ribatte qualcosa che non ha relazione con quello che lui ha detto; è un dialogo tra sordi, una conversazione senza né capo né coda. Ma i dialoghi umani sono forse qualcosa di diverso?” (Il Fischio del Merlo) Insomma, sforziamoci nel creare una scuola interessante in cui lo studente sia catturato e trascinato in un narrato che lo coinvolga attivamente, magari utilizzando anche la didattica digitale (non come soluzione, ma come aiuto) e le famiglie siano più attente all’acquisizione di competenze e non di numeri. Solo così potremo dare dignità all’ apprendimento e far tacere il clangore contro il caro, ma bistrattato insegnante. “E se fosse nella pausa e non nel fischio il significato del messaggio?” (Italo Calvino)

richiama quella di un altro grande romanzo Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo (1975) e anche se i due non si sono mai incontrati possono essere considerati “fratelli d’anima”: D’Arrigo con lo sguardo rivolto al mare e alle sue creature, Occhiato con lo sguardo rivolto alla terra dei padri, alla sua Mileto e ai paesi limitrofi. In entrambi due “esseri” portatori di morte: l’Orca marina e il Minotauro anche se in Horcynus Orca è assente la dimensione religiosa. Il volume La grande magia - Mondo e Oltremondo nella narrativa di Giuseppe Occhiato a cura di Emilio Giordano e Gennaro Oriolo, che raccoglie numerosi saggi di importanti critici letterari e docenti universitari, è un testo essenziale per capire l’opera dello scrittore di Mileto unitamente ad un altro prezioso testo di Emilio Giordano: I mostri, la guerra, gli eroi che introduce il lettore alla comprensione e al piacere della lettura. Grande merito dunque al prof. Giordano la cui missione è far conoscere e divulgare il senso e la grandezza dell’opera di Giuseppe Occhiato, “scrittore immenso” - secondo la definizione di Vito Teti – che Giordano ha conosciuto e di cui ha curato la seconda edizione di Oga

Magoga pubblicato da Gangemi nel 2019. Al termine della relazione del prof. Giordano, il breve ma pregnante intervento della prof.ssa Anna Stella Scerbo “Sulle tante definizioni che sono state date riguardo a questo immenso libro credo mi appartenga quella che pensa ad Oga Magoga come ad una straordinaria opera di poesia non perché Occhiato abbia scritto in versi le sue prime stesure ma proprio perché Oga Magoga è poiesis cioè movimento del farsi, del venire alla luce. Ciò che Occhiato fa venire alla luce è il senso della nostra primigenia natura, del nostro lontano, antichissimo essere in un quadrato ideale che Heidegger indicava come quadrato di cielo, di terra, di umano e di divino. Oga Magoga è questo, è equilibrio, armonia, bellezza... Ma Oga Magoga è anche un libro complesso perché ha più livelli di lettura e la poesia la fa da padrona. Ed è un libro necessario, non dobbiamo avere paura di leggerlo perché ci ritroviamo sempre, come nel Gioco del Mondo di Cortàzar e la morte non è solo Cannizzara e Nasomangiato ma morte sacrale, religiosissima. Questo è l’incanto di Oga Magoga”.


Spettacolo

Vacantiandu. “Due donne di provincia” uno spettacolo tutto al femminile della compagnia lombarda Primadonne al Gran Premio Teatro Amatoriale Italiano

di Giovanna Villella

Lamezia Terme, 18 gennaio 2020. Prosegue la V edizione del Gran Premio Teatro Amatoriale Italiano con la Compagnia Primadonne di Cremona (Lombardia) che ha portato in scena, al Teatro Comunale Grandinetti di Lamezia Terme lo spettacolo Due donne di provincia di Dacia Maraini, regia di Marinella Pavanello. La manifestazione, organizzata a livello nazionale dalla Federazione Italiana Teatro Amatori (FITA) e ospitata per la prima volta in Calabria, è inserita nella rassegna teatrale Vacantiandu 2019.2020 con la direzione artistica di Diego Ruiz e Nico Morelli e la direzione amministrativa di Walter Vasta. Un letto coperto di lenzuola nere occupa il centro della scena, a destra una cucina laccata di rosso e, ovunque, oggetti sparsi come macerie. Magda e Valeria entrano dalla platea e si avviano in quella scatola nera, spazio fisico e metafisico che le accoglie come un grembo. Magda e Valeria, due donne, due amiche che si ritrovano dopo tanto tempo. La cifra registica di Marinella Pavanello privilegia il lato intimista del testo pur attraversato da incursioni ironiche che tentano di infrangere il buon senso e il pregiudizio. Molto convincente l’interpretazione di Maria Angela Bartoli (Magda) ed Enza Latella (Valeria) che portano in scena due donne “normali” riconoscibili a qualsiasi latitudine. Ma la differente condizione di Magda e Valeria, opposte per carattere, educazione ricevuta e vocazione di vita, nasconde una dimensione segreta della narrazione, una loro specularità assoluta che fa desiderare all’una di vivere la vita dell’altra. Il loro raccontarsi è lacerato da ricordi d’infanzia, confidenze, recriminazioni, pause, interruzioni, spazi aperti da cui prorompono possibilità alternative di vita per i personaggi che si

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mostrano come eversori di un universo di valori consolidati per poi ritornare nella comfort zone della loro quotidiana esistenza borghese. Senza chiusura il finale con un abbraccio che resta sospeso, incerto: “Ci rivedremo Magda?” / “Non lo so”. Il racconto di una amicizia al femminile che, scritto nel 1973, mostra la sua bruciante attualità perché ancora oggi è difficile parlare di amicizia e di solidarietà tra donne, specie in questa nostra contemporaneità sfilacciata e dominata dalla tecnologia che amplifica il fenomeno del catfight. È così che viene chiamato il litigio tra due donne: catfight “guerra tra gatte”. Un topos ricorrente nella cultura pop, uno schema che si ritrova in film, telefilm, reality show, video web. Come scrive la professoressa Shawn Andrews in un articolo su Forbes “Esiste una legge naturale invisibile nella cultura femminile che contribuisce a modellare il modo in cui le donne interagiscono con le altre donne sul lavoro e nella loro vita personale. Si chiama ‘regola del potere tra pari’”. La regola coniata da Pat Heim - prevede che, a livello inconscio, i rapporti femminili funzionino bene solo quando potere e autostima si mantengono pari: se una delle donne rompe l’equilibrio, le altre si sentono in diritto di ostracizzarla o sminuirla. Una regola che dovrebbe essere mutata in “regola del rispetto tra pari” perché la capacità femminile di fare squadra e di sostenersi a vicenda può realizzarsi solo attraverso la condivisione di un valore imprescindibile: la sorellanza. La Compagnia Primadonne con Due donne di provincia rappresenta la Lombardia, sesta tra le 14 regioni italiane selezionate a partecipare alla V edizione del Gran Premio del Teatro Amatoriale Italiano.

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Fondato nel 2001, il Gruppo Teatrale Amatoriale Primadonne propone percorsi di teatro che spaziano dal puro intrattenimento alla prosa seria con un ampio repertorio di testi teatrali, letture drammatizzate, monologhi, dialoghi. Nel corso della sua intensa attività teatrale ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti e annovera in repertorio spettacoli di autori sia italiani (Bellei, Benni, Campanile, Nicolaj) sia stranieri (Joe Orton, Derek Benfield, Edgar Lee Master) con testi anche impegnativi per una compagnia amatoriale. Maria Angela Bartoli che ricopre il ruolo di presidente, è attrice, regista e anche autrice (Audizioni in Corso). Nel 2015 per lo spettacolo tratto da testi di Stefano Benni Metti una sera al bar, nell’ambito della rassegna FITA di Milano, ha ricevuto il Premio per la Miglior regia ed Enza Latella il Premio come Migliore attrice non protagonista. Nel 2017, sempre nell’ambito della rassegna FITA di Milano, la Bartoli ha invece ottenuto il premio come Miglior attrice non protagonista per lo spettacolo Senti chi parla di Derek Benfield. Lo spettacolo è stato valutato da una giuria composta da sette giurati con competenze specifiche a diverso titolo nel settore i quali, nel Gran Galà finale del 29 marzo 2020, assegneranno 8 premi: Miglior spettacolo, Miglior attore/attrice protagonista, Miglior attore/attrice non protagonista, Miglior allestimento, Miglior testo e Miglior regia. Al termine della rappresentazione, il consueto omaggio della tradizionale maschera, simbolo della rassegna Vacantiandu, ideata dal graphic designer Alessandro Cavaliere e realizzata dal maestro Raffaele Fresca, che il direttore artistico Nico Morelli e il direttore amministrativo Walter Vasta hanno consegnato a Maria Angela Bartoli.

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Spettacolo

Vacantiandu. Successo per il Lazio al Gran Premio Teatro Amatoriale Italiano con la commedia brillante “Il nome”

di Giovanna Villella

Lamezia Terme, 8 febbraio 2020. Nono appuntamento con la V edizione del Gran Premio del Teatro Amatoriale Italiano che ha portato in scena, al Teatro Comunale Grandinetti di Lamezia Terme il Piccolo Teatro di Terracina (Lazio) con lo spettacolo Il nome, regia di Roberto Percoco, liberamente ispirato al film “Il nome del figlio” di Francesca Archibugi su adattamento della pièce francese Le Prénom di Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte. Il Gran Premio del Teatro Amatoriale Italiano, organizzato a livello nazionale dalla Federazione Italiana Teatro Amatori (FITA) e ospitato per la prima volta in Calabria, è inserito nella rassegna teatrale Vacantiandu 2019.2020 con la direzione artistica di Diego Ruiz e Nico Morelli e la direzione amministrativa di Walter Vasta. Il nome è una commedia brillante e divertente costruita intorno ad una burla che diventa pretesto per mettere a nudo le dinamiche e i rapporti di una famiglia borghese. Marco e Simona aspettano un bimbo. Durante una cena a casa della sorella Betta, sposata con Piero, Marco rivela il (finto) nome del bambino scatenando le reazioni di suo cognato, professore universitario di sinistra. Alla cena è presente anche l’amico di famiglia Claudio che da anni, all’insaputa di tutti, ha una relazione con Lucia, madre di Marco e di Betta. Soltanto Simona, che arriva più tardi perché impegnata in una intervista radiofonica per promuovere il suo primo romanzo, è a conoscenza di questa liaison tra Claudio e Lucia ma totalmente ignara dello scherzo architettato dal marito. Una commedia corale ma anche di coppie, un viaggio all’interno della famiglia e dei suoi meccanismi guidato da attori tutti bravi e affiatati. Bruno Perroni disegna un Marco vivace, dinamico, burlone e amante della bella vita, tutto concentrato sull’apparenza delle cose anche se il personaggio subisce via via una evoluzione. Il cognato Piero, nell’ottima interpretazione di Roberto Percoco che firma anche la regia, è completamente assorbito dal suo ruolo di docente universitario di sinistra e non manca occasione per far sentire la propria superiorità intellettuale. Come la maggior parte degli adulti che si sono avvicinati tardi alla tecnologia adotta una serie di atteggiamenti insani che spesso vengono rimproverati agli adolescenti come quello di estraniarsi dalla realtà circostante, soprattutto in presenza di altre persone, per consultare freneticamente i social network. Betta, la moglie, una brava Cristina Castelli, è una donna fragile che ha sempre vissuto all’ombra di suo fratello Bruno e poi di suo marito Piero. Trascurata da quest’ultimo trova fugace conforto tra le braccia di un collega, professore di matematica. Tuttavia, i due cercano di impartire ai loro figli Pin, interpretato da un simpatico Carlo Del Duca, e Scintilla (che non compare mai in scena) una educazione basata su sani principi morali anche se lo zio Lamezia e non solo

Bruno non manca di viziarli. Claudio è invece l’amico di famiglia e il confidente di Betta. Emilio di Mauro ne delinea un personaggio ben equilibrato, colorandolo di molta verve ma senza scivolare nella parodia nonostante le sciarpine colorate e le pantofole rosa. Limpida e genuina la Simona di Darina Rossi che non tradisce le sue origine borgatare pur facendo parte, ormai, di una famiglia che porta un nome di prestigio e si rivela il personaggio più vero e sincero della pièce. La commedia, tutta giocata su ritmi serrati ma calibratissimi, diventa un sorta di “ritratto di famiglia in un interno” i cui valori borghesi quali la rispettabilità del nome, lo status sociale, la supposta superiorità intellettuale, la tensione ideale e politica sono continuamente sovvertiti. In tutti i personaggi albergano in dosi più o meno variabili la meschinità, il rancore, la rabbia, la gelosia, i segreti. Così, pur se tutto sembra costruito secondo i canoni della commedia brillante, a tratti si spalancano i crepacci della satira feroce, dell’ironia velenosa e arcigna, dell’amoralismo che smaschera le finte moralità e il perbenismo borghese. Ma la nascita del bambino, che in realtà sarà una bambina, come un deus ex machina arriverà a ristabilire la pace e l’armonia familiare. Il Piccolo Teatro di Terracina con Il nome rappresenta il Lazio, nona tra le 14 regioni italiane selezionate a partecipare alla 5° edizione del Gran Premio del Teatro Amatoriale Italiano. Nato grazie alla passione di persone che già praticavano l’esperienza teatrale in realtà diverse, il Piccolo Teatro di Terracina si costituisce come associazione regolarmente riconosciuta nel 1991. La svolta importante per l’associazione è nel 2001 quando mette in scena una fortunata edizione de “La strana coppia” di Neil Simon in versione femminile, ed è sempre in quest’anno che conosce la bella realtà della FITA (Federazione Italiana Teatro Amatoriale). Tra i tanti allestimenti in repertorio “Uomo e galantuomo” e “Filumena Marturano” di De Filippo, “La cena dei cretini” di Francis Veber, “Suite 719” di Neil Simon, “Rumori fuori scena” di Michael Frayn, “Uomini sull’orlo di una crisi di nervi” di Galli e Capone e “Nemici come prima” di Gianni Clementi. Lo spettacolo è stato valutato da una giuria composta da sette giurati con competenze specifiche a diverso titolo nel settore i quali, nel Gran Galà finale del 29 marzo 2020, assegneranno 8 premi: Miglior spettacolo, Miglior attore/attrice protagonista, Miglior attore/attrice non protagonista, Miglior allestimento, Miglior testo e Miglior regia. Al termine della rappresentazione, il consueto omaggio della tradizionale maschera, simbolo della rassegna Vacantiandu, ideata dal graphic designer Alessandro Cavaliere e realizzata dal maestro Raffaele Fresca, che il direttore artistico Nico Morelli e il direttore amministrativo Walter Vasta hanno consegnato alla compagnia.

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La nostra storia

All’armi! Il pericolo vien dal mare! Le torri costiere e il Bastione di Malta di Matteo Scalise Golfo di Sant’Eufemia, anno del Signore 1550. L’attuale area del lametino in quell’anno era per la maggior parte soggetta alla giurisdizione feudale dei Conti Caracciolo, precisamente di don Ferdinando Caracciolo e dall’Ordine dei Cavalieri di Malta, presenti presso l’Abbazia d’origine normanna. A Napoli, in virtù del Trattato di Lione (1504) governavano gli spagnoli e vice re a rappresentare l’imperatore Carlo V era il militare di lunga carriera Pietro di Toledo, il quale, preoccupatissimo delle continue scorribande degli Arabi (chiamati Saraceni) e dei Turchi Ottomani, decise di edificare lungo la costa tirrenica (da Gaeta a Scilla) diverse fortificazioni militari che controllassero le coste in caso di invasione. Le torri o fortificazioni difensive furono in totale 339, di cui 102 in Calabria. Le spese di costruzione, così come quelle di mantenimento del personale militare ricaddero sulle già asciutte casse delle Universitas (gli attuali comuni) ricadenti nell’area geografica, aggravando quindi la già oppressiva imposizione fiscale richiesta sia dalla Tesoreria regia che dai feudatari Caracciolo e dai Cavalieri di Malta, i quali non ebbero scrupolo di utilizzare come materiale da costruzione resti di rovine greco –romane raccattate nei dintorni e la manodopera gratuita delle popolazioni locali. Fra le torri edificate ricordiamo le Torre San Giuseppe, in territorio di Nocera Terinese Marina, totalmente distrutta nel 1903 da una piena del fiume Grande così come la non più esistente Torre Gullieri da dove si poteva spaziare lo sguardo da Coreca a Capo Vaticano; ancora Torre Pietra della Nave e la famosa torre in località Coreca di Amantea detta Torre Coracena. In ottimo stato di conservazione invece risulta oggi la Torre dei Cavalieri (all’interno dell’agriturismo omonimo) conosciuta anche come di Santa Caterina. Famose, poiché nell’immaginario di tutti, poiché visibili entrambe dalla statale 18 risultano la Torre di Rupe (oggi Torre Lupo) in territorio di Falerna Marina e la Torre dell’Ogliastro (oggi Torre di Capo Suvero), ricadente pag. 14

nel territorio di Gizzeria Lido. Queste torri da me brevemente elencate hanno in comune lo stesso periodo di edificazione, la forma circolare e la presenza di alcune figure quali il Torriero, che stava in cima alla torre alimentando il fuoco che segnalava il pericolo (di giorno usava paglia bagnata affinchè facesse fumo

ancora attive nel XVIII secolo furono poste sotto la giurisdizione della Dogana Marittima – Servizio Telegrafico, ma con scarsi risultati in termini di celerità delle informazioni trasmesse. Oggi, sia se presenti in territorio di proprietà del Demanio o privato, eccetto la già citata Torre dei Cavalieri versano nella incuria

più scuro e quindi più visibile), di uno o più Cavallaro (scelti dai consigli delle Universitas), cioè soldati a cavallo che perlustravano quotidianamente le coste e in caso di pericolo dovevano correre ad avvertire l’avamposto militare più vicino e ordinare alla popolazione di sfollare, e in molti casi di alcune guardie fisse. Come già detto le spese di mantenimento di questo personale era a carico dei paesi del circondario (ad esempio le spese per il personale della Torre dei Cavalieri era condivisa dai comuni di Nicastro e Sambiase). La maggior parte delle torri dopo il terremoto del 1638 furono riedificate, ma dopo il sisma successivo del 1783 furono per la maggior parte abbandonate. In queste occasioni disastrose spesso il personale militare ivi presente morì sotto le rovine. Le poche

più totale del tempo e degli sporadici avventori. Cuore militare e “centro strategico” in caso di attacco dal mare fu però l’imponente Bastione di Malta, cioè una vera e propria “torre di difesa” edificato verso il 1550 a circa 400 mt dalla Abbazia e allora sulla costa (oggi il mare dista circa 800 mt per causa del fenomeno del bradisismo e per accumulo di materiale alluvionale derivati dagli straripamenti dei vicini fiumi Bagni e Amato). Esso fu dato alla gestione per fini militari all’Ordine dei Cavalieri di Malta, di cui un Priore, il piemontese originario di Lozzolo (Vercelli), frà Signorino Gattinara nel 1634 lo fece munire di sofisticate macchine belliche, oltre che a fortificarlo ulteriormente (a ricordo di ciò fece affiggere una lapide commemorativa, oltre allo stemma del suo casato, ancora

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oggi visibili all’entrata della fortezza). Il Bastione, oltre a svolgere funzioni militari per le possibili invasioni dalla costa, fu anche centro politico – religioso per reprimere le diffuse

rivolte popolari che si avvicendarono fra XVI e XVII secolo nel lametino, causate per la troppa esosa tassazione o per estirpare la diffusione del Calvinismo nel Lametino. Nel 1656 il Bastione fu temporaneamente adibito a centro sanitario contro la peste scoppiata feroce in quell’anno, mentre dal 1852 al 1861 i Borboni lo usarono ancora come torre di difesa ma anche come telegrafo. Con le leggi eversive del nuovo regno italiano del 1866, molti beni appartenuti agli Ordini Religiosi (nel frattempo soppressi) furono venduti a privati cittadini. Nel 1943 al Bastione troviamo i tedeschi che installarono sul terrazzo una mitragliatrice da 20 mm per colpire gli aerei Alleati che transitavano su Sant’Eufemia Lamezia. Sicuramente dagli anni 70’ e fino al 2014 il Bastione è stato di proprietà della famiglia Jannazzo, che d’estate lo aprivano sporadicamente per farlo visitare al pubblico. Ricordiamo che il Bastione di Malta fu scelto come simbolo da opporre sul gonfalone della nuova città di Lamezia Terme, nata nel 1968 dalla fusione amministrativa dei secoli comuni di Nicastro e Sambiase e del recente (1936) di Sant’Eufemia Lamezia. Nel 2014 l’Amministrazione Comunale dell’epoca lo acquisì, dopo lunghi anni di trattative con i proprietari, per renderlo fruibile ai cittadini lametini e come possibile simbolo di una rinnovata politica di valorizzazione turistica del comprensorio, affidando i lavori ad una ditta che nel ritardare la totale esecuzione dei lavori ha costretto l’amministrazione comunale (retta nel frattempo dai commissari prefettizi) nel 2019 a rescindere il contratto. Oggi il Bene Culturale non è ancora finito di essere restaurato e quindi di essere finalmente reso fruibile al grande pubblico.

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riflessioni

Rula Jebreal Nicola Gratteri: senso Unico vietato?

di Alberto Volpe

Quella kermesse musicale, specificità tutta italiana, sulla cui platealità ed organizzazione si può tanto discettare e discutere, ha, quest’anno, offerto uno spazio di autentico gradimento puramente culturale. Meglio, per la opportunità di comprensione e, possibilmente, di condivisione, il personaggio israelita/italiano di genere, ha trovato “spazio” in coda al Tg 3 delle 14,15 di domenica, a 1/2Ora in più di Lucia Annunziata. La giornalista, sempre “avanti” coraggiosamente e controcorrente nell’affrontare i fatti di attualità, ha ospitato la giornalista Rula Jebreal e il Procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri. La prima ha dovuto dettare le sue condizioni per non passare come la quinta donna “bella” da far corona al conduttore Amadeus, il secondo per essere il magistrato “contro” ,e quindi personaggio scomodo alla casta, sia essa politica che finanziaria. Si può tranquillamente affermare che proprio nel corso di quella apparizione, propria e solo di un Tg3, si è potuto ricevere la versione diretta e non filtrata del “portato” alto e,perciò, autenticamente culturale, dei rispettivi testimonial, che entrambi non solo da ieri vanno attualizzando nelle forme e comportamenti che caratterizza il particolare e relativo lavoro e funzione sociale. La prima, giornalista affermata, al di là del pur consapevole “paludamento” appariscente in qualche modo in linea con la manifestazione canora, ha dato prova di un raro coraggio svelando e rivelando la drammatica sua esistenza, in quanto figlia di una madre suicida in nome di una libertà negata, e della stessa che deve dire grazie alla “scelta” di un padre, il suo, che investe il suo denaro nella istruzione della figlia, piuttosto che per acquistare farmaci che lo salvassero dal cancro. Scontata, ma non del tutto, la postuma gratitudine di quella donna, la cui istruzione valeva quanto la liberazione dalla discriminante sociale del genere femminile in quella parte orientale del nostro pianeta. E sono state appunto le conquiste culturali che hanno permesso ad una di quelle rare personalità come Rula Jerbeal di affermarsi ed affermare oggi la parità di genere, non in conflitto ma in sinergia. Da qui una lotta che riesca a sconfiggere la violenza sulle donne, quella per intenderci sessualmente praticata, come quella sottilmente insidiata, e che possono essere sconfitte nell’ottica e pag. 16

nella misura in cui la diversità venga colta da una parte come opportunità, e dall’altra non utilizzata per “scalate” lavorative e solo di immagine. In tal senso trova condivisione la dichiarazione della stessa giornalista-docente, quando afferma che “è valsa la pena andare al Festival, se il prossimo anno Sanremo sarà guidato da una donna”. Non meno incisiva e chiarificatrice è stata la presenza del Procuratore Nicola Gratteri dalla Annunziata, occasione per “fare giustizia” delle tante insinuazioni e palesi forme di delegittimazioni nei suoi confronti, che lo vogliono far passare per sceriffo o giustiziere della Giustizia italiana. Nulla di più strumentale e deviante di un ruolo altamente democratico e sociale in termini di responsabilità, in una Società che chiede certezza di regole e tempi per una giustizia giusta. Significativi i risvolti della vicenda che lo avevano visto ”candidato” Ministro nel Governo Renzi, il cui veto è stato posto dall’ex Presidente Napolitano. Ancora una volta è venuto fuori senza veli o politichese che si è dinanzi ad un funzionario assolutamente “libero” e con lucida determinazione per il compito da svolgere avendo una realtà regionale drammaticamente permeata e condizionata dal malaffare o mafia che la si voglia meglio individuare. Certo, Gratteri ha avuto modo di affermare il principio che, in fatto di riforme, una mediazione al ribasso non va nella direzione di soddisfare quella sete di giustizia, ma facilitando e velocizzando i processi, dotando in uomini e mezzi tecnologici (che garantiscono le famose intercettazioni ripetutamente ostacolate dalla Politica) l’apparato della Giustizia. Ed infine, bisogna intendersi sul concetto della funzione rieducativa del carcere, se esso non prevede un lavoro produttivo,alternativo al pericoloso ozio di una cella. Segnali, quelli della Jebreal come del Procuratore calabrese, che “segnano” un percorso che taluni politici conoscono bene, ma che si guardano altrettanto bene dal percorrere, costituendo un rischio per la loro rieleggibilità a quelle poltrone. Ma non è mai troppo, né deve suonare come solamente eufemistico, ricordare il senso della rappresentatività istituzionale che è la conoscenza delle problematiche dei cittadini-contribuenti, cercandone il loro superamento ad esclusivo interesse della base democratica.

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di Maria Palazzo

Carissimi lettori, è con grande gioia, che torno a parlare di Antonio Cannone e del suo nuovo libro: VIAGGIO TRA I DESTINI PARALLELI DELLA MIA TERRA, edito da Elison Publishing. Ho avuto modo di presentare questo libro, in conferenza, presso la Sala Consiliare “Bruno Manti”, del Comune di Soverato, il 7 febbraio scorso. Una conversazione che ha messo in luce, non solo i vari aspetti del lavoro, ma ha anche dato modo a tutti gli intervenuti, di scoprire molti lati nascosti della personalità e della formazione dell’autore. Rispetto agli altri volumi scritti da Antonio Cannone, questo presenta nuove risorse: una scrittura lenta, che favorisce la riflessione, una nuova maniera di far dipanare la narrazione, a metà fra il racconto e il romanzo, un nuovo modo di porsi verso il lettore. Se con GLI INTRUSI, Cannone si avvale quasi di un metodo simile a quello filmico, in DESTINI…, egli si rivela attratto dal metodo documentaristico, pur non trascurando l’intimistica cura del narrare che scorre senza rapide. Se i destini sono quelli paralleli della

propria terra (verso cui si scorge una radicato affetto), non manca comunque l’elemento universale, in cui i protagonisti si lanciano, per approdare alla speranza, per nulla

scontata, nonostante la complessità delle vicende descritte. Particolare rilievo, anche nel corso della presentazione, si è dato al capitolo App della verità (cfr. pag. 50-59), che

dà modo di meditare sui rapporti fra l’uomo e la tecnologia, ma anche sull’uso che si fa, di quest’ultima. Per non parlare, poi, del capitolo Sull’amore (cfr. pag.116-118), in cui l’autore dialoga col suo alter ego, la Coscienza… L’uomo medio, invece, ci pone di fronte al problema del conformismoanticonformismo, in cui si dibatte, spesso, l’animo umano, il discorso sulla famiglia e sulla politica, oggi… Per terminare con Ritorno nel grembo (cfr.119-120), che conclude il cerchio, pur lasciando aperto uno spiraglio, che consenta, magari, in futuro, altre riflessioni, altre strade, altri pensieri. Un volume insolito, che non fornisce solo punti di vista, ma anche spunti, per ritrovarsi, per non cedere ciecamente al tempo che viviamo e alla velocità di ciò che ci sfugge. Un modo per non restare indietro come genere umano... Buona lettura, che potrei definire addirittura interattiva, perché, mai come in questo libro, la comunicazione fra scrittore e lettore risulta così intensa e tangibile, come scoprirete. Alla prossima.

Le perle di Ciccio Scalise

Iu dicu c’amu sbagliatu Tutti i Taliani, quantu simu, speru cà, cuntu ni rindimu, cà, quandu hamu vutatu, mannajia ppuru, hamu sbagliatu. Avianu ragiuni i Patri Custituenti, quandu dicianu ca nù prisidenti, armenu cinquant’anni, avia dd’aviri, sinnò, un ssi putia eleiggiri. Puru allu Sinatu, ppi bbutari, unu vinticinqua anni avi addi fhari, Lamezia e non solo

nù mutivu certu l’anu avutu, si, ntra Custituzioni I’anu mintutu. Nua mbeci, ntelliggenti e ssapientuni, allu cumandu hamu mandatu guagliuni, chi tuttu puanu fhari, menu cà, nà nazioni cuvirnari. A ddispiatti vanu avanti, mà nò ddi nà parti, tutti quanti, un cci ndè unu chi, nà cosa mbrocca, parica jiocanu a, “Mamma, Ciccu mi tocca”.

Prima gialluverdi e mmò ggiallurossa, chini cumanda ccumanda, ni scava llà fhossa, e ll’ltalia, fharu mundiali i dimucrazia e cciviltà, cunta ccumu dua i coppi quandu a briscula a spati và. “Alli guagliuni, chilla cosa un ssi cci po’ ddari, cci vuanu ggenti randi e sserii, ppì ccuvirnari”.

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12 febbraio 2020 pag. 17


IL VOLTO SPIRITUALE DELLA CALABRIA

CATERINA BARTOLOTTA IL PRIMO EVENTO STRAORDINARIO di Fernando Conidi

L’accettazione di un segno è soprattutto frutto di un cambiamento interiore, di una ricerca fruttuosa e perseverante della verità, del desiderio di conoscerla e farla propria, percorrendo la strada verso la quale ci conduce. Il Signore compiva i miracoli davanti a

personale lento e faticato, che trova nel segno la conferma che il vecchio cammino è completo e ne è giunto uno nuovo, che dà una visione più ampia e completa. La nuova visione delle cose apre l’individuo a un’introspezione inaspettata; tutto si proietta in una nuova dimensione, dove molte delle cose a cui teneva di più divengono vecchie e superflue, non necessarie. È il risultato di un processo di cambiamento interiore perfettamente consapevole, abbastanza forte da cambiare la vita interiore ed esteriore di una persona. Dopo questo, uno sguardo sul passato non suscita più le stesse sensazioni, le stesse emozioni, lo stesso interesse, e ciò che conta di più è l’amore che continua a vivere dentro di noi, unendo il passato al presente e proiettando il nostro essere verso il futuro chiaro e senza ombre. Così tutto cambia, ci appare come se il nostro vecchio mondo fosse stato preponderatamente grigio, come sempre immerso nella foschia, ma da quel momento la nostra vita sembra sbocciare come in una primavera piena di colori e vitalità. È il miracolo della conversione dell’animo umano, che, avvicinando l’uomo al suo Creatore, inizia a fargli vivere interiorCaterina, durante l’apparizione, alza le braccia verso la Madonna Settingiano, 1974 mente le meraviglie della fede.

FARISEI PASSATI E ATTUALI I farisei del passato chiedevano un segno a Gesù (Mc 8, 11-13), ma nel loro cuore speravano che Egli non compisse alcun segno, per essere così giustificati nella loro incredulità. Infatti, i vangeli raccontano della loro indifferenza davanti ai molti segni di Cristo. I loro occhi vedevano, ma essi facevano finta di non vedere, per questo il loro peccato rimaneva (Gv 9, 41). Per non sentirsi in colpa con se stessi rinnegavano anche l’evidenza. Essi ricercavano sempre il modo di accusare Cristo. anche incutendo timore nei testimoni dei fatti, affinché ricusassero di testimoniare a favore di Gesù (Gv 9, 1-41). Anche oggi, i farisei dei tempi moderni chiedono un segno, ma senza desiderarlo, senza ricercarlo, anzi allontanandosi a gambe levate da ogni possibile opportunità di trovarsi di fronte a un semplice, ma veritiero, inoppugnabile segno. L’IMPORTANZA DEL SEGNO Un segno è utile per convincere, per far credere, esso è capace di scardinare e aprire il massiccio portone del cuore, chiuso oramai da tempo e con le cerniere arrugginite. Nessun segno può cambiare o contribuire al cambiamento e alla conversione, se non lo si accoglie interiormente con cuore sincero. La storia dimostra che davanti a Cristo i semplici e gli umili si convertivano, anche solamente davanti alle sue parole, mentre i dotti e i sapienti di questo mondo, con il cuore indurito dalla superbia e gonfio di orgoglio, non si convertivano neanche davanti a una resurrezione. Fu proprio la resurrezione di Lazzaro a far scaturire nei sommi sacerdoti e nei farisei del sinedrio la decisione di uccidere Gesù [“Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo” (Gv 11, 53)]. pag. 18

tutti, quale Padre buono e misericordioso, nel tentativo di convertire anche i cuori più induriti. Un segno è la manifestazione della volontà divina, che diviene chiaramente percepibile agli occhi umani. L’uomo, pur conoscendo i propri limiti, si erge sempre a giudice. La spinta interiore che dovrebbe far protendere verso la luce, a volte, spinge nella direzione contraria, animata da quell’ego interiore che mette se stesso al primo posto, rifiutando le indicazioni della divina volontà. La conversione è il risultato di un processo

I MOLTI SEGNI DELLA MADONNA Nella storia di Caterina Bartolotta, mistica calabrese, si sono succeduti molti segni. I primi eventi straordinari sono avvenuti proprio all’interno dalla famiglia di Caterina, poiché la consapevolezza della veridicità delle apparizioni doveva essere alla base del cammino che si andava profilando. Inoltre, è proprio colui che si trova più vicino alla luce che in essa trova il maggior beneficio per il proprio cammino. Ogni segno ha tracciato la storia di una delle vicende più avvincenti del mistici-

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IL VOLTO SPIRITUALE DELLA CALABRIA smo cattolico degli ultimi tempi. Uno dei maggiori testimoni degli eventi è stato don Giovanni Capellupo, direttore spirituale di Caterina, un sacerdote valente sotto ogni profilo. Egli fu testimone di numerosi eventi straordinari che la Madonna dava per convertire i cuori e dissolvere ogni dubbio sull’attendibilità delle apparizioni alla piccola Caterina. Nel corso degli anni, personalmente, ho avuto modo di raccogliere numerose testimonianze e di intervistare alcune persone che hanno vissuto i primi segni avvenuti in casa Bartolotta. La Madonna, ancora oggi, dopo quarantasei anni di apparizioni a Caterina Bartolotta, continua a manifestarsi e a elargire segni per la salvezza delle anime.

di Vittoria, dopo qualche giorno, decise di accompagnarla all’ospedale di Catanzaro. Qui, finalmente, Vittoria poté esprimere le sue preoccupazioni al dott. Antonio Carnevale, dicendogli che temeva che la piccola potesse avere una gamba più corta dell’altra. Dopo una visita scrupolosa e attenta, il dottore, voltandosi verso Giuseppe,

divaricatore, in previsione di effettuare, a distanza di tempo, due interventi chirurgici. La bambina, infatti, aveva la gamba sinistra più corta dell’altra di circa sette mm. Vittoria soffriva molto nel vedere la piccola Annamaria piangere e lamentarsi a causa del divaricatore, che era costretta a tenere per la maggior parte della giornata e che le teneva le gambe con un’apertura di circa 62 cm. Circa due mesi dopo, il 12 luglio, Caterina ebbe la prima apparizione della Madonna, che le si manifestò con l’epiteto di “Madonna della Purificazione”. Annamaria, da pochi giorni, aveva compiuto nove mesi. Due giorni dopo, il 14 luglio 1973, durante l’apparizione, Caterina chiese alla Madonna la grazia di guarire la sua sorellina e Lei rispose che lo avrebbe fatto, LA STORIA ma non subito. Passarono quasi sette mesi, tra visite mediche IL PRIMO EVENTO e controlli vari, ma il difetto fiSTRAORDINARIO sico di Annamaria non miglioSettingiano, maggio 1973. In rava affatto. Il 2 febbraio 1974, una normalissima giornata, giorno in cui a Settingiano si Vittoria, la madre di Caterina, festeggia la “Madonna della stava accudendo Annamaria, Purificazione”, la Santa Vergine la figlia più piccola, di circa apparve nuovamente a Caterisette mesi d’età. All’improvvina, dicendole che quello era il so, guardandola, avvertì la sengiorno in cui avrebbe concessazione che la bambina avesse so la guarigione miracolosa un problema di salute, sentiva della piccola Annamaria. come una sorta d’ispirazione Chiede così a Caterina di far interiore, una voce che le diceva di controllare la bambina. Caterina, durante l’apparizione della Madonna tiene in braccio spogliare la bambina e di sollevarla verso di lei per la beneCosì, iniziò a osservarla meglio Annamaria, la sorellina, per farla benedire - Settingiano, 1974 dizione. Subito dopo l’apparie si accorse che sulla coscia destra aveva due pliche cutanee, disse: “Sig. Bartolotta, sua moglie è zione, Vittoria notò che sotto il piede mentre sulla sinistra ce n’era solo una. molto intelligente. In casa di medici sinistro della bambina vi era come un Perplessa, avvicinò le gambe della sono cresciuti figli così e non si sono piccolo livido e tre puntini rossi, simili piccola l’una all’altra, per confrontar- accorti di niente, se ne sono accorti al segno lasciato dalla “puntura di una le meglio, e notò con stupore che la a vederli camminare, perché barcol- spina”. L’indomani, Vittoria aveva apgamba sinistra appariva leggermente lavano come una barca in mezzo al puntamento con il dottore per la visita più corta dell’altra. A quel punto, piut- mare”. Giuseppe rimase meravigliato di controllo di Annamaria. La bambina tosto preoccupata, decise di parlarne e, nello stesso tempo, ammirato; i fatti fu visitata dal prof. Carmine Carbone, al marito, Giuseppe, non appena fos- dimostravano, ancora una volta, che la che, dopo aver confrontato la vecchia se rientrato dal lavoro di bidello, che donna che il Signore gli aveva messo lastra radiografica con quella fatta dusvolgeva in un paesino poco distante accanto fosse da lodare per la sua in- rante la visita, disse a Vittoria: “Signoda Settingiano (CZ). Appena Giusep- telligenza, la sua umiltà e la sua fede. ra, guardi che perfezione, la bambina pe rientrò a casa, Vittoria gli espose La piccola Annamaria, infatti, aveva la non ha più bisogno del divaricatore, le sue preoccupazioni per la piccola lussazione congenita dell’anca sini- ha solo bisogno di camminare”. La Annamaria, chiedendogli di accom- stra. La testa del femore sinistro non Madonna, come aveva promesso, avepagnarla subito a Catanzaro per farla era perfettamente formata ed entram- va guarito la bambina. Lei mantiene visitare da uno specialista. Egli, però, bi i colli dei femori erano dritti e non sempre le sue promesse! inizialmente, non diede molto peso a curvi, come invece dovrebbero es- Parzialmente tratto da: “Il Segno del soprannaturaquelle preoccupazioni, che gli sembra- sere. Dopo la visita il dott. Carnevale le”, n. 349, luglio 2017 - Edizioni Segno - Autore: vano eccessive, ma, viste le insistenze prescrisse alla bambina l’utilizzo di un Fernando Conidi pag. 19

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Il valore del plus-calore di Vincenzo De Sensi

Il calcio è un qualcos'altro che preso dall'alto può essere considerato come una rivalutazione delle mani posteriori dell'uomo: noi. prima, eravamo quadrumani ed a un certo punto per la statura eretta, per il fatto di doverci sempre alzare a cogliere i frutti sugli alberi, vivendo in terra, le nostre mani posteriori divennero piedi, c’è però indubbiamente una magia nel controllare una palla anche con le mani posteriori, come c'è nel bambino che gioca a palla con le mani e che successivamente fa un passo avanti, crescendo, e arrivando a controllare la palla con i piedi. Qui poi scatta la soddisfazione dell’uomo nel vedersi coordinato, nel saper fare obbedire a sé una palla, cosa questa, giusta, che rientra nell’armonia dei mondi. Poi c'è il gioco di per sé, che è prima mimesi di vita, per divenire poi norma, giungendo alfine all'essere sport. Il gioco del calcio è uno dei più bei giochi del mondo, a mio avviso forse il più bello in assoluto.. Teniamo conto che per il calcio c'è la gioia di dimostrare, anche da adulti, un gusto ludico che sia anche giustificato da un «plus calore», e, con questo termine, intendo quel che di cibo si inghiotte in più; se uno non dispone del «plus calore» necessario da spendere non può di certo aver voglia di andare a giocare a pallone, da adulto, magari già lavoratore impegnato, da piccolo la voglia non manca, perché lo si fa inconsciamente come trasporto naturale al ludus, e vi si partecipa sempre in crescendo, con la voglia di dimostrare a se pag. 20

stesso e agli altri che si è superato il limite minimo di calorie necessarie per vivere. A questo inciso va aggiunto, come dicevamo, prima il gusto sublime del padroneggiare una sfera quindi quello di entrare in un certo modo in quell'armonia dei mondi, anche lei già citata e di certo oggi ridotta al minimo, vedendolo giocare. Il calcio, procura meno piacere; l'essenza del football è ridotta ad un qualcosa di riflesso, mentre quel contatto diretto, giocato, è parte attiva nel singolo. Poi c'è lo spettatore che a suo tempo può essere stato un giocatore attivo c quindi rivive emozioni che furono già sue, abbastanza spesso viene condizionato di fronte alle partite di calcio, a cui assiste, proprio dal suo passato.

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Sport

AMARCORD/Un decennio alla Vigor con oltre 300 presenze e capitano di lungo corso SINOPOLI, QUEL GIORNO CHE UN RADIOCRONISTA PERSE I SENSI AD UN SUO GOL…“Contento della mia carriera senza aiuti: col Montevarchi il d’Ippolito mai visto così pieno” “Facile parlare di uno che con il pallone tra i piedi ti regalava emozioni a go-go. Mi piace ricordare quella vibrante che provocò uno svenimento reale: Villa San Giovanni, ultima di campionato prima degli spareggi con Morrone e Siderno, calcio di rigore trasformato con glaciale freddezza proprio da capitan Sinopoli ed io che al microfono della radiocronaca persi i sensi lasciando i radioascoltatori nelle mani di Tommaso! Vito capiva sempre le giocate dei compagni in anticipo e si trovava al posto giusto al momento giusto facendo salire la squadra con grande maestria. Era il tipico giocatore a cui dovevi dare la maglia e dirgli ‘fai quello che ti pare!’ e il giocatore rispondeva sempre con prestazioni di assoluto spessore, coperto dai suoi compagni che, spesso, si sacrificavano per lui. La fascia di capitano, poi, ne ha fatto un simbolo entrato nella storia della Vigor, per sempre!”, abbiamo chiesto un breve ritratto di Vito Sinopoli a Saverio Critelli, per un trentennio apprezzata voce storica narrante della Vigor Lamezia per Radio Piana Lametina e VL7 Cinquestelle quando gli smartphone nemmeno esistevano e bisognava invece stendere metri e metri di cavo telefonico tra fiumi e percorsi accidentati. Ne è uscito un ricordo a dir poco emozionante da parte di Saverio. Come avrete intuito, il personaggio del nostro amarcord di febbraio è sua maestà Vito Sinopoli, il 20 febbraio ha compiuto 58 anni. Un decennio alla Vigor Lamezia ed oltre 300 presenze in biancoverde lo catalogano come una vera e propria leggenda vigorina. Per altro anche capitano per tante stagioni, segno inequivocabile di riconosciute doti di uomo-guida. Arrivato da Decollatura alla Vigor nel 1979, segnalato da un suo amico che giocava già nella Berretti vigorina, Vito trovò un’altra leggenda ad attenderlo: mister Alberto Spelta, che quell’anno sfiorò la promozione in C1 per un punto. Sinopoli fece due panchine, per poi l’anno successivo esordire in C2, con allenatore Bonafin. In carriera per lui anche Atletico Catania, Leonzio, Enna e Formia. Oggi Sinopoli si prende amorevole cura, ormai da 15 anni, dei calciatori di domani: ovvero i bambini dell’Oratorio San Pio di Decollatura e siamo certi che sotto la sua guida intanto verranno

di Rinaldo Critelli

fuori tanti ‘uomini’ e poi chissà ben vengano anche futuri calciatori. Allora Vito Sinopoli, ripercorriamo soprattutto la tua esperienza con la Vigor, la partita che ricordi di più? “Sono state tante, ma quella che mi è rimasta dentro è Vigor-Rifo Sud, vincemmo 2-1 con un mio gol nel finale in un D’Ippolito gremito. Anche se poi a fine campionato arrivammo secondi, con Zurlini allenatore” L’allenatore che ti ha insegnato di più? “Non posso non dimenticare Giovanni Grandinetti, che è stato il mio primo allenatore nella Beretti della Vigor. A lui mi ha poi legato un rapporto di amicizia che va al di là del calcio. Professionalmente penso che Bianchetti alla Leonzio sia stato quello che mi ha dato di più, per come faceva giocare la squadra”. C’è oggi un giocatore in cui ti ritrovi? “Nel calcio attuale nessuno. Qualche anno fa penso che come tipo di gioco direi Pirlo”. Rimpiangi di non essere stato in una squadra che potesse ambire magari alla B? “Innanzitutto sono contentissimo di quello che ho fatto, senza aiuti di nessuno ma solo con le mie forze. Qualche rimpianto quando un anno c’era la possibilità di approdare in una squadra di serie B, la Ternana, con presidente Pepe’ Dattilo, ma poi non se ne fece nulla”. C’eri a Montevarchi di Coppa Italia: da un lato sicuramente una soddisfazione essere arrivati fin là, ma dall’altro una delusione? “Sicuramente Montevarchi-Vigor sono state due partite entusiasmanti. La prima in casa loro facemmo 0-0 con carovane di tifosi al seguito. Al ritorno ricordo un D’Ippolito mai visto così pieno, ci fu persino la banda musicale a suonare l’inno di Mameli all’inizio. Purtroppo andò male nonostante un gol di Tucci per noi. Quelli erano i quarti di finale, mentre negli ottavi avevamo eliminato il Gladiator: anche quella fu una partita da ricordare per me perchè in casa segnai io e fu davvero una grande soddisfazione”. Un esempio Vito Sinopoli, all’attivo anche la panchina di qualche squadra dilettantistica, compresa di recente la Vigor 1919, ma soprattutto lodevole il suo impegno per l’Oratorio San Pio, educatore prima ancora che istruttore qualificato.

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CONSULENZA - Pedagogia

A Domande Risponde

di Raffaele Crescenzo

Consulenza tratta dal libro “Appunti di quotidiana pedagogia” (a colloquio con genitori e giovani) 2009 – Edizioni Boopen – Napoli di Raffaele Crescenzo1 Consulenza tratta dal libro “Appunti di quotidiana pedagogia” (a colloquio con genitori e giovani) 2009 – Edizioni Boopen – Napoli di Raffaele Crescenzo1 Genitore età 44 – impiegata – “Mio figlio ha 20 anni ,al lavoro è ok, non ha mai avuto una ragazza ,è timido e bloccato nel relazionarsi (a parte i suoi pochi amici) è spesso imbronciato , critico con tutti e tutto, dice che ce l'ha mondo intero, è pieno di rabbia che sfoga a casa, è giusto solo ciò che dice lui, cosa fare?”2 Gent/ma amica, diversi autori fanno osservare che esiste una molteplicità di modi di essere adolescente, parlando chiaramente di “arcipelago di adolescenze” indicando con ciò diversi modelli di crescita e di condizioni adolescenziali. Altrettanto palpabile appare una non chiara, definita delimitazione dei confini tra adolescenza ed età adulta, con il permanere tra i “giovani adulti” di stili di vita che, tempo addietro, venivano considerati ad esclusivo appannaggio degli adolescenti: si pensi alle situazioni di instabilità affettiva, relazionale, sociale, personale, lavorativa (anche se nel caso specifico suo figlio è già inserito nel mondo lavorativo). Ulteriore aspetto è la cosiddetta “adolescenza sociale”, cioè quel prolungamento del periodo di permanenza (in diversi casi di dipendenza) nella famiglia ben oltre lo sviluppo puberale ed i tempi fisiologici della fase evolutiva adolescenziale. L’ “allungamento familiare” se da un lato costituisce una rete di protezione che può andare oltre i compiti di socializzazione, d’altra parte tale protezione può divenire ed essere sperimentata come qualcosa di ostacolante il processo di maturazione verso l’età adulta privando l’adolescente del sostegno affettivo essenziale per la sua crescita. Tale “diluizione” nel tempo della ricerca del proprio “sé” può comportare disagio, incomprensioni, atteggiamenti aggressivi e/o di chiusura; comportamenti, questi, che possono essere acuiti, involontariamente, da ciò che viene definita “crisi genitoriale” (crisi di mezza età) che si sviluppa in modo speculare a quella el giovane e può provocare profondi sconvolgimenti familiari ed anche rotture all’interno delle relazioni familiari (nel caso di suo figlio parlerei di una “rottura fisiologica”). Un conflitto che non contiene il semplice risultato del processo adolescenziale/giovane adulto ma anche la testimonianza di difficoltà presenti nella coppia genitoriale del tipo: di passare

da una relazione bambino-genitore ad una relazione adultoadulto, la rinuncia alla soddisfazione della “onnipotenza genitoriale”, la paura di “tirare le somme “, di fare un bilancio su quanto realizzato e di non avere tempo a disposizione per concretizzare quanto progettato, di aver idealizzato le aspettative sul proprio figlio…. Genitori e figli di fronte ad una crisi che rimette tutto in discussione sia i fondamenti dell’identità di ciascuno, sia i modi, gli strumenti per la risoluzione di un conflitto relazionale. Cosa fare? a) ricordarsi della propria adolescenza, delle proprie esplosioni pulsionali: ciò condurrà ad una diminuzione dell’angoscia e del rinforzo delle difese nei confronti di suo figlio, con una conseguente apertura verso di lui e capacità di identificazione empatica che permetterà una conflittualità circoscritta e meno devastante; b) una comunicazione di apertura e comprensione del tipo “ sei come ognuno di noi di fronte ad un percorso di vita e ti trovi di tanto in tanto a sperimentare momenti di difficoltà, solitudine, decisioni sbagliate, comportamenti ed atteggiamenti sbagliati, incertezza, rabbia ed amarezza… sai che ci sono intorno a te persone che possono essere interlocutori positivi e disponibili. Utilizzali quando puoi e se vuoi.” c) Accoglierlo e consentirgli di vedere riconosciuti i suoi bisogni, i suoi tempi in una completa autonomia di crescita. Il rispetto dei tempi di personalizzazione della comunicazione attraverso un rapporto di “avvicinamentoallontanamento” che lo fa sentire artefice del proprio cammino senza il rischio di dipendere dalle figure genitoriali, restituendogli la capacità di prendere decisioni su di sé, di rendersi conto chiaramente dei cambiamenti che stanno avvenendo nella certezza di essere sempre accolto nel contesto famiglia con affetto.

1 Raffaele Crescenzo (1959). Pedagogista. Ha pubblicato, in precedenza, “Pensieri” nel 1995 e “Parole in chiaro scuro” nel 1997 – Edizioni Prometeo – Cosenza. “Appunti di quotidiana pedagogia” nel 2009 – Edizioni Boopen – Napoli. “Accanto alla famiglia del malato” esperienza di un “Centro Ascolto” in un Servizio di Assistenza Domiciliare Integrata nel 2010 – Edizioni Boopen – Napoli. “Gedeone….Chiacchiere e Sanità in ordine sparso” nel 2011– Edizioni Boopen – Napoli. Coautore “Viaggio nel dolore e nella sofferenza” – Ed. Falco Cosenza 2010 – e “Temi di fine vita” – Ed. Nuova Prhomos Perugia 2012-. “Cura e Umanità in sanità” nel 2014 – Edizioni Photocity – Napoli. Autore di diverse pubblicazioni. Già Giudice Onorario Tribunale per i Minorenni di Catanzaro. Già Docente a contratto Pedagogia e Sociologia generale UMG – Catanzaro. 2 I quesiti sono riportati integralmente senza alcuna modifica.

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La parola alla Psicologa

I successi sono graditi, ma insegnano poche cose… di Valeria Saladino Nella nostra cultura fallire ha una connotazione negativa e rappresenta qualcosa da evitare ad ogni costo. In realtà però non esiste storia di vera crescita che non sia stata costruita attraverso delusioni, sconfitte ed errori. Senza un ostacolo da superare, senza le opportunità per riflettere derivate dai fallimenti, anche molti grandi personaggi non sarebbero arrivati al successo. Il fallimento diventa così un momento da cui apprendere e cambiare strategia e ripetere il processo velocemente fino all’ottenimento di risultati positivi. Alcuni fallimenti ci spingono a insistere, altri invece ci convincono a lasciar perdere; altri ci spingono a perseverare, altri ancora ci suggeriscono un cambiamento. Sembra strano, ma il fallimento è il nucleo centrale delle nostre esistenze e dei nostri successi. Siamo uomini e quindi possiamo fallire. Non siamo né macchine perfettamente programmate, né animali determinati dall’istinto. Gli animali infatti non possono fallire, perché il loro comportamento è mosso dall’istinto. Obbediscono semplicemente alla propria natura. L’istinto non ha bisogno di imparare dai propri fallimenti. L’essere umano invece può fallire proprio in virtù della sua libertà: l’uomo è libero di sbagliare, libero di correggersi, libero di progredire. Accettare il fallimento richiede grande umiltà, ma soprattutto significa entrare in contatto con i propri limiti ed essere consapevoli che la vittoria richiede dedizione, perseveranza, coraggio, chiarezza di intenti, determinazione. Secondo Bachelard “la verità non mai altro che un errore rettificato”. Secondo questo

autore infatti, gli scienziati sono persone comuni che hanno iniziato sbagliando, elaborando poi delle idee errate sulle cose. Queste persone però non si sono fermate a queste prime considerazioni, hanno fatto delle esperienze e hanno avuto il coraggio di raddrizzare l’errore iniziale, entrando in contatto con la realtà e con le leggi di natura. Le intuizioni iniziali sono troppo ingenue per svelare le leggi della natura, per avvicinarci alla verità bisogna proprio prendere atto della loro fallacia. Per gli scienziati l’errore rettificato diventa l’unico modo per imparare, la sola via capace di condurre alla verità. Uno scienziato che non incontra un problema, che non affronta il fallimento della propria intuizione iniziale, non troverà mai niente. Nessuno scienziato infatti riesce a comprendere una verità a prima vista. Pensiamo alla storia del progresso della medicina, ovvero la storia delle malattie: studiando il corpo durante una crisi, quando cioè non risponde come dovrebbe, la scienza medica ha fatto dei passi avanti. Osservando il corpo umano quando non funziona siamo a riusciti a capire meglio come funziona. Il fallimento è insomma un modo per imparare più rapidamente di quanto non succederebbe se non

subissimo mai battute d’arresto. Riuscire a usare il fallimento come opportunità di crescita, significa osare. Avere il coraggio di fallire è un modo per mettere alla prova nostra volontà. I fallimenti sono dei test per valutare ciò che desideriamo davvero. Possiamo sfruttare un fallimento interrogandoci sulle nostre aspirazioni, rendendoci conto ad esempio che abbiamo fallito perché non avevamo veramente a cuore ciò che stavamo perseguendo. Al contrario, possiamo sperimentare nel bel mezzo del fallimento la forza ostinata del nostro desiderio, e misurare fino a che punto tale aspirazione è importante. Negare il fallimento è il modo più sicuro per non trarne alcun profitto; vuol dire non prendersi il tempo per soffermarsi a riflettere su cosa è andato storto. Impariamo quindi a considerarlo come un’opportunità, un’occasione per imparare cose nuove.

Dr.ssa Valeria Saladino psicologa

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eventi

XV edizione del “Sabato del Villaggio” a Lamezia di Annamaria Davoli

Si è svolto Sabato 25 gennaio alle 18,00 presso il Seminario Vescovile il primo incontro della Rassegna Culturale: Il Sabato del Villaggio dedicato a Rita Levi Montalcini. Nell’attesa che iniziasse l’incontro, particolarissima e originale la ‘performance’ artistica che ha intrattenuto i presenti. L’ artista Greta Balloreti ha deliziato e incuriosito tutti con la sua Sand Art ¹, piacevolissimo intrattenimento artstico-musicale: Versando della sabbia su un piano luminoso, dava forma ad alcune figure che venivano proiettate sullo schermo, rendendole in tal modo visibili al pubblico. Seguendo il ritmo della musica e grazie a una pregevole manualità, professionalità e bravura, la sabbia prendeva di volta in volta forme diverse: Fiori, cuori, animali, volti e ogni immagine riceveva il suo nome. L’intrattenimento artistico-musicale si è concluso presentando il tema della serata con la seguente dicitura: la cultura salverà il mondo In una sala gremita, Greta ha incontrato il favore del pubblico, ricevendo numerosissimi applausi. Il Prof Raffaele Gaetano, come di consueto, ha aperto l’incontro, salutando i presenti e presentando la coprotagonista, la nota giornalista Carola Vai, collaboratrice di famosi quotidiani nazionali quali: “Il Mattino”, “La Stampa” e molti altri e sempre in giro per il mondo. Ha reso noto che il tema della XV edizione sarà “ la passione”, intesa come lo specifico interesse messo in atto per il raggiungimento dei propri obiettivi. L’incontro di questa prima serata è stato dedicato a Rita Levi Montalcini e alla sua ‘passione’ per la Ricerca. Carola Vai autrice della biografia dell’ illustre scienziata ne ha discusso con il prof. R. Gaetano. Una donna forte e tenace come Rita riuscì con le proprie ricerche, a conoscere alcuni processi fondamentali, in un settore in cui precedentemente regnava il caos, in cui non si conoscesse ancora nulla. Una donna interessata e dotata di passione per tali studi, che inseguì costantemente i propri obiettivi, riuscì finalmente a trovare la risposta.

Testata Giornalistica Di tutto un po’ - lamezia e non solo anno 28°- n. 61 - febbraio 2020 Iscrizione al Tribunale di Lamezia Terme dal 1993 n. 609/09 Rug. - 4/09 Reg. Stampa Direttore Responsabile: Antonio Perri Edito da: GRAFICHÈditore Perri Lamezia Terme - Via del Progresso, 200 Tel. 0968.21844 - e.mail. perri16@gmail.com Stampa: Michele Domenicano Allestimento: Peppino Serratore Redazione: Giuseppe Perri - Nella Fragale - Antonio Perri Progetto grafico&impaginazione: Grafiché Perri-0968.21844

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