Lameziaenonsolo don giacomo gennaio 2016

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Lameziaenonsolo incontra

Don Giacomo Panizza

Questo mese incontriamo Don Giacomo Panizza, punto di riferimento in Calabria per quanto riguarda la Solidarietà, l’aiuto incondizionato verso le fasce più deboli, quelle che, fino a poco tempo fa era come se non esistessero, non se ne parlava o, se lo si faceva, si usavano i toni bassi, per vergogna o per fastidio. Ma Don Giacomo non è solo questo, è molto di più, fra le riviste, i quotidiani, le televisioni che gli hanno dedicato pagine, che hanno parlato di lui, che lo hanno intervistato, noi siamo il fanalino di coda, e il fatto che i mass media si interessino a lui la dice lunga su questa figura carismatica. Per me, per il giornale, questa è di certo, una delle più belle e più interessanti interviste fatte fino ad ora, non me ne vogliano tutti gli altri e, credo, che i nostri lettori la penseranno come me, Giacomo Panizza, compositore del 1800, era un suo avo? (sono riuscito a sorprenderla o le era stata fatta anche questa domanda?) Gli sportivi mi domandano se sono parente di Wladimiro il ciclista, e gli artisti se lo sono di qualche Panizza musicista, pittore o fotografo; gli eleganti mi chiedono se la mia famiglia è proprietaria del marchio dei cappelli, mentre i critici sono curiosi di sapere se sono imparentato a quell’Oskar scrittore anticlericale al quale George Grosz aveva dedicato un suo capolavoro. Posso continuare lo scherzo annotando che al di là degli avi, a Pontoglio in provincia di Brescia, il casato finisce con me, perché nella parentela col cognome Panizza sono rimaste solo donne, mentre io sono diventato prete. Come e perché il giovane Giacomo decise di avvicinarsi alla chiesa?

Sappiamo che lei ama la Calabria in modo incondizionato, e non per quello che dice ma per quello che fa. In questi anni ha mai avuto momenti di sconforto, momenti in cui si è pentito della scelta? Sì, momenti di sconforto mi assalgono le volte in cui la ragione mi mostra delle grosse e oggettive difficoltà. Altre volte i sentimenti, e specialmente la paura, mi pressano a lasciar perdere. In quarant’anni di Calabria, ho visto coi miei occhi le nostre classi dirigenti restie a scommettere sulle capacità e sulle speranze della popolazione. Questa sfiducia fa cadere le braccia perché, sia qui che nei miei viaggi, incontro dappertutto uomini e donne calabresi capaci di lavorare e di stare al mondo, sia nelle scuole che nella sanità, nelle arti e nelle organizzazioni sociali, nelle imprese e nelle professioni, anche in quelle più sofisticate. Molti mi dicono di essere emigrati per non aver potuto rimanere a esercitare al meglio o tantomeno normalmente le loro professioni. Si capisce che il mio cruccio è quello di vedere calpestata la dignità delle persone, insieme ai loro diritti. Il comparto sanitario è commissariato, ma non sono stati gli ammalati a dissipare il denaro. La causa è che la politica sanitaria ha sperperato ingenti somme per macchinari costosissimi lasciati sottoutilizzati, per consulenti inutili, e forse anche per spese clientelari. Non mi consola nemmeno constatare che la Calabria sia la regione che investe meno di tutte le altre nei servizi sociali, nella prevenzione dell’emarginazione e nella riabilitazione rivolta alle persone con disabilità, ai tossicodipendenti, a carcerati e ex carcerati, ai giovani e agli anziani, cioè alle cosiddette fasce deboli. Il mio rimanere in Calabria continua anche se la rassegnazione sembra aumentare. Più si diffonde la logica del piangersi addosso, più occorre impegnarsi a resistere e a lottare per cambiare le cose in meglio. Vivo con un gruppo di gruppi che aggrega molte persone semplici, lavoratrici e altre provenienti dai margini della società; con loro trovo tanti buoni motivi per reagire, per inventare vie nuove, per costruire speranza e ripartire. Oltretutto faccio il prete, e la fede cristiana illumina sempre il senso dell’impegno. Lo ha detto tante volte, nelle varie interviste ed anche in qualche suo libro, ma le voglio rifare la domanda per farla conoscere ai nostri lettori, come è arrivato in Calabria? E perché ha scelto di rimanere in Calabria e, nello specifico, a Lamezia Terme? È una storia bizzarra: perché io ero partito per la Calabria semplicemente per dare una mano ad alcuni giovani in sedia a

Dopo anni di fabbrica e di esperienze comuni ai miei coetanei, l’età adulta mi ha fatto piovere in testa l’idea di fare il prete. S’è messa a martellare insistentemente al punto che in poco più di un mese ho dovuto dirlo alla morosa, ai famigliari e agli amici. Insomma, “dovevo” provarci o non dormivo più. I vari perché, razionali, esistenziali e spirituali, si chiarivano man mano, ogni qualvolta mi trovavo costretto a decidermi tra diverse scelte di vita, e questa “idea” tutta nuova ha sbaragliato le altre.

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rotelle a ottenere dei servizi minimi per poter vivere dignitosamente, svolgendo anch’essi una parte attiva, rifiutando l’emarginazione e l’adagiarsi nell’assistenzialismo. Nel luglio 1975 un gruppetto di boys scout di Bella di Lamezia Terme salì nelle Marche, per svolgere un campo di lavoro al quale partecipavo anch’io. Alla Comunità di Capodarco di Fermo noi giovani volontari lavoravamo durante le ore del mattino, e il pomeriggio riflettevamo insieme sui nostri sogni e sui problemi esistenziali, politici e sociali insieme agli “handicappati” ospiti di quella comunità. Dal seminario di Brescia mi avevano indirizzato a fare esperienze di servizio alle persone non autosufficienti in parte o in tutto, al Cottolengo di Torino e Alba, a vari santuari in Italia e all’estero, e in questa continuità stavo alla Comunità di Capodarco, famosa perché veniva autogestita dalle persone “handicappate” stesse. Quei boys scout avevano però anche un secondo fine. Avevano in mente di “sistemare” là alcuni coetanei calabresi “handicappati”, costretti a trascorrere la maggior parte del loro tempo chiusi in casa, privi di servizi sociali, sanitari e scolastici, ma quella Comunità non poteva ricoverare in blocco venti o trenta giovani provenienti da fuori regione, distanti ottocento chilometri dai loro parenti. Agli scout venne perciò suggerito di attivarsi a creare una comunità similare, autogestita, anche in Calabria, garantendo un qualche sostegno. Vedendoli “troppo giovani”, ho detto: «Vado io», ed eccomi qui. Oddio, non è andata così liscia come la racconto. Infatti, a quel campo di lavoro partecipava per alcuni giorni anche un sacerdote, il passionista padre Ignazio, giunto da Catanzaro insieme a due giovani della sua parrocchia nella quale egli radunava settimanalmente alcuni “handicappati” della città. Con alcuni architetti aveva ideato un Centro per disabili da ubicare a Catanzaro, perciò ci siamo alleati per verificare le possibilità di far partire un’unica idea sul capoluogo oppure su Lamezia Terme. La città di Catanzaro ha così elaborato un progetto, disegnato e stampato mutuando la struttura della Comunità di Capodarco, coi laboratori, le zone per le terapie e per il tempo libero, le residenze, eccetera, ma rimaneva fermo sulla carta; mentre la giunta comunale di Lamezia Terme offriva un asilo abbandonato e cadente a patto che trovavamo noi i soldi per ristrutturarlo, e la Diocesi di Nicastro aveva il vescovo disposto a metterci a disposizione un’ala al piano terra del Seminario minore. La Comunità di Capodarco ci ha prestato 54 milioni e mezzo di lire senza esigere interessi, e ha messo gratis un architetto per ridisegnare l’ex Asilo Principessa Maria Pia di Via Conforti, dove, per un affitto simbolico, abbiamo avviato la prima sede della Comunità Progetto Sud di Lamezia Terme. Seppur venendo imprestato per soli cinque anni, di fatto i tre vescovi che si sono succeduti mi hanno impiegato in alcune attività ecclesiali, quali la Caritas, la Scuola di Dottrina Sociale della Chiesa, rapporti con vari gruppi di impegno educativo, lasciandomi seguire la Comunità Progetto Sud e per porre attenzione a certi temi culturali e sociali e all’educazione alla promozione della legalità.

Se avesse saputo a che cosa andava incontro scegliendo la Calabria, se avesse saputo della dura realtà fatta di ingiustizie, di dolore, di mafia, di ricatti, minacce, e quant’altro, avrebbe deciso ugualmente di rimanere nella nostra Regione? Non lo so. M’ero accorto subito che la Calabria era diversa dalla Lombardia, ma penso che la mia ignoranza dei rischi e dei pericoli cui andavo incontro, specie coi mafiosi, sia stata provvidenziale. Di fatto non sapevo quello che facevo. Forse sapendolo avrei lasciato sfuggire questa faticosa ma bella storia di vita insieme a tanti validi calabresi, forti anche delle loro stesse fragilità. Lei non vuole essere definito il “prete antimafia” ma le sue battaglie contro l’illegalità e, soprattutto, contro la mafia che perpetra l’Ingiustizia più grande, fanno legare il suo nome proprio alla mafia, inoltre nei suoi scritti, che siano libri o articoli, la stessa parola mafia o ndrangheta ricorre più che spesso, perché quindi non le piace essere definito “prete antimafia” ? Perché i preti abbiamo tanto da fare “per” le persone, la spiritualità, la libertà, il creato, la storia, la pace... Non siamo “contro” le persone ma contro gli sbagli, i loro e i nostri. In quanto preti cerchiamo di vivere “per” e “con” le persone, qualunque cosa abbiano fatto. Mi spiego. Una volta avviata la comunità, il 20 ottobre 1976, nemmeno un anno dopo abbiamo aperto un gruppo appartamento per togliere i minorenni dal carcere di Catanzaro. È stato il primo aperto in Calabria, e poi ne sono venuti più di altri venti. Ecco, non è meglio che i ragazzi evitino il carcere, dove imparano a vivere più da mafiosi che da cittadini? Non è meglio educare che punire? Certo bisogna sperimentare alternative. Noi avevamo sottesa l’idea di operare “per” i ragazzi e non “anti” qualcuno. Non mi piace la definizione di “prete antimafia” anche perché è un modo di dire che occulta il fatto che è la mafia a essere “anti me”, e anti tutti quanti noi, contro le nostre libertà, il lavoro vero,

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la democrazia, contro la felicità dei figli e delle figlie appartenenti alle stesse famiglie mafiose. Col tempo, però, sentiti i racconti di tanti giovani, di disperazioni, di tanti omicidi, di paure, di minacce ricevute - anch’io personalmente -, e in particolare dall’aver capito che i mafiosi “educano” i loro famigliari con una violenza disumana, mi sono detto che non dovevo più soltanto resistere ma anche ostacolarli, remare contro, denunciarli. Ho fatto il testimone di giustizia, e ho poi ritenuto importante partecipare alla costituzione del gruppo antiracket di Lamezia Terme. Col tempo, difatti, mi sono reso conto che fare educazione alla legalità nelle scuole, nei gruppi vari e nella parrocchie d’Italia e all’estero, e agire legalmente a fianco dello Stato e di una società che talvolta si impegnano al cento per cento e altre volte un po’ di meno, vale comunque la pena organizzarsi “anti” queste mafie. Le è stata conferita la laurea magistrale Honoris Causa, in Scienze delle Politiche e dei Servizi Sociali per il lavoro svolto fino ad ora, come “parroco di frontiera che è riuscito a realizzare una delle esperienze più importanti che la Calabria ha avuto in questi anni”, ma lei, già teneva lezioni all’Università, questa laurea è quindi, un “valore aggiunto”, so che è stato felice di ciò, si sente per questo ora obbligato a “dare di più”? Mi piace poter donare quel tanto o quel poco che potrebbe essere utile ai giovani per crescere, agli studenti per apprendere, alla gente per camminare sulla strada giusta a testa alta, alla polis per divenire più democratica e accogliente. Amo questi saperi per me stesso, li “rubo” ai vangeli, a certi personaggi profondi e creativi e li regalo a chi non ce li ha. I saperi sono beni spirituali, sono immateriali, e se li regaliamo li moltiplichiamo! Perciò, mi sono rallegrato quando l’Università della Calabria e la Repubblica italiana hanno riconosciuto a me e alla Comunità Progetto Sud di aver dato più dignità culturale e scientifica al lavoro sociale, alle lotte per i diritti umani e ai servizi promossi a Lamezia Terme, in Calabria e oltre, in Europa e in altri continenti. I suoi sforzi nel combattere la mafia hanno certamente aperto uno squarcio nell’omertà che caratterizzava la Calabria che lei ha conosciuto quando è arrivato a Lamezia Terme, lo dimostrano gli attentati di cui è stato fatto oggetto, che siano bombe, minacce, spari, danni alle proprietà della Comunità, (non dico alle sue proprietà personali perché non credo ne abbia), lei si rende conto che ha dato il via ad un mutamento radicale dell’atteggiamento dei lametini e della Calabria tutta verso l’indifferenza con la quale prima si subivano i soprusi? Se questo è stato, non è accaduto solo grazie a me ma ai gruppi che si rappresentano nella Comunità Progetto Sud, insieme alle molte altre persone che sono convinte e coese sui valori di uguaglianza e di solidarietà. Riguardo alle proprietà, è vero che io possiedo nulla, come altri del gruppo coi quali facciamo cassa

comune. Semplicemente, e non solo io, faccio da perno al girare di economie e di lavoro. Il lavoro che serve alla Calabria è quello onesto, necessita di creatività e di intelligenza per fare entrare soldi e di responsabilità per farli uscire. Il mio modo di intraprendere è un po’ così: individuo aree di bisogni concreti e architetto le fasi del lavoro, cerco giovani capaci e motivati, se serve denaro chiedo prestiti alle banche e garantisco firmando di assumermi i rischi conseguenti. Nemmeno un centesimo entra nelle mie tasche perché il ricavato delle attività va negli stipendi dei lavoratori e delle lavoratrici, a Equitalia e per il mantenimento delle case. Va per le macchine e le attrezzature, alle spese per i viveri e così via. Chi ci minaccia, spara e mette bombe, sa che non paghiamo il pizzo né assumiamo personale imposto da altri. Ma in Calabria e a Lamezia Terme non c’è solo la mafia che fa soprusi. Altri poteri, compresi alcuni politici, mettono il freno allo sviluppo umano e civile. In una intervista con l’Avvenire.it lei afferma che per combattere la mafia “occorre più progettazione pastorale, più formazione”, cosa intende precisamente? Intendo dire che come Chiesa non possiamo continuare ad ammonire occasionalmente i mafiosi, dopo che hanno ucciso qualcuno, o in seguito alla scoperta di affari sporchi, oppure dopo che la statua di un santo o di una santa è stata pilotata a “fare l’inchino” a un boss durante una nostra processione religiosa. A mio parere, contro le mafie dobbiamo organizzarci, e anche preventivamente. Non possiamo solo re-agire ma soprattutto pro-agire, e formarci per praticare individualmente e collettivamente al meglio la giustizia e la legalità. Intendo che dobbiamo elaborare più progetti pastorali consapevoli di voler davvero contrastare la mafia, che è una forza malefica. I clan pensano e progettano le loro azioni criminali con finalità e logiche di peccato. Non le lasciano al caso. La Chiesa, a sua volta, dovrebbe pensare e progettare le proprie azioni cristiane, con finalità e logiche evangeliche. Per muoversi adeguatamente su un terreno così delicato e pericoloso, abbiamo bisogno di più formazione e di più progettazione pastorale. La giustizia non si realizza solo scrivendo le leggi; va testimoniata, essa chiama in campo non solo lo Stato e le forze dell’ordine, i tribunali o qualcuno che faccia l’eroe. La giustizia impone una partecipazione corale e persuasa della popolazione in generale. E la Chiesa non può chiamarsi fuori. Sappiamo che ammira Papa Francesco e che la sua

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scomunica pubblica alla mafia è stata come un grande dono per lei, finalmente la voce autorevole della Chiesa schierata dalla parte della Giustizia, un suo pensiero su questo Papa? Papa Francesco sta invitando la Chiesa a colmare certi vuoti da essa un po’ tralasciati nella sua storia: quelli della misericordia divina, per riconoscerla e testimoniarla anche nella nostra vita; quelli riguardanti la dignità umana, con nessuno escluso; quelli della giustizia e - al rovescio, come egli scrive - dell’inequità che esclude persone e popoli dai diritti e dai beni di tutti. Era ora che un papa scomunicasse i mafiosi! Era ora che un papa dicesse in maniera inequivocabile che la religione cristiana e cattolica non è quella che hanno in mente loro e fa comodo a loro! Era ora che la Chiesa ufficiale si decidesse a non lasciare più alibi ai cristiani stessi, compresi preti e vescovi, a rimanersene estranei alle tante azioni criminali compiute dai clan mafiosi. Il papa insiste sulla conversione di tutti e tutte ad aprirsi al cambiamento, al dialogo, all’accoglienza, alla pace, alla tenerezza, alla bontà, alla misericordia, e a tutti quei modi di vivere le parole antiche ma sempre nuove dei vangeli. Cosa dovrebbe essere cambiato nella chiesa? Cosa della Chiesa non le piace? A me piacciono un sacco di cose della Chiesa, cominciando dai vangeli. Poi, certo, a secondo dei tempi e dei luoghi vi sono cose che in parallelo ai mutamenti storici e culturali vanno correttamente modificate, alla luce dei vangeli. Oggi qui, ad esempio, bisognerebbe non avere più paura di accertare e di ragionare sulle piaghe e sugli scandali della Chiesa. Non mi piace nemmeno che taluni confondano la Chiesa col perimetro del Vaticano. Bisognerebbe pure smetterla di impuntarsi sull’osservanza di certe regole e precetti tralasciando i messaggi d’amore e di libertà lasciati alla Chiesa da Gesù stesso. Condivido un messaggio del papa, al quale non piace una Chiesa timorosa e musona. «Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia. Colui che ci ha invitato a perdonare “settanta volte sette” (Mt 18,22) ci dà l’esempio: Egli perdona settanta volte sette. Torna a caricarci sulle spalle una volta dopo l’altra. Nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile. Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia. Non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada. Nulla possa più della sua vita che ci spinge in avanti!» (Esortazione Evangelii gaudium, n. 3) I suoi problemi più grandi con la ‘ndrangheta sono aumentati in modo esponenziale quando ha avuto il coraggio di occupare un bene confiscato ad essa? Sì, in quel frangente sono aumentati i problemi. Considerate che a

Lamezia Terme era la prima volta che qualcuno si “azzardava” a mettere in pratica la legge sull’utilizzo sociale dei beni confiscati alla mafia. La questione rimaneva pesante anche per il fatto che il Comune non veniva a fare l’inventario dello stato dell’arte della struttura, per cui ogni volta che ci ritornavo mancava qualcosa dalle stanze, dai corridoi e dai bagni, o i termosifoni, o perfino i fili elettrici e finanche le mascherine e gli stessi interruttori della luce. Insomma, per diversi mesi l’accesso agli appartamenti avveniva in comune con la famiglia Torcasio alla quale erano stati confiscati. Varcavo l’unico cancello dopo aver suonato loro affinché mi aprissero, attraversavo l’unico cortile, e entravo in una casa della quale essi avevano ancora le chiavi perché nessuno le aveva ritirate e nessuno aveva sostituito le serrature delle porte. Per questo ci andavo solo io, e là me ne dicevano di tutti i colori fino a quando il procuratore e il prefetto mi hanno obbligato a sottostare a un programma di protezione. Lei vive sotto scorta dal 2002, cosa si prova nel vivere sotto scorta? Toglie qualcosa alla sua libertà? Immaginate … Io potrei raccontarvi i sogni inquieti che mi scortano da allora… Senza tutte le libertà, faccio il prete lo stesso, tra la gente… Le donne calabresi, vittime o carnefici? Lei ha affermato che l’unica volta che ha avuto paura delle minacce che la mafia le ha continuamente fatto è stato quando la minaccia è stata pronunziata dall’anziana donna del Clan Torcasio, ritiene che in Calabria lo strapotere delle donne nella criminalità organizzata, sia forte o è un caso isolato questo? Non so rispondere con esattezza. Nella mia esperienza, in prevalenza ho incontrato donne che chiedevano aiuto a sfuggire ai clan di appartenenza. Queste, in nome dei figli da mettere al riparo da una vita cattiva e infelice, odiosa, con la fissazione della vendetta, hanno preso coraggio e si sono ritirate a vita nascosta e dissociate dai legami del loro passato, per ricominciarne un’altra più dignitosa e serena. Altre donne, come la studiosa Renate Siebert o la scrittrice

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Angela Iantosca, ad esempio, hanno indagato il potere delle donne nella criminalità organizzata e le complicità femminili coi sistemi mafiosi. Da varie ricerche emergono episodi di donne al comando dei clan, ma pare che non si sia raggiunto un equilibrio, un punto di parità tra maschi e femmine. La cronaca, i processi e la letteratura, ci consegnano sia episodi di donne ribelli ai clan sia episodi di donne che in essi assumono potere, ma penso che in questi mondi siamo lontani dalle pari opportunità tra maschi e femmine, o che la criminalità di stampo mafioso si stia femminilizzando. “Ai posteri l’ardua sentenza!” Quanto a me, sì, quel giorno citato, nel cortile dei Torcasio ho tremato per la più grande paura della mia vita, ma non è stata l’unica volta. Io conosco la paura. Mi si introduce dappertutto e me la tengo, poiché so che io vivrei malamente e con più paura se sottomesso a prepotenti. E dopo le donne i giovani, che ne pensa dei giovani lametini? La aiutano? Sono ostili? Sono indifferenti? Secondo me, i giovani lametini sono abbastanza conformi ai loro coetanei italiani. Nel periodo della giovinezza si è assorbiti dai problemi esistenziali, dagli studi, dagli affetti e dal ruolo sociale. E da qualche confusione…, perciò non puoi non provare, esplorare, cercare di capire. Va bene così. È importante che guardino “dentro” sé stessi, che si parlino, che amino vivere, e la vita non è mai la fotocopia di quella degli adulti, nemmeno di quelli di casa. In gran parte, superati i vent’anni, li vedi mettersi alla ricerca di cosa fare da grandi. I dati ci informano che circa uno su tre rinvia le scelte della maturità, e che gli altri due su tre si responsabilizzano scegliendo anche di emigrare. Purtroppo, secondo me, in tanti conoscono solo a grandi linee i valori umani, anche perché gli adulti non glieli hanno prospettati al meglio. Anche i valori sociali, quali la famiglia, la politica, il rispetto del bene comune, i doveri verso i piccoli e i deboli, li possono cogliere se in famiglia o a scuola c’è un’effettiva e curata trasmissione di essi, e li possono esercitare solo laddove esistono delle infrastrutturazioni sociali concrete. Ma,

a mio avviso, non è il caso della città di Lamezia Terme, nella quale persiste come un oblio delle proprie opere storiche e civili simboliche. Anche quelle della Chiesa, sono poche e non possono essere esaustive al tempo della laicità e della democrazia. I giovani, pertanto, rimangono senza codici interpretativi per vedere e per poter comprendere le necessità sociali, i bisogni concreti degli anziani, delle famiglie e dei bambini, e non potendo nemmeno capire “chi” è che li lascia nell’abbandono. Dagli adulti, e dai media locali, acquisiscono informazioni connesse alle tensioni su chi dovrebbe governare la città, su chi dovrebbe guidare un partito, di quale clan avere più paura tra quelli mafiosi, mentre ottengono meno notizie su che cosa ci sarebbe da fare di importante per la città e su che cosa potremmo costruttivamente fare insieme. In generale, tolto il numero di quelli “allevati” dai clan mafiosi, i nostri giovani non mi appaiono ostili o indifferenti. Colgono l’importanza del lavoro, il senso di un’occupazione dignitosa, e i danni umani ed economici provocati dalla disoccupazione. Benché giovani (nel senso di aver ancora davanti tante cose da apprendere dalla vita), dal canto mio cerco di metterci attenzione alle cose da chiedere a ciascuno di loro, per un coinvolgimento di aiuto. Sono tutti differenti tra loro anche se uguali di età: uno è portato a parlarti e l’altro ad ascoltarti, uno ama il linguaggio della musica e l’altro i campi di studio e lavoro, un altro ha un’intelligenza pratica nelle cose quotidiane e un altro ancora ha la testa nel futuro, e così via. Credo che con le ragazze e coi ragazzi sia rispettoso regolarsi uno per uno, prefigurando con ciascuno quali belle idee e progettualità portare avanti. Di certo i giovani non stanno attraversando una fase di vita facile. Hanno meno opportunità di quelle avute in passato dai loro adulti di casa, ma fortunatamente hanno più strumenti, quali più tempo di scuola e più mezzi moderni. Insomma: principalmente tocca a loro, mentre i genitori, la politica e la Chiesa li dovremmo amare, accompagnandoli nella crescita delle loro responsabilità senza mai sostituirli né abbandonarli. Dovremmo noi adulti assumere atteggiamenti di paternità e maternità responsabili, di adultità, forse con meno prediche e più esempi coerenti. E la famiglia? È ancora un valore per i lametini? La famiglia lametina, a mio avviso, s’è ristretta nelle sue possibilità e capacità proprio riguardo alla paternità e maternità responsabile. Idealmente viene intesa come valore, ma ai componenti viene difficile metterlo in pratica. A me pare un soggetto in confusione perché in transizione, dove i doveri famigliari sono sentiti ma tralasciati e auto-condonati. Non so cosa possa provocare questo sfilacciamento dei valori dalla pratica. Di fatto – tiro in ballo i quarant’anni che sono a Lamezia Terme - in città non ho mai visto

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un’amministrazione che abbia scommesso sulle famiglie, nemmeno con servizi leggeri, dove non si danno soldi alle famiglie ma le si aiuta a capire i sentimenti, a dialogare tra coniugi e tra genitori e figli, a superare l’analfabetismo educativo. La Comunità Progetto Sud, insieme alla Caritas diocesana, ha portato avanti per anni piccoli servizi di questo tipo, andando nelle case dove oltre alla povertà economica vi era anche una povertà relazionale, dove i componenti faticavano ad avere parole per dire l’amore o i rancori, per dare il suo senso al maschilismo presente o al misconoscimento delle regole minime da rispettare per poter costruire assieme una famiglia felice e non un inferno. E ha funzionato. Ecco, credo che a Lamezia Terme sia ora di sostenere le capacità dei componenti delle famiglie a “fare famiglia”, a rigenerare giorno dopo giorno un posto “umano” dove nascere e crescere, dove vivere sereni, dove imparare a volare, e dove quando sbagli non cade il mondo perché lì c’è qualcuno che ti “comprende” perché ti ama… Abbiamo parlato solo per vie traverse della Comunità Progetto Sud, vuole parlarcene, e mi scuso nel chiederglielo perché so che meriterebbe spazi più ampi, brevemente? Facciamo così: allego una scheda sintetica dei servizi, enti e attività, reti regionali, nazionali e mondiali che abbiamo fatto nascere. Gli ovali indicano una struttura o un servizio, o anche un intervento territoriale dove siamo noi che andiamo da chi ha bisogno, a casa o per strada (ad esempio: le attività con le prostitute sulla strada del mare che va da Amantea a Pizzo, sono un “intervento”). Alcuni degli ovali non contano per una unità, ma a volte cinque o dieci o più gruppi e servizi promossi (ad esempio, la sigla FISH Calabria indica che in regione abbiamo dato vita a una rete composta da oltre quaranta enti). Per saperne di più, potete andare al sito www.comunitaprogettosud.it. Pensate che già durante il primo e il secondo anno avevamo ospitato giovani di mezzo mondo, venuti in Calabria con Pax Cristi International per un confronto culturale tra diverse nazioni, gestendo riunioni nelle quali ogni intervento veniva espresso in lingua madre e tradotto in cinque lingue differenti. Il mondo in diretta allietava i giovani aitanti e quelli sulla sedia a rotelle a intervenire per dire anch’essi i loro rispettivi punti di vista. Giovanna Graf, una signora affermata grafica pubblicitaria d’oltralpe maritata a Lamezia Terme, s’era meravigliata dell’esistenza in Calabria di una comunità autogestita, promiscua, un Sud con dentro il Nord e tanto resto

del mondo, maschi e femmine, laureati e analfabeti, la maggior parte costretti in carrozzina a rotelle e i rimanenti conviventi volontariamente disponibili a prendersi cura di loro. Come altri italiani anche lei, svizzera, ci equiparava a una grande casa animata da un continuativo via vai, un crogiolo culturale di esperienze e idealità, una realtà libera da partiti e clan, trasgressiva e costruttiva al tempo stesso. Intrigata da persone tanto diverse e legate a un gruppo, ci raffigurò in uno schizzo monocromatico, un fiore azzurro di cinque petali ognuno di essi differente dall’altro. «Io vi vedo così!» disse, e quel fiore divenne il logo della Comunità Progetto Sud di Lamezia Terme. Il suo ultimo libro, mi pare, è “La mafia sul Collo”, ne sta preparando un altro? La mafia sul collo è di un anno fa ed è arrivato alla terza ristampa. Da qualche settimana è uscito Incontro don Giacomo Panizza, un libro con tematiche religiose ed esistenziali per un dialogo con gli adolescenti, sui loro ideali, sentimenti, timori, sogni. È per le scuole, le parrocchie e i gruppi formativi. (Si acquista solo richiedendolo

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a: www.ipocpress.com). Ci vuole raccontare momenti particolarmente toccanti di questo lungo percorso? Accadimenti piccoli o grandi che le hanno dato la forza di continuare questa sua grande battaglia, della quale tutti noi dobbiamo esserle grati? Come faccio a setacciare quarant’anni di esperienze, di grandi aspirazioni e difficoltà? Dirò della volta che in comunità abbiamo deciso di corrispondere alla proposta del Commissario prefettizio Dino Mazzorana, che ci chiedeva fervidamente di utilizzare per fini sociali una villa confiscata al clan Torcasio perché fino a quel giorno, a causa della paura, le sue proposte avevano riscosso tutti rifiuti. La città viveva un biennio appesantito da delitti e omertà, e il nostro “sì” ha determinato una svolta nell’immaginario collettivo. Infatti, alcuni componenti della Comunità Progetto Sud, dalla sedia a rotelle avevano scandito: «Noi faremo alla città il regalo di avere meno paura!». Ma il regalo non è finito con la gestione della villa. Mi piace comunicare per la prima volta rendere noto, approfittando di questa intervista, che la casa non era abitabile da subito. E per questo, dopo il tempo perso a causa della fifa dei fabbri che si rifiutavano di sostituirci le serrature della casa confiscata, la Comunità Progetto Sud ha speso di tasca propria 85.000 euro per rendere fruibili almeno due piani, per inserirci l’ascensore necessario a chi sta sulla sedia a rotelle, e per risolvere l’agibilità del palazzo poiché oltre che “sconosciuto” alle istituzioni il carotaggio ne aveva decretato l’inagibilità. Quindi, abbiamo aggiunto altri 12.000 euro per acquistare mobili e suppellettili delle stanze, compresi gli arredi di bagni e cucina. Altri “regali” li hanno fatti invece a noi certi mafiosi tirandoci bombe e pallottole alle porte e in casa. L’ultimo “regalo” l’abbiamo ricevuto l’undici agosto scorso da un gruppo di facinorosi che, in compagnia di due consiglieri comunali, hanno manifestato pretestuosamente sotto casa inveendo oscenamente contro i nostri operatori e operatrici e contro i nostri ospiti ragazzini minorenni stranieri privi di famigliari. Sono toccanti i racconti dei minorenni. Il più piccolo – ad esempio - mi si è rivolto direttamente: «O don Giacomo, tu dici sempre che dobbiamo integrarsi cogli italiani, ma… con quelli dobbiamo integrarsi?». La poliziotta presente l’ha maternamente e autorevolmente rassicurato… Ma la storia della Comunità Progetto Sud è costellata di vissuti e accadimenti umanissimi e civilissimi. Accenno solo ad alcuni: come il senso della vita riscoperto da giovani tossicodipendenti o le morti tragiche di persone malate di Aids; come la libertà conquistata da donne schiavizzate a prostituirsi, o la pace ritrovata da uomini

usciti dal carcere; così anche il passaggio dalla disperazione di solitudini costretti su una sedia a rotelle a una vita in compagnia di persone disposte ad ascoltarti e stimarti in una comunità di vita; come la bellezza di incrociare gli occhi brillanti dei numerosi bambini e bambine nati tra noi in tutti questi anni. Ma c’è molto e molto altro, sono eventi particolari, che fanno fiorire e circolare la forza di credere in noi stessi e nella provvidenza con la P maiuscola. Vi sono stati anche accadimenti drammatici. Da tutti quanti, sia felici che dolorosi, ho imparato che nella vita si può avere due o più identità, come anche due o più fedeltà. Ad esempio, io, nato a Brescia, mi sento ancora lombardo al cento per cento ma anche calabrese al cento per cento. Per concludere, una domanda che faccio a tutti gli intervistati, la domanda che non le ho fatto e che avrebbe voluto le facessi. Penserei a una domanda del tipo: «Quali ricadute ha la spiritualità cristiana sull’impegno sociale e sulla cultura, sulla politica e sull’economia?». L’intervista è finita e mi dispiace perchè le domande che ancora avrei voluto fargli sono tante. Del resto alla domanda che gli avrei dovuto fare, e che non gli ho fatto, non ha risposto, e per farlo necessiterà un nuovo incontro... Ho letto l’intervista più volte, mi è piaciuto quando ha affermato che non è lui ad essere antimafia, ma è essa stessa ad essere anti-lui, anti noi tutti; mi è piaciuto quando ha detto che lui non possiede beni materiali ma quel “sapere spirituale” che possiede è un bene immateriale e lui lo dona agli altri perchè così lo moltiplica; quando ha sostenuto che la Chiesa che vuole Papa Francesco è quella giusta, quella vicina alla gente, quella che parla bene e razzola bene, come lui del resto, esattamente come Don Giacomo fa. Ed allora mi viene in mente la domanda che non gli ho fatto e mi viene da pensare ad una risposta da profano: Se tutti gli uomini di fede, se tutti gli uomini della chiesa, fossero come lui, come pochi altri (temo), come Papa Francesco, la grande spiritualità cristiana che da loro emana avrebbe influenze positive su tutto: società, cultura, politica, economia perchè una società con sani principi non sforna uomini politici, uomini di chiesa, insomma uomini di potere corrotti, di conseguenza l’economia, la ricchezza non sarebbe appannaggio di pochi, e la stessa politica mirerebbe a non ledere la dignità dell’uomo, quella dignità che non dovrebbe essere tolta a nessun essere vivente, perchè innanzi a Dio siamo tutti uguali. Poesia, rigore, spiritualità, coraggio, grande forza, è questo che, forse, ha visto Giovanna Graf quando ha creato il fiore azzurro che oggi è il simbolo della Comunità. Io ringrazio Don Giacomo per il tempo concessoci e per le parole dette che faccio mie, intanto su www.ipocpress.com acquisterò “Incontro don Giacomo Panizza”, costa solo 9 euro il cartace e 7 l’e-book, anche se è per le scuole credo possa fare bene a tutti perchè nella vita c’è sempre da imparare.

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Un anno insieme

Sono ormai diverse le iniziative che l’AIGA -Associazione Italiana Giovani Avvocati- Sezione di Lamezia Terme ha posto in essere nel corso dell’anno 2015. Tra queste meritano sicuramente di essere annoverati una serie incontri che prendono il nome de “Il Caffè Giuridico” e che, avendo come obiettivo quello di creare in maniera vivace e coinvolgente momenti di approfondimento di singoli aspetti normativi man mano individuati, sono maggiormente orientati all’aspetto formativo-professionale. Il format de “Il Caffè Giuridico” può dirsi ormai acquisito nell’identità della Sezione di Lamezia Terme dove, impersonando e traducendo a pieno lo spirito associativo del consesso, ha consentito ed ancora consentirà a chi tra i giovani Professionisti lametini -con aperture, peraltro già concretizzate, anche a sinergie con ambiti e discipline differenti da quelle prettamente giuridiche e giudiziarie ma a queste connesse- ha avuto ed avrà la Disponibilità di impiegare un po’ del proprio tempo ed un po’ del proprio studio per promuovere occasioni di incontro e confronto dialettico. La Sezione di Lamezia Terme, naturalmente in linea con i proponimenti dell’Associazione tutta oltre che con quelli propugnati da tutte le “Istituzioni Forensi”, ha quindi tra i primari obiettivi quello di coltivare in maniera sana il senso dell’appartenenza ad un’Associazione a carattere professionale e, quindi, anche ad un Ordine Professionale -nel caso quello degli Avvocati- intervenendo nella fase iniziale della esperienza professionale degli aderenti, cercando di incentivare responsabilizzazione e consapevolezza ed auspicando così di partecipare al sempre necessario miglioramento della Classe Forense. Per cercare di raggiungere tali meritorie finalità è sicuramente necessario spendersi con impegno e dedizione in attività capaci di allenare la maturazione personale e culturale di ciascuno, tuttavia non può essere disconosciuto che meritano di essere altresì incentivati momenti ed occasioni che possano anche “accattivare” il giovane Professionista -che pur sempre giovane è e che tale vorrebbe rimanere anche quando avrà anni ed esperienza in più!- per avvicinarlo all’Associazione e/o per cementarne o comunque renderne anche gradevole la partecipazione: si tratta di quelle iniziative

capaci di sprigionare potenzialità aggreganti davvero non comuni! Ed è per tale motivo che, peraltro in concomitanza con le Festività Natalizie che indubbiamente “autorizzano” le occasioni di intrattenimento, la Sezione AIGA di Lamezia Terme ha con buon anticipo prima messo in programma e quindi concretamente allestito un Party Natalizio veramente ricreativo e divertente, tenutosi venerdì 18.12.2015 presso un conosciuto ed apprezzato locale lametino la cui Direzione ha ben compreso lo spirito dell’iniziativa ed è riuscita a canalizzare l’organizzazione dell’evento in maniera davvero meritevole. Organizzazione che si è rivelata peraltro un’esperienza veramente proficua dal momento che ha comportato la soluzione di diverse questioni -pratiche e non- che non sempre vengono affrontate da chi svolge un’attività professionale, ed ha costituito un banco di prova -brillantemente superato- per testare l’impegno degli Associati che, ad onor del vero e con speciale menzione e ringraziamento per diverse “nuove leve”, si sono prodigati in maniera valida e concreta per la buona riuscita della serata. La serata è quindi piacevolmente trascorsa sulle note della buona musica ed è stata addolcita da prelibatezze dolciarie e da un’atmosfera leggera e spensierata che ha davvero dato il benvenuto alle Festività Natalizie ed ha consentito ai tanti partecipanti, che solitamente si incontrano per ragioni lavorative, di potersi intrattenere in maniera notevolmente più rilassata. Un’esperienza perciò sicuramente da ripetere!

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Vittorino Fittante

La presentazione del libro “Una vita tra Cultura e Politica: Vittorino Fittante” è stata l’occasione per ricordare, il 29 dicembre, presso il Savant Hotel, la figura di questo grande uomo, chiaravallese di nascita ma nicastrese d’adozione. Antonio Bagnato, Giuseppe Masi, Gianni Speranza e Vito Teti, che lo hanno conosciuto, lo hanno ricordato ed hanno sottolineato i tratti salienti del carattere di questo uomo e, nonostante ognuno ne abbia raccontato di quel che faceva parte del proprio bagaglio di conoscenza, la figura dell’uomo Vittorino, che ne è uscita fuori, è stata comunque la medesima: uomo di grande cultura e politico onesto. Uomo attento, padre premuroso, marito affettuoso, gli aggettivi che gli si potrebbero dedicare, per tentare di descriverne le qualità, sono tanti, ma si rischierebbe di risultare stucchevoli è non è giusto nei confronti di Vittorino Fittante perchè tutto era tranne che sdolcinato. Era ironico, basta leggere l’introduzione del racconto “Vecchi Giochi” del 1966: “Sono tutti estroversi i Santi Patroni dei nostri paesi. Gli altri no, sono schivi e riservati, di chiesa, che amano le feste in famiglia. Del resto anche il buon Gesù se ne sta al caldo della sua grotta. Come lui tanti saluti, tutto casa e chiesa.” Era attento conoscitore delle usanze di un paese che pure non era il suo ma che amava come se lo fosse, conosceva anche quelle “tramandate”, che può conoscere solo chi “vive” il luogo ove abita, ne “La tredicina di Sant’Antonio”, del 2012 così recita: “A “nuttata” talvolta, forniva una occasione per incontri trepidanti “‘nta u vuascu i sant’ Antoni”, o almeno al suo imbocco, di lato della chiesa: parole, carezze, baci veloci, frettolosi, strappati tra desiderio e trepidazione. Per queste scappatelle “peccaminose” di solito si cercava la compagnia di una amica compiacente, che forniva così ad entrambe un alibi, all’occorrenza: “cummari e cummarelli”. Qualche volta succedeva che anche una donna maritata incappasse in simili sotterfugi, nella speranza di soddisfare nell’ombra scura di un anfratto del bosco, qualche arretrata voglia. “ Era, come tutte le persone veramente “grandi”, umile, trattava nello stesso modo, con lo stesso rispetto, tutti, indipendentemente dalla loro cultura o dal loro ceto sociale, ed infatti è ricordato da tutti con attaccamento, come un amico, non un semplice conoscente, Era colto, e la sua cultura spaziava, dalla studio della storia alla lettura dei classici,

dalla politica alla pedagogia, dalla conoscenza del mondo giovanile alla preoccupazione per il futuro prossimo, basta leggere gli scritti che ha lasciato: saggi, libri, articoli. Non monotematici, infatti gli argomenti trattati sono vari, la storia, il ricordo, i giovani, la politica, il potere delle donne, la tradizione. Era un politico “onesto”, lo dimostra il fatto che, pur avendo occupato ruoli di prestigio, non si è mai “arricchito” inopinatamente come, purtroppo, spesso accade, il suo nome è rimasto immacolato e sinonimo di integrità. Se ne è andata una figura importante per Nicastro, per Lamezia, per tutti, ne è la dimostrazione la sala polivalente di Palazzo Nicotera che gli è stata intitolata, ne è dimostrazione l’affetto con cui gli amici lo ricordano, le parole che gli hanno dedicato, la commozione che ha suscitato parlare di lui nell’incontro. Se ne è andato ad 83 anni, a novembre del 2013, del 2013 sono i suoi ultimi scritti, a testimonianza del suo amore verso la conoscenza che ne ha mantenuto lo spirito sempre giovane ed attento. La parola “Memoria” gli era cara, ricorre in alcuni suoi titoli come “Francamente razzisti - Nel giorno della memoria. Per ricordare” o “Memoria di uomini, di macchine, di sudore “; appare molte volte nelle pagine dei suoi testi. “Memoria” oggi è per noi tutti la figura di Vittorino che ci ha lasciato testimonianza di ciò che siamo stati , di ciò che è stato e ci ha portato dove siamo, che non dobbiamo dimenticare per evitare di rifare gli stessi errori, per evitare di essere un paese senza storia, come scrisse Pier Paolo Pasolini, nei suoi “Scritti Corsari” : “Noi siamo un paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia”… “Se l’Italia avesse cura della sua storia, della sua memoria, imparerebbe che i vizi di questo Paese – speciale nel vivere alla grande ma con le pezze al culo – sono ciclici, si ripetono incarnati da uomini diversi con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l’etica, con l’identica allergia alla coerenza, a una tensione morale”. E voglio chiudere con le parole del fratello, l’onorevole Costantino Fittante che ha curato la stesura del libro ed organizzato il convegno: “man mano che passano gli anni la memoria storica si va disperdendo, con varie e preoccupanti cadute di valori. Ecco perché è necessario attivare una trasmissione della memoria”, e ringraziarlo per avere condiviso con noi tutti quanto ci ha lasciato Vittorino: come uomo, come amico, come politico e come scrittore.

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Successo per la I edizione di

“People & Art” all’atelier di Elena Vera Stella Circa 700 visitatori nelle quattro serate di “People & Art”, che ha chiuso i battenti domenica scorsa 27 dicembre con la collettiva dei 12 artisti che hanno partecipato alla rassegna e il brindisi di auguri per salutare il 2015. Dalla moda più innovativa all’arte sacra, dai videomaker alla scultura e alla scrittura emergente: tante le proposte artistiche che hanno segnato la prima edizione della rassegna ideata e organizzata dalla stilista Elena Vera Stella che ha scelto di “riempire” il suo nuovo concept store di Piazza Stocco dando spazio al talento e alla creatività lametina nelle più diverse forme. Punto di partenza di un progetto che vuole fare dello storico atelier della stilista lametina un punto di riferimento per tutti coloro che amano l’arte e la creatività, la prima edizione della rassegna viene raccontata in un video, realizzato da Antonia Butera e disponibile sulla pagina ufficiale di Elena Vera Stella, che ripercorre per immagini le esposizioni di Rosaria Gallo (tessitrice), Teresa Matera (pittrice), Paola Perri (fotografa), Tiziana Pansino e Maria Ambrogio (fashion designers), Andrea Perri (papillon designer), Antonia Butera (videomaker), Raffaele Mazza (scultore e pittore), Marica Zarola (scultrice), Raffaele Scalamogna (scultore

e pittore), Fiorella Villella (autrice). “Ringrazio gli artisti e tutti coloro che hanno collaborato alla realizzazione della prima edizione di “People & Art”. Una manifestazione realizzata dal basso, con il contributo libero degli artisti che hanno partecipato, che ha centrato i suoi obiettivi: dare spazio e visibilità a talenti e creativi della nostra città, animare questa parte del centro storico nel periodo natalizio, aprire nuove strade agli artisti che hanno deciso di mettersi in gioco. Diversi critici d’arte ed esperti sono passati in queste serate e hanno avuto modo di visionare le opere e le realizzazioni degli artisti. Di particolare importanza la visita del Vescovo Luigi Cantafora, che colgo l’occasione per ringraziare a nome di tutti gli artisti, che ha apprezzato le opere d’arte sacra di Raffaele Mazza: una di queste opere, un Crocifisso realizzato in legno d’ulivo, sarò donato per volontà dell’artista alla Diocesi di Lamezia Terme. E’ il primo passo di un progetto di apertura di questo concept store a tutti coloro che a Lamezia hanno voglia di mettere in rete i propri talenti e competenze: la moda e la creatività si intrecciano con le diverse forme di ricerca artistica per rendere più bella e viva e la nostra città”, è quanto dichiara Elena Vera Stella.

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Scuola Media Pietro Ardito - Liberamente ispirato all’opera di Charles Dickens

A CHRISTMAS CAROL regia Tommaso Cozzitorto

Il 17 dicembre si è tenuto nell’aula magna della scuola media Ardito-don Bosco lo spettacolo di Natale della 3 B con la regia e sceneggiatura del professore Tommaso Cozzitorto. Il tema principale del recital è stato liberamente tratto dalla nota opera “A Christmas Carol” scritta dall’altrettanto famoso romanziere inglese Charles Dickens. È la vigilia di Natale e l’ usurario Scrooge è nel suo ufficio intento al lavoro. Durante la notte gli appariranno gli spettri di un vecchio socio, Marley, consapevole di aver sprecato la propria vita e di non aver compreso l’essenza delle cose,causa del quale porterà delle catene per le eternità ;subito dopo appare lo spettro del Natale passato il quale dimostrerà a Scrooge in un breve viaggio fantastico gli errori commessi e le dignità lese nel corso della sua infanzia e gioventù; in seguito l’apparizione dello spettro del Natale presente il quale lo illuminerà sui danni causati all’umanità dalla sua avidità , dal suo egoismo e dalla sua povertà d’animo originatasi nel dare importanza unicamente ai valori materiali e contemporanei. Infine lo spettro del Natale futuro lo prospetterà verso la morte in solitudine e verso una tomba illacrimata. Dopo l’inaspettata visita dei tre spettri il protagonista subirà un esame di coscienza il quale cambierà la sua visione della vita. Lo spettacolo, diviso in 5 atti, è stato introdotto da una breve riflessione realizzata da Nancy Venuti ed,in seguito, con una sfumatura di lingua inglese, Caterina Ermio e Tommaso Marasco hanno narrato la biografia di Charles Dickens coordinati dalla prof. Luciana Pellegrino. Passando alla lingua francese , le alunne Caterina Ermio e Alice Scaramuzzino hanno recitato due poesie supportate dalla professoressa Assia Carotenuto. Il messaggio che abbiamo voluto trasmettere è stato: mostrare l’importanza dei valori d’animo utilizzando la figura dei tre Scrooge al fine di mostrate come i valori contemporanei e materiali influenzino negativamente sulla società. Per la collaborazione al fine dell’organizzazione del recital si ringraziano il prof. Claudio Cuomo che ha contribuito alla scenografia con un quadro natalizio, la professoressa Maria Rita Di Cello che ha realizzato le coreografie dei due balletti pertinenti al tema, il prof. Antonio Guerrise, la prof Cettina Donato per il supporto datoci ed il preside Giovanni Lucchino per aver reso disponibile l’aula magna ed infine il direttore amministrativo Laura Ferrise .

le cose,causa del quale porterà delle catene per le eternità ;subito dopo appare lo spettro del Natale passato il quale dimostrerà a Scrooge in un breve viaggio fantastico gli errori commessi e le dignità lese nel corso della sua infanzia e gioventù; in seguito l’apparizione dello spettro del Natale presente il quale lo illuminerà sui danni causati all’umanità dalla sua avidità , dal suo egoismo e dalla sua povertà d’animo originatasi nel dare importanza unicamente ai valori materiali e contemporanei. Infine lo spettro del Natale futuro lo prospetterà verso la morte in solitudine e verso una tomba illacrimata. Dopo l’ inaspettata visita dei tre spettri il protagonista subirà un esame di coscienza il quale cambierà la sua visione della vita .Lo spettacolo ,diviso in 5 atti, è stato introdotto da una breve riflessione realizzata da Nancy Venuti ed,in seguito, con una sfumatura di lingua inglese , Caterina Ermio e Tommaso Marasco hanno narrato la biografia di Charles Dickens coordinati dalla prof. Luciana Pellegrino. Passando alla lingua francese , le alunne Caterina Ermio e Alice Scaramuzzino hanno recitato due poesie supportate dalla professoressa Assia Carotenuto. Il messaggio che abbiamo voluto trasmettere è stato: mostrare l’importanza dei valori d’animo utilizzando la figura dei tre Scrooge al fine di mostrate come i valori contemporanei e materiali influenzino negativamente sulla società. Per la collaborazione alfine dell’organizzazione del recital si ringraziano il prof. Claudio Cuomo che ha contribuito alla scenografia con un quadro natalizio, il prof. Antonio Guerrise ed il preside dott. Giovanni Lucchino per aver reso disponibile l’aula magna ed infine il direttore amministrativo dott.ssa Laura Ferrise. Inoltre ringraziamo i nostri compagni: Valeria Notarianni, Francesco Pio Chirumbolo ,Luca Randazzo, Maria Canacari, Andrea Miceli, Matteo Rocca, Simone Savio, Francesco Luzzo, Francesco Mercuri, Lara Torcasio, Gabriella Rosato, Francesca Serra, Miriam Caligiuri, Leopoldo Maggiorini, Mirko D’Agostino, Vittorio Donato, Matteo Russano, Salvatore Matarazzo, Aldo Moraca, Marco Caroleo, Antonio Folino Gallo, Simone Serra. Quest’articolo è stato realizzato dagli alunni: Caterina Ermio, Tommaso Marasco, Alice Scaramuzzino e Nancy Venuti.

Quest’articolo è stato realizzato dagli alunni: Caterina Ermio , Tommaso Marasco ,Alice Scaramuzzino e Nancy Venuti a magna della scuola media Ardito-don Bosco lo spettacolo di Natale della 3 B con la regia e sceneggiatura del professore Tommaso Cozzitorto. Il tema principale del recital è stato liberamente tratto dalla nota opera “A Christmas Carol” scritta dall’altrettanto famoso romanziere inglese Charles Dickens .È la vigilia di Natale e l’ usurario Scrooge è nel suo ufficio intento al lavoro . Durante la notte gli appariranno gli spettri di un vecchio socio ,Marley, consapevole di aver sprecato la propria vita e di non aver compreso l’essenza del-

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La Scuola Appe e la Solidarietà Ancora una volta la scuola APPE e il suo direttore Franco Calidonna, si sono dimostrati sensibili lettori delle esigenze della società lametina. E così muniti di divise e attrezzature da lavoro gli allievi, coordinati dagli insegnanti, si sono recati presso la Casa di Riposo Comunale “Bosco Sant’Antonio” e con la loro professionalità hanno offerto a nonnini e nonnine un gradito gesto di “cura”, provvedendo ad effettuare gratuitamente manicure, pedicure con trattamento di calli e duroni, rasatura barba, tagli e messa in piega capelli. I graditi ospiti della Casa di Cura sono stati così al centro dell’ attenzione, e ciò non guasta per niente, se è vero ( a detta delle riviste scientifiche ) che curare il proprio corpo e il proprio aspetto aiuta a stare e vivere meglio. Ha espresso soddisfazione il Direttore Franco Calidonna che ha ringraziato la Cooperativa Sociale Cepros per aver reso possibile la realizzazione dell’iniziativa e gli allievi, che si son detti felicissimi di aver donato anche solo per qualche ora, spensieratezza e sorrisi ai vecchietti che hanno accolto positivamente l’iniziativa e si sono sottoposti senza indugi fidandosi di loro. Degli allievi va sottolineata soprattutto la professionalità e la cura nell’eseguire i vari trattamenti. Alla fine oltre alla loro professionalità hanno regalato ai vecchietti un gradito panettone per augurare un felice Natale.

Sicuramente gli allievi sono usciti dalla casa di riposo più maturi, con un sorriso sul viso che ha permesso loro di affrontare la giornata con un altro spirito. Basta veramente poco per aiutare chi soffre.. Iniziative di questo tipo sono importantissime spiega il direttore Franco Calidonna. “In situazioni di sofferenza è più importante un’opera di bene, un sorriso, una carezza piuttosto che un farmaco. Vogliamo dimostrare che si può essere professionisti non disdegnando mai il rispetto per i valori umani”. Dunque complimenti al direttore Franco Calidonna che ancora una volta ha dimostrato una grandezza d’animo unica e soprattutto queste iniziative fanno capire che solo in alcune scuole, come l’APPE, la “buona didattica” esiste solo grazie alla capacità, alla dedizione e all’umanità di quelle persone che come il direttore fanno del proprio lavoro una vera e propria missione. L’augurio al direttore e a

tutto lo staff della Scuola Appe di avere sempre il coraggio e la forza di portare avanti questo straordinario lavoro con lo stesso spirito, quasi missionario, che ormai è raro trovare in una società così distratta e addirittura ingiusta verso i più fragili.

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Tempo fa, lo ricorderete, parlammo dello scrittore Antony Capella, parlando del suo best seller Il pasticciere del re. Durante le feste, mi sono imbattuta in un altro suo capolavoro. Il profumo del caffè, l’ennesima opera di successo dello scrittore di origine ugandese, conferma la sua maestrìa nel creare magiche atmosfere del gusto. Al gusto vero e proprio, stavolta aggiungiamo il profumo e, investendo un altro dei conclamati, ma misteriosi sensi umani, Capella ci coinvolge in nuove diatribe e scaramucce di Amore e dintorni... La galleria dei personaggi sfila fra le righe, con grande godimento del lettore che, inebriato dalle fragranze dei vari caffè, si muove, quasi a passo di danza fra le pagine. Misto a un gusto per gli aforismi, in senso reale e, persino di sarcastica critica, messa in bocca ad una delle protagoniste, il libro snoda la sua narrazione in maniera alquanto felice. Celebre la chiusura teatrale del capitolo XI, alla pag. 84: “- Non abbiamo litigato, Robert. Abbiamo discusso. - C’è una differenza? - Come direbbe mio padre, c’è una distinzione. DISCUTERE E’ UN PIACERE, LITIGARE NO!” Robert Wallis, il giovane protagonista, scrive in prima persona. Una narrazione che, a dire il vero, amo moltissimo nei romanzi: rende più snello il racconto e coinvolge di più. Wallis, dicevo, si muove con destrezza fra le sue mirabolanti idee che si intrecciano con quelle degli interlocutori e le sorprendenti trappole che la sorte gli tende.... Con questo romanzo, Capella fa un salto di qualche secolo. Ci troviamo nel tardo Ottocento londinese: i riferimenti non sono pochi. La Londra dell’epoca appare tra le nebbie e gli olezzi del caffè.

Raro trovare negli inglesi un tale interesse per il caffè, leggermente perso, poi, con il tempo... Mi piacciono le descrizioni di Capella: mi spingono a leggere i suoi libri. I suoi modi di comunicare non solo con l’immaginazione, ma anche con una sensualità interattiva che si sprigiona dalle pagine, coinvolge fino in fondo. Pare, infatti, di sentire l’aroma inconfondibile di ogni bevanda. Il caffè la fa da padrone, ma non solo... L’esotismo sprigionato dal bruno liquido delle tazzine si fonde con i sentimenti di fuga del giovane Wallis... Ma non voglio dirvi più nulla... Le pagine di questo bel libro si assaporano come una buona tazzina di caffè, quella tazzulella e’ ccafè, di pinodaneliana (permettetemi l’affettuoso neologismo) che, ormai è chiaro, non solo noi italiani sappiamo meravigliosamente apprezzare, oltre che, fervidamente, gustare...

L’angolo della Poesia

Sharazade

Iridescenze

A poca distanza da me, eri lontanissimo.

Coglieremo raggi di sole su bianchi ghiacciai,

Nei tuoi occhi l’azzurro del mare dava bagliori incomprensibili.

iridescenze infinite nei nostri sguardi. vi prego.

Lo scoglio sprofondava nel mare impenetrabile .L’ acqua lo accarezzava teneramente.

Due ali grandi..infinite. Lasciati amare senza tempo.

Prisma

E’ un’attesa spenta una sottile angoscia che tinge di blu il verde delle foglie.

Nel breve spazio che a strapiombo cadeva noi due sospesi..

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La Penisola dei Tesori di Agostino Perri

Il libro, edito da Laruffa (Reggio Calabria), parla dei tesori noti e meno noti della Calabria tramite l’avventura di due amici lombardi in cerca di prove o indizi sul sequestro di persona, rimasto senza colpevoli, subìto da uno dei due proprio nella “punta dello stivale”. La coppia, in realtà, scopre i tesori, ma anche le criticità calabresi ed i pregiudizi sulla Calabria. Una storia coinvolgente e allo stesso tempo didattica scritta con un linguaggio semplice e scorrevole. Tra le “originalità” le “massime storiche”: 4-5 righe che racchiudono l’essenza di un fatto o un’impresa storica che suscitano nel lettore un impulso positivo. “La Penisola deiTesori” ha esordito a dicembre 2014 a Roma alla fiera “più libri più liberi”. Nel 2015 c’è stata una seconda presentazione nazionale a Settimo Torinese. Numerose le tappe in Calabria con relatori illustri, in particolare due a Catanzaro (relatori Paolo Abramo, presidente della Camera di Commercio, Enzo Bruno e Luisa Latella, rispettivamente presidente della provincia e prefetto di Catanzaro), e due a Lamezia (relatori Vi n i c i o Leonetti, direttore della redazione lametina della Gazzetta del Sud, P a o l o Mascaro e Luigi Maffia, sindaco di Lame-

zia e sostituto procuratore). Il libro scritto da Agostino Perri, giornalista della Gazzetta del Sud (è il responsabile dello sport del Lametino) ed al secondo lavoro editoriale dopo il “Calendario storico”, è stato premiato con una pergamena del Comune di Pianopoli ed a “Lamezia premia se stessa”. Il volume ha pure una pagina facebook visibile a tutti (https://it-it.facebook.com/La-Penisola-dei-Tesori-321928754665084) dove vengono pubblicati informazioni di vario genere, gli appuntamenti, le foto ed i video: il video ufficiale del libro è stato visualizzato da oltre 5mila e 500 persone.

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La Bellezza:I consigli di Antonella

Quando la paura dello specchio si chiama acne Acne Volgare, Acne Nodulo-Cistica, Acne Conglobata, Acne Cheloidea... Le forme di acne e la loro gravità sono diverse. La forma più comune è l’Acne Volgare che colpisce l’80% degli adolescenti. Solitamente l’Acne Volgare si risolve spontaneamente intorno ai 20 anni, anche se può persistere (o addirittura comparire) dopo tale età. L’Acne Nodulo-Cistica si manifesta con papule, pustole e noduli che formano grosse cisti ed infine in cicatrici depresse a stampo. L’Acne Conglobata è, invece, una rara forma cronica che lascia gravi esiti cicatriziali. L’Acne Cheloidea (della nuca) è dovuta ad un’alterata crescita del pelo ed è localizzata prevalentemente alla base del collo. L’acne può colpire anche il neonato entro le prime 6 settimane di vita ma fortunatamente è transitoria e si risolve spontaneamente, senza lasciare segni. L’Acne nell’adulto è dovuta ad altro. È ancora radicato il pensare comune che l’acne dipenda da ciò che mangiamo. In realtà, nelle donne adulte, la manifestazione più comune è l’Acne da Cosmetici. Il concetto di “Acne Cosmetica” fu introdotto e studiato solo negli anni ‘70, per descrivere una particolare forma di acne riscontrato in donne che facevano abituale uso di prodotti cosmetici e senza una precedente storia di Acne. L’Acne Cosmetica, diversamente da quella di origine ormonale, è indotta dalle sostanze aggiunte alla preparazione di alcuni cosmetici, in particolare prodotti per il trucco. In alcune preparazioni siliconi e petrolati possono occludere i pori della pelle, impedendo la fisiologica fuoriuscita del sebo e la conseguente formazione di papule infiammate e piccole pustole. La forma dell’adulto, colpisce quasi esclusivamente il sesso femminile ed è spesso associata a squilibri ormonali (androgenodipendente). Le manifestazioni si trovano soprattutto intorno alla bocca e sul mento. L’Acne Perimenopausale, associata alla diminuzione degli estrogeni e a conseguente aumento degli androgeni, è un’acne lieve, spesso associata ad un aumento della peluria nella zona sopralabiale e sul mento. Quali sono i meccanismi responsabili dell’Acne? 1. Ipersecrezione Sebacea (o seborrea): è l’aumento di produzione di sebo da parte delle ghiandole sebacee del viso. È sotto controllo ormonale (androgeni). In realtà a volte l’acne può manifestarsi anche a causa di un’aumentata sensibilità dei recettori ormonali delle ghiandole secernenti sebo. 2. Ipercheratinizzazione Follicolare: consiste nell’ostruzione dei cosiddetti pori e conseguente formazione di microcisti chiuse sottocutanee (punti bianchi) e di comedoni aperti sulla superficie della pelle (punti neri). 3. Colonizzazione Batterica e Infiammazione: la formazione del comedone crea il microambiente anaerobico adatto alla crescita dei batteri. Questi batteri si moltiplicano, determinando la formazione di papule, piccoli rilievi che segnalano l’infiammazione

(rossi) o infezione (gialli) nei follicoli. Queste prendono il nome di pustole che, va ricordato, non vanno mai spremute poiché il loro contenuto in parte si diffonde in profondità causando un’infiammazione destinata a una possibile cicatrice. Nelle forme più gravi si arriva alla formazione di noduli (grossi granulomi dolenti sottocutanei) e cisti (profonde sacche dolorose, piene di pus e sebo che molto spesso esitano in cicatrici). L’Acne dunque non è una patologia contagiosa e non dipende dalla dieta o da particolari alimenti. Può essere invece peggiorata dallo stress. La terapia dell’acne medio-grave è farmacologica, locale o per via orale. Si usano antibiotici a basso dosaggio, la pillola (che è un ormone) e particolari derivati della vitamina A. Per curare l’acne è necessario contenere la secrezione sebacea, assottigliare lo spessore epidermico e combattere la contaminazione batterica. IL MAKE-UP ROLÈ PUÒ ESSERE UN SISTEMA PER CURARE LA PELLE! Innanzitutto bisogna considerare che l’Acne può incidere a livello psicologico perché quando una donna si guarda allo specchio e vede il suo viso rovinato inizia a non stare bene con se stessa, quindi, nascondere le proprie imperfezioni significa vedersi bene riflettendo un’energia positiva. Il make-up Rolè risulta una specie di protezione a quelle ferite aperte che incontrano direttamente i microbi nell’aria e quindi con il fondotinta biologico Biofondation Rolè creiamo un mantello idrolipidico, una difesa a tutto ciò che sono i microrganismi che attaccano dall’esterno. Potremmo anche dire che coprire un disagio è un trucco psicologico per nascondere l’imbarazzo che spesso diventa insicurezza. Ovviamente tengo a precisare che i make-up Rolè non occludono i pori andando quindi a peggiorare la situazione, sono delle sottili sete che a contatto con la pelle coprono in maniera naturale senza andare a formare delle maschere. Vi ricordo che i nostri prodotti potete trovarli presso lo Store di Lamezia Terme: la Grande Bellezza - Via G. Marconi, 234

18 Editore: Tipografia Perri Lameziaenonsolo


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