lameziaenonsolo febbraio 2020 incontra laura calderini

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Lamezia e non solo

GrafichÉditore diph. A. Perri - & 0968.21844 Maria Giulia La Rosa

- Orvieto

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PROV. DI CATANZARO


lameziaenonsolo incontra

di Nella Fragale

Laura Calderini

Questo mese intervistiamo Laura Calderini, la scrittrice che ha vinto la Prima Edizione del Premio Dario Galli. Ha vinto un premio organizzato nella nostra città e credo sia corretto farla conoscere ai nostri lettori. E’ stata votata all’unanimità dalla giuria che ha letto le opere giunte, circa 130, senza sapere chi fosse l’autore. Scoprire l’autrice, con la quale ci siamo sentite spesso, dopo la comunicazione del premio, è stata una piacevole sorpresa. Laura è una donna semplice nella sua ecletticità e non siamo i soli ad averne apprezzato la bravura in quanto, come scoprirete è un’autrice affermata che ha vinto parecchi premi e che ha avuto numerosi riconoscimenti

Nata a Roma ti sei poi trasferita ad Orvieto da piccola e sei cresciuta, come dici tu in un ambiente sereno anche se… ce ne vuoi parlare? Più che sereno, direi tranquillo come tranquille potevano essere le campagne di una volta, coi tempi ritmati dalle stagioni e dai lavori nei campi. Noi non eravamo contadini, mio padre lavorava al casello autostradale, mia madre aveva aperto il primo negozio a Ciconia di casalinghi “tabella 14^” (che andava dai giocattoli ai mobili, dai piatti ai lampadari, dai detersivi alle bombole del gas). Sono cresciuta là dentro e nei campi, tra bambini –pochi - e persone anziane. Eravamo, e siamo rimasti, una famiglia sradicata: i parenti, anch’essi pochi, sparpagliati e lontani; amici tanti, ma sempre tenuti a debita distanza da una madre diffidente (I veri amici sono solo quelli della tua famiglia) per quanto generosa e disponibile: noi per gli altri, ma mai gli altri per noi. A sei anni, un fratellino di un anno, un negozio, il babbo tutta la settimana a Civitavecchia, arriva la nonna “paralizzata”. La piccola Laura, da quel momento, rimboccate le maniche, iniziò la sua vita da donna precocemente avvezzata ai rigori della vita, accanto a una madre timorosa di Dio, portentosa e tenace, ma votata all’abnegazione di se stessa e, per la proprietà transitiva, di sua figlia. Insomma una bambina prima, un’adolescente dopo, una ragazza poi, casa, scuola e chiesa.

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L’esperienza universitaria, anche questa, non è stata entusiasmante, anche se, tutto sommato, nemmeno tanto male… quasi un ossimoro la tua vita? Proprio così. Un’esperienza traumatica, considerando che dopo i primi due esami la facoltà di Giurisprudenza mi confidò che non era fatta per il mio cervellino. Ma, ormai intrapresa la salita, dovetti proseguire, in solitaria, lo stesso, perché il sacrificio nobilita le gesta impossibili (brocardo materno). Già perché, paradossalmente, mia madre, lei, dettava legge. Saper scrivere è un dono, alcuni credono di averlo, alcuni lo hanno, ma … cosa scatta quando si decide di scrivere? Un bisogno interiore? Il desiderio di fare condividere con gli altri il proprio pensiero? In effetti saper scrivere è una dote: o ce l’hai o, per tentare di acquisirne almeno i rudimenti, devi mettere in campo volontà, determinazione –cuore aggiungerei – e umiltà; poi studiare, leggere, leggere, leggere, prendersi bacchettate sulle mani e tirate d’orecchie, ascoltare chi ne sa più di te e farne tesoro. Quello che sto cercando di fare io, mezza ingobbita sulla tastiera, dentro un soppalco lillipuziano dove si aprono i miei orizzonti (v. il racconto Agnese e gli amici del sottotetto). Quando ho cominciato a scrivere? Dopo lunghissimi anni, sostenuta da un marito

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geniale, come direbbe la Ferrante, lungo un percorso di riabilitazione alla libertà, con manovre cerebrali specifiche – accompagnate da bagni caldi di ironia –, volte all’apprendimento di tecniche utili per considerare positivo ciò che è negativo, ho cominciato a realizzare che, come dici esattamente tu, la mia vita poteva essere letta come un ossimoro. Così, decisi di avvisarne il mondo mettendo nero su bianco, senza sapere che, quella sorta di ironico resoconto delle mie vicende, sarebbe diventato: “Il girasole e la farfalla”, la mia autobiografia uscita nel 2012 grazie alla fiducia gratuita di un generoso editore. Il titolo originario, in realtà, era “Gli anni dello stupore” perché proprio lo stupore ha accompagnato sempre – tuttora ne subisco il fascino – le sorprese che, alla fine, la vita mi ha riservato e mi riserva. La scrittura rientra in questo dono: intendo “dono” come passione permeante le mie giornate, non “dono” nel senso di capacità. Ricordi ancora la prima volta che hai preso una penna in mano per scrivere? Come fosse adesso: “Fui concepito in un pomeriggio caldo di agosto (del 2004 n.d.r.). Chissà come, si era fermata e messa in ascolto dei suoi pensieri; forse era davvero arrivato il momento, ma sapevo che sarebbe stato fuggevole come tante altre volte, quindi bisognava mi decidessi una volta per tutte….” . Questa è la voce del “Pinguino con le ali” il

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racconto lungo – o romanzo breve che dir si voglia – ed. Montag 2018, che narra, in prima persona (è il libro a parlare), le vicende del mio esordio. Nei personaggi dei tuoi scritti quanto c’è di te? Ogni personaggio, che sia uomo o donna, vecchio o bambino, contiene una parte di me, di buono e di cattivo, di vero e di falso. Gli scrittori dicono che i libri sono come figli è così anche per te? Sì, in linea di massima può essere un’affermazione giusta: come i figli i libri hanno diritto a tutta la tua attenzione, quotidiana e senza riserve. Tuttavia, questo grande impegno emotivo oltre che fisico, alla fine arriva a svuotarti fino a renderti insofferente della loro presenza. A quel punto te ne devi staccare e lasciare che pianga tutte le lacrime dell’abbandono. Non credo – mi auguro – che sia così per i figli in carne e ossa. Nella tua biografia leggo: ”La passione per la scrittura, che non le garantisce la relativa qualifica di “scrittrice”, rende il tutto molto speciale”; poi leggo i titoli delle tue pubblicazioni e sono tantissimi quindi mi ritrovo a doverti chiedere se è la frase del tuo blog: Una delle più diffuse ingenuità consiste nel ritenere che a furia di scrivere si possa diventare scrittori” A. Marandotti che ti ha ispirato quel pensiero? Quando mi sono imbattuta nell’aforisma di Marandotti mi sono detta: ecco sì, è esattamente quello che penso.

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Sei sposata… da quel che ho letto il tuo è un amore a tutto tondo, tuo marito si chiama Angelo e pare esserlo di nome e di fatto, come hai conosciuto tuo marito? A casa di amici comuni dove ognuno di noi, all’insaputa dell’altro, andava a cercare conforto. Eravamo già grandicelli – 35 anni lui, 32 io – lui sbattuto fuori dalla porta insieme a un sacco dell’immondizia contenente le sue carabattole dopo dodici anni di convivenza e io che tentavo, dopo circa sei anni, di tenere stretta la coda sfilacciata di un rapporto troppo sfalsato. Un sera ci siamo trovati sullo stesso divano alla stessa ora e… defilatisi gli amici comuni, abbiamo cominciato a parlare… Non abbiamo più smesso. Ci vuoi raccontare qualcosa di “particolare” che vi riguarda? Di “particolare” credo ci sia la nostra reciproca bastevolezza (non l’ho trovata sul vocabolario, ma rende perfettamente l’idea): stiamo bene con gli altri perché stiamo bene con noi stessi; ma stiamo bene con noi stessi indipendentemente dagli altri. Che cosa è per Laura l’amore? Parola onnicomprensiva e abusata. Se restringiamo il campo all’amore di coppia potrei dire, banalmente forse, che l’amore è rispetto, fiducia, stima, tolleranza, ironia – essenziale – comunione di interessi, complicità, rinuncia, sopportazione, stimolo, e potrei andare avanti ancora. Se poi vogliamo intenderlo in senso lato, allora ritengo

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che si debba partire dal semplice quanto fondante insegnamento cristiano del non fare agli altri quello non vorresti fosse fatto a te stesso. Imboccata quella via, difficilmente ci si potrebbe perdere. Non hai figli ma hai due gatti, ami quindi gli animali? Sempre a proposito degli animali, ho letto l’incipit di “tre piccole penne”, credo si tratti di una tua breve esperienza con un pennuto che hai “aiutato”? ce ne vuoi parlare? No, non ho figli; per scelta e senza tema di reprimende, oggi, posso confermare di aver fatto cosa giusta. Spesso l’egoismo sta nel far figli perché si debbono fare, non il contrario. Ho un grandissimo rispetto per gli animali tutti che sfocia in amore – a proposito di amore! – per quelli con i quali vivo o vengo a contatto. È proprio il caso di Rondò. Per lui mi sono trasformata in mamma rondone e, per circa quaranta giorni, abbiamo vissuto nel nido insieme, finché non è stato in grado di volare e tornare tra i suoi simili. Se non avessi vissuto quell’esperienza personalmente non ci crederei se qualcuno me la raccontasse. Ogni anno, ad aprile, mamma rondone alza il naso a guardare il cielo sperando di riconoscerlo tra i tanti che tornano dall’Africa. Quanto sono importanti le parole? Quanto una parola scelta male può fare “male”? Lavoro in uno studio legale e di parole ne circolano tante (l’ignoranza grammaticale impera anche tra dotti medici e sapienti) e mi capita spesso di

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dover commentare che le parole hanno un senso. Per l’appunto anche morale; nel qual caso un errore può ferire profondamente. Che cosa pensi della politica in generale? Cosa pensi di questi politici che decidono di abolire i vitalizi e poi si trova l’escamotage di farli “abolire l’abolizione” perché “poverini” senza vitalizi non riuscirebbero a vivere mentre le pensioni per alcune fasce sono vergognose se si pensa che un pensionato, che deve lavorare sempre di più per arrivarci alla pensione, non superano 500 euro? Ho avuto un’esperienza, proprio l’anno scorso, come candidata di lista civica alle comunali e mi sono convinta che si tratta di un mondo che non mi appartiene: in sé la politica sarebbe una nobile arte dotata degli strumenti giusti per il giusto governo della res publica. Il problema sono le mani e la coscienza di chi li usa questi strumenti. È la storia del mondo ed è impossibile, per quanto mi riguarda, pensare che si possano cambiare le cose. La religione che ruolo ha nella tua vita? Sono cresciuta, come dicevo, nelle campagne orvietane dove il prete, la chiesa, un Dio piuttosto biblico, la Madonna, Gesù e tutti i Santi facevano parte del quotidiano. Eravamo una parrocchia piuttosto estesa tagliata a metà da un fiume. Per andare alla messa e far parte della comunità parrocchiale, si dovevano fare un paio di chilometri a piedi di là dal ponte.

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Adolescente, insieme a un giovane prete e un gruppo di ragazzi, riuscimmo a creare una comunità sul territorio di qua dal ponte e gettare le fondamenta per un’indipendenza religiosa: le prime messe dentro un garage, catechismo presso abitazioni messe a disposizione, vari impegni sociali, processioni e feste rionali. Poi pian piano la vita cambia, le consapevolezze pure. Questo mondo squinternato non aiuta a rimanere saldi nella fede. Di Papa Francesco cosa pensi? Un buon Papa con un forte carisma e grande umanità. Ti capita di “ammettere” di avere sbagliato in qualcosa? SEMPRE. Sono stata cresciuta nel dubbio e nell’onestà di riconoscerlo. Hai un blog, sei su FB, hai un buon rapporto quindi con i social, li trovi utili? Quanto è corretto, a tuo avviso, affidare ai social importanti messaggi che riguardano la politica, la medicina, la società? Sì, ho una pagina web e sono su fb e anche su Instagram; ma non sono assolutamente social: la prima non la aggiorno ormai da tempo; su fb posto esclusivamente quello che riguarda i miei premi e Instagram non so più nemmeno come funziona. Quindi, a saperli usare con criterio e saggezza sì, sono strumenti davvero incredibili. Ma non mi sembra se ne faccia un uso corretto.

Sei una persona autocritica? Molto e, per di più, dotata di una profonda e bassa autostima. C’era sempre qualcuno più bravo di me… Volendo trovarci il lato positivo, posso consolarmi riconoscendo che riesco a stupirmi di tutto ciò che riesco a fare e a darmi qualche pacca sulle spalle Le donne, pur essendo diventate più forti forse, oggi, sono ancora più fragili di prima. I femminicidi sono all’ordine del giorno e, pur parlando tanto delle donne, degli interventi in loro difesa, alla fine si scopre che la vittima aveva denunciato eppure… ed anche gli stupri… ancora oggi la vittima viene ancora giudicata “rea” se al momento dello stupro non era coperta da capo a piedi. Ne usciremo mai? Posso rispondere dicendo che la mia scrittura è al femminile – credo che nella raccolta delle mie novelle si sia notato – e, in particolare, i due romanzi Il segreto di Blanca e Le disubbidienti del San Zaccaria (pure il mio inedito, in uscita) toccano, seppur marginalmente e con toni volutamente lievi, proprio questi argomenti. Non ne usciremo mai, come dici tu anche perché noi donne siamo le prime nemiche di noi stesse e la società ne approfitta rendendoci schiave delle nostre debolezze. Parliamo un po’ del premio, cosa hai pensato quando ti abbiamo comunicato che eri la vincitrice? Mi sembra di aver chiesto se foste stati sicuri di aver chiamato la persona

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Le novelle sono tutte belle, alcune spiritose (penso alla dentiera o a Marion) altre molto delicate, commoventi, penso a Rondò o a babbo Leo, insomma un arcobaleno di sentimenti che ti prendono e ti coinvolgono ma che, secondo me, sono tutte attraversate da un lieve soffio di speranza, di ottimismo, sbaglio? È vero, lieve ma presente. Non voglio lasciare scritto che non si possa sperare che non tutto è perduto. Come passi il tuo tempo libero? Sempre più alla Emily Dickhinson: quando sono in fase scrittorica (ormai quasi sempre) leggendo e scrivendo; altrimenti – e non cambia di molto – me ne sto in santa pace in casa con la mia famigliola, e/o gli amici.

Spiritosa, semplice, alla mano, è questo che ho pensato fin da subito, durante le nostre prime nostre conversazioni telefoniche, ed anche dopo, quando chattavamo o ci scambiavamo e-mail. Sarà che mi sono ritrovata a pensare che abbiamo interessi in comune, come l’amore per gli animali che ha portato, sia lei che me, ad ospitare una rondine ferita in casa, lei con due gatti, io con due cani ed un gatto, ma, ovviamente non solo quello, anche quel sapere prendersi in giro, quel vedere il bicchiere metà pieno, la necessità, quasi, di cercare il lato positivo, sempre, nella vita, In quanto ci circonda.

afichÉ

... E se tanta letteratura contemporanea di successo risolve l’ansia di giustizia nella rappresentazione letteraria e filmica di poliziotti protagonisti di racconti e fiction di successo, o di supereroi che combattono il male nelle sue varie manifestazioni, Laura Calderini resta coi piedi saldamente attaccati alla sua terra; simile a Dora che ritrova la forza per continuare nel ruvido contatto con la quercia farnia, e con la Madre Terra in cui ogni donna naturalmente si riconosce.

Dario Galli Premio

Laura Calderini

Il profumo dell’alloro – Laura Calderini

... Poche rapide pennellate danno vita all’interno di un bar dove Claudio rivede per caso Mario, un ex compagno di scuola, e fa finta inutilmente di non averlo riconosciuto per evitare l’imbarazzo di un tempo. Mario è diventato ormai Marion, una splendida ragazza sicura di sé. Come nelle novelle di Pirandello, l’antefatto è assente. Il personaggio si trova catapultato al centro di un dramma che, con sapienza letteraria, l’Autrice svela a poco a poco scavando nell’animo delle donne protagoniste dei racconti, ricercando i motivi del loro ‘male di vivere’, del non sentirsi in sintonia con la realtà.

Il profumo dell’alloro

ph. Tommaso Attanasio

Vincitore Premio Dario Galli 2019

gr

Dalla prefazione di Italo Leone:

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Ho imparato a essere felice là dove sono. Ho imparato che ogni momento di ogni singolo giorno racchiude tutta la gioia, tutta la pace, tutti i fili di quella trama che chiamiamo vita. Il significato è riposto in ogni istante. Non c’è un altro modo per trovarlo. Percepiamo solo e soltanto ciò che permettiamo a noi stessi di percepire, tutti i giorni, un istante dopo l’altro...”

Nata a Roma e residente a Orvieto. Laureata in Giurisprudenza lavora in uno studio legale dal 1987. La sua vita scorre normale e tranquilla, in un ambiente provinciale altrettanto tranquillo, accanto ad un marito e due gatti.

Raccolta inedita di novelle 9 788894

998160

€ 10,00

La passione per la scrittura, che non le garantisce la relativa qualifica di “scrittrice”, rende il tutto molto speciale.

afichÉ

Via del Progresso - Lamezia Terme • 0968.21844

ditor

Le sue pubblicazioni: Il girasole e la farfalla - Thyrus 2012 Esordio autobiografico. Il segreto di Blanca - LuoghInteriori 2017 Finalista per la sezione Narrativa alla X edizione 2016 del Premio Letterario “Città di Castello” Targa Speciale Premio Stresalibro 2017 Primo premio sez. narrativa 1ª Rassegna d’Arte e Letteratura Omaggio a Viareggio 2018 “La perla della Versilia” Menzione speciale Premio Letterario nazionale Parole in viaggio 2018 Menzione speciale Concorso Letterario Nazionale La Quercia del Myr 2018 Menzione di merito Premio Internazionale Salvatore Quasimodo 2018 Menzione d’onore Premio Parole in viaggio 2018 Menzione d’onore Premio Internazionale di poesia e narrativa “I fiori sull’acqua” 2018. Segnalazione di merito 42ª ed. Premio Letterario “Santa Margherita Ligure - Franco Delpino” 2019 Il pinguino con le ali - Montag 2018. Le Disubbidienti del San Zaccaria - LuoghInteriori 2018 Premio Gran Oscar d’Europa Artisti e Letterati 2017 di Viareggio Primo premio Sez. narrativa inedita “Premio Internazionale di poesia e narrativa Europa in Versi 2018” - Casa della poesia di Como In semifinale tra i primi 300 al concorso IoScrittore 2018 (poi abbandonato per sottoscrizione contratto); Primo premio Concorso Letterario Nazionale per poesia e narrativa inedita Lagunando 2018 Primo classificato Premio Letterario Internazionale Agenda dei Poeti Milano 2018) Terzo classificato Premio Letterario Internazionale “Speciale donna 2019” Menzione di merito Premio Internazionale Letterario ed artistico Giglio blu di Firenze 2019 Menzione speciale Concorso Letterario Nazionale La Quercia del Myr 2019 II classificato – Sez. Narrativa edita, Premio “Firenze Capitale d’Europa” XXII ed. Il profumo dell’alloro – raccolta racconti inedito 1° classificato 1ª edizione Premio Dario Galli 2019 8° classificato Premio Letterario Città di Castello 2018 Primo classificato Premio Nazionale di arte e letteratura “Omaggio al poeta critico contemporaneo Raffaello Bertoli” 2018 Segnalazione di merito Premio Internazionale Il Convivio 2019 La ragazza dalla pelle d’uovo, inedito, Primo premio romanzo inedito, Rassegna d’Arte e Letteratura 2019 – Omaggio ai 500 anni di Leonardo da Vinci, Premio pittura, scultura, poesia, narrativa, saggistica, mosaico e fotografia con il patrocinio de “Il Quadrato” e del Centro ACAT di Torre del Lago.

gr

Questo libro è una raccolta di novelle, alcune brevissime, tutte incentrate sulle donne, anche in queste donne che tratteggi nel libro, come hai detto prima, c’èmolto di te. La maggior parte sono addirittura autobiografiche, nelle altre c’è comunque il mio pensiero, perché nessuno scrive di cose che non conosce.

Ma Laura ha un sogno nel cassetto? Laura un mattino vorrebbe aprire gli occhi domani e scoprire che… Ha vinto il Premio Strega!

e

Il profumo dell’alloro, perché questo titolo? Confidavo nel potere che il profumo ha di arrivare direttamente e immediatamente al cervello… di coloro che avessero letto le mie novelle! E ho avuto ragione. Scherzo. E comunque, qualcosa di vero c’è: mi è sembrato il titolo più evocativo emotivamente.

Che musica ti piace ascoltare? Musica pop e tendenzialmente tranquilla e tendenzialmente ancora, per lo più solo in auto. Lavoro molto quando sono dentro l’abitacolo, isolata dai rumori e dal mondo, che guardo attraverso l’illusione dei finestrini.

e

giusta; e comunque ci ho messo un po’ a realizzare di aver vinto proprio il Premio Galli e non il primo premio narrativa inedita. STUPORE!

Non so se sia una donna dalle mille sfaccettature ma ho avuto l’impressione che Laura sia una donna “libera” e che per questo non ha paura delle sue fragilità. Le donne di cui lei parla sono donne completamente differenti fra di loro, donne dai caratteri differenti, donne che, comunque, si calano nella realtà odierna cercando di adattarsi alle esigenze che essa impone ma non da vittime, bensì da donne moderne, donne affrancate, donne che “vivono” nonostante tutto. La frase che ho scelto per lei, fra le migliaia che ho scelto in giro per la rete è di Hermann Hesse ed è la prima che mi è venuta sotto gli occhi, quasi a dirmi, “sceglimi”. E, dopo averne consultate altre l’ho scelta e gliela dedico, sperando, come sempre, che vi si ritrovi:

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ricordando

Leonzio Speranza

ottimo docente, grande insegnante

di Albino Cuda

Mi sono chiesto a proposito di questa ricorrenza se il mio prof., il nostro Leonzio, sia stato oltrechè docente anche insegnante, se in signo abbia lasciato nei suoi alunni il segno, la traccia di una formazione che ci ha poi dato un futuro di cittadini attivi e consapevoli che il proprio ruolo, qualunque esso sia, va svolto sempre in maniera responsabile e professionale. Sono stato suo alunno nel triennio 1967/70, sez C: una classe vivace, molto, un mix di figli di operai come il sottoscritto, di avvocati e medici noti e stimati a Lamezia, di commercianti, insegnanti, impiegati e qualche imprenditore. Il rispetto delle regole era pari... per tutti gli alunni al di là del cognome, senza deroghe o eccezioni, e pari erano anche per lui quelle del dovere: non ricordo una sola sua assenza in tre anni e sono ancora oggi lucidi e vivi nella mia memoria le lezioni tenute tra i disagi di starnuti continui e congestioni nasali che gli rendevano il naso rosso e gonfio, ma non mollava, era lì, in cattedra: dovere per gli alunni, rispetto per i colleghi e senso di appartenenza per la scuola. Il rispetto dei ruoli: lui il nostro docente, noi i suoi discepoli; Leonzio si guadagnava il nostro rispetto con la conoscenza delle sue discipline, la perseveranza e la passione che ci metteva nel trasmetterle, noi la sua stima e buoni voti solo se….in primis studenti, cui aggiungeva educazione e quel comportamento non già solo di alunno, ma anche di prossimo civis.

ma l’affetto era lì, latente, lo avvertivi e alcune volte anche in maniera singolare. Era un giorno di pioggia, una giornata più che uggiosa per dirla alla Lucio Battisti, cambio dell’ora e in attesa del collega subentrante il prof. Speranza stava sulla soglia della porta con l’immancabile ombrello in mano. Era un po’ nervoso: il collega ritardava; Leonzio di tanto in tanto si girava invitandoci al silenzio e all’ordine, di minuto in minuto sempre meno invitando essendo la mia classe rinomatamente frizzante e poco incline alla disciplina. Fu così che all’improvviso ed inaspettatamente vidi roteare, avendo come rotta il mio groppone, il manico del suo ombrello: non avendo più il tempo di scansarlo mi piegai e portai il braccio a tutela almeno della testa e tra l’uno e l’altra vidi il manico schiantarsi e rompersi sul banco a fianco: - “Che c…o-” dissi tra me e me. No, non era quello, ma la vittoria del buon senso, della ragione e della nota mitezza del mio Prof., che “ filosoficamente” deviarono la mano dalla giusta direzione. Silenzio tombale, raccolse il manico e se ne andò. Il giorno dopo mio padre, che non so come venne a sapere dell’accaduto, si presentò a scuola, chiese del Nostro, gli chiese scusa per il mio comportamento e gli diede un ombrello nuovo dicendogli - “Tenga questo Prof. e la prossima volta aggiusti la mira e glielo fracassi sul groppone: è bello robusto, non si romperà -”.

Blaterava questi valori? Per niente; li viveva quotidianamente e con coerenza lasciando in tanti di noi, appunto tracce, segni: era come parecchi docenti di 50 anni fa un paradigma, un esempio. Era socialista... e adesso tutti pregiudizialmente penserete -: Chissà quanti studenti avrà plagiato e quante volte in classe avrà parlato di politica.Mai una volta, mai: era un innamorato delle sue discipline, in particolar modo della filosofia, che porgeva stando sempre in cattedra, argomentando pro e contro le tesi del pensiero oggetto di lezione, puntando a far crescere in ciascuno di noi la capacità di crisi e quindi di scelta: voleva studenti pensanti, che esercitassero autonomamente l’intelligenza e quindi liberi, liberi anche da un eventuale contagio delle sue idee. Non parlava mai della sua vita privata: c’erano solamente due tempi nell’ora di lezione: quello della spiegazione e quello dell’interrogazione, ed arrivavano sempre puntuali, rigorosi l’una e l’altra, ogni giorno; né mai ci chiedeva della nostra vita privata,

Adesso penserete – “Chissà come ti avrà pelato nelle interrogazioni-”. Fareste un torto all’onestà dell’uomo e alla professionalità dell’insegnante, ho detto insegnante, non docente: avrebbe potuto sanzionare il mio comportamento, ma mai il merito delle conoscenze disciplinari, che continuò sempre a valutare come di suo solito in maniera giusta e seria. Io gli ho voluto molto bene... e forse, attraverso le maglie delle regole, del dovere e dei ruoli, questo era passato e avvertito, cosa che mi dimostrò dopo la cessazione del rapporto scolastico: gli incontri casuali con il Prof. sul corso, in occasione di qualche convegno, dall’università fino a pochi anni fa, più che degli incontri sono stati delle forti dimostrazioni di reciproco affetto: mi chiedeva del lavoro, della famiglia, dei miei progetti, mi dava qualche consiglio, ci si scambiava opinioni. Nel tempo, denudati nei ruoli, le sue tracce, i suoi segni erano visibili nell’alunno, ma soprattutto in chi li ha lasciati, nel prof. Leonzio Speranza, ottimo docente, grande insegnante: grazie Prof.

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Spettacolo

Vacantiandu. “Vero West”, una storia americana al Gran Premio del Teatro Amatoriale Italiano di Giovanna Villella Lamezia terme, 2 febbraio 2020. Ancora un appuntamento con la rassegna teatrale Vacantiandu nell’ambito della V edizione del Gran del Teatro Amatoriale Italiano, ospitato per la volta in Calabria. In scena, al Teatro Comunale Grandinetti la Liguria con La Quinta Praticabile/ Associazione culturale Quante Quinte di Genova con lo spettacolo Vero West di Sam Shepard diretto da Andrea Scarel nella doppia veste di regista e attore. Sul palco anche Marco Mesmaeker, Davide Quillico e Rosanna Ricciardi. La cupezza di uno spazio scenico quasi nudo, perimetrato da quinte nere, due scrivanie di legno, una sedia a dondolo, un carrello colmo di bottiglie e delle piante, in un angolo. Due fratelli, Austin e Lee. Diversi per carattere e per scelte di vita che si ritrovano a casa della madre partita per una vacanza in Alaska. La scrittura densa e rappresa di Shepard, in cui si intravvede un autobiografismo diffuso, è giocata drammaturgicamente sul conflitto tra i due personaggi. Conflitto che si traduce sulla scena in rabbia, scontro fisico, guerra psicologica. La storia intera appare deliberatamente teatrale, ambigua e scaltra come deve essere la scrittura che scopre via via i suoi segreti, i turbamenti inconfessabili, le manifeste anomalie dei caratteri, la predisposizione degli eventi, le anguste metafore dell’esistenza. L’azione si svolge in un unico ambiente, la cucina, e la vita esterna vi penetra solo attraverso il frinire dei grilli, i latrati dei cani, gli ululati dei coyote. Tuttavia, la tensione drammatica, al di là del dinamismo e di un gran turbinare di oggetti lanciati, frantumati, colpiti, svuotati, lasciati cadere corre sotterranea e si sviluppa intorno al tema dell’assenza genitoriale. Un padre alcolista che è andato via e una madre troppo preoccupata a curarsi delle piante e a collezionare ceramiche d’epoca. Austin e Lee sono figli di quest’assenza: “Siamo l’eco di qualcun altro” dice Austin che ha cercato di colmare questo vuoto con la scrittura. Egli è il sopravvissuto di una devastazione familiare

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con la consapevolezza di una mancanza che è esigenza di ordine emotivo oltre che intellettuale, l’uomo di successo che ha trovato una sua dimensione personale e sociale. Mentre Lee è l’eroe randagio, il fallito che cerca di riempire con i furti, i cani da combattimento e i viaggi nel deserto la sua voragine interiore. Ma il deserto, Lee, se lo porta dentro. L’arrivo del produttore Saul Kipper che deve concludere il contratto per la sceneggiatura scritta da Austin è la miccia che fa deflagrare il rapporto tra i due fratelli. Davide Quillico disegna, con la giusta ambiguità, un Saul ondivago il quale, nel preferire la storia di Lee, un racconto di vita “vera”, a quella di Austin, una storia d’amore inventata, determina il ribaltamento dei ruoli: Lee si cimenterà nel ruolo di sceneggiatore e Austin proverà l’ebbrezza del furto, rubando tostapane nelle case dei vicini. Moderni Caino e Abele, vittime e carnefici di loro stessi, Austin e Lee coltivano il sogno infantile di una felicità impossibile, che porterà inesorabilmente alla sconfitta di entrambi. L’intensità interpretativa di Marco Mesmaeker nel ruolo di Austin si misura anche sui silenzi e sull’immobilità. Il tono pacato all’inizio della narrazione, l’accondiscendenza e poi la rabbia urlata nei confronti del fratello che lo vuole depredare del suo sogno, e ancora la ritrovata complicità nel rievocare ricordi dell’infanzia e il rapporto con il padre e infine il suo cedimento di fronte al ricatto di Lee sono spie di una solitudine interiore, di un senso di inadeguatezza che comincia a minare la sua vocazione di scrittore che tende a costruirsi un mondo “altro” da sé e quindi una riflessione sulla propria identità “Non c’è niente di reale qui e men che tutto io…” che fa scattare la sua carica di violenza e il suo grido di disperazione finale. Inquieto e vibrante, il Lee di Andrea Scarel che, con quella frenesia incessante di bere, sembra la manifestazione fisica di suo padre. Nomade senza fissa dimora, è l’archetipo del mitico West: un fuorilegge che vive secondo un suo codice morale. Subdolo e insinuante di proposito, sempre pronto a tendere la sua rete con piacevole perfidia, Scarel costruisce un

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personaggio attraversato da correnti emotive e nervose alternate. Chiuso in una diversità che va ben oltre la semplice aggressività come tratto caratteriale, la sua è una rivincita sulla supposta superiorità intellettuale del fratello a cui riesce a sottrarre il monopolio della capacità creativa e quindi la sua identità di scrittore. La madre, nella fugace ma significativa presenza di Rossana Ricciardi, è una figura anaffettiva, insensibile alla preghiera di Austin “Ti prego, resta qui, questa è casa tua”, “Non la riconosco più” risponde lei, disconoscendo implicitamente anche i figli. La regia rigorosa e pulita, tutta dentro al testo e in rapporto agli attori, sottolinea una partitura scenica quasi musicale in crescendo, con attenzione ai movimenti, ai gesti (i rabbiosi colpi di mazza inferti da Lee sulla macchina da scrivere che si contrappongono alla tranquilla determinazione di Austin nel tostare il pane) e ai toni delle parole mentre i bui - come pause - scandiscono le scene e il tempo che scorre. Una bella lezione di teatro, antiretorico, antiaccademico e per nulla prosaico che fornisce una chiave di lettura della società contemporanea i cui valori, convenzioni domestiche, rapporti familiari e sociali sono tutti mutati ma anche una lucida critica al romantico mito del West americano pur travestito da dramma esistenziale. Finale aperto con i due che si guardano impietosamente come pistoleri in attesa di capire chi sopravvivrà in questa guerra fratricida. Ma è solo un gioco, forse, uno spiazzamento infantile della realtà per sorprendere e sorprendersi di essere ancora vivi, oltre la maschera, una recita tutta privata per ritrovare quei giorni in cui, bambini, andavano sulle colline a catturare i serpenti e a fingere di essere Geronimo mentre Bob Dylan canta North Country Blues… Buio. Bravi. Applausi. Al termine dello spettacolo, il consueto omaggio della tradizionale maschera, simbolo della rassegna Vacantiandu, che il direttore artistico Nico Morelli e il direttore amministrativo Walter Vasta hanno consegnato ad Andrea Scarel.

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Spettacolo

Vacantiandu. “Fatalità a Notre Dame” il musical della Compagnia 3 Stelle al Gran Premio Teatro Amatoriale Italiano

di Giovanna Villella

Lamezia Terme, 25 gennaio 2020. Ancora un appuntamento con la V edizione del Gran Premio Teatro Amatoriale Italiano che ospita l’Emilia Romagna con la Compagnia 3 Stelle in scena, al Teatro Comunale Grandinetti di Lamezia Terme, con il musical Fatalità a Notre Dame diretto Valentina Scentoni e ispirato all’opera musicale Notre Dame de Paris scritta da Luc Plamondon e musicata da Riccardo Cocciante Notre Dame de Paris basata sull’omonimo romanzo di Victor Hugo. La manifestazione, organizzata a livello nazionale dalla Federazione Italiana Teatro Amatori (FITA) e ospitata per la prima volta in Calabria, è inserita nella rassegna teatrale Vacantiandu 2019.2020 con la direzione artistica di Diego Ruiz e Nico Morelli e la direzione amministrativa di Walter Vasta. Una compagnia di giovanissimi interpreti tutti dotati di buona presenza scenica e capacità canore. Una storia di amore e morte che vede protagonista la zingara Esmeralda interpretata da Annalisa Leonetti la quale si innamora perdutamente di Febo (Gioele Spagnuolo) capitano degli arcieri del re e promesso sposo di Fiordaliso (Isabella Linguerri). Ma di Esmeralda sono perdutamente innamorati anche il prete Frollo (Daniele Donaddio) e il campanaro gobbo Quasimodo (Giampiero Roversi). A completare la nutrita schiera di interpreti il capo degli zingari Clopin (Massimiliano Montanari), il poeta Gringoire (Antonio Riccio), due spietate guardie agli ordini di Febo, Fabio Montanari e Morgan Roversi e il corpo di ballo formato da Margot Roversi, Francesca Torsiello, Aurora Zanattini, Laura Piccinini, Chiara Comandini e Ilaria Riccio. Lamezia e non solo

Tra le canzoni più suggestive Bella, Il tempo delle cattedrali, Vivere che ricreano le atmosfere della Parigi medievale anche se nello spettacolo sono presenti tematiche sociali di stringente attualità quali l’immigrazione, la paura del diverso, la difficoltà d’integrazione. La Compagnia 3 Stelle con Fatalità a Notre Dame rappresenta l’Emilia Romagna, settima tra le 14 regioni italiane selezionate a partecipare alla V edizione del Gran Premio del Teatro Amatoriale Italiano. Il Gruppo Teatrale 3 Stelle nasce nel 2005 a Lugo in provincia di Ravenna grazie ad un gruppo di ragazzi delle scuole superiori appassionati di teatro. Fin dalle origini, il suo principale punto di riferimento è stato rappresentato da Valentina Scentoni che ne ha diretto tutti gli spettacoli portati sul palcoscenico. Spettacoli autoprodotti e finanziati dalla Compagnia stessa. Tra gli allestimenti in repertorio Giulietta e Romeo, si muore per amore, C’era una volta Disney e Amleto siamo o non siamo. Il Premio FITA Emilia Romagna 2019 come Miglior spettacolo è stato il loro primo riconoscimento. Lo spettacolo è stato valutato da una giuria composta da sette giurati con competenze specifiche a diverso titolo nel settore i quali, nel Gran Galà finale del 29 marzo 2020, assegneranno 8 premi: Miglior spettacolo, Miglior attore/attrice protagonista, Miglior attore/attrice non protagonista, Miglior allestimento, Miglior testo e Miglior regia. Al termine della rappresentazione, il consueto omaggio della tradizionale maschera, simbolo della rassegna Vacantiandu, ideata dal graphic designer Alessandro Cavaliere e realizzata dal maestro Raffaele Fresca, che è stata consegnata a Valentina Scentoni.

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Spettacolo

AMA Calabria. Alessandro Preziosi, “folle” Vincent di Giovanna Villella

Lamezia Terme, 5 febbraio 2020. Altro grande appuntamento con la Stagione Teatrale organizzata da AMA Calabria al Teatro Comunale Grandinetti. In scena Alessandro Preziosi in Vincent Van Gogh. L’odore assordante del bianco di Stefano Massini, regia di Alessandro Maggi. Una co-produzione KHORA Teatro – TSA Teatro Stabile d’Abruzzo. Un décor astratto e levigato firmato da Maria Crisolini Malatesta, tre pareti bianco calce, accecanti, fredde, refrattarie. Sulla parete di fondo - in impercettibile rilievo ton sur ton - il

Una interpretazione controllata in tutti i suoi particolari e minutissimi effetti sulla traccia di un testo simbolico, denso e inafferrabile insieme, a partire dal sottotitolo: L’odore assordante del bianco. Sinestesia ossimorica. In questa falsa atmosfera da paradiso spettrale, in un tempo senza tempo, in una condizione di non-vita, Alessandro/ Vincent respira e nutre il suo personale incubo aggrappandosi ai suoi incontri onirici, come quello con il fratello Theo nell’incipit dello spettacolo, per non precipitare nell’abisso dell’indifferenza e della solitudine “Giurami che esisti, giurami che sei reale, che gli altri ti vedono come ti vedo io, che ci sei, che respiri, che non sei vivo solo dentro la mia testa…” Fame di colori in un bianco che è assenza di colore, di riferimenti percettivi “Fissare

di purificarsi, di estirpare un male, un modo di salvare il proprio io da qualcosa o qualcuno che provoca dolore, vomitandolo come “carne marcia”. Un demone tragico che si misura con le proprie paure, le attese terribili anche se sulla porta della sua stanza c’è scritto “totalmente placido”. Una recitazione inquieta, forte e sicura, intensa e straniata insieme, fatta con tutto il corpo. Il curvo inscriversi della schiena, lo sguardo sbarrato, la lingua che vanamente umetta labbra riarse, le dita dei piedi disarticolate che si aprono come un ventaglio, le mani che si arrampicano su pareti d’aria per poi artigliare la camicia, strapazzandola, e trovare finalmente rifugio in un gesto-barriera o requie in un pietoso auto-abbraccio. Gesti reiterati ma misuratissimi, concepiti come proiezioni di un vuoto

Campo di grano con volo di corvi a suggerire lo spazio e la libertà sognati. Quelle laterali usate come schermo su cui si stagliano, nitide, le ombre dei personaggi in un gioco di specchi. Su un piano inclinato, che occupa tutto il perimetro scenico, giace un corpo rannicchiato come un baco nel suo bozzolo. Un silenzio grondante di attesa è rotto da una voce fuori campo, infantile e nasale “È stato ammesso oggi in ospedale il signor Vincent Van Gogh, 36 anni. Egli è colpito da manie acute con allucinazioni della vista e dell’udito. Si reputa incapace di vivere e gestirsi in libertà. Necessita sottomettere il soggetto a prolungate osservazioni psichiatriche.” Inizia in una immobilità gravida di senso la sofferta interpretazione di Alessandro Preziosi nel ruolo di Vincent Van Gogh rinchiuso nel manicomio di Saint Paul.

la pianta in cerca di colore, una macchia, una traccia, uno sputo di colore, una goccia di carminio, di magenta, un segno rosso, giallo, turchese…” e un delirio fatto di immagini evocate, desiderate, nascoste in una obliqua, sghemba stanza della memoria e condannate ad esistere: il treno, il carretto, le colline dorate, i vigneti, il campo di grano, le case arancioni fra gli alberi di prugne, le albicocche con i rami giapponesi… Si sente la sua voce fredda, tagliente, gelidamente pazza, d’un tono - tuttavia - stranamente naturale, senza privarsi degli sfoghi e degli eccessi della follia, sempre morbosamente bella da vedere e da recitare così come la rabbia che prende forma su quella tela dipinta col carbone rubato di nascosto. Ritrarre il Dottor Vernon-Lazàre è come ucciderlo. Perché creare è uccidere ovvero tentare

denso di sommovimenti. Sfasature e intermittenze di una coscienza (ma si può ancora parlare di coscienza?) a rivelare la ricerca di una verità più profonda, più antica, la verità delle pelle, della carne, delle viscere: l’identificazione dell’arte con il mondo e sé con l’arte. Il dissolvimento del pensiero, del linguaggio, delle cose raggiunge una rarefazione sublime e concreta sorretta da una scrittura, quella di Stefano Massini, nitida e feroce dove la parola scritta si confronta con la parola teatrale senza il meccanismo del compiacimento ma restituendo il senso di una complessità che si risolve in armonia e pienezza linguistica. Nel finale, con la circolarità che ricorda le sue stelle vorticanti, la voce adulta di Vincent ripete “È stato ammesso oggi in ospedale il signor Vincent Van Gogh,

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grafichéditore Prefazione del libro di Filippo D’Andrea

Il Santo Europeo del Sud

di Giuseppe Schillaci

L’asceta sociale Francesco di Paola

La Chiesa e la Calabria siamo fortunati per avere con noi Francesco di Paola. Ma di sicuro lo è anche l’Europa e ogni luogo nel mondo, dove il Santo Paolano è venerato. Del resto, la fama di santità trascende i confini territoriali, non conosce muri, si nutre di incontri fatti di fiducia e di preghiera. E così la nostra terra bruzia diventa la patria per chiunque, in Europa e nel mondo, riconosce nell’eremita padre dei minimi, un fratello, un testimone, un intercessore. Sarà la notorietà dei suoi interventi taumaturgici o l’austero rigore penitenziale della sua vita e del suo Ordine, sta di fatto che Francesco di Paola con la sua vita ha gettato ponti – per usare una frase cara a Papa Francesco – tra la nostra terra e il resto del mondo. Per questo motivo, il libro del caro professore D’Andrea, “Il Santo Europeo del Sud” ci consegna una lettura spaziante e dinamica di come Francesco di Paola ha seguito Cristo nelle polverose strade della storia umana.

certosina, riassume il suo abitare nel mondo con queste parole: Stat Crux dum volvitur orbis. Laicale, il cenobio eremitico che nasce attorno a Francesco di Paola, che è rimasto sempre laico, diventa espressione della natura teologica dei consigli evangelici, che appartengono ai cristiani in quanto battezzati e non come effetto dell’Ordine Sacro. Consigli evangelici di povertà, obbedienza e castità che Francesco diventano segni eloquenti di uno stile di vivere il Vangelo e il mondo. Radicali le sue parole nella Regola I: Pertanto non tolleriamo che le nostre dimore suscitino ammirazione: tanto le case come le chiese siano modeste e umili, e tali che dappertutto risplenda la sua povertà.

Esistenziale, essenziale, laicale, liberante, sono i tratti della spiritualità del Paolano come sottolineati dall’autore. Esistenziale in quanto la vocazione di Francesco è la ricerca di Dio in un costante cammino di conversione e di penitenza reso manifesto dal voto quaresimale, distintivo dell’Ordine. Essenziale in quanto la robustezza solida del suo desiderio di vivere il Vangelo, lo porta, come Francesco d’Assisi, ad avere “un centro di gravità permanente” come lo definisce il professore d’Andrea, mutuando Battiato. Essenziale è trovare un centro, sul quale fermarsi e indirizzare ogni cosa. Qui, l’altra grande esperienza del monachesimo in occidente, quella

Grazie a questi tratti, la vita di Francesco di Paola non è un mausoleo del passato, ma ancora parla da cinquecento anni senza sosta, facendo scaturire implicazioni sociali, politiche ed educative che il Professore D’Andrea ben palesa nel libro.

36 anni. Egli è colpito da manie acute con allucinazioni della vista e dell’udito. Si reputa incapace di vivere e gestirsi in libertà. Necessita sottomettere il soggetto a prolungate osservazioni psichiatriche” mentre la serena luminosità del giallo inonda la scena sul tema musicale del Sacro Graal dal Parsifal di Wagner nella potente e morbida voce di Kirsten Flagstad. Il dialogo immaginato e immaginario con il fratello e il contrappunto vocale con gli infermieri e i medici giocato sul doppio registro del dramma e dell’ironia Lamezia e non solo

Liberante, ultimo tratto della spiritualità del padre dei Minimi. Francesco è uomo libero grazie al Vangelo. Libero di annunciare Cristo, libero di difendere i poveri. Libero grazie all’amore di Dio e libero di amare i più deboli e indifesi a rischio della sua stessa vita. La libertà di poter essere per l’Altro e per gli altri, senza condizionamenti, è la cifra più grande che traduce il monito paolino: Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra (Col 3,1-2).

Il Santo più calabrese di tutti i calabresi, insegni ancora oggi a tutti noi, ad abitare trasfigurando con la passione e la radicalità del Vangelo, la nostra storia; perché solo la fede testimoniata scrive a caratteri indelebili la parola Charitas, l’Amore di Dio, sulle pagine della vita di ogni uomo..

virgolettano gli altri interpreti della pièce che esprimono d’ogni personaggio affidato alle loro cure una attenta configurazione. Sollecito e premuroso il Theo di Massimo Nicolini, empatico e benefico ma innervato da una sottile vena di follia prudentemente amministrata il Dottor Peyron di Francesco Biscione; tirannico e viscido, affetto da “sindrome del piedistallo” il Dottor Vernon-Lazàre di Roberto Manzi; colorati di humour nero gli infermieri Roland e Gustave nelle interpretazioni di Antonio Bandiera e Leonardo Sbragia.

La regia rigorosa, a tratti severa, di Alessandro Maggi costruita su movimenti geometrici, l’uso evocativo delle luci di Valerio Tiberi e Andrea Burgaretta e l’alberatura musicale di Giacomo Vezzani restituiscono uno spettacolo di classica linearità e di inquietante spessore nel felice tentativo di creare una nuova, credibile idea contemporanea della tragicità. Ovazione finale.

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scuola

STORIE DI INTERNATI DEL TERRITORIO LAMETINO ISTITUTO COMPRENSIVO “ S. EUFEMIA LAMEZIA” di Teodolinda Coltellaro Il 28 Gennaio scorso, nell’Aula Magna dell’Istituto Comprensivo di S. Eufemia, in occasione della Giornata della Memoria, le classi quinte A-B e C della Scuola Primaria hanno proposto all’attenzione di un pubblico interessato “Crescere nel valore della Memoria -Storie di Internati del nostro territorio”: un coinvolgente percorso di approfondimento conoscitivo e di riflessione sulla necessità di preservare la memoria e con essa la consapevolezza del nostro passato. La manifestazione, condotta dalla giornalista Maria Scaramuzzino, introdotta dalla Dirigente Scolastica Fiorella Careri, che ne ha sottolineato la valenza formativa, e a cui ha presenziato il sindaco Paolo Mascaro, ha preso avvio dalla ricerca storico-documentale condotta da alunni e insegnanti sul valore simbolico e sulla funzione commemorativa delle

Pietre d’inciampo; una ricerca incentrata sul territorio lametino con lo scopo di conoscere e capire il coinvolgimento dei suoi stessi abitanti in un processo storico che ha segnato in modo drammatico la storia Europea del Novecento e che ha lasciato i suoi segni dolorosi anche su di esso. Attraverso testimonianze, diari di prigionia, scritti, anche inediti, documenti fotografici sono state ricostruite le storie di tre nostri concittadini deportati nei campi di

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concentramento tedeschi, nello specifico quelle degli Internati Militari Italiani ( IMI ): Vincenzo Sirianni, Francesco Graziano, Antonio Bruni. Quest’esperienza è stata molto coinvolgente per tutti gli alunni. Per tutti loro è stata un’emozione particolare, densa di valori educativi fondamentali, quella di scoprire, nelle diverse fasi della ricerca, le dolorose vicende dei sopravvissuti ai campi di prigionia tedeschi, ma soprattutto sapere che essi abitavano nel nostro territorio. E’ stato un po’ come stabilire un rapporto di vicinanza e familiarità con le loro vite. La serata è stata scandita in diversi momenti, tutti di grande intensità, che hanno visto un grande coinvolgimento emotivo in chi ha assistito al suo evolversi: Bellissime ed estremamente significative le canzoni eseguite in forma corale dagli alunni, accompagnati nell’esibizione dai docenti di strumento della scuola; particolarmente toccanti i brani letti ; coinvolgente la visione di un elaborato multimediale e di un e-book con i quali alunni e insegnanti hanno inteso raccontare le diverse fasi della ricerca attraverso cui le storie personali hanno assunto la valenza più significativa e sostanziale di una pagina di storia poco conosciuta quanto importante. Le notizie sui lametini prigionieri dei tedeschi, infatti, si riferiscono al periodo immediatamente dopo l’Armistizio, l’8 settembre 1943, quando, rimasti senza precisi ordini dagli alti comandi, molti soldati italiani furono catturati e deportati nei territori della Germania e internati in campi di concentramento nazisti: sono gli I.M.I. La questione, drammatica, degli IMI è stata trascurata nel secondo dopoguerra. Eppure, per la prima volta nella storia GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

militare, i soldati, abbandonati dallo Stato e dagli stessi alti comandi, avevano deciso liberamente e democraticamente da quale parte stare. Circa il 90 per cento di loro non accettò le proposte di combattere con i tedeschi né con la Repubblica Sociale bensì scelse di rimanere nei campi d’internamento. ”Una Resistenza senz’armi” fu definita. Essi, dai tedeschi, prima vennero considerati prigionieri di guerra, poi classificati come internati (per non riconoscere loro i diritti garantiti dalle Convenzioni di Ginevra). Oltre 650.000 ufficiali e sottufficiali italiani finirono così nei campi di concentramento e lavori forzati germanici, dove circa 40.000 di essi morirono per gli stenti e i patimenti subiti. Le testimonianze dei familiari degli internati, le cui storie sono state all’origine del pregevole percorso di ricerca, hanno arricchito la serata di ulteriori spunti di riflessione e di costante rinvio al valore imprescindibile della memoria. La prof.ssa Enza Sirianni ha ricordato le incredibili sofferenze patite da suo padre Vincenzo e da tutti gli internati, sottoposti a trattamenti durissimi, ad estenuanti lavori forzati e ad ogni sorta di sopruso da parte dei tedeschi, che li consideravano non già prigionieri ma traditori. Il suo racconto, intessuto dalle preziose parole evocative del drammatico vissuto di suo padre, ha ricordato questi coraggiosi eroi di una resistenza cui non vennero riconosciuti onori, bensì per tanti anni addirittura rimossi dalla memoria collettiva. La dott.ssa Amalia Bruni con la voce rotta dall’emozione nel ricordo del padre Antonio, ha raccontato la storia di come egli si ritrovò prigioniero di una guerra che non aveva mai combattuto e di come, fin dalla lettura delle prime pagine Lamezia e non solo


riflettendo

La“grazia” di vivere di Pierluigi Mascaro “Miriàm, sai cos’è la grazia?” “Non di preciso”, risposi. “Non è un’andatura attraente, non è il portamento elevato di certe nostre donne bene in mostra. E’ la forza sovrumana di affrontare il mondo da soli senza sforzo, sfidarlo a duello tutto intero senza neanche spettinarsi. Non è femminile, è dote di profeti. E’ un dono e tu l’hai avuto. Chi lo possiede è affrancato da ogni timore. L’ho visto su di te la sera dell’incontro e da allora l’hai addosso. Tu sei piena di grazia. Intorno a te c’è una barriera di grazia, una fortezza. Tu la spargi, Miriàm: pure su di me”. Sono rimasto parecchio a riflettere su questo passaggio di un romanzo di Erri De Luca, “In nome della madre”, edito da Feltrinelli. Secondo l’autore, la grazia non è, come comunemente intesa, quella qualità esteriore che rende le movenze, il linguaggio ed il comportamento umani

gradevoli agli altri, ma diviene, ad un tempo, sinonimo di dignità, orgoglio e coraggio, doti interiori che consentono, a chi le possiede, di prendere piena coscienza della propria forza e delle proprie capacità per affrontare, sempre a testa alta, le difficoltà in cui inevitabilmente ogni uomo inciampa percorrendo il sentiero della vita, dalla più piccola a quella apparentemente più insormontabile. Mi trovo a condividere soltanto parzialmente siffatta interpretazione. De Luca connota infatti la grazia, nella particolare accezione di significato che le attribuisce, come una dote sovrumana, profetica; chi la possiede è avvolto da una specie di barriera isolante, si trova in una fortezza che gli permette di osservare lo scenario della vita dietro un vetro infrangibile, posizione privilegiata da cui è possibile osservare indisturbati ed

imperturbabili, compiendo le mosse giuste esattamente al momento più opportuno. In realtà, credo che possieda il dono della grazia anche e soprattutto chi, nel corso della propria esistenza, s’immerge all’interno delle difficoltà e delle sfide senza alcun involucro di protezione, chi tocca il fondo e, invece di accasciarvisi supino e inerme, si dà la spinta necessaria per riemergere in superficie, chi ha l’umiltà di chiedere aiuto, prendendo coscienza dei propri limiti, connaturati all’umana natura, a mio avviso la più elevata manifestazione di grandezza interiore e spirituale, in una società dove la cosa che ormai conta più di tutte è arrivare per primi, da soli, ai primi posti, o almeno fare di tutto perché ciò appaia inequivocabilmente agli occhi dell’altro. Insomma, cosa più umanamente eroico della grazia di vivere?

del suo diario di prigionia, ritrovato dopo tanto tempo, si rese conto dell’incredibile valore storico che quel documento rappresentava. Così, già pensando ad una eventuale pubblicazione, sollecitò il padre a trascriverlo al computer. Egli trascrisse quei fogli, la cui grafia minuta sarebbe potuta risultare ad altri difficile da capire, ma con la promessa che venissero pubblicati dopo la sua morte. Così è stato . Il libro “Dai campi di prigionia nazista a Salò: Il diario di Antonio Bruni” di Giuseppe Ferraro, riporta fedelmente il suo diario insieme ad un’attenta analisi storica che permette di capire meglio tutto il complesso periodo successivo all’armistizio Il dott. Vincenzo Graziano ha ripercorso la storia da internato di suo padre

Francesco e i terribili patimenti subiti. Egli, durante la prigionia, per riuscire a sopportare le condizioni disumane imposte quotidianamente e per resistere alla crudeltà della vita nel campo, tiene un diario in cui annota riflessioni ed eventi quotidiani e che ha permesso anche agli alunni di conoscerne le sofferenze e di riflettere su questo periodo buio della nostra storia. Egli annota la terribile fame, i cibi desiderati come una vera ossessione, il freddo insopportabile, le inumane condizioni igieniche in cui vivevano, tutti elementi comuni agli internati italiani nei diversi campi di prigionia tedeschi. In verità, tutta la famiglia Graziano, presente in gran numero alla manifestazione della scuola, è stata così entusiasta della ricerca storica che, sollecitata e sospinta

dall’entusiasmo dei giovani apprendisti “storici”, ha deciso di ricercare ulteriori documenti, rovistando nei cassetti e tra le carte del loro familiare ormai defunto. E, incredibilmente, hanno trovato scritti inediti, lettere, storia della propria famiglia che hanno messo a disposizione della scuola e che meritano sicuramente uno studio più approfondito e la pubblicazione perché tutti ne vengano a conoscenza. Graziano chiude il suo diario con una profonda riflessione che è un’eredità morale per i suoi figli e un insegnamento per tutti noi sull’importanza della memoria perché ciò che è accaduto non si ripeta : Queste cose le scrivo non per me che non potrò mai dimenticare, ma perché un giorno o l’altro le leggano i miei figli e si sappiano regolare.

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scuola

Il liceo Galilei individuato dal MIUR quale scuola capofila per la provincia di Catanzaro

di Teresa Goffredo

Una Scuola che lavora, una Scuola che accoglie sempre nuovi stimoli, una Scuola che si impegna in un Territorio difficile perché la Scuola resta un’Istituzione importante! Il Liceo Scientifico “Galilei” coglie la sfida e prepara sempre nuovi ingredienti che fanno la differenza nella relazione educativa, rendendo il lavoro sempre più consapevole, responsabile, rispettoso, partecipato e condiviso per una scuola aperta che accoglie la novità e pensa con creatività alle mille forme di diversa didattica per migliorare le competenze dei propri studenti. Un Liceo in continua evoluzione per affrontare le sfide del futuro. È una bella scommessa, ma al “Galilei” le sperimentazioni e le sfide fioccano! Così in ottobre con decreto del MIUR del 05 novembre 2019 il Liceo “G. Galilei” veniva designato come Scuola Polo provinciale per la seconda edizione del Premio Scuola Digitale. E noi pronti per affrontare le sfide del futuro: una bella scommessa, ma un gruppo di lavoro ha subito iniziato a lavorare e, grazie al coordinamento del referente Prof. Gianni Chirillo, attraverso dialogo, confronto e riflessione, la macchina organizzativa ha iniziato a lavorare. La Scuola, in raccordo con gli Uffici scolastici regionali e con la Scuola coordinatrice del premio a livello regionale, ha emanato un apposito avviso, diffuso a tutte le scuole del territorio della provincia di Catanzaro, attivando uno strumento di rilevazione per l’acquisizione delle candidature e dei progetti di innovazione

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digitale candidati dalle stesse scuole. Il Galilei ha continuato a lavorare anche nel periodo natalizio ma finalmente il 7 febbraio ’20 data della manifestazione finale e della premiazione, il risultato è stato appagante. Una sala gremita, quella “Napolitano” del Comune di Lamezia Terme, scelta come luogo di celebrazione: studenti, docenti, genitori, Autorità per la Finale Provinciale del Premio Scuola Digitale, voluto dal Ministero dell’Istruzione e della Ricerca, per valorizzare i migliori progetti in tema di didattica digitale. La gara svolta in fase provinciale, avrà per le scuole vincitrici un prosieguo a livello regionale e quindi nazionale. La serata condotta dal giornalista Rai Riccardo Giacoia e dalla prof.ssa Miriam Rocca, si è aperta con i saluti istituzionali del Sindaco di Lamezia Terme, Paolo Mascaro, del Direttore Generale dell’USR Calabria, Dott.ssa Maria Rita Calvosa, del Dirigente Scolastico del Galilei, prof.ssa Teresa Goffredo e, infine, dell’avvocato Giancarlo Nicotera, Presidente della terza commissione consiliare. Gli studenti emozionati hanno poi presentato i loro lavori: progetti didattici innovativi e sperimentali, basati sulle tecnologie digitali. Le scuole che hanno partecipato al Premio in questa selezione provinciale, sono state l’Istituto Comprensivo G.SABATINI di BORGIA; l’Istituto Comprensivo CHIARAVALLE 2 di CHIARAVALLE; l’Istituto Comprensivo ARDITO-DON BOSCO di LAMEZIA TERME; l’Istituto Superiore PETRUCCI, FERRARIS,

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MARESCA di CATANZARO; l’Istituto Superiore E.MAJORANA di GIRIFALCO; l’Istituto Superiore COSTANZO di DECOLLATURA; il LICEO SCIENTIFICO GALILEI di LAMEZIA TERME. A giudicare i lavori una giuria d’eccellenza costituita da Maria Rita Calvosa, Direttore Generale USR, da Florindo Rubbettino, editore e rappresentante della CONFINDUSTRIA, dal prof. Francesco Calimeri, docente universitario, dal prof. Luigi Filice, Docente al di Dipartimento di Ingegneria Meccanica, Energetica e Gestionale all’Università della Calabria, dalla Dott.ssa Lucia Abiuso, Rappresentante dell’USR Calabria e infine dal prof. Salvatore Staine, docente di Matematica dell’IIS di Sersale. I ragazzi hanno presentato i loro lavori in un tempo massimo di 6 minuti: un video di tre minuti e altri tre minuti attraverso “pitch” gestiti dagli studenti protagonisti. La Giuria ha così valutato i lavori, facendo salire sul podio gli studenti dell’Istituto Comprensivo di CHIARAVALLE 2 con il progetto sull’utilizzo delle metodologie digitali nella didattica, e gli studenti dell’IIS “L. Costanzo” di Decollatura per il progetto: “Guida turistica nei sentieri del Reventino”. Ai vincitori 1000 euro di premio da dedicare alla realizzazione dei lavori presentati. Grande emozione tra i partecipanti e parole lodevoli da parte della Giuria per i vincitori e per i partecipanti. “La manifestazione ha avuto un taglio comunicativo originale, coinvolgente, agile ed efficace, capace di

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veicolare un’immagine di innovazione della scuola con il coinvolgimento di tutte le diverse componenti della comunità scolastica e sociale del territorio e con il protagonismo attivo degli studenti” ha sottolineato il Dirigente Teresa Goffredo che ha ringraziato tutti coloro che hanno contribuito al successo dell’evento: Ministero, Ufficio Scolastico regionale della Calabria, il Sindaco della città Avv, Mascaro e il Presidente della Terza Commissione Avv. Nicotera per il patrocinio e l’utilizzo della Sala “Napolitano”, Dirigenti scolastici , docenti, il team del Liceo “Galilei” con il referente ing. Gianni Chirillo e naturalmente le studentesse e gli studenti, protagonisti assoluti della manifestazione. Nel corso della serata anche una interessante lezione tenuta dal prof. Luigi Filice sul digitale nella scuola dal titolo “Innovazione didattica è tecnologia?” e una “Danza Robotica”, ideata dagli alunni della classe IIF del Liceo Scientifico Galilei di Lamezia, sotto l’attenta guida del prof. Cimino. La manifestazione è stata allietata dagli intermezzi musicali dell’Orchestra “Juvenilia” dell’Istituto comprensivo di Maida. Una organizzazione complessa ma un risultato eccellente: il premio scuola digitale, nella provincia di Catanzaro, ha fatto emergere una scuola aperta, che interagisce col territorio e propone soluzioni

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a problemi e necessità della comunità. Una scuola chiamata a costruire il futuro, facendo sintesi tra territorio, processi di innovazione ed internazionalizzazione della società. L’iniziativa è stata contenitore, oltre che del Premio Scuola Digitale, anche di molti altri eventi espressione del fervore innovativo del territorio coinvolto: un insieme di performance che ha messo in connessione gli innovatori di diversi settori della cultura e della società. La stessa logica connettiva ha ispirato la composizione della giuria: si sono ritrovati insieme a valutare rappresentati dell’Ufficio Scolastico Regionale, dell’Università, dell’ impresa, di esperti digitali, di amministratori pubblici e docenti. Una rete di competenze e professionalità per individuare l’innovazione e promuoverla nella cooperazione per la costruzione del futuro. Presidente di Giuria il Direttore Generale dell’Ufficio Scolastico per la Calabria dott. ssa Maria Rita Calvosa che ha aperto il pomeriggio con un saluto e un messaggio intriso di passione, entusiasmo e amore verso gli studenti della Scuola calabrese e un monito verso dirigenti e docenti affinchè, con l’esempio, contribuiscano alla nascita di futuri ottimi cittadini. Le esperienze premiate sono state dunque quelle delle scuole che hanno espresso maggiore capacità di promuovere un cambiamento nell’azione didattica, una trasformazione dei curricoli in linea con le richieste della società, la capacità di interagire con le realtà economiche e culturali del territorio e di coinvolgere le comunità scolastiche e i cittadini. Una specifica valutazione è stata formulata anche

per le modalità stesse di presentazione dei progetti secondo la formula prescelta del pitch che integra materiali multimediali brevi in una comunicazione orale di forte sintesi che mira secondo i criteri della comunicazione del mondo digitale a presentare rapidissimamente gli elementi di qualità di un prodotto. Dall’esperienza del PrZX0emio Scuola Digitale il Liceo esce fortificato e motivato: “E’ stato motivo d’orgoglio per il “Galilei” coordinare questo importante evento, da cui abbiamo tratto ulteriori stimoli a migliorarci per e sul Territorio”.

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Spettacolo

Vacantiandu. L’incantesimo del Teatro in “Miseria e nobiltà” con Lello Arena.

di Giovanna Villella

Lamezia Terme, 22 gennaio 2020. Grande successo al Teatro Comunale Grandinetti di Lamezia Terme nell’ambito della rassegna Vacantiandu 2019.2020 per lo spettacolo Miseria e nobiltà di Eduardo Scarpetta, con Lello Arena, regia di Luciano Melchionna, produzione Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro. Uno spettacolo imponente, rinnovato anche nel linguaggio attraverso l’adattamento scenico firmato da Lello Arena e Luciano Melchionna che, pur non rinunciando alle sonorità voluttuose e all’opulenza della lingua napoletana, hanno optato per una riscrittura più moderna con inserimenti di battute “alla maniera di Scarpetta” e incursioni nella contemporaneità: immigrazione, razzismo, declino della cultura, lavoro minorile, individualismo... La regia visionaria e immaginifica di Luciano Melchionna, con tagli e inquadrature da cinema, ci regala un allestimento tetro e fastoso insieme, facendo slittare nel simbolico i contenuti e le immagini che ricrea dal testo. Un mélange riuscitissimo tra le atmosfere dark alla Tim Burton, l’universo fiabesco di Walt Disney e qualche tocco di metamorfosi magica alla Giambattista Basile. Un viaggio tra la vera miseria e la falsa nobiltà che si materia visivamente sulla scena nel complesso décor di Roberto Crea. Una impalcatura di tubi metallici da archeologia industriale, distribuita su più livelli con piattaforme rialzate a perimetrare idealmente i vari ambienti, rende il senso del fatiscente. Su di essa poggia l’elegante palazzo signorile. Due mondi apparentemente distinti eppure indissolubilmente legati. In un buio e opprimente sottosuolo, di dostoevskiana memoria, abitano esseri che sembrano appartenere alla specie subumana. Esseri in trappola come topi che strisciano nei cunicoli e si contorcono per i morsi della fame.

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Sottosuolo che diventa negazione della vita e della dignità umana dove l’assenza di luce, di calore e di cibo esaspera gli animi di chi vi abita. Concetta, interpretata da una matronale e sgrammaticata Giorgia Trasselli, destruttura, deride, deforma le parole con candore disarmante creando nuove gerarchie di senso, Pupella emaciata, spaurita e servizievole è perfettamente incarnata da Irene Grasso, Luisella con arie da gran dama plebea, poco disposta alla solidarietà con gli altri emarginati, è superbamente disegnata da Maria Bolignano. E poi c’è lui Felice Sciosciammocca, la maschera borghese del teatro di Scarpetta a cui Lello Arena imprime la forza e il carattere di un personaggio a tutto tondo. Si presenta in scena come un patriarca detronizzato, con la dignità della propria miseria, a dispensare ironia e disincanto, capace di convivere a suo agio su quella delicata linea di confine tra farsa e tragedia. Il suo deuteragonista è Pasquale nella mirabile interpretazione in chiaroscuro di Andrea De Goyzueta che sembra adombrare il perenne infantilismo dell’artista perdente che non ha mai raggiunto il successo. Menzione speciale a Veronica D’Elia Peppeniello tenero e impertinente. Uno scugnizzo alla maniera di Viviani per la vivezza dei gesti, delle movenze sceniche e della recitazione quasi espressionista, ma dotato di matura consapevolezza nel rivendicare i propri diritti di fanciullo: “Nessun bambino dovrebbe impugnare mai uno strumento di lavoro. Gli unici strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere in mano sono penne e matite colorate.” Esplicito e commovente omaggio al giovanissimo pakistano Iqbal Masih, simbolo della lotta contro il lavoro minorile. Personaggi in conflitto permanente, sempre sull’orlo di un abisso, naturali e sconvolgenti, passionali e indifesi, miti e violenti. Una fauna umana affollata in una zona di solitudine

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collettiva che ritrova unità/umanità intorno a quel tavolo, nella scena finale del I atto, con gli spaghetti che piovono dall’alto come manna dal cielo. Scena orbata della rituale convivialità e vissuta con uno stupore senza gioia. Eppure in questo universo deprivato di tutto non c’è tragedia. Al contrario vengono esaltati i momenti in cui l’assurdo dei dialoghi diventa comico o ridicolo anche se i personaggi si agitano nell’angoscia dei propri incubi quotidiani e lo fanno portandosi dietro una loro buffoneria, quella sì vagamente tragica. Il loro ingresso nel palazzo nobiliare per adempiere alla farsa che sono tenuti ad inscenare avviene attraverso una botola che si apre dal pavimento come dal ventre sterile della terra, in una metaforica ascesa dal regno dei morti a quello dei vivi. E mentre quella piccola corte ridanciana e appariscente fa la sua entrata nel mondo dei ricchi, il sottosuolo continua a intravvedersi come una ferita aperta, mostrando Luisella esclusa dal gioco e covante, in appartata cupezza, il coup de théâtre finale. Unico personaggio, in questa lettura, ad esprimere - con brutalità - una verità diretta. Nel bianco accecante del salone addobbato a festa si affolla un’altra umanità non avvezza a rinunce e sacrifici. I personaggi si muovono in un ambiente immerso in un bagno di luce con repentini cambi di colore a ritagliare atmosfere o a sottolineare stati d’animo. Luciano Giugliano impone al parvenu Gaetano movenze quasi marionettistiche e una comicità espansa che esalta una sua vocazione all’irruenza mattatoriale mentre il Vicienzo di Alfonso Dolgetta si misura nei particolari e nei piccoli gesti di attenzione. L’universo femminile è affidato all’appeal di Marika De Chiara che risolve la noia e i capricci della giovane Gemma alternando pose da sophisticated comedy alla Audrey Hepburn ad

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I Meridiani: Voci calabresi in serie e parallelo

Dalla lirica calabrese fino al surdolino:

Le avances letterarie e popolari di Francesco Polopoli In principio era la poesia: l’eros passa tra i versi, eccome! Circoscrivendo l’attenzione alla produzione letteraria calabrese, il mio pensiero si sofferma su un componimento, che è eccezionale, se non altro per trasmissione: purtroppo la nostra letteratura regionale non ha avuto una degna sistematizzazione, eccezion fatta per sparuti tentativi di ricostruzioni monografiche, che tuttora sanno più di episodicità che rilettura d’insieme. Intanto, quanto di seguito riportato è di uno Scriptor incertus: si dice così, tecnicamente parlando! Questo strambotto anonimo, che ha qualche influenza dialettale calabrese, è inserito nel Codice latino n. 10656 della Biblioteca Apostolica Vaticana del secolo XV. Pensate alla personale fatica di questo recupero, o benevoli lettori! Dice così: Segnora, per tuo amore me sfarria, / tu per mio amore te consumi e mori, / intrambo campamo co’ sta fantasia / e intrambedoi n’à (qui)sto animo in core. / Dì: mmi desii? Et io desio a tia. / No li porrimo dire doe parole? S’io te parlasse, ben te piacerria: io fora beato e tu contente fori. Libera interpretazione: Signora, mi distruggerei per il tuo amore e tu faresti altrettanto. Entrambi viviamo con questo sentimento: ognuno di noi ha questo pensiero nel cuore. Dimmi: mi desideri? Sappi che io desidero te. Non potremmo dirci due parole? Se io potessi solo parlarti, ben ti farebbe piacere: io sarei felicissimo e tu saresti contenta. Innegabile il valore di questo corteggiamento versificato: è evidente in questa spontaneità partecipata. Il poeta si fa avanti: è audace, e la fortuna, lo sappiamo, aiuta i cuori impavidi. C’è una poesia sotterranea, popolare, potremmo dire, che cammina parallelamente alla produzione ufficiale, quella composta dalle buone parole, per capirci: la chiamo subvocalizzata, sottotono, cioè, ma è altrettanto efficace. Il genere letterario? U Surdulìnu: una sensualità sincopata giocata sul filo di una maliziosa ironia e alla carica melodrammatica di Carla Ferraro, una Bettina algida e fiera, capace di passare dalla granitica asciuttezza alla rabbia esplosa disvelando un cuore di donna ferito dall’amore. A completare la pletora dei personaggi Fabio Rossi nel doppio ruolo dello spavaldo padrone di casa Gioacchino Castiello e del nobile libertino Marchese Ottavio Favetti, alias Bebè, reso con viscida mollezza e toni bassi e monocordi mentre si consuma d’amore senile per Gemma; Sara Esposito che disegna un Luigino di grafica agilità, tracimante e felicemente privo di freni

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così ci è stato tramandato in un nome che è invariante in parecchie aree della nostra terra del Sud. Quindi, antropologicamente fondato, in un’espressione non particolarmente dotta del demos. Cos’è? Letteralmente si riferisce al fischio di richiamo usato per la caccia di certi uccelli, specie dei tordi, ma, nel nostro caso, è la tecnica del cuccare usata dai fidanzati d’una volta, ai quali, com’è noto, era consentito guardarsi e comunicare solo da lontano. Come funzionava? Dapprima ci si avvicinava alla ragazza con una scusa e, dopo un po’ di tempo, si esternava una sortita galante. Praticamente, una dichiarazione d’amore, per dirla in soldoni. Se, invece, la giovinetta più volte e per più giorni non rispondeva al guizzo del ragazzo, non girandosi e non mostrando volontà di compiacimento, quest’ultimo capiva che non ci stava, e smetteva con la sua passionale e galante profferta, per evitare la fine del guitto, ovvero di una macchietta agli occhi della partner avvicinata. Una precisazione. Di rado succedeva l’inverso e cioè che le ragazze facevano il surdolino: prime forme precorritrici di emancipazione, generate dall’Eros, meglio così! É proprio grazie a questo linguaggio sonoro che, durante i secoli passati, son nati i più bei sogni d’amore (A. Barberio), già! Una curiosità: non è del tutto ignota a noi questa pratica: penso a “Ehi pupa”, accompagnato da sibili, che non hanno nulla a che vedere, però, con quelli di un capotreno, di un vigile o di istruttore ginnico, non vi pare? Pupa es, ancorché abbia radici nel mondo classico, penso ad esempio ad un’epigrafe di adescamento, pompeiana credo, confina con la molestia, a meno che la controparte sia complice o compiaciuta. Buon surdulino a chi legge questo scrittarello, allora!

inibitori nel manifestare con energia mascolina il suo amore per Pupella; Raffaele Ausiello che ben caratterizza il marchesino Eugenio, dandy fatuo e ridondante, con qualche punta di femminea nevrastenia e il vezzo di agitare il morbido caschetto biondo come un ballerino di fila dei favolosi Anni ‘60. Uno spettacolo che ha la potenza di un affresco corale dove ogni attore ha il suo momento da protagonista anche quando sta nel suo angolo, senza sconfinare in controscene disturbanti. I costumi, quasi scultorei, firmati Milla, strizzano l’occhio ad un Ottocento reinventato con dettagli che diventano elementi di lettura

della nostra contemporaneità. Vivificando un testo che ancora oggi arriva dritto al cuore del pubblico, Luciano Melchionna, da sensibile cesellatore di identità sociologiche e psicologiche, unifica nell’incantesimo dell’artificio scenico due mondi, due visioni della vita distanti e inconciliabili che, al di là dell’apparenza e delle convenzioni sociali, condividono in egual misura miseria morale e povertà spirituale. Il pubblico applaude. Moltissimo. E sentitamente ringrazia il Teatro che sa ancora regalare emozioni.

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ricordi

LA PORTA ALCHEMICA DI ROMA, QUELLA DI LAMEZIA E LA MEMORIA DI

ELEONORA DE FONSECA PIMENTEL

di Giovanni Mazzei

divino”. Subito sotto un riferimento mitologico: Il drago dell’Esperide custodisce l’ingresso dell’orto magico e senza Ercole Giasone non avrebbe assaggiato le delizie della Colchide (Horti Magici Ingressum Hesperius Custodit Draco Et Sine Alcide Colchicas Delicias Non Gustasset Iason ).

Nel cuore di Roma, nel quartiere Esquilino, si trova piazza Vittorio Emanuele II: al suo centro vi è un vasto giardino, alle cui estremità settentrionali si ergono le maestose ma decadenti rovine del ninfeo di Alessandro Severo. Il quartiere presenta anche alcune ville medievali, come Villa Montalto, proprietà privata del Papa Sisto V; accanto ad essa, nella metà del ‘600, sorse Villa Palombara, di più modeste dimensioni. Il proprietario della villa, il marchese di Pietraforte Massimiliano Savelli di Palombara, era molto affascinato dalle scienze esoteriche, che lo stesso praticava. Nella sua dimora organizzò vari incontri con personaggi che condividevano i suoi stessi interessi, come la principessa Cristina di Svezia. Questi incontri si verificavano in un ambiente attiguo alla villa, una sorta di laboratorio dove prendevano vita i rituali e gli esperimenti alchemici. Un giovane medico milanese Giuseppe Francesco Borri, fortemente interessato all’occultismo, si unì al circolo di Villa Palombara. Secondo una leggenda Borri si presentò alla villa come un pellegrino. Il “pellegrino” dimorò per una notte nei giardini della villa alla ricerca di una misteriosa erba capace di produrre l’oro. Il mattino seguente fu visto scomparire per sempre attraverso una porta, ma lasciò dietro alcune pagliuzze d’oro frutto di una riuscita trasmutazione alchemica, e una misteriosa carta piena di enigmi e simboli magici che dovevano contenere il segreto della pietra filosofale. Giuseppe Borri dovette davvero lasciare in fretta e furia villa Palombara: ciò avvenne quando sulle sue tracce si mise la Santa Inquisizione. Nella fretta della fuga dovete abbandonare un gran numero di pergamene sulle quali vi erano complesse formule che nessuno riuscì a decifrare: ciò spinse il marchese Palombara ad inciderle sul portale d’ingresso del laboratorio. Secondo alcune congetture, le carte farebbero addirittura parte del famoso manoscritto Voynich, il “libro più misterioso del Mondo”,

come ebbe a dire il docente di filosofia medioevale Robert Brumbaugh. Purtroppo Villa Palombara nella seconda metà dell’Ottocento, con i nuovi lavori di riqualificazione del quartiere, venne quasi completamente distrutta; di essa si salvò solamente il portale d’ingresso, ora collocato in piazza Vittorio Emanuele e noto ai più come Porta Alchemica. Durante il XX secolo, la porta venne leggermente spostata dalla posizione originale e posta alle spalle delle rovine del ninfeo sopracitato, racchiusa da una cancellata metallica. La porta consiste in un piccolo portale ora murato, contornato da uno stipite di pietra bianca ricoperta da simboli alchemici e affiancata da due misteriose statue. Sopra al portale è presente un disco di pietra contenente la sovrapposizione di due triangoli che costituiscono la stella a sei punte del re Salomone, contornata dal motto: tria sunt mirabilia deus et homo, mater et virgo, trinus et unus (tre sono le cose mirabili: Dio e l’uomo, la Madre e la Vergine, l’uno e il trino). Un cerchio (con al centro un oculus, simbolo alchemico che rappresenta il sole e l’oro), sormontato da una croce, è sovrapposto alla stella e reca un altro motto: centrum in trigono centri (il centro è nel trigono del centro).

Sui montanti laterali, invece, vi sono i simboli dei pianeti in associazione ai metalli, alternati a vari motti: Quando nella tua casa corvi neri partoriranno bianche colombe, allora tu potrai dirti saggio (Quando In Tua Domo Nigri Corvi Parturient Albas Columbas Tunc Vocaberis Sapiens); Il diametro della sfera, il tau del cerchio, la croce del globo non servono ai ciechi (Diameter Spherae Thau Circuli Crux Orbis Non Orbis Prosunt); Chi sa ardere con l’acqua e lavare col fuoco, fa della terra cielo e del cielo terra preziosa (Qui Scit Comburere Aqua Et Lavare Igne Facit De Terra Caelum Et De Caelo Terram Pretiosam); Se farai volare la terra sopra la tua testa con le sue penne tramuterai in pietra le acque dei torrenti (Si Feceris Volare Terram Super Caput Tuum Eius Pennis Aquas Torrentium Convertes In Petram); Azoto e Fuoco: sbiancando Latona, verrà Diana senza veste (Azot Et Ignis Dealbando Latonam Veniet Sine Veste Diana); Nostro figlio, morto, vive, torna re dal fuoco e gode del matrimonio occulto (Filius Noster Mortuus Vivit Rex Ab Igne Redit Et Coniugio Gaudet Occulto ). La parte bassa della porta reca l’incisione: È opera occulta della vera persona saggia aprire la terra, affinché faccia germogliare la salvezza per il popolo (Est Opus Occultum Veri Sophi Aperire Terram Ut Germinet Salutem Pro Populo). Mentre proprio sulla soglia vi è inciso: SI SEDES NON IS, che, se letto normalmente, significa: Se siedi non vai, ma se letto da destra a sinistra – la frase è quasi palindroma – il suo significato è: Se non siedi vai. Le due bizzarre statue poste ai lati della porta non facevano parte della collezione del

Sulla parte alta dello stipite una scritta in ebraico recita: “spirito pag. 18

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l’angolo di tommaso

La Divina Commedia

Proprio una bella mattinata, presso il teatro Politeama di Catanzaro, con tanti alunni delle scuole lametine e non solo, a vedere il Musical "La Divina Commedia". Uno spettacolo totalmente riuscito, con la regia di Andrea Ortis, in cui musica, recitazione e ballo sono armonizzati in maniera perfetta con l'aggiunta di scenografie tecnologiche che comunque non sacrificano l'essenza e l'atmosfera dello spirito proprio del teatro. Non è facile sintetizzare un'opera come quella dantesca, eppure gli episodi scelti rendono pienamente il senso del tutto. Bravissimi gli attori e i ballerini e ritengo superba soprattutto l'interpretazione di Virgilio: commovente ed emozionante la scena del distacco di Virgilio da Dante, il quale deve proseguire da solo il suo viaggio nel Paradiso. Vincente l'interazione tra palcoscenico e pubblico, infatti alcune scene si sono svolte in sala, tra gli spettatori. Un pubblico composto soprattutto da giovani i quali hanno seguito con entusiasmo e interesse. A dimostrazione che si può portare in scena un capolavoro come La Divina Commedia senza annoiare, utilizzando anche, sapientemente luci e scenografie. Un lavoro qualitativamente alto e intellettualmente intenso e vivace, un grande dipinto dell'animo umano, alla ricerca dall'Amore.

marchese ma furono aggiunte successivamente, esse rappresentano una divinità egizia chiamata Bes, assai venerata a Roma durante l’età imperiale. La leggenda narra che chiunque riesca a pronunciare le incisioni nell’ordine giusto e perfettamente, possa attraversare la porta e probabilmente recarsi in un’altra dimensione e/o tempo. Oltrepassare la porta, dal punto di vista iniziatico allude all’evoluzione spirituale, all’accesso ad un grado di conoscenza superiore, al raggiungimento della verità. La porta evoca un passaggio, un punto di collegamento fra l’esterno e l’interno o fra dimensioni diverse. Per questo le porte dei templi in numerose tradizioni sono protette da spiriti guardiani, da divinità, santi o mostri, attenti a far accedere alla sapienza solo i puri di cuore. La Porta Alchemica è la soglia che l’iniziato deve oltrepassare per accedere al cammino, essa è la raffigurazione della volontà interiore che lo spinge al perfezionamento (Se siedi non vai). Tale trasmutazione interiore si esplica con la mutazione della materia più rozza ed elementare che, via via che si eliminano le impurità, termina con il raggiungimento dello stadio di purezza più alto. A Lamezia Terme, nella zona di Sambiase, vi è anche una sorta di porta alchemica, la quale seppur non decorata da simboli particolari e motti ermetici, manifesta una palese affinità con i caratteri architettonici della Porta dei Cieli romana, nonché una ravvisabile somiglianza. Questo piccolo portale costituito da una struttura in pietra bianca, ha al suo interno una lastra Lamezia e non solo

Global world o Global solitude?

di Tommaso Cozzitorto

E vedi un mare in tempesta e poi di colpo un mare disteso come un lago, e velieri che appaiono e scompaiono come in intermittenza, non sai se stai guardando un reale paesaggio naturale o un dipinto impressionista, non sai se hai bisogno di vita reale o di entrare in una vita costruita da colori e pennelli; in cerca di proporzioni, il binomio arte-vita non ha modo di essere in questo tempo di luci al neon, di finestre dalle persiane chiuse dove il sole sta fuori, scacciato da un pensiero che preferisce piccoli mondi artificiali e rassicuranti. La concezione del global world ha creato piccole prigioni mentali, lascia fuori l'ossigeno quale esperienza autentica e si attraversa la vita senza guardarla. E sogni l'America senza più sogni e illusioni, non più cercatori di oro ma esistenze in fotocopia, non più abbracci ma faccine su wapp, non più solitudini ricercate, ma tanta confusione solitaria. Così... Attraversiamo la vita senza guardare.

nera come la corrispettiva romana, simbolo dell’ingresso in una materia oscura, ostica e sconosciuta. Di ispirazione probabilmente massonica, tale supposizione viene avvalorata dalla forma piramidale nella quale la struttura della porta è incastonata. Accanto al monumento vi è la stele del committente, che reca tale incisione (oramai quasi illeggibile): «Scrisse di Libertà per essa morì. A donna Eleonora l’ordine dei giornalisti di Calabria questa epigrafe dedica». La data dell’epigrafe è quella del 26/07/2007. Una stele reca l’incisione di una citazione virgiliana: Forsan et haec olim meminisse iuvabit (Forse un giorno ci farà piacere ricordare anche queste cose), ultime parole pronunciate in vita dalla dedicataria del simulacro in questione, Eleonora de Fonseca Pimentel. Mariano D’ayala di lei disse: “La bella Eleonora Fonseca, la quale riunì alle grazie di Saffo la filosofia di Platone, stimata dal Voltaire e dai letterati del tempo, vive e vivrà eternamente; morirono per sempre i Borbone di Napoli”. Donna di lettere, intellettuale, giornalista, poetessa, scrittrice, politica, rivoluzionaria, fece parte dell’Accademia dei Filateti sotto lo pseudonimo di Epolinfenora Olcesamante, anagramma del suo nome. Dopo pochi mesi venne accolta nell’Arcadia con il nome di Altidora Esperetusa. Riuscì da sola ad inserirsi nel gruppo di intellettuali, filosofi e giuristi che sostenevano l’abbattimento dei diritti dello Stato Pontificio sul Regno di Napoli e delle ingiustizie sociali inflitte alle classi meno agiate dalla monarchia dei Borboni.

Eleonora, una donna settecentesca su cui tanto si è scritto, tanto da farla apparire nella letteratura giacobina una martire santificata e sacrificata per la causa rivoluzionaria, mentre in quella borbonica un’esaltata mentale, senza mezzi termini, un esempio negativo di donna che pur di fare storia ha sacrificato se stessa, dissacrando con un divorzio i canoni di una donna rispettabile: marito, chiesa e sacra famiglia. Divenne – cosa quasi impensabile all’epoca per una donna – il direttore del giornale ufficiale della Repubblica Napoletana: il Monitore Napoletano, il giornale del governo rivoluzionario. Dai suoi articoli emergeva un atteggiamento democratico ed egualitario. Una donna vissuta in un tempo che non le apparteneva, come un personaggio venuto dal futuro e costretto a vivere nel passato. Una donna coraggiosa, fortificata dalle sofferenze di una vita di coppia infernale, un figlio mancato, un qualche amore impossibile serbato nel cuore, una donna a cui quella vita non diede modo di realizzare i desideri più dolci, ma le concesse di morire libera e sola, nella sua individualità di donna fuori da quel tempo. Nel giugno del 1799, la Repubblica Napoletana fu rovesciata, la Monarchia restaurata e la Pimentel catturata. Eleonora fu impiccata a Napoli, nella storica piazza del Mercato, il 20 agosto 1799. Salì al patibolo con coraggio, senza accettare la benda davanti agli occhi che veniva messa ai condannati. La penna è stato l’unico dono concessole; la penna, l’unica arma che lei seppe usare alla stregua di una spada.

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Sport

DODICI NUOVI ASSOCIATI PER LA SEZIONE di Gianfranco Pujia

AIA di Lamezia Terme

La Sezione AIA di Lamezia Terme, a conclusione del Corso Nazionale, ha immesso nel proprio organico dodici nuovi arbitri che martedì 21 gennaio hanno sostenuto e superato le prove d'esame. La Commissione esaminatrice, presieduta dal Componente del Comitato Regionale Calabria Giacomo Bruzzano, dal Presidente sezionale Gianfranco Pujia e dai Componenti Antonio Guerrise e Franco Pisani, coadiuvati dal segretario sezionale Mattia Roperto, ha sottoposto i candidati alle previste prove d'esame, quiz regolamentari e colloquio orale, verificando il buon grado di preparazione di tutti i partecipanti. Il Presidente Gianfranco Pujia, dopo aver rivolto un plauso ai colleghi Guerrise, Pisani e Martina Molinaro, che hanno gestito il corso appena concluso, ha espresso la propria soddisfazione per le qualità dimo-

strate dai nuovi arbitri che nelle prossime settimane, accompagnati dai colleghi più anziani in veste di Tutor, saranno impiegati nella direzione di gare del settore giovanile. Nel dare il benvenuto nella grande famiglia dell'AIA li ha esortati, infine, a studiare il regolamento e frequentare assiduamente la sezione per confrontarsi con i colleghi più esperti, non tralasciando di curare la forma fisica indispensabile per gestire al meglio i prossimi impegni. Questi i nomi dei nuovi fischietti lametini ai quali va l'ideale abbraccio di tutta la Sezione: Giuseppe Falvo, Antonio Scardamaglia, Gianluca Renda, Salvatore Di Cello, Mauro Talarico, Gabriel Stranges, Cristian Mazza, Marco Mancuso, Christian Pio Bevilacqua, Antonio Martello, Alex Caruso, Simone Durante.

Satirellando e dintorni, stavolta…

(adozione presso famiglie tedesche), si salvaroPer questa volta, lo dico con sincerità, non riesco a satirellare… Per questo numero della nostra rivista, ho deciso di dedicare questo miono. Le case furono bruciate e fatte esplodere: il filmato di propaganda girato dei tedeschi è spazio ad una mia poesia, piuttosto che a una satira. Sono appena tornata da un viaggio effettuato con la mia scuola, l’IISproiettato, oggi, nel Museo della Memoria del“GUARASCI-CALABRETTA”, di Soverato, nei luoghi della memoria.la città. Sul terreno, i tedeschi sparsero il sale e E non mi è ancora facile ritornare completamente alla vita quotidianasu quel luogo, non distante da un piccolo lago, e mi risulta ancora difficile ironizzare sulla realtà. E’ per questo motivooggi c’è un parco, al centro del quale sorge il triste, ma splendido Moche ho scelto di pubblicare qui la mia poesia scritta a LIDICE, nonnumento ai Bambini, portato a termine nel 2000, secondo il desiderio lontano da Praga, sul luogo in cui sorgeva la piccola città omonima,dell’ormai defunta artista Marie Uchitytilová, che non aveva potuto rerasa al suolo dai tedeschi, per rappresaglia, il 10 giugno del 1942, inalizzarlo prima, per motivi economici. seguito all’attentato, in cui rimase ferito a morte Reinhard Heydrich, ilLa piccola Lidice moderna, invece, con le sue villette ordinate, fu ricostruita, poco distante, sulla collinetta circostante. Protettore del Reich, soprannoinato il Macellaio di Praga. Circa 200 uomini furono fucilati, le donne e i bambini deportati neiEd è proprio lì, fra le nuove casette, che è nata la mia poesia… campi in Polonia e solo pochi di essi, selezionati per la germanizzazione

LE TENDINE DI LIDICE Si accende il primo lume, a sera, nelle nuove case della piccola Lidice. Cala l’ultimo raggio di sole sulla memoria dei bimbi, fusa nel bronzo monumentale, a valle. pag. 20

Ogni casa ha una piccola tenda ricamata e un giardinetto silenzioso. Dietro quelle tendine, in via 10 giugno 1942, intravedo, finalmente, la vita. Il sole tramonta.

Il mio pensiero accorato, va ai caduti, ai deportati, ai giovanissimi occhi di ieri spenti dalla guerra e dal delirio. Prego. Il mio commosso sorriso

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si perde nel vento e sul bambino felice, che rotola giù per la collina coi suoi cagnetti protettivi. Mentre il tempo si ferma sul ricordo, la vita continua... Lamezia e non solo


per non dimenticare

Una rosa per Norma Cossetto

di Gianfranco Turino

Non è una ricorrenza ne tanto meno la consumazione di una data, ma esclusivamente un atto emotivo, un pensiero senza barriere per Norma Cossetto, un gesto dell’animo verso una tragedia consumata negli anni bui dell’ultima guerra in quelle terre ai confini della nostra geografia, è anche un atto di totale repulsione verso certe scelte italiane, un qualcosa di inimmaginabile con l’esposizione di targhe, vie e piazze, titolate a Tito Jpsip Broz il pianificatore dell’assorbimento delle terre irredente, il propinatore dell’uso della forza bruta per estirpare l’italianità di quelle zone cancellandone ogni possibile rigurgito e legame con la madre Patria. Una pulizia etnica consumata con ogni mezzo psicologico e materiale. Desidero quindi ricordare, ancora una volta, la storia di Norma Cossetto,una giovinetta Istriana, massacrata, torturata e infoibata solo perché italiana. Era una studentessa universitaria prossima a laurearsi, stava preparando una tesi sul sociale, che, forse era più un teorema popolare di proposte avveniristiche, dal titolo Istria Rossa riferentesi alla terra istriana ricca di bauxite. Contro Il tempo e il buio, il dolore e la sofferenza, la violenza fisica nel tentativo di annullare la sua forza morale cancellando ogni barriera, sopportò questo macello, a nulla valsero gli strazi fisici ripetuti brutalmente senza freni,per farla rinnegare il sogno italiano, ma la sua volontà di Istriana e restò imperitura ad indicare il fallimento dei suoi boia, anche

per questo i vincitori, vollero cancellare l’immagine di quella giovane ragazzina, il tempo, però, ha limato questo oscurare i fatti, di attimi passati e chiusi in archivi polverosi. La luce su quell’orrore esplode con la forza e la rabbia di far sapere una diversa ignominia di chi si considerò un liberatore di quel mondo, facendolo precipitare ancor più nel marcio senza la verità. La studentessa istriana, imprigionata dai partigiani di Tito, venne lungamente

seviziata e violentata dai suoi 17 carnefici e poi gettata in una foiba, ancora viva, legata con il filo spinato. A seguito di denuncia, i soldati tedeschi catturarono sedici dei suoi assassini e li costrinsero a passare la notte in piedi vegliando la salma di Norma, prima di essere fucilati; tre di loro impazzirono. Ho voluto scrivere questa nota, titolandola “una rosa per Norma Cossetto”,piccolo pensiero di un italiano, dopo aver visto la foto di una via o di una piazza dedicata al boia di quegli orrendi massacri (capo di stato 1892-1980), inorridendo e chiedendomi se nella nostra Italia esiste il pudore e il senso dell’orgoglio di Patria o se per strane coincidenze abbiamo venduto anche questo allo straniero. Il mio scritto, è un doveroso inchino alla memoria della giovane universitaria, coerente fino alla fine con i suoi ideali, l’ho fatto soprattutto dopo aver scoperto, con disgusto, che il massacratore delle terre irredenti, venne decorato nel 1969, dall’allora presidente Giuseppe Saragat, come «Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana» con l'aggiunta del Gran cordone, il più alto riconoscimento. Nessuno ha mai pensato di cancellargli questa onorificenza per «indegnità», come è previsto dalla legge. Resta,per sempre, stampato nel cielo degli eroi e nel cuore di tutti, il ricordo e la limpidezza del sorriso di Norma Cossetto, che non sarà mai dimenticata, a lei una rosa dei veri italiani.

Sport

fisiodinamic

Stage con Enzo Failla

Si è svolto presso ASD fisiodinamic lo stage di Arti marziali diretto dal maestro Enzo Failla presidente nazionale mga fijlkam comitato judo Calabria e dal maestro Antonio Ciliberto, con applicazione alle situazioni di criticità urbana. Si sono esibiti nelle varie tecniche i seguenti atleti :Noemimaria Nicolazzo campionessa regionale di MGA, Simone Dara, Umberto Mastroianni, Andrea Mendicino, Adelina Miltiade, Michael Raso sono i nuovi campioni del sud. Presenti all’evento l'ingegnere Vincenzo Torcasio e l'ex paracadutista Enzo Galotti che hanno premiato i giovani atleti i quali ringraziano il loro maestro Antonio Ciliberto per l'opportunità data. Gli ospiti inviati alla eventi hanno espresso un gran elogio per l’ottima prestazione. Lamezia e non solo

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sud

LO SCENARIO DELL’OGGI di Francesco De Pino

(PRIMA PARTE)

Per la nostra Costituzione la radice dello Stato è nella società: una concezione pluralista, la sola che riesca a dare concretezza all’idea della sovranità popolare; una concezione che sposta il polo dell’ordinamento politico sociale verso comunità protese al bene comune. Lo Stato può essere definito come un popolo organizzato su un territorio e sotto un unico potere politico sovrano, da cui si deduce che tre sono gli elementi fondamentali che lo costituiscono: il PopoloTerritorio-Sovranità. Il popolo è l’elemento personale dello Stato e può essere definito come il complesso delle persone fisiche legato allo stato da un rapporto di cittadinanza. Viene, quindi, considerato come l’insieme di cittadini che appartengono stabilmente a un determinato ordinamento statale. Dar corpo a questa scelta comporta alcune conseguenze. Una delle maggiori è che lo Stato, le Regioni, gli enti locali, questi ultimi per le loro competenze, non essendo più costruiti sopra la società, ma dentro di essa, perdono assolutezza, sia come generatori di diritto sia come creatori di forza politica. Allora, l’amministrare non è meno importante del fare leggi. Non c’è vera politica senza: un’amministrazione capace, con oculata gestione della spesa, di prevedere, progettare, eseguire controllare, sul terreno stesso della vita quotidiana, quanto la politica, forte della legittimazione, che deriva dal consenso popolare, indica e detta per le scelte programmatiche. L’amministrazione democratica non è allora una macchina al servizio di una sovranità statale chiusa e lontana. Essa diventa bensì il modo più articolato e diffuso attraverso il quale i pubblici poteri interagiscono con i cittadini: con coloro cui spetta la legittimazione di ogni potere politico veramente democratico e che non avviene una volta per tutte. Politica e amministrazione, pur divise nei loro compiti, sono così accomunate dall’essere entrambe oggetto di quella valutazione e di quell’apprezzamento dei cittadini che sono momenti centrali del processo di governo: La politica come sfera capace di aggregare il consenso e di compiere scelte; L’amministrazione perché sistema in grado di attuare, prevedendo, programmando, eseguendo e controllando, quelle scelte. Nel regime democratico l’amministrazione assume, quindi, un ruolo di gran lunga superiore rispetto al passato. L’esercizio del governo pubblico, all’interno di una società esigente, è, infatti, compito che richiede ingegno, ma anche scrupolo, fatica, impegno quotidiano. Un esercizio che ha bisogno di apparati capaci sia di raccogliere, valutare e valorizzare le idee innovative, sia di perseguire razionalmente gli obiettivi. E’ un agire complesso, non lontano però da quello che le imprese industriali moderne affrontano ogni giorno per competere e affermarsi, offrendo beni e servizi innovativi e di qualità. Mentre si fa di tutto per demotivarle, quando, ”cacciatori di budget”, allontanano dalle istituzioni il cittadino, e il cittadino dalle Istituzioni. Oppure, nel rilevare quando gli Enti previdenziali e non sono “ variabili indipendenti” dal contesto economico cui operano. A volte mi chiedo, ahimè, nel tutelare la “Gente di lavoro” dalle prevaricazioni, “rilevare, nella sostanza, che non c’è differenza da quanti dobbiamo prendere le distanze come cittadini, e stare in uno con lo Stato a combatterli, cui il Papa Giovanni Paolo, nella Valle dei templi, chiese loro, con forza: ”Convertitevi”! Mi perdoni il Dott. Gratteri! pag. 22

Sì, la nostra società è malata, e lo evidenzia la disassuefazione, sempre più in ascesa, a esercitare il “diritto dei diritti”, quello del voto, mentre perdiamo il nostro essere “Cittadini-dominus” per essere alla mercé di Masanielli che arringano dal palco e noi ad applaudire, mentre ci seminano per la loro aia, apparentemente convincenti. A me è capitato, quando una sera, guardando un programma televisivo, mi sono svestito dalle mie “Idee e Valori”, ed ho ascoltato l’On. Salvini che arringava. Alla fine del veemente sermone, anch’io l’avrei votato. ”Che mi succede”, mi sono detto! Avevo preso gli appunti, riletti, niente di concreto! Mi aveva disseminato per l’aia! Trova conferma, lasciando perplessi, sentire, ieri, 14 febbraio, l’On. Giorgetti, in verità sempre responsabile nel parlare, affermare l’opposto di quanto l’On.le Salvini ha arringato dai palchi, in questi due anni! Un “dietro-front” clamoroso, una scelta moderata, o meglio, “realista”, corregge l’On.Giorgetti, suo braccio destro nel Governo, e nella Lega, specificando, nella trasmissione,Otto e Mezzo, della Giornalista, Liliana Gruber, “Non può Salvini fare la guerra a tutti. La politica non è fatta di slogan, ma di scelte concrete”. Questo giro di valzer adesso da parte della Lega,cari calabresi, è di comodo per avere più voti e/o conservarli? E’ stata, altresì accantonata, altresì, la volontà di Salvini di volere il potere assoluto e che conta più di mille parlamentari? Così, mi sembra averlo sentito dire! Ci piacerebbe sentire, parimenti, il Governatore leghista del Veneto, Zaia, ancora, sulla Calabria e noi Calabresi, se diverso da quel video mandato in onda in quel maggio 2019! Questa la nuova faccia della Lega? Ho rianalizzato il tutto del nostro Oggi, compresi i “diktat” dei cinquestellatii, l’imposizione di Conte a Presidente del Consiglio, ora sulla “prescrizione” per risalire la china niente di quello che interessa la Città dell’uomo in rovina, l’Italia! Per la quale,” occorre, per un cristiano, come, Giorgio La Pira “Lasciare, pur restandovi attaccati con il fondo dell’anima, l’orto chiuso dell’orazione; bisogna scendere in campo; affinare (“affinare”, Di Maio. Ndr), i propri strumenti di lavoro: riflessione, cultura, parola ( “parola”, Salvini, Ndr), lavoro… trasformare le nostre strutture errate della città umana riparare la casa dell’uomo che rovina. Ecco la missione che Dio ci affida”! Dirà, ancora, ” se non si riscontra, nel responsabile politico, l’attitudine a essere per gli altri e di contribuire, con i suoi talenti, al bene comune; se così non è, se cioè il politico non esercitale virtù che danno significato ed efficacia alla rappresentanza, le Istituzioni diventano fonte di disuguaglianze e favoritismi esosi, luoghi d’intese affaristiche, di ricatti, di devianza e di corruzione.Quella sotto i riflettori del Giudice Gratteri, ndr) La delusione pubblica e lo scetticismo che tale antipolitica diffonde nelle rette coscienze, sono purtroppo il secondo risultato che la delinquenza si attende: così continua a spadroneggiare, dietro il paravento delle parole e delle dichiarazioni solenni in un crescente vuoto di democrazia sostanziale”. Se, però accade che un poeta e sognatore di un certo tipo venga a trovarsi davvero, per un limpido e felice convergere di circostanze, d’ispirazione e di consenso, a rivestire una rappresentanza di potere elettivo per servire, la storia che ne consegue la storia di realizzazione di programmi di lavoro di socialità, di giustizia distributiva, perciò di vera libertà liberante e di cultura, com’è accaduto, appunto, nel periodo in cui Giorgio La Pira, poeta e sognatore di altissimo qualità è stato sindaco realista della città di Firenze. Così, su Giorgio La Pira il commento di Carmelo Vigna e Elisabetta Zambruno in

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“Giorgio La Pira,Un San Francesco nel Novecento”. E non sarebbe stato diverso nelle recenti consultazioni regionali se gli elettori avessero fatta propria l’offerta politica, di Carlo Tansi, con “Tesoro Calabria”,. «Sogno una Calabria orgogliosa di se stessa e senza casta», in alternativa alla Destra ed alla Sinistra, responsabili di una Calabria al tappeto, nemmeno “ vagone che si stacca dalla locomotiva Italia ed UE. Si, Carlo Tansi a Presidente della Calabria poteva essere un’alternativa valida, non un teorico, uno sconosciuto, tutt’altro Ha. reso nelle competizioni regionali il 7,2% non superando l’8%’, certamente una soglia altissima per la Calabria in rapporto ai suoi abitanti. Non è cos’ per le altre regioni, nonostante abbiano una popolazione di gran lunga superiore alla nostra regione. Nel suo programma ridurre Dipartimenti, i centri di poteri della Regione Calabria, a suo dire, da a 28 a 9 pienamente da condividere. Afferma, convinto: “Perché le persone che sono abbastanza folli da pensare di potere cambiare il mondo sono coloro che lo cambiano davvero!Ritengo, anch’i che ai folli dobbiamo tutto delle nostre conquiste civili scientifiche, e in tutti i settori. Se fosse nei miei poteri, farei loro una statua in ogni paese e città, accanto al Milite Ignoto. Ma, chi è Carlo Tansi: nato a Cosenza il 22 luglio del 1962. laureato in Scienze Geologiche presso l’Università della Calabria con 110 e lode. vincitore di una borsa di studio biennale presso l’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), svolta in buona parte presso il Laboratorio di Tectonique dell’Università Pierre e Marie Curie di Parigi. Dal 1994, a

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seguito del superamento di un concorso pubblico nazionale, è risultato vincitore di un concorso per ricercatore presso lo stesso Istituto del CNR, dove da allora si occupa dello studio delle faglie attive che interessano l’Appennino meridionale, e delle relazioni tra queste faglie e i terremoti e le frane. Per 13 anni ha ricoperto il ruolo di professore incaricato di “Geologia Strutturale” presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università della Calabria. Ha ricoperto la carica di vicepresidente e di consigliere dell’Ordine dei Geologi della Calabria. E’ stato Responsabile scientifico di vari progetti di ricerca scientifici nazionali e internazionali. Nel triennio novembre 2015 – novembre 2018, a seguito di una selezione pubblica nazionale, ha diretto la Protezione Civile della Calabria, la regione più esposta in Italia ai disastri naturali (frane, alluvioni e terremoti). Nel suo ruolo di dirigente ha coordinato sul campo molte emergenze di rilevanza nazionale legate a gravi calamità, incluso il coordinamento operativo dei dipendenti e dei quasi 4.000 volontari della Protezione Civile regionale. E’autore di oltre 100 pubblicazioni scientifiche su riviste scientifiche internazionali e nazionali, e Referee per Riviste Internazionali ISI. E’ stato relatore di 85 Tesi di Laurea e di Dottorato di Ricerca, e Componente del Consiglio di Corso di Laurea e del Collegio dei Docenti del Dottorato di Ricerca presso l’Università della Calabria. E’stato responsabile scientifico di vari progetti di ricerca scientifici nazionali e internazionali.( Continua al prossimo numero)

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