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MARTEDÌ 28 LUGLIO 2020 ORE 19.30


lametine

Ciao, Antonio. Antonio.

Continueremo a “respirare”… di Salvatore D’Elia Rubo un piccolo spazio a Salvatore con questa premessa perchè voglio condividere il mio dolore ... È una copertina che MAI avrei voluto dedicare. Ancora oggi è come se aspettassi i suoi TVB che mi inviava in modo particolare quando stavo poco bene. Un TVB che mi comunicava calore, il suo affetto, la sua vicinanza. Mi mancherà, ci mancherà perchè era, anzi è, una persona speciale, dico è perchè sono certa che continuerà ad essere, per noi tutti che lo abbiamo amato, presenza costate, fonte di ispirazione, sempre. La sua voglia di vivere ci dà forza, il suo sorriso, come testimoniano le foto, era gioioso, sincero, coinvolgente, mai forzato. Esprimeva i suoi sentimenti, ed allora sì Antonio, te lo diciamo ciao ma, come ha scritto Salvatore, continueremo a respirare con te e per te! 21 giugno 2020. Primo giorno d’estate. Otto giorni prima, in un whatsapp di risposta ai miei auguri di buon onomastico, uno screenshot della prima pagina del quarto capitolo di “Respirare”: il momento della scelta. Due anni fa, proprio il giorno di S. Antonio, quella scelta decisiva che abbiamo voluto raccontare in un libro, per lanciare un messaggio in cui potessero ritrovarsi tutti coloro che si trovano a dover affrontare delle scelte di vita. Scegliere bene, scegliere per il bene, scegliere per la buona qualità della vita. Senza Antonio Saffioti, dal 21 giugno scorso, siamo tutti più soli. E’ umano, fa parte di quella fragilità che in nessuna pagina del nostro libro abbiamo voluto nascondere o camuffare. Ma dal 21 giugno sentiamo tutti la responsabilità di portare avanti le battaglie di Antonio, il messaggio della sua vita, quel patrimonio di umanità fatto di “straordinario nell’ordinario” rappresentato da Antonio, da mamma Vittoria, da papà Pino, dalla sorella Maria Rosaria. Nei giorni dei funerali ho avuto modo in diverse occasioni di ricordare Antonio. In tanti me l’hanno chiesto. Il legame fraterno tra me e Antonio ha avuto come momento culminante la scrittura del libro “Respirare”,

edito da Grafiché Editore, progetto fortemente incoraggiato da Nella Fragale, che ha creduto subito nel fatto che una storia come quella di Antonio doveva essere raccontata, doveva essere messa “nero su bianco” per diventare un inno alla vita scritto, più che con l’inchiostro, con la vita stessa di Antonio e della sua famiglia. Quando si scrive con un’altra persona, quando si tenta di raccontare un’altra vita, si crea davvero un’intimità particolare: non è la redazione di una storia tipica dei cronisti o l’ascolto asettico di qualcosa da riportare, bensì una condivisione di vita, di percorsi, di sentimenti. Sarò sempre grato ad Antonio per avermi dato la possibilità di condividere così intimamente un tratto del suo cammino luminoso su questa terra. Per ricordarlo, voglio riproporre la prefazione al nostro libro, uscito nel mese di aprile del 2019. Rileggendola vi ho trovato la sintesi di tutto ciò che Antonio ha rappresentato nella mia vita e nella vita di tante persone. Una storia in cui tanti possono riconoscersi: nelle proprie fragilità e nella propria forza, nei momenti di scoraggiamento e di speranza, nelle battaglie quotidiane per una “vita buona” che tutti desideriamo. Antonio ce lo ha insegnato. Ciao Antonio. Continueremo a respirare…

Prefazione al libro “Respirare. La tracheotomia: scelta e sfida per una vita indipendente”

cammino che lo ha portato all’inizio dell’estate del 2018 a scegliere di sottoporsi alla tracheotomia per respirare e vivere meglio.

Negli ultimi dieci mesi, la chirurgia è entrata nella mia vita in tre occasioni molto differenti tra di loro: due interventi chirurgici delicati e “vitali” nel giro di pochi mesi a cui si è sottoposto un familiare: l’appassionante serie tv statunitense “The good doctor” che mi ha tenuto compagnia in alcune (come sempre) noiose serate estive; la proposta di Antonio di raccontare un altro capitolo importante della sua vita, contraddistinto da una scelta significativa sotto tutti i punti di vista. Una scelta, in parte, anche chirurgica.

Per chi come me ha sempre scritto e comunicato su altri temi e argomenti, non nascondo di aver percepito istintivamente una sorta di inadeguatezza a scrivere qualcosa di prettamente medico – scientifico che, detto in modo crudo e realistico, ha a che fare, in ultima istanza, con un foro praticato chirurgicamente al livello della trachea per mandare aria ai polmoni e quindi consentire a una persona di vivere. Questa minima resistenza veniva subito superata da due spinte: primo, negli ultimi mesi avevo incontrato, per varie ragioni, il mondo della chirurgia e mi affascinava questa straordinaria possibilità di scomporre e ricomporre come un puzzle il corpo di una persona per farla stare bene; due, non dovevamo raccontare di pinze e bisturi di una sala operatoria, ma condividere un percorso, interiore molto prima che medico, ed arrivare a più persone possibile. Prima di

Chiedo scusa al lettore per questa brevissima nota molto personale (non lo faccio mai), fondamentale per capire l’approccio con cui abbiamo iniziato insieme ad Antonio una nuova avventura: raccontare per condividere, con un pubblico più vasto ed eterogeneo possibile, il

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partire era ben chiara la prospettiva: far arrivare il messaggio per cui la tracheotomia non è un “tragico epilogo”, anticamera di chissà quali esiti nefasti, ma è una scelta che si concilia perfettamente e addirittura può contribuire a una migliore qualità della vita della persona. Un messaggio, quello di questo nuovo capitolo della vita di Antonio Saffioti e della sua famiglia, da far arrivare a tutti: a persone che hanno

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fatto questa scelta; a chi ancora è indeciso; a chi, ben riparato nelle proprie sicurezze e convinto che malattia e sofferenza siano qualcosa su cui tacere o qualcosa che riguarda sempre gli altri, vuole mettersi in discussione e lasciare interpellare dalla Vita nel suo significato più alto e autentico. Perché nella Vita vera, non in quella proiettata sui social oppure ostentata in vari modi, il dolore, la sofferenza, la drammaticità stessa della vita sono realtà. Realtà da non enfatizzare né da rigettare, ma da guardare in faccia, da chiamare per nome; fare esperienza del proprio limite, avere la capacità di stare in silenzio di fronte al Mistero che interpella attraverso la realtà umana della fragilità.

latino, “tutto sottrae alla morte e dona vita perenne alle genti mortali”.

E ora torniamo al libro. Sono stato subito contento della decisione di Antonio di continuare a scrivere la sua storia, dopo il bellissimo racconto corale scritto insieme a Marco Cavaliere, che da queste pagine voglio ringraziare per aver dato una spinta significativa a un percorso che ora continua e continuerà in futuro. Scrivere la storia di Antonio e della famiglia Saffioti, dei tanti “personaggi” che ruotano attorno alla vita di Totosaff, è essenziale perché tutto il lavoro che da anni Antonio sta portando avanti sul fronte dei diritti delle persone con disabilità e della vita indipendente, acquisti quella caratteristica di “immortalità”; quell’immortalità che per gli eroi greci era legata proprio al canto delle loro vite e delle loro imprese attraverso i versi. Quella “fatica” della scrittura, in versi o in prosa, che, per dirla con le parole di un poeta

visibili, di tanti senza voce. Gli eroi di questo tempo, di cui è giusto ricordarci in futuro e di cui è giusto oggi scrivere, sono quelli che non si voltano dall’altra parte; quelli che rispondono al male con il bene; quelli che sono capaci di gesti di compassione senza chiedere nulla in cambio e anche nella consapevolezza che con i loro gesti non cambieranno minimamente il cuore degli altri. E in queste pagine ci sono tanti “eroi del quotidiano”. “Un disadattato che si occupa di altri disadattati”, si autodefinisce Antonio sul suo profilo Facebook e sulle pareti della sua stanza campeggia il suo motto di vita gramsciano “Odio gli indifferenti”. E’ questo il filo rosso che lega non solo le pagine che tra un po’ leggerete, ma anche il libro precedente, tutta la vita e la “missione” di Antonio: essere pungolo per gli indifferenti, risvegliare nei

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Ma nelle prossime pagine - e chi conosce Antonio già lo sa bene - non si parlerà minimamente di “eroi”, né greci né locali; Antonio non sognerebbe mai di farsi definire eroe dei nostri giorni. Così come sono assolutamente abolite le categorie di “speciale”, “straordinario” ecc… Se c’è un eroismo a cui queste pagine vogliono dare una certa “immortalità”, è quell’ “eroismo del quotidiano” che vive e sopravvive in questi tempi bui dei porti chiusi, delle sofferenze dei migranti sulla “Diciotti o sulla “Sea Watch”, soprattutto di quella indifferenza che “soffoca” la vita quotidiana di tante persone, di tanti in-

“disadattati” il desiderio di essere protagonisti della loro vita e di renderla piena mettendola a servizio degli altri. Intraprendiamo questo nuovo cammino insieme a Totosaff. Così come in tutte le iniziative che abbiamo organizzato da quando ci conosciamo, anche questa volta con Antonio abbiamo una perfetta condivisione di vedute: mettere in evidenza tutto quello che fa incontrare la vita di Antonio con la vita degli altri, i punti in cui i cammini si incrociano. Qui - lo abbiamo già detto - non ci sono “esseri speciali” o “eroi”, da compiangere perché colpiti dal fato avverso o da esaltare perché inarrivabili dal resto degli uomini. Noi raccon-

tiamo una storia nella quale tantissime persone possono rivedersi e dalla quale tanti possono raccogliere qualcosa di prezioso per il loro cammino di vita. Il messaggio centrale resta uno: la buona qualità della vita delle persone con disabilità è possibile, è realizzabile, è un bene per se stessi e per tutta la società. Ma poi c’è il racconto concreto del travaglio di una scelta, di un viaggio fino a Messina, dei normali scoraggiamenti nello scoprire che il cibo non aveva seguito la giusta via, la gestione quotidiana di una situazione nuova, un’estate di musica e momenti di amicizia. Una “normalità” spiazzante nella quale si manifesta lo “straordinario” di Dio, che ha lo stesso sorriso sereno a tratti disarmante della famiglia Saffioti: quel sorriso che ti viene da contemplare in silenzio, mentre li vedi alla presentazione di un

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libro piuttosto che a un comizio in piazza. Tutte cose di cui leggerete e rispetto alle quali viene richiesto ben più di quella “cooperazione testuale” di cui parlava Umberto Eco nel rapporto tra il lettore e il testo: è richiesto a chi legge di mettersi in discussione, di lasciarsi interpellare da queste vite e da queste scelte. E il primo elemento che lega le vicende di questo libro all’ordinaria esistenza quotidiana, mia e vostra, è racchiusa in una parola: scelta. Tutti, in ogni momento della nostra vita, nei contesti e nelle situazioni più diverse, operiamo delle scelte. Antonio, dopo un inverno piuttosto “movimentato” tra febbri e problemi respiratori, si è trovato a scegliere tra due opzioni: sottopor-

si alla tracheostomia oppure all’alimentazione enterale tramite la PEG. Sicuramente, converrete anche voi, non si tratta della scelta tra le vacanze al mare o in montagna… Eppure, come leggerete, gli aspetti medico-scientifici non esauriscono minimamente le variabili che hanno portato Antonio, supportato dalla famiglia, a fare la scelta della tracheo e continuare ad alimentarsi normalmente. Una scelta che ha comportato sicuramente benefici, a cominciare dalla possibilità di togliersi la mascherina dopo tre anni e il piacere di poter mangiare ancora con forchetta e coltello, ma anche una gestione quotidiana più complessa. Una scelta che comporta anche dei rischi. E qui scatta il collegamento con ognuno di noi: quale delle nostre scelte di vita non comporta vantaggi e benefici?

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Chi di noi non si confronta con i rischi e le opportunità delle decisioni prese nel corso della propria vita? Le situazioni sono tante e l’elenco è lungo. Saranno i medici e gli esperti a valutare se la scelta fatta da Antonio è stata la migliore o la peggiore. Ma un dato è inoppugnabile: Antonio ha scelto. E a guidarlo nella scelta è stato un criterio: la buona qualità della vita. Conosco Antonio ormai da cinque anni e ritengo che sia questo l’orizzonte che ha sempre ispirato le sue scelte e quelle sua famiglia: la vita buona, la vita indipendente, la dignità della persona.

tare il racconto di Antonio, ho ripensato alle parole di un’intervista di Mario Melazzini, noto oncologo, attuale direttore scientifico della ICS Maugeri Spa Società Benefit, affetto da Sclerosi Laterale Amiotrofica, “combattente” come Antonio per la buona qualità della vita e per i diritti: “Ciò che abbiamo sempre visto come debolezza e fragilità può diventare forza. Un giorno mi sono messo a fare l’elenco dei punti di forza e di debolezza di ciò che mi stava capitando. E mi sono reso conto che nella colonna dei punti di forza c’erano tante voci.”

Gli studiosi di questi argomenti distinguono tra

La fragilità e la forza, il cadere a terra e la spe-

tre modelli di decision making: i modelli normativi, descrittivi e prescrittivi, a seconda (mi perdonino gli esperti per eccessiva semplificazione) di quanto pesi nella decisione da prendere la massimizzazione del proprio utile o ci si “accontenti” della scelta più soddisfacente tra le alternative possibili. La scelta di Antonio è una perfetta sintesi di tutti questi modelli. Nel suo percorso di decision making, che abbiamo provato a descrivere, c’è tutto: razionalità ed emotività, approfondimenti medici e istinto, sana caparbietà individuale e condivisione familiare, ferma decisione e umanissimi dubbi in alcuni momenti. Per questo non raccontiamo una fase “inevitabile” di una malattia come la distrofia muscolare di Duchenne. Raccontiamo un percorso che porta a una scelta. Nell’ascol-

ranza che si combinano in questa scelta che apre una nuova fase della vita di Antonio e della sua famiglia. Ma non solo la sua o la loro scelta. Sono quelle coppie oppositive che segnano la nostra vita, le nostre scelte.

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Un altro elemento collega la storia che racconteremo tra poco con le storie di tutti noi. Le chiamo “stelle polari”. Ad indicarmele è Pino Saffioti, che con il suo stile così semplice e concreto, mi descrive così la filosofia che ha sempre segnato la loro vita quotidiana: affrontare le sfide della malattia giorno per giorno e al tempo stesso essere capaci di programmare; essere consapevoli delle evoluzioni e quindi “attrezzarsi” con anticipo e, parallelamente, giocare giorno per giorno la partita della “buona vita”.

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Non sono assolutamente in antitesi questi due approcci. Il Vangelo ci invita a “non preoccuparci del domani” e a guardare agli uccelli del cielo che “non seminano né mietono” eppure Dio si prende cura di loro; al tempo stesso ci invita alla vigilanza, ricordandoci che un re non va mai a sfidare un esercito nemico senza essere ben attrezzato ed equipaggiato, altrimenti la disfatta è assicurata e si troverà costretto a dichiarare la propria resa prima ancora di combattere. La Saffioti’s family lo sa bene. Dai concerti alle mostre fuori città passando per i matrimoni, hanno sempre con loro tutto il necessario per qualsiasi imprevisto o incidente di percor-

so. La loro sfida alla malattia è questa: anticiparne le mosse. La battaglia per la buona qualità della vita trova la sua concretizzazione proprio in quella che Antonio definisce l’estate indimenticabile del 2018, tra discoteca in riva al mare e innumerevoli appuntamenti ed eventi di ogni genere. C’è una dinamica straordinaria in cui le parti si ribaltano: la vita stessa arriva a schiaffeggiare ogni giorno la malattia, fino al punto da metterla in difficoltà. Tutto questo ha un solo motore, che non è un moto di superuomo di dannunziana memoria. Assolutamente no. Il motore è l’Amore. Quello con la A maiuscola. Ascoltandoli e conoscendoli in questi anni, ho colto questa dimensione della fede nella vita della famiglia

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Saffioti: si sentono amati, si sentono parte di un progetto più grande, e questo dona loro ogni giorno la spinta per affrontare nuove sfide e raggiungere nuovi traguardi. Avevamo detto che avremmo abolito le categorie dello “straordinario” e dello “speciale”, ma qui facciamo un’eccezione. Quando parliamo della famiglia di Antonio non è il “normale” amore tra padre, madre e figlio: si tocca con mano un amore che sovrabbonda, che smuove le montagne, che fa spingere una carrozzina in una salita rapidissima sotto il caldissimo sole di agosto per arrivare al Comune di San Mango alla fiera del libro calabrese. Nelle dinamiche della famiglia Saffioti, si bi-

lanciano perfettamente emotività e razionalità, la “follia rivoluzionaria” di Antonio e la saggezza calma di Pino. A volte mi capita di rivederli nei celebri padre e figlio di Cat Stevens: Pino che dice ad Antonio “Just relax, take it easy” e Antonio che gli risponde “Now there’s a way and I know that I have to go away”. Anche su questo aspetto siamo tutti interpellati. Noi che viviamo una vita facilona e grossolana, quando sono in gioco i sentimenti. Noi che abitiamo il tempo dell’affetto “mordi e fuggi”, delle relazioni “usa e getta” in cui c’è spazio solo per l’ “io”, in cui scompare l’orizzonte dell’umana compassione perché, a detta di tanti, non possiamo autoimporci atteggiamenti che non ci appartengono; al tempo stesso programmiamo tutto sul piano degli affari, delle

relazioni che contano, di ciò che ha a che fare con le nostre gratificazioni personali e professionali. La famiglia Saffioti ribalta questo ordine: programma tutto ciò che riguarda la “buona battaglia” quotidiana per la vita indipendente, si lascia andare alla creatività e all’imprevedibilità nell’amore che ha reso e rende possibile ogni giorno l’impossibile. Non saranno mai le leggi ad abbattere le barriere, architettoniche e mentali. Sarà l’amore. L’assoluta ordinarietà della famiglia di Antonio ci provoca, ci mette in discussione. E anche questo non è un fatto straordinario, non riguarda solo quella famiglia: interroga ognuno di noi, nei nostri rapporti con l’altro, con gli altri.

Ancora un altro aspetto mette in collegamento la vita di Antonio alle nostre vite. Nel mese di giugno 2018 Antonio ha scelto di sottoporsi a quella che lui oggi chiama quasi simpaticamente “tracheo”, per un obiettivo immediato e vitale: poter respirare. Il respiro. Le tre parole “pneuma” greco, il “ruah” ebraico, lo “spiritus” latino, rimandano al movimento dell’aria: l’uomo dipende dallo spostamento di questo fluido che può controllare solo in parte ma del quale non può fare a meno. Respiro, vita, lotta e preghiera si concatenano tra di loro nell’esperienza quotidiana. Per Schopenauer ogni respiro è una scelta di vita perché “ogni respiro respinge la morte che preme in continuazione per fare il suo ingresso, e

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così ogni secondo combattiamo con la morte”. E qui torniamo alla grandi questioni di cui abbiamo discusso: la lotta, la scelta, la vita. E ritorna anche il tema della fede e della preghiera, che intesse la vita di Antonio e della sua famiglia: per Kierkegaard pregare è come respirare, altrimenti si muore, e il teologo protestante Bonhoeffer dà quella definizione bellissima del pregare come “un prendere fiato presso Dio”. E’ bello leggere anche sotto questa prospettiva la scelta di Antonio: interrogarci su cosa ci fa respirare e su cosa invece ci fa soffocare fino a farci cedere. Partiamo dalla seconda. Ci fa soffocare l’indifferenza. Ci fa mancare l’aria una telefonata che non arriva, quella delicatezza che a volte vorremmo, le presenze che mancano. Ci fa mancare l’aria quell’insopportabile afa che tappa il cielo di Lamezia, durante l’estate. E poi ci sono le cose attraverso le quali, proprio come attraverso una can-

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nula ma invisibile e impercettibile, entra l’aria. Riprende aria l’anima ogni mattina quando ti poni davanti al Creatore non rivendicando i meriti del giorno prima, ma le tue miserie e debolezze, le tue incostanze e fragilità. Riprende aria l’anima per ogni gentilezza inaspettata, per una mano che ti soccorre e a cui ti aggrappi, per qualcuno che condivide con te il tuo cammino. Fa riprendere aria incontrare le persone a cui vuoi bene ogni mattina alla stessa ora per un dare un senso anche alle giornate più grigie e attendere ogni volta quegli incontri come se dovessero determinare chissà che cosa; e invece servono “solo” a respirare meglio. Perché, come Antonio, tutti quanti di questo abbiamo urgente bisogno: far respirare l’anima. Devo chiudere con un’altra brevissima nota personale. Nel suo messaggio per il mio trentesimo compleanno, Antonio mi ha scritto: “tu sei nato altruista”. Cerchiamo di

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essere, non più umili, ma più realisti: siamo in cammino. Come un cammino è la vita di Antonio e della sua famiglia per la vita indipendente, tra il razionalismo pragmatico di chi si attrezza ogni giorno per la battaglia e l’affidamento fiducioso a quel Dio al quale è noto anche il numero dei capelli del nostro capo. Mi auguro leggerete queste pagine cercando di trovare un po’ di voi in quei tanti punti di incontro tra la storia della famiglia Saffioti e le nostre storie personali: il valore delle scelte, le battaglie giuste, l’amore, la fede e la speranza, il bisogno di respirare in ogni senso. E leggendo diventare anche noi protagonisti della stessa battaglia di Antonio per la vita indipendente: perché i diritti fondamentali delle persone non rimangano lettera morta, perché la prospettiva della “buona qualità della vita” sia un obiettivo prioritario di tutti, a cominciare da chi opera concretamente le scelte in ambito medico e sociale per arrivare alle scelte di ognuno di noi. A tutti voi auguro una buona lettura, un buon respiro e una buona vita

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amici della terra STAGIONE BALNEARE 2020: CONFERMA DELLA QUALITÀ ECCELLENTE DELLE ACQUE

AUMENTO DEL NUMERO DI BATTERI RILEVATO DA ARPACAL DOPO LA FINE DEL LOCKDOW di Mario Pileggi Dal primo giugno, e con un mese di ritardo, si è ufficialmente aperta in Calabria la stagione balneare 2020 nella Regione, e già nei primi giorni di Luglio si ripropongono antiche problematiche e alcune novità. Nei cinque comuni del Tirreno catanzarese le novità più rilevanti sono rappresentate dalle differenti quantità di batteri nelle acque marine rilevate durante e dopo il lockdown e dalla modifica di alcuni nomi delle aree marine destinate alla balneazione nei comuni di Lamezia Terme, Curinga, Gizzeria e Nocera Terinese. Riguardo alla classificazione della qualità delle acque marine, l’Arpacal riconferma la classificazione e la qualità eccellente di tutte le aree di balneazione in tutti i comuni del lametino. Dai dati rilevati dall’Agenzia Regionale per l’Ambiente emerge che in nessuno dei cinque comuni costieri del Tirreno catanzarese si sono rilevati dati non conformi ai limiti imposti dalla normativa vigente in tutte le analisi effettuate nel 2019 e nel 2020. A differenza di quanto invece rilevato in altre aree dello Jonio catanzarese e della Regione.

• Dalle analisi dei campioni prelevati nel mese di Giugno dopo più di 20 giorni della fine del lockdown si evidenzia un significativo aumento della quantità di Enterococchi nelle seguenti aree di balneazione: • Area attualmente denominata “Costa dei Feaci” dove il numero Enterococchi di Maggio pari a 1 aumenta fino diventare 49; nella stessa area nel corso dell’intera stagione balneare 2019 il massimo valore raggiunto risulta uguale a 8. • Area denominata “DIREZIONE STAZ. FF.SS. S.PIETRO A MAIDA” dove si passa da 1 a 46; nella stessa area il valore massimo di Enterococchi raggiunto nel mese di Agosto del 2019 è uguale a 8. • Area denominata “200 MT A SUD FIUME AMATO” dove si passa da 1 a 34; durante la precedente stagione balneare nella stessa area il numero massimo di Enterococchi rilevato nei mesi di Luglio e Agosto è stato uguale a 4.

Da un primo esame dei dati più recenti delle analisi effettuate dall’Arpacal sui campioni prelevati il 27 Maggio 2020 e dopo la fine del lockdown, il 24 Giugno emergono aspetti da non sottovalutare ad ogni livello di responsabilità. In particolare, emerge che: • i dati dei campioni prelevati nel mese di Maggio mostrano che il numero di “Enterococchi intestinali” di tutte le aree di balneazione del comune di Lamezia Terme risulta sempre uguale a uno. Anche il numero di “Escherichia coli” negli stessi campioni risulta uguale ad uno in sei aree di balneazione mentre nelle altre aree denominate “Località Cafarone”, “Piana di Lamezia” e “500 MT A SUD TORRENTE BAGNI” risulta uguale a 8.

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In assenza della cartellonistica aggiornata in tempo reale, per informarsi sulla qualità delle acque marine calabresi occorre collegarsi via internet al sito web del Ministero della Salute dove non sempre i dati presenti sono completi e aggiornati in tempo reale. Significativo in proposito l’esempio del comune di Lamezia Terme: nel sito del Ministero della Salute dopo cinque settimane dall’inizio della stagione balneare non è pubblicata l’Ordinanza di divieto di balneazione permanente per inquinamento in corrispondenza delle foci del Fiume Amato e del Torrente Bagni, mentre è presente l’Ordinanza di divieto di balneazione emanata dalla Capitaneria di Porto di Vibo Valentia ai lati del Collettore aeroportuale nell’ambito dell’area adibita alla balneazione denominata “500 metri a Sud Torrente Bagni” e classificata attualmente con acque di qualità eccellente. • Area di recente denominata “Piana di Lamezia” dove il numero del mese di Maggio pari a 8 passa a Giugno a 31; il numero massimo di Enterococchi rilevato nella stagione balneare 2019 nella stessa area è stato 6. L’aumento del numero di Enterococchi rilevato, anche se per la normativa vigente è ininfluente ai fini della classificazione delle qualità delle acque, non è da ignorare perché, tra l’altro, rappresenta un cambiamento significativo anche rispetto alla condizione delle acque durante la precedente stagione balneare. E andrebbe considerato unitamente a quanto arrivato a mare anche in corrispondenza delle Foci dei Fiumi Amato, Bagni e Turrina dove esiste il Divieto di balneazione permanente per inquinamento. Come dovranno essere considerati i dati che emergeranno dalle analisi sui campioni che saranno prelevati nei mesi più caldi e di maggiore afflusso turistico oppure a seguito di eventuali piogge con deflussi rilevanti dei corsi d’acqua senza tralasciare le immagini e i commenti pubblicati sui social dai bagnanti negli stessi periodi.

Va ribadito, anche per la stagione balneare in corso, che su gran parte delle spiagge calabresi, dopo più di un mese dall’apertura ufficiale della stagione balneare, non sono ancora esposti ovunque e ben evidenti i cartelli con tutte le dovute informazioni sulla qualità delle acque e sulle specificità e criticità di ogni singolo tratto di litorale. Queste informazioni sono necessarie per prevenire l’esposizione dei bagnanti a rischi per la salute, da pubblicare ed esporre in ben evidenza sia in corrispondenza delle aree non adibite alla balneazione, come le foci dei Fiumi, con divieto permanente di balneazione, sia in corrispondenza di ognuna delle 27 aree adibite alla balneazione e monitorate con prelievi e analisi mensili dall’Arpacal. pag. 10

In pratica, nello stesso sito web del Ministero della Salute non sono presenti i dati relativi ai divieti di balneazione per inquinamento in corrispondenza delle Foci del Torrente Bagni, del Fiume Amato e del Torrente Turrina. Per favorire l’individuazione delle aree attualmente inibite alla balneazione sui litorali di Lamezia Terme riportiamo nelle pagine di “LAMEZIAenon solo” alcune immagini rielaborate delle Mappe del Ministero della Salute dove sono evidenziati: con retino di colore arancione i Divieti per motivi diversi dall’inquinamento come quello disposto con Ordinanza N° 40 del 21 Agosto 2015 della Capitaneria di Porto di Vibo Valentia; e con l’assenza di retino le aree in corrispondenza delle foci dei corsi d’acqua e con divieto di Balneazione permanente disposti con Ordinanza N°67 del 19 giugno 2020 del comune di Lamezia Terme. Le aree senza alcun retino non sono adibite alla balneazione e non vengono monitorate dall’Arpacal. Le altre immagini riportate contengono i dati relativi alle analisi delle acque in alcune aree di balneazione di Lamezia Terme e lo schema di “Misure di mitigazione per la prevenzione e il controllo del potenziale ingresso e circolazione di SARS-COV-2 nelle aree di balneazione” contenuto nel recente Rapporto “Indicazioni sulle attività di balneazione in relazione alla diffusione del virus SARS-CoV-2” del Gruppo di Lavoro Ambiente-Rifiuti COVID-19. L’altra novità della stagione balneare in corso è la modifica dei nomi in nove aree dei comuni del Lametino. In particolare nel comune di Lamezia Terme le nuove quattro denominazioni sono: • “Località CAFARONE” in precedenza denominata “200 MT A NORD T. BAGNI” della lunghezza di 1.078; • “Località GINEPRI” in precedenza indicata “1000 MT SUD TORRENTE BAGNI” lungo 1.303; • “Costa dei FEACI” in precedenza denominata “200

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MT A NORD F. AMATO” lungo 854 metri; • “Piana di LAMEZIA” in precedenza denominata “200 MT A SUD F. AMATO” lungo 847 metri, Nel comune di Curinga le due aree che cambiano nome sono: • “1 KM NORD TORRE MEZZAPRAIA” in precedenza denominata “1 KM NORD TORRENTE DI MEZZA PRAIA”, lunga 1.022 metri denominato “; • “LOCALITA’ ACCONIA” in precedenza denominata “500 MT NORD TORRENTE S. EUFRASIA” lunga 1.604 metri. Nel comune di Gizzeria l’area “SPIAGGIA TURRAZZO” in precedenza denominata “200 MT NORD FIUME CASALE” e lunga .828 metri. Nel comune Nocerat T. le due aree che cambiano nome sono: • “SUD FIUME SAVUTO” in precedenza denominata “200 MT A SUD FIUME SAVUTO” lunga 626 metri. • “BOCCA del SAVUTO” in precedenza indicata “200 MT. NORD FIUME SAVUTO” lunga 1.215 metri.

• Comune di Gizzeria: •LIDO CAPO SUVERO, lungo 830 metri di qualità Eccellente

È da ricordare ancora l’ammonimento dei magistrati della Corte dei Conti della regione Calabria contenuto nelle relazioni degli anni passati su “la gestione delle risorse pubbliche finalizzata a prevenire l’inquinamento delle coste, a risanare le stesse, a migliorare la qualità delle acque destinate alla balneazione e a tutelare la salute pubblica”, nelle quali, tra l’altro, si denunciava che “le amministrazioni hanno mostrato una insufficiente consapevolezza delle proprie funzioni e competenze” e che “la protezione dell’ambiente e della salute pubblica impongono alle amministrazioni pubbliche di ridurre l’inquinamento delle acque di balneazione e di preservare queste ultime da un deterioramento ulteriore.”

•HOTEL OLD AMERICA, lungo 1.645 metri di qualità Eccellente • Comune di Nocera Tirinese •200 MT SUD CAMPING “LA MACCHIA”, lungo 1076 metri di qualità Eccellente

•LIDO S. ANTONIO, lungo 580 metri di qualità Eccellente •DIREZIONE ALLEVAMENTO ANGUILLE, lungo 668 metri di qualità Eccellente •SPIAGGIA TURRAZZO, 1.828 metri di qualità Eccellente •RISTORANTE PESCE FRESCO, lungo 639 metri di qualità Eccellente • Comune di Falerna: •EUROLIDO, lungo 1415 metri di qualità Eccellente •850 MT. SX PUNTO 145, lungo 952 metri di qualità Eccellente •BAR VITTORIA, lungo 2104 metri di qualità Eccellente •HOTEL TORINO 2, lungo 1.390 metri di qualità Eccellente

•SUD FIUME SAVUTO, 626 metri di qualità Eccellente •BOCCA del SAVUTO, 1.215 metri di qualità Eccellente •RISTORANTE MARIS, lungo 757 metri classificato di qualità Eccellente per l’apertura della stagione balneare •800 MT. SX PUNTO 143, lungo 979 metri di qualità Eccellente • Comune di Lamezia Terme •LIDO MARINELLA, lungo 1.167 metri di qualità Eccellente •Località CAFARONE, 1.078 metri di qualità Eccellente •500 MT. SUD TORRENTE BAGNI, lungo 791 metri di qualità Eccellente (*) •200 MT a sud T. BAGNI, lungo 344 metri di qualità Eccellente •Località GINEPRI, 1.303 metri di qualità Eccellente •La Conchiglia, lungo 1.436 metri di qualità Eccellente •Costa dei FEACI, 854 metri di qualità Eccellente •Direzione staz. Ff.Ss. S.PIETRO A Maida, lungo 1.211 metri di qualità Eccellente •Piana di LAMEZIA, 847 metri di qualità Eccellente.

Le singole aree adibite alla balneazione nei cinque comuni del Lametino con la relativa classificazione della qualità delle acque marine effettuate dall’Arpacal per l’apertura dell’attuale stagione balneare 2020 sono: • Comune di Curinga: •TORRE DI MEZZA PRAIA, della lunghezza di 1.731 metri di qualità Eccellente •1 KM NORD TORRE MEZZAPRAIA”, 1.022 metri di qualità Eccellente •LOCALITA’ ACCONIA”, 1.604 mtri di qualità Eccellente

Lamezia e non solo

Va considerato che, oltre ai sopra elencati 27 tratti adibiti alla balneazione e balneabili, esistono altri tratti con divieto di balneazione come i tre tratti con divieto permanente di balneazione per inquinamento in corrispondenza dei corsi d’acqua Bagni, Amato e Turrina. (*) Nell’ambito dell’area adibita alla balneazione denominata “500 metri a Sud Torrente Bagni”, in corrispondenza della foce del Collettore aeroportuale è presente un divieto di balneazione a seguito dell’Ordinanza di divieto di balneazione per altri motivi, emanata il 21 agosto 2015 dalla Capitaneria di Porto di Vibo Valentia, e in corso.

Geologo Mario Pileggi del Consiglio Nazionale Amici della Terra

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scuola

La scuola al tempo del coronavirus di Teresa Goffredo Nelle settimane di diffusione di questo virus sconosciuto che ha seminato morte e angoscia, l’Italia si è fermata. Si è fermata l’economia, si è fermata la produzione, si è fermato lo sport, ma soprattutto si sono fermati i rapporti sociali. Il governo italiano, il primo paese europeo a dover fronteggiare l’ emergenza sanitaria, tra le norme previste per il contenimento della diffusione del virus, ha deciso la chiusura delle scuole e delle Università. I docenti si sono dovuti, da subito, confrontare con una realtà, quella della scuola a distanza: ciò ha richiesto la conoscenza di metodiche digitali che, non si può nascondere, almeno in Italia, rappresentano ancora esperienze sporadiche. Eppure, dinanzi alla richiesta del Ministero di evitare che il processo didattico- educativo, attraverso la didattica a distanza, non subisse un freno, tutta la Scuola italiana ha risposto. Viva è, ovviamente, la consapevolezza che le tecnologie e le didattiche digitali possono contribuire efficacemente al dialogo educativo, ma non potranno mai sostituire la ricchezza della relazione educativa che si realizza nelle aule di scuola, alla presenza di docenti e studenti. L’istituzione scolastica tutta, attraverso il lavoro di Dirigenti e docenti, ha voluto trasmettere il messaggio che una scuola chiusa non è solo un edificio chiuso. La scuola rafforza la sua missione educativa, che non si ferma di fronte a questo terribile nemico sconosciuto, quale è il virus, ma al contrario, rilancia un importante e significativo messaggio di fiducia, proprio perché rivolto ad un mondo giovane, anche giovanissimo. Nella nostra regione, nella nostra città gli Istituti scolastici tutti hanno risposto positivamente, anche se nella fase iniziale, sono mancate indicazioni precise del Ministero soprattutto sull’utilizzo di piattaforme universali di elearning accessibili a tutte le scuole. Si sono configurate iniziative diverse per ogni scuola e persino per ogni docente, ma unanime è stata la disponibilità dell’intera comunità scolastica. Anche il Liceo Galilei, in un momento tanto duro e difficile, si è attivato per garantire il diritto allo studio, attraverso le modalità della didattica a distanza. Gli insegnanti hanno garantito, con grande professionalità, ai loro studenti non solo il loro sostegno emotivo, ma, supportati dal docente animatore digitale, prof. Giacinto Orlando, anche la loro opera nel nuovo contesto di insegnamento-apprendimento. Il tutto è avvenuto con l’attivazione della Piattaforma G Suite, tra le più innovative e complete a disposizione. Grazie alla collaborazione di un team di docenti (proff. Piera Adamo, Lina Bagnato, Loredana Crupi, Gianni Chirillo, Ettore Barberino, Pina Luciano, pag. 12

Esposito Pino Rubens, Curiale e Patrizia Gatti) che ha affiancato giornalmente il Dirigente scolastico, Teresa Goffredo, la vita scolastica non ha subito arresti, non solo per quel che riguarda l’aspetto propriamente didattico, ma anche per quelle attività previste per l’arricchimento del normale percorso di studi proprio dell’Istituto. Si pensi all’evento del “Dantedì” giornata di celebrazione della figura di Dante, voluta dal Ministero dei Beni culturali. Attraverso il lavoro attento dei docenti, gli studenti, seppur a distanza, ma vicini virtualmente, hanno condiviso sul web letture di passi significativi del poema dantesco, immagini e commenti, rappresentazioni teatrali. Molteplici i lavori presentati sulla figura di Dante, che mai come in questo tragico momento, è apparso oltremodo attuale, se si pensa alla sensazio-

ne di smarrimento provato dal poeta. Smarrimento nelle sue molteplici espressioni, che è diventato il tema portante del concorso interno alla scuola, #Andràtuttobene, diretto a tutti gli studenti del Liceo che, attraverso varie sezioni (racconto, fotografia, disegno, poesia), hanno raccontato la nazione in questo periodo, così fuori dal normale. “Non è stata tanto la gara in sè ad avere importanza quanto la partecipazione attiva dei ragazzi, il loro coinvolgimento in un progetto che ha visto la giuria (proff. Mara Perri, Eugenio Mercuri, Maria Falvo e Anna Rosa) impegnata in questo momento così delicato. Ma il Liceo non ha dimenticato le scelte universitarie che, a breve gli studenti delle quinte classi dovranno operare. I referenti dell’orientamento in uscita (Proff. Russo, Accordino e Falvo), coordinati dal Dirigente Goffredo hanno intessuto contatti con prestigiose facoltà universitarie, creando momenti di particolare GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

valenza formativa. Ospite e relatrice di un primo incontro in videoconferenza è stata l’ingegnere aereospaziale Aloisia Russo che, con la sua presenza carismatica, ha fatto intendere ai numerosi studenti collegati dalle propri dimore, come lo spazio sia più vicino a noi di quanto si possa immaginare e che ogni ambito della nostra vita (la fisica, la matematica, la medicina ), interagisce con le scienze dello spazio. Come ribadito dall’ingegnere Russo, l’eclettismo della scuola italiana, ed in particolar modo i licei, permettono ai futuri maturati di poter accedere senza particolari problemi alle facoltà aereospaziali. Il secondo incontro, sempre in videoconferenza, sempre in tema di orientamento in uscita, ha visto la presenza di un team di docenti della prestigiosa Università della Bocconi. Nel corso dell’evento è stata presentata l’offerta formativa dell’Università, evidenziando il suo posizionamento nella classifica dei vari atenei mondiali. Sono state presentate le diverse partnership con altre Università, i vari corsi di laurea, con tutte le loro caratteristiche. Particolare attenzione ha suscitato l’organizzazione dei test di ammissione che, alla luce degli ultimi tragici accadimenti, ha subito un significativo slittamento. A queste importanti iniziative, è seguita una performance di grande spessore culturale su una tematica di particolare attualità “Disinformazione ai tempi del coronavirus” sapientemente e magistralmente condotta dal Prof. Mario Caligiuri che ha destato negli studenti un interesse enorme. Nella ricorrenza del triste anniversario della strage di Capaci, il 23 maggio, la Scuola ha anche ricordato i magistrati Falcone e Borsellino e gli uomini della scorta con il dott. Giovanni Garofalo, Magistrato della Sezione Penale del Tribunale di Cosenza. Tante altre attività si sono susseguite motivate, soprattutto, dall’interesse degli studenti che hanno dimostrato, con soddisfazione dell’intero corpo docente, che il liceo continua con passione il suo cammino di formazione, anche in tempo di Covid. Lamezia e non solo


l’angolo di tommaso

Riflessioni ... di Tommaso Cozzitorto

Estate: Rinnovamento e ricordi

Se è vero che l’estate è da sempre una stagione di rinnovamento, di nuove scoperte di luoghi, di rinascita emozionale, una stagione anche di illusioni grazie all’energia che proviene dalla luce che ci inonda per tante ore, è anche vero che, con il passare degli anni “estate” è sinonimo anche di ricordi, ricordi lontani che ci abbracciano insieme a lontani odori e sapori; sembra quasi di rivivere l’essenza delle atmosfere, la luce antica diventa cornice di ogni angolo ricordato e le persone si inseriscono in un mondo dalle caratteristiche mitologiche. Avete i

L’estate somiglia a un gioco, è stupenda ma dura poco

Le estati degli ultimi anni sono colme di divertimenti ma mancano di spensieratezza e leggerezza. Riuscivamo a credere che un’avventura

vostri romanzi o le vostre poesie dell’estate oltre, naturalmente, alle canzoni? Personalmente non posso non pensare al romanzo di Cesare Pavese “ La spiaggia “, alle poesie sull’estate di Neruda, Lorca, Hesse, al Montaliano “ Meriggiare pallido e assorto “, alla pioggia estiva nell’ incantato pineto dannunziano. Eppure anche i ricordi sono illusioni, le estati ci appaiono bellissime anche se così non è stato, forse perché all’ appello eravamo in tanti e con il passare degli anni gli assenti sono sempre più numerosi.

potesse durare per sempre e vivevamo quella sana malinconia di fine estate; si riusciva a trasformare ogni spiaggia in una Rio de Janeiro e a risvegliarsi in un autunno che trascinava con sé la magia dell’estate. Dice una canzone: “ Non lasciarmi

l’indirizzo lo perderei, non lasciarmi l’indirizzo non ti conviene, Rio de Janeiro, fine”. Sapevamo trasformare un finale in poesia. “ L’estate somiglia a un gioco, è stupenda ma dura poco”...

Le perle di Ciccio Scalise di Ciccio Scalise

NA’ RISATA MPRIMA MATINA

Nà risata mprima matina, ti spiana llà jiurnata, ti fhà ssintiri nà cosa fhina, un ttì fhà ppaura, nissuna strata. Si ti liavi già ncagnatu,

alla pirsuna cchjiù ccara, quiatu quiatu ccì pua diri, tu ppì mmia sì nnà cosa rara.

ti po’ ppiari puru nù mpartu, ti sianti cumu castigatu, ogni ppilu ti pari nnù sciartu.

Si nù pinsiaru ti martillia, tu sporzati e ffai nà risata, vidi cà, ti si spalanca nnà via, vidi cà nà suluzioni ti rapiri llà strata.

Cumu è bbiallu mbeci ridiri,

E’ nn’arma daveru putenti,

Lamezia e non solo

nù surrisu matinali, ù llù smorza ddaveru nenti, mancu nà cosa chi và mmali. Chillu chi vuagliu diri, è, cà tanti cosi si puanu supirari, sulu ccù llà carma e llù ridiri, pua arriva ppuru u sapiri fhari. Nà risata mprima matina, Criditimi, è llà miagliu midicina.

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Spettacolo

“Vedere per leggere” ospita le scrittrici Tiziana Calabrò ed Eleonora Scrivo di Giovanna Villella

Lamezia Terme, 27 giugno 2020. Inaugurato il nuovo format culturale Vedere per leggere ideato dall’Associazione culturale Pesche Sciroccate e da Ippolita Luzzo, Vlogger di successo e già blogger del Regno della Litweb in collaborazione con Mondadori Bookstore e Ottica DIPI che ha gentilmente concesso il cortile adiacente alla propria attività commerciale per la realizzazione dell’evento. Prime ospiti “in presenza” di Vedere per leggere le scrittrici Tiziana Calabrò ed Eleonora Scrivo con il libro La cura provvisoria dei tratti fragili, una raccolta di racconti pubblicata dalla casa editrice Città del Sole di Reggio Calabria.

Un’amicizia recente quella di Tiziana ed Eleonora, originarie anche loro della città sullo Stretto, iniziata nel mondo virtuale di Facebook e diventata poi legame reale. “Questa è la dimostrazione di quanto i due mondi siano intercambiabili - afferma Ippolita Luzzo nell’introdurre le due autrici - Per Eleonora è l’esordio nella prosa, dopo aver avuto menzione per la poesia al Premio Internazionale Mario Luzi, Tiziana scrive da otto anni sul blog La medaglia del rovescio ed ha già altre pubblicazioni. Mi piace il ruolo di Facebook utile, nel mondo dei rapporti amicali, della curiosità, dell’ironia e del rispetto.” “Un libro delicato e potente - lo definisce Giovanna Villella nella sua breve disamina dell’opera - 26 racconti con la vita dentro che coinvolgono il lettore in un abbraccio emozionale che smuove e commuove ma è anche capace di strappare un sorriso e di accendere una inevitabile speranza. Un libro che attinge alla cronaca e alla fantasia, trasfigurando il reale e spingendo il fantastico verso i margini della verosimiglianza. Che dà voce a personaggi periferici e anima alle cose legando, nello stesso nodo scorsoio, i dettagli più trascurabili dell’esistenza e gli eventi che possono imprimere una svolta definitiva al proprio destino.” Le letture inappuntabili delle Pesche Sciroccate Valentina Arichetta e Alessandra Caruso hanno privilegiato il côté umoristico della raccolta mentre le belle tele di Riccardo Giuseppe Tropea hanno offerto una suggestiva cornice evidenziando la liaison tra le arti.

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Lamezia e non solo


Spettacolo

“La cura provvisoria dei tratti fragili” Appunti per una lettura di Giovanna Villella

“Di una cosa sono convinto – scriveva Kafka – un libro dev’essere un’ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi.” La cura provvisoria dei tratti fragili di Tiziana Calabrò ed Eleonora Scrivo (Città del Sole Edizioni) arriva, invece, lucente e pungente come uno stiletto. E la cura provvisoria del titolo diventa cura permanente dei dettagli, dei personaggi, delle atmosfere per un genere letterario, quello del racconto, in cui si lavora per sintesi, sottrazione e suggestione in una struttura a geometria costante che impone alla storia un respiro narrativo breve e conchiuso laddove i personaggi sono tratteggiati per sineddoche. Sineddoche, figura retorica usata qui come nome della parte per il tutto e che ben esplicita il lavorìo di sottrazione per una scrittura a due mani elevate al quadrato. Due donne di sensibilità e talento, Tiziana ed Eleonora. 26 racconti che, pur succedendosi su una linea mutevole di variazioni, conferiscono al libro una compattezza intrinseca. Alcuni di essi sono costruiti con tecnica quasi cinematografica che si sofferma sul particolare: il cardigan di Alida e gli occhi di uccello notturno di Monica, i tic di Sandro e la scapola di Gemma, una treccia di capelli, i battiti lenti di un cuore straziato, due polpacci poderosi… Frammenti ed eventi del reale che vengono ritagliati a comporre figure di senso che ne trascendano la frammentazione e frammenti di vita-in-morte come i pezzi di quel corpo che, con lacerante incredulità, trova ancora il coraggio di parlare d’amore. Poi ci sono i luoghi, i luoghi di lavoro e di intimità domestica, di sofferenza e di attesa. E le città, che rispondono a precise coordinate antropogeografiche di cui conosciamo o riconosciamo, i quartieri, le piazze, le strade, i vicoli, le case e dove i personaggi fanno corpo col paesaggio. E ancora paesi sospesi in una dimensione magica e tragica insieme. C’è la natura selvaggia di una montagna d’Abbruzzo che a sostituire le pecore con le capre potrebbe essere il nostro Aspromonte perché le montagne sono fatte di terra e ci aiutano a guardare lontano e poi c’è il Mare Nostrum, quel mare che consola e consuma dove anche gli dei hanno nostalgia di umanità e giustizia. Ci sono le cose come correlativi oggettivi di Lamezia e non solo

emozioni: quel frutto della terra rosso sangue che nel suo colore condensa il sacrificio e la fatica prefigurando nella polpa succulenta la gioia di ritrovarsi. E gli echi di Eliot li ritroveremo anche in quell’aprile che è il più crudele dei mesi nel racconto “Troppo mare consuma”. E ancora le biglie colorate ad evocare la caduta, ché la caduta è scritta nel codice genetico e nel destino di ogni creatura. Ma c’è anche la rinascita figurata in quella piccola, eburnea conchiglia. C’è l’immigrazione raccontata con dolcezza dolente e l’integrazione che affida alle parole astratte e visionarie del poeta rumeno Nichita Stănescu il bisogno di preservare la propria identità, la necessità di non smarrire le radici. C’è l’amore in tutte le sue declinazioni, l’amicizia perduta, la malattia che destruttura la vita annullando la percezione di sé e degli altri filtrata attraverso il candore di uno sguardo infantile, il dolore che imprigiona e purifica, il silenzio come desiderio di spazio individuale, la morte naturale o violenta e l’impossibilità di recidere i legami. Ci sono gli uomini. Fatui e feroci, instabili e irrisolti, difettati nel corpo o nella psiche i quali, nella loro affettività desertificata, hanno bisogno – sempre e comunque – di aggrapparsi alle donne, siano esse madri, mogli, amanti o amiche. Ci sono le donne come dono amore sorriso casa destino senso e compiutezza. Ma anche donne che perdono, che devono perdere per ritrovare se stesse, rassicurate nella loro solitudine. Tutto è celebrato con misura, con controllo di scansioni e di simmetrie in una commistione di registri linguistici alti e bassi in cui si innestano dialoghi che attingono direttamente all’alfabeto umano della quotidianità con punte di humour dissimulato o durezza dissonante. Sono voci urlate o sussurrate, talvolta pianto o ancora silenzi brevemente interrotti. Queste storie non consentono consolazione, parlano in privato, richiedono complicità, empatia e compassione – nel senso etimologico di partecipazione alla sofferenza dell’altro. Sono storie che ci appartengono e chiedono qualcosa a ciascuno di noi: rintracciare il senso delle nostre esistenze senza cercare, indarno, di celarne la pena.

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Fermenti

Per una parrocchia generativa. Prospettiva e riflessioni da più punti di vista

di Filippo D’Andrea

Il libro affronta a più voci l’attuale dibattito sulla parrocchia, guardata con estremo realismo e proiettata verso una visione nuova, nella misura in cui sa tornare alle origini, ovvero ricomincia dal kerygma, dal primo annuncio. Tra gli autori dei contributi teologi, ma soprattutto parroci e vescovi, che si incontrano in un dialogo fecondo per un confronto sincero anche per contribuire a rinsaldare il rapporto tra teologia e prassi pastorale. Il concetto di generatività della parrocchia richiama la fecondità della relazione, dell’incontro, dell’apertura al territorio, della fertilità della vita liturgica in un’ottica di evangelizzazione ripensata attraverso la centralità all’annuncio evangelico. La presentazione del volume, firmata dall’arcivescovo di Napoli e Gran Cancelliere della Pftim, cardinale Crescenzio Sepe, auspica una “sperimentazione nella tradizione” per crescere nella “fraternità parrocchiale” secondo l’immagine di papa Francesco della chiesa come “piramide capovolta”, che trae le sue fonti dalla Lumen Gentium e dalla Gaudium et Spes del Concilio Ecumenico Vaticano II. In questa ecclesiologia, il principio di corresponsabilità diviene il perno principale. Una corresponsabilità tra i ministeri, i carismi, i talenti, le sensibilità di ogni membro della chiesa. Una chiesa – afferma Crescenzio Sepe – “appassionata dell’umano” nella sua missione di “compagna di viaggio dell’umanità”. Un viaggio di umanizzazione di salvezza attraverso “l’apertura alla fantasia dirompente dello Spirito Santo” che provoca “una profezia generativa della comunità ecclesiale”. Il primo saggio di Carmine Matarazzo presenta l’orizzonte ecclesiologico e teologico-pastorale di papa Francesco rispetto alla parrocchia come “comunità missionaria della carità di Dio”, focalizzando l’attenzione sul nuovo modello che sappia proporre una prassi pastorale kerygmatica. Partendo dalle intuizioni critiche ed analitiche di don Primo Mazzolari, in particolare la difficoltà di mantenere il passo della modernità, e la chiusura dentro le mura parrocchiali della testimonianza cristiana, con un parroco solo amministratore del culto, il teologo prospetta una parrocchia che “ha una grande plasticità” e può essere vitalizzata con “la docilità e la creatività missionaria” e ciò consente di “superare la crisi d’identità” che da tempo la paralizza. Il criterio teologico-pastorale di base è la comunione nel rispetto di ogni singola diversità che apre alla testimonianza della profezia ecclesiale. La mistagogia attende di essere riconsiderata pag. 16

nel suo compito di armonizzare con maggiore consapevolezza il kerygma, la catechesi e la liturgia e risolvere la ripetitività talvolta ridondante e poco significativa dell’attivismo pastorale. Matarazzo da eco al dizionario peculiare di papa Francesco allo scopo di facilitare la chiarezza comunicativa ed anche per stimolare azioni motivate e finalizzate della comunità ecclesiale nei confronti della cura e della responsabilità per l’altro. Le parole come partire, andare e cercare indicano una Chiesa estroversa in missione permanente, ma è necessario recuperare l’unitarietà della vita pastorale eccessivamente sbriciolata da

tante divisioni tra gruppi, movimenti, associazioni, e con un individualismo corrosivo dei differenti ministeri, carismi, talenti e sensibilità. L’immagine di “piramide capovolta” è evidenziata nel saggio introduttivo con l’intento di sollecitare “uno stile di comunione sinodale” affinché si superi il limite della sacramentalizzazione per giungere ad una coscienza evangelizzatrice della parrocchia come “luogo umano di integrazione”, capace di generare rigenerandosi con la riscoperta della sacramentalità della Parola di Dio. La parrocchia, “santuario dove gli assetati vanno a bere per continuare a camminare”, scrive papa Francesco nell’Evangelii gaudium quasi evocando l’immagine della “fontana del villaggio” di Giovanni XXIII, è il “luogo umano” dove si collabora con la “fantasia del Consolatore”, secondo una bella espressione GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

di Matarazzo. Dal canto suo, Salvatore Farì, missionario vincenziano e vicario episcopale per la vita consacrata dell’arcidiocesi di Napoli, presenta un saggio sull’idea e sulla realtà di parrocchia secondo il santo fondatore Vincenzo de’ Paoli, e che nasce sulle rive del fiume Giordano col battesimo di Gesù e con le caratteristiche dell’oratorio di san Filippo Neri appreso dal suo maestro spirituale il teologo e cardinale De Bérulle. Vincenzo de’ Paoli precipita in una devastante crisi spirituale che si traduce in fuoco edificante di missionarietà pastorale ed evangelizzante partendo dall’ortoprassi, cioè dai “volti concreti della gente” e dal mondo dell’infermità. Farì si sofferma sul progetto di san Vincenzo del suo “portare il vangelo alla povera gente dei campi” quotidianamente, e dedicando “molto tempo alla visita dei suoi parrocchiani nelle loro case”. Dunque, un volto radicalmente missionario nella carità verso gli ultimi. Per fare questo, san Vincenzo sollecitava “una seria formazione teologica e pastorale alla carità”. In nota, Farì riporta opportunamente le “7 strade nuove della parrocchia italiana” elaborate in sintesi dal movimento Chiesa-Mondo di Catania: 1. Dalla sacramentalizzazione all’evangelizzazione; 2. Dal disimpegno ecclesiale al laicato maturo; 3. dal qualunquismo pastorale agli operatori qualificati; 4. Da una pastorale nel tempio a una pastorale nel territorio; 5. Dal devozionismo cultuale all’impegno d’inculturazione; 6. Dall’indottrinamento alle verità da vivere; 7. Dall’anonimato ecclesiale alle piccole comunità ecclesiali. Il terzo saggio è del Visitatore dei Missionari Vincenziani d’Italia, Erminio Antonello. L’autore sottolinea in premessa la fondamentalità del clima umano come “tonalità vitale” nella comunità cristiana, riportando qualche brano di san Vincenzo sulla vocazione del parroco di spargere il “fuoco divino” della carità cristica che deve essere già dentro il cuore sacerdotale. Mentre Francesco Asti, vice preside della sezione “San Tommaso d’Aquino” della Pontifica Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, professore di Teologia spirituale e parroco, si sofferma sulla parrocchia come scuola di comunione capace di “giungere alle periferie delle città, delle campagne e dell’anima”. Una parrocchia che formi i credenti Lamezia e non solo


alla comunione ad intra e capaci di costruire relazioni profonde con tutti nel territorio, sull’idea di san Francesco di Sales nella scoperta di ciascuna vocazione e dei suoi doni, quale differenza nella comunione di ricchezze della pluralità sulle infinite vie di santità. Poi Donato Negro, arcivescovo di Otranto e presidente della Conferenza episcopale pugliese, affronta il principio della corresponsabilità comunionale tra presbiteri e laici per collaborare con la Grazia, come “deterrente per ogni forma di lottizzazione dell’azione pastorale”. La corresponsabilità, secondo il presule, consente di superare una “forma strisciante di clericalismo”, purtroppo ancora molto diffuso tra il clero ma forse ancor di più nel laicato cattolico. La “valorizzazione di tutti i doni” – come afferma l’arcivescovo Negro – in cui la sinodalità diviene la metodologia decisionale e la prassi ecclesiale si costituisce il luogo del discernimento progettuale e della vita quotidiana della comunità parrocchiale e dei singoli credente. In questo orizzonte l’arte del consigliare in piena reciprocità in cui le idee, le proposte, le analisi, i progetti, i percorsi, le speranze e le difficoltà divengono ingredienti di un cibo spirituale e dell’intelligenza della fede impegnati a scrutare i segni dei tempi e delle diversità, il senso articolato dei luoghi e delle identità, offrendo il volto di una parrocchia in movimento e percepita veramente come “amica”. Salvatore Purcaro, professore di teologia morale alla sezione “San Luigi Gonzaga” della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale e parroco, si sofferma sul criterio del discernimento come luogo e tempo privilegiati della parrocchia. Un discernimento che sia vissuto nella casa privilegiata che è la comunità parrocchiale superando l’idea che il Vangelo sia un “prontuario” morale, bensì la Fonte da cui far sgorgare tutta la bellezza, la verità ed il bene per orientarsi in coscienza verso la salvezza, un cammino tra creazione, incarnazione e redenzione. Purcaro indica di “ripartire da Cristo come pietra angolare” per vivere un autentico discernimento parrocchiale alimentato dai germi di bene e di bellezza guardati “con simpatia” per cogliere tutti quei piccoli e grandi “segni dei tempi” disseminati nel presente e nei luoghi vitali. Da canto suo, Valerio Di Trapani, assistente nazionale dei Gruppi di Volontariato Vincenziano e già parroco, si sofferma nel suo contributo sugli organismi pastorali della carità di cui ogni parrocchia deve avere vitali. Attraverso un serio lavoro di questi strumenti di partecipazione caritativa è possibile portare la comunità a maturare una rinnovata coscienza della povertà, affinché i poveri si sentano, in ogni comunità cristiana, come “a casa loro”. Una carità che sia agape, spirito interiore, e diaconia, impegno concreto e storico. Di Trapani traccia articolatamente i compiti della Caritas parrocchiale, impegnata a rendere, appunto tutta la comunità operatrice di carità, ma soprattutto cerca di disegnare la carità come volto della parrocchia. Le funzioni della CaLamezia e non solo

ritas, nata da una intuizione di Paolo VI nel dopo-concilio, partono da quella pedagogica per arrivare al coordinamento comunitario della diaconia, e quindi della testimonianza piena della concreta prossimità a cominciare da quelli che papa Francesco chiama, con l’intento di porli sotto l’emergenza cristiana, scarti umani. Un approccio più squisitamente canonistico è offerto da Antonio Foderaro, professore e direttore del Dipartimento di diritto canonico e già parroco, poiché affronta nel suo contributo sull’amministrazione della parrocchia come missione di carità, una panoramica e dettagliata informazione giuridica sull’impegno e lo stile, i principi e le finalità del compito amministrativo, inserendolo nel quadro della corresponsabilità comunitaria. L’arcivescovo metropolita di Bari- Bitonto Francesco Cacucci tratta la mistagogia nella vita comunitaria, sottolineando che la “catechesi è ancora intrisa di razionalismo e di nozionismo”, fattori dominanti rispetto all’esperienza liturgica come vissuta nella chiesa antica. Infatti la mistagogia è “punto d’incontro tra catechesi-liturgia-vita”, consentendo di fare “ingresso nel mistero di salvezza”. L’arcivescovo, facendo riferimento alla sua esperienza di parroco e a quella episcopale, propone l’icona di Nicodemo, con esplicito riferimento alla programmazione pastorale diocesana del 2013-2014 sulle tre pericopi giovannee dello Shemà: amare Do con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze e quindi l’urgenza di “nascere dall’alto” ripartendo dal grembo battezzante della Chiesa, la quale però – afferma – ha “ancora molta strada da fare per aiutare chi chiede i sacramenti a comprendere la circolarità preziosa tra annuncio, celebrazione e vita” verso l’edificazione di una Chiesa della testimonianza. Due contributi sui giovani e catechesi chiudono il volume. Pasquale Incoronato, docente di Teologia pastorale della Sezione “San Tommaso d’Aquino” della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale e parroco, approfondisce la questione giovanile, che “cambia ad una velocità vertiginosa”. Invita subito, supportato anche dagli studi di Mario Pollo, a “mettere nel loro cuore l’essenziale, insieme ad una passione, che dia il desiderio e la volontà di reinterpretarlo per il loro tempo, nel loro tempo”. E “una generazione che si trova fuori casa, perché della casa-comunità cristiana non ha sentito il profumo, non ha sperimentato il calore delle relazione, la responsabilità di un coinvolgimento vero, l’attenzione di un ascolto interessato”. La chiave – afferma Incoronato – è “rinnovare continuamente le mediazioni dell’esperienza cristiana (canti, gesti, linguaggio, metodi, narrazioni, testimonianze, simboli, attività)” in simbiosi con la costante attenzione al “momento esistenziale di ogni giovane per trovare sempre la parola giusta che arrivi al suo cuore”. L’autore inoltre non si esime dall’individuare qualche punto debole pastorale giovanile. In questo percorso formativo l’educatore apprezza, va-

lorizza, sostiene, fa percepire l’amore paterno, e così stimola la sperimentazione di una chiesa del coraggio in un senso di appartenenza percepito col “cuore che parla al cuore”, come diceva il cardinale e teologo Newman. I maestri col volto del testimone contagiano la vita interiore del giovane, accompagnandolo nel costruire insieme un volto nuovo di chiesa. Calogero Di Fiore, anch’egli missionario vincenziano, dottore in Teologia pastorale e parroco, si sofferma sulla parrocchia come luogo di catechesi e formazione cristiana, e ha avviato la sua riflessione sull’importanza della formazione. “Saper comunicare è saper creare relazione” e questo nella “logica dello Spirito” secondo il Vangelo che offre una “nuova identità” e porta “verso una nuova visione della trasmissione della fede” non certamente con la sola sacramentalizzazione. Di Fiore ha indicato come terreno decisivo della pastorale e della catechesi il metodo esistenziale e di correlazione che rieduca a guardare con occhi di concretezza il reale, soprattutto nel mondo giovanile che ormai vede la realtà virtuale come realtà reale. Si tratta della conversione dell’intelligenza, come un’esperienza mistica capace di “aprire gli occhi davanti alla realtà” e che porta alla maturazione di un modo ascetico di osservare la vita per – come scrive Di Fiore – “desiderare e scegliere di conquistare il vero”. Questo ingresso nel reale si realizza con il coraggio dell’esperienza, la quale viene interpretata con il linguaggio e che a sua volta costruisce realtà. Ingresso nel reale meglio ancora palesato dall’ultima sezione del libro che propone alcune schede sulla missione evangelizzatrice della parrocchia alla luce dell’Esortazione apostolica di papa Francesco Evangelii gaudium, elaborate dalla Famiglia ecclesiale di Vita Consacrata “Missione Chiesa – Mondo”. Una suddivisione in tre ampie schede: 1. Parrocchia che evangelizza; 2. Parrocchia che si rigenera; 3. Parrocchia che vive nel territorio. I diversi punti di vista proposti in questo libro sono a doppio binario: l’ortodossia e l’ortoprassi hanno dialogato tra i teologi parroci e teologi vescovi, ma anche laici. È un percorso pluridisciplinare, ma anche interdisciplinare, ha sottolineato Carmine Matarazzo, e in questa pluralità la parrocchia generativa è come una madre che genera la vita cristiana nell’orizzonte della carità e della quale sinodalità è via preferenziale. La sapienza della teologia pastorale coglie l’evangelizzazione esperienziale in un cammino di personalismo pastorale che si fonda sull’uomo come via privilegiata della chiesa, concependo la dinamica della relazionalità come luogo teologico. Ulteriori elementi di apertura e di novità, insiti nel concetto della parrocchia generativa, sono stati proposti dal missionario vincenziano, Beniamino De Palma, vescovo emerito di Nola, che nella Postfazione articola in tre brevi “nuovi orizzonti” la logica della generatività della comunità cristiana, madre accogliente sempre pronta all’accompagnamento e al sostegno dei battezzati.

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Aspettando la sera

Sulla Resilienza di Angela De Sensi Frontera +Che cosa è la resilienza? Un termine che da qualche tempo circola sulla bocca degli esperti della salute, particolarmente in questa situazione di emergenza della pandemia da covid 19,e della fase della ri-uscita e della ripresa. Da più di un secolo psichiatri, neurologi, psicologi clinici hanno concentrato la loro ricerca sulle cause determinanti della malattia mentale. Le hanno individuate nelle ferite inflitte dai colpi della vita. Sono stati compresi così i motivi per cui le persone si deprimono, perdono la capacità di reagire, di adattarsi e di recuperare. La domanda di fondo ricorrente è stata: “ Perché le cose vanno male?”. Solo di recente a questo quesito è stato affiancato l’altro: “Perché le cose vanno bene?”. E infine : “Perché vanno bene quando dovrebbero andare male?”. E’ stato questo terzo orientamento della ricerca che ha portato alla scoperta della resilienza. Cinquant’anni fa circa alcuni ricercatori sulla malattia mentale hanno osservato come alcune persone riuscivano a reagire positivamente alle avversità. Continuando e intensificando la ricerca in questo ambito, sono riusciti a individuare le forze interne ed esterne, le competenze psichiche che permettevano, specialmente alle persone in età evolutiva, di fronteggiare i rischi e le difficoltà, restare indenni, ed ancora capaci di reagire, di ritrovare un senso alla propria esistenza e continuare a portare avanti il proprio progetto di vita. Il termine in inglese resiliency, in francese résilience, in italiano resilienza, indica quella particolare capacità delle persone di saper reagire alle avversità e di sapersi risollevare anche dalle più gravi sciagure. Il termine resilienza deriva dalla scienza dei materiali: alcuni di essi hanno la proprietà di conservare la propria struttura, o di riacquistare la forma originaria, anche quando vengono schiacciati e deformati . Trasferito il termine in ambito psicologico viene applicato alla personalità e alle qualità che questa deve possedere, o anche acquisire, per reagire positivamente alle avversità e per non farsi annientare . Il termine più vicino è resistenza, ma non è sinonimo. La parola resistenza ha una connotazione più passiva rispetto al secondo , che invece esprime una caratteristica attiva come voglia di intraprendere, di combattere, di difendersi, di fronteggiare, di non farsi sopraffare, annientare, abbattere. La persona resiliente riesce a vincere, a mantenere la propria integrità fisica e mentale anche quando la pressione è forte. Riesce a “gettare il cuore oltre l’ostacolo” e infine a farcela. Quali sono queste forze psichiche interne ed esterne? Per capire il concetto di resilienza è necessario fare riferimento al concetto di sistema immunitario della psiche. Concorrono pertanto a realizzare la proprietà della resilienza più fattori: Una dimensione biologica (patrimonio genetico). La resilienza è senz’altro una qualità innata, presente in tutte le persone in misura diversa, radicata nell’istinto di conservazione, di sopravvivenza, nella tendenza innata all’evoluzione e alla crescita. Una dimensione psicologica ( capacità cognitive, affettive, relapag. 18

zionali). Una dimensione sociologica (ruolo della cultura, delle opinioni, delle tradizioni, usi, costumi, ecc. ecc.). Una dimensione educativa (che fa riferimento agli stili di allevamento, di cura dell’infanzia, ai sistemi etici di riferimento, ai modelli culturali). Nel corso della vita la resilienza può crescere come indebolirsi ; non è una qualità immodificabile nel tempo . Al dolore nessuno può sottrarsi, ma alcune persone, più resilienti di altre, riescono a reagire e a superare la crisi con i propri mezzi naturali o ricorrendo alle risorse esterne che sanno attivare. Anna Oliverio Ferraris sostiene che la resilienza “non è un tratto semplice e unitario”, ma un insieme di fattori diversi che concorrono a formare un sistema di difesa, un sistema immunitario dell’equilibrio psichico della persona. Susanna Kabosa, una studiosa dell’Università di Chicago , ha individuato in tre tratti di personalità gli elementi che concorrono a rendere un soggetto resiliente e sono: l’impegno, come tendenza a lasciarsi coinvolgere nella fatica del vivere, con perseveranza e forza d’animo, senza mai arrendersi alle avversità. 2)Il controllo, come consapevolezza di esercitare il dominio sulla propria vita, sulle proprie Iniziative e azioni, tanto da poter dire: “in buona parte sono io l’artefice del mio destino”. 3)la sfida, come disposizione ad accettare il cambiamento e a potenziare le qualità psicologiche che lo favoriscono, abilità da coltivare e incoraggiare attraverso una adeguata opera educativa ed autoeducativa. La domanda che mi sono posta, e su cui ho fatto ricerche e riflessione critica suila mia esperienza didattica di Scienze Umane e clinica, ormai più che ventennale di psicoterapia, è la seguente: “E’ possibile promuovere la resilienza durante l’infanzia e l’adolescenza?”. E’ possibile e doverosa. Come? Ancne…con l’opera educativa della famiglia e della scuola. Col counseling e la psicoterapia. Quali competenze psicologiche promuovere? L’autonomia, il self control , il locus control, il senso dell’autoefficacia, la competenza sociale con le abilità di comunicazione efficace, le abilità di problem solving, la coscienza critica e l’abilità di scelte responsabili; una filosofia di vita positiva con scopi nobili da perseguire. Ed infine la capacità di costruire legami affettivi con persone che conoscono l’amore, lo sanno vivere e trasmettere. Angela De Sensi Frontera si sta occupando di due tematiche psicologiche importanti fin dal 1996, inizio della sua specializzazione in psicoterapia presso l’ASPIC di Roma, “resilienza ed empowerment”, che vanno oltre la psicoterapia riguardando molto il futuro. Nel suo libro, “Compiti evolutivi e Gestalt integrata”, edito dalla Sovera, Roma 2006, da cui è in parte tratto l’articolo, alcuni saggi trattano queste tematiche

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riflessioni

Pecunia Non Olet Corruzione avanti tutta di Alberto Volpe La locuzione latina (per chi ha avuto la fortuna di costruire l’italico idioma sui testi e sulla grammatica latina), che questa volta prendiamo in prestito a mò di incipit del nostro dire (perdon, scrivere), è attribuita all’imperatore Vespasiano, allorché ordinava al figlio Tito di raccogliere la moneta che gli era nei bagni pubblici. Letteralmente quella moneta doveva “puzzare”, ma non certamente nel sistema valoriale che pure si doveva attribuire. Ma qui noi vogliamo lamentare come, troppo spesso quella “pecunia” ha o dovrebbe sospettare di avere un pessimo olezzo, pure è troppo potente la esorbitante corrompe chi per un verso o altro ha a che fare con la Pecunia ? Una fascinosità che pressoché quotidianamente svela l’allettante patologia da cui pare nessun ambito relazionale rimanere immune. E, proprio i nostri tempi ci svelano che anche quella Magistratura che dovrebbe essere a presidio della giustizia, della legalità e della democrazia, pure ad Essa non ripugna l’olezzo del sistema corruttivo. Da scandalizzarsi se ancora oggi quella repulsione per la pecunia non alberga neppure in quei “santuari” sacri che l’allocuzione latina viene sostituita da “il denaro, sterco del demonio” ? Lo Jor e tutti i “santuari”

finanziari che Esso ha contribuito a costruire a beneficio della “casta ecclesiastica” nel silenzio complice della Santa Romana Ecclesia, è un dato di fatto inoppugnabile, alla cui deriva questo Papa Francesco è impegnato a porre argini e limiti. Una “pecca”, questa che stride con il principio della “povertà” cui si ispira il monito evangelico “predicato”. Solo debolezza umana quella di alcuni responsabili diocesani e parrocchiali quando espongono o solo fanno circolare tariffari per la somministrazione di sacramenti ? Il quadro si fa molto più fosco e preoccupante per la “salute della finanza pubblica” se il fenomeno lo rapportiamo alla grande macchina che fa muovere le relazioni economiche della società civile. Senza scomodare i rilevamenti delle agenzie del settore circa l’ammontare della corruzione nella P.A. su PIL, bastano le cronache quotidiane per darci la dimensione del fenomeno che ormai avvolge e intriga le stanze dove si decide l’utilizzo del denaro pubblico. Molti gli interrogativi che si dipanerebbero dalla funzione che si ha, dal più oscuro dipendente di un Ente locale, al dirigente di massimo grado di qualche dicastero. Ognuno di essi è ormai sempre più spudoratamente attenta alla integerrimità

del funzionario. E, questi, a prescindere dalle ristrettezze economiche proprie del dopo Codiv-19, crolla in presenze di quelle bustarelle “non puzzolenti”. Invocare i senso della misura e della equità fiscale, come la solidarietà, ma non ultima quella equa distribuzione delle ricchezze (chimera, diranno in tanti), come l’inasprimento delle pene per corruttori e corrotti, per concussi e concessori, potrebbe essere un freno al fenomeno. E anche in questo caso vale la malinconica,quanto veritiera e realistica affermazione dell’ex Pm di Milano, Piercamillo Davigo, secondo cui “in politica non si è smesso di rubare, ma si è pure smesso di sentir vergogna”. Quanto si adoperano, ancora oggi che dobbiamo assistere alla “ritirata” del provvedimento dei vitalizi nelle regioni, e dei calciatori milionari che non si com-muovono dinanzi alla generale pandemia,lasciando una mensilità a favore dei più bisognosi ? Messaggi positivi, invece, ci vogliono per educare le nuove generazioni a virare verso una rotta che guardi con sentimenti solidaliristici verso il prossimo, non senza rammentare che “il denaro è un buon servitore, ma è anche un cattivo padrone”.

attualità MUSICA ASSSOLUTA E BONTÀ ASSOLUTA... LA BONTA’ ESISTE NEGLI UMANI ? RIFLESSIONE

di Annamaria Davoli

Ci ha lasciati il grande Ennio Morricone, autore di colonne sonore che hanno fatto parte della vita di tutti noi e che, indubbiamente hanno contribuito al successo di centinaia di famosissimi film, quali: Per un pugno di dollari, C’era una volta in America, Nuovo cinema Paradiso, La legenda del pianista sull’ oceano, e moltissimi altri. Egli ricevette dal Presidente S. Mattarella il titolo di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, lo scorso 5 giugno. Di fama mondiale, grazie a lui il cinema italiano ha guadagnato in valore e prestigio. Come E. Morricone sosteneva: “In Amore come nell’Arte, la costanza è tutto. Non so se esistano il colpo di fulmine, la tenuta, la coerenza, la serietà, la durata o l’intuizione soprannaturale. “Una cosa è certa: con grande costanza, talento e amore per la musica, il grande musicista ha creato melodie indimenticabili e un genere di musica Lamezia e non solo

dal valore e dal legame universale in grado di unire tutti in un abbraccio globale d’amore: una Musica immortale e assoluta. mLo stesso legame credo possa crearlo un genere di Amore, di Amicizia e di Bontà assolute, nate non tanto da una missione di Fede e/o da un ‘dovere’ di praticare tale Fede in maniera abitudinaria, come di ‘routine’: L’essere sempre puntuali alla Messa domenicale, ai cori, alle processioni delle feste liturgiche, bensì da un Amore innato che sorga, sgorghi dal proprio animo. Chi e quanti tra gli individui cosiddetti ‘cattolici praticanti’, persone “per bene” sarebbero pronti ad aiutare una persona povera, una stracciona, vedendola frugare tra i rifiuti ? Quanti di loro darebbero invece una mano a una persona comune, una come loro, essendo a conoscenza che tale persona ha una determinata esigenza? Il Signore disse, tra le altre cose: “Date da mangiare agli affamati “ e con questa metafora parlò dell’ Amore per il prossimo.

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associazonismo

Decennale della nascita della sede ACMO di Lamezia Terme intitolata a “Mimma Colosimo”

di Annamaria Colosimo

Quest'anno ricorre il decennale della nascita della sede ACMO di Lamezia terme, intitolata a "Mimma Colosimo", giovane donna e madre di sei figli, morta dopo aver a lungo combattuto contro il tumore che l'aveva colpita. Desideravamo far conoscere e promuovere questa significativa realtà presente sul territorio con una serie di eventi, ma, purtroppo, le restrizioni dovute al Civico 19, ne ha reso impossibile la realizzazione. La missione dell' Acmo è quella di offrire quotidianamente sostegno a quanti convivono con la realtà della malattia oncologica, sempre difficile da affrontare. Come associazione,

gratuitamente diamo assistenza ai pazienti oncologici al fine di restituire dignità e serenità, per consentire loro di affrontare al meglio tale esperienza. Tutto questo, è reso possibile, dalla disponibilità di oncologi, medici di famiglia, infermieri e soprattutto, volontari preparati. A testimonianza del lavoro svolto si è pensato così di realizzare un libro scritto a più mani da persone che hanno dato un grande contributo per la crescita della sede acmo di Lamezia. Appuntamento quindi al 17 settembre, uscita del libro , "...voluta dal cielo" , per conoscere questa realtà di volontariato e sostenerla.

riflettendo

Spunti di riflessione dalla serie tv Criminal Minds

di Pierluigi Mascaro

Da qualche tempo a questa parte, ho iniziato a seguire la serie tv statunitense Criminal Minds, che vede una squadra di analisti comportamentali statunitensi, dipendenti del FBI, andare a caccia dei più cruenti e spietati serial killers, le cui azioni criminose sono quasi sempre dovute a gravi stati di psicopatia pregressa, manifesta o latente. Nonostante la trama e la sceneggiatura degli episodi risultino particolarmente cruente e sanguinose, sono particolarmente affascinato dall’analisi “spettrografica” effettuata dai componenti del team sulle deviazioni più abominevoli della mente e del comportamento umani, nonché dalla coesione e compatezza della squadra, ove ogni membro, insostituibile nella propria individualità, tira fuori di sé il massimo grado dei propri punti di forza coordinandosi mirabilmente nel lavoro di gruppo. Il personaggio che forse mi ha ispirato maggiore carica emozionale è l’agente Jason Gideon, uomo di mezza età, semplice, schivo, introverso, riflessivo, dal passato a tratti avvolto nel mistero, una di quelle persone che preferiscono un meditativo silenzio alla più comune e generalizzata espansività. Jason ama passeggiare in solitudine, fissare i colori pastellati di un paesaggio campestre dal finestrino di un flemmatico treno, ritirarsi nel suo amato, sperduto cottage a pensare e cercare di ricomporre il proprio mondo interiore, spesso devastato da un lavoro che quotidianamente lo mette a diretto contatto con le peggiori atrocità di questo mondo. Un giorno, il team deve indagare sull’uccisione di Sarah, compagna di college e primo grande amore di Jason, la donna di cui non aveva notizie ormai da molti anni, ma la cui assenza nella sua quotidianità non era mai riuscito davvero ad accettare. Ebbene, dopo una pag. 20

vita trascorsa ad esaminare nefandezze e malvagità umane, quella commessa sull’amata e mai dimenticata Sarah, trascina Jason in un buio baratro senza fondo; dapprima, per un breve periodo, cerca di reagire lanciandosi a capofitto sul lavoro, ma subito dopo, risucchiato sempre più intensamente in un vortice di confusione e costernazione, decide di lasciare la squadra, per partire per un lungo viaggio senza una meta in particolare, nel disperato tentativo di ritrovare l’ormai smarrito senso di fiducia, in se stesso, nel mondo, negli uomini, nella speranza che gli avvenimenti di cui è costellata la vita possano avere, almeno potenzialmente, un lieto fine. Jason decide di andar via, e lo fa, anche questa volta, a modo suo. Nessun saluto, nessun addio ai suoi fedeli colleghi, a quella famiglia che si era scelto e con cui aveva costruito, giorno dopo giorno, un cementato sodalizio lavorativo ed affettivo; la confusione, il dolore e lo smarrimento emotivo hanno avuto il sopravvento. Jason non lascia che una lettera, insieme a pistola e distintivo, indirizzata al collega Spencer Reid, colui che sapeva sarebbe andato a cercarlo al cottage, dal momento che da alcuni giorni non si avevano più sue notizie; una lettera in cui altro non riesce a fare che scusarsi per non essere stato in grado di dare quelle spiegazioni di cui nemmeno egli stesso riusciva ad avere la minima consapevolezza, per non aver avuto la lucidità da dare un nome o una qualche sembianza al dolore che lo divorava dall’interno. Questa struggente vicenda mi porta a riflettere sul fatto che, in realtà, è veramente arduo, se non addirittura impossibile, dire addio e voltare pagina quando, nel bene o nel male, non si è metabolizzato il passato con consapevolezza e serenità.

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LA CALABRIA, UNA TERRA DA AMARE

Un destino travolgente di Ginevra dell’Orso

18 Luglio 2010: questo è il giorno in cui ho messo per la prima volta piede in Calabria... per restare. È stato il mio primo viaggio di sola andata. Ricordo perfettamente la sensazione che provavo mentre mi allontanavo da Milano, regione dopo regione: guidavo con una strana sensazione al cuore, un intruglio emotivo di gioia, serenità, adrenalina, incertezza, abbandono, stupore. I miei figli non vedevano l’ora di arrivare, erano esausti di quel viaggio che per loro sembrava non finisse mai. Io ero abituata a guidare su e giù per l’Italia, e non mi dispiaceva neanche tanto entrare in questa nuova vita assaporando ogni momento. Stavo per scartare un fantastico regalo, il migliore che potessi farmi. Erano circa le otto di sera quando arrivai davanti alla mia nuova casa: una piccola abitazione con la struttura a torre, tipica di questi paesi; tre stanze, l’una sopra l’altra, unite da una scala di legno. È stata la mia prima casa, il luogo in cui avrei fatto la metamorfosi da larva a farfalla. Il nido in cui ripararmi dai dispiaceri e dai dolori, casomai ce ne fossero stati. Non era ancora del tutto buio: in casa c’era la luce azzurra del crepuscolo, le stanze erano tutte vuote, pronte a riempirsi il giorno seguente, quando il camion dei traslochi sarebbe arrivato, portando la mia ingombrante vita milanese in una piccola casetta di un piccolo paesino di mezza costa sul mar Ionio. Dieci anni Che grande emozione quel giorno! Ero ubriaca dalla stanchezza del viaggio, e allo stesso tempo sapevo di aver fatto la scelta più consapevole della mia vita. Quanta lucidità ricordo Lamezia e non solo

di aver provato, guardando dal terrazzo il mare, le luci della marina, i lampioni gialli del borgo che lo facevano sembrare un presepe in piena estate. Sono passati oramai dieci anni da quel giorno: sono cambiate tante cose. Sono cambiate le case, i lavori, qualcosa se ne è andato per sempre, e tanto altro è arrivato. Ci sono stati addii e nuove conoscenze. Molti entusiasmi si sono smorzati, e altri sono arrivati da un momento all’altro. Ho visto crescere i miei figli, e amare que-

sto posto esattamente come lo amo io. Ho visto nevicare sul mare, fiumi esondare, venti sradicare alberi e giornate di caldo dalle quali scappare come se si avesse alle spalle una belva feroce. Ho conosciuto animali, piante, erbe officinali, uomini e donne di straordinaria verità. Ho pianto tanto in questo posto come mai in tutta la vita: tutte le mie emozioni, qui, si sono amplificate, per non creare attrito con questa natura libera e guerriera. L’istinto infallibile L’istinto non sbaglia mai, è infallibile: sapevo che qui avrei vissuto la mia

metamorfosi, quel processo che ti squarcia in mille pezzi, che ti sventra fino alle viscere, ma che, nella sua totale accettazione, ti offre nuovi componenti con cui ricostruirti, luccicanti e preziosi, quasi indistruttibili. E se sono riuscita in tutto questo, lo devo a questo luogo così timidamente ostile, che ti forgia nelle incertezze, che ti mette alla prova ogni giorno. Devo ringraziare gli influssi della luna quando sale dal mare e stravolge tutti i buoni propositi di sonno: devo ringraziare il vento per tutto lo scompiglio che porta ogni volta che mi sembra di aver messo in ordine ogni cosa nella testa. E poi c’è il mare, custode silenzioso, e i boschi perenni, in cui fingere di perdersi per un po’. O dentro, o fuori C’è questo piccolo universo racchiuso in duecentocinquanta anime, che ogni giorno esplode come una supernova, emanando un’indispensabile energia vitale. C’è la benedizione di questa natura selvaggia, la precarietà, l’ineluttabile destino delle cose, la magia degli alberi e la saggezza delle rughe disegnate in certi sguardi. Ci sono le piccole porte delle case abbandonate, lasciate aperte dal tempo, che ti invitano ad entrare a carpire un po’ di quel passato. C’è un mondo che brulica di passioni, di tormenti, di amore, di sfacciate certezze. Qui c’è tutto il significato del Sud, quel calore che lacera e cura allo stesso tempo, che ama e ti consuma e ti ricorda quanto sia necessario vivere tutto con la stessa intensità. Questa è la regione delle sentenze lapidarie: dentro o fuori. Ma se resti, nelle vene scorre per sempre la vita, in tutta la sua essenza.

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di Maria Palazzo Carissimi lettori, questa volta vi auguro un’estate felice, con un libro che mi ha fatto emozionare tantissimo. Uno dei miei idoli di sempre è Bud Spencer. Anche ora che ci ha lasciati. A quattro anni dalla scomparsa, la figlia Cristiana ci allieta con un volume spiritosissimo, ma colmo di grandi e profondi sentimenti. BUD, un gigante per papà. Un titolo che parla da solo. Come la serie televisiva di cui fu protagonista: Detective extralarge… Non dimenticherò mai le serate, trascorse con mio padre, a guardare i film del grande Bud e, da ragazzina, ricordo che, mentre tutte prediligevano il biondo e azzurro fascino di Terence Hill, io svenivo per il gigantesco BUD Spencer, di cui amavo la stazza indistruttibile e la capacità di sapere sempre come punire arroganti e imbecilli. Quante volte, io, col mio carattere intollerante alle ingiustizie, ho sognato di svegliarmi provvista della sua gigantesca figura, che mi sarebbe bastata anche per qualche minuto… Mia madre si stupiva sempre, quando mi rannicchiavo accanto a papà e, insieme, mimavamo le scazzottate contro i cattivi di turno dei vari film… Mi ha colpito immensamente il fatto che Cristiana, prima che il papà lasciasse questa terra, avesse voluto fargli un’intervista, esattamente come ho fatto io, per questa rivista, prima che papà ci lasciasse… Ho notato che Cristiana ha vissuto il suo papà, esattamente per come io ho vissuto il mio, valutandone a fondo la personalità, il carattere, oltre che l’aspetto. Mio padre non era gigantesco come il suo, ma, quanto a personalità, ne aveva da vendere e, il fatto che BUD SPENCER, fosse anche il suo eroe, oltre che il mio, la dice lunga… Nell’intervista, che troverete a metà libro, esattamente a pag.93, alla domanda: “Se oggi dovessi guidare un giovane, o un tuo nipote, nel

trovare la sua strada, che consiglio daresti?”, il grande Bud risponde: - Non gli darei nessun consiglio, semmai potrei suggerirgli di seguire sempre il suo cuore e la sua passione senza fermarsi, superando di volta i volta gli ostacoli che si presentano… Si stimava per un pigro, un futtetenne, alla napoletana, ma era anche un uomo che considerava la felicità come un mezzo, non un fine, con il quale condurre la propria vta… Un uomo capace di generosità infinita, capace di credere nei veri valori e di avere una fiducia immensa nella Vita. BUD, un gigante per papà non è il solito libro celebrativo, scritto da un figlio, per celebrare il suo genitore, peraltro famoso in tutto il mondo: è, al contrario, un modo per confermare, a chi lo ha amato, quelle caratteristiche che lo hanno reso l’eroe di tutti: il buono che trionfa sul cattivo, la vittoria del bene sul male cieco e stupido che, se non fermato, danneggia tutto… La generosità di Cristiana ha voluto condividere con noi, persino le ricette del papà. Amava cucinare e anche… mangiare. Troverete degli aneddoti esilaranti, al riguardo… Il volume, anzi, si conclude proprio con la ricetta della zuppa di pesce, ma il piatto forte è, di sicuro, rappresentato dai fagioli alla Bud, che lo rese famoso nel film Anche gli angeli mangiano fagioli… Forse non esisteva una cosa in cui, Carlo Pedersoli non fosse un fenomeno. Aveva amore per tutto ciò che faceva e faceva sempre, un po’ come me, ciò che realmente gli piacesse, per questo l’ho sempre amato. Riscoprirlo con gli occhi della figlia è stato come sentirsi fra le braccia di un eroe che protegge tutti… BUONA ESTATE. Il gigante buono vi terrà compagnia...

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Lamezia e non solo


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