lameziaenonsolo dicembre 2018 Danilo Mancuso

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inchiostri d’autore

Scatti Rubati

Guarda quel povero cane di nessuno. Chiamalo, dagli un po’ della tua merenda, fagli una carezza. E’ il Signore che te lo manda perchè tu possa fare una buona azione verso una sua creatura così abbandonata.

(Don Bosco)

Inchiostri d’Autore è una rassegna nata per presentare i libri stampati dalla grafichéditore ma … non solo, quando la causa è “buona e giusta” e quando a stamparli è stata la tipografia Perri si può presentare anche altro ... come “Scatti d’Autore” il calendario che ogni anno fa il Rifugio Fata per raccogliere somme destinate all’aiuto dei cani ospiti. Ospiti dell’incontro: Daniela Rambaldi figlia del famoso Carlo Rambaldi e vicepresedente della Fondazione Rambaldi, Lorena Franconeri dell’Ambulatorio Veterinario Effemme che da anni collabora con il Rifugio, Rossana Longo, fondatrice del Rifugio, Giuseppe Natrella, giornalista, ha fatto da anchorman fra le intervenute. Daniela Rambaldi ci ha parlato del suo personale amore verso gli animali, amore nato fra le pareti domestiche in quanto è stata abituata dai suoi genitori ad amare e rispettare gli animali. Ci ha raccontato come alcune espressioni del loro gatto domestico abbiano ispirato il padre nella realizzazione del famoso ET ed ha insistito nell’affermare che è importante che questo tipo di educazione sia dato in famiglia. Ha poi sottolineato l’importanza

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delle adozioni a distanza, chi non può, per qualsivoglia motivo tenere un animale in casa può “adottarlo a distanza”, una distanza anche di pochi metri, non necessariamente in un’altra città, quindi versare una somma per lui e, potendo, andare di tanto in tanto a trovarlo nella struttura dove è ospite. Rossana Longo ci ha parlato del suo amore per gli animali e, alla domanda “provocatoria” di Peppino Natrella, “ma chi te lo ha fatto fare?” ha risposto spiegando come è nato il rifugio, partito dall’aiuto che ha cominciato, da giovanissima, a dare ad un cane trovato in giro, e poi ad un altro e poi ad un altro ancora fino ad averne una schiera, attualmente il Rifugio ne ospita oltre un centinaio La dottoressa Lorena Franconeri ha affrontato il problema da punto di vista “professionale”, ha spiegato in modo chiaro ed esaustivo come sia sbagliato prendere un cane e “farlo accoppiare almeno una volta”, ha sottolineato come avere un cane in casa comporti una serie di “doveri”, in cambio però di tanto, tanto amore. Anche a lei Peppino Natrella ha chiesto “ma chi te lo ha fatto fare?” e lei ha risposto che fin da piccola aveva deciso che quello avrebbe fatto da grande: la veterinaria. L’incontro si è concluso con tè e buonissimi dolci preparati dalle volontarie del Rifugio proprio per l’occasione. Il calendario è bellissimo e vi dimostra come con un poco di buona volontà e con tanto tanto amore anche gli “asili” per cani abbandonati, maltrattati, ammalati, possono diventare delle piccole oasi di felicità.

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inchiostri d’autore

Il racconto di una lunga esperienza associativa conquistata sul campo: Ippolita Lo Russo Torchia

Una nuova presentazione nel mese di dicembre, un libro la cui preparazione è stato un lungo viaggio, durato due anni. Tanto ci è voluto per raccogliere ed assemblare non tutto, ma parte della vita associativa di Ippolita Lo Russo Torchia. E’ nata chiacchierando la decisione di scrivere quello che sarebbe dovuto essere un libro di un centinaio di pagine e, strada facendo, anzi, giorni trascorrendo, ci si è ritrovati ad aggiungere nuove foto, nuovi scritti, nuove pagine, fino a superare le 300 ed il libro è diventato un volume, un bellissimo volume. Avremmo voluto presentarlo in tipografia ma, facendo una lista degli invitati che sarebbero di certo venuti, ci siamo rese conto che, quand’anche ne fosse venuto solo il 50%, non sarebbe bastato lo spazio e la scelta è ricaduta sul salone della Parrocchia della B. V. del Rosario. Avevamo ragione. Il salone era strapieno di amici di Ippolita venuti in parte per la curiosità di vedere il

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libro ma soprattutto per rendere omaggio a questa straordinaria donna. A raccontarci del libro Luciana Parlati che con il garbo e l’arguzia che la contraddistingue ha saputo interessare tutti i presenti che ascoltavano con attenzione. Sempre Luciana, come un maestro d’orchesta dava il via alla bella e modulata voce di Giancarlo Davoli che leggeva passi del libro. Per parlare del libro, e quindi di Ippolita, ci vorrebbe l’intero giornale e, probabilmente non basterebbe. Quale è il segreto di questa grande donna che in una fredda domenica invernale ha saputo riempire un salone di amici che la applaudivano, che hanno fatto poi la fila per avere il libro invece di svignarsela come spesso avviene? Forse la sua semplicità, la sua sincerità, la sua generosità. In un mondo nel quale parole come riconoscenza, educazione, rispetto, sembrano avere perso significato, lei le incarna tutte, le ha nel DNA e le ha

trasmesse ai figli, e le trasmette a chi le si avvicina. Donare per il piacere di farlo, chiedere non per sè ma per gli altri, per chi ha bisogno. Non ha mai detto di no e spesso, ha donato senza aspettare che le fosse chiesto, quando si è accorta del dolore, del disagio. Tante storie mi ha raccontato, nel preparare la stesura del libro, che non sono state riportate ma che, ai miei occhi, hanno contribuito a farmela amare e rispettare ancora di più. Avrei tanto altro da dire, ma lo spazio è tiranno in questo ultimo mese dell’anno, rimando al prossimo numero, e preferisco siano le foto a parlare. Una ultim cosa la voglio dire però, il volume, di 312 pagine, a colori, ricco di foto, non lo ha messo in vendita Ippolita, lo ha donato, in cambio di una offerta libera che ella ha interamente donato e donerà alla Chiesa del Rosario per ogni libro per il quale riceverà un’offerta. C’è da aggiungere altro per dire quanto è grande il suo cuore?

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Il volo notturno delle streghe Il Sabba della modernità Il 23 novembre 2018 nella sede della Università della terza età e del tempo libero di Lamezia Terme, in previsione della ricorrenza della Giornata mondiale (25 novembre) contro la violenza sulle donne, voluta dall’ONU fin dal 1999 per ricordare chi ha subito e subisce violenza, il professor Federico Martino* ha tenuto una lectio magistralis ripercorrendo le tesi di un suo prezioso saggio dal seducente titolo: “Il volo notturno delle streghe. Il Sabba della modernità”.

notturno, accoglie una credenza che le era estranea. L’invenzione del c.d. patto demoniaco è, al contempo, causa ed effetto dell’abbandono dei paradigmi razionali caratteristici del Basso Medio Evo. Adesso gli inquisitori non si limitano a colpire l’eresia, ma usano la paura del Maligno per imporre l’abbandono delle regole della logica e del diritto. La società ha iniziato a sperimentare nuove forme dell’economia e nuove relazioni tra gli uomini e sta elaborando una diversa visione del mondo. Per questo, i vecchi ceti, a difesa di una traballante egemonia, serrano le fila e cercano di arrestare le diaboliche innovazioni in corso. La Grande Caccia finirà quando una nuova classe avrà preso il potere. Come diceva Voltaire, “ le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle”. Ma la nuova classe, a sua volta in declino, ha trovato anch’essa i suoi (immaginari) nemici da bruciare. E oggi che cosa è cambiato? La caccia alle streghe continua…ma in versione 2.0

“Può sembrare strano, ma il Medio Evo non conosce le streghe”, ha così esordito la dott.ssa Rosamaria Alibrandi*, introducendo gli aspetti essenziali relativi al tema oggetto della conversazione per facilitare la disponibilità all’ascolto dei presenti e motivarli all’approfondimento leggendo, in seguito, il saggio. Con rigore logico e consolidata abilità dialettica il professor Martino, pur discettando di streghe, non ha accennato a streghe o a loro convegni in presenza del demonio per averne favori e poteri, ma ha presentato argomenti pertinenti ed efficaci per dimostrare “piuttosto - come scrive in premessa del suo saggio - il tentativo di leggere il passato alla luce degli interrogativi posti da un presente che ha perduto molte certezze e nel quale riemergono ombre lontane. La caccia alle streghe può essere un punto di osservazione da cui considerare il pensiero e la sensibilità dell’Europa tra fine del Medio Evo e la prima Età Moderna”. L’esplosione di “irrazionalità” che porta alla caccia delle malefiche si verifica a partire dal Rinascimento, al sorgere della Modernità, quando ha inizio la Scienza sperimentale. Solo in quel momento, la Chiesa, che ha negato per secoli la realtà del volo

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Note *Federico Martino è stato Professore Ordinario di Storia del Diritto Italiano nell’Università di Messina dal 1993. Ha al suo attivo un vasto numero di saggi, molti dei quali pietre miliari nella Storia del Diritto. Oltre ad essere un esperto di storia del diritto, è un fervente bibliofilo e un appassionato collezionista. I suoi studi più recenti rivolti all’archeologia e all’arte hanno introdotto elementi di originalità nella metodologia storica.“Il volo notturno delle streghe” è un volume tanto complesso da contenere materiali per ulteriori opere, e ha generato, oltre a diverse dotte presentazioni da parte di giuristi e storici e filosofi del diritto, un importante convegno alla Sapienza all’inizio di quest’anno, i cui atti sono in corso di pubblicazione *Rosamaria Alibrandi è dottore di Ricerca in Storia delle Istituzioni Giuridiche dell’Età Medievale e Moderna e in Storia e Comparazione degli Ordinamenti Politici e Giuridici Europei presso l’Università di Messina. Prevalenti interessi di studio: storia del diritto e delle istituzioni; storia della medicina e della salute pubblica; storia dei sistemi normativi sanitari; storia costituzionale. È autrice di diversi volumi, l’ultimo dei quali Rivoluzione, sovranità, libertà, l’aurora della modernità. Per i suoi studi di Storia della Medicina è stata nominata Accademico della storica Accademia di Storia dell’arte sanitaria. Ha pubblicato numerosi saggi e collabora con riviste nazionali e internazionali. Sul volume scritto dal prof. Martino ha pubblicato sulla rivista Heliopolis un saggio critico: Magia, filosofia occulta e Inquisizione. Il lato oscuro della modernità.

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“Officina Givani Lamezia Terme” “OFFICINA GIOVANI fondata da Giuseppe D’Andrea, in arte Giuxx, promuove “Behind the Artists” che si svolgerà dal 9 dicembre 2018 al 6 gennaio 2019 nei locali del “Tre Bicchieri” a Lamezia Terme. Domanda: Gli chiediamo subito come gli è venuta l’idea dell’evento? Risposta: “Ho sempre voluto, in questa città e nel territorio, guardare alle sue potenzialità per stimolarle in vista di una crescita civile e sociale, in particolare del suo mondo giovanile. L’idea è partita da alcune esperienze da me fatte in Toscana che ho personalizzato ed adattato insieme al mio staff qui in Calabria. Perciò ho inserito momenti culturali, artistici (disegni, fotografie, ecc.) e musicali in modo da riscuotere l’interesse delle diverse fasce d’età (adolescenti, giovani, giovani-adulti, ma anche adulti, ed oltre)”. Domanda: Hai fatto altre iniziative? Quali? Risposta: Inizio a parlare dell’ultima dove, come direttore artistico, insieme al Sistema Bibliotecario Lametino diretto dal dott. Giacinto Gaetano ed al Comune di Lamezia abbiamo coordinato la Giornata mondiale del Libro e del Diritto d’Autore del 2017, svoltasi nella Biblioteca Comunale. Direttore artistico di due edizioni del Deejay Contest, con l’organizzazione Nibiru Events, realizzati a Lamezia. Il mio impegno è stato pure nella città di Rende (cs) collaborando con ReForm e Wish note organizzazione di eventi di musica elettronica. Sono stato invitato dalle scuole superiori in diverse edizioni della Festa dell’Arte, prima come Dj e poi come direttore artistico. Ho diretto per svariati anni, insieme alle Jonesti e Nibiru Events, gli eventi artistici del mondo scolastico lametino. Domanda: Vuoi parlarci della tua carriera artistica? Risposta: Nasco principalmente come Dj e proseguo nel mondo dell’arte come direttore artistico. I miei studi s’intensificano nella International Deejay School di Milano, in cui ho avuto come maestro Dj Bum Bum, uno dei primi produttori musicali di Gabry Ponte. Ho condiviso il palco con artisti nazionali ed internazionali quali: Brusco, Gemitaiz, Madmad, Nitro, Dj Ms, I Marnik, Amelièe, Annika, e vari artisti calabresi. Domanda: Quali sono i tuoi progetti futuri? Risposta: Poter realizzare tante idee per promuovere musica, arte e cultura per le fasce giovanile e non solo, per il territorio lametino e la Calabria. Con i miei collaboratori desideriamo che Officina Giovani diventi una realtà sempre più presente ed incisiva pag. 11

nella comunità con la definizione di uno luogo consolidato ove, come associazione culturale, possiamo crescere e far crescere i giovani in uno spazio concreto in cui svolgere tante attività positive. In tale orizzonte chiediamo l’attenzione fattiva delle realtà pubbliche (comune, provincia, regione, stato). Ringrazio vivamente per la disponibilità e l’apertura culturale i titolari del locale “Ai 3 Bicchieri” che ospiterà la rassegna. Ed un sentito ringraziamento ai miei collaboratori più stretti: Francesco Ielapi, Rocco Luca Zaffina, Andrea Mangione, Chiara Scalise che si stanno prodigando senza riserve per la riuscita dell’evento. Domanda: Ci parli più articolatamente di “Officina Giovani”? Risposta: “Officina Giovani” intende promuovere servizi e strutture che fungano da ausilio e richiamo per l’attività sportiva e per lo svolgimento del tempo libero, quali sala lettura, intrattenimenti musicali, musicoteca/videoteca e questo attraverso iniziative ricreative, turistiche e culturali al fine di contribuire all’elevazione civica, etica, sociale e all’educazione dell’intelligenza emotiva. Promuove e porta avanti in ambito sociale la lotta al bullismo, e la crescita dell’autostima della psicologia giovanile con utilizzo di tutti i sistemi idonei. Promuove con eventi, dibattiti e forum sulla lotta alla droga in ambito sociale, nonché proporre itinerari, valori e pedagogie di impegno costruttivo, di fiducia sociale e di speranza civile attraverso momenti di dialogo collettivo ed individuale con l’ausilio di esperti in campo delle scienze sportive, psicologiche, sociologiche, filosofiche ed artistiche. Realizza attività per diffondere le discipline sportive, artistiche, musicali mediante la partecipazione e l’organizzazione di eventi, cineforum, tornei, campionati, manifestazioni collettive di vario genere finalizzate alla formazione di un sano senso di sport e di un integrale benessere psico-fisico. Favorisce contatti tra gli associati, per accrescere il valore di una sana relazionalità umana, che hanno specifici interessi culturali e sportivi anche avvalendosi della costituzione di sezioni specialistiche per le attività di maggiore partecipazione. Aderisce in Italia, in Europa e nel mondo a qualsiasi attività che, con espressa delibera del consiglio direttivo, sia giudicata idonea al raggiungimento degli scopi sociali.

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La creatività femminile: Fabiana Novellino Facendo seguito all’articolo: “La creatività femminile, la cultura dell’innovazione, motori di diverso sviluppo socio-economico”, tema trattato dalla FIDAPA, sezione di Lamezia Terme, il 10 novembre c.a. e da me introdotto su “Lamezia e non solo” di novembre n°48, dove avevo già annunciato la pubblicazione delle relazioni integrali di ciascun relatore, presento l’intervento di FABIANA NOVELLINO, neurologa, ricercatrice presso l’Istituto di Bioimmagini e Fisiologia Molecolare del Consiglio Nazionale delle Ricerche con sede nel Campus Universitario di Germaneto, responsabile di numerose linee di ricerca sulle patologie neurodegenerative, basate sull’utilizzo di tecniche di neuroimaging avanzata di tipo strutturale e funzionale. Nel prossimo numero sarà pubblicata la relazione dell’architetto Michela Manfredini.

“La conoscenza è limitata. L’immaginazione abbraccia il mondo” diceva Einstein. Einstein incarna l’archetipo per eccellenza del genio. Ebbe contemporanei che quasi certamente avrebbero potuto rivelarsi alla sua altezza nella pura produzione intellettuale in campo matematico e nel processo analitico. Ma nessuno ebbe la genialità immaginativa che ebbe Einstein e che gli consentì di compiere lo sforzo creativo conclusivo per arrivare alla sua famosissima teoria della relatività. Einstein aveva le inafferrabili qualità del genio, tra le quali intuizione e immaginazione, che gli consentivano di pensare in modo diverso, in modo creativo appunto. Ma cosa succede nel nostro cervello quando abbiamo un’idea creativa? Quali sono le aree che si attivano e come fanno a mettersi in relazione una con l’altra? Attraverso studi di neuroimaging, numerosi scienziati hanno tentato di dare una risposta a questa domanda. Molti studi sono stati condotti sottoponendo i soggetti a una risonanza magnetica cerebrale durante l’esecuzione di compiti creativi. Le evidenze più recenti suggeriscono che il processo creativo sia un processo molto complesso caratterizzato in primo luogo dalla creazione di numerosissime connessioni cerebrali. In altre parole, sviluppare le nostre abilità creative significa imparare a creare nuove connessioni nel tempo, o rafforzare quelle esistenti. Significa stimolare delle aree del cervello che, di solito, sono “poco connesse” tra loro e che svolgono di solito ruoli distinti, come aree cognitive coinvolte in processi “ordinari” (memoria, calcolo) ed aree più legate all’emozione. L’atto creativo non è, dunque, un evento singolo, ma un processo di interazione tra elementi cognitivi ed affettivi. Ma quali aree sono, più nello specifico, quelle coinvolte nella genesi di un’idea creativa? Per avere idee nuove e inaspettate bisogna che specifiche zone di tre diversi network di neuroni funzionino in maniera particolarmente integrata. Si tratta del Default Mode Network, dell’Executive Control Network, e del Salience Network, ognuno dei quali svolge una particolare funzione nel processo creativo. Il primo, e in particolare la pag. 12

corteccia cingolata posteriore, genera le idee nuove pescando nella memoria e facendo simulazioni mentali (fase generativa del processo creativo); il secondo, fa capo prevalentemente ad un’area fondamentale che è la corteccia Prefrontale Dorso-Laterale destra, seleziona le idee migliori e le invia al network successivo (fase esplorativa); il terzo, rappresentato dall’insula anteriore sinistra, valuta le implicazioni ed elabora l’idea finale. Un processo che avviene ad altissima velocità, naturalmente senza che il possessore di quel cervello si accorga di tutti questi passaggi. Una ventata di novità arriva al nostro cervello anche quando leggiamo un libro affascinante, oppure quando incontriamo persone diverse da noi o quando partiamo per un viaggio, persino quando degustiamo cibi nuovi. In ognuna di queste occasioni stimoliamo il nostro cervello a creare “nuove connessioni”. E questo avviene a qualsiasi età. A questo proposito, il gruppo di ricerca a cui appartengo ha dimostrato recentemente come immaginare di mangiare un cibo appetitoso o sentire un odore di un cibo gradevole vada ad attivare le stesse aree che si attivano durante un compito creativo come comporre un motivo musicale o una poesia e in particolare la corteccia Prefrontale Dorso-Laterale e l’insula. Cosa possiamo dire della creatività applicata alle diverse discipline? Nell’immaginario comune, il pensiero creativo è più tipico degli artisti che degli scienziati. Il tema della creatività nell’ambito scientifico è piuttosto insolito, da un certo punto di vista, perché il termine creatività normalmente viene associato alle espressioni artistiche dell’uomo: la musica, la pittura, l’architettura, la letteratura. Molto più raramente questa parola è legata alle discipline scientifiche, più strettamente caratterizzate da rigidità e rigore. Usualmente si assume che il procedere della conoscenza scientifica sia un processo in qualche modo predeterminato, qualcosa che riduce al minimo o addirittura a zero lo spazio della libertà creativa dell’uomo. Così il cammino dell’arte sarebbe più simile al procedere in un GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

territorio aperto, in un territorio diversificato dove la possibilità della scelta del cammino è pressoché totale, mentre l’indagine scientifica sarebbe più simile all’avanzare imperterrito di un treno sulla sua rotaia, dando quindi un minimo spazio di manovra al conducente. Ma è proprio così? Alcuni scienziati hanno condotto delle interessanti ricerche sui processi mentali di artisti e scienziati. Avvalendosi delle tecniche di neuroimaging, hanno analizzato la loro attività cerebrale durante la fase creativa. E i risultati molto interessanti di questi studi hanno dimostrato che artisti e scienziati usano il cervello in modo molto simile mentre creano. Entrambi, dimostrano significative attivazioni delle aree legate alle emozioni e alla capacità di immaginare. La creatività si avvale dello stesso substrato neuroanatomico a qualunque disciplina sia applicata. Se e vero che creatività vuol dire stabilire nuove connessioni, cosa sappiamo circa la connettività cerebrale femminile e maschile? Che gli uomini e le donne siano diversi, tutti lo sanno. Ci sono molte sottili differenze nel modo in cui il cervello degli uomini e quello delle donne processano le informazioni e controllano le emozioni, il linguaggio e i processi cognitivi. Si sa che gli uomini e le donne stimano diversamente il tempo, giudicano in modo differente la velocità, sono frequentemente -ma non sempre- diversamente abili nell’effettuare calcoli matematici, orientarsi nello spazio e visualizzare gli oggetti in tre dimensioni, tutti campi in cui gli uomini sembrano avere maggiori capacità. D’altra parte, si sa che le donne sono spesso più brave degli uomini nella gestione delle relazioni umane e nel riconoscimento delle sfumature emotive, così come nel linguaggio verbale e nella pianificazione dei compiti. In un certo senso, le differenze di genere nel comportamento umano mostrano una complementarietà di tipo adattativo, con gli uomini che mostrano maggiori abilità motorie e spaziali, e le donne che tendono ad avere superiori competenze relazionali e sociali. Per molti anni si è ritenuto che l’ambiente, l’educazione e le differenze culturali avessero un peso maggiore, rispetto alla biologia e ai geni, nel determinare queste differenze. Tuttavia, oggi è stato dimostrato che queste differenze di comportamento e di attitudini tra uomini e donne possano anche essere la conseguenza di differenze neurofisiologiche e anatomiche Lamezia e non solo


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Lamezia città del Tempo Lamezia terme, nonostante lo stato di abbandono in cui è precipitata può, volendo e credendoci, attuarsi a riaprire se stessa verso un diverso equilibrio. La voglia di emergere è una merce che non si trova al mercato rionale, ma è un derivato della volontà a creare un orizzonte diverso per la vita collettiva, penetrando nel tessuto sociale, ed eliminando le scorie negative che vi si sono depositate. E’ un fatto e un atto di mentalità in cui la disponibilità a divenire attore dello scenario deve avere il sopravvento a non restare un semplice comprimario che assiste al dilagarsi di un grigiore senza schiarimenti. Una città a cui non dovrebbe mancare, visti i precedenti, l’esperimento di divenire un certo dell’arte, spettacolo,cultura e folklore con le capacità di esposizione e di richiamo, per evidenziare le scelte e le priorità artistiche di coloro che intendono rinfrescare il collettivo con la rivalutazione proiettata nel tempo e nello spazio. Un hinterland capace di riadattare lo spettacolo attraverso quei suoi centri che, oggi, languiscono, chiusi a tutto e a tutti, locali tetro e sale cinematografiche, dove il dramma della vita può diventare la commedia dell’esistenza, utilizzando quegli spazi che, diversamente sono solo espressione dell’inefficienza umana divenuti macerie morali e materiali rivolte all’infinito per una protesa. La città possiede due parchi, potrebbero e dovrebbero poter essere utilizzati per la socialità ecologica, per l’effervescenza della natura, l’allegria dei giovani che, potendo frequentare l’ambiente senza timori sono la macchia vivida della vita, ricercando e ricreando lo spazio di un tempo allegoricamente trascorso ma che può tornare a brillare di luce propria. Le tradizione della Calabria - cultura, sono le radici prevalenti di un passato che risale ai giorni fausti della magna graecia, il calabrese è un popolo dalla profonda sete di conoscere anche se

intristita dai vuoti di un epoca che ha dimenticato l’esistenza del sapere, una capacita che può trovare il suono delle rime dei suoi poeti o le pagine narrate dei suoi scrittori, Lamezia può essere la calamita per riportare in auge le tesi del pensiero accogliendo e pubblicizzando i suoi autori, per un impulso nuovo dell’etica delle idee. Il folklore è un tema basilare per rivitalizzare un complesso umano. L’allegoria dei colori e degli abiti, sono la spuma di un universo locale in cui, le tradizioni e la visione delle stesse, hanno un notevole peso che non può essere lasciato nella mente solo per estrarlo dai ricordi e commentarlo, davanti ad un braciere nelle serate invernali. Il mio è un pensiero disegnato nell’immaginazione, per una realtà a cui servirebbe, per essere realizzata , la componente materiale di coloro che la pensano come me; oggi, pur troppo,mancando l’impegno, Lamezia non può essere nulla, salvo una discarica di rifiuti a cielo aperto. Cercare singolarmente di cambiare le cose, per dare un diverso indirizzo alla città, in queste condizioni diventa una impresa assurda, in particolare per l’abulicità della gente che, a quanto sembra, si è arresa al degradante andazzo della storia, accettando l’abbandono come un fatto comune opponendo, allo sfacelo, solo una alzata di spalle. L’essere comune, non può interpretare l’ombra di una figura sconosciuta, deve ritrovare il sentimento di una città che deve tornare grande. Associazione Calabria Sociale Natura, Ambiente, Ecologia, Cultura, Turismo Gianfranco Turino Presidente di Calabria Sociale

tra il cervello maschile e femminile. Un affascinante studio sul cervello fatto su 949 giovani ha trovato importanti differenze di genere tra la connettività del cervello degli uomini e quella delle donne. Gli uomini hanno infatti una maggiore connettività intraemisferica, ovvero tra la parte anteriore e la parte posteriore dello stesso emisfero cerebrale. Le donne, al contrario, hanno più sviluppate le connessioni interemisferiche, ovvero quelle trasversali fra i due emisferi cerebrali Ma cosa possiamo dire sulla creatività maschile e femminile? La creatività non ha genere, le aree e i network della creatività sono gli stessi fra uomini e donne. Nonostante le differenze fra uomini e donne a livello cerebrale, quando parliamo di creatività alla fine le nostre somiglianze probabilmente superano di gran lunga le nostre differenze. In conclusione, quando utilizziamo nuovi circuiti in nuovi modi, modifichiamo la rete neurale del cervello, perché si attivi secondo nuove sequenze. A livello neurologico, quindi, noi veniamo cambiati

un istante dopo l’altro dai pensieri che abbiamo, dalle informazioni che apprendiamo, dagli eventi che sperimentiamo, dalle reazioni che abbiamo, dalle sensazioni e sentimenti che creiamo, dai ricordi che elaboriamo, e persino dai sogni che abbracciamo. Fra i miei sogni da neuroscienziata che si occupa di malattie neurodegenerative, quello più grande è contribuire alla lotta contro la malattia di Parkinson, che colpisce oggi circa mezzo milione di persone solo in Italia e per la quale non disponiamo ancora di una cura efficace. Insieme a due colleghe ricercatrici (la dott.ssa Maria Salsone e l’ing. Alessia Sarica) ho ricevuto un finanziamento per un progetto di ricerca sul riconoscimento dell’ipomimia (un sintomo caratteristico e precoce di questa malattia) per la diagnosi precoce della malattia dalla più prestigiosa fondazione americana per la ricerca sulla malattia di Parkinson, la “the Michael J. Fox Foundation for Parkinson’s Disease”. Un team tutto al femminile per un grande sogno. Speriamo che la nostra visione creativa possa trasformarsi presto in una magnifica realtà.

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inchiostri d’autore

La Storia di Lamezia Terme 1968/2018 “La storia di Lamezia Terme” compie un anno. A breve la seconda parte? Il libro “La storia di Lamezia Terme 1968/2018” è stato pubblicato dalla casa editrice Perri e presentato l’anno scorso, il 21 di dicembre, nell’Auditorium della scuola media Pitagora. L’autore, Gianni Scardamaglia, è più conosciuto come allenatore di calcio (Vigor, Sambiase, Nicastro, Promosport, Amantea, Tropea e Scalea, ecc.) e come maestro della scuola primaria. Il “mister”, prima di dedicarsi alla storia della sua città, si era cimentato nella scrittura in altre occasioni. Dal 2002 al 2008, con la collaborazione della sua Associazione culturale/ sportiva Cittasport.it (e dei soci Gennaro Rubino, Concetta Saladini e Bruno D’Apa) aveva pubblicato quattro edizioni di “Protagonisti”, una sorta di raccolta di articoli e foto riguardanti lo sport cittadino. Nel 2010, Scardamaglia aveva puntato l’attenzione sulla riforma della scuola scrivendo il polemico “Il maestro G. le riforme e la Gelmini”. Nel 2017, infine, la doppia pubblicazione di “Cuore 2017” a marzo e “La storia di Lamezia Terme 1968/2018” a dicembre e solo qualche giorno prima del cinquantenario della fondazione della città. Proprio vicini al compimento dell’anniversario dell’uscita del suo libro, abbiamo rivolto qualche domanda all’autore. Cosa ti ha spinto a scrivere “La storia di Lamezia Terme”? Nei mesi precedenti avevo bisogno di svolgere una ricerca in biblioteca sulle pubblicazioni inerenti la storia della nascita della nostra città per aiutare un giovane universitario e, a parte il testo “ Lamezia Terme, Storia Cultura Economia”di Fulvio Mazza del 2001 e “L’Area Critica” di Costantino Fittante del 2016, ero riuscito a trovare poco o nulla. Solo testi molto interessanti sulla storia antica di Nicastro, Sambiase e S. Eufemia ma, sulla città di Lamezia Terme contemporanea in biblioteca non c’era alcun testo dedicato se non i due sopra citati. Quali riscontri hai avuto a livello di vendite, di apprezzamento dei lettori, di soddisfazioni personali o anche di delusioni? Prima di tutto devo rimarcare che gli introiti derivanti dalla vendita del libro, casomai ce ne saranno, andranno al finanziamento dell’attività statutaria dell’Associazione culturale Cittasport.it. Delle copie stampate, alcune sono ancora presenti in poche edicole e librerie. Una cinquantina sono state date in omaggio alle scuole, trenta mi sono state richieste addirittura da comunità calabresi e lametine che risiedono all’estero, alcune sono state vendute alla fiera di Torino, altre a San Mango e a Motta S. Lucia, dove è stato anche rilasciato un riconoscimento al libro che mi ha fatto tanto piacere. In città il libro è andato bene specialmente nelle edicole del centro: ho ricevuto tante telefonate di amici e di semplici conoscenti che si sono complimentati. Tante persone che non conoscevo hanno voluto una dedica. In particolare, mi è stato graditissimo il giudizio di un signore che mi ha fatto i complimenti per la parte del libro dedicata alla fiction sulla gara di calcio disputata tra i tre quartieri per ottenere lo scioglimento. Forse, tra tutte le pagine del libro, è proprio quella che piace di più anche a me. In ogni caso, ogni volta che incontro qualcuno che mi dice di aver letto il libro, la soddisfazione è sempre enorme. Pertanto, ringrazio tutti quelli che hanno letto ”La storia di Lamezia Terme” e li invito a farmene conoscere il giudizio. Delusioni? Nessuna! Mi sono sentito onorato dalla presenza di un centinaio di amici, di Mario Magno, Costantino Fittante, e Paolo Mascaro la sera del

21 dicembre scorso alla presentazione. Quando ho regalato il libro alle personalità politiche ho ricevuto un ringraziamento dal Commissario Alecci e dalla sua segreteria. Poi più nulla: nessuna citazione dal Comitato dei 50 anni, nessun invito alle ultime manifestazioni sulla storia di Lamezia. Evidente che agli esperti il libro non è piaciuto e non lo considerano. Ma il mio umile e semplice lavoro non pretendeva tanto: era rivolto ad un pubblico diverso che, a quanto pare, ne ha colto il senso…. A chi consiglieresti di leggere questo libro? A tutti, in particolare ai giovani e alle scuole. Perché ho cercato, nel mio piccolo e con semplicità, di dare quante più notizie possibili sulla nascita della città; sulle attività economiche, sulle infrastrutture, sullo sport, sulla politica a tutti i livelli e, non ultimo, ho cercato anche di vivacizzare il tutto con qualche nota divergente e scherzosa. Il testo era nato con l’intento di procurare ai lettori giovani uno strumento per conoscere meglio la città e a quelli più avanti negli anni per rammentare qualche sprazzo del loro passato. C’era l’intenzione di colmare il vuoto della storia lametina lasciato dagli storici di livello, i quali si sono sempre e naturalmente preoccupati (anche nei convegni ultimi) di raccontare Nicastro, Sambiase e Sant’Eufemia dalle origini al Medioevo fino all’epoca settecentesca, ma mai si sono preoccupati di fornire agli studenti un pur minimo strumento che raccontasse della neonata città. Ho condotto una minuziosa ricerca basata sulle memorie storiche racchiuse in un paio di pubblicazioni (Mazza e Fittante), sui verbali dell’ufficio comunale, sui portali del Senato e della Camera riuscendo in tal modo a delineare un nitido quadro politico, sociale, economico e strutturale che oscilla nel periodo tra il 1968 e il 2018. In evidenza la nascita della città, l’agricoltura, l’economia, la politica, lo sport, la cultura, i fatti di cronaca, l’escalation della criminalità organizzata, la crescita urbanistica ed infrastrutturale, lo scioglimento dei consigli comunali e un sequel di nomi di chi ha gestito la politica e la cosa pubblica: senatori, deputati, consiglieri regionali, sindaci e consiglieri comunali. Infine, anche uno sguardo alla prospettive di una città che potrebbe ancora dire la sua, nonostante la crisi dilagante degli ultimi tempi che, specialmente dal punto di vista sociale, sportivo ed economico sta portando Lamezia Terme al punto più basso della sua giovane storia. Hai deciso di scrivere ancora su questo argomento. Perché? Ho trascurato tanti aspetti e tanti personaggi della storia degli ultimi 50 anni e vorrei provvedere. So bene che in questo tipo di pubblicazioni si rischia sempre di dimenticare qualcosa o qualcuno e di fare anche qualche brutta figura. Però mi piacerebbe provvedere alle lacune più grosse e cercare di scrivere un testo dinamico e a più voci, per coinvolgere tante persone che abbiano la voglia di aiutarmi a trovare le reali motivazioni del lento, macchinoso e quasi impalpabile livello di sviluppo che la nostra bellissima città ha raggiunto nel corso di questi ultimi anni. A gennaio scorso il comitato preposto ai festeggiamenti dei ’50 ha organizzato un convegno per premiare personaggi che hanno dato lustro alla nostra città. Hai qualcosa da dire in merito? Non voglio certo entrare nel merito anche perché non ne ho le competenze. Però, a parte la poca conoscenza dei personaggi premiati, mi sembra


“SPAZIOARTE 57„ Arte

Il centro storico di Lamezia è stato protagonista giorno 6 dicembre di un evento culturale di notevole spessore, il vernissage di una mostra collettiva presso “SPAZIO ARTE 57”, a cura di artisti affermati, altri più giovani e collezionisti, che hanno esposto i loro quadri nella suggestiva cornice di via S. Giovanni n.5, al primo piano di un antico palazzo signorile, sede permanente dell’associazione “Arte&Antichità - Passato Prossimo”. Secondo i soci fondatori “SPAZIOARTE 57” si propone di diventare luogo di riferimento culturale dove molti artisti potranno esporre le proprie opere: “come associazione, vogliamo incentivare l’arte nella nostra città e, perché no, nell’intera regione, coinvolgendo nuovi artisti che vorranno aggregarsi al nostro spazio, dove troveranno nuovi amici, pronti ad accoglierli per crescere insieme. Ognuno di loro porterà un pezzetto

della propria vita e del proprio vissuto, contribuendo così alla crescita culturale e artistica del centro.” Alla mostra collettiva hanno esposto le loro opere gli artisti locali Giuseppe Notaris, Graziella Ciliberto, Terenzio Caterina, Carmelo Cortellaro e i collezionisti Pasquale Petrone, Sergio D’Ippolito e Giovanna Adamo che hanno presentato dipinti di artisti di fama nazionale e mondiale come Albino Lorenzo, Raffaele Frumenti, Rodolfo Zito, Mario Pinizotto, Francesco Tomei,Enotrio Pugliese, Sergio Scatizzi, Francesco Toraldo, Gianni Testa, Maurizio Massi, Piero Tartaglia e tanti altri; ospite straordinario il pittore Nello Spataro. All’occhio del visitatore le opere esposte si accostano le une alle altre innescando una sorta di dialogo capace di attivare una speciale sinergia in cui si sanciscono nuove amicizie e collaborazioni. Lo “SPAZIO

un po’ strano che siano stati assegnati premi a professionisti. Di solito i premi vengono assegnati a personaggi pubblici, ad artisti, attori, sportivi che portano lustro alle città e non certo a chi lavora solo per sé stesso anche se a certi livelli. Io avrei premiato Carlo Carlei, che è un personaggio del cinema mondiale, poi Danilo Pileggi che ha giocato in serie A e in nazionale, Giulio Riga campione italiano dei 1500 metri, Alessandra Lucchino, lo stesso Ruggero Pegna che organizza eventi musicali e teatrali di livello internazionale, Antongiulio Grande e, tra i giovanissimi giornalisti che si stanno facendo largo a livello nazionale, Giovannella Vitale e Tommaso Ciriaco che lavorano a Repubblica e Claudia Bellieni del TG3. Ce ne sarebbero tanti altri ma, di certo, non ho capito la filosofia di chi ha deciso i premi in quella serata che, per il resto, è stata gradevole e ben organizzata. Vista la grande esperienza nel campo che tutti ti riconosciamo (dal 1983 al 2015 il mister ha allenato senza soluzione di continuità e ancora collabora da osservatore con alcune società professionistiche ndr.), quando scriverai una pubblicazione sul mondo del calcio al quale sei tanto legato? Mi piacerebbe tanto scrivere dell’esperienza meravigliosa che ho fatto Lamezia e non solo

ARTE 57” vuole così essere, nell’intenzione dei soci fondatori, un’occasione di avvicinamento della comunità alle realtà artistiche presenti a livello locale e non. Dal figurativo iperrealista al figurativo astratto arrivando all’astrattismo concettuale ed informale,i dipinti utilizzano diverse forme espressive e vari materiali, ampliando il concetto di opera d’arte ed unendo alla libertà di ricerca artistica la necessità di un accesso ed una diffusione ad un pubblico più vasto. Molto partecipato il vernissage dove i gentili ospiti hanno avuto la possibilità di ammirare le numerose opere esposte e di intrattenersi piacevolmente con gli artisti ed i collezionisti presenti. Lo spazio sarà aperto tutti i giorni, anche le domeniche, dalle ore 17 alle 20. Per le altre fasce orarie contattare i numeri: 3463643430/3388314060.

in questo mondo che ho praticato prima come giovane calciatore e poi come allenatore. Stare in campo con la Berretti della Vigor per 4 anni (dai 16 ai 20), mi ha consentito di stringere quelle amicizie che durano ancora oggi e di superare quella esagerata timidezza che mi condizionava nell’adolescenza. Il calcio giocato, al contrario di quello solo “guardato e parlato” è uno sport e uno spaccato di vita meraviglioso: ti costringe ad aprirti e concorre alla formazione del carattere come del resto avviene in tutti gli sport di squadra giocati con una palla. Da allenatore, avere avuto la possibilità di operare e convivere con giovani dai quindici ai trenta/ trentacinque anni, è stata una esperienza che mi ha arricchito e mi ha dato la possibilità di imparare tanto. Pensate che ho iniziato ad allenare nell’83 i ragazzi nati nel ‘65 e ho finito (ma solo per modo di dire) con gli allievi nazionali della Vigor, nati nel 1997. A volte ho allenato i padri e i figli. Direte che ho insegnato calcio, ma io ho imparato tantissimo dalle varie generazioni: dal loro diverso modo di pensare, di apprendere, di gestire il tempo libero, di rapportarsi con i genitori, il tecnico e la società, e dal grande entusiasmo nel condurre un’attività graditissima e altamente formativa.

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Il nostro territorio

Lamezia Terme 2018: breve bilancio del cammino della città in 50 anni di esistenza.

Il 2018 se ne sta ormai scivolando via. Mancano solo pochi giorni al suo termine. Con esso se ne va anche il 50simo anniversario della creazione di Lamezia Terme. Credo sia un esercizio tutt’altro che irragionevole tentare di fare un bilancio di questi 50 anni di vita per cercare di capire quali siano state le dinamiche demografiche, politico/amministrative, socio/ economiche, culturali di cui la città è stata attraversata. Sarà possibile, pertanto, misurare le realizzazioni ed i progressi, i mutamenti, se ci sono stati, sia con riferimento ai sogni di coloro che s’impegnarono per farla diventare realtà con la fusione amministrativa dei tre ex comuni, sia in relazione al percorso reale compiuto in tutti questi anni. E’ necessario, perciò, fare ricorso ad alcuni indicatori economico/sociali/civili con i quali si misurano i cambiamenti, in meglio o anche in peggio, di un territorio nel tempo. Cominciamo dall’andamento demografico. Qui, i progressi sono evidenti e molto migliori, per esempio, rispetto a quelli che Catanzaro, Capoluogo di regione e di provincia, ha fatto registrare. Nel 1968, al momento della fusione dei tre ex comuni, la popolazione di Lamezia era di 55.672 abitanti. Al primo gennaio 2018, la popolazione residente nella città ammontava (secondo i dati dell’ISTAT) a 70. 834 abitanti. In cinquanta anni, la popolazione della nostra città è cresciuta, quindi, di 15.162 abitanti in valore assoluto (pari a 303,24 per ciascun anno ed al 21,40% in termini percentuali). Nel medesimo periodo, solo per fare un semplice raffronto, il comune di Catanzaro è passato da 81.548 abitanti residenti nel 1968 a 89.712 abitanti residenti al primo gennaio del 2018. Per cui la popolazione catanzarese è aumentata di 8.164 abitanti (163,28 abitanti per anno) pari, in termini percentuali, al 9,1 complessivo%. Conclusione. Rispetto a Catanzaro la popolazione di Lamezia è aumentata di 6.998 abitanti; poco meno del doppio, dunque. Anche il rapporto tra la consistenza delle due popolazioni è mutato. Infatti, mentre nel 1968, la popolazione lametina era pari, in percentuale, al 68,26% di quella catanzarese, nel 2018 è pari al 78,95. Pertanto, in 50 anni il rapporto tra il numero di abitanti di Catanzaro e quello di Lamezia si è ridotto di oltre 10 punti a favore della città della piana. Nel 1968, la popolazione della città era composta da 27.749 maschi (49,88%) e da 27.963 femmine (50,12% = + 0,24% di femmine); al primo gennaio 2018 la popolazione è composta da 34.833 maschi (il 49,17%) e da 36.001 femmine (il 50,83% = + 1,66% di femmine). La prevalenza delle femmine sui maschi, che già era stata pag. 16

registrata dai rilevamenti del 1968, permane; anzi si è accentuata in quelli del 2018. Un notazione finale per dire che nel medesimo periodo 1968-2018, la popolazione residente in Calabria è diminuita di ben 110.467 unità, pari al 5,64%. Ammontava infatti a 2.067.154 nel 1968, si è ridotta, secondo l’ISTAT, ad 1.956.687 nel 2018. La Calabria, infatti, è una delle regioni meno prolifiche d’Italia e con un rilevante numero i persone che emigrano, come negli anni ’60, verso il Settentrione o l’estero. Dove ci porterà questo continuo ed allarmante depauperamento di capitale umano è difficile cercare di divinare. Dal punto di vista politico, il commino di Lamezia, è stato non accidentato, ma catastrofico. Ed è allarmante, questo trend fallimentare, anche per il futuro se non si sarà capaci di invertirne la rotta. Alcuni dati, benchè sommari, potranno far comprendere le condizioni di degrado civile, prima che politico, in cui si è impantanata la città fin dalla sua nascita. Dal 7/8 giugno 1970, quando si tennero le prime consultazioni amministrative della nuova città, al 15 giugno del 2015, quando si sono tenute le ultime, prima dell’insediamento dell’attuale amministrazione straordinaria, si sono succedute 10 amministrazioni comunali. Di queste ben sette sono terminate prima della loro conclusione naturale perché i loro consigli sono stati sciolti. Dei sette sciolti, tre (1992-2002-2017) lo sono stati, come tutti sanno, per la presenza nel consiglio comunale di persone che sono state elette con l’appoggio della malavita organizzata oppure hanno agito in combutta con ambienti malavitosi, la cui attività criminale è stata portata allo scoperto dalle indagini degli organi competenti. Quindi, le amministrazioni che hanno concluso il loro ciclo naturale sono state in tutto sole tre. La prima amministrazione Lo Moro (dal 1993 al 1998), nonchè le due amministrazioni Speranza (2015-2010 e 2010-2015). La seconda amministrazione Lo Moro fu sciolta prima della scadenza in seguito alle dimissioni del sindaco, che aveva deciso di presentarsi candidata alle successive elezioni regionali. Le rimanenti altre tre amministrazioni, a cominciare dalla prima 1970-1975, furono sciolte perché i diversi partiti presenti in consiglio comunale si dimostrarono incapaci di lavorare in modo concorde per la città. Litigarono. E, conseguentemente, mandarono a carte quarantotto, prima del termine, l’amministrazione

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comunale pro-tempore, per l’acclarata inettitudine a risolvere i problemi, più o meno urgenti, da quelli di ordinaria amministrazione a quelli strutturali tanto più impegnativi, che la congiuntura politica richiedeva fossero risolti in quel momento. Da questo punto di vista il confronto con Catanzaro è improponibile, perché nella Città dei Tre Colli si sono succedute, nel medesimo periodo di tempo, amministrazioni stabili ed efficienti, mai sciolte né per collusioni mafiose né per incapacità amministrativa. Quindi, amaramente bisogna concludere che a Lamezia la stabilità amministrativa è stata finora una lontana, irraggiungibile chimera... una eccezione; mentre la instabilità, certificata dai ripetuti scioglimenti, per motivazioni varie, degli organismi amministrativi, la regola. Questo modo di essere della politica lametina affonda le sue radici, a mio personale parere, in cause culturali profonde. Innanzitutto, nella qualità di un ceto politico che, salvo le dovute eccezioni, risulta essere sempre più eticamente mediocre e culturalmente impreparato; ma anche nell’incapacità delle élite lametine d’ impegnarsi in un’opera “appassionata” di costruzione civica della propria città. Ma risiede anche, infine, nella scarsa propensione del corpo sociale, nel suo complesso, di liberarsi di tanti comportamenti di minuta illegalità, certamente non identificabile con comportamenti malavitosi, di cui però risulta impregnato. E che costituisce il brodo di coltura, quando si trasforma in una mentalità quotidiana e diffusa, in cui vivono e vegetano e si riproducono le cosche ‘ndranghetistiche che le ricorrenti inchieste giudiziarie di questi ultimi hanno permesso di portare alla luce. Il lavoro di maturazione culturale, nel senso dell’impegno di elaborazione di un senso civico che sia immune da pratiche clientelari e trasformistiche, da familismo e dalla ricerca del proprio “particulare”, e della correlata creazione di un èthos condiviso che predisponga verso la partecipazione per la costruzione di una città più civile, democraticamente progressiva ed inclusiva, è tanto indispensabile ed urgente quanto più ancora è lontano

Lamezia e non solo


dall’essere realizzato in modo soddisfacente. In questi cinque decenni di esistenza della città, tanto lo sviluppo economico e sociale è stato lento, quasi inesistente, quanto le cosche ‘ndranghetistiche si sono moltiplicate e diventate sempre più attive, penetranti, feroci. Bisogna, tuttavia rilevare, con la dovuta soddisfazione, che sia le forze dell’ordine che la magistratura hanno effettuato una costante ed efficace azione di contrasto che ha ridotto, se non eliminato del tutto, le varie ‘ndrine operanti nel Lametino. Sono pervenute a risultati di grande rilievo e perciò penso che la popolazione debba a tutti loro gratitudine e riconoscenza. Ed essere più disponibile alla collaborazione con esse. Il territorio di Lamezia Terme si stende per 16.400 ettari, fra 0,0 m. sul livello del mare e 1.040 metri delle cime più alte delle sue colline/montagne. Le sue condizioni naturali, pertanto, erano e rimangono ottime, splendide. La città fu creata sulla base del presupposto che dovesse essere una “cittàregione”. Una città, cioè, che situata nel cuore della Calabria, adagiata sulla piana lametina difronte all’omonimo golfo, dovesse svolgere un ruolo nell’interesse e per il progresso dell’intera regione….. Di più, all’atto della creazione, nel 1968, il territorio della nuova città, inglobando il comune di Sant’Eufemia Lamezia, risultò depositario di un insieme di capitale fisso sociale che non aveva eguali con altri territori della Calabria e, forse, dell’intero Meridione. Le sue infrastrutture erano costituite: dal nodo ferroviario più importante della regione perché situato al suo centro; dall’autostrada del sole in via di ultimazione; dalla super-strada 208 dei Due mari che avrebbe collegato Lamezia con Catanzaro, capoluogo di provincia, attraversando da una parte all’altra l’intero Istmo lametino/ scilletino; dall’antica strada statale litoranea 18; da un importate aeroporto internazionale, in fase di costruzione, considerato di grande rilevanza strategica anche per il turismo calabrese. Infine, con la legge n. 634 del 1957 erano stati creati, in Italia, i “poli di sviluppo industriale” e la piana lametina, e quindi il territorio della città, era stata individuata come il primo luogo, in senso assoluto, dove allocare le risorse per crearne uno. Il polo industriale, gestito da un Consorzio tra molti comuni del circondario, avrebbe dovuto, inoltre, costituire uno strumento di propulsione industriale che dalla piana avrebbe dovuto irraggiare i propri effetti positivi su tutto il territorio comprensoriale ed anche oltre. Con tale armamentario, naturale e infrastrutturale, la nuova città pose la sua candidatura per la risoluzione, nel suo ambito, di due importantissimi problemi, due vexate quaestiones (come allora fu enfaticamente declamato) che in quel torno di tempo cercavano la più acconcia ubicazione. La scelta della città-capoluogo di regione e la scelta del luogo più conveniente e favorevole, che potesse andare incontro nel modo migliore alle esigenze delle genti calabresi, in cui ubicare la sede della nascente Università della Calabria. Sappiamo tutti come le vicende Lamezia e non solo

andarono a finire. Tutto fu risolto con il metodo della “spartizione”, anzicchè con quello della “globalità” com’era stato proposto dal lametino, sen. Arturo Perugini. A Catanzaro furono attribuiti il Consiglio e la Giunta regionale; a Reggio Calabria, l’Assemblea regionale, ed a Cosenza, il boccone più ghiotto, l’ Università della Calabria. Alcuni altri territori periferici, che tali sono rimasti, furono accontentati con iniziative industriali che non entrarono mai in produzione: La Sir a Lamezia; il Quinto Centro siderurgico a Gioia Tauro, la Liquichimica a Saline Jonica. Metabolizzata questa cocente delusione per il prevalere degli egoismi regionali a discapito di uno sviluppo integrato e generale di tutta la regione, Lamezia avrebbe dovuto rimboccarsi le maniche e diventare, comunque, una città progredita, sviluppata. Anche bella. Questo, invece, non è stato possibile per i motivi a cui sopra ho accennato: la instabilità politica, la inconcludenza politico/amministrativa, lo scarso impegno delle èlite, l’indifferenza e la non partecipazione del corpo sociale, la presenza delle cosche malavitose. Nel 1972 fu approvato il “Piano di fabbricazione”, con validità decennale e con la possibilità d’interventi parziali, attraverso cui si regolamentava, urbanisticamente, il territorio della città, in attesa che venisse approvato un Piano regolatore generale (oggi, PSC = Piano strutturale comunale) che raccordasse, innanzitutto, i tre centri di cui la città risultava costituita e la lanciasse verso uno sviluppo progressivo ed ordinato. Nulla di tutto questo è successo. C’è voluto un quarto di secolo perché si giungesse, nel 1997, ad un piano regolatore, dall’ampiezza abbastanza contenuta, sotto la prima amministrazione Lo Moro. Sarebbe stato necessario invece, l’apprestamento di un Piano che completasse il riordino della città e la raccordasse nelle sue diverse e sparse componenti territoriali. Siamo giunti ai giorni nostri, ed ancora dell’approvazione di un PSC definitivo non se n’è vista nemmeno l’ombra. In compenso la città è andata avanti, fino ai giorni nostri con manifestazioni di indignazione, proteste, canee di vario genere, perchè gli interessi che si muovono intorno alla sua formulazione e conseguente adozione sono più forti del perseguimento dell’interesse generale. La conseguenza di questa indecente rissa è stata la paralisi che impedisce alla città di avere un PSC moderno ed efficiente che le consenta di procedere e progredire. Anche sul piano dello sviluppo industriale e, più in generale, produttivo le realizzazioni cui si è pervenuti, non sono esaltanti. I tre ex comuni erano contraddistinti da un serie di attività che ne connotavano, in modo originale, il tessuto produttivo. Nicastro, sede delle libere professioni e delle principali istituzioni civili e militari, di un artigianato ampio e di notevole qualità, di attività terziarie diffuse; Sambiase, sede di attività agricole e termali; Sant’Eufemia sede dell’apparato infrastrutturale. A cinquant’anni di distanza la situazione che si presenta all’occhio dell’osservatore è

grosso modo questa: l’artigianato è scomparso quasi del tutto; il terziario si è gonfiato in modo ipertrofico, anche con tante attività di tipo parassitario ed improduttivo; le attività e il lavoro agricoli si sono di molto ridotti mano a mano che ampie porzioni di territorio della piana sono state urbanizzate, con costruzioni anche abusive, che in città è presente con percentuali notevoli; il turismo è pressocchè inesistente. Le Terme di Caronte si limitano a curare, ma non svolgono alcun ruolo propulsivo. Il Consorzio creato per gestire, come ho accennato sopra, il polo di industrializzazione non ha avuto alcuna capacità di spinta ed espansione riguardo alla industrializzazione della città e del suo comprensorio, tranne alcune non molto rilevanti attività dovute più che altro al coraggio di piccoli imprenditori, ma che non hanno modificato in modo strutturale e risolutivo l’impianto produttivo della città e del suo territorio. Altro male endemico che ha da sempre contraddistinto la città è l’alta percentuale di disoccupazione persistente, soprattutto fra i giovani e le donne. A questo si aggiunge un notevole tasso di emigrazione di giovani di ambo i sessi, soprattutto di quelli provvisti di titoli di studio e preparazione qualificata. Con rincrescimento bisogna prendere atto che non si sono sapute sfruttare le notevoli potenzialità che in questo campo offrono non solo le bellezze naturali, montane e marine, del suo territorio, ma i giacimenti culturali che vi sono allocati. Lamezia - città della Sirena Ligea, cantata dal poeta Licofrone nell’Alessandra, il cui corpo venne depositato, a detta dell’antico poeta, dalle onde marine alle foci del fiume Ocinaro (= odierno Bagni) ed erede della magnogreca grande città di Terina, le cui monete argentee erano considerate le più belle del mondo greco, distrutta e rasa al suolo da Annibale perché non cadesse integra nelle mani dei romani - potrebbe svolgere un ruolo di notevole portata dal punto di vista di un turismo integrato, con particolare riguardo al turismo culturale. Ma, c’è da chiedersi: i cittadini hanno mai avuto consapevolezza della sua consistenza e del ruolo strategico che un tale patrimonio può avere nello sviluppo culturale ed anche in quello economico della città? Il ceto politico/amministrativo è mai stato capace, in questi lunghi 50 anni, di averne la dovuta considerazione e metterlo ai primi posti nei propri programmi di governo? Altri gravi problemi persistono e costituiscono un collo di bottiglia quasi, da cui è impossibile uscire con facilità per un cammino di cambiamento e di progresso.

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Spettacolo

Successo a Roccella per la prima di “Il magico mondo di Alice” della compagnia

“A regola d’arte”

Successo per la prima del musical “Il magico mondo di Alice”, realizzato dalla compagnia teatrale lametina “A regola d’arte” diretta dal M° Tiziana De Matteo, che ha debuttato nei giorni scorsi all’ auditorium comunale “ Unità d’Italia” di Roccella Ionica, aprendo così un lungo tour della compagnia lametina in numerose città calabresi. Un cast di oltre venti persone, che ha messo insieme gli studenti di diversi istituti scolastici lametini, a cui si sono aggiunti giovani di Reggio Calabria venuti a Lamezia per preparare lo spettacolo. Effervescente la performance della docente Michela Cimmino, nei panni della Regina di cuori, che nei mesi scorsi, parallelamente al lavoro teatrale, ha stimolato gli studenti a riflettere sul valore letterario e sul messaggio etico del noto romanzo di Lewis Carroll. Ottima la sintesi tra la fiaba e la realtà, tra il fantastico del racconto e l’attualità del messaggio, resa ancor più coinvolgente dalla scenografia curata da Andrea De Munno.Il progetto,per la Stagione in corso, si è arricchita della professionalità e collaborazione sinergica della scuola di danza

“Ruskaia” diretta da Sefora Caimano. Questi gli ingredienti di una produzione tutta lametina che, dal cappellaio matto all’accogliente bianconiglio ai soldati-carte fedeli servitori della Regina di cuori, ha visto i giovani attori lametini, con i costumi realizzati dagli stessi ragazzi della compagnia, condurre gli spettatori insieme alla candida e romantica Alice in quel mondo sotterraneo fatto di paradossi e assurdità, così distante eppure così vicino al mondo quotidiano in cui prima o poi, come per Alice, arriva per tutti il momento di alzare la testa e rendersi conto che il coreografico “potere” del mondo non è altro che “un mazzo di carte”, che la realtà da vivere è un’altra e siamo chiamati a viverla da protagonisti. Un altro successo per la compagnia diretta da Tiziana De Matteo che ormai da anni collabora con il regista Giò Di Tonno e della coreografa Simona Di Marco Berardino. Il tour proseguirà nelle prossime settimane in diversi teatri calabresi anche con gli altri spettacoli messi in scena dalla compagnia lametina: il 12 e il 13 Dicembre all’auditorium “Frammartino” di Caulonia

con “Il magico mondo di Alice” e “Amori rivoluzionari”; il 16 e 17 gennaio al Cilea di Reggio Calabria “Il magico mondo di Alice” e “Amori rivoluzionari”; il gran finale il 28 febbraio “Il magico mondo di Alice” al teatro Rendano di Cosenza “Il successo della prima de “Il magico mondo di Alice” – dichiara la direttrice Tiziana De Matteo - è frutto del lavoro di squadra che in questi mesi abbiamo condotto tutti insieme , e ringrazio in particolare per la passione e la carica che ognunodi loro, indistintamente, mette in ogni progetto. Resta indubbiamente il rammarico per esser stati costretti a mettere in scena per la prima volta lo spettacolo in un’altra città, a causa delle note vicende riguardanti i teatri e i principali siti culturali lametini. L’impegno della nostra associazione è anzitutto valorizzare il teatro e il canto come occasione di crescita umana e come mezzo per educare e rieducare, soprattutto le nuove generazioni, alla bellezza e alla riscoperta di sentimenti e valori senza tempo”.

base della popolazione? 5. L’insediamento dei rom di contrada Scordovillo, creato nel 1982 ed inaugurato il 27 gennaio 1983. Perché in 35 anni non è stato possibile sistemare in modo decente le famiglie (composte da cittadini italiani….) che vi abitano in condizioni di assoluta abiezione e bonificare il sito? 6. Corso Numistrano. Perché il monumento, più bello, prezioso, il “salotto della città”, che i nostri antenati hanno saputo costruire in modo mirabile lasciandocelo in eredità perché lo custodissimo e migliorassimo è stato ridotto ad un indecente e degradato spazio di parcheggio per macchine in tutti i giorni dell’anno ed in una “carreggiata” per il transito di veicoli di ogni genere, sia di giorno che di no... te sempre...? L’elenco non si esaurisce con i punti sopra esposti. Potrebbe continuare... all’infinito... E tuttavia, bisogna metterlo bene in evidenza,

Lamezia, dal punto di vista culturale è una città molto vivace. Seconda forse, solo a Cosenza ed al suo hinterland. Ma nel territorio dell’ ex Capitale dei Brettii opera una Università che è centro di irradiazione di innovazione, cultura, saperi. Lamezia non possiede una struttura simile; ma nonostante questo limite varie associazioni, giovanili soprattutto, vanno sempre più nascendo e crescendo di numero e qualità e, con esse, anche una serie di attività culturali, con le quali si tenta di incidere in senso progressivo e moderno nella mentalità generale. Da esse, da queste associazioni e dalle variegate attività messe in campo, è necessario ripartire, armati più che altro dall’ottimismo della volontà per sperare in un futuro migliore, nei prossimi cinquanta anni, di quello vissuto dalle generazioni che l’hanno abitata in questi primi cinquanta che ci lasciamo alle spalle.

continua da pag.17

E con i quali qualunque amministrazione comunale che s’insedierà dopo la parentesi della gestione commissariale dovrà fare i conti. Questioni non da poco, a cui mi è possibile solo accennare. 1. Il pagamento dei tributi. E’ vero che a Lamezia esiste una evasione di oltre il 50%, che raggiunge punte fino al 70%? 2. L’abusivismo edilizio. E’ vero che esistono “5.470 fabbricati cosiddetti fantasma, non accatastati non censiti nè inseriti nei ruoli comunali, che hanno gli allacci a tutti i servizi e non pagano i relativi tributi?” 3. “E’ vero che esistono 400 fabbricati abusivi che dovevano essere demoliti in seguito a decisione dell’autorità giudiziaria e finora non lo sono stati?” 4. La qualità e quantità dei servizi. E’ riduttivo qualificarle come mediocri, insufficienti, che non soddisfano completamente le esigenze di pag. 18

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ARTE E DINTORNI

MATTEO CURCIO

L’ARTE COME FASE D’INCONTRO TRA LO S P I R I T O E L A M AT E R I A

di Fernando Conidi

INTERVISTA - prima parte

Affrontiamo il tema dell’arte pittorica con un artista calabrese d’eccellenza. Le sue opere adornano molte chiese della nostra regione e rappresentano l’arte espressiva di una delle maggiori figure artistiche del territorio calabrese. L’INTERVISTA Matteo, lei è un artista giovane, dotato già di un grande talento, come nasce la sua arte? Sono un pittore autodidatta, non ho mai frequentato dei corsi, ho sempre studiato la pittura antica, prima come passione, in seguito come mia formazione professionale. La sua tecnica, tra chiaroscuri e colore si avvicina a quella di artisti del Seicento. Lei è attratto da questo tipo di tecnica e la utilizza molto spesso nelle sue opere, fa parte del suo modo di esprimersi? La mia tecnica si rifà alla pittura del ‘600; è una continua ricerca di perfezionamento stilistico e fa assolutamente parte del mio modo di comunicare. Cosa vuole comunicare con le sue opere, che tipo di messaggio vuole trasmettere con la sua arte? L’amore, innanzitutto, e la capacità di sentirsi liberi attraverso di esso. Cerco di trasmettere una libertà intellettuale e morale, senza schemi prefissati. Mi servo spesso di corpi nudi per esprimere la totale libertà dell’animo umano, quasi come a volersi spogliare di una società corrotta. E poi, cerco di trasmettere il sogno, attraverso volti dormienti o pensanti, come a voler portare la mente altrove, dove la speranza è la prima meta di un viaggio personale.

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Matteo Curcio durante la realizzazione dell’opera destinata al Santuario di San Francesco di Paola, di Catona, Reggio Calabria

Secondo lei, nell’arte, qual è il legame tra la capacità di comunicare e la tecnica utilizzata? Beh, tutte e due le cose sono importanti, una è legata all’altra. Sul mercato ci sono opere tecnicamente impeccabili ma prive di sentimento, della capacità di portare lo spettatore a viaggiare con la mente; altre che, invece, con pochi tocchi, riescono a sfiorare l’anima e il sentimento della gente, perché ricche di contenuti e messaggi commoventi. La capacità di comunicare e la tecnica sono facce della stessa medaglia; un vero artista deve ricercare il massimo in entrambe le cose per raggiungere una completezza assoluta nella composizione da lui ideata. Lei ha realizzato molte opere a sfondo religioso, la sua è anche una ricerca spirituale, di fede? Assolutamente si! Ho avuto la fortuna di dipingere per un importante mecenate, mons. Giuseppe Fiorini Morosini, arcivescovo della Diocesi di Reggio Calabria-Bova. Egli mi ha scoperto da giovanissimo e mi ha fatto conoscere luoghi di fede straordinari, dove ho potuto trovare l’ispirazione necessaria per creare

opere sacre per molti luoghi di prestigio della Calabria. Mons. Morosini è stato una figura indispensabile per la mia formazione spirituale e artistica. Lei ha realizzato un’opera di dimensioni notevoli per il Santuario di San Francesco di Paola, di Catona di Reggio Calabria, in occasione del 550° anniversario della traversata dello stretto di Messina del santo calabrese. Qual è la sua personale riflessione, la sua emozione, per un’opera così importante? L’opera è stata realizzata su una tela delle dimensioni di circa sei metri per tre. L’emozione è stata molta in quest’opera, per tutto il tempo della sua realizzazione. Ho iniziato prima con un dolce timore, poi, viste le dimensioni, c’è stato un turbamento nel vedere quella grande tela bianca che attendeva di divenire materia. Durante la sua realizzazione ho vissuto diversi momenti di ripensamento, ma, per fortuna, solo nella mente, perchè alla fine ha vinto il mio cuore e la mia determinazione. CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO

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Rubrica di Antonio Saffioti totosaff@gmail.com

La disabilità dipinta di FRIDA KAHLO Per questo Natale, voglio narrarvi la storia, della mia amata Artista Frida Kahlo, di cui sarei stato volentieri un amante o anche solo un amico. Lei come me ha vissuto una vita di disabilità, con ideali Comunisti, una sessualità rivoluzionaria e la mia comune sofferenza per l’utilizzo di un fastidioso busto, per sorreggere una schiena malandata e dolorante. Malgrado tutto, ha vissuto sempre al massimo e anche in questo la sento molto vicina a me. Frida Kahlo era nata nel 1907 a Coyoacán, all’epoca un sobborgo di Città del Messico. La madre aveva origini meticce, il padre, fotografo, era nato a Baden-Baden. I suoi genitori, infatti, ebrei ungheresi, erano emigrati in Germania. A sei anni Frida si ammalò di poliomelite (Anche se studi recenti dimostrano, fosse, affetta da spina bifida, erroneamente scambiata per poliomielite dai genitori e le persone a lei intorno, probabilmente perché sua sorella soffriva di questa malattia). La gamba e il piede destro divennero molto esili, provocandole un’andatura claudicante che le fece guadagnare il soprannome di “Frida gamba di legno” al quale reagì diventando molto spericolata, dimostrando di saper compiere vere e proprie acrobazie su biciclette e pattini, arrampicandosi su alberi e scavalcando muretti. «A sei anni – scrive – ebbi la poliomielite. «A partire da allora ricordo tutto molto chiaramente. Passai nove mesi a letto. Tutto cominciò con un dolore terribile alla gamba destra, dalla coscia in giù. Mi lavavano la gambina in una bacinella con acqua di noce e panni caldi. La gambina rimase molto magra. A sette anni portavo degli stivaletti. All’inizio pensai che le burle non mi avrebbero toccata, ma poi mi fecero male, e sempre più intensamente». Dopo aver frequentato il liceo, Frida viene ammessa al migliore istituto superiore del Messico, la Escuela Nacional Preparatoria: il suo sogno è di diventare medico. E’ l’unica ragazza a fare parte del gruppo studentesco dei Los Cachuchas (così chiamati per i loro berretti) che si interessano di letteratura e sostengono le idee socialiste-nazionaliste di José Vasconcelos, da poco nominato ministro della Pubblica Nonostante la sua determinazione ed il suo impegno, la vita di Frida non è resa facile dal contesto in cui vive. La sua disabilità (come purtroppo capita ancora oggi) è oggetto di scherno e denigrazione, e gli atti di bullismo non mancano. Ma sarà proprio la disabilità a rappresentare l’immagine della sua arte, in seguito al fatidico incidente. Il 17 settembre 1925 l’autobus con il quale Frida stava tornando a casa da scuola, si scontrò con un tram. Diverse persone morirono sul colpo e Frida rimase gravemente ferita. Frattura della terza e quarta vertebra lombare, tre fratture al bacino, undici fratture al piede destro, lussazione al gomito sinistro, la spalla destra slogata permanentemente, ferita penetrante all’addome prodotta da un corrimano che entrò nell’anca sinistra per uscire attraverso il sesso, compromessa la possibilità della maternità. L’incidente la costrinse in ospedale per tre mesi e successivamente, a causa delle fratture alle vertebre lombari, a indossare per nove mesi diversi busti di gesso. Fu in questo periodo che, dovendo rimanere sdraiata, per ingannare il tempo, iniziò a dipingere. Si fece costruire una specie di cavalletto e un baldacchino sul quale fissò uno specchio in modo da potersi vedere e utilizzare la sua immagine come modello. «Da molti anni – scrive – mio padre teneva in un angolo del suo piccolo studio fotografico una scatola di colori a olio, un paio di pennelli in un vecchio bicchiere e una tavolozza. […] Già da bambina mi sentivo attratta dalla scatola dei colori, senza saperne il pag. 20

perché. Nel periodo in cui dovetti rimanere a lungo a letto approfittai dell’occasione e chiesi a mio padre di darmela. Me la “prestò”, come un bambino a cui si porta via un giocattolo per darlo al fratello malato». Questa situazione la spinse a leggere libri sul movimento comunista e a dipingere. Il suo primo lavoro fu un autoritratto, che donò al ragazzo di cui era innamorata. Incominciò così la serie di autoritratti. “Dipingo me stessa perché passo molto tempo da sola e sono il soggetto che conosco meglio” affermò. Dopo che le fu rimosso il gesso riuscì a camminare, con dolori che sopportò per tutta la vita. Fatta dell’arte la sua ragion d’essere, per contribuire finanziariamente alla sua famiglia, un giorno decise di sottoporre i suoi dipinti a Diego Rivera, illustre pittore dell’epoca, per avere una sua critica. Rivera rimase assai colpito dallo stile moderno di Frida, tanto che la prese sotto la propria ala e la inserì nella scena politica e culturale messicana. Divenne un’attivista del Partito Comunista Messicano a cui si iscrisse nel 1928. Partecipò a numerose manifestazioni e nel frattempo si innamorò di Diego Rivera. Nel 1929 lo sposò (lui era al terzo matrimonio), pur sapendo dei continui tradimenti a cui sarebbe andata incontro. Conseguentemente alle sofferenze sentimentali ebbe anche lei numerosi rapporti extraconiugali, comprese varie esperienze omosessuali. In quegli anni al marito Diego furono commissionati alcuni lavori negli USA, come il muro all’interno del Rockefeller Center di New York, e gli affreschi per la Esposizione universale di Chicago. A seguito dello scalpore suscitato dall’affresco nel Rockefeller Center, in cui un operaio aveva il volto di Lenin, gli furono revocate tali commissioni. Nello stesso periodo del soggiorno a New York, Frida si accorse di essere rimasta incinta, per poi avere un aborto spontaneo a causa dell’inadeguatezza del suo fisico: ciò la scosse molto e decise di tornare in Messico col marito. I due decisero di vivere in due case separate, collegate da un ponte, in modo da avere ognuno i propri spazi “da artista”. Nel 1939 divorziarono a causa del tradimento di Rivera con Cristina Kahlo, la sorella di Frida. Diego tornò da Frida un anno dopo: malgrado i tradimenti disse che non aveva smesso di amarla. Le fece una nuova proposta di matrimonio che lei accettò con riserve, in quanto era rimasta pesantemente delusa dall’infedeltà del coniuge. Si risposarono nel 1940 a San Francisco. Da lui aveva assimilato uno stile naïf, che la portò a dipingere piccoli autoritratti ispirati all’arte popolare e alle tradizioni precolombiane. La sua intenzione era, ricorrendo a soggetti tratti dalle civiltà native, di affermare la propria identità messicana. Identità messicana evidente anche nel suo modo di vestire. Infatti, Frida si ispirava al costume delle donne di Tehuantepec, un comune di Oaxaca, che ha una reputazione di “società matriarcale”. Le donne comandano i mercati locali e sono famose per deridere gli uomini. Probabilmente questo è stato uno degli aspetti che ha catturato maggiormente la sua attenzione. Il suo dispiacere maggiore fu quello di non aver avuto figli. La sua appassionata (e all’epoca discussa) storia d’amore con Rivera è raccontata in un suo diario. Ebbe numerosi amanti, di ambo i sessi, con nomi che nemmeno all’epoca potevano passare inosservati: il rivoluzionario russo Lev Trockij e il poeta André Breton, fra i tanti altri e altre. Fu amica e probabilmente amante di Tina Modotti, militante comunista e fotografa nel Messico degli anni Venti. Molto probabilmente esercitarono un certo fascino su Frida Kahlo anche la russa Aleksandra Kollontaj (1872-1952), che visse in Messico dal 1925 al

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Carissimi lettori,

un bel libro per il relax delle feste natalizie non può essere che l’ultimo romanzo di Alessia Gazzola: l’ultimo della serie l’Allieva. Ci ritroviamo, di nuovo, alle prese con Alice e Claudio.

Il ladro gentiluomo è una novità delicata, una goccia di miele nella serie: Alice e Claudio sono più sinceri, pur fra le solite varie difficoltà di comunicazione. Ritroviamo tutti i personaggi: dal Supremo, alla Wally, con novità inaspettate e con un intreccio narrativo più che travolgente.

Alessia Gazzola sostiene di aver deciso di lasciare un po’ tranquilla l’eterna coppia in contrasto, per volersi dedicare ad altri progetti narrativi, ma, già fin dalle prime pagine, speriamo che non sia così vero…

Il volume è l’ottavo libro della serie e tutti speriamo che almeno si giunga al decimo episodio della serie. Ci siamo troppo affezionati ai personaggi, agli eterni contenti\ scontenti Claudio e Alice e, leggendo, ci prefiguriamo i personaggi coi volti di Lino Guanciale e Alessandra Mastronardi. Nel romanzo, infatti, troviamo proprio il riferimento di somiglianza di Claudio conforti con Lino Guanciale. Stupisce piacevolmente la cosa, anche se, ormai, non riusciamo più a immaginarci il personaggio diversamente. Il chiaro omaggio al celeberrimo attore abruzzese ci sorprende, ma ci fa sognare meglio e i fans (come me) di Lino, ne sono felici. La simpatia e la maestrìa di Guanciale si sposano benissimo con la complessità del personaggio. E Alice la immaginiamo sempre come in TV: riflessiva, un po’ indecisa, tanto dolce… Più matura, forse, i questo romanzo, ma non

1926 come ambasciatrice di Mosca, la ballerina, coreografa e pittrice Rosa Rolando (1897-1962) e la cantante messicana Chavela Vargas (1919-2012). In Messico, durante il periodo post-rivoluzionario, le donne della generazione di Frida Kahlo arrivavano all’emancipazione principalmente per il tramite della politica; probabilmente anche per la stessa ragione la pittrice si iscrisse al Partito Comunista Messicano. Nel 1950 Frida venne ricoverata per nove mesi in ospedale e operata altre sette volte alla colonna vertebrale. Per dipingere fece montare sul letto un cavalletto speciale che le permetteva di lavorare pur rimanendo sdraiata. Frida faceva fatica a camminare, spesso si muoveva in carrozzina e stava molto tempo in casa. Fatta eccezione per Rivera, frequentava solo donne. Dipingeva a letto e, quando poteva, nello studio o in giardino. Negli ultimi anni dipinse soprattutto nature morte. Dal 1951, a causa dei dolori, ricorreva all’uso di farmaci antidolorifici che resero i suoi lavori meno precisi e accurati in un periodo in cui sentiva più forte il desiderio di esprimere nei suoi dipinti la sua ideologia politica, visto che dal ’48 si era nuovamente iscritta al Partito Comunista. Nel 1953 Frida Kahlo fu tra i firmatari (con Bertolt Brecht, Dashiell Hammett, Pablo Picasso, Diego Rivera, Jean Paul Sartre, Simone de Beauvoir e papa Pio XII) della richiesta di grazia per i coniugi Rosenberg, comunisti americani condannati a morte e poi giustiziati a New York per presunto spionaggio a favore dell’URSS. Nella primavera del 1953 fu allestita la prima mostra personale in Messico e fu un enorme successo. La sera dell’inaugurazione Frida stava molto male, pag. 21

meno affascinante.

La lettura si snoda con enorme piacevolezza, nonostante qualche piccola battuta d’arresto che non vi anticipo. Non si prova il desiderio solito di divorare il libro, proprio perché si teme il silenzio annunciato dell’autrice e, proprio per questo, centellinando le pagine, si gusta di più ogni singola pagna: si prova la gioia di procedere di pari passo con il narrato.

Il protagonista del caso è insolito e la trama del giallo è piena di suspense, indicatissima per i pomeriggi da trascorrere in compagnia di un libro, durante le feste natalizie. Un bel regalo, dunque, da fare agli amici, che vi farà ricordare, ma anche un bel regalo per voi stessi, perché un libro per Natale è un regalo pieno di gioia: è un modo per restare a fianco degli amici anche quando non si sta vicini. Un carissimo AUGURIO perché le feste siano fra le più felici da vivere, perché il Natale porti gioia vera e il Nuovo Anno porti il meglio per tutti. Siate felici, leggendo e amando.

ma non voleva mancare al vernissage. Si fece quindi trasportare in ambulanza e portare il letto in galleria, partecipò alla festa bevendo e cantando insieme al pubblico. Ad agosto 1953, i medici decisero di amputarle la gamba fino al ginocchio. Morì di embolia polmonare a 47 anni nel 1954. Fu cremata e le sue ceneri sono conservate nella sua Casa Azul, oggi sede del Museo Frida Kahlo. Le ultime parole che scrisse nel diario furono: “Spero che l’uscita sia gioiosa e spero di non tornare mai più.” Io ho scoperto Frida, grazie alla canzone e all’album, “Viva la vida” del gruppo musicale britannico Coldplay, pubblicato a giugno 2008, il titolo dell’album e della canzone è stato ispirato, dalla frase Viva La vida scritta nel quadro che Frida Kahlo ha dipinto otto giorni prima di morire e che ha proprio questo titolo. Chris Martin (frontman dei Coldplay) ha dichiarato di aver scelto di utilizzare come titolo la frase dell’artista messicana perché: «Come sappiamo lei è passata attraverso tanta di quella m**da ( era affetta da spina bifida, soffriva di dolori cronici e in seguito ad un incidente dovette sottoporsi a 32 interventi) eppure dopo tutto ciò ha voluto realizzare un grande quadro in cui si leggeva, appunto, Viva la vida. Ho amato il coraggio di questo gesto». La vita di Frida Kahlo è stata una vita intensa e crudele, ma la grandezza della sua arte ha sovrastato qualsiasi pregiudizio ed etichetta, salvandola dall’essere ricordata come “una povera vittima disabile”. Frida Kahlo è stata una donna che ha sempre affrontato la sua vita opponendosi alla sorte avversa e dimostrando una grandezza propria solo degli artisti, riuscendo a trasformare la sua immobilità obbligata in un’opportunità artistica e la sofferenza in arte.

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La parola alla Psicologa

L’ASCOLTO PSICOLOGICO DEGLI ADOLESCENTI Circa duemila anni fa un pensatore-filosofo greco, Plutarco, scrisse l’opera “L’arte di ascoltare”. Nel suo scritto Plutarco si rivolge ai giovani con l’intento di avvicinarli all’arte di ascoltare. Cerca di convincerli che la conoscenza del mondo, e di se stessi, passa dalla disposizione ad accettare gli altri per come sono e dalla capacità di usare i modi giusti per metterli in condizione di esprimersi. Arriva a dire che “l’ascoltatore fino e puro deve immergersi con la concentrazione fino a cogliere il senso profondo del discorso e la reale disposizione d’animo di chi parla.” Il primo ascolto che preadolescenti e adolescenti dovrebbero poter trovare è quello in famiglia. Parlare oggi di famiglia è quanto mai complicato e reso difficile dal fatto che sembra prevalere la situazione di famiglie fragili e poco attenti alle tematiche adolescenziali, presi dai mille problemi quotidiani, sembrerebbe che per ascoltare i propri figli non ci sia mai tempo o comunque si possa sempre rimandare ad altri momenti. Quando i figli entrano nella fase adolescenziale, molti genitori, infatti, cominciano a vivere grandi difficoltà a proseguire nella comunicazione e nel dialogo così come era avvenuto nelle fasi precedenti. Trovarsi di fronte ad una persona che cambia, nell’aspetto fisico, nei gusti, nei modi di essere, nelle idee può generare difficoltà notevoli di comprensione al punto che una delle domande più frequenti che i genitori fanno è la seguente: chi è e cosa sta diventando mio figlio/a? Oramai in casa viviamo con uno/a sconosciuto/a. Alcuni genitori arrivano anche a non riconoscere, nella persona che hanno davanti, il figlio/a tanto amato e coccolato negli anni precedenti. L’adolescenza è una fase di transizione dallo stadio del bambino a quello dell’adulto. Sentono la necessità di sentirsi “grandi”, ma ancora non hanno tutti gli strumenti per affrontare la vita adulta, e soprattutto, vorrebbero usufruire dei vantaggi dell’adulto senza però assumersene le relative responsabilità. Spesso gli adolescenti si sentono soli ed incompresi, sia dai familiari sia dagli amici. Pensano che nessuno possa capirli e che comunque per ognuno di loro è diversa la fase che stanno attraversando. Vorrebbero parlare e sfogarsi, ma non sempre è facile accettare le proprie fragilità e quindi diventa difficile fidarsi di un adulto (genitori, nonni, fratelli, coach, amici…) con il quale confrontarsi senza sentirsi giudicato. A volte ci si sente “Persi”, senso di disorientamento, confusione. Sono sensazioni più o meno consapevoli, che molti adolescenti, ma anche molti adulti, sperimentano nella propria vita. Quando a ciò si affianca anche quella dell’essere soli, di non ricevere aiuto da nessuno – in modo particolare dai propri genitori o dai propri amici – il quadro che viene a comporsi è certamente critico. Se già è difficile per un adolescente far fronte alle sue “normali” crisi evolutive non è difficile immaginare il senso di angoscia, di vuoto, di abbandono, di sconfitta che possono provare gli adolescenti che si sentono soli. Non è facile capire di avere bisogno di aiuto ed accettare di chiederlo. Non sempre la richiesta di aiuto avviene in maniera diretta, spesso gli adolescenti mettono in atto comportamenti oppositivi oppure problematici, attraverso i quali esprimono una tacita richiesta di aiuto. Proprio per questi motivi, da diversi anni, si è pensato di aprire degli sportelli di ascolto nelle scuole e nelle strutture sopag. 22

cio-sanitarie pubbliche e private; questo intervento è complesso e delicato, in quanto si caratterizza come consulenza di natura psicologica, finalizzata all’analisi di un bisogno e di una domanda adolescenziale, espressa o sottesa, confusa e/o negata spesso con la sola la sensazione di “qualcosa che non va”. L’ascolto e la consulenza servono all’adolescente: per praticare uno spazio ed un tempo di riflessione sul significato di ciò che sta avvenendo nella sua vita, del perché avviene; per contestualizzare il problema esposto vivendolo come un momento del percorso evolutivo che si svolge nel tempo; per percepire un futuro “migliore” del presente. L’adolescente vive diverse problematiche e possono essere molti gli eventi stressanti (o percepiti come tali): difficoltà scolastiche; bullismo; pensieri e sentimenti negativi su se stessi; cambiamenti nel proprio corpo; difficoltà relazionali con gli amici o con i compagni di classe; un ambiente di vita non adeguato; separazione o divorzio dei genitori; malattie croniche o gravi in famiglia; la morte di una persona amata; cambiamenti di casa o di scuola; aspettative eccessivamente elevate; problemi finanziari in famiglia. Quali sono gli indicatori comportamentali degli adolescenti che ci aiutano a capire che stanno vivendo un malessere: scarsa capacità di autocontrollo; intensa irritabilità; isolamento sociale oppure chiusura relazionale; esplosioni d’ira. Come possono gli adulti accorgersi delle difficoltà che gli adolescenti stanno vivendo e che affrontano in maniera ansiosa? Bisogna ASCOLTARLI, a casa, a scuola, sui social; capire e comprendere il disagio che stanno vivendo, dimostrandogli indulgenza e sostegno in modo da affrontare le difficoltà che quotidianamente devono affrontare nella loro vita. Dicono che la natura ci abbia fornito un paio di orecchie, ma una lingua soltanto, per costringerci ad ascoltare di più e parlare di meno. Lo psicologo ha il compito di comprendere l’adolescente e cercare insieme di fare un lavoro introspettivo sulle dinamiche che lo fanno stare male. Le qualità necessarie per svolgere l’ascolto psicologico sono la competenza, l’affidabilità, la capacità di fornire informazioni chiare e precise usando un linguaggio semplice, la capacità di mettere a proprio agio l’adolescente, l’empatia, di chiarificazione dei problemi, il comportamento amichevole, ma senza assumere atteggiamenti collusivi o di complicità. CHIEDERE AIUTO non è indicativo di fallimento, ma di coraggio e di forza per affrontare le proprie fragilità. Dott.ssa Maria Mirabelli, psicologa clinica e forense. Info: mariamirabelli@libero.it - 339.5919310

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L’angolo di Ines

IL GAMBERO VERDE C’era una volta un gambero verde che se ne andava in giro per il mare e scherzava tutti coloro che non erano verdi come lui. Come? rispondevano gli amici, siamo noi che dovremmo scherzare te e invece tu fai tanto il bulletto. Una notte però mentre la luna infiltrandosi fra le acque giocava ad accendere le piccole meduse che galleggiavano dolcemente fra alghe e licheni, rimase impigliato fra il verde delle piante e scomparve. Invano la sua mamma lo cercò fra le conchiglie ed i coralli, il piccolo gambero così diverso dagli altri non c’era più. Allora disperata la mamma chiamò a raccolta gli altri fratelli e così parlò:-Cari bambini vi devo comunicare una triste notizia , vostro fratello è sparito. Voi sapete che anche se vostro fratello è diverso da voi è sempre mio figlio ed il lo amo quanto amo voi. Il suo colore non fa la differenza perchè lui è identico a voi. Egli ha bisogno d’ amore come voi, ha bisogno di nutrirsi come voi, ha bisogno di giocare come voi e vive nell’acqua come voi. Tante sono le cose che vi accomunano perciò dimenticate gli sgarbi che qualche

volta vi ha fatto e andate a cercarlo.Così fu detto e così fu fatto. Alla mezzanotte tutti i gamberi rossi si riunirono in gruppo e partirono per la spedizione.Improvvisamente il mare si colorò di rosso e nelle acque sembrò che si fosse acceso un grande fuoco. Le sirene spaventate nascosero la testa sotto la loro coda.I molluschi si chiusero nella loro conchiglia e i pesci rimasero a bocca aperta facendo glu, glu, glu fino a quando dagli abissi marini si sentì un gorgoglio lieve lieve, era il piccolo gambero verde che si era impigliato in un’ alga e non riusciva ad uscirne più. I fratelli velocemente accorsero e lo slegarono e lui facendo un passo indietro ed uno avanti si infilò fra le chele materne e se ne tornarono a casa. Quella sera fecero una grande festa perchè capirono che per volersi bene il colore della pelle. non conta.

Via del Progresso - Lamezia Terme • 0968.21844 Testata Giornalistica Di tutto un po’ - lamezia e non solo anno 26°- n. 49 - dicembre 2018 Iscrizione al Tribunale di Lamezia Terme dal 1993 n. 609/09 Rug. - 4/09 Reg. Stampa Direttore Responsabile: Antonio Perri Edito da: GRAFICHÈditore Perri Lamezia Terme - Via del Progresso, 200 Tel. 0968.21844 - e.mail. perri16@gmail.com Stampa: Michele Domenicano Allestimento: Peppino Serratore Redazione: Giuseppe Perri - Nella Fragale - Antonio Perri Progetto grafico&impaginazione: Grafiché Perri-0968.21844

Le iscrizioni, per i privati sono gratuite; così come sono gratuite le pubblicazioni di novelle, lettere, poesie, foto e quanto altro ci verrà inviato. Lamezia e non solo presso: Grafiché Perri - Via del Progresso, 200 -

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Rimembrando

L’amore sulla punta delle dita

Se entri in una qualsiasi casa calabrese, noterai una o due stanze chiuse: sono quelle dei figli che sono andati via. Stanze che le nostre madri puliscono, coltivano come fossero un orto di sentimenti piegati dal freddo, stanze che mantengono come fossero bomboniere. Ricordi di speranze inespresse, di un futuro diventato distanza incolmabile. Torniamo a ripopolare quelle stanze intatte, un paio di volte all’anno, e tornare al sud è come tornare indietro. Indietro nello spazio e nel tempo, un tornare alle radici dell’albero che siamo diventati, tornare a quando eravamo ancora germogli. Tornare a quel piccolo orto, per vedere gli occhi delle nostre madri brillare, per far credere loro che non è stato tutto lavoro sprecato. Quando io e mia sorella torniamo giù, a riabitare i nostri due piccoli orticelli,un paio di volte all’anno o anche meno, andiamo a visitare la casa dei nostri nonni.

Ci siamo tornati anche quest’anno, ed è stato come non fossimo mai andati via. Si sente ancora l’odore di Natale, in quella casa lì. Odore di pasta al sugo, di tarantelle a notte fonda, odore di risate oltre ogni povertà. Eravamo una famiglia umile, padri lavoratori e madri casalinghe, eppure in quella casa pioveva felicità come fossero diamanti. Non avevano nulla, eppure ci davano tutto. Eravamo tutti ricchi sfondati, quando i nostri nonni erano ancora vivi. Tornare in quelle quattro fragili mura, nel cuore di un centro storico ormai decadente, scalda come un abbraccio antico. È come una carezza di mani rugose, mani indistruttibili, scavate da decenni di terra arida eppure ancora capaci di cullare. - Ma te lo ricordi? - E certo, che me lo ricordo. - Sento ancora l’odore, Caterì. - Non ci se lo leva di dosso, fratello mio. Quando eravamo piccoli, nostra nonna cucinava un sacco di roba buona, quasi sempre fritta. Polpette, frittelle, patatine, friggeva anche la verdura, i bicchieri e le posate in acciaio. Noi avevamo fame sempre, quando cucinava lei, e lei prontamente ci accontentava con un gesto. Lo ricordo come fosse ieri, quel gesto, anche se sono passati ormai

tanti anni: levava le polpette dall’olio caldo; le travasava sulla carta assorbente; ne prendeva una con due dita; la apriva a metà, soffiava, sorrideva e ce la porgeva. Noi la mangiavamo senza scottarci, era la cosa più buona dell’universo, è un sapore che non ha mai lasciato le mie papille gustative. I nostri genitori e gli altri adulti intorno si chiedevano divertiti come caspita facesse, a prendere quelle polpette bollenti con le dita. Dicevano fosse impossibile non scottarsi, che avesse ormai perso la sensibilità a furia di farlo, forse acquisito dei calli come i chitarristi. - Ma come cazzarola faceva, poi, a non scottarsi? - Ma che ne so, una roba da non credere. - Erano lava, quelle polpette. - Erano amore, Caterì. Ci amava, nostra nonna, ci amava come non saprei dire. Non si scottava perché il nostro sorriso era più forte di ogni scottatura, più forte di ogni calore. Era ai suoi occhi la cosa più calda che ci fosse, il sorriso di un nipote felice. E avrebbe preso con due dita anche la lava dal Vesuvio, pur di vedere quel sorriso sul nostro volto. Credo fosse questo, il motivo per cui non si scottava mai. Credo fosse questo, il segreto di nostra nonna. Credo sia questo, il segreto di ogni nonna del sud. Avere l’amore sulla punta delle dita.

Lo staff di Lameziaenonsolo augura un Felice Natale ed uno strepitoso anno nuovo! pag. 24

GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

Lamezia e non solo


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