Lameziaenonsolo ottobre-novembre 2019

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Lamezia Terme Un fallimento o una opportunità?

Riccardo Viola - Lamezia Terme Un fallimento o una opportunità?

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Riccardo Viola


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di Nella Fragale

Riccardo Viola

In occasione dell’uscita del suo ultimo libro, edito dalla GrafichÉditore, incontriamo Riccardo Viola, noto personaggio lametino, non solo per i suoi libri ma anche per essere stato il “portabandiera” del tennis lametino in Italia Un uomo di destra che lo è stato a 20 anni e tale è rimasto fino ad oggi. Una Destra che, a suo dire, non esiste più. E’ rimasto legato soprattutto al M.S. di Almirante e non ad A.N. di Fini, pentendosi più tardi di avervi aderito al congresso fondativo di Fiuggi. Prima di diventare un importante tecnico dello sport del tennis di livello nazionale, ha insegnato educazione fisica per circa 40 anni nelle scuole medie e superiori, dove ha insegnato e che rapporto ha avuto con i sui alunni nel corso degli anni d’insegnamento? Ho insegnato presso l’istituto tecnico V. De Fazio,presso le scuole medie di Falerna, Tiriolo, Gizzeria e le scuole medie di Lamezia T. P. Ardito e Nicotera. Ho iniziato ad insegnare a soli 22 anni dopo aver conseguito il titolo di insegnante presso l’ISEF di Roma,terminando gli studi con il massimo dei voti. Ho avuto centinaia di alunni e con tutti loro,ho mantenuto sempre un bel rapporto,sia sul piano umano sia su quello didattico. Dopo tutto raramente ho trovato alunni che non amassero il movimento e i giochi in generale. Certo avrei potuto dare molto di più se avessi avuto a disposizione la palestra e le attrezzature sportive purtroppo, quasi in tutte le scuole dove ho lavorato questa carenza è sempre stata presente negli anni. Ha frequentato il Liceo scientifico,poteva scegliere studi più prestigiosi come Medicina, Giurisprudenza, Ingegneria ecc. invece ha scelto di insegnare educazione fisica pur conoscendo la situazione precaria in cui versavano quasi tutte le scuole in termini di palestre e attrezzature sportive. Fin da ragazzo ho sempre amato lo sport in ogni sua espressione motoria, perché ho sempre trovato in essa,armonia ,estetica stile e grande musicalità un movimento armonioso ha sempre provocato in me enorme fascinazione in ogni mia azione nelle discipline sportive che ho sempre praticato,Tennis e Scherma,mi sono uniformato a questo concetto. Pensi che pur di iniziare con grande anticipo gli studi sportivi a Roma; dal quarto liceo scientifico mi presentai agli esami per conseguire il diploma magistrale,il cui corso di studi era costituito da soli quattro anni e quindi terminando un anno prima le scuole superiori entravo con un anno di anticipo all’Isef. Oltre all’insegnamento di educazione fisica ha conseguito un altro titolo importante che è quello di Maestro e Tecnico Nazionale di Tennis e per oltre venti anni ha guidato tutta l’organizzazione del tennis Calabrese.

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Si è vero ho rivoluzionato l’intera programmazione del tennis calabrese dopo avere conseguito i titoli che ho enunciato in precedenza e che sono arrivati immediatamente dopo il conseguimento del titolo Isef. Nel 1974 ho fondato la prima scuola di addestramento al tennis a Lamezia Terme dopo lamezia ho avviato tutte le altre scuole in varie parti della Calabria: Vibo Valenzia, Gioia Tauro, Cosenza, Locri, Siderno, Roccella. Le scuole duravano tutto l’anno scolastico e fino al 1974 non erano mai esistite nei circoli operanti in calabria venivano organizzati soltanto corsi di 15 giorni tanto per accontentare qualche socio dello stesso circolo e poi tutto finiva li i pochi circoli presenti in calabria erano semplicemente associazioni dopolavoristiche costituite da pochi appassionati di questa disciplina. Con l’avvento delle scuole,la programmazione cambiò radicalmente,si avvicinarono al tennis centinaia di ragazzi e da quel momento come tecnico regionale cominciai a programmare le prime gare giovanili agonistiche,per un intero anno. I circoli da cinque o sei che erano negli anni settanta si quadruplicarono e quando lasciai la guida del tennis regionale intorno agli anni novanta i circoli erano diventati oltre cento. La scuola Tennis di Lamezia ha raggiunto quasi cinquant’anni di età, ci può dire qualcosa in più? Fu la prima scuola che fondai ed è rimasta la prima della calabria in termini di attrezzature tecnici che vi lavorano e quantità annuali di allievi. Iniziò i primi corsi nel lontano 1974 diretti da me,i primi venti anni utilizzò i primi campi da tennis situati presso Via del progresso,a sud della città. I secondi venti anni condotta sempre da me presso i campi del palazzetto dello sport in via Marconi,Dove si trova tutt’ora ed oggi guidata dai miei tre figli Massimo Salvatore e Fabrizio che hanno voluto continuare la tradizione sportiva paterna ed oggi conducono tutti i corsi con grande bravura dopo aver dotato i campi di una grande attrezzatura con due coperture mobili che coprono l’intera superfici degli stessi campi con numerosissime racchette di diversa misura da adeguare all’età dei bambini con migliaia di palle di diversa pressurizzazione e da quest’anno con la presenza dello Psicologo e del dietologo. Oggi posso dire con orgoglio che questa scuola è frequentata da tanti ragazzi Lametini ma anche da molti altri che

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provengono da ogni angolo della Calabria. Visto che lei ha nominato i suoi figli cosa mi dice della sua famiglia? Ho una famiglia bellissima vivo con mia moglie AnnaMaria Genovese anche lei valente insegnante di lettere classiche da quasi cinquant’anni che conobbi durante gli anni del liceo che mi ha dato tre splendidi figli i quali mi anno riempito di soddisfazioni sia nei loro studi sia nelle loro affermazioni sportive,nel tennis ed oggi che sono tutti e tre quasi trentacinquenni e quarantenni continuano a mietere successi sia conseguendo i titoli più prestigiosi nell’insegnamento del tennis sia vincendo annualmente con gli allievi della scuola diversi campionati e trofei in ogni parte della regione ma anche fuori di essa. Lei che è sempre stato un valente sportivo come atleta prima e come tecnico dopo che ha costruito o ammodernato impianti sportivi fatiscenti come quelli dove opera la scuola tennis,cosa può dirmi della situazione precaria delle attrezzature sportive lametine che sono state tutte chiuse molti mesi,perché non a norma? In tutta la mia vita sono stato sempre un innamorato dell’impianto sportivo in generale sia che fosse un campo, una palestra, una pista, perchè ho sempre considerato queste strutture i veri templi della eterna giovinezza e vedere un impianto chiuso o abbandonato mi ha sempre provocato grande tristezza e dove ho potuto ho sempre cercato di rimediare spesse volte anche a mie spese purtroppo è lo sport in generale che non gode di molta considerazione da parte degli enti pubblici i quali prima costruiscono gli impianti, magari per qualche motivo elettoralistico ma poi li abbandonano al loro destino,privandoli della manutenzione necessaria per la solita mancanza di fondi. Questa regione non ha mai avuto una politica sportiva impegnando sempre pochissimi soldi per attrezzature e manifestazioni sportive si è sempre navigato a vista e con grande approssimazione,soprattutto perché gli uffici preposti regionali e comunali sono stati affidati a gente che magari non aveva mai avuto a che fare con materia sportiva ma che veniva mandata in quell’ufficio solo per meriti elettorali. Oltre ad essere diventato una figura molto importante,nel

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Tennis Regionale e Nazionale,lo dicono i premi di onore che lei ha ricevuto nel corso degli anni: le stelle nazionali al merito sportivo che il CONI assegna ai benemeriti dello sport e il prestigioso premio Quintieri che la federtennis le ha voluto assegnare l’anno scorso per tutto ciò che ha fatto per il tennis calabrese,la dicono lunga sulla sua professionalità. Sappiamo però che lei da giovanissimo ha amato un’altra disciplina sportiva :la Scherma,dove ha conseguito grandi risultati sportivi tra gli anni 60 e gli anni 70, ci vuole parlare di questi anni? Sì ho amato tantissimo questa disciplina che mi ha dato enormi soddisfazioni,ho dominato il fioretto calabrese per un decennio vincendo nelle categorie giovani e assoluti;ho conquistato secondi e terzi posti in campionati italiani studenteschi a Palermo,Ancona,Padova, Catanzaro,Napoli,ho vinto trofei nazionali individuali in tutta Italia,ho conquistato il campionato Italiano assoluto a squadre con l’arma Aeronautica,ho rappresentato l’arma azzurra in tante manifestazioni internazionali: Vienna, Praga, Budapest,incrociando la mia lama con quella dei migliori tiratori del mondo di quell’epoca. Pur avendo raggiunto questo palmares di risultati, abbandonai dopo circa venti anni questa disciplina per dedicarmi totalmente al tennis. Le motivazioni di questa mia scelta furono di carattere, soprattutto morale,perchè non sopportai una grande carognata che mi fu perpetrata dal provveditorato agli studi di Catanzaro. Fui molto avventato in quella decisione,forse se avessi avuto più pazienza e un po più di saggezza, probabilmente mi sarei guadagnato un posto in squadra alle olimpiadi di Monaco. Tutta questa brutta storia è descritta nel mio primo libro intitolato “Sulle Ali della Giovinezza, tra Stoccate e Volèe”uscito nel 2017 e ancora in vendita nelle edicole. Il tennis quindi lo accolse definitivamente. Sì, anche perché in questa disciplina avevo vinto tanto; due campionati a squadre, numerosi tornei individuali in singolare e in doppio, avevo raggiunto il massimo delle Classifiche in regione e anche fuori di essa. dopo tutto ho amato allo stesso modo il tennis come la scherma che guarda caso potevo praticarle in mesi diversi: da Ottobre a Maggio praticavo la Scherma; da Giugno ad Ottobre mi dedicavo ai tornei di tennis,facevo tutto con grande disinvoltura proprio per quella duttilità di adattamento ad ogni di-

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sciplina che approcciavo e che mi permise di frequentare,l’Isef di Roma dove studiavo tutte le discipline olimpiche praticandole con grande facilità,Passavo da una verticale alle parallele ai quattro stili del nuoto e da queste alle specialità dell’atletica,senza nessun problema. Non sono stato un ragazzo tranquillo anzi sono stato molto irrequieto e ho fatto dannare molto mia madre e mio padre. Fu proprio lo sport che mi trasmise ordine e correttezza di comportamenti,Anche da grande combinai qualche guaio ma in quella circostanza fu la presenza di mia moglie a risolvere i miei problemi. Gli devo tutto,soprattutto la grande pazienza che ha avuto nel sopportare tutte le mie intemperanze e decisioni affrettate. In quale parte della città di Lamezia è nato. Sono nato nel centro storico di Nicastro in quella piazza San Giovanni,sulla quale veglia da secoli il castello Normanno Svevo di Re Federico 2° di Svevia, Appartengo ad un’antica famiglia di origine Ligure-Calabra (San Remo, Nicastro, Sambiase). Sesto di sette figli, porto il nome Riccardo, in omaggio al grande compositore Richard Wagner. Si dice che ogni persona abbia a disposizione tre età, intese come “rinascite, cambiamenti della propria vita”. Come mai Riccardo Viola nella sua terza vita si è dedicato alla politica che si è interfacciata in questi ultimi 40 anni con la crescita mancata della città di Lamezia Terme, con i suoi fallimenti politici che lui ha descritto brillantemente, ma con una grande dose di amarezza, nella sua ultima esperienza letteraria. “LAMEZIA TERME, UN FALLIMENTO O UNA OPPORTUNITÀ?” presentato il 27 settembre scorso presso il chiostro di San Domenico davanti ad un foltissimo pubblico in una sala gremita in ogni suo angolo? Entrai nel M.S. tra il 1967 e il 1970,quando erano iniziati gli anni più drammatici per l’esistenza e l’agibilità politica dell’intero partito con il terrorismo che avanzava,con la contestazione ben orchestrata della sinistra verso tutte le manifestazioni e comizi che la destra organizzava in quegli anni in tutta Italia,dove il rischio di perdere la vita era continuo e costante. Nel 1975 entrai per la prima volta in consiglio comunale e li rimasi per circa venti anni. Partecipai a ben quattro campagne elettorali politiche

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nazionali come candidato alla camera per tutta la circoscrizione Calabria,elezioni politiche del 1976-1979-1983-1987, chiudendo le candidature nazionali con l’ultima del 1992, al Senato portando al partito migliaia di voti e preferenze. Lei ha cominciato a far politica negli anni settanta ma quando si e impegnato in prima persona entrando in lista? Nel 1975, sette anni dopo la fondazione della città, con l’approvazione della legge Perugini,alla camera e al senato che unificava in via definitiva i tre centri abitativi di Nicastro, Sambiase e Santa Eufemia Quali furono le motivazioni che la spinsero ad entrare in politica,accettando di impegnarsi in prima persona come candidato in un partito che era stato messo all’indice ed emarginato perché considerato l’erede del Fascismo? Furono essenzialmente tre motivazioni,li descrivo in termini d’importanza, la prima: quel senso di coercizione e distruzione che la sinistra aveva cominciato ad esercitare,nei confronti del M.S.I. ritenuto strumentalmente il mandante morale,dell’assassinio del giovane Argada,attraverso continue manifestazioni e cortei che miravano all’annientamento di una forza politica presente in consiglio comunale fin dai primi anni del dopoguerra. L’intera sinistra supportata anche da un certo settore del mondo cattolico,strumentalizzò quella tragedia in tutti i modi possibili con provocazioni e aggressioni di diversa natura che miravano ad impedire a tutti i costi la presentazione della lista del M.S. La seconda motivazione essenzialmente ambientale: essendo nato e cresciuto in una famiglia di grande tradizione patriottica,con un padre che era stato un ragazzo del novantanove(lo storico battaglione di giovanissimi che il generale Diaz arruolò negli ultimi due anni di guerra e che gli consentirono di vincere la prima guerra mondiale dopo la disfatta di Caporetto. Con altre due guerre combattute (in Africa Orientale e la seconda guerra mondiale). Con uno zio,volontario nella conquista della Libia del 1911 e medaglia di bronzo al valor militare per aver salvato la vita ad un suo commilitone sul Piave. La terza motivazione,essenzialmente caratteriale,ho sempre creduto alla FILOSOFIA DELL’AZIONE che mi ha accompagnato per tutta la vita insieme al motto D’Annuziano MEMENTO AUDERE SEMPER; mi sono sempre

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piaciute le sfide che ho sempre affrontato con coraggio e determinazione pur sapendo di combattere certe volte contro avversari più forti di me sia nelle competizioni sportive sia in tutte le avversità della vita e quando entrai nel Movimento Sociale,sapevo benissimo di schierarmi al fianco dei cosiddetti vinti della storia e proprio per questo motivo ero più determinato a battermi fino all’ affermazione dei nostri postulati dottrinari che non erano il ripristino di una dittatura ma i grandi ed eterni valori dell’uomo Patria, Nazione, Famiglia, Socialità. Non ho mai accettato,la parola moderato,specialmente quando è stata buttata in politica al solo scopo di dividere i buoni dai cattivi;i democratici dai non democratici. I partiti che erano dentro il cosiddetto arco costituzionale,inventato dal sig. De Mita,cioè la D.C.; il P,S.I.;il P.L.I. il P.R.I. il P.S.D.I. ed il P.C. erano costituiti da brava gente. Quelli che erano fuori dall’arco,erano tutti demoni,brutti e cattivi cioè i Missini. Pure il partito comunista era un partito democratico e moderato!!! Ho sempre ritenuto che la parola moderazione rappresenti soltanto uno stato d’animo,presente in tutti gli essere umani ma in politica è totalmente fuori posto è falso e ipocrita. Lei è sempre rimasto legato alle sue idee? Non ho mai cambiato casacca,sono stato sempre ancorato fortemente a tutti quei principi e valori che ho descritto in precedenza,che non ho mai barattato con nessuno,nemmeno quando,durante l’ubriacatura Berlusconiana del potere,bastava un semplice lavaggio della faccia diventando C.C.D. o U.D.C. o F.I. ecc. per ottenere incarichi di ogni tipo e riempirmi di soldi. Ho sempre vissuto del mio lavoro. E’ un politico anomalo, tra i tanti politici altolocati, espressi da questa città che da quando non sono stati più eletti, sono scomparsi dalla scena lei pur essendo stato soltanto un semplice consigliere comunale, continua a far politica e a battersi per la sua città,vedi la battaglia decennale che sta conducendo per salvare il nostro ospedale da un inesorabile declino. Ho sempre ritenuto che battersi per la propria terra sia un dovere civico per tutti,con il passare degli anni mi sono accorto che non è cosi. Per me è sempre stato semplicemente una questione di etica personale e di stile. Parliamo del libro “LAMEZIA TERME: UN FALLIMENTO

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O UNA OPPORTUNITÀ? In vendita in tutte le edicole e nelle librerie della città ed edito da noi? Dopo tutto quello che è successo in questi cinquant’anni, con i tre scioglimenti che hanno messo in ginocchio,tutto l’apparato produttivo dell’intera città,non si può dire certo che questa terra sia una opportunità ma un brutto e triste fallimento. Lei crede che questa nostra città sia davvero alla fine? No assolutamente No. Le motivazione di questo mio No sono spiegate abbondantemente nella seconda parte del mio libro quando mi permetto di dare dei consigli non richiesti ai nuovi amministratori che verranno. Ho chiesto a questi signori di trovare quattro cosette: coraggio, concretezza, determinazione, fantasia e una buona dose di saggezza. Perchè i luoghi dove dovevano nascere le grandi infrastrutture, sono ancora al loro posto ed i progetti approvati nei consigli comunali precedenti dove anch’io partecipavo,sono tutti depositati nell’archivio del comune,perché non furono mai appaltati, dalle giunte che seguirono al primo scioglimento del 1991 più per ripicche personali che per valide motivazioni tecnico politiche salvo poi a pentirsi di non aver voluto realizzare quei progetti che una volta realizzati avrebbero cambiato il volto e l’economia dell’intera città. Ci sono quindi responsabilità pesanti? Purtroppo sì! Dopo la prima gestione commissariale seguita al primo scioglimento del 1991 si alternarono sempre le giunte di sinistra che governarono in continuità per quattro mandati circa venti anni surclassando un centro destra pasticcione che si fece sempre del male con le proprie mani governando la città soltanto tre anni,dopo aver stravinto due campagne elettorali nel 2002 e nel 2015. Proprio in quegli anni lo sviluppo della città si è fermato,dopo le brutte premesse iniziali tra il 1968 e il 1975 con lo scippo dell’università ed il fallimento della SIR. Nel libro c’è tutto quello che ci ha raccontato in questa breve intervista? Sì c’è tutta la travagliata storia politica di questa nostra sventurata terra. Siamo in procinto di andare a votare per rinnovare il consiglio comunale, lei dove si colloca?

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Da nessuna parte, sono un battitore libero, non vedo più né centro destra né centro né sinistra, solo liste civiche. Alla presentazione del mio libro ho compiuto un miracolo, oltre agli amici di centro e di destra, miei abituali ascoltatori, sono venuti in gran numero gli amici di sinistra ad ascoltare un ex fascista con il quale in anni lontani non si doveva parlare!!! Come cambiano i tempi!!! Come li trova i candidati sindaci? Sono tutte persone per bene e che conosco, tutti degni di stima. E’ certo che quando andrò a votare il dodici di Novembre sceglierò il candidato sindaco e la lista. Siamo quasi alla fine di questa intervista,in tutte le risposte che lei ha dato alle mie domande traspare sempre una grosse dose di delusione. Mi conferma questo suo stato d’animo? Sì ha perfettamente ragione. Le mie delusioni sono cominciate subito dopo la fondazione di Alleanza Nazionale a Fiuggi perchè immediatamente dopo le cose cominciarono a cambiare, entrarono nel partito dei nuovi personaggi che restavano in A.N. il tempo necessario per farsi eleggere e poi cambiare casacca con grande disinvoltura. Magari erano personaggi politici che fino a qualche anno prima del ‘95 ci considerava veri e propri nemici. Ho sempre sostenuto, specialmente in questi ultimi anni, persino nel mio libro, che fu un grande errore accettare di entrare nel primo governo Berlusconi,perché da quel momento cominciarono a prolificare le correnti non più soltanto Finiani e Rautiani ma cominciarono gli amici di La Russa e di Gasparri a cui facevano capo ex democristiani ex socialisti liberali e vecchi socialdemocratici. Gli amici Di Alemanno e di Storace che continuavano a fare i duri e puri ma sotto sotto facevano accordi con Comunione e Liberazione guidata dal’ ex Democristiano Formigoni. Ho scritto nel mio libro che non ci dividemmo più su Evoliani e Gentiliani ma su tante ben altre cose e le fucilate e pugnalate per accaparrarsi un posto in lista o in qualche altro ente furono all’ordine del giorno. Per uno come me che gli avversari li aveva incontrati soltanto sui campi da tennis o sulle pedane di Scherma sempre a viso aperto senza mai barare, avendoli sempre davanti, scoprire che le pugnalate arrivavano dalla mia stessa parte fu una enorme delusione. Piano piano mi resi conto che quel mondo al quale avevo sacrificato la metà della vita, rimettendoci tutto, rischiando di tutto, anche di lasciarci la pelle, non esisteva più. Il rinnego continuo della nostra identità, della nostra storia buttando alle ortiche la morte di ventitré nostri ragazzi che sacrificarono la loro vita affinchè il sig. Fini si potesse crogiolare con una donnetta assai procace che lo rincoglionì a tal punto da fargli svendere pezzi immobili che appartenevano al patrimonio del partito. D’altro canto cosa potevamo aspettarci da un personaggio politico che nel suo curriculum culturale aveva solo Berretti Verdi! La Destra che avevamo sognato in tanti, quella destra Almirantiana che ci aveva sempre esaltati, il cui linguaggio suscitava grandi emozioni, non c’era più. Mi accorsi che non era il mio mondo e piano piano cominciai a prendere le distanze, pur mantenendo sempre Lamezia e non solo

intatte le mie idee perché oggi più che mai sono sempre convinto che quella destra che trasmetteva cultura, onore, coraggio, saggezza, socialità, stile, senso etico della vita, sarà sempre presente in ogni uomo che si definisca tale. Vuole aggiungere ancora qualcosa? Voglio raccontarle una piccola storia per convincerla che la politica è una brutta bestia, fin da quando è nata. Persino ai tempi del primo Fascismo c’erano i voltagabbana e i salti della quaglia avvenivano con disinvoltura. Qualcuno che si considera più bello e più bravo di te lo trovi sempre, specialmente quando bisogna spartirsi qualche torta. Poco importa se la rivoluzione e tutti i sacrifici li hai fatti tu per l’affermazione delle tue idee. E’ successo a mio padre, agli albori del Fascismo, lui che aveva contribuito a fondarlo stava per essere confinato per sovversivismo per la trama di quei signori politici d’alto rango che erano saltati sul carro dei vincitori a rivoluzione avvenuta. Fu salvato da due grandi uomini che in quel momento erano diventati ministri: Michele Bianchi e Italo Balbo (chi vuole conoscere questa storia la può trovare in alcuni miei articoli apparsi su un giornale di storia locale nell’ottobre 2010). La stessa cosa è avvenuta con Arturo Perugini, (la storia che troverete leggendo il libro), con il sottoscritto, il cui nome fu valido per tante stagioni e tante campagne elettorali, dal 1975 al 1992, fino a quando i sacrifici e le battaglie da combattere erano tante e pericolose. Con l’arrivo al potere, insieme al cavaliere Berlusconi, il mio volto non era più spendibile. Erano arrivati i nuovi virgulti. Questa parte sporca della politica resterà sempre. Non cambierà mai come non cambieranno mai gli uomini che la produrranno! Fare questa intervista a Riccardo Viola è stato quasi come fare una partita a tennis con diritti e rovesci, con battute, servizi e set. Gli argomenti cambiavano con la traiettoria della pallina che, magistralmente, seguiva la linea che il Maestro Viola imponeva. Che dire di Riccardo Viola? E’ un entusiasta, è vulcanico, mette passione in quello che fa, che si tratti di una partita a tennis o di di una discussione su un argomento che gli sta a cuore come la politica. Non ha peli sulla lingua, lo si intuisce dall’intervista ma, soprattutto, dal libro. E’ un tennista, è un missino convinto, il tempo è passato ma nel suo cuore, che pure si è adeguato al cambiamento del tempi, alberga la nostalgia per un ideale politico che ha amato, che ha fatto suo e per il quale si è battuto a fronte alta. Ha vissuto e continua a vivere la sua vita come su un campo da tennis, cercando di vincere, di imparare dagli errori ma senza strafare e senza perdere il trasporto che è quello che ci aiuta ad andare avanti serenamente. La frase che ho scelto per lui è di Raoul Follereau “Felice è colui che può riunire in una stessa lotta i suoi sogni di adolescente, le ambizioni della giovinezza la sua volontà di uomo. E, di certo, Riccardo Viola verso la sua famiglia, il suo lavoro, la politica, conserva la stessa eccitazione di una volta riuscendo così a mantenere vivo quel fervore, quel trasporto che sono i motori della vita.

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Spettacolo

Since She di Dimitris Papaioannou,

“una lettera d’amore a Pina piena di rispetto e nostalgia” di Giovanna Villella In scena al Teatro Politeama “Mario Foglietti” lo spettacolo di danza Since She di Dimitris Papaioannou con il Tanztheater Wuppertal Pina Bausch. Una première italiana in occasione dei dieci anni dalla morte della Bausch inserito nel cartellone di Armonie d’Arte Festival diretto da Chiara Giordano. Il Festival, giunto alla sua XIX edizione, è ormai una eccellenza italiana con riconoscimenti a livello internazionale e con una qualità e una diversificazione dell’offerta culturale che, negli anni, hanno raggiunto livelli di estrema raffinatezza attraendo un pubblico sempre più esigente e attento alle proposte artistiche della Giordano. L’omaggio di Dimitris Papaioannou alla madre del Teatro-Danza, icona indiscussa della contemporaneità, si è concretizzato in una settima di eventi con workshop, proiezioni, seminari, conver-

sazioni e conferenze/dibattito che hanno trasformato la città di Catanzaro nella capitale mondiale della Danza. “Una lettera d’amore a Pina piena di rispetto e nostalgia”, così il grande artista greco, primo coreografo esterno ad essere ospitato dal Tanztheater Wuppertal per lavorare su un’opera completa, definisce Since She – Da quando lei. E la cifra stilistica di Papaioannou si rivela nel segno della continuità e della rottura. Egli plasma ogni danseur con una impronta che è inequivocabilmente sua. I movimenti misurati, mai straripanti riflettono la sua concezione del corpo come strumento e la sua idea di spoliazione da molte componenti per arrivare alla semplicità del gesto quale elemento di potenziamento espressivo. L’uso rigoroso e flessibile di ogni singola parte del corpo acquista una tensione quasi primitiva, una forza penetrante ma sempre di estrema eleganza mentre la capacità di variazioni con scatti minimi nelle movenze delle mani, delle braccia, delle gambe, del busto funziona come punto sospeso, quasi pausa riflessiva da cui riparte tutta la grammatica espressiva laddove la coralità dell’intera performance nasce proprio dalla perfezione e compiutezza individuali. La cupa bellezza della scena nera e scarna di Tina Tzoka è percorsa da guizzi di colore. Il verde brillante dell’albero piantato in cima a una roccia di cui se ne indovinano le asperità pur nella mollezza palustre che inghiotte corpi striscianti lungo il declivio. L’oro dei piatti e della vernice che squarcia il lutto di fascianti tubini, il bianco pentelico di impalpabili vesti ondeggianti. Una lunga teoria di sedie si snoda lungo il proscenio, chiaro tributo a Café Müller della Bausch. Un binario mobile costruito pag. 8

a vista dai 17 danza(t)tori che lo percorrono in equilibrio come acrobati sul filo teso. In un milieu onirico si materiano le visioni pittoriche di Papaioannou in tranches che si innestano l’una nell’altra, senza accumulo, ognuna col suo significato per una partenogenesi senza fine. Slow motions e parossistico vorticare di oggetti, corpi abbandonati per terra, andature e passi veloci, linee oblique o striscianti disegnate sul pavimento, una gamma inesausta di movimenti, gesti, rotazioni e vibrazioni che inducono nello spettatore una disponibilità quasi erotica ad assorbire la serie di immagini e flash che nascono e muoiono quasi istantaneamente. Scene bibliche pervase da sottile ironia e ambigue divinità orien-

tali con cinque paia di gambe, anime in pena di dantesca memoria che scivolano o arrancano lungo il dirupo roccioso, tavoli che si trasformano in barche cariche di umanità senza speranza su tubiformi mari d’acciaio o in vagoni stipati di ombre per un viaggio senza ritorno, pazienti anestetizzati su tavoli lugubri e schiavi in catene rattrappiti in gesti automatizzati. E ancora diafane ninfe botticelliane e femmes fatales adorne di teste di Minotauro o nimbate di aureole come madonne bizantine, una donna -serpente che muta abito/pelle. Prona, si trascina lentamente mettendo in evidenza un particolare gesto delle mani mentre si aggetta sull’impercettibile ripiegarsi e rialzarsi e stendersi ancora del busto, una donna-farfalla, avvolta in un abito/bozzolo, fluttua leggera nell’aere sospinta dal soffio di cicisbei serventi e il volto femminile di Dio cammina su acque metalliche. Figure asciutte, taglienti quasi, eteree e sottili, ieratiche o scolpite, flessuose e sensuali. Il nudo irrompe sulla scena impietoso e pudicamente indifeso. È la rivolta del corpo che chiede alla danza un linguaggio massimamente spoglio. Yin e Yang, l’uomo-caprone che vagola guarnito di campanacci sonanti con le braccia infilate ad angolo retto in lunghi tubi, uno scultoreo Perseo che brandisce vittorioso la testa fiammeggiante di Medusa mentre una Venere, in posizione fetale, nasce da un profluvio di chiome scure come la notte. Sublimazione dell’estetica della crudeltà che affida il rito della nascita a un simbolo fallico esibito con candore e ad un uovo spadellato in una cucina brulicante di femminile operosità. Un eros irresistibile serpeggia

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attualità

Al futuro Sindaco di Lamezia Terme

di Tommaso Cozzitorto

Ed eccoci giunti alle discusse, desiderate, non desiderate ( rispettiamo le idee di tutti ) prossime elezioni comunali per eleggere il nuovo Sindaco di Lamezia Terme, una campagna elettorale dai tempi stretti, meno di un mese, e i responsi saranno storia, un capitolo nuovo da scrivere sulla nostra città. I problemi sono tanti, bisognerà far ripartire un treno che ha perso tante importanti fermate, ha perso dei sogni per strada, qualcuno, pur a brandelli, potrebbe essere recuperato, ricucito, rimesso nel circuito del fattibile; bisognerebbe ricreare lo spirito di partecipazione popolare, attivare club di confronto, prendere in considerazione l’opinione pubblica, ove ogni candidato a Sindaco possa esplicitare il suo programma in stretta sinergia con gli elettori. Essi non dimentichino che la Cultura non è un vaso

pregiato e vuoto da esibire su un tavolo nei giorni di festa ma una risorsa che dovrebbe accompagnare il cammino elettorale delle tante persone che hanno deciso di mettersi in gioco sia in qualità di consiglieri che in quella di primi cittadini. Sarebbe necessario far rinascere l’entusiasmo indispensabile agli ideali alti della politica più pura e più vera, quello del dopoguerra per intenderci, entusiasmo produttivo. Certamente i cittadini hanno problemi pratici e quotidiani, spesso drammatici e il futuro Sindaco dovrà dare concrete risposte a tutto ciò ma non dimentichiamo la lezione illuminista per affermare che tutti hanno il sacrosanto diritto alla felicità: il futuro Sindaco di Lamezia lo tenga sempre presente, metta la parola astratta “ felicità” mescolata ai problemi concreti che andrà ad affrontare.

sulla scena: ora più gioioso e vitale, ora più grigio e lento ora più violento e tormentato. Una danza fortemente drammatizzata con scelte gestuali silenziose e simbolizzate in un universo sonoro che abbraccia Christos Constantinou, Richard Wagner, Charles Ives, Johann Sebastian Bach, Aram Khachaturian, Gustav Mahler, Giya Kantcheli, Marika Papagkika, Wayne King, Leo Rapitis Manos Achalinotopoulos, Sergei Prokofiev, Giuseppe Verdi, Tom Waits con sapienti inserti dal vivo di fruscii, colpi, tonfi, clangori, scoppi. I volumi di buio e le ombre proiettate attorno dal severo disegno luci di Fernando Jacon e Stephanos Droussiotis, scompaiono per l’accendersi dei riflettori in un sottofinale carico

di simboli e allusioni che dinamicamente animano lo spazio fino alla stasi ultima, rappresentazione plastica – insieme affascinante e brutale – del Martirio di San Sebastiano che tanto ricorda l’opera omonima di Gaudenzio Ferrari mentre, in controscena, le frecce del martirio diventano raggi di aureola tra i capelli di una Madonna Nera. Il mistero della nascita, la nudità dell’uomo nella natura, lo sguardo distaccato, l’assenza di segni di emozione, i miti e la storia, il sacro e il profano, l’amore, la violenza e la morte si stendono in tutta la loro potenza con una ferocia che ha solo limite la bellezza.

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Un capolavoro assoluto con la vita dentro.

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Sport

Raduno pre-campionato per gli Arbitri di calcio della Sezione di Lamezia Terme di Gianfranco Pujia

Una lunga serie di successi: ecco come si era conclusa la stagione scorsa per la sezione di Lamezia Terme, ed è rivivendo questi successi che si apre il consueto Raduno pre-stagionale per Arbitri e Osservatori in forza all'Organo Tecnico Sezionale, tenutosi quest'anno Domenica 29 settembre in un nota struttura ricettiva del vicino comune di Platania. La giornata, che ha visto la presenza massiccia e particolarmente attenta degli associati, ha avuto come attività principale la spiegazione e l'approfondimento della Circolare n. 1 e delle conseguenti modifiche al regolamento, con arbitri e osservatori che si sono calati

prima della pausa pranzo, la rituale foto di gruppo. E' seguito, quindi, il significativo intervento del più prestigioso associato lametino, l'Assistente Arbitrale Valerio Vecchi, da questa stagione nella CAN A, che ha ricordato soprattutto ai più giovani nell'AIA che il fulcro della vita arbitrale è la volontà, descritta come "la forza di andare avanti in quei territori che sono difficili come il nostro ma che ci fanno crescere sempre di più". Le attività pomeridiane sono state la trattazione di alcuni importanti punti del Codice Etico e di Comportamento e, infine, le consuete disposizioni regolamentari e comportamentali illustrate compiutamente nel Vademecum per la stagione sportiva 2019-20. Una giornata intensa ed altamente formativa contraddistinta da passione, attività, serenità ed entusiasmo: "c'è stato tutto in questa splendida giornata di raduno" ha chiosato il Presidente Pujia che ha augurato un buon inizio di campionato, invitando tutti gli associati a profondere il massimo impegno per raggiungere ognuno la meta prefissata e dare conseguente lustro alla Sezione di Lamezia Terme.

interamente in una vera e propria "lezione" di calcio, condotta dal presidente Gianfranco Pujia e arricchita dalle osservazioni degli associati più esperti, che hanno così permesso a tutti i partecipanti di prendere parte ad un momento altamente formativo tra falli di mano, riprese di gioco e molto altro. Concluse le spiegazioni e i chiarimenti, i giochi sono proseguiti con l'intervento del Componente CRA Ercole Vescio. "Ogni raduno ha esordito Vescio - è sempre un momento piacevole ma di grande importanza perché le disposizioni tecnico-comportamentali sono fondamentali per evitare errori in campo in un momento storico in cui c'è molta informazione sul regolamento". I lavori sono proseguiti con i programmati quiz tecnici, che hanno evidenziato un grado di preparazione più che lusinghiero anche dei nuovi immessi in organico e,

poesia

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Volto d’autore

di Pierluigi Mascaro

Due topazi splendenti, netta rimembranza di perfetta congiuntura di cielo e mare sulla linea d’orizzonte. Resterei secoli interi a fissare il magico equilibrio di questo sguardo… cattura il tempo restituendo un po’ di perduta giovinezza.

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cultura

Riflessioni sul risanamento e la valorizzazione dei beni storico-culturali ed ambientali della città: gli esempi del Castello col torrente Canne e delle Terme col parco Mitoio-Difesa di Giovanna De Sensi Sestito

la città ha conservato nel tempo il ruolo di principale centro urbano dell’intero comprensorio lametino, sin dall’arrivo di Roberto il Guiscardo e sotto la signoria della contessa normanna Emburga, e poi sotto gli Svevi e Federico II in particolare, ancora sotto gli Angioini e gli Aragonesi. Soprattutto dopo il terremoto del 1638 la struttura urbana si estese verso le sottostanti aree di pianura, ma

[Nell’imminenza delle consultazioni elettorali del 10 e 11 novembre prossimi e del conseguente insediamento della nuova Amministrazione comunale, ci è sembrato opportuno ripubblicare uno scritto di Giovanna De Sensi Sestito. L’’articolo risale ai tempi in cui la docente dell’Università della Calabria rivestiva, nell’ambito della prima amministrazione Speranza, l’incarico di Assessore alla Cultura ai Beni ed alle Attività culturali. L’articolo affronta il tema del turismo ************

culturale nell’ambito della nostra città tema, soffermandosi in modo particolare su due siti importanti e conosciuti dall’intera popolazione lametina: il Castello Normanno-Svevo, con annesso territorio che lo circonda, e le Terme di Caronte, anch’esse viste nell’ottica di una sistemazione integrale del territorio circostante: il Parco Mitoio-Difesa. Ci è sembrato opportuno riprendere quello scritto della De Sensi Sestito, ripetiamo, perché i problemi da lei sollevati nel corso di quella congiuntura politico/amministrativa sono tuttora quasi del tutto irrisolti e, quindi, meritevoli di attenzione in auspicati programmi di intervento della futura amministrazione nel settore del turismo culturale. Sta a cuore di tutti i cittadini che intorno a punti vitali della storia e dell’identità cittadina si possano articolare, a beneficio di visitatori italiani e stranieri, percorsi di un turismo di eccellente valore sia ricreativo che culturale. La Redazione] pag. 12

Nel numero precedente de “Il Lametino” sono stati affrontati alcuni problemi dell’area cosiddetta di Caronte-Mitoio (vedi articolo di Paolo Giura ed intervista del direttore generale delle Terme, Emilio Cataldi). Mi sembra utile riprendere l’argomento all’interno di una visione più generale che abbraccia altri beni storico-culturali ed ambientali della città, anche per fornire ai concittadini alcune indicazioni sullo stato attuale dei luoghi nell’area Caronte-Mitoio, che conosco bene per averlo personalmente rivisitato in un sopralluogo effettuato all’indomani della mia nomina ad assessore ai beni culturali. Ebbene, l’attuale territorio della città di Lamezia presenta molte peculiarità storico-culturali e ambientali sia all’interno che all’esterno del suo articolato tessuto urbano. Per ciascuna di queste aree occorrono interventi diversi ed appropriati, che nella maggior parte dei casi sono interventi di risanamento ambientale, prima ancora che di recupero urbanistico e di valorizzazione culturale e turistica. Un esempio ben noto e che sta a cuore a tutti per il suo alto valore simbolico, è il castello di Nicastro, emblema ed ultima emergenza architettonica superstite di quello che fu il nucleo più antico della città bizantina, sorta, come altrove, arroccata su un colle naturalmente ben difeso e attorno alle sponde di un corso d’acqua, il torrente Canne, capace di assicurare anche le risorse idriche necessarie ai bisogni primari ed alle attività economiche della comunità. Grazie proprio a queste caratteristiche funzionali, GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

fino all’800 i quartieri di Torre e S. Teodoro rimasero i luoghi simbolo della comunità cittadina: tra la Cattedrale e il Castello diventato carcere, con la chiesa della Veterana, avevano sede il parlamento locale (“u Sìaggiu”), il Tribunale, tutti gli altri uffici pubblici e le principali attività. L’intervento di restauro previsto sul Castello, per quanto importante, non esaurisce affatto le tipologie di intervento che sono necessarie nell’area: perché è tutto il quartiere che va recuperato non solo nella sua dimensione storica, ma innanzitutto nella sua vivibilità quotidiana, a partire dai servizi necessari. Ma subito dopo bisogna pensare al resto: il risanamento ambientale del torrente Canne, il ripristino degli spazi pubblici e degli edifici privati, il recupero e/o la rivitalizzazione delle dimesse attività artigianali lungo i suoi argini (ad es. i mulini). Occorrono – e in parte già ci sono - progetti mirati e occorrono risorse per realizzarli, ma c’è al riguardo l’impegno dell’Amministrazione a perseguire l’obiettivo con sistematicità percorrendo tutte le strade che possano prestarsi allo scopo ed affiancando quanti già lodevolmente si muovono in questa direzione. Tuttavia occorre anche, contestualmente, una fattiva e spontanea cooperazione Lamezia e non solo


dei cittadini del quartiere, che restano i soggetti primari del proprio sviluppo e che possono fare la loro parte, come anche iniziative recenti hanno mostrato, per rivitalizzare il quartiere: solo se si è certi di proporre luoghi non abbandonati all’incuria pubblica e privata, ma puliti, lindi, curati, con balconi e davanzali abbelliti anche solo di piante semplici da coltivare come i gerani, e brulicanti di vita, si può proporre al turista curioso di immergersi nell’atmosfera di un borgo antico un itinerario tra i vicoli suggestivi del nostro centro storico . Analogo discorso potrebbe essere fatto (e non mancherà occasione di farlo) per diverse altre aree di Lamezia, sia che si tratti di altri quartieri storici (di Nicastro, Sambiase, S. Eufemia Vetere ), sia che si tratti di aree di recente urbanizzazione, che hanno bisogno anch’esse di trovare “un’anima”, di acquisire vivibilità autonoma attraverso una fisionomia riconoscibile e soprattutto condivisa da quanti vi abitano. Ma in questa sede voglio richiamare un altro esempio emblematico, anch’esso ben noto a tutti per il suo valore ambientale, per lo più invece sconosciuto per il suo valore storico: l’Area delle Terme di Caronte. Anche qui, come per il Castello, il problema da affrontare in modo risolutivo è più vasto e comprende non solo lo stabilimento termale, che rappresenta di per sé un struttura importante utilizzata anche sul piano produttivo ben al di sotto delle sue enormi potenzialità. Il problema investe l’intero tratto del corso del Bagni, dal Cimitero di Sambiase in su, col disordinato quartiere sorto all’intorno e le connesse aree boschive del parco Mitoio-Difesa. Dovrebbe essere noto che il tratto finale della valle del Bagni lambiva il versante orientale dell’abitato di Terina e la foce rappresentò per secoli l’approdo più vicino alla città greca. Meno noto è il dato di fatto, anche da me recentemente documentato, che nel tratto montano, invece, la vallata del Bagni è stata interessata da fenomeni insediativi molto più precoci, risalenti alla popolazione enotria dell’età del bronzo e del ferro, e ininterrottamente continuati fino ai nostri giorni pur nel variare delle

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epoche e delle civiltà. Due sono i fattori ambientali che hanno reso possibile questa plurimillenaria presenza umana in quest’area. La peculiarità più nota è l’affioramento dentro il bacino del torrente Bagni di copiose polle di acqua sulfurea calda, dalle ben risapute proprietà terapeutiche, e per questo utilizzate in ogni tempo, provenienti dalle profonde scaturigini carsiche del Monte Sant’Elia, avamposto calcareo del monte Mitoio, contraddistinto dalla presenza di numerose grotte, cavità profonde e ottime sorgenti. Questa peculiarità ambientale, che ancora ai nostri occhi la rende particolarmente suggestiva, l’ha sempre resa di straordinario interesse per il valore curativo delle acque e il carattere religioso attribuito al fenomeno dalle popolazioni antiche e meno antiche succedutesi nel tempo (è un fenomeno ben noto e ricorrente in molti altri luoghi dell’Italia e delle Isole con caratteristiche analoghe). Il secondo fattore peculiare, è costituto dalla naturale via di accesso dal mare alla regione montana interna offerta dal corso del Bagni, una vera e propria “scorciatoia” per chi, mercanti, pellegrini, soldati, o anche solo pastori e residenti, dovessero raggiungere a piedi dalla piana lametina il pianoro di S. Mazzeo e da lì il medio Savuto o viceversa. Ho dimostrato ampiamente che fu questa la via seguita dal generale turino Cleàndrida per portare un attacco a sorpresa su Terina, come millecinquecento anni più tardi fu questo il percorso di Roberto in Guiscardo per piombare nella piana di Nicastro. Ma fu questa anche una via percorsa dai monaci basiliani per raggiungere le loro mete nella Calabria settentrionale, dopo una sosta ristoratrice alle acque calde del Monastero dei Santi Quaranta Martiri. La stessa origine del culto del santo guaritore, San Biagio, e quindi il lontano antefatto della nascita di Sambiase, si riconduce all’insediamento dei monaci basiliani presso le acque terapeutiche di questo Monastero, di cui restano tracce di mura sul monte S. Elia. Per quanto distrutto dal terremoto del 1638, fino alla Cassa Sacra a questo Monastero continuaro-

no ad appartenere vastissimi beni che inglobavano l’intero sistema montuoso del Mancuso-Mitoio-S. Maria. Questo retaggio storico, ignoto ai più, consente di riempire di contenuti culturali e di costruire con essi plausibili percorsi di turismo culturale nell’area di Caronte, capaci di rimetterla al centro, molto più di quanto già non lo sia, di iniziative culturali e soprattutto stimolarne le attività produttive. Ma anche qui il primo passo è costituto dal risanamento ambientale della valle del Bagni e delle sue fiancate; urge la bonifica definitiva delle cave, in cui un’attività estrattiva senza limiti ha inferto danni incalcolabili alla storia della città (distruggendo grotte di antichissima frequentazione e probabili siti archeologici) ed alla sua immagine: l’immensa voragine bianca di una montagna sventrata rappresenta il primo squallido segno d’aver raggiunto Lamezia per chi arriva in aereo o in autostrada. La cava interna (quella cosiddetta di Palmieri) ormai abbandonata da tempo non solo non è stata risanata, ma è diventata, in più punti, una discarica abusiva a cielo aperto; e la bella struttura dell’anfiteatro incastonata nel Mitoio, promessa di attività culturali mai decollate, è stata investita e quasi totalmente distrutta da crolli che, anche agli occhi di un profano come me in materia geologica, nulla hanno di naturale e di casuale. Il bel parco Mitoio-Difesa , ultimo lembo di proprietà comunale dei vasti possessi dell’abbazia dei Santi Quaranta, al retaggio storico unisce un manto boschivo di ineguagliabile pregio, risorsa preziosa a così breve distanza dal mare: ma non è un bene realmente fruibile e da proporre a turisti alla ricerca di amene passeggiate e salutari escursioni nei boschi, come non lo sarà l’intera area di Caronte, fin tanto che gli sforzi pubblici (e anche, perché no, quelli di privati) non concorreranno a riportare nell’area legalità, risanamento, migliore accessibilità e capacità progettuali che siano in grado di intercettare risorse da destinare a tutto ciò. Ad operare in questo senso, con determinazione e volontà, la nuova Amministrazione comunale sente di doversi impegnare nei prossimi anni.

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sud

CANTANDO LA NATURA: UNA RIFLESSIONE CALABRIA, TERRA MIA, di Francesco De Pino

E vero, dolci vallate, è vero Montagne che impotenti dalla vostra postazione guardate il mare accomunato a Voi nell’abbandono che uccide la speranza di chi vi ama e che osanna Iddio per la vostra preziosa presenza che l’insipienza dei preposti alla tutela rende vana. Oltraggiate offese, impedite a dare ricchezza ed economia, assistete impotenti, come il cittadino, al dissipare delle risorse pubbliche in mille rivoli, di vedere stipendi senza “ facere”, “diritti” senza “doveri”, passerelle inutili dalle parole vuote e senza senso pronunciate alla “bisogna”, sgommare di volanti impotenti all’evolversi della criminalità che demotiva ed allontana l’investimento privato, visite di commissioni che fanno sperare, mentre si paventa che, forse, è tutto un cerimoniale dispendioso visto che si ripete da Napoli, a Locri, a Palermo, a Lamezia, sempre lo stesso e che si conclude, soltanto, con qualche Forza dell’Ordine in più. E, così, voi soffrite non riuscendo ad esprimere le vostre potenzialità a favore di inoccupati e disoccupati. Amereste essere percorsi, in lungo ed in largo, da brigate gioiose, da turisti entusiasti nello scoprirvi e, così, giocare rimpiattino con loro come era vostro solito con il nostro semplice gioco da bambini. Ma, ahimè, la vostra gente migliore emigra, vi lascia sole, orizzonti sciagurati prospettati con enfasi, paradossalmente, da chi dovrebbe dare risposte occupazionali facendo all’uopo incontri osannanti che prospettano le opportunità in terre lontane, impotenti, come sono, ad essere offerta in loco e, così, dichiarano il fallimento e delle Politiche Attive del Lavoro: una proposta più beffarda che mai per inoccupati e disoccupati e per la nostra terra che continua ad essere rosa dal tarlo dell’emigrazione. I turisti non varcano più i vostri confini, vi disertano e voi soffrite questa “orfananza” dalla solitudine che avvilisce, salvo il cinguettio degli uccelli, quelli superstiti alle “doppiette” di chi uccide per sport, mentre vi abbrutiscono devastandovi, stuprandovi, ostacolando il vostro slancio pag. 14

generoso, la vostra mano tesa a farci uscire dal sottosviluppo. Che volete, il nostro popolo è quello del “Vallone di Rovito”, che suona ignominia per la nostra gente perché ricorda il sacrificio dei fratelli Bandiera: giovani venuti con tanto entusiasmo dalle lontane Venezie credendo di contribuire al riscatto di un popolo, e che alcuni focolai di protesta facevamo sperare, ma furono uccisi dai nostri “cafoni”, affossando nel sangue quello slancio generoso: questa è, anche, la nostra gente! E continua, come allora, a non guardare il sole, nonostante, nella nostra Terra, ci accompagna, senza sosta, dodici mesi l’anno. Sempre con la testa bassa. No, quei pochi che vi stimiamo, che abbiamo accettato la sfida a rimanere, che siamo considerati “scomodi” dal potere, vogliamo tendervi la mano ed incontrare la vostra per rincamminarci insieme per la strada del progresso, della civiltà che si costruisce con il lavoro laborioso, sconosciuto a quanti, e sono molti, vi lasciano, non solo nell’abbandono e nel degrado avvilente, ma incolti perché non vi accudiscono, nonostante tantissimi siano gli addetti, ma gran parte di essi operano l’agricoltura previdenziale rifuggendo dal lavoro di cui avreste bisogno per dare messi, frutti, raccolti copiosi e che siamo costretti, invece, ad importare da altre regioni. E così, paradossalmente, i datori di lavoro del settore chiedono al Governo l’apertura dei flussi d’immigrazione nonostante, il gran numero dei disoccupati che percepiscono percepire l’indennità di disoccupazione erogata dall’INPS. Certamente, non possiamo contare sulla nostra classe politica, quella classe politica, senza “sana ambizione” che si è impossessata delle Istituzioni circondandosi di accoliti, parimenti, lautamente pagati, per rendere un servizio alla nostra gente, tutelare Voi dalle aziende in “house”, impegnata com’è a litigarsi, mentre in Calabria imperversa la ‘ndrangheta, la disoccupazione, i paesi montani e periferici si spopolano, i giovani che la nostra scuola ha preparato, emigrano e, così abbiamo reso un servizio ad altre economie.

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Fa pena, altresì, vedere le classi politiche, quando in veste di minoranza, d’incanto propositive, chiedere nuove lezioni, ponendosi alternativa di... “buon governo”. Certamente, ci vuole coraggio dopo il fallimento del loro operare quando maggioranze nel Palazzo. Non è stato diverso per la maggioranza che si vuole disarcionare dal governo, quando questa era all’opposizione nelle precedenti legislature. Un ritornello che si ripete, di volta in volta, a parti invertite: un canovaccio da avanspettacolo, ma che non fa ridere, perché finirà ad allontanare dalla politica, dalle urne. Sapete, nella Città di Firenze, l’ “Ordinamento di Giustizia del Popolo e Comune di Firenze” dal 1292 al 1324-prima metà sec. XIV ( emanato il 15 gennaio 1293 dal Guelfo, Giano della Bella) poneva

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come requisito per potere accedere alla carica di Priore (il nostro assessore) l’appartenenza al mondo del lavoro produttivo: arti, mestieri, professioni. Vero è che Dante per potere accedere alla carica di Priore nella “città tanto odiata perché tanto amata” dovette iscriversi alla VI Arte, quella degli speziali. Non è così da noi, la gente di lavoro è fuori e soffre come Voi. Ma, il tempo è signore. Il sen. Arturo Perugini, il Padre di Lamezia Terme, mi ammoniva spesso ”Ciccio, quando il fiume è in piena tutte le “sporcizie” affiorano. Mettiti da parte per non farti travolgere ed aspetta che torni la normalità, quindi, puoi avvicinarti alla riva e prenderai confidenza con il fiume”.

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IL VOLTO SPIRITUALE DELLA CALABRIA

CATERINA BARTOLOTTA M I S T I CA CA L A B R E S E di Fernando Conidi

I veri servi di Cristo non si nascondono, né nascondono le loro opere, né Dio stesso li nasconde, ma essi vengono alla luce, affinché la grazia di Cristo sia manifesta. Gesù, infatti, disse: “Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli”. (Mt 5, 14-16) La vita di Caterina Bartolotta è un vero esempio di vita cristiana. Sin da quando aveva poco meno di dieci anni, infatti, si dedica con amore alla missione che la Madonna le ha affidato. *** LA MISSIONE DI CATERINA Dopo quasi tre mesi dalla prima apparizione, il 1° ottobre 1973, la Madonna appare nuovamente a Caterina per darle il seguente messaggio: “Come io ho salvato te, tu devi salvare il mondo e, da oggi, tutti possono sapere che io sono con te”. Il messaggio non sarà immediatamente comprensibile nel suo reale significato. Ma lo si comprenderà con il tempo, man mano che gli eventi attorno a Caterina, come tanti piccoli tasselli, comporranno l’immagine della missione che la Madonna, con quelle semplici parole, aveva voluto affidare alla piccola Caterina. Il messaggio contiene tre punti importanti e concatenati tra loro. “Come io ho salvato te,…” Parole riferite alla guarigione miracolosa di Caterina dalle convulsioni epilettiche. Una guarigione che è espressione di una grazia concessa direttamente dalla Madonna. Il momento della guarigione fisica è quindi anche momento di grazia spirituale, pag. 16

“Figlia mia, ogni viaggio che fai per curarti salvi cento anime”; davanti a questa affermazione Caterina si rianima, per continuare il percorso che la Madonna le ha assegnato con la missione.

Parete della stanza da letto di casa Bartolotta, a Settingiano, dove avveniva l’apparizione della Madonna

poiché diviene un mezzo attraverso il quale comprendere quanto gli eventi, apparentemente finalizzati a una grazia materiale, contengano un percorso, un cammino personale verso il Signore. “…tu devi salvare il mondo…” La richiesta che la Madonna fa a Caterina è di donare a sua volta, così come ha ricevuto, seguendo l’insegnamento di Gesù che disse: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8). La Madonna invita Caterina a fare altrettanto, a imitare il Signore dimostrando amore verso il prossimo, senza chiedere nulla in cambio. La Madonna, con quelle parole semplici ed efficaci, intendeva rivelare a Caterina la necessità che lei mettesse la sua vita al servizio del Signore, sacrificando se stessa per salvare i propri fratelli in Cristo. Col tempo, infatti, Caterina diverrà un vero e proprio olocausto umano di sofferenza fisica e morale, davanti alla quale non si ribellerà mai, consapevole che quella era la volontà del Signore e della Madonna. Oggi, quando le difficoltà divengono per lei quasi insopportabili, le torna in mente una frase che le disse la Madonna:

“…e, da oggi, tutti possono sapere che io sono con te.” Quest’ultima parte del messaggio esprime la chiara volontà della Madonna di rivelare le apparizioni e, con esse, la missione di Caterina. Sarà proprio attraverso questa rivelazione che si aprirà una porta di grazia per la conversione di molti. La Madonna, infatti, quale corredentrice e madre dell’umanità, attraverso Caterina, svelerà e manifesterà il grande amore di Dio per tutti gli uomini, nessuno escluso. Molti segni, infatti, si manifesteranno, in seguito, anche davanti agli occhi di coloro, che, ancora increduli, cercheranno la prova della veridicità delle apparizioni.

Caterina, durante un’apparizione, allunga le braccia verso la Madonna, porgendole delle rose CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO Fonte: “Il Segno del soprannaturale”, n. 349, luglio 2017 - Edizioni Segno - Autore: Fernando Conidi

Per approfondimenti:

https://www.caterinabartolotta.it

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cultura

Michele Pane: un poeta calabrese in dialetto DOC

di Francesco Polopoli

Mai nelle terre del Sud una biografia è diventata una narrazione così avvincente quanto quella di Michele Pane (Adami di Decollatura 1876 - Chicago 1953). Il tutto è partito dagli studi: incredibile ma vero! A dirla tutta, è un bel racconto odeporico: pensate un po’! Le scuole elementari a Sambiase, il Ginnasio inferiore a Nicastro e quello superiore a Monteleone (VV): laurea mancata in Giurisprudenza, a non molti esami dalla seduta conclusiva di una carriera, che non pochi auspicavano già promettente, purtroppo per i suoi! Su di lui hanno avuto senz’altro peso, nella sua formazione, sia il patriottismo, che gli veniva dal babbo e dallo zio Francesco Saverio, che il magistrale punto di riferimento del filosofo F. Fiorentino, suo zio, per parte materna. Non poteva venirne fuori un carattere esplosivo, dedurrete: geneticamente giustificato, mi va di aggiungere, in questa mia brevissima postilla di giudizio! La sua prima opera in versi, il poemetto “L’uominu russu” (L’uomo rosso), pubblicato a Foggia nel 1898, di ispirazione risorgimentale radicale, gli valse un processo penale, intentatogli da Leopoldo Perri, che si riconobbe nel ritratto di un miles gloriosus garibaldino. Ne seguì un processo per diffamazione, che si concluse con la condanna ad una multa, seguita dalla prescrizione nella sentenza d’appello. Meno male, tirando un sospiro di sollievo: la satira calabrese, grazie a lui, è rinata vittoriosa dalle aule del Tribunale. Le composizioni poetiche successive, invece, sono state composte tutte negli Stati Uniti d’America, dove il Nostro autore era emigrato nel 1901, spinto non solo da spirito di avventura, ma più specificatamente da motivi di ordine economico. A Chicago, dove rimase quasi ininterrottamente fino alla morte,

svolse prevalentemente l’attività di giornalista e di editore: insomma, un uomo versatile a tutto tondo, o no!? Opere edite nel catanzarese: Musa silvestre (pubblicata a Catanzaro nel 1930) e Trilogia (consegnata alle stampe a Nicastro nel 1901). Prima di passare alla sua produzione vernacolare, credo sia giusto, sia pur cursoriamente, aprire un varco introduttivo di respiro nazionale, anche per dargli merito, e ancor di più per tributargli onore, azzarderei! La poesia in dialetto, per inciso, si sa che ha una lunga e gloriosa tradizione nella nostra letteratura, da Carlo Porta a Giuseppe Gioachino Belli, da Salvatore Di Giacomo a Giacomo Noventa, senza fermarmi assolutamente qui! Negli anni ’70 e ’80 del Novecento si è assistito, infatti, a una sua nuova fioritura con autori come Franco Loi, Raffaello Baldini, Franco Scataglini e altri. Anche allora però (o proprio allora) l’uso del dialetto, fatte le dovute eccezioni, costituiva uno sbarramento: non deponeva bene a favore dello scrittore, per capirci! Alla luce di tutto ciò, pensate quanto sia stata eccezionale, all’interno di questo scenario, l’esperienza del nostro Poeta, di cui offro un testo noto, che è di seguito riportato, ritrascritto e risemantizzato in quel pedigree sociale, che è appunto il nostro idioma bruzio. La poesia con cui si rapporta, senza fare un Certamen, è quella di Giovanni Pascoli: un bel sonetto rovesciato, benché monco di una sola quartina. Del testo, segue l’originale con la riscrittura dialettale del Pane: la parafrasi, a mo’ di jolly, vale per tutte e due le composizioni. Per la serie, due piccioni con una fava! Cosa colpisce, leggendo questo componimento? Il rumore delle

Lavandare

Lavandare

Parafrasi

Nel campo mezzo grigio e mezzo nero resta un aratro senza buoi che pare dimenticato, tra il vapor leggero. E cadenzato dalla gora viene lo sciabordare delle lavandare con tonfi spessi e lunghe cantilene: Il vento soffia e nevica la frasca, e tu non torni ancora al tuo paese! quando partisti, come son rimasta! come l’aratro in mezzo alla maggese.

A ‘nu siettu de terra menza scura cc’èdi ‘n’aratru senza voi, chi pare riscordatu ‘ntr’ ’a neglia d’’a chianura. E a botte a botte de lu vullu vene Lu sciacqua-sciacqua de le lavandare Ccu’ fuorti tuffi e longhe cantalene. La tramuntana jujjia è ‘njelata e tu nun tuornu ancòre allu paise! Quandu partisti cumu m’hai lassata? Cumu l’aratru ‘mmienzu allu majise!

Nel campo che è per metà arato per metà no c’è un aratro senza buoi che sembra dimenticato in mezzo alla nebbia. È scandito dalla riva del fiume: si sente il rumore delle lavandaie che lavano i panni, sbattendoli, e lunghe cantilene: Il vento soffia e ai rami cadono le foglie, e tu non sei ancora tornato! da quando sei partito sono rimasta come un aratro abbandonato in mezzo al campo.

lavandaie che lavano i panni, così come quello del vento, mentre si vedono cadere le foglie d’autunno. La dolce quiete dei colori è tutta in questa percezione sensoriale: eppure non ha una lunga dimora estetica, se non nello spazio in cui si consuma, perché presto cede il posto alle spaccature dell’animo. I versi finali si fanno disarmanti allo stato puro: un amato partito tanto tempo fa e mai più tornato, nella memoria squarciata della sua amata, sola come quell’aratro abbandonato in un campo. Più volte mi sono chiesto quali siano state le ragioni che hanno spinto Michele Pane a tradurre un bozzetto naturalistico come questo: beh, non Lamezia e non solo

è difficile immaginare tante nostre donne del Sud, in situazioni del tutto simili, mentre attendevano il loro consorte da tutt’altra parte del loro paese (emigrante, nei casi più fortunati, prigioniero o morto in guerra, in quelli più drammatici), e per giunta, o molto spesso, digiune di notizie per la scadente corrispondenza epistolare dei loro tempi. Forse dentro quel suo Pascoli personalizzato c’era tutta la sua Calabria ad affidarsi alle sue corde, e perché no, anche la soggettificazione di quanto può restare accampato come la più struggente delle tenerezze malinconiche.

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riflettendo

Può esserci amore senza stima? di Pierluigi Mascaro “Amore senza stima è mezzo amore, che malamente vive e peggio muore”, scrisse Arturo Graf. Secondo gran parte della letteratura antica, moderna e contemporanea, l’amore è quella forza indomita ed irrazionale, completamente svincolata da qualsiasi forma di raziocinio oggettivo. “Non è colpa di Elena se ha scatenato la Guerra di Troia, perché totalmente accecata ed annientata nella volontà dall’irresistibile potenza di Eros” scriveva Gorgia nel celeberrimo Encomio; “L’amore vince tutto, arrendiamoci anche noi all’amore” si legge al verso 69 della decima Ecloga di Virgilio, ed innumerevoli altri potrebbero essere gli autorevoli esempi di tale concezione del più nobile tra i sentimenti. Ma è davvero così? Possiamo davvero credere che l’amore, per riprendere l’immagine platonica della biga alata, sia guidato esclusivamente dal cavallo nero degli istinti concu-

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piscibili, senza il minimo intervento, in funzione di bilanciamento e riequilibrio, del cavallo bianco, che poggia prudentemente gli zoccoli sul terreno, simboleggiando l’anima razionale? Beh, io credo proprio di no. Perché ritengo preferibile inquadrare l’amore lato sensu inteso, e cioè tra familiari, tra amici, tra partners o sposi come “sentimento pars construens”. E tramite questa locuzione un po’ bizzarra, mi piace definire l’amore come sentimento oggettivamente edificante, che costruisce su solide basi le relazioni umane, fungendo da linfa vitale di quell’aridità affettiva che sempre più si fa strada ai nostri giorni. Ed è così che veniamo, in piena logicità argomentativa, al tema della stima in correlazione all’amore. Ed anche in questo caso, bisogna partire provando a definire cosa sia la stima. E ritengo che stimare significhi un qualcosa di molto semplice, vale a dire credere nel valore soggettivo dell’altro e nelle sue doti e qualità oggettive, nonché riporre fiducia nel fatto che accogliere l’altro nella nostra vita, aprendogli il nostro cuore e rendendolo partecipe dei nostri pensieri più profondi, dei nostri progetti, dei nostri sogni, possa renderci persone migliori, costruendo insieme un percorso di crescita morale, intellettuale e spirituale, mediante una continua condivisione di esperienze, valori, ideali. Dopo di tutto ciò viene l’amore, ad accrescere e rafforzare questa autentica e straordinaria trama affettiva già costruita e consolidata sulla base della stima, e perché no, anche a tingerla di quel pizzico di istintività irrazionale che ci aiuta a percepire il prossimo e la realtà circostante con i sensi “del cuore”, cosa che non guasta affatto! Ma attenzione! La base di partenza resta sempre ed in ogni caso la stima reciproca; ed in mancanza di questa base essenziale, “L’amore malamente vive e peggio muore”, affermazione di Arturo Graf che condivido in modo pieno ed assoluto.

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ricordi

di Giovanni Mazzei

Vendemmia

Ho sempre ascoltato, fin da bambino, svariati racconti che avevano come protagonista non un eroe impeccabile, che nulla teme e tutto può, e neanche storie su lontane epoche magiche con draghi volanti o altre creature, no, nulla di tutto questo. Le storie che da bambino ero solito ascoltare erano ben diverse, si riferivano a tempi e luoghi più vicini, vissuti dai miei nonni, dai miei genitori: non parliamo, dunque, di tempi remoti ma periodi dai quali, adesso, ci distanziano cinquanta, sessanta anni e che, nel momento in cui recepivo per la prime volta quelle parole, erano stati vissuti da ancor meno. Nell’immensa tela che la storia dipinge, già un secolo rappresenta appena un minuscolo tratto, figuriamoci cosa possono esser pochi decenni!

mercato rionale del martedì, per meno di diecimila lire – già rotte: le suole, infatti, erano lestissime a staccarsi, dando a quelle piccole calzature in tela colorata la parvenza in un grosso pesce esotico abitatore dei mari tropicali con la bocca aperta, in attesa di ingurgitare sabbia e piccoli crostacei (non ho intenzione di divagarmi in disquisizioni sui jeans rattoppati, visto che ora vanno di moda gli strappi). Le cose di sole trent’anni fa sembrano incredibili ! Le strade del paese da naturale punto di riferimento, dove si riversavano rumorose folle di bambini, giovinetti e adulti ritor-

Eppure mai come negli anni ai quali mi riferisco il tempo ha completamente stravolto qualunque cosa ci circondi. Questo incredibile mutamento (positivo o negativo che sia, non voglio avventurarmi in pruriginosi giudizi) ha fatto sì che tutti i racconti delle persone più adulte emergano in me come un sogno lontano, come qualcosa di irreale: come una bruma onirica che opacizza i ricordi conferendo loro i tratti sfumati dell’acquerello. Si fa decisamente fatica, oramai, a concepire strade terrose percorse solamente da pochi animali, è vero: ma – pensiamoci bene – è difficile, difatti, persino immaginare bambini giocare a calcio in mezzo la strada, con porte arrangiate alla meno peggio, con le misera scarpe – comprate al Lamezia e non solo

nati dal lavoro, o animate dalle donne sedute su una sedia pieghevole in legno di fronte la porta di casa, sembrano solo illustrazioni di un libro su usi e costumi lontani. Come potrei ora immaginare la vendemmia? Sì, potrei andare in un’azienda enogastronomica, in un vigneto, a sperimentare i metodi (l’oggi

detto know-how), a vedere le capacità dei viticoltori, ma avrebbe tutto la sterile sensazione di star spaginando un libro di educazione tecnica, di aver di fronte non un sapere antico tramandato di generazione in generazione, con precisi segreti da tenere occultati a tutto il vicinato, ma una conoscenza nozionistica, un sapere di tipo manualistico. Ho ascoltato da sempre, invece, racconti di profumi immensi, di un paese che, prima di estirpare i vigneti per far posto alla coltura delle olive (più produttiva e meno dispendiosa), era apice di una produzione vinicola regionale. Allora immagino, e nella mente i colori sono vividissimi pur senza averli mai vissuti, gli asini che portavano sulla groppa pesanti carichi di violacei grappoli di gaglioppo, penso ai torchi, ai fiaschi, alle damigiane da sciacquare, penso alle carrette che seguivano il tortuoso percorso delle vie in discesa del centro storico, ai rigoletti che divenivano rossastri scendendo verso la piazza e recavano con sé il profumo di mosto.

Ora ricerchiamo l’etichetta migliore, un tempo venivano ricercati piedi agili e veloci, per danzare ritmicamente su acini di magliocco color rubino, piedi allegri per ballare e spremere e far schizzare da quei paonazzi chicchi una gioia, una tradizione, una vita che – anche se in quel momento non sembrava – era destinata a non ripetersi più, era destinata a essere l’ultima prova di una genuinità che l’imbarbarimento dell’evoluzione, che la spersonalizzazione del mondo digitale avrebbero contribuito a corrompere per sempre.

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Associazionismo

Il Soroptimist club di Lamezia Terme mette a disposizione di una giovane laureata un corso gratuito all’Università BOCCONI di Milano Un corso di formazione gratuito all’università Bocconi di Milano destinato alle giovani donne. È quanto propone il Soroptimist club di Lamezia Terme, che anche quest’anno offre l’opportunità a una giovane donna lametina di partecipare gratuitamente al corso “Leadership e genere nella società 4.0”, organizzato dal Soroptimist international d'Italia insieme alla Sda Bocconi. L’iniziativa è rivolta a donne in procinto di entrare nel mondo del lavoro, in possesso di alcuni requisiti: età massima 28 anni, laurea specialistica o magistrale, conoscenza della lingua inglese e residente in città. Le donne interessate potranno inviare il curriculum al club lametino, che valuterà le candidature. Obiettivo del corso, che sarà tenuto da docenti della Sda Bocconi, è quello di valorizzare le potenzialità delle donne offrendo loro strumenti per affermarsi come valore aggiunto per la società del domani, in linea con le proprie aspirazioni e i propri sogni. «Questa nuova edizione si pone un obiettivo in più – ha spiegato la presidente del Soroptimist lametino

Concetta Giglio – contestualizzare l’obiettivo alla nostra società in movimento, incerta tra globalismo e localismo, tra tecnologia e umanesimo, percorsa da incertezze e paure, caratterizzata da individualismo e competizione sempre più aggressiva. A questo deve guardare il nuovo concetto di leadership: che non è gestire potere, soldi, relazioni ma è la capacità di acquisire consenso intorno a un progetto, ad una idea , con il carisma che nasce sì da doti naturali di empatia ma, soprattutto, con la competenza che nasce dalla conoscenza». Alle lezioni di inquadramento teorico e di sintesi saranno affiancati l’analisi e la discussione di case histories e di incidents, il lavoro individuale e in piccoli gruppi, la proiezione di filmati, il rolemodeling e le testimonianze. Ogni candidata potrà inviare il proprio curriculum all'indirizzo mail lamezia-terme@ soroptimist.it, scaricando il bando all'indirizzo mail www.soroptimist.it. La domanda di ammissione che le “aspiranti” a frequentare il corso dovranno compilare e consegnare al club entro il 15 dicembre 2019.

Istruzione

ISTITUTO COMPRENSIVO “Don SAVERIO GATTI” La palestra dell’Istituto comprensivo “Don Saverio Gatti” di Lamezia Terme si è tinta di giallo, viola e verde, i tre colori delle Certificazioni YLE Cambridge, per ospitare la Cerimonia che ha visto “laurearsi” circa 100 alunni tra i livelli STARTERS, MOVERS e FLYERS. Da tre anni l’Istituto organizza corsi pomeridiani di potenziamento della lingua inglese seguendo le indicazioni dei testi ufficiali del Cambridge English Assessment e il numero elevato degli alunni certificati nel corso del triennio gli ha consentito di ricevere molte gratificazioni: fin dal primo anno, il Logo come Centro Preparatore Autorizzato agli Esami Cambridge ed ora anche un Attestato di Merito e una Targa. Tali riconoscimenti riempiono di gioia non solo la Dirigente Scolastica, Dottoressa Margherita Primavera, ma tutto il personale che opera nella scuola, docente e non docente, gli alunni e le relative famiglie. Un’emozione particolare, com’è giusto che sia, è stata vissuta dagli allievi certificati e dalle loro insegnanti che hanno speso molto tempo ed energie per arrivare all’obiettivo prefissato… facendo centro! Le votazioni ottenute, infatti, sono state elevate, diversi alunni dei tre livelli hanno meritato 15 scudi, il massimo del punteggio, tutti gli altri poco meno. Le docenti coinvolte in questo importante progetto d’Istituto sono: Francesca Fiore, del plesso di pag. 20

scuola primaria “Manzi” di Lamezia Terme e referente del progetto, Vittoria Saladini del plesso di scuola primaria di Pianopoli, Lucrezia Vescio del plesso di scuola primaria di Feroleto e Romina Mercuri, insegnante incaricata dello scorso anno nella scuola secondaria di primo grado di Lamezia Terme e Feroleto, quest’ultima ha seguito i ragazzi uscenti dal livello MOVERS dei vari plessi di scuola primaria che desideravano “volare” al terzo “step”: FLYERS, appunto. Il corso di potenziamento gode del supporto di docenti di madrelingua che formano l’organico dell’unico Centro Autorizzato Cambridge Assessment della provincia di Catanzaro, gestito dalla Società F.I.V.E. di Lamezia Terme; con tale Società, all’inizio di ogni anno scolastico, vengono curati i rapporti per rendere operativi i nuovi corsi, le simulazioni e l’organizzazione

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degli esami finali. Il CEM Mister Anthony Caruso è stato sempre presente, con alcuni membri del proprio staff, alle Cerimonie conclusive predisposte dall’Istituto e ogni volta spende parole d’elogio e motivanti nei confronti degli studenti e degli insegnanti preparatori. Quest’anno, in particolare, la soddisfazione è stata più grande in quanto tutti i corsi che portano al livello A2, riconosciuto dal QCER (quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue), sono stati attivati e conclusi egregiamente. La Cerimonia, com’è ormai consuetudine nell’Istituto, si è conclusa “dolcemente”. I genitori hanno offerto un meraviglioso buffet di dolci che è stato ben allestito dalla signora Angela Careri, rappresentante della classe quarta del plesso “Manzi” di Lamezia Terme, la quale si è molto impegnata, prima della Cerimonia e durante la stessa, per far vivere un bel momento di festa a tutti i presenti. La certezza che l’apprendimento delle lingue straniere, dell’inglese in particolare, permetterà di aprire molte porte nel mondo lavorativo sprona l’Istituto Comprensivo “Don Saverio Gatti” a mettere nuovamente in campo il Progetto Cambridge per il corrente anno scolastico, quindi, ai ragazzi non ci resta che dire: “Enjoy your next English lessons”.

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Associazionismo

Rotary Club del Reventino

“L’olivicoltura calabrese tra cambiamenti climatici e miglioramento della qualità degli oli: una sfida per il futuro!” Si è tenuto negli scorsi giorni, nella sede Coldiretti di Lamezia Terme, il convegno dal titolo “L’olivicoltura calabrese tra cambiamenti climatici e miglioramento della qualità degli oli: una sfida per il futuro!”, realizzato grazie alla collaborazione tra il Rotary Club del Reventino, la Co.Ma.Ci. S.r.l. e l’Asso. Pr.Oli. Cosenza. Diversi gli esperti del settore presenti all’incontro in qualità di relatori, come il prof. Antonio Procopio, docente dell’Università Magna Graecia di Catanzaro, la ricercatrice CREA-OFA, Gabriella Lo Feudo, il prof. Giovanni Agosteo dell’Università di Reggio Calabria, il Capo-Panel CREA-OFA Massimiliano Pellegrino e il dott. Marco Danielli della FLYDRON I.S. s.r.l.. Subito dopo i saluti istituzionali del Rotary Club del Reventino, nella figura del presidente Antonio Giacobbe, è stato il dott. Thomas Vatrano ad aprire il dibattito, dando la parola alla dott.ssa Lo Feudo, che ha trattato la tematica relativa alla normativa sull’etichettatura, mettendo in risalto una delle peculiarità del Centro di ricerca per l’olivicoltura, quale l’etichetta per i non vedenti, quindi con un testo in braille, e il Qrcode. Innegabilmente i cambiamenti climatici

degli ultimi anni hanno creato grande scompenso all’agricoltura, e questo problema non poteva che essere affrontato nel corso del convegno, durante il quale si è rimarcato quanto l’olivicoltura – settore già in crisi – sarà costretta a dover affrontare sempre più questa lotta ai mutamenti climatici. Molteplici malattie fungine, tra

l’altro, prima considerate secondarie, sono ora diventate più complesse da gestire a causa dello stravolgimento delle stagioni, con una conseguente rimodulazione delle strategie di lotta. In questo contesto assume un ruolo sempre più importante la figura del

Dottore Agronomo, capace di gestire una agricoltura che mira alla eco-sostenibilità e di mettere in atto strategie di mitigazione dei cambiamenti climatici. Il Capo-Panel ha illustrato l’importanza dell’analisi sensoriale, potente strumento per smascherare frodi nell’olio e per poter apprezzare al meglio quelli di qualità. A prendere la parola, poi, è stata l’azienda bolognese Flydron IS Srl, nella figura del dott. Danielli, che c’ha tenuto a mettere in risalto quanto le nuove tecnologie fungano da supporto decisionale nell’ambito dell’agricoltura. Ha, quindi, proiettato i diversi casi studio nel campo olivicolo, spiegando il funzionamento di camere multi spettrali, montate su droni. Infine, è stato il presidente di Coldiretti, Pietro Bozzo, a illustrare le attività portate avanti finora e quelle da intraprendere nel futuro prossimo. Fondamentale per la realizzazione di questo incontro è stato il supporto della Co.Ma.Ci. Srl, azienda esperta nel settore, presente nella figura del titolare Vittorio Mastroianni. Altrettanto indispensabile il sostegno prestato dal dott. Vatrano, dalla Coldiretti Calabria e dal Rotary Club del Reventino, promotore principale del convegno.

Satirellando

Un tipo che bazzica nel mio quartiere, dove, pare, lavori, crede che tutte le donne cadano ai suoi piedi… Un tappetto (e già di tappi basto io!) che, neppure carico d’oro come S. Antonio (secondo il detto lametino), guarderei con occhio benevolo, si permette, tronfiamente, di osar pensare a cose lontane anni luce, dalla sua portata… E’ ovvio, a questo punto, precipitarsi a… satirellare! Il cretino di turno, dappertutto, ma anche a Soverato, crede che, intorno a lui, giri tutto il Creato! Egli si muove con tracotante baldanza, girandosi tronfio, rientrando la panza! Lo sguardo come un faro, che ruota a compasso, pensa che, senza lui, nessuno Lamezia e non solo

IL CRETINO DI TURNO

faccia un passo. Gesticola e, quando parla, strombetta, del mondo vuol tutto, non solo una fetta! Tratta gli altri con vaga sufficienza: tutti pesci abboccati alla sua lenza; con le donne, poi, fa il gradasso, guardandole sempre dall’alto in basso e se ti comporti da persona educata, pensa di lui tu sia “cotta e mangiata”!

Tal cretino non è che un poveraccio e, se dico questo, torto non faccio, forse, neppure ai suoi genitori, che vorrebbero aver cenato fuori quella sera che hanno concepito, un pallone gonfiato così ben rifinito e magari darebbero qualunque cosa, per non aver mai innaffiato tal rosa!

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riflessioni

Parole e gesti sono pietre? Un interrogativo, questo, opportuno e sempre attuale, che richiama l’’omonimo (“le parole sono pietre”) romanzo del torinese Carlo Levi. Una metafora che viene troppo spesso dimenticata quando si tratta di analizzare, appunto, con una dimensione sociologica parole e gesti di soggetti e gruppi, o masse organizzate. Ancor più si ravvisa una opportunità interpretativa, e non solo linguistica, dal mondo della cultura, per le implicanze strette con una etica ed una attinenza severa con la Storia, quest’ultima codificata nella Costituzione italiana. E, proprio partendo da quanto un attento utente dei social ha potuto ascoltare, penso abbia destato grande attenzione alle affermazioni pronunciate da quel capo-ultras, Roberto Fiore, ma non solo, che con molta nonchalanche definisce come goliardia il saluto romano in manifestazioni pubbliche, sportive e non solo. E, a rincarare la dose, ammira come “coraggiosi” quei gruppi che quel tipico saluto e cori dello stesso segno accompagnano il prima e il dopo-partita, come il corteo funebre di un loro “compagno”. Dunque, dobbiamo uniformarci, omologarci e rimanere indifferenti ad un uso così ostentatamente sommario e sbrigativo di termini e parole inneggianti magari ad un dittatore criminale come Hitler ? Né meno superficiale dal punto di vista semantico è rubricare la coraggiosità dei singoli che si avvalgono della forza trainante del “gruppo”. Tutta una letteratura

specifica è, invece, illuminante rispetto ad una implicita pericolosità di simile connubio psicologico. Potenza della parola, in quel caso che vorrebbe far passare minimizzato il rischio della violenza, che è il passo successivo a quello del fanatismo. Violenza che, puntualmente, le cronache compaiono nelle cronache, sportive e non, fuori e dentro gli stadi, facendo passare in second’ordine una originaria caratteristica di “sportività” di competizione dentro uno stadio, e di sano tempo domenicale per famiglie sugli spalti. Un rapporto sempre più stretto, come dimostrano ricorrenti indagini giudiziarie, tra violenze degli ultras, ‘ndrangheta e spaccio di droga (prevalentemente di estrema Destra, il quadro che ne viene fuori non può essere ancora una volta derubricato come semplice ed innocente fanatismo. Né si possono ritenere fatti e fenomeni sporadici casi di vero e dichiarato razzismo quelli come quello di Luca Traini a Macerata che, per presunta vendetta di un omicidio, non esita ad uccidere un uomo di colore. Allora la questione assume importanza rilevante ed inquietante sotto l’aspetto sociologico e costituzionale, atteso che, accanto ad una “libertà associativa”, garantita da una legge (la n. 645 del 1952), non va assolutamente sottovalutato, l’aspetto altrettanto rilevante, del pericolo di apologia del fascismo. Tenere “alta la guardia” su tale versante, significa fare un buon servizio a salvaguardia della Costituzione, non meno che prevenire una mediocrazia al potere.

Le perle di Ciccio Scalise

U PATRUNI. U CIUCCIU E LLA’ TILIVISIONI Nù patruni a nnà cavarcatura, ppimmu cchjiù bbona a fhà staviri, propriu supra a mangiatura, nà tilivìsioni ccià ffattu mintiri. Chillu ciucciu, a prima sira, ppi lla virità, sà ddivirtutu, mà, ccià ssagliutu l’ira, appena ciarti parenti ha bbidutu. Mentri povariallu mangiava, capuzziandu, stavia a ssintiri, pag. 22

pua pirò sì ncazzava, pirchì sulu zzii e ccuggini riscia a bbidiri. Mprima ha ppinzatu, mù, dua cauci cci mina, e ddopu chi là ffracassatu, mù i supra cci’urina. Pua pirò ha ddiciutu, cà si u sumpurtava, mamma, patri e ffrati avera bbidutu, pirchì, ad’unu ad’unu, chilla i nquatrava. GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

Sti parianti mia mpurtanti, vidi tù cumu sunu sistimati, mà, ciucci eranu tutti quanti, su bbistuti a ffesta sé, mà ciucci su rristati. E’, a nnù cagnualu, ccù ttrì rragli ccià ddiciutu, “U ciucciu è ssempri ciucciu, nduvi ha jjiutu jiutu”.

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criminologa

Il diritto dei detenuti alle relazioni affettive e alla sessualità

di Angela Sara De Sensi

In questo numero ho preso in considerazione un argomento estremamente etico e delicato di cui, a parere della sottoscritta, se ne parla poco ovvero quello dei legami affettivi tra detenuti e familiari/partner che vivono al di fuori delle mura carcerarie. È tuttavia risaputo che le conseguenze poste in essere dalla pena, non si riversano esclusivamente sul soggetto condannato o sottoposto a misure cautelari, bensì colpiscono indirettamente anche i familiari, vittime dimenticate ed invisibili, la cui sfera affettiva viene inevitabilmente compromessa dalla condizione del proprio caro. Ad essere lesi sono senz’altro i figli minori della persona detenuta, sia coloro i quali vivono all’esterno del carcere e necessitano, come è giusto che sia, di mantenere un legame con il genitore, sia quei bambini che fino all’età di tre anni hanno la possibilità di vivere all’interno dell’istituto penitenziario accanto alle proprie madri. Le modalità di esecuzione della pena e delle misure cautelari non possono, e non devono, ignorare i bisogni del bambino e, in tale prospettiva, sorge la consapevolezza che, alla necessità di assicurare al figlio un legame affettivo continuativo, si affianca quella di preservarlo da un ambiente carcerario grigio ed austero. La normativa attuale del nostro Paese riconosce diffusamente il diritto alle relazioni familiari nel contesto carcerario, sollecitato anche ai fini di un utile percorso di recupero sociale del reo. I colloqui ordinari senza barriere, quelli all’aperto, la tutela dei figli minori che vivono in carcere con la madre e di quelli in visita ai genitori, rappresentano tutte questioni che, seppure ampiamente riconosciute dall’attuale sistema, devono confrontarsi con le peculiarità che connotano la realtà carceraria e le esigenze punitive e di sicurezza, in un bilanciamento di interessi non facile da soddisfare. Altro aspetto, altrettanto spinoso, è senza dubbio rappresentato dal diritto alla sessualità dei detenuti, diritto che, nel sistema vigente, in base alle regole previste dall’attuale Ordinamento penitenziario, risulta non semplicemente limitato ma addirittura per nulla considerato e questo perché si pensa Lamezia e non solo

esclusivamente a soddisfare esigenze legate alla sicurezza e all’ordine pubblico. Trattasi di esigenze che potrebbero essere soddisfatte, come del resto accade in molti altri Paesi europei, attraverso una migliore gestione degli Istituti penitenziari, così da consentire ai reclusi di trascorrere del tempo da soli con i propri partner. Non a caso tutto ciò si traduce, di fatto, in una vera e propria negazione di diritti che le istituzioni si ostinano tuttora a trascurare, sottovalutando le conseguenze psicofisiche che possono emergere della cosiddetta “sessualità reclusa”, condizione che viene vissuta dai detenuti con enorme sacrificio. Gli effetti della totale assenza di rapporti sessuali dipendono in larga misura dalle circostanze in cui tale situazione si realizza. In pratica, i detenuti, consapevoli della irreversibilità della propria condizione, dovuta alla totale impossibilità di cambiare le cose e la situazione in cui sono costretti a vivere, tendono a rassegnarsi alla privazione imposta loro, finendo con l’accettarla. In che modo, dunque, tutelare l’affettività dei detenuti? A livello internazionale, l’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo sancisce che “il comportamento sessuale è considerato un aspetto intimo della vita privata”. In virtù di ciò, il Consiglio dei Ministri europeo ha raccomandato agli Stati membri di far sì che i detenuti possano incontrare il/la proprio/a partner senza sorveglianza durante la visita. Allo stesso modo, anche l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha raccomandato di mettere a disposizione dei detenuti dei luoghi ove poter coltivare i propri affetti. In Germania e Svezia, ad esempio, negli Istituti pe-

nitenziari sono stati costruiti dei miniappartamenti dove il detenuto è autorizzato a poter vivere per alcuni giorni con la propria famiglia. Attualmente, il sistema utilizzato nell’Ordinamento italiano atto a consentire al detenuto, che ovviamente abbia mantenuto una condotta regolare e che non risulti socialmente pericoloso, di mantenere relazioni anche intime con il proprio partner è quello dei permessi premio. In Italia, con la proposta di Legge 653/86, si è vagliata l’idea di introdurre delle apposite “celle per l’amore”, in modo che il detenuto possa mantenere un legame di coppia preesistente. Inutile dire quanto l’argomento abbia suscitato non poche perplessità, a tal punto da essere, presto, stato messo da parte, senza tener conto di quanto il controllo visivo durante gli incontri violi, di fatto, la dignità umana del detenuto stesso, non permettendo il pieno sviluppo della sua personalità e incidendo negativamente sulla rieducazione. Con la sent. n. 301/2012, la Corte Costituzionale ha richiamato l’attenzione del legislatore sul problema dell’affettività in carcere, riconoscendo al detenuto una vita affettiva e sessuale intramuraria. Ed è così che la proposta di introdurre delle “stanze dell’affettività” o “love rooms” è tornata di recente all’attenzione, soprattutto grazie ai lavori posti in essere dagli Stati Generali sull’Esecuzione Penale. Trattasi di “unità abitative”, ove gli incontri possono avvenire senza il controllo visivo e/o auditivo del personale di sorveglianza; spazi collocati sì all’interno dell’Istituto penitenziale ma separati dalla zona detentiva, così da offrire ai detenuti la possibilità di tutelare i propri affetti all’interno delle carceri e “salvare” i rapporti con le proprie famiglie.

Dott.ssa Angela De Sensi,

educatrice, laureanda in pedagogia e specializzanda in criminologia.

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PROV. DI CATANZARO

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