Lameziaenonsolo vincenzo villella ottobre novembre 2019

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VINCENZO VILLELLA

GENTI E PAESI DEL COMPRENSORIO LAMETINO

LAMETINO

DEL COMPRENSORIO

GENTI E PAESI

VINCENZO VILLELLA

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lameziaenonsolo incontra

di Nella Fragale

Vincenzo Villella

Sotto la raffica delle mie domande, più o meno interessanti, questo mese c’è Vincenzo Villella, storico lametino molto conosciuto ed apprezzato non solo nel lametino. Lo conoscevo per i suoi libri, per le sue recensioni, per i suoi interventi in numerosi convegni ed incontri culturali. Ho avuto il piacere di conoscerlo personalmente in occasione della stampa dei suoi ultimi due libri, che abbiamo avuto l’onore ed il piacere di pubblicare. Con questa intervista conosceremo anche una piccola parte dell’uomo oltre che dello storico.

Sei nato a Conflenti, hai frequentato le scuole medie ed il liceo a Torino, ti sei laureato a Napoli, sei tornato nella tua terra dove hai insegnato ma, soprattutto, ti sei dedicato alla scoperta e valorizzazione della storia locale. Come mai la scelta di frequentare le scuole medie e superiori a Torino? A Conflenti ho frequentato le scuole elementari con un grande maestro che si chiamava Francesco Ferlaino. Poiché nel mio paese non c’erano le scuole medie, sotto la sua sapiente guida ho studiato da privatista per superare l’esame di prima media a Decollatura dove insieme a mia mamma andavamo anche a piedi. Nel 1961 le suore del Cottolengo di Conflenti convinsero i miei genitori, onesti e laboriosi contadini di cui sono orgoglioso, a farmi continuare gli studi e mi indirizzarono all’Istituto dei Tommasini a Torino presso la Casa della Divina Provvidenza del Cottolengo. Insieme a me c’era il caro amico Pasquale Vescio. È stata dura per un ragazzino, perché eri tale quando ti trasferisti a Torino, lasciare la propria casa, gli amici e tutto per ritrovarsi in un mondo completamente nuovo? Lasciavo i compagni d’infanzia, mia sorella e mio fratello più piccoli di me. Era un distacco lacerante. Ma, data l’età, non mi resi conto di quello che stava accadendo. Ricordo però l’amore di mia mamma nel

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far preparare il corredo (vestiti, scarpe, maglie, calze, federe per i cuscini, fazzoletti tutto siglato con la scritta identificativa TO 74). Ricordo i pianti quando una buia mattina di settembre alle 6 col postale di Bilotta io, Pasquale, mio padre e suo padre, e due bauli al seguito partimmo per Nicastro. A Piazza d’Armi la carrozza ci portò alla stazione ferroviaria. Da lì a S. Eufemia e col treno del Sole, pieno di emigranti, dopo 12 ore arrivammo a Torino. Il giorno dopo i papà ci lasciarono. Ci trovammo catapultati in un mondo completamente diverso. Fummo accolti bene dai superiori, anche se a sentire il nostro accento dialettale alcuni dei nostri futuri compagni inizialmente ci chiamavano Napoli. Poi invece presero a stimarci e ancora oggi qualcuno, grazie a facebook, ci chiama e ci ricorda l’amicizia che si era subito instaurata. Infatti, bastarono pochi mesi per inserirmi nell’ambiente del collegio, fatto di regole, di silenzio, di studio assiduo, ma anche di gioco. Ma che bambino è stato Vincenzo? Un bambino discolo o un bambino studioso? Sono stato sempre un ragazzo timido e mite perché i miei genitori fin da piccolo mi hanno educato al rispetto degli altri, alla riservatezza e alla parsimonia. Già alle scuole elementari dimostravo inclinazione per lo studio e proprio per questo le suore (che ricordo con grande gratitudine) convinsero i miei genitori a mandarmi a Torino. Ebbi difficoltà ad ingranare solo per poco

tempo. Infatti, dalle pagelle mensili che venivano mandate ai genitori risultai presto uno dei più bravi. Io ero tifoso della Juventus ed ebbi subito una grande soddisfazione. La società bianconera ogni quindici giorni, quando la squadra giocava in casa, distribuiva degli abbonamenti agli istituti cittadini per gli alunni distintisi nello studio. Fui scelto per ben due volte e potei assistere al vecchio stadio comunale a due partite e vedere, incredibile per me, idoli come Sivori, Charles, Boniperti. Un’altra volta fui scelto dal rettore a partecipare con lui il 31 dicembre prima alla Messa e poi alla cena di fine anno organizzata al Palazzo reale dai cavalieri di Malta con i più importanti personaggi della città. Ricordo ancora come se fosse oggi i pentoloni fumanti in cui bolliva il cioccolato della Talmone, che veniva offerto in grosse coppe insieme al panettone. Ne mangiai tanto che il giorno dopo mi sentii male. Un altro riconoscimento ai miei risultati scolastici lo ebbi allorquando una signora torinese, di cui ricordo sempre il nome con affetto e gratitudine, Maria Cornaglia, vedova Baldi, fece una donazione in denaro all’istituto per pagare la retta e le spese di libri e cancelleria ad uno studente particolarmente meritevole. Fui scelto io tra i tanti studenti. Sei anni indimenticabili quelli trascorsi a Torino con gite memorabili ad ogni montagna delle Alpi, al traforo del monte Bianco, a Courmayeur, al Monviso, al monte Rosa,

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a Pian del Re dove nasce il Po, a Sestrière, ad Aosta. E ancora Superga, il Valentino, il museo egizio. L’unica cosa negativa: soffrivo terribilmente il freddo ed avevo troppo spesso il mal di gola. Vincenzo a Conflenti, Vincenzo a Torino … sulla tua pelle hai potuto constatare i diversi modi di approcciarsi allo studio al Sud ed al Nord. La tua opinione? Allora non ero in grado di fare confronti. Oggi lo posso fare con estrema schiettezza. Quello dei Tommasini sia nelle medie che nel ginnasio e nel liceo operava come istituto privato e dovevamo, perciò, sostenere un esame ad ogni fine anno perché il titolo venisse riconosciuto legalmente. Lo facevamo presso l’istituto parificato dei Rosminiani. Studio, studio, tanto studio soprattutto nelle materie letterarie e filosofiche. Avevamo la maggior parte di docenti esterni, quasi tutti professori universitari e come libri di testo avevamo proprio i loro manuali. Ricordo, tra gli altri, il prof. Walter Ferrarotti, Gaetano della Beffa. L’istituto aveva una ricchissima biblioteca ed eravamo costretti a leggere un libro ogni quindici giorni. In più, durante il pranzo e la cena, in cui bisognava osservare il massimo silenzio, veniva letta, a turno su un palchetto da ognuno di noi, prima la pagina del santo del giorno da un testo di Maricilla Piovanelli (I santi del giorno) e poi, a puntate, un capitolo al giorno di un romanzo. Ricordo tra gli altri Quo vadis, Per deserti e per foreste, Zanna bianca, i libri di Giulio Verne. Inoltre tenevamo il diario e dovevamo annotare le riflessioni sul libro letto. In più ognuno di noi era abbonato alla rivista Meridiano 12 che era l’equivalente della famosa Selezione del Rider Digest. Dopo gli studi liceali hai scelto come sede universitaria Napoli, come mai non sei rimasto a Torino? Verso la fine del secondo anno del liceo, a causa di problemi familiari, dovetti lasciare

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Torino e l’anno successivo frequentai, più che mai spaesato, la terza liceale al Liceoginnasio F. Fiorentino di Nicastro. Conseguita la maturità classica, nel 1966 mi iscrissi alla facoltà di lettere della Federico II di Napoli laureandomi il 26 novembre 1970. Dopo soli 20 giorni ottenni una supplenza annuale di italiano e latino al liceo scientifico di Decollatura, appena aperto, che dipendeva dal Siciliani di Catanzaro. La città di Napoli mi affascinò tanto che, dopo laurea, mi iscrissi al corso biennale di perfezionamento in storia dell’arte conseguendo nel 1973 il diploma e poi anche un altro diploma del corso in Storia e stili dell’architettura. Non tutte le frequenze erano obbligatorie per cui potevo studiare a casa e andare ogni quindici giorni a seguire alcune lezioni obbligatorie. Il primo e il secondo anno mi mantenni a Napoli con il presalario (360mila lire annue) grazie alla votazione riportata. Il terzo anno non riuscii ad ottenerlo e, non avendo la mia famiglia la possibilità di mantenermi a Napoli, mio padre, che aveva già fatto esperienza di emigrato in Svizzera, emigrò in Germania andando a lavorare a Monaco nella BMW. Nell’era dell’etere cambia anche il modo di fare le interviste e, se prima per documentarci si cercava nei giornali, nei libri, nelle biblioteche, oggi si accende il computer, si digita un nome ed ecco che, come per magia, le notizie scorrono sotto i tuoi occhi. Tu sei un insegnante eppure il titolo con il quale sei conosciuto è “ricercatore storico”. Ad appassionarti a questi studi quanto hanno contribuito i luoghi in cui hai studiato e quanto l’amore per la tua terra visto che il tuo primo scritto da storico, appunto, è stata proprio la tua tesi di laurea intitolata “Oreficerie e argenterie napoletane settecentesche nelle chiese calabresi”. Le prime vere e proprie conoscenze della ricerca storica le ho apprese frequentando

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con assiduità e molto interesse all’università i seminari di storia moderna nella cattedra del prof. Giuseppe Galasso che aveva appena pubblicato il volume Economia e società nella Calabria del ‘500 e lo aveva inserito tra i testi per il primo esame di storia moderna. Contemporaneamente studiavamo anche i testi di Ernesto Pontieri, originario di Nocera Terinese, al quale era subentrato Galasso nella cattedra di storia moderna. Dopo la laurea ebbi la fortuna di essere inserito in un gruppo di studio e ricerca archivistica organizzato dal prof. Augusto Placanica a Catanzaro presso la biblioteca De Nobili. Fu poi determinante durante il primo anno di insegnamento la partecipazione ad un lungo corso di aggiornamento residenziale a Soverato sulla metodologia e l’insegnamento della storia. Erano nostri docenti storici eminenti tra i quali ricordo: lo stesso Augusto Placanica, Antonio Brancati (del quale poi adottammo il manuale), Pietro Borzomati, Maria Mariotti. Ma cosa vuol dire essere un ricercatore storico? Significa innanzitutto frequentare e saper utilizzare gli archivi. Gli archivi, infatti, sono i supporti della identità di una comunità, le carte della memoria. Come diceva il grande storico Lucien Febvre, gli archivi sono veri e propri granai dei fatti in cui sono depositate le tracce del passato indispensabili per la conoscenza storica. Gli archivi indispensabili per un ricercatore storico sono non solo quelli di Stato, ma anche quelli parrocchiali, quelli privati, quelli dei conventi, degli enti locali, delle Camere del lavoro, delle sezioni di partito, delle cooperative, delle società operaie. Per il ricercatore di storia contemporanea sono fondamentali gli archivi audiovisivi. Grazie ai media il documento storico oggi non è più solo cartaceo, ma è divenuto anche sonoro o audiovisivo, capace di riprodurre accanto all’informazione scritta

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anche la testimonianza sonora e l’immagine di ciò che ci interessa. Ci sono poi gli archivi fotografici, le nastroteche, le videoteche che contengono un patrimonio di notizie e di documentazione importantissimo per il ricercatore storico contemporaneo. Sono importanti, ovviamente, anche i musei, specialmente, per il tipo di storia che faccio io, quelli della civiltà contadina, gli ecomusei. Tu lo sei a 360° in quanto non ti occupi di un solo campo storico ma di tutto: storia sociale, religiosa, economica e locale. Quale ti appassiona di più? I miei libri sono ricerche di storia locale intesa come geografia storica o ecostoria, ossia storia del territorio come mondo vissuto dalla comunità, lasciatoci dai nostri padri e che deve essere patrimonio per i nostri figli. Io ricostruisco il paesaggio storico che può essere definito la storia dentro cui viviamo, ossia un documento globale, una fonte che contiene in un solo spazio tutti i tipi di testimonianze storiche possibili, i mutamenti culturali, sociali ed economici. Ricostruisco la memoria collettiva delle nostre comunità e il modo in cui esse hanno organizzato ed organizzano lo spazio in cui vivono. Infatti ogni comunità ha una sorta di specchio di se stessa nel paesaggio che si è edificato. Viviamo in un periodo “particolare”, la mancanza di sbocchi lavorativi per i nostri giovani spesso li porta a scegliere di allontanarsi dalla Calabria oppure a scegliere percorsi di studi che possono portare ad un lavoro “certo”. In questo scenario che importanza ha lo studio della storia o, ancora meglio, la “ricerca storica”? L’omologazione urbana, portata avanti per anni dall’urbanistica e dall’architettura, ha fatto perdere l’identità storica e culturale dei nostri paesi che hanno dimenticato, trascurato o addirittura rinnegato la pro-

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pria memoria storica. Sono stati smantellati senza scrupoli centri storici affascinanti, sono scomparse le botteghe e i laboratori artigiani e i figli dei vasai, dei cestai, dei barilai hanno preferito o sono stai costretti ad emigrare a nord piuttosto che perpetuare il mestiere paterno. Bisogna invertire il segno e per farlo occorre partire proprio dalla rilettura delle radici della storia del territorio. La ricostruzione storica del passato per recuperare l’identità locale è l’unico strumento per la valorizzazione del patrimonio storico-culturale anche in funzione della promozione turistica. Impostare il futuro sulla memoria, riscoprire usi e tradizioni, promuovere iniziative che rilancino le attività artigianali un tempo fiorenti. Questa l’importanza della storia locale. Rimanendo in ambito dello studio della storia, ritieni che i giovani di oggi guardino alla storia come ad un argomento piacevole o tutt’altro, visto che è necessario ricordare nomi, date, luoghi ed avvenimenti? Non esagero se dico che i nostri giovani non amano la storia e la colpa principale è della scuola dalla quale escono generazioni di ragazzi che, nella quasi totalità, non conoscono la storia della regione e della comunità locale nella quale sono nati e vivono. Sui manuali gli studenti studiano, più o meno bene, la storia generale italiana, quella europea e forse quella mondiale, ma ignorano la storia della propria città, del proprio territorio nel quale si svolge la loro vicenda biografica, senza nessuna sensibilità a capire il rapporto tra il presente e il passato delle realtà locali nelle quali si inseriranno come cittadini. I giovani vivono una sorta di presentismo assoluto, ossia vivono nell’assoluta attualità e quotidianità senza coltivare alcun riferimento significativo al passato in quanto è venuto meno o si è spento del tutto il loro senso di appartenenza nei confronti dei luoghi di origine. Riferendosi solo al presente asso-

luto, all’oggi, non solo si annulla il legame col passato, ma viene preclusa anche la possibilità di affrontare e vincere le sfide del futuro. Quali sono, secondo te, i danni della mancata conoscenza della storia? Se la storia non è più maestra di vita, siamo condannati a navigare nel mare del nichilismo senza bussola perché ci mancano dei punti di riferimento fermi. Questo discorso vale soprattutto per i giovani. Si è operato nelle nuove generazioni uno sradicamento spaziale e temporale che genera solitudine e angoscia. Si sono persi, infatti, quei valori perenni che erano: l’amore, l’amicizia, l’onestà, il rispetto, la giustizia, la solidarietà, la bontà, la bellezza. E’ scomparsa la distinzione tra il bene e il male e tutto è ormai permesso. Vige una sola morale: quella utilitaristica che si fonda sull’interesse. In tutti i comportamenti umani, ma anche nella politica e nell’economia, avanza sempre più la lenta e progressiva erosione della sacralità di ogni sistema di valori e di norme ancorate non solo alla religione, ma anche alla tradizione e alla storia. Si fa sempre più instabile il nido naturale delle memorie più care e genuine, come la famiglia, si fa sempre più tiepido il calore di un inviolabile e sacro focolare comune. Sembra finito il tempo in cui ogni generazione passava il testimone alla successiva; sembra interrompersi la trasmissione dei valori perché è cambiato il contesto complessivo di vita e gli strumenti di conoscenza, di giudizio e di speranza dei padri non sono ritenuti più utili ai figli per intraprendere la loro strada. Di fronte a questa situazione bisogna far recuperare il senso dell’appartenenza storica ai giovani che, privati di un luogo e di una tradizione, hanno adottato valori per lo più importati e assimilati su modelli televisivi, ignari della ricchezza di quanto li ha preceduti. La terapia contro il nichilismo contemporaneo consiste nel rivolgere lo sguardo al passato per riscoprire le

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proprie radici. Condivido la frase di Paolo Mieli in un suo recentissimo saggio: La conoscenza della storia è il più efficace antidoto contro l’imbarbarimento del presente. Quale potrebbe essere, secondo te, un metodo efficace, interessante ed innovativo per appassionare i giovani alla storia? Diverse indagini sul rapporto tra i giovani e la storia hanno evidenziato addirittura la totale indifferenza che un gran numero di studenti manifesta nei confronti della storia, da essi ritenuta troppo astratta e spesso incomprensibile. Stando così le cose, la domanda che tu mi poni può essere può essere articolata in due quesiti: In che modo si può rafforzare nei giovani la memoria storica? Con quali attività si può promuovere la loro riflessione sul passato in modo da lasciare un segno nella formazione dei cittadini di domani? La risposta è una sola: introdurre nella didattica moduli di storia locale. Essi, infatti, consentono ai giovani di acquisire una maggiore conoscenza di sé e del proprio territorio e di costruire quella memoria del passato che sembra proprio mancare ad essi. Proprio per questo l’insegnamento della storia regionale ha una sua validità metodologica in quanto i processi di apprendimento procedono con più naturalezza quando vanno dal particolare al generale, da ciò che è più familiare (come il proprio paese e la propria regione) alle più complesse comunità nazionali, sovranazionali e internazionali. La storia locale, proprio perché interessa direttamente le persone, consente di dare una circolazione più ampia e capillare non solo tra gli studenti, ma anche tra la gente comune, dei contenuti storici sia locali che generali, sottraendoli così dall’isolamento elitario, specialistico, scolastico o accademico in cui di solito sono confinati con la sola storia generale. La storia locale, invece, riguardando le storia di vita e la soggettività, entra nelle vene della società.

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Fra i tanti libri che hai scritto quale ti ha dato maggiori soddisfazioni? Certamente quello sulla morte di Gioacchino Murat curato magnificamente dalla tua casa editrice. Sta avendo, infatti, un grande successo in tutt’Italia e anche in Francia dove si pensa ad una edizione francese. Non posso che esserne lusingata, dopo parleremo ancora di questo bel libro! E c’è un libro, sempre fra i tuoi, che avresti voluto non scrivere? No. Di tutti i libri che ho scritto sono soddisfatto. Alcuni però, i primissimi, come i tre apprezzatissimi volumi intitolati La Calabria della rassegnazione, composti con la Olivetti 22, pubblicati nel 1985-1986 con i sistemi tipografici di allora, oggi avrei la possibilità di scriverli meglio e con un’edizione più elegante. I tuoi libri sono saggi storici, sono ricerche, insomma sono testimonianze del nostro passato. So che sei anche un poeta, hai scritto poesie, ma … hai mai pensato di scrivere un romanzo? Sì, ho scritto un romanzo, naturalmente storico, molto storico. Il titolo: l’utopia degli illuminati e i demoni della santa fede Si parla di logge, congiure, esorcismi, roghi e forche nel diario di un monaco giacobino del 1799. Ne ho stampato alcune copie nel 2011 con Il mio libro.it del Gruppo editoriale L’espresso col titolo Il cerchio dell’apocalisse. Col nuovo titolo e con una revisione è pronto per una nuova pubblicazione. Mi era sfuggito il romanzo e dovrò vedere di leggerlo visto che mi sembra una trama appassionante! Parliamo un po’ delle tue ultime fatiche letterarie che abbiamo avuto il piacere di stampare. Iniziamo con Joaquim Murat, la vera storia della morte violenta del re di Napoli, un libro storico che si legge come fosse un romanzo, che ti appassiona e ti commuo-

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ve. Come mai hai deciso di scrivere questo libro? Io negli anni ’90 del secolo scorso avevo scritto due bei libri sul periodo dell’occupazione francese della Calabria. Mi aveva colpito la figura straordinaria e controversa di Gioacchino Murat e ho letto tanti libri su di lui. Nel corso di due secoli, infatti, di Murat si sono occupati a livello europeo storici, letterati, cinema, teatro, arte. Poco però si è concentrata l’attenzione sulla sua drammatica morte e sul ruolo avuto dal governo borbonico e dalla popolazione di Pizzo. Ho avuto la possibilità di accedere alla importante documentazione dell’archivio privato Nunziante (da poco consegnato all’archivio di Stato di Napoli) e gettare una nuova luce sull’effettivo ruolo avuto nella cattura e nella esecuzione capitale del re di Napoli dal governo borbonico e da una parte ben definita della popolazione della città di Pizzo, dichiarata “città fedelissima” dal re Ferdinando. Ma, secondo te, a Murat hanno davvero tagliato la testa per donarla a Re Ferdinando a dimostrazione della veridicità della sua morte come scrivi nel libro? Ci sono delle testimonianze sulla decapitazione, finora sconosciute, che io riporto per la prima volta nel libro. Di certo una delle pagine più toccanti è la lettera che scrisse alla moglie, lettera che le fu recapitata ben dopo la sua morte, un uomo che oltre ad essere un abile condottiero (non so se il termine è esatto) era anche un uomo sensibile. Credi che se Murat non fosse stato ucciso la Calabria oggi avrebbe un ruolo di primo piano nell’economia nazionale e non solo? La lettera scritta da Murat alla moglie prima si essere fucilato è ritenuta una delle pagine più toccanti della tragedia murattiana. Per quanto riguarda l’eventualità che Murat non fosse stato catturato e fosse stato accolto a Pizzo dalla popolazione, mi

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limito adire che col famoso proclama di Rimini del 30 marzo 1815 il re Gioacchino auspicava un’unità di tutta la penisola dalle Alpi alla Sicilia. Se fosse andato in porto il suo progetto, avremmo avuto l’unità d’Italia con 45 anni di anticipo, dal basso verso l’alto, con Napoli capitale e un ruolo del Mezzogiorno ben diverso da quello che si venne a creare nel 1860. Sarebbe stata completamente diversa la storia dell’Italia meridionale. Parliamo della tua ultima fatica: Genti e paesi del comprensorio lametino. Come definiresti questo libro che contiene oltre 750 foto, alcune rarissime? E’ la ricostruzione del territorio lametino dal 1950 ad oggi. In quanto bioregione questo territorio è di per sé storico sia nel suo aspetto naturale che come produzione dell’uomo. Nella prima parte ricostruisco la storia della montagna lametina che, nella sua peculiarità, solo raramente è stata oggetto di analisi storiografica. Nella seconda parte c’è la ricostruzione del paesaggio dei paesi e dei villaggi che conservano le tracce del passato e le testimonianze concrete di tutte le trasformazioni storiche. La terza parte riguarda il paesaggio della piana di S. Eufemia, dalla bonifica integrale ad oggi. Come mai hai voluto scrivere questo libro? Io sono stato sempre convinto che lo studio della storia dell’ambiente o del paesaggio o del territorio è una presa di coscienza delle più profonde radici della cultura di una comunità e costituisce, pertanto, la via verso la ricerca di una nuova etica per abitare la terra. Il paesaggio è il palinsesto della nostra identità culturale, un luogo non solo fisico, ma anche spirituale del nostro abitare quel luogo. Abitare un luogo significa accordarsi al suo spirito. In modo particolare, anche attraverso le foto e le relative didascalie, ho voluto lanciare il messaggio che bisogna ritornare al bosco per riscoprire le proprie radici. L’idea del bosco, che è stato il primo tempio di Dio, è quella di una dimensione spirituale altra rispetto al nichilismo il cui emblema è il deserto o, nel caso nostro, la piana di S. Eufemia paludosa e malarica, inospitale, infruttifera e pericolosa per l’uomo. Dunque il Lamezia e non solo

bosco come immagine dell’incontaminato dalla civiltà; il bosco come luogo da cui il mondo trae vita in contrapposizione con la sterilità del deserto e della plaga malarica. Quanto hai lavorato su questo libro per portarlo a compimento? Ci ho lavorato dal 2010, anno in cui sono andato a Montopoli di Sabina in provincia di Rieti a ritirare un vero e proprio patrimonio storico -fotografico del dr. Luciano Berti, direttore del Corpo Forestale dello Stato, che negli anni ’50-’70 del secolo scorso ha curato la sistemazione idraulicoforestale di tutto il territorio montano lametino e ha impiantato la pineta costiera dalla Marinella a Pizzo. Dunque nove anni di copiatura di testi, di scannerizzazione di foto. Ora il lavoro è giunto a compimento in una bella edizione di cui va dato merito anche alla tua professionalità e pazienza. So che ami leggere, che hai letto e continui a leggere tantissimo. C’è un libro che ami in modo particolare e che hai letto più di una volta? Fin da quando studiavo a Torino il Vangelo è la mia lettura e meditazione quotidiana da quasi 60 anni. Ne so gran parte a memoria, come a memoria so i canti più importanti della Divina Commedia. Il Vangelo è sul mio comodino nella camera da letto. Un piccolo gioiello editoriale in pregiatissima e finissima carta, in greco e latino, stampato a Torino dalla SEI nel 1931. Leggere l’originale greco consente di vedere che la traduzione del Nuovo Testamento fatta in latino da S. Girolamo (la cosiddetta Vulgata) contiene diverse inesattezze e forzature nel significato delle parole. Lo denunciò per primo Erasmo da Rotterdam il quale, basandosi sugli studi di Lorenzo Valla, dimostrò come la traduzione di numerosi passi importanti del Nuovo Testamento nella Vulgata fosse insostenibile. Per esempio, nella Vulgata la traduzione delle parole dell’Arcangelo Gabriele a Maria (Luca 1,28) è “Tu…che sei piena di grazia (gratia plena)”. Erasmo e Valla dimostrarono che il verbo greco era al passivo e, quindi, significava semplicemente “Tu che sei stata favorita” o “Tu che hai incontrato favore”. Altro esempio: la frase dell’evangelista Matteo “Ecco la vergine partorirà un figlio” non rispetta la profezia di Isaia (7,19)

che recita esattamente: “Ecco la giovane donna concepirà e partorirà un figlio”. Il vocabolo ebraico usato dal profeta è ‘almah’ che significa giovane donna. L’evangelista si basa sulla cosiddetta Bibbia dei 70 (versione greca del III-II secolo a. C.) nella quale la giovane donna di Isaia viene resa con parthénos che significa vergine. E c’è un libro che, secondo te, tutti dovrebbero leggere? Il Vangelo, naturalmente. Ma bisognerebbe leggere anche i testi delle altre fedi religiose. Qualcuno ha definito gli italiani un popolo che scrive molto ma non legge, sei d’accordo? Sì, è vero. Le statistiche dicono che, specialmente nel Mezzogiorno, sono poche le persone che leggono almeno un libro all’anno. Di contro in Italia si pubblicano più libri, forse troppi, si parla di 60mila titoli l’anno, 164 al giorno, 8 ogni ora. E continua a crescere il mercato digitale. Gli esperti dicono che i principali fattori che determinano la modesta propensione alla lettura sono: il basso livello culturale della popolazione e la mancanza di efficaci politiche scolastiche di educazione alla lettura. Io sono convinto però che l’abitudine alla lettura si acquisisce in famiglia. Leggevo tempo fa su ilfattoquotidiano.it che il mercato librario ormai saturo fa morire libri in soli 90 giorni. E’ questa la durata media di un libro sul mercato. Dopo tale data il 70% dei volumi non è più considerato una novità. Scriviamo di meno e leggiamo di più. Tu non ti fermi mai, sei molto attivo, curi una rubrica in un network locale, sei continuamente invitato a fare conferenze e convegni, sei invitato ad essere giudice in vari concorsi, recensisci libri, oltre a scriverne, hai un sito su internet che aggiorni continuamente, usi youtube per i tuoi video, usi wapp … il computer è un mezzo di lavoro/svago che usi normalmente, insomma la tecnologia non ti spaventa ma non credi che oramai si faccia un abuso di questi mezzi di comunicazione che ci stanno portando ad allontanarci dal piacere di leggere o di conversare guardandoci negli occhi? Il libro è insostituibile. Leggere un libro è

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l’abitudine al piacere. L’emozione che può darti l’apertura di un libro non te la può dare nessun altro mezzo di comunicazione. Ogni famiglia dovrebbe avere una sua biblioteca. Come recita il titolo di una recente antologia pubblicata da Longanesi, i libri possono cambiarci la vita. Perché, come diceva Marcel Proust, nessun uomo è un’isola, ogni libro è un mondo. I libri li puoi interrogare e ti rispondono, parlano per te e ti insegnano a conoscere te stesso. Io personalmente non potrei vivere senza libri e talvolta penso anch’io, come Gabrielle Zevin, che il paradiso sia leggere continuamente, senza fine. In questa tua passione per la ricerca tua moglie che ruolo ha? Ti rispondo così: il mio libro di poesie Camminare pregando contiene la seguente dedica: A Rosetta, compagna fedele nel cammino. E una delle poesie ritenute più belle dalla critica è proprio intitolata A Rosetta. Te la riporto: Essere felice,/privilegio raro,/misterioso,/ non necessariamente/ riservato alla virtù./Il tuo sorriso,/breve momento luminoso/in cui ho saputo/d’esserlo. Il prof. Carmine Chiodo, dell’università Tor Vergata, in una lunga recensione al mio libro in riferimento a questa breve poesia ha scritto: Non ci è dato leggere nella poesia contemporanea versi come questi. Visto che studiavi fuori e quindi tornavi qua solo per le vacanza, per il vostro incontro cosa fu galeotto? Ho conosciuto mia moglie per un caso del destino. Erano ricoverate a Nicastro nella vecchia clinica La Scala mia sorella e sua sorella per un’operazione di appendicite. Si conobbero le nostre mamme. Subito dopo, nel 1970, io mi laureai. Due anni dopo si doveva laureare anche lei all’università di Bari. Le assegnarono la tesi su uno scrittore fiorentino del duecento, traduttore e volgarizzatore, che si chiamava Bono Giamboni. Lei non riusciva a trovare le opere di questo autore. Si rivolse a me. Riuscii, tramite il mio amico Vincenzo Passarelli che studiava a Pisa, i testi che le servivano e ci incontrammo più volte. Galeotto fu Bono Giamboni.

Bellissimo!! Quanto è importante per riuscire bene nel proprio lavoro avete accanto la persona giusta? Importantissimo. Due persone che si amano e mettono su famiglia debbono essere due autentici angoli complementari. Sposato da 45 anni, quindi l’amore che dura tutta una vita esiste? Certamente sì, ma bisogna essere persone responsabili, non egoiste, capaci di riconoscerei propri errori, di perdonare se è necessario. Hai fatto ricerche nel nostro passato, vivi e studi nel presente, sei proiettato nel futuro facendo uso di tutto ciò che la tecnologia ci mette a disposizione, visto che siamo in tema, è cambiato l’amore nel tempo? L’amore vero non è cambiato. Quello che oggi è frivolezza non è l’amore vero. In questi tempi del mordi e fuggi esistono ancora valori come la famiglia, il rispetto, l’onore? Come ti ho detto all’inizio di questa conversazione, il dramma di oggi è che è morto l’uomo della civiltà contadina, vicina alla natura e insieme intenta a cogliere i significati della vita in qualche cosa che era fuori dei nostri corpi, in ciò che li trascendeva. Quando parlo di mondo contadino in opposizione a quello odierno della città mi riferisco a quei valori vivi e sani della civiltà contadina che il progresso ha cancellato nelle città. Non mi riferisco certamente a quegli aspetti che, come ho descritto in alcuni miei libri (vedi La Calabria della rassegnazione), hanno connotato negativamente il mondo contadino: la schiavitù del lavoro, le superstizioni, l’ignoranza mantenuta dalla religione. Mi riferisco, invece, alla campagna e al borgo contadino come immagine di una vita lieta e serena, dalle fatiche appaganti e dai ritmi quieti e riposanti. Un mondo che era custode e garante di quei valori fondamentali che sono la religione della famiglia, i mestieri, gli affetti domestici e parentali, il culto dell’onore e del lavoro, l’altruismo e la solidarietà disinteressati che prevalgono sull’avarizia, sulla disonestà sulla doppiezza, sulla malignità, sul cinismo disumano, sul dominio economico, sullo sfruttamento. Qualcuno dei tuoi figli ha seguito questa tua passione nel campo delle ricerche?

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No. Però mio figlio Antonello, ingegnere a Roma, che ha una rara sensibilità artistica, condivide con me tutti i miei lavori e mi dà sempre una mano importante e un contributo fondamentale. Qual è il tuo rapporto con la religione? Ho insegnato sei anni storia delle religioni. Mi sono fatto la convinzione che nessuna religione, nessuna fede è autosufficiente. E ricordo che Cassiodoro diceva che non si può imporre la religione perché nessuno è costretto a credere contro la propria volontà. Poiché Dio sopporta l’esistenza di tante religioni, nessuno può imporre solo la sua. Anche Quinto Aurelio Simmaco diceva che non si può giungere per una sola via ad un mistero così grande come quello di Dio. Qual è allora la vera fede? La vera fede è quella di tutti coloro che dicono in modi diversi di preoccuparsi di ciò che è ultimo, ossia di ciò a cui vengono dati diversi nomi di Dio del quale nulla conosciamo. Credere in Dio significa innanzitutto credere che il senso del mondo deve essere fuori di esso: ciò esprime la consapevolezza che c’è un Mistero a cui si dà il nome di Dio. La religione, quindi, non è quella ridotta a folklore, cerimonie, sfarzo, incensi, lunghe liturgie. Oggi più che mai è indispensabile un dialogo oltre che interculturale soprattutto intrareligioso (non inter, ma intra), non semplice accostamento e confronto, bensì reciproco arricchimento. Il dialogo delle religioni è fondamentale. Senza questo dialogo non si può realizzare una piena umanità Tutte le culture e tutte le religioni hanno bisogno le une della altre. Perché, per esempio, non raccogliere dalla tradizione buddista, che rappresenta in mezzo a noi la sola spiritualità veramente alternativa, quella qualità, quella densità dell’attesa e dello sguardo che noi potremmo trasferire aldilà, sull’orizzonte dell’unico vero Dio, l’Assoluto trascendente? Chi non è disposto ad imparare dall’altro rimane fuori dal dialogo religioso. Ti consideri un credente? E, visto che la domanda comprende un raggio di azione ampio, che tipo di credente sei? Nel mio libro di poesie intitolato Camminare pregando ho scritto che pregare è essere cosciente che credente e non credente convivono in me e che il dubbio è un omaggio di Dio alla mia libertà. Quante Lamezia e non solo


volte il dubbio supremo ci appare l’ultima risposta, l’unica affermazione! Anche papa Francesco ha confessato di dubitare. C’è chi dice di avere la certezza della fede. C’è chi è in ricerca. C’è davvero qualcuno che può dire di vivere nella certezza della fede? Avere la certezza della fede equivale a farla dipendere dalla certezza razionale. Vivere nell’incertezza, nella vulnerabilità è precisamente la condizione umana. Ognuno di noi è aperto all’incertezza. Ognuno di noi soffre questa condizione umana incerta che è una condizione di fede proprio perché ci rende capaci di qualcosa d’altro. Perché l’uomo non può essere finito. Questa capacità di qualcosa di più, questa apertura verso la trascendenza, verso l’infinito: questa è la fede. Il tuo essere ricercatore ti ha portato a studiare e leggere documenti rari, anche privati. Che opinione ti sei fatto del rapporto religione-Chiesa? Una cosa è la Chiesa come comunità dei fedeli, come corpo di Cristo, altra cosa è la Chiesa come istituzione, come Vaticano, come potere. Un piccolo libro che ho letto e riletto più volte, e di cui ho riferito in alcune conferenze, è intitolato Chiesa santa e peccatrice. Poiché ce l’ho proprio a portata di mano mentre ti rispondo, ti riporto quanto ha scritto il papa Giovanni Paolo II nel documento intitolato Riconciliazione e penitenza. Afferma il papa, oggi santo, che lo ricordiamo, è andato a chiedere perdono agli ebrei a Gerusalemme al muro del pianto: Come tacere delle tante forme di violenza perpetrate anche in nome della fede? Guerre di religione, tribunali dell’inquisizione e altre forme di violazione dei diritti delle persone. Bisogna che anche la Chiesa, alla luce di quanto il Vaticano II ha detto, riveda di propria iniziativa gli aspetti oscuri della sua storia valutandoli alla luce dei principi del Vangelo. Ciò non danneggerà in alcun modo il prestigio morale della Chiesa, che anzi ne uscirà rafforzato, per la testimonianza di coraggio e di lealtà nel riconoscere gli errori commessi da uomini suoi e, in un certo senso, in nome suo. La Chiesa è certamente santa, come professiamo nel Credo; essa però è anche peccatrice, non come corpo di Cristo, bensì come comunità fatta di uomini peccatori.

Lamezia e non solo

Qual è il tuo hobby? Nel tuo tempo libero insomma, cosa fai? Leggo molto, anzi sempre. Mi piace ascoltare musica. Amo in particolare quella celtica. La cosa a cui nella vita non vorresti mai rinunciare? All’amicizia sincera. Passiamo alla politica, cosa ne pensi della politica in generale? Il fine della politica dovrebbe essere il bene comune. inoltre la politica deve essere staccata dalla religione e non essere autoreferenziale. Oggi non è così. E di quanto accade a Lamezia Terme? Lamezia, che io definisco città una e trina, della quale abbiamo ricordato il 50°, è ancora una città alla ricerca di una identità. In 50 anni la politica e la classe dirigente hanno fatto ben poco perché questo si realizzasse. Io però ancora ci credo. Quando rileggo le interviste, una volta stampate, mi rendo conto che c’è sempre qualche altra domanda da fare, a tuo avviso c’è un argomento del quale avresti voluto parlare e del quale non ti ho chiesto? Sì, avrei voluto far un accenno ad un altro mio libro di riflessioni intitolato Labirinti della vita, labirinti del sacro. Questo libro l’ho affiancato alla bomboniera quando si è sposata mia figlia. All’oggetto tradizionale ho voluto affiancare un testo che è un invito a riflettere sul senso della vita. Un itinerario per guardare al di là e al di sopra delle navate delle chiese, verso le stelle. Guardare il mondo con occhio fraterno, essere innamorati della cose belle ,dei fiori, identificarsi quasi col mondo, sentirsi imparentato col tutto. Considerare l’universo come uno dei pensieri di Dio. Contemplare. Io mi ritengo un contemplatore. Il contemplatore gode la vita perché la vita è gioia e sa scorgere in un singolo fiore un intero giardino. E’ capace di vedere la bellezza dei gigli del campo anche se i campi sono improduttivi. Questo il messaggio di questo mio libro distribuito a tutti gli invitati al matrimonio di mia figlia. Un’intervista un po’ più lunga delle altre

ma, a volte, le domande sono come le ciliegie, si vorrebbe farne sempre di più, per capire meglio, per sapere di più! Vincenzo ha una personalità eclettica, il fatto di essere uno storico acclarato non lo classifica come persona che vive nel passato, che si chiude su determinati argomenti, anzi e, credo, questo lato della sua poliedrica personalità sia uscita fuori nel corso dell’intervista. Ascoltarlo è un piacere. E’ disponibile, sempre pronto ad aiutare, è pungente, ironico, mai indiscreto o offensivo anche quando ritiene di avere subito un torto! Abbiamo lavorato per mesi sui suoi libri, limando, correggendo, scegliendo un foto piuttosto che un’altra, un carattere al posto di un altro, con piacevoli “incursioni” del figlio Antonello per suggerimenti, correzioni. Un lavoro certosino per cercare di dare alla stampa il meglio. Ed è stato così che ho imparato a conoscere l’uomo, tra una correzione e l’altra, tra una indecisione e l’altra, tra un pdf ed un altro. Un lavoro lungo che ci ha “regalato” due gioielli come libri e, personalmente una gran bella amicizia con lui e con la moglie, Rosetta, donna discreta ma sempre presente, attenta, colta, preparata, solare, una gran bella persona. Cito spesso, nelle mie interviste, il motto “Dietro ad un grande uomo vi è sempre una grande donna” ispirato al detto latino “Dotata animi mulier virum regit” perchè è proprio così, non avere la persona giusta accanto potrebbe, per concludere con una frase spiritosa, “nuocere gravemente” non alla salute ma a quello che si potrebbe diventare o non diventare. La frase che ho scelto per lui? Ne ho lette tante, molte legate a quello che lui ama: leggere, ma la scelta è ricaduta su una frase di Georges Clemenceau: Una vita è un’opera d’arte. Non c’è poesia più bella che vivere pienamente. L’ho scelta perchè ritengo che Vincenzo ami la vita, la fa amare a chi gli sta intorno e la vive rispettandola. Spero vi si riconosca.

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Il nostro territorio

di Giuseppe Sestito Con la presentazione delle liste, il 12 di ottobre scorso, è finito il primo tempo della partita elettorale e politico/amministrativa di Lamezia Terme ed è cominciata la campagna elettorale, che si concluderà il 10/11 novembre prossimi con la elezione del consiglio comunale e del sindaco della città. Questa prima fase, dal punto di vista organizzativo, è stata alquanto “nevrotica”, con risvolti paradossali per quasi tutti i partiti e le coalizioni. Pd e Lamezia bene comune Le sinistre, per esempio non sono riuscite a coalizzarsi per formare un fronte unico da contrapporre alle destre, nell’ambito delle quali, tuttavia, non sono mancati problemi e divisioni. Invece di fare ogni sforzo per mettersi insieme, i partiti ed i movimenti di sinistra hanno litigato, com’è nella loro tradizione, tra di loro e nel loro interno, durante le interminabili e quotidiane riunioni. Alla fine il risultato è stato che il Partito democratico, non riuscendo a trovare nel proprio ambito un dirigente di “alto profilo” (espressione che è stata di continuo usata dalla segretaria cittadina del partito) che si esponesse al compito non facile di assumere su di sè la candidatura a sindaco, è stato costretto a fare ricorso all’ “uomo della provvidenza”, di origini esogene per di più, nella persona del dr. Eugenio Guarascio, che si presenterà da solo con due liste di accompagnamento. Da parte sua, ‘Lamezia bene comune’, ha fatto quadrato intorno a Rosario Piccioni ed anche lui si presenterà in solitudine con due liste di appoggio. Non sarebbe stato più utile, dal punto di vista elettorale e politicamente coerente, tentare di costituire un unico raggruppamento politico/elettorale, forte e compatto? E non sarebbe stato saggio e lungimirante recuperare la presenza e il coinvolgimento di un politico di peso come Milena Liotta che avrebbe potuto fornire un contributo non indifferente sia in termini di esperienza politico/amministrativa che di apporto di voti? Misteri, secondo me, di un procedere improvvisato. E soprattutto rivelatore di immaturità politica da parte degli attori coinvolti. In un regime democratico, il metodo fondamentale della politica è la mediazione, concepita pag. 10

nel senso più alto del termine, che porta sempre a riflettere a fondo sulle scelte che si compiono e ad ammonire i convenuti che non si può costruire una coalizione sulla ripicca, sul risentimento e sul tentativo di far prevalere i propri valori, i propri programmi, i propri uomini. Se non si è disponibili a mediare e fare sintesi tra le diverse esigenze e tra i diversi punti di vista è meglio non sedersi intorno ad un tavolo di trattative perché ad un risultato comune non si arriverà mai. E’ ciò che è successo al Pd e a Lamezia bene comune e la loro

non essendo stati assegnati ai sensi della normativa vigente. Un altro espediente propagandistico/elettorale a cui l’avv. Mascaro si è spesso richiamato e che utilizzerà nel corso della campagna elettorale, consisterà nel sostenere che lo scioglimento si è verificato per assecondare il perverso disegno di “massacrare” Lamezia Terme. Non credo ci siano stati massacri ai danni della nostra città da enti esterni o da Catanzaro come, non solo da Mascaro, ma da tante parti si va spesso cianciando con atteggiamenti vittimistici e piagnucolosi; semmai dovessero esserci stati, i massacri richiamati dalla fantasia mascariana non sono venuti dal di fuori di Lamezia Terme bensì dal suo ceto politico/amministrativo; da coloro cioè che si sono rivelati incapaci ad amministrarla e risolverne i problemi nel corso degli scorsi decenni, fino ai nostri giorni. Staremo a vedere in che misura tutte queste vicende influiranno sul risultato elettorale delle liste che si richiamano all’ex sindaco di Lamezia. La coalizione FI + Udc + FdI

incapacità a mettersi d’accordo potrebbe costare cara alle due formazioni di sinistra tanto in termini elettorali che politici. Paolo Mascaro sindaco Nemmeno nell’ambito del diversamente articolato centro-destra le cose si presentano tutte rose e fiori. L’ex sindaco, avv. Paolo Mascaro appare impaziente di potersi prendere una rivincita personale; atteggiamento che emerge da ogni dichiarazione che rilascia. Secondo lui, sia lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni malavitose che il pronunciamento del Consiglio di Stato sono stati dei provvedimenti ingiusti. Forse, a parere dell’ex sindaco, le sentenze ed i provvedimenti amministrativi sarebbero stati giusti solo se si fossero conclusi dandogli ragione. Eppure, il supremo organo di giustizia amministrativa con la sua sentenza ha ribadito, in modo definitivo ed inequivocabile, che non solo le infiltrazioni malavitose nel consiglio comunale eletto nel 2015 ci sono state; ma che la modalità di gestione concernente alcuni appalti hanno lasciato a desiderare GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

Nell’area politica della destra si è formata una coalizione di cui sono parte FI, Udc e FdI. Si tratta di un raggruppamento di partiti che nel 2015 assicurò la vittoria dell’avv. Mascaro e che ora non si è ricomposta intorno a lui. Anche questa coalizione, nell’impossibilità di trovare un candidato al suo interno, ha dovuto fare ricorso, per essere guidata, all’ “uomo della provvidenza”, in questo caso di origine endogena. Infatti, dai sostenitori di Ruggero Pegna si è, da subito, cercato di veicolare il messaggio che questo lametino, conosciuto organizzatore di eventi musicali, sarebbe la guida, la più illuminata e capace che si potesse trovare sul mercato politico, in grado vincere la contesa elettorale e di governare il Comune. In questo caso, come in quello della candidatura Guarasci nel Pd, non sono in discussione le capacità professionali e le rispettive, conseguenti, attività. Non sono in discussione le persone come tali né quelle, si badi bene, di nessun’altro candidato degli altri schieramenti. Qui, il giudizio è esclusivamente politico perchè si fa riferimento all’ eventuale capacità politica ad amministraLamezia e non solo


re una città ed un territorio come quelli lametini la cui complessità dei problemi, è enorme, immensa. Essere dei professionisti seri che hanno saputo realizzare per sè progetti di vita importanti costituisce, a mio parere, una buona base di partenza; ma non è detto che questo dato conduca alla certezza di una capacità di amministrare in modo efficace ed efficiente. Ed invece sia nel caso del candidato del Pd, come in questo caso, l’aureola posta sul loro capo come se si trattasse di “uomini della provvidenza”, appunto, che risolveranno i problemi di Lamezia, quasi fossero in possesso della “bacchetta magica”, come si lascia intendere nelle dichiarazioni dei loro sostenitori partitici, sarà una eventualità augurabile, ma anche tutta da dimostrare sul campo. Perché la capacità politica ed amministrativa degli eventuali eletti sarà correlata non solo alle loro doti personali, ma a tante altre variabili di cui sarà costituita la vicenda amministrativa. La lega C’è da aggiungere che, dalla coalizione FI+ Udc + FdI, si è sfilata, all’ultimo momento, la componente leghista. Da quanto si è letto nei giorni immediatamente precedenti alla presentazione delle liste, un dirigente leghista della città di Crotone si è rivolto a capitan Salvini perchè fosse ritirata la lista del loro partito dalla coalizione per “Pegna sindaco”. La motivazione di questo disimpegno è stata che il candidato lametino avrebbe pronunciato, nei mesi scorsi, delle frasi “irriverenti ed irriguardose” nei confronti di Salvini-capitan-Fracassa (copyright Renzi…) ed avrebbe pubblicamente criticato il trattamento che l’allora inquilino del Viminale ha riservato agli immigrati africani tenendoli a mollo nel Mediterraneo con la prospettiva che potessero annegare. Può darsi, ma non del tutto certo, che la situazione di Pegna ne esca indebolita dal punto di vista elettorale. Ma io cerco spingermi più in là e tentare di osservare questo aspetto della vicenda sotto altri risvolti. Il primo è che sia un bene per Lamezia che la Lega, in quanto partito, sia assente dalla competizione elettorale del nostro comune. Più lontana la Lega ed i leghisti stanno dal Meridione, meglio è. Non dovremmo mai dimenticare, noi meridionali, il fango e le infamie che per decenni il Truce leghista (copyright Ferrara), i suoi sodali ed i suoi predecessori, ci hanno gettato addosso. La più bella poesia che Matteo Salvini abbia scritto recita così: <<Senti che puzza/ scappano i cani/ sono arrivati i napoletani…../son colerosi, terremotati/con il sapone non si sono mai lavati.>> Una vera e propria opera d’arte, non c’è che dire, degna di vincere il Premio Nobel per la letteratura. Non dobbiamo nemmeno Lamezia e non solo

sottovalutare, come italiani, che il sovranismo salviniano rappresenta un pericolo per l’Italia non solo dal punto di vista politico, ma morale e culturale. Dovremmo, infine, tenere ben presente che, con la rivendicazione dell’autonomia differenziata di alcune regioni del Nord (Veneto e Lombardia in primis….) la Lega persegue due obiettivi: impoverire ulteriormente le regioni del Mezzogiorno e disarticolare l’Unità del nostro Paese. C’è poi una seconda considerazione da fare in merito al citato forfait della Lega. E cioè che il suo rappresentate nel nostro territorio, che aveva, ovviamente, contrattato con gli altri interlocutori l’inserimento della lista leghista nella coalizione, gode evidentemente di ben poca considerazione presso l’alta dirigenza leghista, se ad un militante proveniente da un’altra provincia, è consentito d’ intromettersi negli affari interni della Lega lametina e fare imporre, dall’alto, il suo punto di vista nelle decisioni del partito di Lamezia. La ‘Svolta’ di Massimo Cristiano Al polo estremo dello schieramento di destra si posiziona la “Svolta” di Massimo Cristiano che con il suo raggruppamento è stato il più lesto a muoversi tanto che ben prima che si presentassero le liste in Comune, ne ha reso noti i futuri candidati, o parte di essi, in un incontro con la stampa e con i cittadini ed ha illustrato anche i suoi intendimenti amministrativi ed alcuni punti del suo programma. Anche Cristiano la volta scorsa faceva parte della coalizione che si era formata intorno al candidato dell’intera destra, Mascaro. Questa volta, tenta l’avventura delle elezioni amministrative in solitario con l’ausilio di altre due liste. Movimento 5-Stelle e Liberi e Forti di Lamezia Terme Rimangono il Movimento 5-Stelle ed il Circolo dei Liberi e Forti di Lamezia Terme. I grillini non hanno raggiunto alcuna intesa con il Pd, come è avvenuto invece in campo nazionale, nel corso degli approcci e delle riunioni che, pare, ci siano stati per trattare. Quindi anche loro corrono in solitario, con una sola lista. Quanto al Circolo lametino dei Liberi e Forti, forse la loro decisione di rimanere fuori dalla contesa elettorale può essere vista e valutata, da tanti cittadini che si riconoscono nei valori e programmi di quel circolo, come inopportuna date le circostanze affatto particolari che Lamezia attraversa. La partecipazione, sotto il simbolo dei Liberi e Forti di alcune qualificate persone di quell’ambito culturale avrebbe potuto assumere, secondo la mia personale valutazione, un significato di grande rilievo

anche politico e avrebbe consentito di porre con maggiore incisività e visibilità, all’attenzione della pubblica opinione, la presenza nel territorio lametino di un movimento di cultura, valori e programmi che si richiama alla dottrina sociale della Chiesa. Ripensata a mente fredda e più serena ci si accorgerà che forse la rinuncia a partecipare costituisce un appuntamento mancato con la “storia” di Lamezia! Arrivati a questo punto, bisogna tenere d’occhio l’andamento della campagna elettorale che potrà mettere in scena un confronto serio e costruttivo oppure trasformarsi in farsa. Dipenderà con quale e quanta consapevolezza della gravità della situazione in cui versa la città, gli attori “reciteranno” la loro parte. Mi piacerebbe poter affermare che i cittadini lametini adesso aspettino che i sei candidati a sindaco ed i raggruppamenti o partiti o movimenti che li sostengono, pubblichino i loro programmi, li stampino e li distribuiscano perché è proprio sulla base della valutazione di questi che va dato il voto. La credibilità delle persone è certamente un dato di basilare importanza perché i valori, le idee, i programmi camminano sulle gambe delle persone; ma non è di secondaria importanza che i cittadini recandosi a votare conoscano quale “Progetto di città” hanno - se ce l’hanno - i sei candidati a sindaco. Ed acconto alla “Idea di città” con quali programmi hanno intenzione di realizzarla. Programmi realistici, concreti, non capitoli dai libri dei sogni copiati, a volte, da altre situazioni territoriali nazionali. Programmi con i quali il ceto dirigente che si affermerà in seguito al voto del 10/11 novembre affronterà i problemi strutturali di Lamezia. La cui mancata soluzione, in 50 anni di esistenza, ha di fatto reso Lamezia una città incompiuta, nonostante le potenzialità di vario genere che possiede. I programmi dei sei candidati a sindaco, pubblicati sul sito del comune, allegati alla presentazione delle liste, che ho consultato sono in gran parte degli spot pubblicitari che serviranno come specchietti delle allodole per catturare il voto dei cittadini e vincere la partita. Ma, non è di proclami pubblicitari del tipo: “più lo mandi giù, più ti tira su”, che c’è bisogno per amministrare con ricadute positive e di valore la città. Lamezia ha bisogno, a mio avviso di “ben altro.” Ma di tutto questo “ben altro”, dei programmi di cui ha necessita l’agenda Lamezia per innescare finalmente una fase di viluppo endogeno e auto-propulsivo, si tratterà nei prossimi articoli. Dopo che si saranno conosciuti i nomi ed i progetti degli eletti.

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Spettacolo

Un viaggio “Nel corpo dell’arte” di Giovanna Villella paesaggi natalizi.

Catanzaro, 28 settembre 2019. Inaugurata al Marca la mostra antologica di Gaetano Zampogna dal titolo Nel corpo dell’arte a cura di Teodolinda Coltellaro e Giorgio De Finis. La mostra, promossa dall’Amministrazione Provinciale di Catanzaro e dalla Fondazione Rocco Guglielmo, propone 30 opere selezionate e tra le più significative del corpus pittorico di Zampogna, nato a Scido in provincia di Reggio Calabria nel 1946 e romano d’adozione, tracciandone il percorso artistico iniziato alla fine degli Anni ’80 con il gruppo Artmedia le cui basi teoriche si fondano su una concezione dell’arte intesa come “appropriazione e saccheggio” di opere del ‘900. L’allestimento negli spazi espositivi del Museo delle Arti è stato curato da Teodolinda Coltellaro che ha privilegiato un percorso non cronologico ma visivo-emozionale in cui ogni opera è un evento significativo nella singolarità lampante della sua presenza. I tanti “Senza titolo” che vestono le pareti della prima sala sono dedicati alle “macellerie animali”. Un tema presente nella storia della pittura sin dal 1600 ma che in Zampogna diventa un’esperienza soggettiva, solitaria, intensa. I delicati pattern a motivi floreali che fanno da sfondo alle opere addolciscono la violenza in quei luoghi di lavoro e di morte. Il ductus pittorico dell’artista sembra accarezzare con sacra devozione quelle bestie sventrate e acefale che offrono allo sguardo l’impietosa putrefazione della vita. La scelta della monocromia nelle mezzetinte del grigio per i quarti di bue appesi a gocciolare stempera la sanguinolenta brutalità della carne che irrora teschi umani in un mut(u)o dialogo tra feritas e humanitas laddove il sangue che sgorga a fiotti da una capra sgozzata (chiaro rimando al rito dei pellegrini durante i festeggiamenti della Madonna di Polsi) si rapprende in una pozza vermiglia simile a un fiore esploso. Piccoli pezzi di morte giacciono su tele dove si rincorrono gioiosi elefantini circensi mentre scimmiette burlone giocano con melagrane d’oro di calviniana memoria e gatti matissiani appaiono sullo sfondo come ombre fugaci. Macellai indifferenti nel loro camice bianco scarnificano disossano tagliano scavano rifilano, mostrano la testa di un porcellino rosa come un trofeo o si cristallizzano in pose frontali come angeli della morte contro innevati

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Eppure c’è armonia, lirismo e quiete in questa fredda vita dove la morte è decontestualizzata ironicamente dalla lucida serenità ambientale. La compresenza nel medesimo contesto spaziale di elementi chiaramente disparati stabilisce – in modo autonomo – il reale rapporto simbolico tra segni e significati in una relazione che non risulta né di estraneità né di subordinazione. La grammatica compositiva propria dell’autore riesce a recuperare valenze figurative e rimandi visivi che alludono ai grandi maestri del passato (Rembrandt, i Carracci, Chaïm Soutine, Picasso, Francis Bacon) ma non come ritorno a linee già ampiamente praticate quanto rielaborazione di quelle esperienze in senso più intimo e tragico. Così la morte, da metafora dell’inquietudine soggettiva e solipsistica dell’artista si tramuta in metafora di inquietudine sociale dove sta l’umanità ancorata alla sua carne con insano desiderio di eternità. Un’arte né consolante né consolatoria in cui, tuttavia, si scorge una volontà di glorificazione della vita nel suo ineludibile cerchio di nascita, copula e morte. L’itinerario espositivo prosegue con grandi campiture nutrite di vivaci pigmenti monocromatici dove la trama della tela si confonde con le linee morbide di volti anonimi. In un angolo, presenze discrete ma potenti, le copertine di riviste internazionali come “finestre sul mondo”. Mondo che irrompe – esuberante – in un’altra serie di opere in cui ogni quadro è un processo che nel flusso di immagini conserva i segni della sua polivalenza linguistica. Così la fotografia dialoga con scampoli di prosa quotidiana, immagini pubblicitarie, fumetti, emoji e altri elementi iconici attinti dall’universo mediologico in una umorosa ricostruzione/distruzione animata da accentuazioni paradossali, deviazioni parodistiche e interventi personali quasi deformanti che dall’ordine grafico trapassano in quello oggettuale. Opere come sketch televisivi o teatrali, rappresentazioni argute, provocanti, beffarde che giocano sulle parole e queste rimbalzano sugli oggetti conferendo alla pittura una presenza scenica disvelatrice della mediocrità del reale. Reale che si contrappone al Virtuale in ritratti speculari eseguiti con impeccabile figurativismo a sottolineare una intercambiabilità tra i due mondi in un gioco cromatico di contrasti. E ancora la fotografia in Cibachrome che trova luminosa conferma nei grandi formati con l’inserimento di opere di Lewitt e Wharol. Una pellicola traslucida cuce tra loro i vari inserti con immagini di modernariato tessendo una superficie continua dove i colori dei singoli prelievi quasi si compenetrano e si fondono fino a raggiungere un intenso equilibrio tonale. Una mostra inquietante e affascinante questa di Gaetano Zampogna, artista che, al di là dell’eccellenza tecnica, riesce a contaminare poeticamente il suo spazio interiore con quello esteriore nell’eterna ricerca dell’essenza nell’arte e nella vita.

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Lamezia e non solo


istruzione

Società della disinformazione e intelligence. Mario Caligiuri all’I.C. “Don Milani” di Lamezia Terme con un corso di formazione per docenti di Giovanna Villella “Il ruolo del docente, le tecnologie, le neuroscienze e la scuola”, questi i temi affrontati da Mario Caligiuri, professore di Pedagogia della Comunicazione all’Università della Calabria, nel corso di formazione per i docenti dell’Istituto Comprensivo “Don Milani” di Lamezia Terme diretto da Francesco Vinci. Società della disinformazione, eccesso di informazioni, intelligence, centralità culturale della pedagogia sono state le parole chiave di questo intenso e interessante excursus intessuto di rimandi e citazioni storiche, filosofiche e letterarie senza tralasciare la psicologia, la pedagogia e l’economia politica. Partendo dalla sua esperienza di docente universitario e attingendo direttamente alla vasta rete di conoscenze e relazioni costruita anche grazie alla sua carriera politica prima come sindaco di Soveria Mannelli e poi come Assessore alla Cultura della Regione Calabria, il prof. Caligiuri introduce i concetti di spazialità e temporalità per evidenziare le contraddizioni della società contemporanea che da una parte esibisce un aspetto di estrema frammentazione e di lacerazione del sapere, dall›altra - invece - appare capace di esprimere un abbraccio intenso e unitario, attraverso la “rete” viva e pulsante delle comunicazioni. Tuttavia, la realtà si modifica così velocemente da non avere la capacità cognitiva di seguirla e le parole per descriverla. E a questo proposito cita lo studioso americano Arjun Appadurai autore del libro Scommettere sulle parole il quale espone la tesi secondo cui la crisi economica mondiale del 2008 che ha ridotto la ricchezza dei Paesi dell’Occidente derivi da un cedimento linguistico che si riflette in tutte le manifestazioni sociali. La mancanza di strumenti per capire questa realtà in continuo divenire impatta anche sul mondo della scuola. Sono i docenti che, in qualità di pedagogisti, devono sperimentare dal vivo il confronto con gli studenti di oggi che Caligiuri definisce a “tre dimensioni”: fisica, virtuale e integrata. Il ruolo dell’insegnante, nell’epoca attuale, non è più quello di “dispensatore della conoscenza” ma di mediatore e di intellettuale che deve tener conto della metamorfosi in atto nella società e non ragionare in termini di continuità con il passato. Il docente rimane alla base del processo educativo, ma il vigente sistema dell’educazione risulta eccessivamente burocratizzato e legato allo sviluppo dell’economia mentre l’Unione Europea detta le competenze chiave come se fossero un modello replicabile in tutti i paesi senza tener conto delle singole specificità. Oggi ci si riferisce agli insegnanti come “progettisti della formazione”, “professionisti riflessivi”, “facilitatori educativi”, concetti legati alla pratica e non alla “visione” nella doppia accezione di visione del mondo e visione di sé. Rilevante è anche il basso livello di percezione sociale della categoria degli insegnanti “approssimativamente formati, inadeguatamente selezionati, sistematicamente non valutati” - dice ancora Caligiuri - e la questione controversa del “genere” dei docenti con una preponderanza del genere femminile in tutti gli ordini di scuola tranne che nelle università. A questo eccesso di “femminilizzazione” l’antropologa Ida Magli in Salvare l’Italia prima che scompaia attribuisce una serie di conseguenze tra cui la scarsa attitudine alla matematica degli studenti italiani forse perché insegnata da docenti di genere femminile. Certo è fondamentale per gli insegnanti possedere delle competenze tecnologiche per capire la mente nuova dei “nativi digitali” secondo la definizione coniata da Marc Prensky nel 2001 ma è altresì necessario avere basi di genetica, di neurolinguistica, di neuroscienze perché, come scrive Laurent Alexandre in La guerra delle intelligenze. Intelligenza umana contro intelligenza artificiale, la pedagogia è destinata a diventare una branca della medicina e non si può pensare di insegnare ignorando queste competenze. Urge, dunque, una riforma della cultura in grado di annullare questa separazione artificiale tra sapere scientifico e sapere umanistico ma questo presuppone una riforma del pensiero che richiede una approccio diverso alla realtà.

il “rischio educativo”, un interstizio breve che è sempre più complicato e noi non abbiamo gli strumenti per comprendere perché le conseguenze a lungo termine delle nuove tecnologie sui processi di apprendimento e sulle capacità cognitive non sono ancora note. I programmatori dei social media hanno come scopo quello di aumentare i like e i processi di acquisto. Costruiti secondo la logica dell’accumulazione di capitale, gli algoritmi servono a creare economia non ad ampliare le conoscenze o a rendere consapevoli gli utenti. E non va sottovalutata l’allarmante statistica sull’analfabetismo funzionale che, nel nostro Paese, colpisce il 4% di laureati e il 20% di diplomati. Dati noti da tempo a cui contribuiscono il progressivo abbassamento del livello d’istruzione e l’impoverimento lessicale dovuto anche all’omologazione culturale indotta dalla TV di massa. Gli studenti sono vittime di un sistema che, nonostante il facilismo che connota la formazione scolastico-universitaria italiana, non è in grado di fornire strumenti adeguati per interpretare la realtà. Questo ha generato un crescente disagio che si traduce in tristezza per il presente e incertezza per il futuro. L’epoca delle passioni tristi l’hanno definita, richiamandosi a Spinoza, gli autori dell’omonimo libro Miguel Benasayag e Gérard Schmit, due psichiatri che operano nel campo dell’infanzia e dell’adolescenza. La principale emergenza educativa e quindi democratica, nell’accezione di John Dewey che vuole cittadini consapevoli e responsabili, è senza dubbio la disinformazione che diventa, oggi, per noi quello che Hegel definiva “lo spirito del tempo” ovvero la tendenza prevalente di una determinata epoca. Noi viviamo ormai nella società della disinformazione a causa di un sovraccarico cognitivo che non siamo in grado di gestire. Un’epoca di straordinario autoinganno che non dispensa conoscenza e verità ma dà solo l’illusione della conoscenza e la percezione della verità. Come difendersi, allora, da questa bulimia informativa che satura la memoria, stimola comportamenti compulsivi, provoca disordini nell’attenzione, riduce la capacità di percezione della realtà (effetto scotoma) giocando sulla manipolazione delle parole (effetto annuncio) e delle immagini? Con un metodo che vale per tutti e che fornisce gli strumenti per orientarsi nel mare magnum delle informazioni sapendo discernere le notizie rilevanti da quelle inutili: l’intelligence – dall’etimologia latina inter-legere - ovvero la capacità di intercettare le informazioni utili basandosi sull’attendibilità delle fonti che possono essere aperte (disponibili per tutti), chiuse (che osservano criteri di riservatezza) e grigie (derivanti da vie trasversali e confinate in una sorta di limen). Tuttavia la tecnologia non va demonizzata ma usata con parsimonia. Per dirla ancora con Spinoza “Non bisogna né ridere né piangere ma capire” e per capire bisogna informarsi, ricordando sempre che l’informazione non è né conoscenza né tantomeno saggezza ma una informazione utile può contribuire a fornire una corretta visione del mondo. Grande soddisfazione è stata espressa dal dirigente scolastico Francesco Vinci e dall’intero corpo docente dell’I. C. “Don Milani” con l’auspicio – da parte del dirigente - che si possa avviare una fattiva collaborazione tra l’Università della Calabria e l’Istituto Don Milani da sempre avamposto di sperimentazione didattica sulle orme del grande priore di Barbiana.

Il grande scienziato americano Stephen Hawking diceva che “Il più grande nemico della conoscenza non è l’ignoranza ma l’illusione della conoscenza” e Internet, ormai, con i suoi 2 miliardi di abitanti virtuali rappresenta la prima nazione al mondo. Connessi h24, consentiamo all’intelligenza artificiale, con le informazioni che noi stessi forniamo, di essere governati dagli algoritmi. Di fronte all’eccesso di informazione si sta registrando una inedita propensione a non apprendere e una tendenza ad essere manipolati. Scarse la capacità di sintesi e l’abilità di estrazione, si vive in superficie e per i giovani, ma non solo, si crea una sovrapposizione tra reale e virtuale. Qui si colloca lo spazio educativo o, come direbbe don Giussani,

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amici della terra

STAGIONE BALNEARE 2019: INIZIATA TARDI E MALE IN CALABRIA GIÀ CHIUSA MENTRE È APERTA ALTROVE di Mario Pileggi A fine settembre, in Calabria e in altre regioni del Sud, si è chiusa la stagione balneare aperta ufficialmente il primo maggio. Durata soltanto 5 mesi, la stagione balneare 2019 si è caratterizzata per il perdurare delle solite carenze informative e, all’apertura, per un lieve peggioramento della qualità delle acque marine rispetto all’anno precedente. Un peggioramento che si è accompagnato a varie immagini di mare sporco o colorato di verde o giallo postate sui social riguardanti alcune spiagge sia dello Jonio che del Tirreno frequentate dai bagnanti. Il peggioramento, rispetto alla precedente stagione, è emerso dai risultati delle analisi e classificazioni delle acque marine effettuate dall’Arpacal per l’apertura della stessa stagione balneare 2019. In pratica si è rilevato sia l’aumento del numero di campioni analizzati con esito non conforme dal punto di vista igienico sanitario sia la riduzione di più di quattro chilometri delle spiagge classificate con acqua di qualità eccellente. In particolare, dai risultati dei 3.844 campioni analizzati in corrispondenza delle 629 aree adibite alla balneazione nella Regione è emerso che il numero dei campioni con esiti non conformi da 82 della precedente stagione è salito a 110 pari al 2,86% rispetto al 2,13% della stagione balneare precedente; e la lunghezza complessiva delle aree adibite alla balneazione classificate di qualità eccellente dai 619.920 metri della stagione balneare precedente si è ridotta a 614.683 metri nell’attuale. Sempre a livello regionale la lunghezza complessiva delle aree con acque classificate buone è di 26.888, quella delle aree classificate sufficienti è 15.972 metri e la lunghezza di tutte le aree classificate di qualità scarsa con valori di Escherichia coli ed Enterococchi intestinali fuori norma e con rischio per la salute dei bagnanti è di 14.216 metri. Va evidenziato che come nel passato non sono stati esposti e in ben evidenza tutti i dati aggiornati su qualità delle acque e sui pag. 14

profili delle 629 aree adibite alla balneazione monitorate per la tutela della salute dei bagnanti; e nemmeno dove inizia e termina ogni area con divieto permanente di balneazione per inquinamento che nel complesso interessano circa 40 chilometri di costa. In pratica si è continuato con le “carenze informative” già evidenziate nella “Relazione sull’inquinamento delle coste e gestione degli impianti di depurazione” del 2002 della Corte dei Conti. E c’è di più: alle carenze informative locali si aggiungono quelle nazionali del Ministero della Salute che non ha pubblicato i Rapporti sulla qualità delle acque di balneazione con le

verifiche e conformità alla Direttiva europea 2006/7/CEE e le misure di gestione in atto; la scelta fino a tutto agosto scorso del Ministero di non pubblicare i Rapporti nazionali fa insorgere il sospetto di una rinuncia al ruolo di coordinamento nazionale sulle acque di balneazione nell’interesse dell’intero Bel Paese per favorire il prevalere degli interessi localistici e spinte autonomistiche che accrescono il divario tra Nord e Sud. I dati regionali, se considerati nel contesto più generale delle aree di balneazione dell’intero Bel Paese, evidenziano che la percentuale delle aree classificate di qualità eccellente, pur in diminuzione rispetto all’anno scorso, si mantiene superiore alla media nazionale pari al 90%. Se questo confronto, tra le percentuali delle aree con acque classificate di qualità eccellente, invece di essere fatto con i dati complessivi regionali, viene fatto con i dati GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

delle singole Province emergono differenze notevoli; in particolare, mentre nella provincia Catanzaro si rileva un aumento e si raggiunge il 98,38% in quella di Cosenza si riduce all’88,16% inferiore alla media nazionale. Anche se di poco inferiore alla media nazionale è anche la percentuale dell’89,11% delle aree con acque classificate di qualità eccellente della Provincia di Reggio Calabria. D’altra parte le nove aree adibite ala balneazione ma classificate di qualità scarsa e con divieto di balneazione sono localizzate nelle tre Province di Cosenza, Reggio Calabria e Vibo Valentia. Ma il dato più rilevante e ancora poco considerato sono i 657.543 metri di lunghezza complessiva delle aree balneabili sul Tirreno e sullo Jonio calabrese: una lunghezza che supera quella dell’insieme di sette Regioni come Veneto, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Abruzzo, Marche, Molise e Basilicata. La rilevanza di questo dato nel contesto più generale delle aree di balneazione dell’intero Bel Paese è rafforzata dalla quantità di spiagge naturali bagnate da acque classificate di qualità eccellente che supera i 614 chilometri e supera la percentuale della media nazionale. Se alla quantità di spiagge naturali con acque trasparenti e di qualità eccellente si aggiungono le specificità geo-ambientali con la più rilevante varietà di habitat e biodiversità, i tanti giacimenti archeologici delle più antiche civiltà dell’intero Occidente e il microclima più favorevole per la balneazione si comprende la preziosità del patrimonio costiero della Regione. In proposito è da evidenziare l’ingiustificata e irresponsabile decisione dei vari responsabili regionali di limitare a soli 5 mesi, da Maggio a Settembre, la durata della stagione balneare mentre in altre regioni inizia almeno un mese prima e si chiude un mese dopo. In Emilia Romagna e Sardegna, ad esempio, la stagione balneare inizia il primo gennaio e finisce il 31 dicembre e comprende sia una stagione balneare invernale che estiva. In particolare in Emilia Romagna la stagione balneare Lamezia e non solo


estiva inizia il sabato precedente la celebrazione della Pasqua e termina l’ultima domenica di ottobre mentre in Sardegna si apre il primo aprile e si chiude il 31 ottobre. Questi aspetti e la tutela e valorizzazione delle preziose specificità che caratterizzano i 716 km del patrimonio costiero della Calabria continuano a restare fuori dall’interesse e agenda delle classi dirigenti e degli Enti preposti al controllo e gestione dello stesso patrimonio.

Lo stato di salute dei mari ad inizio stagione balneare in ogni Provincia La maggiore riduzione del numero di aree con acque classificate di qualità eccellente si è rilevata nella Provincia di Cosenza dove dal 93,49% della stagione balneare precedente si è sceso all’88,16% all’apertura dell’attuale. Una percentuale più bassa di quella nazionale e che si è abbassata ancor di più rispetto a quella dell’apertura della stagione balneare 2017. In pratica la lunghezza complessiva delle aree con acque di qualità eccellente si è ridotta a 181.419 metri mentre era di 192.406 metri nel 2018 e di 205.793 metri nel 2017. La lunghezza complessiva della costa dell’insieme dei 36 comuni del Tirreno e dello Jonio della Provincia di Cosenza che si affacciano sul mare è di 227.900 metri dei quali 22.107 metri non adibiti alla balneazione e, per vari motivi, con divieto di balneazione permanente. In corrispondenza dei 205.793 metri adibiti alla balneazione e monitorati con analisi mensili, la classificazione della qualità delle acque per l’apertura dell’attuale stagione è la seguente: 181.419 metri di qualità eccellente, 14.221 metri di qualità buona, 6.270 metri di qualità sufficiente e 3.883 metri di qualità scarsa. Nella stessa provincia le aree di criticità per le acque classificate di qualità scarsa e non balneabili per l’inizio dell’attuale stagione balneare è 1,89% mentre nella precedente stagione era 1,27% pari a 2.617. I comuni con acque di balneazione classificate di qualità scarsa sono: - Fuscaldo in due aree denominate “150 MT SX Torrente Maddalena” della lunghezza di 1082 metri e “150 MT DX Torrente Maddalena” della lunghezza di 305 metri; - Paola in tre aree denominate “300 MT SX C.da Petraro” di 260 metri, “300 MT Canale Fiumarella” di 180 metri e “200 MT Lamezia e non solo

S. Canale prosp. Depuratore” di 372 metri; - Praia a Mare in tre aree denominate “Sbocco C.le Sotto Marlene” di 350 metri, “50 MT SX Canale Fiumarella” di 777 metri e “50 MT DX Canale Fiumarella” di 408 metri; - San Lucido nell’area denominata “150 MT SX Torrente S. Como” di 149 metri. A questi si aggiungono gli altri divieti permanenti di balneazione posti per inquinamento in corrispondenza delle foci dei corsi d’acqua e per altri motivi (aree portuali, industriali ecc.) della lunghezza complessiva di poco superiore a 20 chilometri. La Provincia di Reggio Calabria con 202,9 chilometri di costa ha adibito alla balneazione e monitorato complessivamente 187.493 metri. Quantità che, in assenza di urgenti interventi di risanamento nella Città di Reggio Calabria, rischia di ridursi ulteriormente nella prossima stagione balneare. La lunghezza complessiva dei litorali certificati di qualità eccellente per l’attuale stagione balneare è di 167.076 metri pari all’89,11% mentre nella passata stagione era 166.892 metri, l’89,01% dei litorali adibiti alla balneazione nella stessa Provincia;

la lunghezza complessiva di quelli di qualità scarsa è 9.773 metri pari al 5,21% mentre nella stagione precedente era di 10.286 metri pari al 5,49% . Questi dati, rispetto alla stagione balneare precedente, evidenziano una lieve crescita della lunghezza dei litorali classificati di qualità eccellente che non raggiunge quella di due stagioni precedenti che erano 167.859 metri pari all’89,92% . I comuni interessati dalle criticità per le acque classificate di qualità scarsa: Brancaleone con l’area denominata “I.D. Brancaleone” di 1668 metri e l’area “Pontile” di 1069 metri, San Ferdinando con l’area denominata “Delta Mesima” di 369 metri, Gioia Tauro con l’area denominata “Pontile N.” di 651 metri e Reggio Calabria con

otto aree in gran parte localizzate corrispondenza del centro urbano e denominate: “Gallico – Limoneto”, “Pentimele”, “Circolo Nautico”, “Lido Comunale Pontile N.”, “Lido Comunale Pontile S.”, “Lido Comunale Villa Zerbi”, Pellaro – Lume”, “500 M N Tott. Annunziata” - Nella Provincia di Vibo Valentia la lunghezza complessiva dei litorali certificati di qualità eccellente per l’attuale stagione balneare è di 62.928 metri pari al 89,71% dei litorali adibiti alla balneazione; una lunghezza superiore a quella complessiva del 2017 che era di 59.500 metri. La lunghezza complessiva dei litorali certificati di qualità scarsa è di 2.290 metri come nella precedente stagione balneare. Sulle criticità nella stessa Provincia l’area classificata qualità scarsa con divieto di balneazione temporaneo è posta nel Comune di Nicotera ed è denominata “200 MT a DX F. Mesima” di 369 metri. - Sui 113,9 chilometri di costa disponibili nella Provincia di Crotone sono adibiti alla balneazione e monitorati complessivamente 108.868 metri. I risultati delle Analisi e le classificazioni effettuate dall’Arpacal per l’inizio dell’attuale stagione balneare certificano di qualità eccellente le acque in corrispondenza di 100.068 metri di litorali pari al 91,92%. Un dato che evidenzia un calo rispetto alla precedente stagione balneare 2017 quando la lunghezza complessiva delle spiagge con acque di qualità eccellente risultava di 102.859 metri con il 94,48%. La lunghezza complessiva dei litorali certificati di qualità scarsa e non balneabile è complessivamente di 2.290 metri come nella precedente stagione balneare. - Sui 102.600 metri di costa della Provincia di Catanzaro le aree adibite alla balneazione, nell’insieme dei 25 comuni costieri, raggiungono la lunghezza complessiva di 99.462 metri: di questi ben 97.854 metri, il 98,38%, sono stati classificati di qualità eccellente e gli altri di qualità buona. La percentuale delle acque di qualità eccellente era del 98,15% nella precedente stagione e del 97,30% nella stagione balneare 2017. Un progressivo miglioramento e di particolare rilevanza se si considera che la disponibilità delle spiagge di questa sola Provincia supera quella dell’insieme di 4 Province come Rimini, Trieste, Ferrara e Forlì.

Geologo Mario Pileggi

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del Consiglio Nazionale di “Amici della Terra”

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LA CALABRIA, UNA TERRA DA AMARE

Cadono le foglie, qui nel profondo e selvaggio sud di Ginevra dell’Orso

Mi rimproverano spesso e volentieri di essere imparziale nelle mie descrizioni su questa terra. Mi dicono che parlo sempre di posti meravigliosi, mari incontaminati, boschi fatati, quando invece dovrei parlare anche di brutture, di certe bassezze della gente, del degrado, e tutto il resto. Mi dicono che non sono obbiettiva, che manco di senso critico... mi accusano di superficialità. Beh, non voglio esimermi da nessuna critica, perché quasi sempre sono i motori della propria crescita individuale: ma credo sia giusto dire qualcosa a queste persone, che sinceramente non hanno capito bene il senso di tutto questo. Premetto che non penso che esista un solo posto su questo pianeta, abitato da esseri umani, in cui non sia palesemente evidente il bello e il brutto: contesti in cui l’essere umano vive e sopravvive da secoli e secoli, sfruttando ogni risorsa, spesso abusando della terra, dei propri fiumi, di tutto ciò che madre natura ha dato, generosamente e gratuitamente. Una strada, un binario e... Detto ciò, la logica dovrebbe portarmi a dire che l’intera costa ionica calabrese possiede solo una strada; si, un’unica, vecchia, pericolosa e scomoda strada. Dovrei dire che se sei costretto a correre da una parte e davanti a te trovi un trattore a 30 all’ora, e non lo puoi superare perché non c’è spazio, questa è inciviltà. Potrei anche dire che è assurdo che, allo stesso modo, per quasi 400 km ci sia una rete ferroviaria che vanta un solo e desolato binario, su cui viaggia un trenino di una sola carrozza, proprio come nel secolo scorso. Oh, certo che lo posso dire! E posso anche scri-

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vere di quanto sia frustrante dover aspettare tempi lunghissimi per molte cose. E poi, vogliamo parlare di quanta arretratezza culturale in questi venditori ambulanti che urlano a squarciagola, in questi fichi secchi fuori dalla finestra o tutti sti panni che svolazzano al vento? Ah già... il lavoro. Dimenticavo la nota dolente. Certo, potrei farlo! E non solo: vedo bene tutto quello per cui molti si lamentano. Ma avete mai provato a guardare la storia da un altro punto di vista? E se al posto di un’unica strada ci fosse un groviglio di macchine che suonano il clacson su e giù per le montagne? E che ne sarebbe di quest’aria che tanto decantate a destra e a manca? Vi sembra poco avere l’aria più pulita d’Europa? O pensate che si possa vivere senza respirare?

provviso, assopiti nel silenzio, lo sfrecciare di qualche treno a 300 all’ora? Immaginiamo queste montagne verdissime, che esplodono

Una montagna piena di strade Avete mai pensato a come sarebbe essere in riva al mare, mentre contemplate l’infinito, e sentite all’im-

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LA CALABRIA, UNA TERRA DA AMARE di alberi fitti e secolari, che ancora riescono a nascondersi da google street: provate a immaginarle piene di fabbriche, di fumi, di fiumare senza più granchi ma traboccanti di melma e odori nauseabondi. Industrie che danno sì da lavorare a molti, ma in cambio, a quella terra, chiedono l’anima. Si, esiste una via di mezzo tra una vecchia statale e un’autostrada a 4 corsie, ma sarebbe a ogni modo qualcosa che storpia. Non tutti i luoghi si prestano a essere modellati, proprio come certi materiali. Questa è una terra di montagna, dura come la pietra: che forma potreste mai darle se non quella che già ha? Ci sono posti in cui si lavora e posti in cui si contempla. Ci sono musei e ci sono fabbriche. Ci sono luoghi di rumore e luoghi di silenzio. E questo, decisamente, non è un posto che potrebbe diventare l’impero del business: ma alla fine, è veramente così importante? Cosa potrà mai essere più felice dell’affacciarsi alla finestra e guardare il mare, accarezzata dal vento che suona tra le fronde della quercia davanti a casa? Possiamo mai paragonare l’incalzare di una coda

in un grande supermercato, quando puoi tranquillamente restare a casa ad aspettare che arrivi l’uomo della frutta e della verdura, che col suo “aplomb” ti sveglia alle sette del mattino per venderti quello che ha raccolto da poche ore? Si, ovvio, non siamo più negli anni ‘50. Vero! Ma chi dice che tutto questo gran delirio che sta piano piano invadendo il mondo, sia la cosa giusta? Chi dice che bisogna avere tutto o niente? Chi dice che, se si lavora con la tecnologia, si debba necessariamente modernizzarsi in tutto?

che fumanti, della terra smunta, dello sporco, della ricchezza, degli stati d’ansia, della confusione, di quel senso di soffocamento, beh, saprà sempre dove potersi sedere e riempirsi il cuore. E scoprirà che il profumo dei fichi secchi al balcone racchiude non solo un aroma di dolcezza, ma tutta la sapienza di quello che noi, esseri umani, abbiamo esplorato da quando viviamo sulla Terra. Lascio a voi, che vi riempite la bocca di aggettivi miserabili, l’osservazione del brutto e di quello che non va: a me piace concentrarmi su quello che funziona, pensando a come risolvere ciò che ancora fa fatica a trovare un senso alla sua inadeguatezza. Lodare un figlio non significa non vedere le sue mancanze: significa far si che si concentri su tutto quello che va, affinché non abbia tempo per pensare alle cose errate che fa. Di solito funziona così. Perché non dovrebbe funzionare in questo caso? Sono troppo ottimista? Sono un’inguaribile sognatrice? Va bene, ma lasciatemi sognare, che tra poco arriva il freddo e mi piace osservare le foglie che cadono...

Alcuni materiali non si modellano Ci sono momenti in cui si devono fare due passi in avanti e uno indietro: questo è quello che io percepisco in questo angolo remoto del mondo, che in parte deve restare così com’è. Deve restare custode di segreti ancestrali, di lingue morte (eh si, perché in alcuni paesi si parla ancora il greco antico) di tradizioni, racconti, di macerie e di bellezza, tanta bellezza. E così, quando il mondo non ce la farà più di tutte le strade, di tutte le fabbri-

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i racconti di marco

La risposta al nostro futuro sono le domande di Marco Cavaliere

Fin da quando ero un bambino, fin dalle scuole elementari, sono sempre stato quello che faceva un sacco di domande. Un cacacazzo di livello considerevole. Mi è stato insegnato ad alzare la mano, prima di chiedere o prendere parola, ed il mio braccio sinistro è da sempre stato pronto a scattare in su, con l’indice ad indicare il cielo. Ho sempre fatto domande di ogni tipo, e quando mi veniva da chiedere qualcosa io la chiedevo. Senza vergogna o paura alcuna. A volte domande inopportune, spesso una domanda di troppo, qualche maestra o professore girava gli occhi all’ennesima vista del mio dito indice ma io me ne fregavo e continuavo ad alzarlo, aspettando mi dessero il permesso di parlare. Ricordo di un giorno a scuola in cui, dopo due ore di spiegazione di matematica, ho iniziato a fare domande a raffica. Eravamo in tre o quattro a chiedere spiegazioni, la maggior parte dei miei compagni dormicchiava o scarabocchiava in attesa della campanella. Ma noi continuavamo a chiedere cose. Sui teoremi affrontati, sullo svolgimento degli esercizi esempio, sulle postille. Io ero già abbastanza deciso a lanciarmi nella laurea in ingegneria, e la matematica si faceva largo tra le mie materie preferite. Dopo la quarta domanda, il mio indice era ancora alzato. Il professore ci disse, - Ragazzi, basta. Non credete siano abbastanza domande, per oggi? Se avete altri dubbi, trovate tutto sul libro. Gli altri abbassarono le braccia, il mio non si mosse di un millimetro. - Vuoi rispondere o è un’altra domanda? - Un’altra domanda, prof. - Dimmi, Marco. - In realtà sono due. - Dimmi. - Che cosa ce le spiega a fare le cose, se troviamo tutto sul libro? Che senso ha venire a scuola, se non possiamo farle tutte le domande di cui abbiamo bisogno? Mi presi una gran bella tirata d’orecchie, ma ciò non fermò la mia voglia di chiedere. Testata Giornalistica Di tutto un po’ - lamezia e non solo anno 27°- n. 58 - ottobre 2019 Iscrizione al Tribunale di Lamezia Terme dal 1993 n. 609/09 Rug. - 4/09 Reg. Stampa Direttore Responsabile: Antonio Perri Edito da: GRAFICHÈditore Perri Lamezia Terme - Via del Progresso, 200 Tel. 0968.21844 - e.mail. perri16@gmail.com Stampa: Michele Domenicano Allestimento: Peppino Serratore Redazione: Giuseppe Perri - Nella Fragale - Antonio Perri Progetto grafico&impaginazione: Grafiché Perri-0968.21844

Le iscrizioni, per i privati sono gratuite; così come sono gratuite le pubblicazioni di novelle, lettere, poesie, foto e quanto altro ci verrà inviato. Lamezia e non solo presso: Grafiché Perri - Via del Progresso, 200 -

E lo faccio ancora oggi, a 30 anni, nelle riunioni di lavoro o nelle videoconferenze. Che ci siano presenti 5 o 50 persone, non importa. Io alzo il braccio, punto al cielo con l’indice e aspetto mi diano la parola. C’è chi mi prende in giro, qualche collega fa ironia e mi ricorda che non siamo a scuola, c’è chi esprime velatamente biasimo o disappunto, come a dire “Ma guarda sto cretino”. Ma a me sbatte una fava. Io il braccio continuo ad alzarlo, le domande continuo a farle tutte. Perché sono sempre stato uno che le cose le vuole capire, uno per cui la vita è curiosità e scoperta, ma è innanzitutto la consapevolezza di non sapere quasi nulla. Io chiedo perché so di non sapere, so di non sapere abbastanza, e quindi mi avvalgo del diritto di crescere. Mi avvalgo del diritto di capirle fino in fondo, le cose, perché impararle a memoria o intuirle non mi è mai bastato. Perché ogni cosa, moltiplicata per “L’ho sentito dire”, vale meno di zero. Perché a qualcuno la vita basta attraversarla distrattamente, ma io ho sempre voluto abitarla, saltarci dentro a piè pari. E quindi io vi dico di FREGARVENE, dei sorrisini e degli insulti a mezza bocca. Che siate ragazzini, adolescenti, adulti o attempati. Fregatevene altamente. Fregatevene se vi prendono in giro e vi dicono basta, fregatevene se provano a farvi sentire in difetto o inopportuni. Fate tutte le domande che sentite di fare, chiedete fino allo scioglimento di ogni nodo, correte fino alla fine di ogni punto interrogativo. Coltivatelo, l’amore per la conoscenza, ché chi smette di farsi domande perché convinto di sapere tutto, quasi sempre, non ci ha capito quasi niente. Ché persino Michelangelo, a pochi anni dalla sua morte, disse fermamente “Sto ancora imparando”. Quindi puntate sempre in alto, sparate il vostro indice verso il cielo. Aspettando che sia il vostro turno, ché l’educazione viene prima di tutto. 88046 Lamezia Terme (Cz) oppure telefonare al numero 0968/21844. Per qualsiasi richiesta di pubblicazione, anche per telefono, è obbligatorio fornire i propri dati alla redazione, e verranno pubblicati a discrezione del richiedente il servizio. Le novelle o le poesie vanno presentate in cartelle dattiloscritte, non eccessivamente lunghe. Gli operatori commerciali o coloro che desiderano la pubblicità sulle pagine di questo giornale possono telefonare allo 0968.21844 per informazioni dettagliate. La direzione si riserva, a proprio insindacabile giudizio, il diritto di rifiutare di pubblicare le inserzioni o di modificarle, senza alterarne il messaggio, qualora dovessero ritenerle lesive per la società. La direzione si dichiara non responsabile delle conseguenze derivanti dalle inserzioni pubblicate e dichiara invece responsabili gli inserzionisti stessi che dovranno rifondere i danni eventualmente causati per violazione di diritti, dichiarazioni malevoli o altro. Il materiale inviato non verrà restituito.


di Maria Palazzo

Carissimi lettori, non sempre è facile leggere un libro e ritrovarsi a parlare con l’autore… Grazie a Gianvito Casadonte e al Magna Graecia Film Festival, di cui è direttore artistico, quest’anno, ho incontrato due miei beniamini. Chiara Francini, di cui ho parlato lo scorso mese e Marco Bonini, di cui voglio parlarvi adesso. SE AMI QUALCUNO DILLO è il titolo del libro di Marco Bonini. Un romanzo delicato come chi lo ha scritto. Narra, se vogliamo, l’educazione sentimentale (come soleva dirsi due secoli fa) di un uomo. A mio parere, il tema trattato, esposto in prima persona, è davvero singolare, in quanto sia un uomo a parlare dei suoi sentimenti e del loro dipanarsi. Una cosa abbastanza insolita, oggi, quanto comune nella letteratura maschile di fine ‘700, iniìzio ‘800. Tutto ciò è, in parte, dovuto alla formazione umanistica di Marco Bonini, attore di pregio, ma anche dottore in filosofia, ballerino di danza classica e moderna, sceneggiatore. Proprio grazie a tale formazione, la prosa di questa sua opera prima letteraria è limpida, fluida e davvero straordinaria, specie nel descrivere gli stati d’animo e gli intimi moti del cuore. Le sensazioni, le emozioni, le introspezioni, pur frutto di elaborazione razionale, sono descritte come in un dialogo a cuore aperto. Sembra quasi di conversare col personaggio che racconta di sé. E’ raro, oggi, trovare un tipo di narrazione così franca e lucida, così profonda, eppur lieve nel raccontare. La trama parte dal rapporto del personaggio principale con Sergio, un padre che si ritrova improvvisamente nuovo e diverso, in seguito al sopraggiungere di un infarto, che non lo uccide, ma ne cambia l’esistenza e la percezione del mondo. Attraverso le fasi del graduale risveglio di Sergio, Marco (il protagonista del romanzo si chiama pag. 19

come l’autore) ripercorrerà la sua vita e la sua infanzia e, alla luce di esse, vivrà il sopraggiungere della sua fase più adulta: quella delle scelte e delle riflessioni. Esistono passi esilaranti, in cui si ride di cuore, altri ironici, in cui si sorride un po’ a denti stretti (cfr. pagg. 155156): la gamma del sentire è vastissima, piacevole da tuffarvisi dentro (cfr. pag. 213) e da riconoscersi (cfr. pag. 243). La bellezza delle emozioni è così pura, da voler prolungare la lettura, centellinando le pagine, ma poi ci si immerge sempre più nell’atmosfera, che porta, inesorabilmente, all’epilogo. Non appena giunti alla fine, si sente il bisogno di rileggere subito il libro, di ricominciare a farsi scorrere addosso tutte quelle gocce di acqua colorata, dalle varie sfumature, dalle varie suggestioni narrative… E’ fondamentale, a parer mio, in un’epoca come la nostra, confrontarsi con autori di questa portata. Conoscerli, poi, rappresenta una grande opportunità di scambio: di opinioni e di dibattito. La raffinata, naturale, eleganza di Marco Bonini resta impressa per il suo eloquio altrettanto naturale e la sua disponibilità a dialogare. Averlo incontrato, per me, resta uno dei momenti più alti e interessanti della XVI edizione del MAGNA Graecia Film Festival, con la sua nuova iniziativa, il BOOK FESTIVAL, che regala grandi opportunità propositive e di forza culturale al nostro territorio. La rara introspezione di Marco, trasposta nel suo libro, ci offre un mezzo per scendere anche all’interno delle nostre emozioni, per poterci ritrovare. Un libro di rara bellezza. In cui si mescolano armonia e audacia emotiva. Presso cui è bello sostare, per poi ripartire… BUONA LETTURA.

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Sport

La terra smossa di Vincenzo De Sensi Roma, 22 maggio 1996. stadio olimpico, esterno notte Lo stadio olimpico è fuoco, brulichio e cartacce, ansie e voci di ottantamila umani, la serata è calda, una di quelle che il ponentino asciuga e rallegra dopo lo spreco di sole di un pomeriggio di fine primavera. L’Italia è davanti ai televisori, quasi venti milioni di spettatori: è di scena la Juventus. Le casacche bianche e nere dei soldatini allineati sul prato illuminato si gonfiano larghe alle folate che arrivano dalle pendici verdi di Monte Mario. La Juventus gioca la finale di Champions League, la quarta della sua storia. Rifondata nel 1994 da Luciano Moggi, amministrata da Antonio Giraudo, allenata da Marcello Lippi, la squadra torinese è tornata ai vertici europei dopo anni di stenti. Stasera ha di fronte la leggenda del calcio moderno, l’Ajax di Amsterdam, campione in carica dopo aver sconfitto un anno fa il Milan di Fabio Capello, ma i tifosi non tremano: confidano nella forza devastante di questo gruppo feroce e avido di vittorie. In un calcio sempre più atletico, possente e fulmineo, questa Juventus è stata edificata sulla base di un progetto rigoroso e lungimirante, che aveva come punto di partenza il caposaldo di una formidabile preparazione fìsica. I calciatori si sono trasformati in macchine da guerra, sospinti dalla nuova volontà di successo della società e pressati dalle vessazioni quasi sadiche del preparatore atletico Giampiero Ventrone. Questa rinascita, così fondata sul corpo e sulle sue prestazioni, è

stata accompagnata da uno staff medico meticoloso e ambizioso, potenziato sotto la guida energica del dottor Riccardo Agricola, la squadra è divenuta un complesso instancabile, poderoso e organizzato, capace come nessun altro di correre, contrastare, offendere. Costruisce il gioco a partire dal pressing incalzante di attaccanti-armadi, come Vialli e Ravanelli, ha demolito, nel girone eliminatorio e nei turni successivi, le rivali di tutta Europa, sospinta dai gol di Del Piero che, nella sua più incantevole stagione, completa il tridente offensivo. Proprio Ravanelli, al dodicesimo minuto del primo tempo, lanciato dal liscio di un difensore dell’Ajax, si scapicolla fin quasi alla linea di fondo; aggira il portiere, un difensore e tira in porta. La traiettoria è magica e vincente: uno a zero, la Juventus continua a dominare, ma, tra i propri errori e i miracoli del portiere, non raddoppia e L’Ajax, inaspettatamente, pareggia con Litmanen a quattro minuti dall’intervallo. Dopo solo altri due minuti il ginocchio di Edgar Davids, irruente stella del centrocampo olandese già prenotata dal Milan, impatta contro la coscia sinistra del capitano Antonio Conte. La Juventus è superiore agli avversari. Torricelli sovrasta le stelle dell’Ajax. Non ci sono gol, ma la roulette dei calci di rigore, una volta tanto, premia la squadra migliore, Peruzzi timbra il trofeo con due parate capolavoro.

Sport

Arti Marziali È stato un fine settimana all’insegna delle Arti Marziali tradizionali quello organizzato dalla Società Sportiva Accademia Arti Marziali Lamezia 1974, in collaborazione del Dojo Shizuoka Catanzaro. La storica Società nata 45 anni fa dalla passione del Maestro Enzo Failla, 7° dan FIJLKAM e Presidente Commissione Tecnica Nazionale MGA della stessa Federazione, ha voluto invitare i Maestri e docenti nazionali Pasquale Fuscà e Roberto Storello, venuti da Torino. Il gruppo degli Insegnanti impegnati nella palestra del sodalizio lametino è stato completato con la collaborazione del Maestro Ignazio Imperiale di Catanzaro. Tutti i docenti hanno avuto la stessa formazione marziale impartita da uno dei più grandi Maestri di tutti i tempi, Sugiyama Shoji, pag. 20

scomparso due anni fa, a cui è stato dedicato lo stage. Commozione ed emozione hanno pervaso i momenti che hanno preceduto il raduno nazionale di Yoseikan, il sistema di combattimento di cui il Maestro Sugiyama era rappresentante

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in Europa. I Maestri Failla, Fuscà e Storello, insieme ad altri quattro rappresentanti dello Yoseikan, hanno ricevuto l’eredità marziale dal Maestro Sugiyama e a loro è stato affidato il compito di continuare l’opera di pratica e divulgazione. Presente allo stage anche l’istruttore Antonio Ciliberto, in rappresentanza della palestra Fisiodinamic di Lamezia Terme degli insegnanti Luigi Nicotera e Lina Ferraro. Una straordinaria esibizione di Kendo, l’Arte del combattimento con la spada, ha fatto da cornice all’evento. La dimostrazione è stata diretta dal Maestro Roberto Bucca, poliziotto e Campione Italiano, direttore tecnico della Società presente all’interno della Scuola di Polizia di Vibo Valentia. Soddisfatto per l’ottima riuscita dello stage si è dichiarato il Maestro Failla che si appresta a continuare l’opera di formazione Istruttori della Polizia Penitenziaria, in programma nelle prossime settimane a Sulmona. Lamezia e non solo


Sport

FINALMENTE HA RIAPERTO IL PALASPARTI E LA ROYAL FESTEGGIA di Rinaldo Critelli Due sconfitte e una vittoria in questo avvio di stagione agonistica per la nuova Royal Team Lamezia. Le prime due arrivate sempre in trasferta a Rionero (per la Coppa della Divisione) e a Molfetta per la prima giornata del torneo di A2. Il primo brindisi invece domenica 13 ottobre contro il Nuceria (4-1), in una giornata da ricordare non fosse altro soprattutto per il ritorno al PalaSparti dopo, udite-udite, 23 mesi. Il lungo calvario ha dunque visto il suo epilogo dopo quasi due anni, in cui a poco sono servite manifestazioni pubbliche, incontri, servizi anche sulla stampa televisiva nazionale e non. Tanto che quella domenica, tra gli spettatori (fino a 99 come da ordinanza comunale) non pochi erano quelli col volto sorpreso ed ancora incredulo. “Solo noi dirigenti,

staff e calciatrici sappiamo i sacrifici fatti in questi 2 anni - sospira finalmente il presidente Nicola Mazzocca -, è davvero incredibile come la burocrazia possa creare disagi e difficoltà più di quelli che un torneo nazionale naturalmente comporta. Debbo ringraziare i miei compagni di viaggio in questi anni perché la voglia di mollare è stata sempre presente davanti a queste immani criticità, di cui talvolta ho avuto l’impressione che mancasse proprio la volontà di risolverle. Ora ripartiamo: come sempre concentrati a lavorare per dare lustro, anche attraverso lo sport, a questa nostra martoriata città di Lamezia Terme. Un rammarico però mi resta: non aver potuto offrire ai lametini lo spettacolo della Serie A. Al PalaSparti e con i nostri calorosi tifosi sono certo – conclude Mazzocca - che il torneo dell’anno scorso avrebbe avuto altro epilogo”. Dunque archiviato in fretta lo stop di Molfetta, in cui s’è vista una Royal ancora priva di assemblaggio per l’arrivo a scaglioni di diverse calciatrici, in primis le spagnole, e tra l’altro contro un avversario da considerarsi senza tema di smentita il candidato Lamezia e non solo

principale alla vittoria finale, il pronto riscatto è arrivato poi contro le campane del Nuceria. Di Pozo Moreno il vantaggio nel primo tempo, per poi arrotondare nella ripresa con i gol di De Sarro, Lavado e Primavera. Sul 3-0 una sfortunata autorete di Serrano. Nel complesso una Royal migliore e più in palla, che ha potuto contare su una settimana di più di lavoro la qual cosa si è vista soprattutto nel primo tempo, e nella seconda parte della ripresa. La squadra di Carnuccio è sembrata più tonica rispetto alla settimana precedente, con diverse calciatrici che hanno ben impressionato pur considerando che siamo ancora all’inizio del torneo. Tutto ciò induce sicuramente all’ottimismo, specie quando il tecnico Carnuccio potrà lavorare con la rosa al completo. Intanto a Taranto

(domenica 20 ottobre) rientrerà finalmente Stefania Corrao (a metà ottobre stiamo andando in stampa), fermata da 3 giornate di squalifica della passata stagione alla Torres. Mentre ancora qualche settimana necessita per il completo recupero di Anita Furno, reduce dall’operazione al ginocchio prima dell’estate, e che sta seguendo il relativo programma di riabilitazione. E’ alquanto chiaro come l’organico, presentando ben 8 volti nuovi, debba trovare la giusta amalgama con le cinque riconfermate, per cui è altrettanto naturale come occorra del tempo prima di avere un quadro definitivo e soprattutto una squadra che recepisca i dettami tecnico-tattici del suo allenatore Carnuccio. Intanto dopo la trasferta di Taranto si ritornerà al PalaSparti per due turni interni contro il Grottaglie ed il Sarno. Quindi poi alternate, iniziando in trasferta, ci saranno Irpinia, Salernitana, l’altra squadra di Taranto l’Atletic Club, Rionero, Fasano e si chiuderà l’andata in casa contro il Lauria.

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pag. 21


CONSULENZA - Pedagogia

A Domande Risponde di Raffaele Crescenzo

“Buongiorno sono la mamma di 2 bimbi di 8 e 7 anni siamo in un periodo delicato xke ho deciso di separarmi dal padre dei miei figli. Il problema é che il padre non accetta la cosa e ne risentono i bimbi tanto che il grande con me si ribella in tutto dai compiti al cibo alle chiacchierate giornaliere dicendomi bugiarda non mi costringere cose da lui mai dette. Il piccolo invece tutto sommato si comporta bene e vede che il fratello grande é cambiato. Vorrei sapere come comportarmi con lui xke le sue reazioni mi fanno davvero soffrire il suo comportamento peggio ancora aiutatemi”.1*

1

*

Il quesito è riportato integralmente senza alcuna modifica.

Gent/ma signora e madre, Innanzitutto conviene ricordare sempre che, a prescindere dalla delicatezza e dalla sensibilità dei genitori che decidono di separarsi, il bambino è comunque coinvolto in queste dinamiche, visto che la separazione dei genitori porterà inevitabilmente ad una serie di molteplici cambiamenti nel contesto familiare. E’ fuor di dubbio che l’età del minore al momento della separazione, la sua personalità, la capacità di resilienza, il livello di conflittualità coniugale, le modalità con cui i genitori gestiranno la separazione, sono tutti fattori che incidono sul modo di reagire alla nuova condizione familiare. Per una valutazione della vulnerabilità del bambino c’è bisogno di analizzare l’interazione tra fattori di rischio e fattori protettivi presenti nel suo ambiente familiare e sociale (es. elevata conflittualità; forte distacco da uno dei due genitori; alta autostima o bassa autostima del bambino, ecc.). In età scolare, come nel nostro caso, la separazione dei genitori generi vissuti di insicurezza, imbarazzo, un senso di perdita e incapacità legati alla mancanza di una guida, di una figura (madre o padre) che stia al suo fianco, lo aiuti e lo riconosca. Nei casi di pessima gestione della separazione compaiono con una certa frequenza nel bambino somatizzazioni, umore depresso, difficoltà scolastiche e di socializzazione. Altro aspetto, da tenere in debita considerazione, è quello che Suo figlio si sta avvicinando alla fase evolutiva preadolescenziale che può comportare maggiore rischio di sviluppare condizioni di disagio psicoemotivo in caso di separazione genitoriale. L’allontanamento di uno dei due genitori dovuta ad una separazione gestita negativamente, conflittuale e non accettata da uno dei coniugi (come nella fattispecie), in questo particolare momento evolutivo più che in altri può condurre a problemi d’ansia, abbassamento del tono dell’umore, problematiche comportamentali. Non sono infrequenti scambio dei ruoli in cui il figlio si schiera con il genitore percepito come fragile ed emotivamente bisognoso (una sorta di alleanza emotiva con il genitore che viene rifiutato dall’altro) e cerca di sostenerlo, con agiti che vanno a discapito della propria incolumità di crescita e benessere psicoevolutivo. Torna utile ribadire che non è tanto la separazione in sè a pag. 22

determinare disagi nei figli, quanto piuttosto i fattori emotivi, cognitivi, relazionali presenti dentro la famiglia, che possono essere elementi di protezione o di scompenso emotivo – affettivo, oppure di rischio. Allora, è necessario ricordare che i genitori separati, o prossimi alla separazione, hanno un ruolo e compito importante nel sostenere ed aiutare i figli alla comprensione ed adattamento alla nuova condizione familiare. In particolare per cercare di ridurre i possibili segnali di disagio sarebbe importante: 1. essere chiari con i figli e spiegare quello che sta succedendo, evidenziando che loro non sono responsabili della separazione; 2. garantire una relazione significativa e continuativa tra ciascun genitore e i figli anche dopo la separazione (maggiore dialogo e comprensione che conduca alla tutela dei minori); 3. mantenere aperto il dialogo e la disponibilità di entrambi; 4. mettere in cattiva luce l’altro genitore (es. che è stato violento quando non è vero, che non ama più i figli, ecc.); 5. essere disponibili a sintonizzarsi emotivamente con i minori e con il loro eventuale disagio, ascoltandoli e invitandoli ad esprimere i loro vissuti. Laddove si ravvisino segnali di disagio nei figli o ci si renda conto di essere in difficoltà nel gestire la propria separazione, è bene ricordare che se si è falliti come coppia coniugale, non si può smettere di essere coppia genitoriale, comunque è sempre possibile chiedere aiuto a figure professionali specifiche, deputate tanto al sostegno di Suo figlio e, nondimeno, alla vostra funzione genitoriale in fase di separazione. Alla prossima.

cell. 392 7606656 - mail: perri16@gmail.com

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La parola alla Psicologa

LA RESILIENZA: AFFRONTARE E SUPERARE LE DIFFICOLTÀ di Valeria Saladino

La resilienza psicologica è la capacità di affrontare con successo una crisi e di tornare rapidamente allo stato pre-crisi. La resilienza esiste quando la persona usa “processi e comportamenti mentali nel promuovere i beni personali e proteggere se stessa dai potenziali effetti negativi di fattori stressanti”. É bene tener conto che non esiste un singolo fattore valido per tutti e in tutti i momenti ma, nella stessa situazione, un fattore può essere di aiuto per una persona ma non per un’altra e, per la stessa persona, un fattore può essere di aiuto per una situazione ma non per un’altra. Tendenzialmente la persona resiliente percepisce un senso di padronanza dell’ambiente e degli eventi, definisce un obiettivo significativo e si impegna per raggiungerlo, crede di poter apprendere e crescere da esperienze positive e negative vivendo il cambiamento non come ostacolo ma come opportunità di crescita. Resilienza è una parola importante, vuol dire capacità di far fronte ai traumi in maniera vitale. La morte di una persona cara, la perdita di un lavoro, gravi malattie, attacchi terroristici e altri eventi traumatici: questi sono tutti esempi di esperienze di vita molto impegnative. Molta gente risponde a queste circostanze con un flusso di forti emozioni e un senso di incertezza. Eppure le persone generalmente si adattano bene nel tempo a situazioni che cambiano la vita e condizioni stressanti. Cosa consente loro di farlo? È la resilienza, un processo continuo che richiede tempo e impegno e coinvolge le persone nel prendere una serie di decisioni. Essere resilienti non significa non sentire le difficoltà. Il dolore emotivo e la tristezza sono comuni nelle persone che hanno subito gravi avversità o traumi nelle loro vite. La resilienza non fa parte dei tratti della personalità, coinvolge comportamenti, pensieri e azioni che possono essere apprese e sviluppate da chiunque. Una combinazione di fattori contribuisce alla creazione di resilienza nell’individuo: Capacità di realizzare piani e adottare misure per eseguirli; Visione positiva di se stesso e fiducia nei propri punti di forza e abilità; Abilità nella comunicazione e risoluzione dei problemi; La capacità di gestire sentimenti e impulsi forti. Questi sono tutti fattori che si possono sviluppare e migliorare individualmente. Certamente non possiamo cambiare il fatto che possono accadere eventi altamente stressanti, ma possiamo cambiare il modo in cui li interpretiamo e rispondiamo a questi eventi. L’essere umano ha un potere inimmaginabile: qualsiasi evento gli accada è lui a scegliere che significato dargli e quindi quale reazione avere. Siamo talmente abituati a reagire in modo meccanico agli eventi della vita, che abbiamo dimenticato questa nostra Lamezia e non solo

straordinaria abilità, essenza della resilienza. La tecnica ABCDE serve a rammentarci questa abilità. Vediamola nel dettaglio. · A di Adversity. La prima lettera sta ad indicare le difficoltà che possiamo incontrare nella nostra vita, gli eventi negativi su cui non abbiamo il controllo e che inevitabilmente accadono. Possono includere piccole “tragedie” come un esame andato storto, o difficoltà molto più rilevanti. · B di Beliefs. La seconda lettera sta ad indicare le

nostre credenze. L’insieme delle convinzioni che abbiamo maturato nel corso della nostra vita rappresentano il filtro attraverso il quale percepiamo la realtà. La nostra percezione della realtà infatti è sempre soggettiva, così come le nostre reazioni.

· C di Consequences. La terza lettera del modello sta

ad indicare le nostre reazioni emotive e fisiche agli eventi. Tali reazioni sono sempre la somma dell’evento e delle nostre credenze.

· D di Discussion. Le prime 3 lettere indicano la nor-

male sequenza adottata dalla nostra mente di fronte ad un evento. Con la lettera D entra in gioco la resilienza. Quando siamo in grado di mettere in discussione le nostre reazioni irrazionali, iniziamo a riprendere il controllo della nostra vita.

· E di Effects. A differenza delle reazioni (conse-

quences) gli effetti derivano dalla nostra messa in discussione delle nostre credenze. Se spesso sentiamo di non avere il controllo sulle nostre reazioni, gli effetti, in quanto risultato di un processo di rielaborazione della nostra mente, sono pienamente sotto il nostro controllo.

Allenare la nostra resilienza significa dunque porsi continuamente una domanda di fronte agli accadimenti della vita: “Cosa c’è di buono in quello che sta succedendo?“, ovvero “Qual è il miglior significato che posso attribuire a quanto sta accadendo?” questa tecnica, se opportunamente applicata, ci consente di tirar fuori il meglio da ogni evento, calibrando le reazioni.

Dr.ssa Valeria Saladino psicologa

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IX EDIZIONE

TEATRO GRANDINETTI COMUNALE LAMEZIA TERME Sab 26 OTTOBRE Fita V Ed. Premio Bronzi

Gran Premio del Teatro Amatoriale Italiano NOVEMBRE Dom 3 | Sab 9 | Sab 16 | Sab 23 DICEMBRE Dom 1 | Sab 14 | Sab 28 GENNAIO Sab 4 | Sab 18 | Sab 25 FEBBRAIO Sab 1 | Sab 8 | Sab 22 MARZO Dom 1 | Sab 7 | Sab 21 Finale Sab 28 MARZO

Ven 14 FEBBRAIO Biagio Izzo TARTASSATI DALLE TASSE Ven 28 FEBBRAIO Cabaret FESTIVAL FACCE DA BRONZI Semifinale Nazionale

I Vacantusi LA CAMERIERA BRILLANTE Mer 6 NOVEMBRE Paolo Ruffini UP&DOWN

organizzato dall’Associazione Calabria dietro le quinte in collaborazione con I Vacantusi

Sab 7 DICEMBRE Sergio Cammariere

Sab 14 MARZO I Vacantusi Mar 31 MARZO Mummenschanz YOU&ME

in coproduzione con Fatti di Musica

Mar 21 GENNAIO Lello Arena MISERIA E NOBILTÀ

CON IL CONTRIBUTO DI:

Info e prevendite Segreteria Organizzativa C.so G. Nicotera, 237 Lamezia Terme 0968 23564 / 327 1310708 www.ivacantusi.com ivacantusi@gmail.com

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UNIONE EUROPEA

IN COLLABORAZIONE CON

REPUBBLICA ITALIANA

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LAMEZIA TERME

Vacantiandu è un progetto beneficiario del fondo PAC Calabria 2014/2020 Az. 1 Tip. B

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