lameziaenonsolo incontra mons. Giuseppe Schillaci

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IX EDIZIONE

TEATRO GRANDINETTI COMUNALE LAMEZIA TERME Sab 26 OTTOBRE Fita V Ed. Premio Bronzi

Gran Premio del Teatro Amatoriale Italiano NOVEMBRE Dom 3 | Sab 9 | Sab 16 | Sab 23 DICEMBRE Dom 1 | Sab 14 | Sab 28 GENNAIO Sab 4 | Sab 18 | Sab 25 FEBBRAIO Sab 1 | Sab 8 | Sab 22 MARZO Dom 1 | Sab 7 | Sab 21 Finale Sab 28 MARZO

Ven 14 FEBBRAIO Biagio Izzo TARTASSATI DALLE TASSE Ven 28 FEBBRAIO Cabaret FESTIVAL FACCE DA BRONZI Semifinale Nazionale

I Vacantusi LA CAMERIERA BRILLANTE Mer 6 NOVEMBRE Paolo Ruffini UP&DOWN

organizzato dall’Associazione Calabria dietro le quinte in collaborazione con I Vacantusi

Sab 7 DICEMBRE Sergio Cammariere

Sab 14 MARZO I Vacantusi Mar 31 MARZO Mummenschanz YOU&ME

in coproduzione con Fatti di Musica

Mar 21 GENNAIO Lello Arena MISERIA E NOBILTÀ

CON IL CONTRIBUTO DI:

Info e prevendite Segreteria Organizzativa C.so G. Nicotera, 237 Lamezia Terme 0968 23564 / 327 1310708 www.ivacantusi.com ivacantusi@gmail.com

UNIONE EUROPEA

IN COLLABORAZIONE CON

REPUBBLICA ITALIANA

REGIONE CALABRIA

CITTÀ DI LAMEZIA TERME

Vacantiandu è un progetto beneficiario del fondo PAC Calabria 2014/2020 Az. 1 Tip. B


lameziaenonsolo incontra

Mons. Giuseppe Schillaci di Salvatore D’Elia “A Lamezia sono a casa”. Così aveva concluso il suo primo saluto alla diocesi lametina al termine di quella grande celebrazione su un corso Numistrano pieno di gente, in un sabato pomeriggio di inizio luglio, consegnando alla città un’immagine che resterà nella storia e nei cuori di tanti lametini. Tanti fedeli, da tutta la diocesi di Lamezia, dalla Calabria e dalla Sicilia. Una marea umana che non è indistinta, ma ha i contorni ben definiti di una comunità. I volti di tante persone, di tante storie. Una Chiesa. Quella di Lamezia. Che monsignor Giuseppe Schillaci è stato chiamato a servire da Papa Francesco a maggio dello scorso anno. Sono passati oltre sei mesi dall’ordinazione episcopale presieduta dall’arcivescovo di Catania monsignor Salvatore Gristina. Mesi intensi di ascolto, cammino, apertura. “Mi mancano solo due o tre comunità parrocchiali da visitare”, ci dice al termine di una lunga giornata, dove molteplici come sempre sono stati gli incontri e i colloqui. Ma il pastore della Chiesa lametina ha ancora voglia di raccontare. Ritornare agli attimi e ai momenti di quella chiamata, di quell’annuncio. Ai giorni e alle settimane successivi. A un futuro che sicuramente sarà segnato da quel verbo che esprime il cuore del ministero di Giuseppe Schillaci: ascoltare, essere Chiesa in ascolto. Monsignor Schillaci, anzitutto grazie per la sua disponibilità al termine di una giornata intensa. Ritorniamo alla primavera dello scorso anno, ai primi momenti in cui ha iniziato a comprendere il progetto che il Signore aveva per lei Ero appena tornato da Adrano, dove ero stato con mia mamma e i miei familiari per alcuni giorni. Avevo lasciato mio fratello ed ero rientrato in seminario, a Catania. Avevo celebrato la messa dalle suore domenicane di San Sisto, comunità che ho accompagnato per dodici anni. Ero rientrato nel mio ufficio del seminario e avevo appena posato la borsa sulla scrivania. “Padre Giuseppe, c’è un monsignore da Roma al telefono”, mi dice il portiere chiamandomi al telefono interno del seminario. “Passamelo”. La voce al telefono: “monsignor Schillaci, c’è qualcuno con lei nella stanza?”. “No”, rispondo. “Lei ha poche ore per organizzarsi. Nei prossimi giorni dovrà venire qui a Roma”. Era il martedì di Pasqua. 23 Aprile. Dentro di me sentimenti di smarrimento, trepidazione, per una telefonata che ancora non svelava nulla di preciso. Eppure avvertivo che c’era di qualcosa di grande, un progetto grande. Subito sono andato in cappella a inginocchiarmi di fronte al Santissimo Sacramento per pregare. Tutte le chiamate nelle Scritture sono segnate da questi sentimenti: smarrimento, trepidazione, senso di inadeguatezza e al tempo stesso fiducia in Colui che ti ha chiamato a un progetto più grande. I giorni successivi? Per via del ponte del 25 aprile, il primo giorno utile per recarmi a Roma fu il 26 aprile. Un venerdì. Alle 9.30 del mattino ero già presso il Palazzo della Nunziatura. Ricevo ora “ufficialmente” la notizia. Una delle cose a cui pensavo, tra me e me, era una possibile

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nomina come vescovo ausiliare di qualche diocesi siciliana. Ma non mi aspettavo una nomina a vescovo. Ho trascorso l’intera giornata nella sede della Nunziatura. Appresa la notizia, sono andato nella cappella e ho celebrato l’Eucaristia, da solo. Dentro di me i sentimenti dei giorni precedenti, ovviamente ancor più forti: gioia, senso di inadeguatezza, responsabilità. E soprattutto era chiaro e forte l’invito del Signore a seguirlo più da vicino. Una volta rientrato in Sicilia? Qualcuno dei sacerdoti e delle persone a lei più vicine si è accorto di qualcosa? Ovviamente, come previsto dalle leggi della Chiesa, non ho comunicato nulla a nessuno nei giorni successivi. Ho cercato di proseguire, per quanto possibile, le mie attività ordinarie. Ho continuato a pregare, a interrogarmi, senza far trasparire nulla. Anche se qualcuno, col senno di poi, mi ha detto che già in quei

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giorni si era accorto che nell’aria c’era qualcosa di importante. Tra le tante reazioni all’annuncio di quel 3 maggio, quella più curiosa sicuramente è quella di sua mamma Lia Mamma non sapeva nulla, come tutti. Il 3 maggio alle 12 era venuta in episcopio accompagnata dai miei fratelli. Subito dopo l’annuncio da parte di monsignor Gristina, la prima reazione di mamma fu quel grande abbraccio che si vede bene nei video girati quel giorno. A pranzo, poche ore dopo, all’orecchio mi ha confidato di aver sognato quella stessa notte mio padre che aveva in mano un tappeto rosso. Nella sua semplicità, per mia mamma quel sogno era stato in qualche modo “anticipatore” della notizia che avrebbe ricevuto il giorno successivo.

La Chiesa catanese come ha accolto l’annuncio? Grande gioia, grande entusiasmo. In particolare nel seminario che mi ha visto per venticinque anni prima come vice rettore, poi come padre spirituale e negli ultimi 11 anni e mezzo come rettore. Ho colto nella nomina a vescovo un’attenzione del Santo Padre non solo verso la mia persona ma verso tutta la Chiesa di Catania, verso tutti i sacerdoti catanesi. Sono convinto che un prete non sia mai prete da solo, per se stesso, ma un prete è prete sempre insieme a tutti gli altri.

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La scelta dell’ordinazione episcopale qui a Lamezia e non nella “sua” Catania oppure nella città dove è nato e cresciuto, ad Adrano E’ stata una mia chiara e determinata volontà sin dal primo momento. Ricordo che nei giorni successivi all’annuncio ero andato a celebrare ad Adrano. E il parroco esprimeva il desiderio che l’ordinazione episcopale si svolgesse ad Adrano oppure a Catania. L’ho detto subito, davanti a tutti: “l’ordinazione episcopale sarà a Lamezia” Perché la mia sposa si chiama Lamezia. Sono stato chiamato qui. Ad Abramo, il Signore chiede di uscire dalla propria terra per andare dove Lui gli avrebbe indicato. Così è per ogni chiamata nella Chiesa. Io sono stato chiamato a Lamezia ed è qui che ho fortemente voluto da subito

si svolgesse l’ordinazione episcopale Che città e diocesi ha conosciuto in questi sei mesi di ministero? Ho quasi ultimato le visite alle parrocchie. Ho conosciuto in questi mesi una comunità viva, che ha delle potenzialità. Ho toccato con mano tanta generosità, tanto spirito di servizio, un entusiasmo straordinario Cosa si aspetta Lamezia dal suo Vescovo e cosa il vescovo si aspetta da Lamezia Lamezia si aspetta anzitutto un vescovo vicino, tra la gente, che condivida le fatiche e le gioie che vive questa comunità. Io mi

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a incarnare quello che annunciamo. Come cristiani occorre anzitutto che viviamo le parole che proclamiamo. Altrimenti non siamo credibili nella società.

aspetto una Chiesa che sia pronta ad ascoltare, ad accogliere, una Chiesa capace di mettersi a servizio e dei poveri e degli ultimi, di chi sta male I giovani sono sempre più lontani dalla Chiesa ed è difficile per la Chiesa intercettarli. Sono convinto che saranno i giovani a riavvicinare i giovani alla Chiesa. Per parlare ai giovani bisogna stare con loro, vivere con loro. Una Chiesa giovane è una Chiesa capace di ascoltare e attenta ai bisogni delle persone. Lamezia come tutta la Calabria vive grandi emergenze ormai da decenni: criminalità, disoccupazione, promesse di sviluppo rimaste solo promesse. La missione della Chiesa in questo contesto Rispetto a questi e ai tanti mali che affliggono la nostra terra, la Chiesa può e deve essere un segno profetico. Profezia è la capacità di dire le cose come stanno, senza lasciarsi imbrigliare da certe dinamiche di potere. La Chiesa è chiamata a cogliere ciò che è vero, buono, bello ed essere capace di incarnarlo e testimoniarlo. “Una Parola che si fa carne” è il messaggio che da poco ho scritto in occasione del Natale. Siamo chiamati

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L’ospedale e la sanità lametine sono al collasso Credo che Lamezia abbia bisogno di un presidio sanitario. La realtà è quella sotto gli occhi di tutti: chi sta bene, le persone economicamente più avvantaggiate non hanno problemi a trovare un ospedale, anche in capo al mondo. Ma occorre guardare la realtà con gli occhi di chi sta male, di chi non ce la fa. La sanità è uno dei diritti essenziali delle persone e prendersi cura di chi soffre è prerogativa di una società autenticamente civile. Programmi per l’anno che è appena iniziato Il “programma”, se così si può chiamare, è quello che mi sono posto sin dall’inizio del mio ministero: ascoltare. Ascoltare è uno stile di vita: non ci può essere capacità di annuncio vero se non c’è questa capacità di ascolto. Ascoltare la nostra gente. Spero di poterlo fare lungo l’arco di tutto il mio ministero qui a Lamezia Un augurio alla nostra diocesi per il nuovo anno L’augurio è quello che possiamo essere sempre più attenti gli uni agli altri, sempre più concordi e unanimi nel perseguire obiettivi che facciano crescere insieme tutta la nostra comunità, con un’ attenzione particolare ai più piccoli, ai poveri, a chi non ce la fa. Un impegno comune da parte di tutti: da parte della Chiesa, delle istituzioni pubbliche, di un’intera comunità. Desiderio che Lamezia diventi sempre più comunità. Fare spazio a una istanza di pace, benevolenza, serenità. Del resto è questo che l ’animo umano desidera. Ed è questo che desidero per questa comunità che sono stato chiamato a servire.

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associazionismo

Un Anthurium per Francesco

di Rosalba De Fazio

Il 2019 si chiude in positivo per l’associazione culturale “Un Anthurium per Francesco” che, il 28 dicembre scorso, ha dedicato la prima edizione dell’evento “Un Anthurium nel cuore” al cinquecentenario delle morte di Leonardo da Vinci attribuendo all’iniziativa il titolo “Arte e Scienza – Premiazione un Anthurium nel cuore”. «[…] L’appuntamento di oggi nasce dall’ambizione di proseguire un percorso iniziato più di 30 anni fa dal Centro Studi Anthurium che aveva come Presidente Francesco Ruberto, a cui è dedicato questo premio. Un percorso di valenza sociale e culturale, che ha caratterizzato la storia della nostra città e della Calabria […]. Con la costituzione dell’associazione culturale “Un Anthurium per Francesco” e la prima edizione del premio “Anthurium nel cuore” iniziamo un percorso che, nel solco della tradizione, vuole mantenere viva la memoria e accendere i riflettori sulle eccellenze della nostra terra». Con queste parole Giuditta Crupi, presidente dell’associazione costituita da appena pochi mesi, ma con già all’attivo una serie di iniziative realizzate e in corso d’opera, ha fatto gli onori di casa accogliendo i tanti che hanno riempito il salone “Giovanni Paolo II” dell’ex Seminario vescovile, nonostante l’arrivo del primo freddo di stagione e nonostante le varie altre iniziative organizzate in città quella stessa sera. In una cornice impreziosita dalle tele del giovane artista lametino Gennaro Lanzo e dalle composizioni floreali di “Tahiti fiori”, a rompere il ghiaccio è stato lo stesso Leonardo raccontato in un video introduttivo che ne ha riassunto vita e opere e

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le cui immagini sono state accompagnate dall’omonima poesia di Ines Pugliese letta da Gaetano Montalto. Il tema della serata è stato ripreso da Don Giancarlo Leone, parroco della parrocchia “Beata Maria Vergine Addolorata” di Lamezia Terme, che ha portato il saluto caloroso del Vescovo della Diocesi di Lamezia Terme Monsignor Giuseppe Schillaci, attraverso queste parole: «Questa iniziativa ha un titolo bellissimo “Arte e scienza” e Leonardo è stato colui che ha saputo fondere queste realtà. È stato un esempio perfetto di come l’arte e la scienza possano formare un sodalizio umano piuttosto che contrastarsi. Non si tratta solamente di unione di opposti, ma di qualcosa di molto più profondo. […] Leonardo diceva “la scienza è arte e l’arte è una scienza. Non si improvvisa, non si accontenta di qualunquistiche e superficiali approssimazioni, anzi, richiede un duro e sistematico lavoro”. L’evento a cui partecipiamo ambisce, quindi a premiare delle figure che non si sono accontentate di qualunquistiche e superficiali approssimazioni, ma ci hanno aiutato a cogliere questa armonia intrinseca fra arte e scienza». Ed è proprio con questi intenti e con questa ambizione, «[…] con la tenacia e l’intraprendenza di giovani professionisti», come ribadito dalla presidente, che si è inteso «riprendere un percorso che ha dato lustro alla nostra terra» attraverso l’assegnazione di premi e riconoscimenti da attribuire alle persone e alle associazioni che, con il loro impegno e la loro dedizione, contribuiscono a valorizzare gli aspetti storici, culturali, artistici della nostra terra. La scelta, inoltre di suddividere il premio

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“Un Anthurium nel Cuore” per sezioni: Arte; Scienza; Per la Calabria; Alla Memoria; Mozione Speciale, è stata finalizzata a valorizzare i diversi ambiti di quella cultura che, utilizzando le parole pronunciate da Mons. Giuseppe Fiorini Morosini «Occorre promuovere» perché «La cultura promuove l’umanizzazione dell’uomo». Monsignor Morosini, arcivescovo di Reggio – Bova, ha ricevuto durante la serata una menzione speciale per «Aver approfondito la spiritualità ed il messaggio di San Francesco di Paola, Santo fondatore dell’Ordine dei Minimi». A ritirare il riconoscimento è stato Padre Vincenzo Arzente. Sua Eccellenza, non presente in sala per motivi di salute, ha espresso il suo ringraziamento e porto i suoi saluti attraverso un videomessaggio di augurio affinché «il rilancio di questo premio possa tenere in piedi la memoria di Francesco Ruberto che è cara a tutti coloro che l’hanno conosciuto, ma possa, soprattutto, raggiungere quegli obiettivi culturali e di impegno sociale che il caro Francesco aveva davanti agli occhi quando ha iniziato tantissimi anni fa questo premio». Il premio “Un Anthurium nel Cuore - Sezione Arte” è andato alla professoressa Giovanna De Sensi Sestito, docente ordinario di Storia greca all’Università degli Studi della Calabria, che da sempre si occupa di storia politica e sociale e di tradizioni storiografiche riguardanti la Magna Graecia; il premio “Un Anthurium nel Cuore - Sezione Scienza”, è stato consegnato al dott. Eugenio Maria Mercuri, direttore dell’unità operativa del reparto di neuropsichiatria infantile del Policlinico Universitario “Ge-

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melli”, per il suo impegno nella ricerca sulle malattie neuromuscolari congenite, anche fuori dall’Italia. L’assegnazione del premio “Un Anthurium nel Cuore – Alla Memoria” ha dato l’occasione per ricordare l’architetto e docente di Storia dell’Arte presso il Liceo Classico Fiorentino di Lamezia Terme, Natale Proto. Il professor Proto ha avuto un ruolo fondamentale nel riconoscimento del valore della memoria e della cultura artistica del proprio territorio e ha contribuito alla realizzazione del Museo Diocesano ubicato nei locali stessi dell’ex seminario vescovile. A ritirare il premio è stata la moglie, la dott. ssa Maria Luigia Cimino. Il premio “Un Anthurium nel Cuore – Per la Calabria” è

Nel corso della serata e nel susseguirsi dei momenti dedicati alle assegnazioni dei riconoscimenti, tanti sono stati gli artisti e i professionisti che si sono alternati per donare ai presenti momenti di poesia, musica, lettura e spunti di riflessione. In particolare sono intervenuti la professoressa Anna Maria Caligiuri ed il dottor Francesco Palma che hanno letto alcuni passaggi dei loro romanzi, rispettivamente “Il quaderno blu”, edito da “Puntoacapo” e “Passato immortale”, edito da “Link Edizioni” Il maestro Michele De Fazio ha eseguito alla chitarra classica i brani di Augustin Barrios: “Un Sueño en la floresta” e “Julia Flordina”. Ospite dell’evento culturale è stata la

andato all’associazione Mistery Hunters di Cosenza, attiva nell’attività di divulgazione del patrimonio artistico-culturale calabrese e della sua promozione, il cui impegno e la cui passione hanno permesso di restituire merito e importanza all’unica copia dell’”Ultima Cena” leonardiana presente in Calabria.

performer musicale Chiara D’Andrea che, accompagnata dal chitarrista Francesco Giampà, si è esibita nei brani “Via degli Ulivi” e “Il Canto dei nuovi emigranti” di Franco Costabile e nei brani scritti da lei stessa “Sconfinando” e “Infinito”. Nel corso dell’evento, è stata avviata la campagna di tesseramento all’anno 2020 (di cui info e moduli sono disponibili sul sito internet dell’associazione https://unanthuriumperfrancesco.altervista.org/ alla sezione “documenti e moduli”) per contribuire alla crescita dell’associazione “Un Antrhurium per Francesco” e alla realizzazione di altre iniziative e sono stati proclamati i due soci onorari dottoressa e ricercatrice Amalia Bruni, direttrice del Centro di Neurogene-

Nel corso dell’evento si è svolta, inoltre, la premiazione del concorso fotografico #ContestArtLamezia organizzato in collaborazione con il canale Instagram “Igers Lamezia Terme” e incentrato sull’arte «in ogni sua forma presente sulla piana lametina». La giuria esaminatrice, presente in sala, ha decretato la vittoria della concorrente Maria Villella.

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tica di Lamezia Terme e Gaetano Montalto, conosciuto per il suo prezioso apporto sociale e culturale dato alla città di Lamezia Terme, oltre che come uno dei soci fondatori dell’associazione “Ragazzi in Gamba”. La cultura e l’arte legate al territorio sono stati gli elementi predominanti e presenti in ogni aspetto della serata. La loro presenza è stata nelle sculture dell’artista calabrese Antonio La Gamba, che ha contribuito nella realizzazione dei premi; nel logo del premio “Un Anthurium nel Cuore”, realizzato dall’artista Francesco Montesanti e ideato insieme ai soci fondatori e organizzatori dell’evento; nelle liquirizie donate

agli ospiti dall’azienda “Amarelli”, sponsor dell’evento insieme a tante altre aziende e associazioni menzionate durante la serata così come nel vino delle cantine “Davoli”. Con la prima edizione del premio “Un Anthurium nel cuore” l’associazione culturale “Un Anthurium per Francesco” conferma il suo intento di proseguire, con tenacia e costanza, in un percorso di innovazione, sempre nel rispetto e nella riscoperta della tradizione e dà appuntamento alla premiazione della prima edizione del concorso letterario “Anthurium nel cuore – in memoria di Francesco” dedicato alla memoria della professoressa Valeria Montalto.

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Spettacolo

Il Piemonte al Gran Premio Teatro Amatoriale Italiano con la commedia brillante “I ragazzi irresistibili” di Giovanna Villella Lamezia Terme, 1 dicembre 2019. Terzo appuntamento con la V edizione del Gran Premio Teatro Amatoriale Italiano che ha portato in scena, al Teatro Comunale Grandinetti di Lamezia Terme la Compagnia C’era l’Acca di Bellinzago Novarese (Piemonte) con lo spettacolo I ragazzi irresistibili di Neil Simon, regia di Toni Mazzara. La manifestazione, organizzata a livello nazionale dalla Federazione Italiana Teatro Amatori (FITA) e ospitata per la prima volta in Calabria, è inserita nella rassegna teatrale Vacantiandu 2019.2020 con la direzione artistica di Diego Ruiz e Nico Morelli e la direzione amministrativa di Walter Vasta. Lo spettacolo della compagnia piemontese ha offerto al pubblico una lettura molto fedele al testo originale. Tuttavia, la regia di Mazzara ha avuto la capacità di inserire non soltanto la travolgente comicità delle battute, ma anche una sottile arguzia psicologica, egregiamente sostenuta da tutti gli interpreti nell’equilibrio tra risate e malinconia. Nella commedia, i due protagonisti Willie e Al sono dei vecchi comici un tempo molto famosi che vengono convinti dal nipote di Willie, Ben, a riproporre un loro vecchio sketch. Willie, interpretato da un brillante e intemperante Filippo Spatola è cialtrone, smemorato, cinico e strafottente. Vive da solo in una stanza arredata, con vecchie foto attaccate alle pareti che diventano supporto necessario per richiamare alla memoria il sapore del tempo perduto. Al, nell’ottima interpretazione di Roberto Boggio, è evanescente, svagato, schizzinoso e ordinato. Due personalità e due caratteri in antitesi che lasciano affiorare tensioni inespresse e vecchi rancori mai sopiti. Il dialogo è spumeggiante, le battute intelligenti e spiritose ma c’è anche un sottofondo velato di profonda amarezza che si traduce, nel finale, in un affetto pudico mai dichiarato quando per entrambi si prepara il viaggio finale nel pianeta della vecchiaia. Sul palco anche un bravo Marco Bolazzi nel ruolo di Ben, inarrestabile nelle sue continue entrate e uscite, Erica Verzotti che interpreta Miss Golden, infermiera esuberante e sexy a cui fa da perfetto contraltare la professionalità di Odessa O’Neill ben delineata da Dilva Rossi e la voce fuori campo di Gino Cinotti. Lo spettacolo rivela un meccanismo scenico ben congegnato nei

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tempi e nei ritmi e propone anche una riflessione sul teatro e sul mestiere dell’attore dove i “due ragazzi irresistibili”, quasi specchiandosi l’uno nell’altro si raccontano e raccontano le loro memorie da palcoscenico tra perfidia e tenerezza con ricordi, aneddoti, personaggi ricorrenti, pettegolezzi e rivelazioni. La Compagnia C’era l’Acca di Bellinzago Novarese con I ragazzi irresistibili rappresenta il Piemonte, terza tra le 14 regioni italiane selezionate a partecipare alla V edizione del Gran Premio del Teatro Amatoriale Italiano. Nata nel 2008 come specializzazione della precedente associazione “c’era l’acca” fondata nel 1998 da Tazio Brusa (scomparso prematuramente nel 2005), è riconosciuta dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali Italiano e lavora essenzialmente alla creazione, promozione e diffusione del teatro popolare, del teatro di strada e della commedia dell’arte. La ricerca artistica della compagnia teatrale è indirizzata principalmente al teatro comico, in tutte le sue forme. In repertorio 26 spettacoli teatrali di vario genere presentati in diversi festival sia in Italia sia in Europa (Festival di Avignone, Festival de la Sorgue, Festival Font Arts di Pernes, Festival di Aurillac). Tra le sue attività annovera anche l’organizzazione e la realizzazione di eventi, manifestazioni, festival e spettacoli teatrali, laboratori e workshop, consulenze e collaborazioni artistiche, interventi sociali, culturali ed educativi. Lo spettacolo è stato valutato da una giuria composta da sette giurati con competenze specifiche a diverso titolo nel settore i quali, nel Gran Galà finale del 29 marzo 2020, assegneranno 8 premi: Miglior spettacolo, Miglior attore/attrice protagonista, Miglior attore/attrice non protagonista, Miglior allestimento, Miglior testo e Miglior regia. Al termine della rappresentazione, il consueto omaggio della tradizionale maschera, simbolo della rassegna Vacantiandu, ideata dal graphic designer Alessandro Cavaliere e realizzata dal maestro Raffaele Fresca, che il direttore artistico Nico Morelli e il direttore amministrativo Walter Vasta hanno consegnato alla compagnia.

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Spettacolo

AMA Calabria. Peppe Barra e Patrizio Trampetti o del teatro come nostalgia Lamezia Terme, 5 dicembre 2019. Ancora un grande appuntamento con la Stagione Teatrale organizzata da AMA Calabria al Teatro Comunale Grandinetti. In scena Peppe Barra e Patrizio Trampetti con I cavalli di Monsignor Perrelli di Peppe Barra e Lamberto Lambertini che firma anche la regia. La scena rosso porpora, firmata da Carlo De Marino, ricorda certa pittura barocca napoletana. I fondali dipinti ricreano il salotto/biblioteca del monsignore, sulle pareti ritratti di santi e di antenati e dalla finestra sul fondo, in trompe-l’oeil, il Vesuvio che fuma. Siamo a Napoli verso la fine del Settecento e gli inizi dell‘Ottocento e questa divertente farsa in musica, tra storia e folklore, appartiene ad un teatro antico, dal sapore nostalgico, come sospeso nel tempo. Nel perimetro scenico si consuma il rapporto quotidiano tra Monsignor Perrelli, ecclesiastico e sedicente scienziato, realmente vissuto all’epoca di Ferdinando IV di Borbone, e la sua perpetua Meneca, popolana scaltra e linguacciuta. Patrizio Trampetti disegna un Monsignor Perrelli in punta di matita con sfumature mimiche stilizzate, rigide, marionettistiche quasi. Candido fino all’angelismo riesce comunque a far emergere anche l’altro volto tartufesco di malcelata supponenza, infarcendo la sua lingua di citazioni in “latinorum”. Vestito in redingote, ammanta la sua sublime vacuità accademica di dignità statuaria con pose che rammentano certi busti marmorei. Evanescente, lunare e smemorato, conserva lo stupore del bambino e la follia dello scienziato/ filosofo che disserta sul nulla dando sfogo alla fantasia più sfrenata perché il suo pensiero abita lo spazio concluso della sua casa. Le sofferenza, la fame, la violenza sono allocate altrove e le sue reazioni improvvise non ammettono repliche

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quando Meneca, con rozza schiettezza, osa mettere in dubbio le sue convinzioni. Peppe Barra si presenta in proscenio in abito da camerino con uno specchio da trucco e, da superbo cantore dell’anima napoletana, propone il suo Core a core, malinconica ballata sul mestiere dell’attore che funge da prologo in musica alla pièce e rinnova l’eterno patto di “finzione” con il pubblico. Poi entra in scena en travesti nello straordinario personaggio di Meneca. Imboccolato come una bambola d’altri tempi, la parrucca corvina esalta la mobilità del suo volto/maschera. Gli occhi disillusi, ma anche maternamente inteneriti, ammiccano al pubblico coinvolgendolo in esilaranti siparietti sull’arte culinaria in cui il doppio senso, condotto con

mestiere e maestria, è sempre allusivo e mai liberato, spia di una castigatezza non sostanziale ma formale. Il timbro vocalico spazia dal falsetto al gutturale e la sua risata è piena, sonora, contagiosa. Infagottato in un castigato abito nero, con uno scialletto bianco ricamato come unica nota di civetteria, con il suo vociare e il suo vorticante gesticolare, domina la

scena come un’ape regina dispensando miele e veleno. Il suo modo di esprimersi, tra dialettale e analfabetico, è la risposta popolare alla saccenteria dell’uomo di chiesa e al linguaggio aulico dei pedanti. Ma la distanza sociale tra il monsignore e la sua perpetua si annulla in quella dimensione affettiva che esalta la maternità putativa di Meneca e che si sostanzia nel sottofinale con quella struggente ninna nanna funebre. Meneca lo cura, lo coccola, lo sgrida, lo nutre cercando di placare la sua voracità fanciullesca con le sue ricette che non sono solo il trionfo della cucina napoletana ma sono soprattutto “ricette d’amore”, atte a colmare quel vulnus affettivo scandito da intermezzi onirici durante i quali i genitori di Monsignor Perrelli si materiano sulla scena come fantasmi in un sogno. “Care presenze” interpretate da due bravissimi cantanti/attori, Luigi Bignone ed Enrico Vicinanza che, con impeccabile lirismo obbediente a moduli fissati in un consumato esercizio scenico, innestano nella pièce siparietti canori interpretando alcuni dei testi più belli del repertorio melodico partenopeo Funtana all’ombra, Mmiez’o grano, La luna nova con quella luna di carta che appare, luminosa, all’improvviso, L’amore è un pizzicore, Presentimento. Le musiche di Giorgio Mellone e di Patrizio Trampetti modulate su arie settecentesche e i costumi pittorici di Annalisa Giacci arricchiscono questa farsa in musica abilmente strutturata dove il gioco scenico diventa l’antagonista della comicità sublimandosi nel gesto finale di Barra/Meneca che, seduto sulla poltrona di Monsignore, si toglie la parrucca del personaggio e riprende la maschera dolente del prologo iniziale. Lo spettacolo è finito.

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Buio. Applausi fragorosi.

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Rubrica di Antonio Saffioti totosaff@gmail.com

GIORNATA DELLA MEMORIA 2020 La START FC, la squadra di calcio che vinse la di Antonio Saffioti PARTITA DELLA MORTE Quest’anno, il 27 gennaio, Giorno della Memoria per le vittime dell’Olocausto, riveste un ruolo ancora più importante, poiché nei nostri tempi, purtroppo caratterizzati, da rigurgiti fascisti striscianti e nuovi nazismi, occorre rinfrescare la memoria storica, per evitare che la storia ci RI travolga tutti, in un vortice di odio e indifferenza. Per questo voglio parlarvi di: resistenza, calcio epico, anti-nazi-fascismo e di eroi che hanno sfidato la morte, cercando di cambiare la realtà. La Start FC fu una squadra di calcio nota per aver partecipato alla cosiddetta partita della morte il 9 agosto 1942. Nella primavera del 1942, Iosif Ivanovič Kordik, ex combattente per l’impero austro-ungarico, e Nikolai Trusevich, portiere della Dinamo Kiev, fondarono la squadra, con sede a Kiev, con l’intento di partecipare al campionato cittadino organizzato dalle truppe di Hitler in seguito all’occupazione della capitale ucraina. Le vicende della Start FC sono state presto interpretate come simbolo di eroismo e di resistenza al regime nazista e col tempo sono state mitizzate al fine di sollevare gli animi della popolazione ucraina che viveva nella miseria e nella sofferenza dell’occupazione. I nazisti invasero l’Ucraina il 22 giugno 1941, inizio dell’Operazione Barbarossa e la città di Kiev fu bombardata dal primo giorno dell’invasione fino al 19 settembre 1941. I tedeschi fecero più di seicentomila prigionieri e nella notte tra il 29 e il 30 settembre circa 34 mila ebrei furono fucilati dai soldati nazisti, nei pressi di Babi Yar. I giocatori della Dinamo, la squadra principale della città di Kiev, furono internati nel campo di detenzione della Darnica. Tra i giocatori era particolarmente famoso Trusevich, portiere della Dinamo Kiev. Trusevich e altri giocatori come lui dovettero firmare una dichiarazione di lealtà al regime nazista per tornare nella città di Kiev, mentre le loro famiglie si trovavano a Odessa, occupata dall’esercito romeno e dalle truppe tedesche. Iosif Ivanovič Kordik, un ceco della Moravia, riuscì a sfruttare la sua conoscenza della lingua tedesca per ritagliarsi uno spazio privilegiato nella società ucraina suddivisa in classi dai tedeschi. Infatti, facendosi passare per austriaco, venne riconosciuto come cittadino di provenienza tedesca che si trovava già nella città di Kiev prima dell’occupazione. In questo modo era in grado gestire attività e divenne dirigente dell’importante panificio della città. Kordik riconobbe in un bar il portiere della Dinamo Kiev grazie alla cicatrice sul volto, che si era procurato in uno scontro di gioco, nonostante fosse in precarie condizioni fisiche e fosse vestito con vesti strappate. Kordik era un grande appassionato di sport e grande

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ammiratore del portiere per le sue imprese con la Dinamo perciò lo invitò a pranzo e gli propose di lavorare per lui nel suo panificio. A Trusevich non era più concesso intraprendere il suo vecchio lavoro, che alternava al calcio, essendo nemico del Terzo Reich, perciò il portiere accettò di lavorare per Kordik. L’intento di Kordik era quello di aiutare il portiere e altri giocatori come lui, fornendo loro un letto, del cibo e protezione, per quanto possibile, dai soprusi nazisti. Trusevich si mise subito in contatto con gli ex compagni della Dinamo Kiev, grazie al suo

carisma; incontrò il difensore Sviridovskiy e il centravanti Kuzmenko e insieme radunarono gli altri compagni e tre giocatori, Sucharjev, Balakin e Melnik, della Lokomotyv Kiev, la seconda squadra della capitale. Nella primavera del 1942 la squadra aveva i giocatori sufficienti per disputare una partita di calcio. Nel frattempo Kiev cercava di resistere all’occupazione tedesca. I tedeschi pensarono di piegare lo spirito fiero degli ucraini affidandosi alla propaganda e al calcio, organizzando un vero e proprio torneo. La stagione calcistica avrebbe avuto inizio il 7 giugno 1942 e avrebbe visto la partecipazione di sei squadre, che rappresentavano le forze di occupazione: una guarnigione ungherese, la divisione romena, una selezione di soldati semplici tedeschi, la rappresentanza degli ufficiali magiari, una squadra di collaborazionisti ucraini e la Flakelf, una squadra composta dai migliori atleti e ufficiali nazisti. A queste squadre si aggiunse la Start, ma i giocatori erano denutriti, non erano allenati, non avevano delle divise adeguate

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né tanto meno delle scarpe da calcio, eccetto Goncharenko che custodiva gelosamente i suoi scarpini. La Start FC, venne subito iscritta al campionato. Fu nominato capitano Trusevich, il portiere, noto per la sua agilità e per il suo stile di parata spettacolare. Ad affiancarlo nelle decisioni era Putistin, veterano della squadra che vinse l’argento nel Campionato Sovietico del 1936. Sviridovskiy, colonna della Dinamo di dieci anni prima, divenne l’allenatore della Start: tornò a indossare gli scarpini, posizionandosi in difesa insieme a Tyutchev ed al veloce Klimenko, terzino minuto, ma arcigno. A centrocampo si attestò Nikolai Korotkikh, personaggio calcistico di second’ordine; però l’attacco della Start era formato da Melnik affiancato da Kuzmenko, che vantava una buona presenza fisica e un tiro potente e preciso. Goncharenko, basso e compatto, ma allo stesso tempo veloce e talentuoso, possedeva visione di gioco e classe, oltre all’abilità di servire i compagni in maniera precisa e di sfruttare ogni spiraglio di porta che offrisse la possibilità di segnare. Putistin e Trusevich trovarono in un magazzino delle divise con cui disputare il campionato, di colore rosso. Nonostante i massacranti turni di lavoro al panificio, la scarsa alimentazione e la precaria condizione fisica, il 7 giugno la Start iniziò il proprio campionato giocando allo Stadio della Repubblica contro la Ruch, una squadra appoggiata dal movimento nazionalista ucraino anti-sovietico e filo-tedesco. Risultato: 7-2 per la Start. La cosa fece un po’ troppo rumore, e i tedeschi ordinarono di far giocare le altre partite in un impianto più piccolo, lo stadio Zenit (attuale stadio Start). Lo Zenit fu inaugurato con una vittoria 6-2 sulla squadra ungherese, seguita pochi giorni dopo da un perentorio 11-0 ai danni della rappresentativa rumena. Le vittorie della Start iniziarono a significare molto per la popolazione di Kiev: per molti furono un’ispirazione a resistere, uno sprone a tenere alto il morale, un appiglio per non lasciarsi schiacciare dai tedeschi. Il 17 luglio la Start incontrò per la prima volta una squadra tedesca, la PGS, vincendo con un pesante 6-0, mentre un’altra squadra ungherese, l’MGS Wal, perse 5-1 due giorni più tardi. La rivincita dell’incontro con l’MGS Wal, organizzata dai tedeschi, finì 3-2: la Start stava diventando un simbolo della resistenza di Kiev. I comandi militari decisero quindi di mandare a giocare a Kiev il Flakelf, la più forte squadra militare tedesca di stanza in Ucraina, formata da militari e considerata invincibile. Il risultato del 6 agosto fu un’altra volta una larga vittoria della Start: il Flakelf fu sconfitto 5-1, In sette partite, 43 goal fatti e solo 8 subiti. Intanto a Kiev, la Start iniziò a diventare

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argomento di conversazione e un numero sempre maggiore di persone cominciò a tifare per questa piccola squadra. Anche i giocatori ungheresi e romeni simpatizzarono per la Start, nonostante fossero alleati dei tedeschi in guerra. Per la popolazione ucraina le partite della Start erano invece molto importanti perché mantenevano alto il morale dei cittadini ed erano interpretate come simboli di resistenza all’oppressione. L’ultima occasione per piegare la Kiev calcistica sarebbe stata il 9 agosto: rinforzando la squadra con alcuni tra i migliori calciatori dell’esercito tedesco impiegati sul fronte ucraino, i tedeschi organizzarono la rivincita. La partita venne annunciata con una grande campagna pubblicitaria, manifesti vennero affissi su tutta la città ed i giornali pubblicarono articoli che elogiavano la forza del Flakelf. Prima della partita un arbitro tedesco fece il suo ingresso nello spogliatoio della Start, intimando ai giocatori di fare il saluto nazista. Dopo il saluto dei tedeschi, però, i giocatori della Start fecero il saluto che era di costume nello sport sovietico: «Fitzcult Hurà!», «Viva la cultura fisica». Le gradinate dello stadio erano piene di soldati in uniforme e con diverse armi. In un piccolo settore vi erano ucraini, vecchi, donne e bambini. I tedeschi ci diedero dentro da subito e senza mezzi termini, con un gioco violento e provocatorio. I falli dei tedeschi venivano regolarmente ignorati dal direttore di gara, quelli degli ucraini erano segnalati tutti. Un’azione dalla dubbia regolarità, un palese fuorigioco e un calcio in testa al portiere, che lo fece rimanere alcuni minuti a terra stordito, permisero ai tedeschi di passare in vantaggio. Ma in meno di venti minuti i giocatori della Start segnarono tre volte. Il primo goal lo fece Kuzmenko da trenta metri di distanza, su punizione. Poi, una doppietta di Goncharenko (con il primo goal frutto di una serpentina in area e il secondo con una mezza rovesciata) portò la propria squadra sul 3-1. Durante l’intervallo, un ufficiale delle SS entrò nello spogliatoio della Start e dopo essersi complimentato con i ragazzi di Kordik disse: “Siamo veramente impressionati dalla vostra abilità calcistica e abbiamo ammirato

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il vostro gioco del primo tempo. Ora però dovete capire che non potete sperare di vincere. Prima di tornare in campo, prendetevi un minuto per pensare alle conseguenze”. La Start rientrò in campo pensando alle parole sentite all’intervallo e in poco tempo subì due reti. I giocatori si guardarono e capirono che giocare a calcio e vincere di fronte ai propri tifosi avrebbe dato loro la speranza di resistere e così decisero di giocare alla loro maniera: la Start tornò in vantaggio e fissò il risultato sul 5-3. Il difensore Klimenko poco prima del fischio finale dribblò la difesa del Flakelf, compreso il loro portiere, ma invece di buttare la palla in rete spazzò il pallone il più lontano possibile, verso il centro del campo, evitando la sesta marcatura. Al termine della partita, i giocatori ucraini si resero conto di aver firmato la propria condanna a morte. Questa partita verrà poi tramandata come la partita della morte. La squadra fondata da Kordik giocò un’ultima amichevole contro la Ruch umiliandola per 8 a 0. Poche settimane più tardi i giocatori della Start cominciano ad essere arrestati. Il primo ad essere portato via fu Korotkikh: fu arrestato il 6 settembre, e morì dopo venti giorni di tortura nel quartier generale della Gestapo. Anche gli altri giocatori subirono le torture della Gestapo, prima di essere deportati nel campo di concentramento di Syrec, poco fuori Kiev. Goncharenko e Sviridovskiy riuscirono invece a fuggire insieme, poco più di un anno dopo l’arresto. Komarov divenne alleato dei tedeschi pur di uscire dal campo. Kuzmenko, Klimenko e il capitano Trusevich, furono fucilati il 24 febbraio 1943, condannati per aver tentato di incendiare il campo; Trusevich, mentre la guardia apriva il fuoco, urlò: «Krasny sport ne umriot!», «Lo sport rosso non morirà mai!». Altri giocatori furono assegnati a gruppi di lavoro. La Start FC non aveva particolari simboli. Unico simbolo era il colore delle magliette: il rosso infatti significava la resistenza all’oppressione nazista. Per paura di essere accusati come collaborazionisti dei tedeschi, avendo giocato in un campionato insieme a loro, i giocatori sopravvissuti non fecero una parola della partita contro la Flakelf; solo dopo la morte di Stalin, si sentì parlare nuovamente della Start FC e delle loro gesta, grazie anche a Goncharenko,

che aiutò a ricostruire i fatti avvenuti nell’estate del 1942, tramite un’intervista del 1992. Questa storia, ha ispirato ben 5 film, quasi uguali, ma diversi tra loro: DUE TEMPI ALL’INFERNO (1961): è un film di Zoltán Fábri prodotto in Ungheria nel 1961, nel quale i prigionieri di un campo ungherese dovranno giocare contro una rappresentativa dell’esercito tedesco in occasione del compleanno di Hitler. IL TERZO TEMPO (1962): è un film di Evgenij Karelov nel quale dei prigionieri russi ex calciatori vengono scelti per giocare una partita di calcio contro i tedeschi: in ballo c’è l’onore del popolo russo sottomesso e l’orgoglio del popolo tedesco invasore. FUGA PER LA VITTORIA (1981): è un film di John Huston prodotto negli USA nel 1981 con uno straordinario cast: Pelè, Sylvester Stallone, Michael Caine, Bobby Moore, Ardiles. Ambientato in un campo di prigionia tedesco, dove viene formata una squadra di prigionieri che dovrà giocare contro una formazione tedesca nella città di Parigi occupata. Il lieto fine dell’opera cinematografica non corrisponde a quanto realmente accadde. MATCH (2012): di Andrey Malyukov, il film, con il montaggio del Premio Oscar italiano Gabriella Cristiani, unisce i temi della guerra con uno sguardo sulla Kiev prima e dopo i conflitti della Seconda Guerra Mondiale e il massacro degli ebrei di Babij Yar, con altri più leggeri. DYNAMO (2014): basato su un libro dello scozzese Andy Dougan, con l’attore Gerard Butler. Lo “Stadio della Repubblica” (attuale Stadio Olimpico di Kiev) ospitò la Start FC per la partita d’esordio la squadra fu poi trasferita allo Stadio Zenit. Il nome attuale dello stadio è Start Stadium, in onore della squadra di Kiev. Nella città di Kiev ci sono ben tre monumenti che ricordano le imprese della Start FC. Il primo si trova allo Stadio Dynamo Lobanovs’kyj di Kiev ed è composto da una scultura in pietra (1971), opera di Ivan Horovyj, che raffigura quattro giocatori deceduti ed è accompagnata da una poesia di Stefan Olyjnyk: “Per il nostro presente, sono morti nella lotta, la vostra gloria non si spegnerà, eroi, atleti senza paura”. Il secondo invece rappresenta un quadrato nero spezzato da un pallone ed è situato nel luogo in cui si trovava il campo di concentramento di Syrec. Il terzo monumento è stato inaugurato nel 1981 davanti allo Stadio Start e rappresenta un calciatore che con una spada uccide un’aquila. Alla base della statua invece si trova la frase “A uno che se lo merita”. Leggenda o verità? Poco importa. Film, Stadi e Monumenti sono lì a testimoniare l’impresa della Start FC. Vinse il torneo da imbattuta, ma andò oltre. Perché rappresentò il desiderio di libertà di un intero popolo. Sfidando i potenti e il nazismo. E vincendo la paura della morte.

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Sergio Cammariere, Spettacolo

la musica che parla alla mente e al cuore

di Giovanna Villella

Lamezia Terme, 7 dicembre 2019, Teatro Grandinetti. Unico concerto in Calabria quello di Sergio Cammariere accompagnato dalla sua band e organizzato da Fatti di Musica di Ruggero Pegna, giunto alla sua 33° edizione, e dalla rassegna teatrale Vacantiandu con la direzione artistica di Diego Ruiz e Nico Morelli e la direzione amministrativa di Walter Vasta. Un teatro gremito saluta il cantautore calabrese, visibilmente emozionato, che dà vita ad un concerto raffinato e denso di seduzione. Un viaggio tra vecchi successi e nuovi brani contenuti nel suo ultimo album La fine di tutti i guai, un titolo di buon auspicio che lancia un messaggio di speranza. Lontano da quel vezzo interpretativo diffuso, fatto di esibizionismo rauco e prepotente, Cammariere propone una esecuzione narrativa, confortata da un timbro e da un tratto vocale naturalmente votati al linguaggio poetico e musicale mentre la sua band distilla aperture jazzate, ritmi blues, melodie pop, sonorità latino-americane. Cammariere e il suo pianoforte. Le mani impongono il loro ritmo e le sue dita - come forze fisiche separate - si muovono agili, nervose e meditabonde, la sua voce è piana, intima, familiare eppure ben percepibile, sottilmente insinuante, carsica quasi, e forse per questo ti rimane incollata al cuore. I suoi musicisti storici Amedeo Ariano (batteria), Luca Bulgarelli (contrabbasso), Bruno Marcozzi (percussioni) e Daniele Tittarelli (sax), con le loro esecuzioni, riescono a creare architetture armoniche, ritmiche e melodiche evocanti atmosfere rarefatte e suggestive che esaltano i testi scritti da Sergio Cammariere e da Roberto Kunstler. Perché Cammariere e Kunstler sono “fabbricatori di poesia” e la loro rappresentazione del mondo è percepibile nel precario, fragile, improvviso accostamento di qualità, di contaminazioni inusitate, di scarti, di urti tra le parole. È questa la paziente genesi della creazione per la quale occorre sensibilità, tecnica, gusto, addestramento alla “parola” mentre si aggrega o si disgrega in linguaggio e i loro testi, pur conservando una apparente immediatezza, richiedono una misura e un taglio di modulata prorompenza sonora in grado di mantenere inalterata la pag. 12

carica metamusicale presente tra le righe. Così, questo racconto in musica che dà corpo ai sentimenti della nostalgia, della lontananza, dell’ansia d’amore e di pace si apre con un brano del 2004 Oggi in cui un mood emotivo e notturno prefigura il desiderio di un amore salvifico. Ritmo sostenuto e incursioni jazz per Nessuna è come te, sempre del 2004, dove la solitudine solipsistica relegata in “un angolo di tempo” si risolve ancora nell’amore. L’intensa e sensuale lirica Ma stanotte dimmi dove stai apre la carrellata dei nuovi brani contenuti nel suo ultimo album prima che un inconveniente tecnico, prontamente risolto, apra un simpatico siparietto che vede Cammariere scendere in platea e concedersi generosamente ai suoi fans tra selfie, abbracci e applausi. L’ironia e il vivace swing di Cantautore piccolino precedono il diretto coinvolgimento del pubblico che intona Sorella mia. Poi la dimensione onirica de Le porte del sogno, un brano legato alla paura della solitudine e ai dubbi che l’amore può generare. Ancora la necessità dell’amore nella melodica e malinconica L’amore non si spiega che trova la naturale continuazione nel brano lento Per ricordarmi di te, elegia intristita in cui si dispiega una interazione privilegiata con l’Assente. Amore universale ne La fine di tutti i guai, sorta di manifesto poetico dove l’amore diventa antidoto contro la solitudine, il disagio, il dolore, il senso di mancanza nell’attesa consapevole - e non alienante - di un mondo migliore. Bellissimo il video della canzone

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firmato da Cosimo Damiano Damato, omaggio alla bellezza di Roma e ai grandi personaggi che hanno lasciato la loro impronta nella Storia. L’ariosità jazz di Tempo perduto incornicia i versi della canzone in una dimensione da comte philosophique mentre Padre della notte, cantata nella Sala Nervi del Vaticano, è una preghiera laica in cui il bisogno vivificante del divino sancisce il legame tra cielo e terra. Il ritmo percussivo andaluso nell’incipit di Mano nella mano è seguito dall’ansia di andare Via da questo mare e L’assetto dell’airone celebra il sentimento panico della natura che si esprime attraverso la liquida coltre delle parole come “Acqua che nasce dall’acqua che muore”. L’amore ritorna in Tutto quello che un uomo, terza classificata a Sanremo 2003 e vincitrice del Premio della Critica e del Premio Migliore Composizione Musicale. La canzone che ha cambiato la sua vita, un brano profondo ed emotivamente coinvolgente che viene riproposto invitando il pubblico a cantare dal secondo inciso fino alla fine. In chiusura Dalla pace del mare lontano, un inno alla fratellanza tra i popoli e alla pace del cuore dove il “battello che arriva/seguito da barche e gabbiani” è metafora di quegli uomini e di quelle cose che galleggiano sull’acqua come sugheri alla deriva sotto l’occhio stranito di qualche divinità. Doppio bis con Viali di cristallo e Sorella mia, in omaggio alla sorella Daniela seduta in prima fila. Standing ovation finale e consegna da parte di Nico Morelli, direttore artistico di Vacantiandu, della tradizionale maschera simbolo della rassegna teatrale. Prima dello spettacolo il saluto istituzionale da parte del Sindaco Paolo Mascaro e degli assessori Giorgia Gargano (Cultura) e Luisa Vaccaro (Sport e Spettacolo), invitati sul palcoscenico da Ruggero Pegna e da Nico Morelli. L’abbraccio fraterno tra Pegna e Mascaro, avversari nel ballottaggio per la corsa a sindaco della città ma amici da sempre, sembra sancire “la fine di tutti i guai” per una comunità ostaggio di un commissariamento nefasto. Lamezia ringrazia e applaude. Lamezia e non solo


Spettacolo

Vacantiandu. Successo per lo spettacolo “Come si rapina una banca” della Compagnia Quinta Scenica al Grandinetti di Lamezia Terme di Giovanna Villella

Lamezia Terme, 14 dicembre. Bel successo per lo spettacolo in vernacolo cosentino Come si rapina una banca di Samy Fayad, regia di Alessandro Chiappetta portato in scena dalla Compagnia Quinta Scenica di Castrolibero (Cosenza) nell’ambito della rassegna Vacantiandu 2019.2020 con la direzione artistica di Diego Ruiz e Nico Morelli e la direzione amministrativa di Walter Vasta. L’adattamento scenico di Alessandro Chiappetta, preservando l’impianto del testo originale, ci restituisce una commedia divertente e surreale attraversata da quella vaga indolenza che caratterizza il dialetto cosentino. La scenografia “mutante”, ideata da Aldo Curcio, ricrea visivamente l’indigenza della famiglia Capece protagonista della pièce per poi trasformarsi, nel secondo atto, nell’elegante e funzionale ufficio del direttore di una banca. Così, nel primo atto, l’aspetto “sgarrupato” di quell’unico ambiente che funge da cucina e da camera da letto, con le “reste” d’aglio e le collane di peperoncino appese alla parete, rivela una forte matrice identitaria. E sono la miseria vera e la fame eterna i temi centrali della commedia attorno a cui si innestano gli altri bisogni che il capofamiglia Agostino, su suggerimento del figlio, cerca di soddisfare organizzando una rapina in banca. L’andamento narrativo segue un ritmo quotidiano e facilmente riconoscibile. Regina (una brava Daniela Aragona) è la moglie/ madre della tradizione che deve badare alla casa e alla famiglia. Il padre Agostino (un convincente Alessandro Chiappetta) è il prototipo del maschio medio con i suoi piccoli orgogli, le sue debolezze e i sogni mai realizzati. Nullafacente, in qualche modo ha ceduto lo scettro del capofamiglia al figlio Tonino (ben caratterizzato da Fabio Contino) il quale deve procacciare il cibo per tutti mentre la figlia Giuliana (una vivace Alessandra Bianchi), incinta, è in “trattative” col padre del bambino nella speranza di un futuro migliore e il nonno Gaspare (un arzillo e burbero Aldo Curcio) è il patriarca senza più potere. Una famiglia sui generis, divisa tra tradizione e modernità nella quale si

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insinua l’inconsolabile vedova Altavilla, una gattara vociante e svitata ben interpretata da Maddalena Molinaro, premio FITA Bronzi di Riace 2019 come Miglior attrice caratterista. L’ultimo atto introduce il direttore di banca, un distinto signore di mezza età (ottimamente reso da Fulvio Stoja) che si rivelerà poi essere l’uomo della provvidenza, il personaggio chiave che risolverà l’intera vicenda. Accanto a lui un vecchio cameriere un po’ svagato a cui Nino Muoio conferisce un tocco cabarettistico. La commedia tutta giocata, in apparenza, sulla corda della leggerezza secondo i canoni classici della comicità popolare, mostra poi un inaspettato spessore attraverso una serie di rimandi incrociati a tematiche quali la famiglia, l’amore, la maternità, la vecchiaia ma anche il legittimo desiderio di benessere e la ricerca della felicità. Nata nel 2013 a Castrolibero, la Compagnia Quinta Scenica annovera nel proprio repertorio spettacoli appartenenti alla tradizione teatrale italiana e a quella popolare cosentina. Tra gli autori rappresentati Pirandello, Goldoni, Erba, Feydeau e Wilde. Dal 2015 organizza la rassegna “MaMa Teatro” che si svolge ogni estate all’anfiteatro di Marano Marchesato (Cosenza). Ha ottenuto molte nomination nelle edizioni 2015/2016/2017/2018 del Premio FITA Bronzi di Riace vincendo per due volte il Premio Miglior attrice protagonista a Maria Morabito nel 2015 per lo spettacolo “Gli Innamorati” di Goldoni e a Tiziana Migliano nel 2018 per “Margarita e il Gallo” di Edoardo Erba. Nel 2015, lo spettacolo Gli Innamorati ha vinto anche il Premio Ausonia come Miglior attrice protagonista (Maria Morabito) e Miglior attrice caratterista (Emanuela Gaudio). Al termine dello spettacolo il consueto omaggio della tradizionale maschera, simbolo della rassegna Vacantiandu, ideata dal graphic designer Alessandro Cavaliere e realizzata dal maestro Raffaele Fresca, che il direttore artistico Nico Morelli e il direttore amministrativo Walter Vasta hanno consegnato ad Alessandro Chiappetta.

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Il nostro territorio

L’immediato dopoguerra in Calabria: La Repubblica Rossadi Caulonia. Mons. Antonio Lanza, estensore della “Lettera collettiva” dei vescovi meridionali

di Giuseppe Sestito

In alcuni territori calabresi il fenomeno della occupazione delle terre, di cui ho trattato nel precedente articolo pubblicato su “Lameziaenonsolo” dello scorso mese di giugno, tralignò trasformandosi in forme di rivolta anarcoide che con le rivendicazioni sociali nulla avevano a che fare. Basta por mente alle 5 giornate della cosiddetta “Repubblica rossa di Caulonia” dove l’insegnante elementare Pasquale Cavallaro, una specie di Masaniello in salsa calabrese, visionario e millenarista, militante comunista, creato sindaco di Caulonia nel 1944 dal prefetto di Reggio Calabria, Priolo, (a questa carica non si accedeva ancora tramite elezioni amministrative) si era messo alla testa di una sollevazione popolare che reclamava “la terra a chi la lavora”. Sostenuto dapprincipio dal partito comunista locale e provinciale, era stato in grado di eccitare a tal punto le masse da creare una vera e propria rivolta la cui fase di maggiore tensione durò dal 5 al 9 marzo 1945. Durante quei giorni venne “proclamata” appunto la cosiddetta “Repubblica popolare di Caulonia” con l’istituzione di un “esercito popolare” con compiti di difesa (non si capiva bene da chi bisognasse difendersi) e di “tribunali del popolo” che amministrassero la giustizia (per giudicare non si sapeva quali reati, sulla base di quali codici, e commessi non si compreva bene da quali imputati). A quel punto, però, la “Repubblica di Caulonia” venne abbandonata al suo destino anche dal Partito comunista, che ben presto si era reso conto che quanto stava verificandosi nella cittadina regina apparteneva alle più pericolose forme delle utopiche ed incontrollate insurrezioni popolari che erano in totale conflitto con il progetto politico dei comunisti, nel cui seno andava prendendo corpo una “via italiana al socialismo”, che prevedeva l’allargamento delle alleanze con alcuni partiti borghesi (i cattolici della Dc in primis) e quindi la possibilità per il partito comunista di conquistare il potere non con la lotta armata (come invece prevedeva la strategia di Secchia ed altri dirigenti stalinisti) bensì attraverso il democratico e legale metodo pag. 14

parlamentare [lo stesso Togliatti aveva qualificato come “volgari provocazioni” le azioni del sindaco comunista Cavallaro]. Isolata politicamente ed assediata da un imponente dispiegamento di forze dell’ordine, la rivolta di Caulonia si estinse miseramente, lasciando però sul terreno un morto e cioè il parroco di Caulonia stessa, don Gennaro Amato. Per questo delitto sarebbe stato accusato quale mandante il medesimo Pasquale Cavallaro. Successivamente si tennero

i processi nei quali molti di coloro che avevano partecipato all’avventurosa sommossa furono incriminati e condannati dal tribunale di Locri con l’imputazione di “costituzione di bande armate, estorsione, violenza a privati, usurpazione di pubblico impiego, omicidio ecc.”. Nel clima di lotte e tensioni, di scontri e di disagio morale e materiale di cui era satura la società meridionale, con rovine, miserie e lutti disseminati dappertutto, accadde – sorgendo dal seno del Sud più profondo, la Calabria – un fatto nuovo ed imprevisto: gli arcivescovi ed i vescovi dell’Italia meridionale sottoscrissero una “Lettera collettiva” avente per oggetto “I problemi GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

del Mezzogiorno” attraverso la quale prendevano pubblicamente posizione sulle condizioni in cui versavano le regioni del Sud sia dal punto di vista religioso ed etico che materiale. Era la prima volta che ciò succedeva ed era la prima volta che i Pastori delle chiese delle regioni più emarginate, povere e deprivate dell’Italia intervenivano per far sentire la voce della Chiesa sulle questioni sociali di quella vasta area della Nazione. L’ideatore ed estensore diretto e materiale della Lettera collettiva era stato mons. Antonio Lanza, il colto e intraprendente arcivescovo di Reggio Calabria. Il quale, dopo averla redatta, l’aveva sottoposta all’approvazione e sottoscrizione degli altri confratelli arcivescovi e vescovi. La lettera, pubblicata il 25 gennaio 1948, domenica di Settuagesima, come ho ricordato nel precedente articolo, non ebbe purtroppo la fortuna che avrebbe meritato. Non tutti i vescovi del Meridione vollero firmarla. “Nessun vescovo della Sicilia, per esempio, la firmò per l’opposizione – come ha scritto lo storico Pietro Borzomati – dell’arcivescovo di Palermo, card. Ruffini”. “La stampa, così Borzomati, compresa quella d’ispirazione cattolica, dedicò alla lettera solo brevi commenti”. Ma, chi era questo giovane, coraggioso e colto prelato che aveva concepito con spirito tanto moderno, per quei temi, la lettera formulandola in modo altrettanto profetico? Chi era mons. Antonio Lanza? Arcivescovo di Reggio Calabria e vescovo di Bova era nato a Castiglione Cosentino (Cosenza) il 18 marzo 1905. In seguito al decesso dell’arcivescovo metropolita di Reggio, Enrico Montalbetti, morto durante un bombardamento alleato a Melito Porto Salvo, venne nominato vescovo, a soli 38 anni, il 12 maggio 1943 e consacrato il 29 giugno dello stesso anno. A 22 anni, il 16 aprile 1927, era stato ordinato sacerdote e, subito dopo, aveva cominciato ad insegnare a Roma presso l’Università Lateranenze. Fu Presidente della Conferenza Episcopale Calabra, “carica che gli consentì di promuovere una costante ed importante azione collettiva dell’episcopato regionale a favore del Sud. La sua azione pastorale contribuì Lamezia e non solo


allo sviluppo della formazione cristiana e della vita spirituale della Calabria”. Fu autore, tra l’altro, di “Ricostruzione della famiglia: saggi e studi”, 1943; “Attualità del Cristianesimo”, 1944; “La vita rurale nel Vangelo”, Relazione che tenne alla XXI Settimana Sociale dei Cattolici che si svolse a Roma dal 21 al 28 settembre del 1947; “Pio XII, il Pontefice della Persona umana”, 1950. Nel 1947 fondò il settimanale L’Avvenire di Calabria, che si pubblica ancora oggi. Dopo appena sette anni di episcopato, a soli 43 anni, il 23 giugno 1950, morì, improvvisamente, a Reggio Calabria. Il cardinale Pietro Palazzini, che di Lanza fu discepolo, avrebbe più tardi ricordato che “alla base del servizio episcopale dell’arcivescovo sta zelo intelligente, instancabile ed operosità pastorale”. A proposito della Lettera collettiva del 1948, il medesimo cardinale annota che “il documento [….] impegnò l’episcopato meridionale in una precisa presa di posizione anticipatrice, orientatrice, stimolatrice della politica meridionalistica dei governi democratici della Repubblica” e “rilevò quanto in mons. Antonio Lanza fossero chiari i problemi sociali [….], quanto fossero chiari alla sua coscienza e alla sua intelligenza i reali problemi della società meridionale”.

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In effetti, la Lettera collettiva, non solo risultava moderna nell’analisi dei mali del Mezzogiorno ed innovativa rispetto alle auspicate soluzioni dei problemi della “specifica” realtà della società meridionale di “quel tempo”, ma entrava in sintonia e si riallacciava, nei suoi contenuti più profondi, ma anche nello stile e nella impostazione formale, ai documenti sociali pontifici che fino a quel momento erano stati prodotti dal Magistero ecclesiale ed avevano dato vita al primo nucleo della Dottrina Sociale della Chiesa: la lettera enciclica “Rerum novarum” (sulla condizione operaia) di Leone XIII del 1891; la “Quadragesimo anno” di Pio XI del 1931 (emanata nel quarantesimo anniversario della Rerum novarum); il “Radiomessaggio di

Pentecoste” di Pio XII del 1941 (diffuso nel cinquantesimo anniversario della R.N.). Alla lettera collettiva lanziana avrebbero, successivamente, fatto riferimento sia il documento della Conferenza Episcopale Italiana del 18 ottobre 1989 specificatamente riferito alle problematiche dell’arretratezza del Mezzogiorno: “Chiesa italiana e Mezzogiorno: sviluppo nella solidarietà”, che il successivo, più recente, convegno sul Mezzogiorno promosso dal cardinale Crescenzio Sepe e dai vescovi delle regioni meridionali, “Chiesa nel Sud, Chiese del Sud. Nel futuro da credenti responsabili” tenutosi a Napoli nei giorni 12-13 febbraio 2009.

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I Meridiani: Voci calabresi in serie e parallelo

Antonio Iacopetta:

di Francesco Polopoli

oltre la critica la sua Arte

Antonio Iacopetta (1942-2017) oltre che critico letterario è stato anche pittore e finissimo poeta. Il suo primo volume risale al 1981, Giorgio Caproni – Miti e poesia, Roma, Bonacci, nell’“L’Ippogrifo”, diretto da Aulo Greco: sempre con lo stesso editore e nella stessa collana seguono successivamente: Sandro Penna – Il fanciullo con lo specchio, 1983; Attilio Bertolucci – Lo specchio e la perdita, 1985 e, infine, Costanti e varianti nella poesia italiana del Novecento, 1988, opera per la quale riceve il “Premio per la critica”, a Tagliacozzo, da una giuria presieduta da Mario Scotti. Collaboratore delle riviste Rendiconti, Studium, Humanitas, Il lettore di provincia, (editato dal gruppo Longo di Ravenna, con cui pubblica, nel 1994, Sereni oltre la soglia e, nel 1997, Pasolini – L’enfasi e la messa in rilievo). Del 1998 è la sua prima silloge poetica: L’ultima riva, La Modernissima, Lamezia Terme, e quasi in contemporanea esce il volume: Marinetti, profeta del nuovo, per il quale riceve il Premio Pizzo per la saggistica d’arte. Ultimi i lavori Minimalmente, Passigli Editore, Firenze, 2015, Reticoli, una nuova raccolta di poesie per Le edizioni Lapisma di Roma (2016) e Molecole della Talos Ed.-Collana Tamiri (2017). Inedita e copiosa una mole significativa di illustrazioni, il cui riordino da parte della figlia Barca è tuttora in corso d’opera. Credo sia difficile scandire un profilo umano di questo nostro pregevole concittadino: senza tema di smentita penso che il giudizio più fedele sia quello di un carissimo amico dell’autore, Luigi Saladino, le cui parole vibrano ancora di un pathos tragicamente sincero perché profondo: “Caro amico di una vita ti ho voluto un gran bene e quando Luigi Pelle, Aristide Caruso, Mario Vigliarolo e Pino Maugeri, mi hanno comunicato e poi ripetuto per conferma la ferale notizia, ho sentito un grande brivido di freddo per la schiena. Incredibile per me quanto avevo ascoltato, avevo sentito la tua voce al cellulare pochi giorni addietro e mi avevi detto che stavi meglio e per questo motivo mi ero rasserenato ed avevo comunicato con soddisfazione il tuo stato di salute a quanti mi stavano vicino. Sono coperto da un manto di tristezza e come me, di certo, tutti gli amici e gli estimatori che ti conoscevano. Non è più un grande Lametino, la persona che meglio ha contribuito a dar lustro alla Città con i suoi scritti sempre significativi e fortemente motivati dallo sviluppo e dalle tappe della sua profonda e maturata cultura. Tonino Jacopetta, come studioso, non ha mai avuto tregua, è stato un grande conoscitore delle Letterature italiana ed europea e si è distinto anche per aver approfondito la figura del sambiasino Franco Costabile, senza tralasciare i suoi lavori sul Futurismo e sul nicastrese Marasco. Ma ha scritto un libro di Memorie sulla sua cara e amata madre, ricco di notazioni personali, capaci di far intendere la sua umana sensibilità. Tonino Jacopetta era anche un fine intenditore di politica e uno stimatissimo giornalista e la sua penna graffiava alquanto, quando si rendeva conto che le cose non andavano come avrebbe voluto: dava suggerimenti e consigli ed era stato scelto dall’Amministrazione uscente come componente per la celebrazione del 50° anniversario della nascita di Lamezia Terme. So che stava lavorando ad un suo intervento critico e pag. 16

costruttivo, come era solito fare. A mio avviso Tonino era una delle intelligenze più lucide di Lamezia e se qualcuno – come è auspicabile- per esempio si prenderà la briga di raccogliere i suoi ultimi scritti sul “Lametino” si potrà rendere conto della qualità della sua scrittura e della sua lungimiranza. Nella sua attività, sempre volta a scoprire rapporti associativi vari di stile e contenuti, collocati nei differenti contesti storico-culturali va tenuta presente anche una lunga fase dedicata alla pittura, infatti ha rielaborato in maniera originale e significativa sia Rotella, sia il Futurismo di Marinetti, sia la pittura delle avanguardie americane degli anni Sessanta del Novecento. Poco tempo addietro Tonino Jacopetta, che è stato anche emerito Docente di Letteratura italiana e poi Dirigente scolastico, ha pubblicato, di seguito, due volumi sul “Minimalismo”, presentati presso la Libreria Tavella della Città: conservo le foto di quelle sere e soprattutto ho ricordo vivo del suo modo colloquiale e semplice di intrattenersi con gli amici come con il grande pubblico del Teatro Umberto. Assai caro per me Tonino, abbiamo trascorso una vita insieme ed era festa reciproca ogni volta che ci si vedeva; si ragionava di tutto ed era un vero piacere per me, ogni volta, apprendere qualcosa di nuovo dalle sue riflessioni. Conservo, appeso ad una parete del mio studio, un ritratto di sua mano che ritenne di dovermi donare, a sorpresa, nel 2007: si tratta di un pezzo di carta di nessun valore ma c’è una scritta ironicamente significativa e sfottente su di me: “Ritratto ideale”! Infatti mi disegnò con i capelli”. Ora, trasferendo il discorso sull’aspetto prettamente artistico dello scrittore, non posso che far emergere delle brevi considerazioni su questo uomo che mi va di definire, motivandolo nel seguito delle mie riflessioni, pioneristico nel panorama storico-letterario del nostro Sud. Sicuramente Iacopetta è congedato cursoriamente come il critico di Franco Costabile o come colui che ci ha fatto accostare alla poetica della voce meridiana più rappresentativa dell’Ermetismo calabrese. Senza il diaframma rappresentato dai suoi studi probabilmente, anzi, senza alcun margine di dubbio, non avremmo nemmeno considerato quel piccolo grande componimento de La rosa nel bicchiere, cara a Giuseppe Ungaretti, che ne riprodusse l’immagine floreale in quell’epigrafe singolarissima, che ben conosce chi va a visitare il tumulo sambiasino dell’uomovate del rione Miraglia. Tuttavia non va trascurata la sfera artistica del professore Iacopetta, che ha agito autonomamente, pur interagendo con il suo sguardo di lettore e di critico letterario. Leggendo Molecole, per esempio, ho potuto constatare non solo la sua originalità ma anche un fare avanguardistico di ricerca poetica. Detto per inciso che il titolo dell’opera rimanda ad un’espressione d’uso di Pietro Ardito, di cui lo scrivente ha avuto la possibilità di proporre questa ipotesi, collazionando i testi dell’uno e dell’altro, non posso non riconoscergli il merito di aver dato dignità letteraria (e per giunta citandoli nel loro nome di battesimo, senza tabuizzarli) agli haiku o haikai, di cui il volume, che rimando alla benevola lettura di quanti saranno interessati, è densamente infarcito. Una precisazione: l’haiku, componimento di tre versi, non è moda degli

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Sport

Premiato il tecnico della ASD fisiodinamic

Organizzato dal Comitato Regionale Calabria della Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali, nei giorni scorsi si è svolto il consueto corso di aggiornamento per gli Istruttori abilitati all’insegnamento del Metodo Globale di Autodifesa. L’allenamento è stato diretto dal nostro illustre conterraneo, Maestro Enzo Failla, Presidente della Commissione Nazionale MGA FIJLKAM, coadiuvato dal Maestro Antonio Ruberto,

Docente Nazionale e responsabile del metodo federale per la nostra regione. Nel corso dello stage è stato premiato con un attestato di benemerenza l’Istruttore tecnico Antonio Ciliberto, valente Tecnico che opera da molti anni nel nostro territorio con grande successo e ottimi risultati. L’Istruttore Ciliberto è Tecnico della Società Fisiodinamic, diretta dal Maestro Luigi Nicotera e dalla Prof.ssa Lina Ferraro .Sotto la direzione tecnica del

ultimissimi anni, mi va di precisarlo, pur nello spazio ristretto di questa modestissima trattazione. Dal 1920 al 1921 l’Università di Napoli pubblica, infatti, una rivista, Sakura, sullo studio della cultura giapponese, con la collaborazione del letterato giapponese Harukichi Shimoi, che diverrà frequentatore e amico di Gabriele D’Annunzio. Già da allora questi brevissimi pensieri iniziavano a colonizzane le mode liriche dei salotti letterari. Nel 1921 sulla rivista La Ronda compare, invece, una feroce filippica su queste produzioni che si stavano diffondendo in Francia e in Spagna, a differenza del plauso ad esse tributato da parte dei nostri Futuristi, come del resto era prevedibile nel loro orientamento anticlassicista. Facile immaginare la loro liquidazione per il peso dell’autorità, per quanto, sotto mentite spoglie, gli haiku siano passati a noi attraverso l’espressione di versicoli, come è accaduto proprio durante l’Ermetismo: «Cammina cammina/ho ritrovato/il pozzo d’amore»

(G. Ungaretti) Iacopetta, al contrario, esce dal solco del tabu, chiamandoli nella loro lingua originale, haiku, punto e basta: vado a caccia di storie / da niente, solo vicende / minime di minima gente; appena cessata la pioggia / affreschi bizzarri / sulla strada; non fa rumore, arriva sempre / in punta di piedi /il dolore; la luna si apposta solissima tra le antenne /di alti e maestosi edifici, per citarne alcuni. Una curiosità metrica mi va di spendere al riguardo: al di là della presentazione libera delle sue microliriche, non solo il nostro intellettuale lametino si slega dal canone orientale del numero di versi previsti per ogni rigo di poesia, ma sconfina pure in tagli ed aggiunte che in alcuni casi rendono gli haiku Lamezia e non solo

Antonio Ciliberto

Maestro Failla. Numerosi i partecipanti presenti nella Palestra Marconi, sede della storica Società Sportiva Accademia Arti Marziali Lamezia 1974. Gli Insegnanti provenienti da tutta la regione, hanno seguito con grande interesse lo stage a cui lo stesso Ciliberto ha preso parte. Grande soddisfazione e orgoglio, quindi, per lui che ha dichiarato la sua ferma volontà nel proseguire la nuova strada di studio delle discipline di combattimento federali.

o dei distici, cioè versi catalettici, o delle quartine, cioè v. ipermetri. Un altro merito che tributo a questo finissimo poeta è anche quello di averci partecipato un universo di idee ed emozioni in un uni-verso particolarissimo, cioè verso di una sola riga: / il viaggio comincia sempre con fervore /; /l’orante la mano immobile prima di segnarsi/; /i primi rumori del giorno arrivano sempre smorzati /; in realtà più che vivere ci si limita a rinviare di continuo. In questo credo sia stato il primo in assoluto a condensare un’idea o una suggestione in un solo spazio orizzontale. E la Mattina ungarettiana, potreste chiedere, non è altrettanto breve? Beh, intanto chiarisco, che questa è una riduzione di una strofa pensata a cinque battute parallele: Quanto al contesto, poi, era il 26 gennaio 1917 quando il fante Giuseppe Ungaretti, durante un turno di riposo a Santa Maria la Longa, vicino a Palmanova, scriveva una cartolina all’amico Giovanni Papini. Unita ad essa una poesia: «Cielo e mare» (M’illumino/ d’immenso/ con un breve/ moto/ di sguardo), quella che poi sarebbe diventata la celeberrima «Mattina». Iacopetta, sul solco di questa luminosa e numinosa tradizione, ridotta ai minimi essenziali, per vezzo artistico, per scelta, cioè, seguitò questa semplificazione fino a diventare, a mio parere, il minimalista dei massimi sistemi del mondo: il tutto…paucis verbis, con poche cose, per capirci! Forse è per questa ragione che si è occupato della parte figurativa in mezzo a tantissime sudate carte (disegnate), che si son venute via via accumulando nel tempo: l’esteriorizzazione dell’interiore (si dice dell’arte), per natura, è sub-vocalizzata, cioè espressa sottovoce, come l’anima discreta con cui si è lasciato accompagnare fino alla notte ultima di San Silvestro.

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La nosta storia

Un gigante di pietra addormentato: il Castello di Nicastro di Matteo Scalise Sono da quasi mille anni “in piedi” quelle che ormai sono le poche mura che ricordano la presenza di un Castello, in cima allo storico quartiere di san Teodoro di Nicastro, oggi Lamezia Terme, che quotidianamente nel transitare il centro cittadino abbiamo modo di notare. Ne vogliamo raccontare brevemente la sua lunghissima storia. Una prima forma di fortificazione di tipo militare comparve già fra l’VIII e il IX secolo, ad opera dei Bizantini, i quali favorirono l’insediamento di zone interne della nostra Calabria in quanto abitare le coste era ormai divenuto impossibile a causa delle scorribande dei Barbari prima e degli Arabi in seguito. Ma la prima attestazione certa della presenza del Castello si ha con i Normanni, i quali oltre a renderlo più funzionale ad una struttura di tipo militare, favorirono in contemporanea anche la fondazione della Abbazia benedettina di sant’Eufemia. In questo periodo dimorò nel maniero nicastrese il papa Callisto II, sceso in Calabria per riappacificare da diatribe politiche i germani normanni Guglielmo e Ruggero. Anche con gli Svevi (1195 – 1266) il Castello di Nicastro divenne un centro militare e politico di grossa importanza, poiché da Nicastro si doveva per forza transitare per raggiungere verso sud Reggio Calabria e verso nord Cosenza, oltre che fu proprio nel castello di Nicastro che nel 1195 fu siglato il diploma che autorizzava Gioacchino da Fiore a fondare il suo Ordine florense. Ma il massimo dello splendore e di importanza il castello lo ebbe con l’imperatore Federico II di Svevia (1194 1250) il quale lo rese sede della tesoreria reale per ciò che riguardava la tassazione della Calabria e della Sicilia Orientale, oltre che luogo da lui prediletto per dimorarvi più volte durante l’anno per poter cacciare nei boschi dell’attuale fondo Carrà, ove fece edificare un Palatium di cui oggi resta solo il toponimo. In conseguenza di ciò amò così tanto Nicastro da svincolarla una parte di essa, Castello incluso, dalla giurisdizione dei benedettini di Sant’Eufemia e renderla proprietà del Demanio. Nel 1231 il Castello divenne una prigione poiché vi fu rinchiuso il figlio ribelle di Federico II, Enrico VII di Germania, poiché aveva cospirato contro l’autorità imperiale paterna. Troverà la morte cadendo da cavallo mentre veniva trasferito nelle segrete del castello di Martirano. Con l’avvento degli Angioini di Francia (1266 – 1441) il Castello fu ridato alla giurisdizione dell’Abbazia di sant’Eufemia, e subì un radicale restauro per pag. 18

ordine di Carlo I d’Angiò. Con gli Aragonesi di Spagna (1442 – 1734) Nicastro accolse in pompa magna il ritorno dalle guerre tunisine dell’Imperatore Carlo V (5 novembre 1535). Dal 1564, nell’ambito di una radicale politica da parte degli spagnoli di creazione di opere militari sulle coste del regno napoletano al fine di difenderle dalle incursioni saracene, il Castello di Nicastro fu strutturato in maniera di essere un efficiente presidio di controllo della costa lametina assieme alle erigende torri costiere e del Bastione di Malta. Così con questa scelta “bellica” di utilizzo del castello, da questo momento si ebbe una doppia natura funzionale della struttura, cioè sia sede istituzionale dei signori feudali (i Caracciolo, signori di Nicastro dal XV al XVIII secolo e in seguito i d’Aquino dal XVII al principio del XIX secolo) che presidio militare. Intanto al peso del tempo si unirono anche gli eventi calamitosi a segnare la decadenza del maniero. Parzialmente danneggiato dal terremoto del 1609, quello devastante del 1638 lo rese quasi un rudero, tant’è vi trovò la morte il principe Cesare d’Aquino. Dal 1638 all’altro devastante terremoto avvenuto nel 1783 il Castello non fu più adibito a privata abitazione ma solo come carcere cittadino. Dopo il 1783 il Castello divenne praticamente un rudero, tant’è che nel 1799 l’ultima feudataria di Nicastro, donna Vincenzina D’Aquino Pico lo vendette al nobile nicastrese don Ivone Spada. Nel XIX e XX secolo la proprietà passò prima alla famiglia Francica di Vibo Valentia, poi ai Froggio e dal 1943 ai Furci. Il suolo esterno è ormai da decenni occupato da molte abitazioni private abusive. Nonostante nel 1939 il Castello fu annoverato con legge a monumento nazionale, solo a fine anni Novanta l’amministrazione Comunale di Lamezia Terme del tempo lo acquistò per renderlo bene culturale pubblico, interessandosi di farlo restaurare e di creare una rete per una fruizione di tipo culturale e turistico. Purtroppo a causa di ritardi di natura burocratica, della mancanza di serie e sistematiche politiche di valorizzazione, oltre che alla luce delle attuali norme della mancanza degli standard minimi di sicurezza per accedervi, da alcuni anni il Castello è praticamente chiuso al pubblico, preda del degrado e dell’incuria più totale. I lametini auspicano da tempo che gli sia ridata la possibilità di rivivere appieno il loro Castello, uno dei simboli più evocativi della cittadina calabrese.

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associazionismo Il Centro di Servizi Sociali per Minori del Ministero della Giustizia

“Elvira Bruno D’Andrea”

di Filippo D’Andrea Il Centro di Servizi Sociali per Minori del Ministero della Giustizia è stato inaugurato ufficialmente a Lamezia Terme nel 2008. Lo stesso è stato intitolato al Elvira Bruno D’Andrea, responsabile, fino alla sua morte, dell’Ufficio di Mediazione Penale della Giustizia Minorile di Catanzaro, ma le Istituzioni non lo hanno ancora avviato e reso operativo. Il presidio ministeriale nel territorio lametino avrebbe potuto e potrebbe offrire un servizio di riferimento per i minori adolescenti fino alla maggiore età, supportandoli nel disagio comportamentale ed a rischio di ulteriore emarginazione sociale. Il Ministero della Giustizia, con prontezza ed intenzione etica, ha scelto l’intitolazione ad una sua dirigente prematuramente scomparsa come riconoscimento della sua intuizione e dell’impegno profuso per la realizzazione del Centro. L’inaugurazione è avvenuta cinque mesi dopo la sua dipartita. Nella lettera della Direzione Generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari del Dipartimento della Giustizia Minorile viene scritto: “La dedizione al lavoro e all’impegno sociale, la profonda partecipazione alle situazioni più controverse, l’affermazione della qualità morali hanno fatto di Elvira costante esempio di abnegazione e altruismo. (…) E’ imperativo per noi, pertanto, affidare e consegnare alla società una testimonianza tangibile del suo straordinario impegno intitolandole il nuovo Centro di Servizi Sociali per i Minori della Giustizia di Lamezia Terme”. Firmata dal direttore generale dottoressa Serenella Pesarin ed indirizzata al coniuge prof. Filippo D’Andrea e per conoscenza al C.G.M. all’U.S.S.M. ed al C.P.A. di Catanzaro (Prot. 38696 del 3.12.2008). A seguito dell’evento, la stampa ne ha dato notevole risalto: La Gazzetta del Sud del 25.10.2008 col titolo “Disagio minorile, aperta in via Gronchi un nuovo sportello del ministero”; ma anche l’1 novembre 2008 con un profilo: “Ad Elvira Bruno D’Andrea l’intestazione del nuovo ufficio”, ed a maggio l’articolo d’informazione dal titolo “Il Cgm della Calabria piange la perdita

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di un valido funzionario”. Anche CalabriaOra il 30.10.208 ha scritto con un altro profilo dal titolo “Elvira, una vita per i minori. All’educatrice Bruno D’Andrea intitolata la nuova sede lametina del Ministero”. Il Quotidiano del Sud interviene a Novembre con “Servizio sociale minori. Inaugurato la struttura”. Nel sito Sambiase.com viene pubblicato un lungo profilo dal titolo “Elvira Bruno D’Andrea. Una vita sofferente donata alla famiglia ed ai “ragazzi fuori”. Su Il Lametino nel numero di novembre 2008, altro articolo ampio: “Elvira Bruno D’Andrea. Il suo impegno a favore dei minori a rischio. Intitolato a lei il Centro ministeriale dei servizi sociali minorili”. Elvira è stata inserita nell’opera in due volumi sulla presenza delle donne nella vita lametina del’900 dal titolo “Tracce nel tempo” pubblicato dall’Amministrazione Comunale Commissione Pari Opportunità di Lamezia Terme: “Elvira Bruno D’Andrea. Una donna per la famiglia ed i giovani a rischio”. Infine è tra le otto biografie lametine nel libro “Sotto il Cielo di Calabria. Memoria di futuro di otto personalità lametine” (Editoriale Progetto 2000) di Filippo D’Andrea. In conclusione, si vuole riproporre la realizzazione concreta di questo Centro cogliendo la preoccupazione della comunità del lametino in merito al disagio vissuto dagli adolescenti, che bene è stato colto dalla dottoressa Elvira Bruno D’Andrea operando come funzionario ministeriale nel mondo difficile e complesso delle nuove generazioni dagli anni ’80 fino al 2008, per sei lustri. Il momento storico-politico si presenta favorevole ad aprire un dibattito fattivo sull’avvio del Centro, a seguito del rinnovo del Governo, della prossima elezione del Consiglio Regionale, della Giunta Comunale di Lamezia Terme appena insediata, del nuovo e valente vescovo della Diocesi. Solo dando vita ad una sinergia che affianchi il Ministero della Giustizia, è possibile trovare una soluzione condivisa per il bene della comunità lametina e dei suoi giovani.

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associazionismo

Una anticipazione di “ Ali sul Mediterraneo” edizione 2020 Grande entusiasmo e bella partecipazione a S. Pietro a Maida per la Presentazione della 7° edizione del Premio Internazionale “Ali sul Mediterraneo” Libri & Cultura Festival già patrocinata da numerose istituzioni nazionali ed internazionali . Un a serie di tappe che fa della rivoluzione culturale la sua instancabile bandiera. Ali sul Mediterraneo è ormai uno dei più forti e significativi eventi del Sud Italia che in soli sette ha coinvolto numerosi comuni del Sud Italia e non solo. La cerimonia è stata aperta dal poliedrico Nico Serratore coordinatore dell’evento e dalla stilista Cristina Medaglia direttrice artistica dell’evento con i saluti e il forte incoraggiamento del sindaco di San Pietro a Maida e del sindaco di Jacurso. Oltre i confermati degli anni precedenti la commissione scientifico-culturale ha aperto le porte a nuove personalità della cultura come: l’imprenditore ed escursionista Massimiliano Capalbo, del meridionalista e già vincitore di “Ali sul Mediterraneo Bruno Iorfida, dello sceneggiatore e drammaturgo Saverio Tavano, dell’architetto Pasquale

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Falvo, l’editore Nella Fragale, del medico Giuseppe Arena e dei docenti Patrizia Cittadino, Angela De Sando, Monica Fazio. I vari interventi si sono centrati sulla valorizzazione umana e territoriale, sul problema della disoccupazione giovanile e sull’emergenza spopolamento borghi e Ali sul Mediterraneo proverà a dare utili suggerimenti e nuove prospettive. La commissione diventa così il “motore” culturale della kermesse composta da un mix di dirigenti scolastici, docenti, giornalisti, istituzioni, imprenditori, mondo dell’ associazionismo e operatori culturali che hanno a cuore il potenziale e il “Valore Calabria” in tutti i suoi aspetti. Oltre a dare le linee guida della 7 edizione creando un programma coerente, la commissione dovrà fare ricerca, analizzare e individuare i finalisti del Premio “Ali sul Mediterraneo che dovranno essere ispirazione, motivazione, simbolo e ponte con le nuove generazioni e con gli studenti di un intero Sud Italia che nel frattempo laveranno al concorso di Arte e scrittura creativa “ Alessandra Medaglia”. Alla fine, affermati e studenti si incontreranno al Gran Galà della Cultura ricco di forti significati culturali e di coraggiosa speranza per una terra dalle infinite potenzialità non sufficientemente valorizzate e conosciute. La serata è stata allietata dai volontari, i cosiddetti Angeli della cultura che supportano l’evento in tutte le sue fasi. Erano presenti stand di libri e degustazione del famoso olio evo Marco De Sando di San Pietro a Maida.

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#allascopertadelcentrostorico

Passeggiando con Dorian alla scoperta di Sambiase

di Giovanni Mazzei

Un’occasione per mettere al centro di tutto il cuore storico di Sambiase, con le sue chiese, la sua architettura, le leggende, la storia e gli aneddoti. Far sì che il borgo di Sambiase non sia solamente uno spazio scenografico dove imbastire manifestazioni e sagre che poco o nulla hanno a che spartire con la nostra tradizione, ma che emerga con tutte le sue particolarità e con il suo carico di storia e vita. Questo è stato l’obiettivo, pienamente raggiunto, dall’evento “Passeggiando con Dorian… Alla scoperta del centro storico di Sambiase”, tenutosi lo scorso 3 gennaio e organizzato dal movimento culturale “Dorian – la cultura rende giovani”. Un inizio d’anno all’insegna della cultura e della riscoperta delle proprie radici, per rinforzare quell’ancestrale legame che indissolubilmente ci tiene sempre ancorati alla nostra terra. Il nutrito gruppo di partecipanti, fra i quali spicca la presenza degli assessori Bambara, Gargano e Vaccaro, è stato scortato alla scoperta di Sambiase, in un tour che ha saputo valorizzare quanto di visibile il borgo offre come l’arte sacra delle svariate chiese o la tipica architettura dei vagli, ma ha anche saputo raccontare quanto di Sambiase non sia più visibile come l’antica chiesa di San Rocco o le ricostruzioni storicoarcheologiche dei periodi magnogreci e bizantini. A guidare il gruppo in questo percorso di riscoperta e valorizzazione è stata un’equipe di giovani e giovanissimi, tutti under 30, alcuni alla loro prima esperienza sociale, coesi nella convinzione di dover valorizzare la propria terra, mettendo servizio di essa i propri studi e le proprie competenze. Matteo Scalise, dottore in scienze storiche, il quale ha analizzato vari aspetti della storia della Chiesa, approfondendo le figure storiche dei più noti Fiorentino e Nicotera ma anche di altri personaggi troppe volte snobbati dalle rivisitazioni locali, come: Giovanni Renda, ultimo sindaco di Sambiase e don Pasquale Luzzo, oltre a realizzare un toccante ricordo dei netturbini Tramonte e Cristiano uccisi innanzi la chiesa dell’Addolorata. Presenza di spicco è stata quella della dottoressa Elisa Ariosta, archeologa, la quale ha fornito elementi validi a ricostruire quanto di Sambiase non si riesce più a vedere, partendo dai più antichi insediamenti dell’area, analizzando i vari rinvenimenti, e dando una ampia serie di suggestioni e possibilità che in futuro vedranno una

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serie di incontri pronti ad analizzarli nel dettaglio. Il più giovane del gruppo è stato Lorenzo Colistra, di soli 14 anni. Nonostante la giovane età, però, Colistra ha dimostrato ai presenti le proprie conoscenze sulla storia dell’arte locale e sulla storia dei vari edifici sacri di Sambiase, con una lucida e attenta esposizione, non lasciando mai trapelare incertezza alcuna. Altra giovanissima presenza è stata quella di Francesco Cristiano e Vincenzo Notte, classe 1997, produttori del vino e dell’olio che, insieme ad altri prodotti tipicamente locali, hanno costituito il ristoro del gruppo che fino alla fine, nonostante il freddo rigido di questi primi giorni di gennaio, ha seguito con attenzione e partecipazione la piacevole passeggiata nel centro sambiasino. A coordinare gli interventi dei vari narratori è stato l’ideatore del movimento culturale “Dorian – la cultura rende giovani” e organizzatore dell’evento, il dottor Giovanni Mazzei, il quale ha dato il là alla passeggiata con la sua introduzione che ha saputo racchiudere alcune fra le più mirabili suggestioni di Sambiase, analizzando anche la figura di Enrico Borrello e di suo fratello Oreste, offendo una serie di aneddoti tramandati dalla vox populi, oltre ad arricchire poeticamente la manifestazione rinverdendo le figure di autori come Salvatore Borelli e Franco Costabile. «Questa passeggiata – dichiara Giovanni Mazzei – ha saputo far affacciare nuove importanti personalità al novero della cultura lametina e in, questo caso specifico, sambiasina. La formazione di questo gruppo solido costituirà un assoluto punto di riferimento per la comunità locale, la quale avrà in noi un interlocutore certo per conoscere la storia delle proprie radici. Cercheremo sempre di amalgamare al meglio gioventù ed esperienza, per approfondire sempre più i nostri studi e migliorare le nostre competenze. Lo studio continuo e il confronto con le diverse realtà della cultura lametina è un qualcosa da cui non intendiamo prescindere, in quanto spesse volte la divulgazione culturale presenta troppa approssimazione e superficialità». Gli eventi targati Dorian non si esplicheranno solamente in passeggiate ma anche in specifici incontri mirati, tutti mossi dal comune intento di tutelare le nostre tradizioni, tramite un’azione di riscoperta attiva e di innovata capacità di tramandamento.

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L’angolo di San Pietro a Maida

“Parole in Sala” di Loretta Azzarito

Volge quasi al suo termine la prima stagione della rassegna del libro “Parole in Sala” organizzata dal comune di San Pietro a Maida (Assessorato alla Cultura). La rassegna con i suoi 4 appuntamenti previsti l’ultimo a febbraio 2020, ha avuto il suo felice riscontro nella realtà sampietrese attraverso la presentazione di libri capaci di offrire tematiche, emozioni, riflessioni e confronto e accattivando il piacere della lettura, che rimane per eccellenza arricchimento della propria personalità. Il Primo appuntamento di Parole in Sala si è tenuto il 25 Ottobre 2019 presso la Biblioteca comunale che apre le porte al libro “Cuba Amata” 8 Storie d’Amore di Giovanni Patera. Ad introdurre e moderare l’incontro l’Assessore alla cultura Loretta Azzarito che ha manifestato il suo entusiasmo per il nuovo ingresso nella biblioteca comunale di un libro premiato dalla giuria del Premuio internazionale di narrativa e poesia” Val di Vara Alessandra Marziale” che al tempo stesso è un importante documento della bellezza naturale e patrimoniale dell’isola di Cuba, nonché testimonianza di 8 Storie d’Amore, tra italiani e cubani, come simbolo della più intima introspezione umana, capace di cambiare, migliorare, travolgere, impreziosire la propria esistenza, ancor più se la fonte del racconto proviene dallo spirito sublime proprio dell’autore e dal bisogno dei personaggi delle 8 storie di condividere i loro forti patemi d’animo.Il Sindaco Domenico Giampà nel suo saluto ha sottolineato la decisione di aprire le porte della biblioteca comunale anche in occasione della prima edizione della rassegna del libro “Parole in Sala” con il vivo proposito amministrativo di rendere la casa della cultura sempre più consapevole alla comunicazione, avendo a cuore la cura e l’attenzione che merita la biblioteca fisica e spirituale portando avanti con continuità iniziative come la rassegna del libro. Il Sindaco ha inoltre espresso un grande benvenuto in biblioteca a “Cuba Amata” come documento di una meta tanto ambita da ogni generazione umana. Tra gli interventi il giornalista della RAI Dino Gardi , che dopo aver espresso il suo plauso per il calendario di appuntamenti sampietresi come risposta in positivo ai dati purtroppo non alti della propensione alla lettura, ha ricordato come in Cuba Amata 8 Storie d’Amore ci si possa riconoscere il vanto italiano dei molti famosi nell’isola, da Antonio Meucci ad Italo Calvino rispettivamente per la scoperta del telefono ed il secondo per la nascita all’Havana, da Battista Antonelli al calabrese Giovanni Francesco Gemelli rispettivamente per la costruzione del Morro simbolo cubano per eccellenza e per la creazione, il secondo, della prima enciclopedia sul viaggio. Il Dottor Gardi ha affermato come Cuba Amata possa considerarsi pag. 22

il vero capolavoro di Giovanni Patera già autore di “Cuba” del 2006 e “Italiani a Cuba” del 2012, per la grande capacità di scrivere con l’esperienza dei luoghi vissuti e per la veridicità dei sentimenti espressi, peculiarità che fanno di Cuba Amata anche un successo caraibico proclamato presso la sede cubana della “Dante Alighieri” l’istituzione più importante presente sull’isola per la diffusione della lingua e della cultura italiana. Ancora importante l’intervento del Presidente del Centro di Solidarietà “Il Delfino” Renato Caforio che ha evidenziato come lo scrittore Patera, innamorato dei Caraibi, permette al lettore, con questo romanzo di intraprendere un bellissimo viaggio in questa meravigliosa terra, conoscere la storia e ammirare il suo patrimonio e consente altresì, grazie alla descrizione minuziosa e sentimentale dei luoghi di calarsi nelle parti facendo propri alcuni momenti. Una perla di pathos ha poi aggiunto il Dottor Caforio, questa “Cuba Amata 8 Storie d’Amore” ha un testimonial d’eccezione Amaurys Perez, campione mondiale di pallanuoto, senz’altro il cubano più famoso che vive in Italia che nella sua postfazione al romanzo ringrazia lo scrittore Patera per aver permesso alla mente ed al cuore di ripercorrere alcuni luoghi. Un saluto anche da parte dell’Assessore ai lavori pubblici Maria Rosaria Costantino che ringrazia il Prof. Giovanni Patera per questo incontro molto stimolamte e ricco di spunti riflessivi e culturali. Con il suo libro “Cuba Amata - 8 Storie D’Amore” regala al lettore un entusiasmante avventura in una terra assai accattivante, descritta in modo armonico dal punto di vista storico - culturale - sociale e delle bellezze paesaggistiche.A concludere l’incontro, l’autore del libro, Giovanni Patera che ricorda tra le date importanti come visitatore di 27 nazioni quella del 19 luglio del 1999 un viaggio però questo all’interno dell’animo umano che lo ha portato alla fede cattolica e dunque ad una visione di supporto al mondo degli accadimenti. Con Cuba Amata dice l’autore era giunto il momento di parlare di sentimenti e chi meglio di Amaurys Perez protagonista di una storia d’amore felice avrebbe potuto scrivere la postprefazione al romanzo. Un romanzo aggiunge Patera che racconta Cuba attraverso 8 Storie d’Amore, 9 patrimoni dell’umanità 6 riserve della biosfera, tutto incastonato attraverso dei cuori italo cubani che si incontrano e trovano la felicità seppur momentanea alcune volte. Patera ha anche ricordato la forte crescita turistica nell’isola grazie soprattutto alle riforme economiche del 2012, da quando cioè la proprietà privata non è più considerata un furto ed i cubani hanno potuto aprire tante attività. Infine l’autore ha ringraziato l’amministrazione comunale per l’entusiasmo organizzativo portando nel suo cuore San Pietro a Maida.

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Lamezia e non solo


Il Secondo appuntamento di Parole in Sala, si è tenuto il 29 Novembre 2019 presso la Biblioteca comunale di San Pietro a Maida, questa volta con il romanzo “Speranza” il Mistero della croce di Val d’Aia di Lorenzo Avincola. Ad introdurre e moderare l’incontro l’Assessore alla cultura Loretta Azzarito che dopo aver presentato il romanzo come una scoperta a più voci protagoniste ed un affascinante intreccio di episodi, avvenimenti, incontri e scontri che stimolano la curiosità del lettore, ha voluto rivolgere un forte plauso all’autore Avincola per la sensibilità, passione ed indole attivista per aver raccontato la storia di personaggi particolari nel contesto di vicende accattivanti e di suspense. “Sublime” sottolinea l’Assessore Azzarito è il messaggio della nostalgia dei tempi, che ha il sapore dell’intensità irripetibile dei momenti, quelli che se pur non rivissuti svelano come non mai, l’essenza più intima di essere vivi , vivi nella profondità dei sentimenti, vivi nel pieno coraggio delle proprie azioni. Ed ecco che Triestino Davoli(il protagonista) in quel di Bracciano è il personaggio che si nazionalizza e che “I Più” dovrebbero imparare a conoscere. Il Sindaco Domenico Giampà nel sottolineare alcune citazioni nel romanzo espressamente riguardanti il Paese di San Pietro a Maida, ha condiviso, il più vivo entusiasmo con i cittadini presenti in Sala, soffermando l’attenzione su come e quanto le bellezze ed il calore umano della sua realtà locale fanno ben parlare della stessa , costituendo anche per ciò stesso una grande spinta per consolidare i buoni propositi e dare vita a nuovi percorsi insieme. Nel suo intervento il Sindaco ha poi accolto il messaggio di Speranza firmato Avincola, assolutamente importante per impreziosire di contenuti e valori il senso della vita. Ad intervenire il Presidente dell’associazione Aliante Mediterraneo Nico Serratore che in piena sinergia con l’organizzazione di rassegna del libro ha più volte sottolineato l’importanza della Cultura come anima e pilastro di vita di ogni amministrazione comunale, in quanto le amministrazioni migliori che si ricordino aggiunge il Presidente sono quelle vivacemente attive di cultura e valorizzazione territoriale. Ricordando il protagonista del romanzo Triestino Davoli medico e primo cittadino di Bracciano assai attivo, curioso, partecipe delle iniziative culturali, tra la gente e per la gente, ne ha poi voluto dare omaggio all’amministrazione sampietrese complimentandosi. A concludere l’incontro l’autore del libro Lorenzo Avincola che ha ricordato come con questa sua opera abbia voluto raccontare la storia di un grande amore, ma soprattutto il ricordo di un grande amore. Un amore passato, talmente potente che non permette altri amori futuri. Eppure qualcosa ci dice che non bisogna mai perdere la Speranza, precisa

Lamezia e non solo

Avincola. Il protagonista aggiunge l’autore è un sindaco che ama la propria gente. La battaglia vinta nel romanzo è quella conquistata dal mondo ambientalista locale per non far erigere sulla sommità del monte di Rocca Romana che domina il lago di Bracciano una grande croce di acciaio che avrebbe potuto essere vista anche da Roma.Ogni episodio del romanzo è legato alla presenza dei libri che sono la vera speranza di un futuro migliore. Avincola ha inoltre confidato un prosieguo con i personaggi di Speranza in nuovi episodi, un nuovo romanzo che con le capacità passionali di Avincola ne farà parlare nuovamente. Il Terzo appuntamento di Parole in Sala si è tenuto il 23 Dicembre presso la Sala Consiliare del comune di San Pietro a Maida alla presenza del neo procuratore di Vibo Valentia Dottor Camillo Falvo è stato presentato “ Sequestri” la trattativa tra stato e ndrangheta di Filippo Veltri. Ad introdurre e moderare la discussione l’Assessore alla Cultura Loretta Azzarito la quale ha sottolineato come Sequestri fosse l’opera più completa in termini di ricostruzione giornalistica, sul fenomeno che in un’epoca passata ha contribuito in termini di introiti a rafforzare la ndrangheta, oggi presente in modalità diversa, dedita soprattutto al narcotraffico internazionale come fonte di guadagno. Il Sindaco Domenico Giampà dopo aver omaggiato con una targa il Dottor Falvo a nome dell’amministrazione comunale, quale orgoglio della comunità di San Pietro a Maida, ha evidenziato l’evoluzione della criminalità organizzata nella nostra Regione e ha sottolineato come in negativo la stessa abbia contribuito a dare un’immagine distorta della nostra Terra, fatta invece da molte e diverse energie positive, che vanno necessariamente valorizzate. Ne è conseguito un avvincente dialogo tra l’autore Filippo Veltri ed il Procuratore Falvo, da cui è emerso soprattutto dall’esperienza di quest’ultimo come la criminalità organizzata sia culturalmente e profondamente radicata nel nostro territorio, mediante l’impiego di giovani leve assoldati per pochi quattrini o come nei piccoli centri spesso siano cittadini normali a fare le vedette a sostegno delle organizzazioni criminali. L’ autore Filippo Veltri ha ripreso le cronache presenti nel libro, storie di riscatti più volte pagati, di mediatori e trattamenti diversi a seconda della provenienza geografica dell’ostaggio, di una legge sul blocco dei beni della famiglia del sequestrato intervenuta in ritardo, così come la tenuta dell’organizzazione criminale, messa a dura prova dal forte coraggio di donne e madri disperate. L’ultimo appuntamento con la rassegna del libro sampietrese a Febbraio 2020.

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La parola alla Psicologa

Agorafobia: sintomi e cura Il termine agorafobia deriva dalla parola greca “Agorà” che significa piazza; infatti, i primi utilizzi della parola in psicologia e psichiatria si rivolgevano a persone che avevano paura di recarsi in posti affollati. In realtà, i pazienti con sintomi di agorafobia temono le situazioni in cui è difficile scappare o ricevere soccorso; di conseguenza, essi evitano tali luoghi al fine di controllare l’ansia legata alla prefigurazione di una nuova crisi di panico. Si tratta di un disturbo invalidante perché costringe la persona che ne è affetta a una vita di limitazioni. La persona agorafobica ha sempre bisogno della presenza di qualcuno che possa in qualche modo intervenire nel momento del bisogno. La presenza dell’altro è necessaria per l’agorafobico in preda all’ansia, perché l’altro rappresenta una fonte di rassicurazione e contenimento. L’agorafobico evita tutte quelle situazioni in cui si trova in balia di se stesso; evita tutte quelle situazioni dalle quali sembra difficile allontanarsi, come luoghi affollati, lunghe code in autostrada, teme di viaggiare in treno, di andare allo stadio, al teatro, al supermercato, al ristorante. Questo breve elenco di luoghi fobici potrebbe continuare all’infinito, non è solo lo spazio aperto a generare tale fobia ma anche il fattore “folla”, tanto più il luogo è popolato tanto più assume una valenza terrifica per l’agorafobico poiché la situazione rende difficile l’allontanarsi. L’agorafobia è un disturbo fortemente invalidante perché compromette fortemente la vita sociale, lavorativa e relazionale

del soggetto. Nelle forme più gravi alcune persone arrivano persino a non uscire da casa, se non sono supportate da altri. Tra i sintomi di natura psicologica troviamo: sensazione di essere staccati o lontani dagli altri, sensazione di agitazione o irascibilità, senso d’impotenza e di sentirsi dipendenti dagli altri, sensazione che il corpo e l’ambiente siano irreali, pensieri confusi o disordinati. Mentre tra i sintomi fisici troviamo: battito cardiaco accelerato, sudorazione eccessiva e problemi respiratori, capogiri, dolore addominale, dolore toracico, spasmi muscolari o sensazione di testa vuota, tremore, intorpidimento, formicolio, nausea, vomito, rossore della pelle. All’interno della psicoterapia cognitivo-comportamentale, le tecniche di esposizione si sono dimostrate utili nel ridurre i comportamenti che alimentano l’ansia agorafobica. Recentemente sono state implementate strategie volte a incrementare la capacità dei soggetti di stare in contatto con l’attivazione ansiosa senza temerne le conseguenze catastrofiche, favorendo l’accettazione e diminuendo il bisogno di controllo dei sintomi d’ansia. In generale, comunque, la psicoterapia è essenziale per la cura dell’agorafobia, mentre gli psicofarmaci, contenendo i sintomi ansiosi e gli episodi di panico, possono essere utili a breve termine, ma a lungo andare generano una forte dipendenza psicologica e, molto spesso, i sintomi dell’agorafobia si ripresentano alla loro sospensione.

Sport

IV Trofeo Regionale per squadre di Categoria INDOOR 2020” Si è appena concluso il “IV Trofeo Regionale per squadre di Categoria INDOOR 2020” presso la piscina comunale ‘Salvatore Giudice’ di Lamezia Terme. Due giorni di gare competitive e stimolanti per gli atleti di tutta la Calabria, che hanno avuto modo di festeggiare il nuovo inizio per la Arvalia Nuoto Lamezia e, soprattutto per l’impianto lametino, fino a pochissimi mesi fa impossibilitato, per problemi burocratici, a ospitare qualsiasi evento pubblico. Durante la kermesse indetta dalla FIN Calabria, si sono disputati anche i campionati regionali Assoluti della FINP nel pomeriggio di sabato, con l’alternanza tra le batterie FINP e FIN. pag. 24

A trionfare per il circuito regionale della Federazione Italiana di Nuoto Paralimpico, la Polisportiva Team di Reggio Calabria. Secondo posto per l’Arvalia Nuoto Lamezia, rappresentata da Gianvittorio Longo e Pasquale Torcaso. Terzo gradino del podio, invece, per la Cosenza Nuoto. Grandi complimenti sono andati ai due atleti di casa, seguiti da mister Pietro Ammendola, per l’importantissimo risultato conseguito. In particolare, proprio grazie alle sue prestazioni, Gianvittorio è riuscito, con grande merito, ad accedere ai campionati assoluti nella categoria sb9, grazie ai tempi realizzati nella gara dei 100m rana (1.44.19). GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

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