Lameziaenonsolo Marco Cavaliere marzo 2022

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confidenze

Marco Cavaliere di Francesco Polopoli

Marco, grazie, innanzitutto, per la disponibilità con cui ti apri a questa libera conversazione. Ti partecipo la mia stima, te la sottoscrivo immediatamente in apertura, in nome di quell’entusiasmo che intender sa chi lo prova, nello stile del nostro Sommo Fiorentino. Quanto mi incuriosisce di te è lo scavo a tutto tondo, che caratterizza la tua vita, dagli studi ingegneristici alla scrittura. Puoi raccontarci la tua esperienza di settore e, soprattutto, se quanto scrivi viene proprio fuori dal fascino dei congegni altrettanto congeniali? Ho avuto la fortuna di incontrare, nel mio percorso di formazione scolastica, due docenti illuminati e illuminanti: un professore di matematica, in grado di indirizzare la mia indefessa inclinazione analitica e una professoressa di italiano, in grado di intuire il mio irrequieto impulso narrativo. Uno di loro, un giorno, mi disse questo: A te piacciono sia i numeri che le parole, e non c’è alcun bisogno di scegliere. I numeri si scrivono, le parole si contano. Non sentirti sbagliato, andrà benissimo così. Dopo aver conseguito il diploma di liceo scientifico ho intrapreso

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gli studi ingegneristici, e non ho mai scritto così tanto come durante quei cinque meravigliosi anni, né sono mai riuscito a smettere di coltivare questa mia dicotomia mentale. Tutto a riprova di quanto - quei miei due amatissimi docenti - avessero saputo leggermi dentro. C’è una frase che porto nel cuore, che sa racchiudere bene alcune delle sensazioni che hanno caratterizzato e caratterizzano il mio percorso. L’ha detta Stalin, nel lon-

tano 1932, nel giorno in cui incontrò i cinque scrittori sovietici più importanti del tempo: “Lo scrittore è un ingegnere dell’animo umano”. Una frase delicata, gentile,

profondamente poetica. L’ironia della sorte ha voluto dar luce a questa frase in un momento di forte oppressione, di pensiero così come di poesia e letteratura, ed è forse il motivo per cui la considero dotata di una potenza evocativa. Quasi come a dimostrare che il buio, a differenza della luce, sia un mero esercizio di contrapposizione e che mentre dal nero del cemento possano spuntare i fiori, il contrario è ad oggi del tutto impossibile. Non c’è studioso, che non rimanga studente, vado spesso dicendo. Ti va di ripercorrere la tua esperienza scolastica? Cosa ti accompagna da allora ad oggi? Rivivi l’eco di qualche esperienza appassionante, quando fai percorso di memoria con qualche ex-compagno/a? Ho sempre letto tanto, soprattutto a partire dall’ultimo anno di liceo. Mi sono ritrovato fin da subito a frequentare ragazzi più grandi di me, per una serie di circostanze legate allo sport e alle compagnie di quartiere. Uno di loro tra tutti, quando ero ormai pros-

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simo alla classe quinta – lui già oltre il terzo anno d’università – mi diede questo consiglio: Leggi libri, e lascia perdere le interrogazioni a pappardella. Non imparare nulla a memoria, ma piuttosto leggi più che puoi. Filosofia? Leggi i libri dei filosofi. Letteratura? Leggi i grandi classici, leggi la Divina Commedia che è bellissima. Imparare per filo e per segno le formule di matematica e fisica? Stronzate, non ti servirà a nulla. Leggi però le dimostrazioni, studia i significati, approfondisci i personaggi che ci stanno dietro. Ché la cultura non ha niente a che fare con le pappardelle, quella è roba di cucina. La cultura ha a che fare con la conoscenza. E se vuoi conoscere le cose, non devi imparare a pappardella proprio niente. Devi leggere e capire. Fu uno dei consigli più saggi che io abbia mai ricevuto. Ne venne fuori un quinto anno scolasticamente tiepido, per nulla brillante. Ricordo diverse discussioni con un paio di docenti particolarmente fissati con le date dei personaggi, il luogo di morte, il numero di scarpe. Ricordo qualche 5 e la lieve minaccia di non passare l’anno, ricordo di aver trasformato un promettente 100 in un deludente 93. Eppure lessi quasi 50 libri in un anno, viaggi meravigliosi tra le pagine di romanzi classici e moderni, tra le dita di autori asiatici e russi, americani e nostrani, sulle

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navi dell’Iliade e dell’Odissea, nei gironi della Divina Commedia, tra le braccia dell’Orlando Furioso, sulle Cime Tempestose, nella spiritualità dei vangeli, sotto l’ombra di saggi matematici, filosofici, psicologici. Il voto di diploma lo ricordo a fatica, ma tutte quelle pagine sono come tatuaggi indelebili. Qual è il tuo rapporto con la tua città d’origine? Ti capita di lametinizzare la terra elvetica? Catullo, nel suo carme 85, ha detto tutto. Si conosce spesso l’incipit, ma è l’intero distico elegiaco a svelare la pienezza del sentimento: Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior. Odio ed amo. Perché lo faccia, mi chiedi forse. Non lo so, ma sento che succede e mi struggo. Ecco, credo che il verbo struggersi riassuma alla perfezione. Parla di quel logorìo lento e doloroso, il bisogno di parlarne misto al silenzio rancoroso, la voglia di tornare che si scontra con una distanza misurata, consapevole. Eppure non riesco a fare a meno di identificarmi, sistematicamente, soprattutto quando parlo con amici, conoscenti o colleghi stranieri. Yes, I am italian. Actually, to be more specific, I am Calabrian. Sono italiano, certo, ma si tratta di una semplice conseguenza. Quel che sono davvero, in realtà, è calabrese. Che sembra quasi tautologico, e invece è identitario.

stato soltanto con lui, chiusi nella sua stanza a ripescare, ricostruire. Sono stato lui, in tutti quei mesi, letteralmente. Ha saputo trascinarmi nella sua vita, nel suo passato, presente e futuro, nelle sue battaglie e conquiste, sconfitte e vittorie, paure e speranze, mi ha concesso il privilegio di farle mie, di riscriverle, rielaborarle, raccontarle utilizzando la sua voce. Ne sono uscito profondamente cambiato, come dopo ogni metamorfosi. Antonio è stato e sempre sarà non solo un amico e un fratello, Antonio è di fatto uno dei regali più preziosi e intensi che io abbia mai ricevuto, che mai riceverò. Se ti chiedessi di descrivermi la Calabria in una sorta di incipit manzoniano, tu cosa diresti? Mi viene in mente il crudele e beffardo destino di tanti, troppi calabresi. Penso alla Calabria come genitore, che vede i propri figli partire verso nord, gira il collo per seguirne la traiettoria e si trova a rivivere ancora e ancora, in un loop senza via d’uscita, la prima frase dei Promessi Sposi. Al contrario, però, in una sua trasposizione assai più dolorosa: Quel gramo Mezzogiorno, che volge al lago di Como… E se lo dovessi fare della nostra Lamezia, partendo dai Giganti fragorosi di Neocastrum fino al Bastione di Malta, come la descriveresti? Penso spesso a Lamezia Terme come a un gigantesco fuoco d’artificio inesploso. Un territorio potenzialmente pirotecnico, stracolmo di luci e colori, capace di diventare uno spettacolo degno dei nostri nasi all’insù, dei battiti accelerati, degli occhi lucidi, come la sera di San Pietro e Paolo quando eravamo bambini. Eppure sembra galleggiare ancora lì, con la miccia spenta e la

Io e te abbiamo un caro amico in comune, che è Totò Saffioti, una presenza viva a d ipostasi di valore per tutta la nostra comunità. Non ti nascondo la tenerezza con cui vi ho seguito in una “trasferta su youtube” mentre in presentazione era uno dei suoi libri: quel fermo immagine afferma e renda ferma l’idea che ho degli incontri autentici, mi va di partecipartelo! Antonio è un faro vivo, è clorofilla. Divido la mia vita in due fasi principali: prima e dopo aver conosciuto Antonio. Ho avuto l’onore e la fortuna di scrivere la sua biografia, a conclusione di un percorso durato mesi. E non sono GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

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bocca tappata, senza mai riuscire a dare inizio alla propria stagione aurea. Non cambia mai niente, mi sento dire spesso. Ma noi, noi lametini, cambiamo mai? Ché non tocchi proprio a noi, anziché stare fermi sui terrazzi, ad aspettare la mezzanotte, di trovare insieme un modo di accendere il fiammifero? Quali libri consiglieresti per apprendisti lettori? Quali testi, poi, ti hanno profondamente colpito, per fare della penna lo scalpellino del tuo animo? Consigliare o classificare libri è sempre un esercizio complesso, soprattutto per chi legge tanto. Gli si potrebbe porre la medesima domanda in dieci momenti differenti del giorno o dell’anno, in dieci differenti stati d’animo, ricevendo dieci differenti risposte. Sono però un grande amante del numero 3, mi piacerebbe quindi provare a elencare tre dei libri a cui sono legato in maniera speciale:- La Divina Commedia, perché sembra un poema e invece è un’enciclopedia dell’essere umano, un’opera capace di raccontare e contenere tutto, tutti, qualunque cosa e chiunque di noi. Un libro che si inizia a leggere senza mai finirlo, a prescindere da quante volte si faccia il giro; - La Bibbia, e parlo soprattutto l’antico testamento, perché è un insieme di libri a dir poco monumentali. Perché sembra parli di come Dio abbia creato e guidato l’uomo, quando invece parla di quanta strada abbia fatto l’uomo, da solo, prima di capire che senza Dio non ce l’avrebbe fatta. - Se questo è un uomo, perché racchiude il più ampio e impressionante divario di livello umano. Il racconto sublime, sorprendentemente poetico, dell’ora più buia che la storia abbia mai visto. Perché è la dimostrazione di quanto si possa volare in basso o in alto e di quanto in fondo, comunque, la scelta sia solo nostra, a Lamezia e non solo

prescindere da quanto in alto o in basso il vento del destino ci spinga. Se dovessi associare i nostri sensi ad un Classico, che selezione faresti? Misurane il senso con i tuoi sensi, aprendoci a quelle piste fisiche che sa e sente la nostra intelligenza emotiva. Magnifica domanda, una suggestione che accolgo con piacere e provo a fare mia. Mi è capitato più volte di leggere libri attraverso esperienze plurisensoriali, non è qualcosa che capita spesso ma sono letture che rimangono addosso. Me ne vengono in mente tre (sì, ho un’ossessione con le liste di tre elementi): - Associo la vista a Cecità di Saramago. Un’inspiegabile pandemia rende le persone cieche, portando la società ad arginarne la diffusione segregando i malati in carceri di fortuna. Ne viene fuori un capolavoro, un libro che fa apprezzare la vista proprio perché si legge a occhi chiusi, a tentoni, reggendosi alle pareti e alle ringhiere, con l’angoscia che soffia sul collo e la vista oscurata. - Associo l’olfatto a La maligredi di Criaco. Un libro che è ormai un classico di letteratura nostrana, nato dalla finissima penna di Gioacchino. Un racconto permeato dal profumo di gelsomino, dalla fatica delle mani delle gelsominaie calabre, dall’amore che diventa cammino, viaggio, sudore, una metafora meravigliosa e struggente del calvario che accomuna noi figli del sud. - Associo infine il tatto a Le Metamorfosi di Kafka. Non so come facciano certi autori a catapultarti così tanto dentro le sensazioni di un racconto, ma leggendo le metamorfosi ho davvero creduto, in più di un’occasione, mentre voltavo pagina, di vedere la mia mano trasformarsi in zampa corazzata. Un prodigio totale, un talento a cui non posso neanche immaginare di avvicinarmi. I miracoli della letteratura, quella più alta che esista.

Ti è mai capitato di addormentarti con un libro o di “divorare un libro” mangiando? Più volte, non lo nascondo. Cito l’ultimo in ordine cronologico: Complici e colpevoli di Nicola Gratteri, che considero uno dei più giganteschi eroi del nostro tempo, un faro grande quanto tutta la Calabria. Forse più grande e luminoso di quel che meritiamo, sicuramente quello di cui abbiamo disperatamente bisogno. Quale citazione o aforisma letterario spulci nella mente come magnete dei tuoi sogni? Una frase di Thomas Mann, croce e delizia delle mie notti, soprattutto di quelle che perdo inutilmente a rincorrere le pagine bianche: Lo scrittore è un uomo che più di chiunque altro ha difficoltà a scrivere. Recentemente sei diventato papà: immagino la felicità della bambina, mentre il suo Gigante buono se l’abbraccia affettuosamente. Descrivici la tua paternità e come quest’esperienza ti ha rimodellato nel rapporto con gli altri e/o nella coltivazione degli interessi. Sto scrivendo tanto, tantissimo, decine e decine di pagine su Angelica, questa tempesta di emozioni e di vita che ci è piombata addosso. Non credo ne pubblicherò mai neanche una, perché non sono bravo a fare i conti con le mie intimità. Vorrei però condividere con te una riflessione, sulla quale non smetto di arrovellarmi il cervello:

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angelico, “simile a un angelo”. Il nome Angelica è invece legato al concetto di “Messaggera, nunzia, portatrice della volontà di Dio”. Quando lo abbiamo saputo, spulciando tra enciclopedie e articoli di approfondimento, non abbiamo avuto più alcun dubbio.

Di tutti i baci che abbiamo dato ad Angelica finora, non ne ricorderà neanche uno. Di tutte le carezze, i buffetti sulla guancia, di tutte le serate passate a pettinarle il ciuffo, a pulirle le labbra con il lembo del bavaglino. Non ricorderà le serate a dondolare sulle ginocchia, le nottate a passeggiare per il corridoio, le mattinate a dormire insieme sul divano, non ricorderà le facce buffe per farla ridere ancora una volta. Di tutto il latte, le poppate, le vitamine, le pipì, i bagni, i bagnetti, il sudore, le lacrime, la pioggia che ci sorprende e che ci sorprenderà, non se ne salverà neanche una goccia. Non si ricorderà nulla, di tutti fiumi d’amore che le stanno allagando la vita. Eppure un giorno, chissà dove e chissà quando, forse tra 10 anni o forse più, in un pomeriggio stanco e assonnato di fine luglio, Angelica ci raggiungerà nell’altra stanza. Così, d’istinto, scorrazzando per casa. Si allungherà oltre la scrivania, oltre il bracciolo della poltrona, e ci darà un abbraccio al volo. Un bacio sulla guancia, o forse sulla fronte, strappato via di straforo. Mentre la vedremo correre via dalla stanza, le chiederemo il motivo di quel gesto. Boh, così! Ci urlerà la sua voce già lontana dai nostri occhi. Ed è in quel “così” che si compierà la vita, è lì che ritroveremo tutto quell’universo di dettagli apparentemente dimenticati eppure mai perduti, archiviati

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nella mente e impressi chissà dove, negli angoli nascosti dell’essere anime, innaffiati dall’impegno e sedimentati dalla stanchezza, per poi riemergere nella dolcezza di quel gesto rubato. Forse lei non lo ricorderà, ma il suo corpo sì. Le sue guance, i suoi capelli già lunghi, il suo cuore già forte. Ricorderà, restituirà, e sapremo che ne sarà valsa la pena. Perché è per questo, che stiamo al mondo. Per dare tutto amore che possiamo, senza il bisogno di ricordarne nemmeno una goccia perché sarà l’amore stesso, quando meno ci se lo aspetta, a ritornare indietro per restituirsi intatto. Mutato nella forma, irriconoscibile nei lineamenti. Eppure identico nella potenza, resistente e resiliente. Miracoloso, come tutte le cose che sanno tenersi a galla oltre la fine di ogni tempesta. Una curiosità: come avete scelto il nome di battesimo? Alcuni collegano il termine personale con il suo significato più recondito? Che tipo di scelta hai seguito con la tua compagna di vita? Angelica è arrivata a noi alla fine di un percorso non semplice, costellato di problemi, paure, cadute e ombre di vana speranza. Il suo nome è legato al nostro albero genealogico, ma la scelta del nome non è stata condizionata da pressioni o richieste di tipo familiare. Ci siamo anzi ritrovati totalmente d’accordo solo quando abbiamo scoperto il suo significato profondo: si tende a pensare che il nome Angelica sia etimologicamente correlato all’aggettivo

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Passando ad una dimensione ancora più free e confidenziale, ami gli animali? Li amo molto, nonostante non abbia mai avuto cani né gatti. Sono stato molto allergico fin da bambino, solo ultimamente pare il mio corpo si stia rassegnando a furia di giocare e coccolare gli animali di amici e parenti. A volte però l’amore non basta, e allora tocca tirare fuori dal cassetto gli antistaminici. Ma giuro che non demordo, prima o poi vincerò io e riuscirò finalmente ad avere in casa quattro zampe e una coda scodinzolante, anche a costo di diventare il miglior cliente del signor Tempo! Ti è mai capitato di vivere un paesaggio, mentre risalivano su le parole, magari nel silenzio panico o nei versi faunistici della natura? Vivo in Svizzera da ormai sei anni, e di momenti del genere ne capitano spesso. La Svizzera è piccola, silenziosa, ostile, ma regala degli scorci, degli attimi, dei silenzi da capogiro. Nonostante siamo figli del mare, devo ammettere che la montagna stia riuscendo incastonare tanto nei miei ricordi, nelle mie emozioni primarie. Provo a scriverne ma non è semplice, perché sono luoghi di cui non ho ancora imparato tutte le parole esatte, gli spazi adatti, la punteggiatura. Mi capita quindi di viverli senza sapere cosa dire, mi capita poi di scriverli e di vederci dentro foto sbadite. Mi sono però ripromesso di cercare e leggere autori locali, nella certezza siano stati assai più bravi di me a immortalare. Ci puoi raccontare i tuoi successi editoriali? Come è avvenuta la loro stratificazione genesiaca? Vorrei averne anche solo uno, ma sono ben distante dalla parola “successo”! E va benissimo così, ho una visione troppo alta e sacra della letteratura, per sentirmi anche solo degno di finire su uno scaffale. Vado avanti a testa bassa, con la palestra delle parole e la speranza di riuscire, prima o poi, a costruirmi un posticino lì nel mezzo. Di un successo però voglio fare menzione, e di questo vado sì molto fiero: fin da quando scrivo, per una serie di motivi e scelte personali, ho sempre cercato di devolvere in beneficienza gli utili derivanti dalla vendita dei miei libri. In particolaLamezia e non solo


re con Chi ci capisce è bravo, il romanzo biografico scritto con mio fratello Antonio Saffioti, siamo riusciti a raccogliere e donare migliaia di euro ad associazioni locali di accoglienza, supporto e ricerca. È una cosa che mi rende molto felice e che sono intenzionato a portare avanti per sempre, perlomeno finché avrò parole da scrivere e qualcuno disposto a comprarle, perché è per me la bellezza di un cerchio che si chiude, il prendere dal mondo riuscendo poi a restituire, il dare un valore alle storie e alla loro capacità di lasciare un segno, nella mente di chi legge così come nella vita di chi ha bisogno, nel futuro di progetti e iniziative che credo valga la pena sostenere. Puoi omaggiarci di qualche tua citazione personale? In questo caso, raccoglierei il dono come bellezza a ricordo di questa piacevole conversazione. Me la accompagnerei come citazione d’autore, e non è poco! Magari ne avessi tante di belle! Mi permetto, umilmente, in piena tradizione con la mia fissazione che ormai conosci bene, tre piccole citazioni tratte da tre dei miei lavori. La prima citazione è tratta dal mio ultimo romanzo, La storia di Maggese: Ci sono parole che non hanno una durata ben definita. Non puoi star lì a calcolare il tempo esatto in cui vivono, perché è un tempo che non si può calcolare. Gli unici tempi che si possono calcolare in natura sono i tempi che finiscono, come nelle gare di corsa e nei countdown. Ma alcune parole, determinate parole, sono fatte appositamente per non finire mai. La seconda citazione è tratta da un romanzo che non pubblicherò mai, perché non credo troverò mai il coraggio di farlo per davvero: Lo scacco matto non costituisce la morte del re, rappresenta bensì il momento in cui il re viene messo nelle condizioni di non potersi più muovere senza essere ucciso. La cosa estremamente affascinante degli scacchi è che, nonostante rappresentino uno sterminio reciproco tra due eserciti, essi decretino la vittoria non nella morte, bensì nella cattura. Di un corpo morto non è padrone nessuno se non la morte stessa. È solo di un corpo vivo e inerme, che un essere umano può veramente sentirsi padrone incontrastato. La terza citazione è tratta dal romanzo che ho da poco concluso, che è ambientato e che parla di noi, di calabresi, di calabresità, di Calabria, un lavoro a cui tengo molto e che spero di pubblicare presto: Non è mai stato un uomo espansivo, mio padre. Le mani troppo ruvide per poterle accarezzare, i pensieri troppo annodati Lamezia e non solo

per poterli sciogliere. Se gli chiedi perché parla sempre così poco, lui ti risponde alzando le spalle. Ricordo che quel giorno masticava piano, che nel nostro dialetto significa Ti sto ascoltando. Non aveva parlato come al solito, forse per non spezzare la voce, ma non era necessario. Tutto ciò che mi aveva detto fino a quel momento, tutto ciò che aveva ancora da dirmi, albergava comodo nello spazio di quell’unica sillaba. Mh. Gutturale, secca, eppure sufficiente. Perché al sud, molto spesso, parlarsi non conta. Quel che conta è capirsi. Marco, sai quanto è profuso il mio impegno nella ricerca lessicale. L’etimologia, non ne faccio mistero, è uno scavo archeo-linguistico: siamo anime affini, mi sa! Come risvegli le parole, quando costruisci una narrazione? Nella selezione dei vocaboli che criterio segui per far cogliere delle nuances più significative? Leggo e studio tantissimo, soprattutto prima di lavorare a un romanzo o a un racconto lungo. Devo ammettere che internet è stata una benedizione, per noi amanti della sintassi e della semantica. È ormai molto semplice rintracciare i vocaboli e i loro significati, i sinonimi e i contrari, e le sfumature e assonanze. Suono il pianoforte fin da quando avevo dieci anni, e cerco sempre di posizionare le parole con cura e armonia, come simboli su uno spartito. Non sono sicuro di riuscirci sempre bene, sono anzi convinto di tirare fuori parecchia roba “da scartare”, volendo usare un eufemismo gentile. Faccio tuttavia sempre appello e affidamento alle parole di uno dei miei cantanti, poeti, scrittori preferiti: Dai diamanti non nasce niente… Quale mito o leggenda calabrese ami rammemorare di più? Sono in effetti visceralmente legato a una tradizione in particolare, dalla quale ho poi ascoltato e imparato tanti miti, leggende, storie e aneddoti: mi riferisco alla strina, che ha accompagnato tanti anni e tante notti della mia infanzia e adolescenza. Ho ricordi indimenticabili, di quelle magiche notti di strina passate a mangiare pane e companatico, scaldando mani e piedi sui bordi dei bracieri, ascoltando gli anziani raccontarmi la vita, le origini, le radici. Tanto di quel che so sulla Calabria lo devo a quelle notti, e ho dedicato alla strina un intero capitolo del mio nuovo romanzo. Sperando umilmente, nel mio piccolo, di poterla portare lontano.

Me lo chiedo spesso, sai? Provo a lavorare alacremente alle risposte, ma il problema è che nel frattempo, ogni volta che credo di essermi avvicinato abbastanza, ecco che cambiano tutte le domande. Credo sia poi il segreto della letteratura, il motivo per cui continuiamo a scrivere senza venirne a capo. Che detta così sembra una condanna, e invece forse è un motore infallibile. Il ritorno a casa come focolare: “Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei, resta ad aspettarti”. Questo frustulo di Pavese (stralciato dalla Luna e i falò -1950) come lo vivi a contatto con i tuoi familiari tra esodo e rientro? Ho citato sopra qualcosa sul mio prossimo romanzo. Non ti nascondo che questa domanda mi giunge come una profezia, perché è proprio il fulcro di tutto lo sforzo che ho provato a compiere, scrivendo tutte quelle pagine. Vivo la costante angoscia della lontananza, mi devasta il tornare ogni volta e vedere anche solo minimi cambiamenti, perché sono il presentimento di fili spezzati, di foto ingiallite, di tempo che passa e radici che si fanno secche. Ho deciso di scrivere un romanzo sulla Calabria – sui calabresi che emigrano - proprio per questo. È però una storia di ritorno, un’inversione di rotta, figlia di una speranza che non riesco a non alimentare ogni giorno. Ché certe speranze sono solo sogni, ma anche i sogni ci aiutano a dormire meglio la notte. In ultimo, prima di salutarci con affetto, con quale motivo musicale congederesti questo nostro incontro? Beh, io idealmente ti porgo “Ho imparato a sognare” di Fiorella Mannoia. Tu, invece? Reddo plurimas gratias… L’anno che verrà di Lucio Dalla, in particolar modo i primi quattro versi. Che sento tanto miei, tanto nostri, tanto capaci di raccontare il meraviglioso legame che ci unisce nonostante la maledetta distanza: Caro amico ti scrivo, così mi distraggo un po’, e siccome sei molto lontano, più forte ti scriverò.

Possono le narrazioni curare le nostre ferite e convertirle a feritoie? GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

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Sport

AMARCORD Una vita da mediano…e tappa anche sulla panchina della Vigor 1992-93. ENRICO NICOLINI: “LAMEZIA IL MIO TRAMPOLINO DI LANCIO: ERA UN GRUPPO COESO”

di Rinaldo Critelli

Scintille marcando…Maradona, espulso per la prima volta. Centrocampista di qualità e quantità una vita col Catanzaro. In biancoverde allenatore 30 anni fa, fece un ottimo calcio con tanti esordienti in C e col duo da favola Mazzeo-Delle Donne. Con Mazzone ha allenato Baggio, Guardiola e Toni. onestamente non era una Vigor strutturata per vincere il torneo”.

alla Vigor ‘per darci una mano’. Mi chiamò il presidente Enzo Saladino, era una sfida per me: c’erano giocatori come Ruscitti, Brescini e Mazzeo ma i primi due volevano andare via e quindi la squadra era completamente da fare”.

Combattivo mediano settepolmoni abile pure coi piedi: parliamo di Enrico Nicolini (oggi 67enne, sempre in forma, nella sua Sampdoria) detto il Netzer di Quezzi dal suo quartiere genovese, che di gol ne fece 25 in 237 presenze di A (Samp, Catanzaro, Ascoli, Napoli) e 9 nelle 155 di B. A Nicolini dedichiamo l’Amarcord di Marzo: nella stagione 1992-93 allena la Vigor Lamezia, al suo sesto anno di fila in C2, arrivando ottava dopo un ottimo girone di andata. Era la Vigor dei Zancopè, Gregorio Mauro, Delle Donne e Mazzeo (in A con Verona e Cagliari). Una vita intensa per il ‘calabrese’ di adozione Nicolini, di casa a Soverato ogni estate. Dalle 157 presenze a Catanzaro al ‘no’ al Genoa; dalla litigata con Maradona a quel rapporto speciale con Mazzone e Di Marzio, allo striscione dedicatogli dai tifosi della Vigor Lamezia al suo commiato. Anche docente di scienze motorie all’Università di Bologna con sede a staccata a Catanzaro. Seguiteci… Partiamo. Enrico, come arrivi alla Vigor Lamezia? “Ho iniziato alla Primavera del Catanzaro, e poi vice di Fausto Silipo in prima squadra. Quindi due anni a Novara in C2, poi l’approccio di Gregorio Mauro pag. 8

Quella stagione 22 punti all’andata e 12 al ritorno, ottavi con Catanzaro e Turris, e secondo attacco, 43 gol, dopo lo Stabia, che andò in C1 con Leonzio e Matera. Perché il calo nel ritorno? “Molti giocatori venivano da categorie inferiori: Bonaccorso, Elia, Giorgione, Drago, Torlo, Labadessa. Il problema fu che si fece male Delle Donne, out tre mesi. Curiosa la storia di Delle Donne. Avevamo Brescini all’inizio che però voleva andare via. Così in Coppa Italia a Potenza, dove giocava Delle Donne che in quella gara non fece neanche bene, ci proposero lo scambio con tanto di conguaglio per noi. Prima congelammo l’affare ma poi Brescini divenne ‘insopportabile’ e così si fece. Un successo: Delle Donne, motivatissimo, fu capocannoniere con 18 gol per cui divenne un ‘colpo’ incredibile per noi, tanto che l’anno dopo il Potenza lo comprò di nuovo da noi e prendemmo un sacco di soldi. Capisci che perdendolo per così tanto tempo, ricordo che la sua riserva era l’esordiente Cambareri volenteroso con qualche gol, rallentammo. Quando rientrò andammo meglio ma era tardi e GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

Anche Mazzeo fece bene… “Vedendolo pure in allenamento gli chiesi subito ‘cosa ci facesse in C uno con la sua qualità’. Lui lamentò di non aver avuto grandi maestri. Ricordo un gol al Licata da metà campo, simile al bis di qualche giorno prima in amichevole con la Reggina di C1 ed un altro al Catanzaro con un gran tiro. Si vedeva che era di altre categorie, tanto che poi giocò in A. Attraverso lui, Delle Donne, Mauro e qualche altro in quella stagione tirammo su un bel gruppo anche fuori del campo, fu la nostra forza. E poi c’era pure Pasquale Gullo che fece un campionato straordinario, poi andò a Licata in C1. Ricordo che in casa era bello giocare, col Catanzaro c’erano oltre 6mila spettatori al D’Ippolito”. Il pubblico della Vigor come lo ricordi? “Ho davanti quelle migliaia di persone nel derby vinto contro il Catanzaro, se non è stato record di spettatori poco ci manca. All’ultima gara i tifosi esposero uno striscione per ringraziarmi di quello che avevo fatto, ricordo bellissimo per me”. Quella tappa di Lamezia fu importante per te, andasti in B al Palermo di patron Polizzi e del ds Perinetti, e in rosa avevi anche il lametino Pietro De Sensi… “Esattamente, quel campionato con la Vigor incise sul mio futuro perché all’andata specie in casa andavamo a

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mie prime responsabilità da calciatore vero, e ciò grazie a lui”.

200 all’ora, giocando un gran bel calcio con la gente entusiasta ed appassionata. A Palermo però forse non ero ancora pronto, sinceramente anche con una squadra modesta, tanto che quando andai via presero 6 giocatori. La vera svolta da allenatore è stata quando ho perso i play off per la B ai rigori guidando l’Ascoli contro il Castel di Sangro. Dopo invece feci scelte sbagliate ed ebbi pure problemi di salute. Decisi quindi di diventare collaboratore di Mazzone, poi con Menichini, con Mandorlini 5 anni tra Verona e Cremonese e poi in Romania vincendo scudetto e Coppa col Cluj. E poi ho allenato Baggio, Guardiola (a Brescia) e Toni (sia a Brescia che a Verona), mica gente da poco, e ciò è motivo di grande soddisfazione”. Che scelta di cuore nel 2017 di non seguire più Mandorlini al Genoa essendo tu doriano… “E fu apprezzata da tutti, anche dai tifosi del Genoa. E’ stata una cosa molto bella ma per me era naturale”. Dopo 45 anni sei tornato da poco tempo alla Sampdoria come allenatore delle giovanili. Si corona un sogno? “Per me è stato tornare a casa, collaboro con Invernizzi che è responsabile del settore giovanile, facciamo un lavoro a 360 gradi. La chiusura della mia carriera professionale perché credo che dopo difficilmente continuerò ad andare in giro, anche se nel calcio mai dire mai”. Non posso non chiederti qualcosa su Di Marzio scomparso poco tempo fa? “Un grande personaggio. E’ stato il primo allenatore fuori da Genova a Catanzaro a 21 anni e poi anche l’ultimo a 35, salvandoci all’ultima partita contro l’Udinese. Era un allenatore all’antica, risultato prima di tutto, ma carismatico, conosceva il mestiere, sapeva tenere il gruppo, gli piaceva il dialogo. A Catanzaro lo ricordiamo tutti, lì mi presi le Lamezia e non solo

Per te importante anche Mazzone… “E’ stata la mia fortuna tanto che ci ho lavorato 9 anni: il primo a Catanzaro, poi Ascoli, Bologna e Brescia. In una scala di valori è il primo per me: era un condottiero ed io il suo braccio destro, se fosse andato mi avrebbe portato pure al Real Madrid. All’inizio della carriera ero un tipo alla Gattuso e Loris Boni con me alla Samp: un cagnaccio fin dalle giovanili, mi capitava spesso di litigare, quindi qualche squalifica l’ho presa anche nelle giovanili. Poi ho trovato un allenatore top come Mazzone”. Indimenticabile quella tua marcatura al grande Maradona quando eri ad Ascoli, novembre 1984: quanto fu difficile per te? “Diciamo che paradossalmente il punto più alto della mia carriera fu in quella gara poiché fummo espulsi entrambi e per Maradona era la prima in Italia. Fu un episodio talmente eclatante che – sorride - mi permise di andare su tutti i giornali. Fermarlo? E come facevi? Un giocatore infermabile, o facevi qualche falletto, o con qualche parolina cercavi di innervosirlo, restava però un fenomeno”. Ma alla fine la maglia gliel’hai chiesta? “Sono stato espulso altro che maglia – ride Nicolini -, dopo siamo diventati ‘nemici’ ma robe di campo. Quel che gli è successo dopo mi è dispiaciuto tanto. Ai suoi 60 anni gli scrissi che nonostante non avesse forse un buon ricordo di me, rimaneva sempre un grande campione, sperando potessimo incontrarci per fare la ‘pace’. Poi se ne andò purtroppo”. Ma che espulsione fu? “In un contrasto a metà campo lui alza la gamba tesa, senza toccarmi però, ed io mi metto a muso duro davanti a lui. Quindi con una manata mi spinge a terra, magari ho ingigantito un po’, ma lì l’arbitro – e lo disse Diego a fine gara - si fece ingannare

dal guardalinee che parlò di sua gomitata e mia testata. Tanto è vero che lo stesso Maradona mi scagionò. Alla fine lui prese una giornata e io due, ma col ricorso me ne rimase una solo a me come capitano, quindi alla fine cornuto e mazziato. Ho marcato anche Platini”. Chi il più forte tra i due? “Maradona sicuramente”. Chiudiamo: nel calcio d’oggi solo agonismo? “Mah, in verità non ti è permesso più niente, neanche una scivolata che si fischia tutto e di più, ormai non puoi toccare più nessuno. Ma soprattutto sono cambiati i giocatori, diventati vere

aziende individuali e ognuno tira acqua al suo mulino. In ritiro una volta trovavi i calciatori nella hall che giocavano a carte, ridevano e scherzavano insieme. Oggi sono tutti in camera con le cuffie e il cellulare ma così non si socializza e non si fa gruppo. Preferisco il passato perché noi eravamo legati all’ambiente, vivevamo di più la città a contatto coi tifosi. Ora non puoi vedere un allenamento, sempre a porte chiuse. Una volta invece aspettavi i giocatori a fine seduta, facevi le foto, oggi è tutto ovattato. Non sono all’antica perché comunque fino a 3 anni fa ero a Cremona in B, e due anni prima a Verona in A. E’ cambiato molto e non in meglio. E poi c’era anche più libertà a livello di comunicazione: oggi invece parla uno ed i giornalisti scrivono tutti la stessa cosa, non è bello così ma direi che la società è cambiata”. A quest’estate…nelle acque limpide di Soverato… * pubblicate Castillo, Galetti, Sinopoli, Gigliotti, Scardamaglia, Sestito, Forte, Lucchino, Rogazzo, Ammirata, Samele, Sorace, Rigoli, Pagni, Zizza, Vanzetto, G.Mauro, Gatto. continua…

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Le perle di Ciccio Scalise

FHATTARIALLI CURIUSI DI PAISI 4 Nù jiuarnu, a unu chi si chjiamava Giuseppi, anu arristatu, i Carbiniari, anu scupertu cà, avia arrubbatu, ntrà caserma dissi allu Marasciallu cà muglieri avia dd’abbisari, e quindi, nù Carbiniari, nù bbuggliettu cci’avia ddi purtari. Carta e ppinna dù Marasciallu ha bbulutu, e arranciandu, accussì ha scrivutu, “Cara Annita, importanti mpegni mi chjiamanu altrovi, non ssaccio quandu tornu, ti cumunicu si ccì sunu novi” Illu si chiamava Giuseppi e Ilà muglieeri Annita, cumu Garibardi, certi voti, cchì scherzi fhà Ilà vita. C’era unu pocu ntelliggenti, chi alla fhravica fhatigava,

ogni jjiuarnu vricciu e ggimentu mpastava, e ddà vita, povariallu, un ndì gudia nnenti. Nù jiuarnu, u mastru fhravicaturi, nù sulaiu ha jjittatu, e ll’operaji, u nuastru cumpresu, s’anu cripatu, ppì Ili ringrazziari, quandu là ppagati, a tutti, nù pocu i sordi i cchjiù ccià ddati. Siccomi u povaracciu ù Ilù capiscia, ha ddittu allu mastru cà, i sordi sua vulia, “Tù mà dari a bbillizza i tricciantu liri, a mmia un mmi mbruagli, và vidi nduvi a jiri”. Era Ilà vita chi certi voti sì divirtia, cci’avia ddatu quasi u doppiu, mà, ù Ilù capiscia.

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PRESENTATO AL MISE IL PROGETTI PILOTA LAMETINO SMART ARENA Lameziaeuropa in qualità di Soggetto Responsabile dei Patti Territoriali Lametino ed Agrolametino ha presentato al Ministero dello Sviluppo Economico entro la scadenza del 15 febbraio scorso il Progetto Pilota SMART ARENA per un importo complessivo di contributo richiesto pari ad euro 9.971.124,11 sulla base del budget complessivo previsto dal Bando pari a 10 milioni di euro per singolo progetto. Il progetto pilota SMART ARENA, da realizzarsi sulla base del crono programma degli interventi pubblici e privati previsti in 36 mesi dal finanziamento accordato, è costituito dall’intervento pubblico unitario LAMETINO DIGITAL LAND che prevede un contributo di 7,5 milioni di euro presentato dal Comune di Lamezia Terme in qualità di Comune Capofila dei 21 Comuni del Comprensorio Lametino Area di Patto e da 30 Programmi di innovazione tecnologica presentati da PMI ubicate nell’area di Patto ( 20 a Lamezia Terme, 5 a Soveria Mannelli, 2 a Falerna, 1 a San Mango D’Aquino, Gizzeria e Maida) che prevedono un contributo complessivo di euro 1.992.308,68. A ciò si aggiunge la quota di euro 478.814,43 per la gestione, assistenza tecnica e rendicontazione del progetto da parte del soggetto responsabile ripartita dal bando in 5 anni. Gli investimenti complessivi previsti dal progetto pilota sono pari ad euro 11.492.617,35 comprensivi della quota di compartecipazione attraverso l’apporto di mezzi propri da parte delle 30 PMI ammesse. Per Leopoldo Chieffallo e Tullio Rispoli, presidente e dirigente della Lameziaeuropa spa “Con questo bando del Mise e con la proposta che emerge dal territorio lametino si è recuperato lo spirito originario dei Patti Territoriali basato su una fattiva concertazione istituzionale mirata alla condivisone delle scelte e strategie di sviluppo locale ed alla valorizzazione e crescita competitiva di tutto il territorio area di Patto. Il Progetto Pilota SMART ARENA presentato al MISE dal territorio Lametino rappresenta un esempio di Buone Prassi di collaborazione ed integrazione tra Enti Locali ed Imprese per fare rete e rafforzare la coesione istituzionale e territoriale nello spirito originario e nella logica positiva di fattiva concertazione dal basso dello sviluppo locapag. 10

di Tullio Rispoli

le alla base dei Patti Territoriali. Fare rete tra tutti i Comuni, avere una visione territoriale unitaria nella elaborazione del progetto da presentare attraverso il Bando Mise che ha permesso di superare la logica dei singoli interventi e di elaborare una proposta condivisa che mira alla valorizzazione e crescita competitiva di tutto il territorio area di Patto, a contribuire a riqualificare il territorio attraverso gli strumenti legati alla transizione digitale, a ricucire il rapporto tra area urbana ed aree interne, tra la Città di Lamezia Terme ed i 20 Comuni del Comprensorio Lametino, a proporre un esempio di buone prassi attraverso una Governance Innovativa Unitaria e condivisa con un’unica stazione appaltante che permette ottimizzazione delle risorse pubbliche ed abbattimento dei tempi burocratici finalizzati alla realizzazione celere degli interventi previsti contenuti nei 36 mesi del crono programma”. Per tali obiettivi raggiunti, frutto del lavoro di promozione del Bando ed animazione territoriale svolto nel periodo dicembre 2021 – gennaio 2022 nonostante le difficoltà operative legate al perdurare della emergenza pandemica, il Consiglio di Amministrazione della Lameziaeuropa ringrazia il Sindaco di Lamezia Terme Paolo Mascaro ed il dirigente Antonio Califano, tutti i Sindaci del Comprensorio Lametino che hanno aderito e collaborato fattivamente alla definizione del progetto unitario con i loro contributi propositivi frutto della conoscenza specifica del territorio, i segretari comunali e le strutture tecniche comunali, il deputato Domenico Furgiuele, il Consigliere Regionale Pietro Raso, lo staff operativo della società Arkadiusz diretto e coordinato da Giampaolo Varchetta che con la sua assistenza tecnica ha supportato in tutte le fasi operative la società Lameziaeuropa nella redazione di tutti gli elaborati del bando tra cui il Progetto Pilota, lo Studio di Fattibilità Tecnico – Economica, l’analisi costi benefici sulla fattibilità economico finanziaria e gli ulteriori allegati previsti dall’Avviso di cui al Decreto Direttoriale MISE del 30.07.2021. Entro 120 giorni dalla presentazione delle proposte progettuali il MISE definirà la graduatoria con i progetti pilota finanziati su tutto il territorio nazionale a valere sulle risorse residue dei Patti Territoriali pari a 105 milioni di euro.

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Lamezia e non solo


Più verde a Civico Trame: 30 nuovi alberi donati da Legambiente arricchiscono i giardini di Via degli Oleandri “Ti regalo il futuro. Domenica verde per famiglie” è l’iniziativa promossa da Legambiente nei giardini di Civico Trame per ampliare e valorizzare gli spazi verdi in città a partire da un avamposto di cultura e legalità come il presidio gestito dalla Fondazione Trame e dall’Associazione Antiracket Ala nella periferia lametina. Una giornata all’insegna della sensibilizzazione ambientale e delle pratiche sostenibili che ha visto la partecipazione di famiglie e bambini in maschera, e il coinvolgimento del Sistema Bibliotecario Lametino e di TeatroP. L’idea che ha dato origine alla sinergia tra le associazioni era quella di “donare gli alberi ai bambini e farli crescere insieme a loro”, come spiegato dagli organizzatori. Così, nella mattinata di ieri le bambine e i bambini intervenuti hanno avuto l’opportunità di vivere l’esperienza della piantumazione, supportati dai volontari di Legambiente Lamezia Terme. Su ciascuna pianta poi è stata posta una piccola targa in legno recante il nome di colei o colui che le ha dato vita e che potrà prendersene cura nel tempo ammirandone la crescita. La scelta di piantare degli alberi è stata un invito ad apprezzare un gesto semplice quanto antico di gratitudine, amore e speranza verso il pianeta e le nuove generazioni, tanto più in questi giorni caratterizzati da incertezze e timore per quello che accadrà. La giornata è stata animata dalle letture ad alta voce a cura delle ragazze di TeatroP e dai libri per bambini e ragazzi messi a disposizione dal Bibliobus del Sistema Bibliotecario Lametino. Ecologia, cultura e legalità sono stati il fil rouge della giornata green organizzata da Legambiente e Civico Trame, mantenendo vivo il rapporto di collaborazione nato dall’esperienza di Trame. Festival dei libri sulle mafie in occasione del quale la delegazione nazionale dell’associazione ambientalista fornisce in anteprima i dati calabresi del “rapporto Ecomafia” raccolti ogni anno per fotografare le storie e i numeri della criminalità ambientale nella nostra regione. “Abbiamo pensato al Civico Trame perché si occupa di temi sociali e legalità”, ha detto in apertura il Presidente del circolo Legambiente Lamezia Gianni Arena. “I venti di guerra hanno travolto paesi a noi vicini e questo ci fa riflettere: avere un occhio di riguardo per l’ambiente che ci circonda significa anche occuparsi delle vicende che si sviluppano intorno a noi, e aiuta la comunità a fare sempre meglio. Più bellezza e cura dell’ambiente c’è, più si evitano situazioni drammatiche”. E questo era il senso dell’appuntamento che ha voluto coinvolgere varie realtà del territorio, tra cui anche i ragazzi dell’associazione Malgrado Tutto che hanno contribuito nel lavoro di piantumazione e i Vivai Milone che hanno provveduto alla fornitura di alberi di varie specie. Alla manifestazione sono intervenuti il sindaco Paolo Mascaro e il vicesindaco Antonello Bevilacqua. “Mi rivolgo ai più giovani che, nati in Italia, danno per scontato che ci siano pace, solidarietà, rispetto per l’ambiente. In realtà tutto ciò che accade e accadrà nell’umanità sarà figlio e frutto di ciò che riusciremo a insegnare – ha detto l’avv. Mascaro - Questa iniziativa e questi alberi spiegano ai bambini presenti che anche attraverso una pianta si può trasmettere vita e futuro. Piantarli a Civico Trame, un luogo di socializzazione e crescita, è un ulteriore segno. L’antidoto Lamezia e non solo

alla capacità della degenerazione dell’agire è la trasmissione del pensiero positivo, per evitare che idee nefaste prendano il sopravvento. Questo è proprio il momento di centuplicare gli sforzi per la diffusione positiva del pensiero, è l’antidoto alla superficialità e all’ignoranza, madri di tutte le guerre”. Di recente l’articolo 9 della Costituzione italiana ha introdotto la salvaguardia dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, recitando: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità· e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”. Una svolta in chiave sostenibile per dare seguito ai dibattiti sull’inquinamento che stanno modificando in maniera sostanziale le abitudini e gli stili di vita di tutti noi. In questa stessa ottica, la “domenica verde” di Civico Trame, che vuole diventare un appuntamento mensile fisso, con lo stesso coinvolgimento di famiglie e associazioni come preannunciato dalla direttrice della Fondazione Trame Cristina Porcelli, è un’opportunità per riappropriarsi e prendersi cura degli spazi esterni, cooperando e facendo rete, conciliando sostenibilità, lotta alle mafie e cultura, e aggiungendo una nuova e più consapevole visione green alle pratiche di educazione alla sensibilità critica e civica che da tempo Civico Trame coltiva e promuove attraverso attività che stimolano la partecipazione e la cittadinanza attiva. “Educare alla bellezza per sconfiggere la paura e la rassegnazione”, come diceva Peppino Impastato. Questa e le altre attività che confluiscono nelle rassegne Civico Verde e Civico Legge di “Civico Aperto 2021-22”, con il sostegno di Camera di Commercio, contribuiscono ad un’azione organica di rigenerazione sociale condivisa che prosegue il percorso di comunità e riscatto sociale che l’Associazione Antiracket Lamezia e la Fondazione Trame hanno già avviato nel quartiere.

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a riveder ... le stelle di Flaviana Pier Elena Fusi

di Edoardo Flaccomio

Kon Tiki Illac Viracocha

L’AMORE OLTRE LA GUERRA Eros e non c’è più ragione Che resta muta quando avvampa quell’attrazione Si scatena, ti incatena Nulla più vale la pena Solo a lui vuoi arrivare È facile lasciarsi soggiogare Dal piacere a cui vuoi appartenere Perché l’istinto vuole sapere Quanto amore potrai dare E quanto ti vorrà ricambiare Condividi quello sguardo Lanciato come un dardo Un’arma perfetta Che difficilmente lascia andare la stretta Quando Eros è a guidare La vita si avvicina al mistero celestiale Ti porta esattamente dove devi stare. Consiglio: lasciamoci prendere da un erotico amore, si arriva così più in fretta al cuore. Flaviana Pier Elena Fusi

Il soldato-sacerdote Cieza de León, un autorevole cronista dell’antico Perù, narra di un barbuto uomo bianco comparso sulle rive del lago Titicaca molto prima dell’impero Inca. Aveva una grande personalità e istruì la gente di allora ai costumi dell’universale. Comandò loro di amarsi, di rifuggire la violenza. Quell’uomo si chiamava Kon Tiki Illac Viracocha, figlio del sole, sceso dal cielo con un serpente tonante costruì la grande città di Tiahuanaco. V’era una piramide, sulla cui sommità sorgeva una splendida costruzione dorata. Le aperture affacciavano sull’immenso lago montano, i cui lucori accecavano gli occhi della sacerdotessa Annek, discendente di Nina, dea dei vulcani. Amata da tutti, compariva sulla piramide seguita dal suo seducente uomo dal nome impronunciabile. Il popolo acclamava Annek per la sua saggezza e per l’erotica bellezza. Si racconta che quando faceva l’amore col suo uomo, i gridolini di godimento si espandevano nell’aria, generando erotismo nei corpi di chi li percepiva. I mugolii d’amore della sacerdotessa, amplificavano il suo potere, volto a rendere il popolo degno di una vita all’insegna della felicità. Nulla era lasciato al caso, i numi le parlavano e la sua audacia e temerarietà, la rendevano una guerriera impeccabile. A sua volta figlia della passione e dell’eros, il suo unico scopo era mantenere l’ordine universale e dichiarare apertamente il significato della vita: generare bambini felici di esistere. Edoardo Flaccomio

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Lamezia e non solo


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