Lameziaenonsolo febbraio 2021 massimo sdanganelli

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cultura

Una guida illustrata in italiano e in inglese per far conoscere Lamezia Terme

di Giovanna De Sensi Sestito e Stefania Mancuso di Giovanna De Sensi Sestito

scenari e nuove azioni per la comunità attuale. I beni culturali oggi, elementi di una nuova narrazione dei territori, sono investiti di una concezione viva, tesa a creare rinnovati strumenti di costruzione culturale, identitaria, sociale, economica e politica di una comunità. L’ausilio di illustrazioni, di guide brevi, di strumenti di conoscenza agili è necessario per costruire consapevolezza del valore del patrimonio culturale prima tra i residenti e poi tra quanti vogliano frequentare il territorio, anche attraverso la fruizione turistica. Con queste finalità era già stata realizzata nel 2008, come esito di un progetto di ricerca dell’Università della Calabria, una guida ai monumenti a tiratura limitata e da tempo non più disponibile. Questa nuova edizione riprende, aggiorna ed amplia i testi della precedente, proponendo un percorso di conoscenza della città che parte da Sant’Eufemia, da considerarsi anche punto di arrivo di ospiti e turisti per la presenza dell’aeroporto, della Stazione ferroviaria e delle linee di Bus a lunga percorrenza, e culmina nella parte più alta della città dominata dal castello normanno-svevo. Crediamo che essa rappresenti un utile strumento di conoscenza e promozione della città anche per la presenza della traduzione in inglese realizzata da Madeleine O’Neill, autrice anche dei disegni dei monumenti che illustrano il percorso proposto.

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I segni materiali della storia, stratificati ormai nella percezione visiva del paesaggio moderno, mostrano la vicenda millenaria che ha caratterizzato il territorio della città di Lamezia Terme, nata poco più di cinquant’anni fa dall’unione dei tre comuni limitrofi di Nicastro, Sambiase e Sant’Eufemia. Se il contesto naturale costituisce lo sfondo e la cornice entro cui si è svolta nel corso dei secoli la vita delle comunità umane che vi hanno vissuto, è il paesaggio culturale a consentire la lettura e la narrazione dei segni materiali lasciati dall’uomo sul territorio sia in relazione alle trasformazioni introdotte, di epoca in epoca, per adattarlo alle esigenze abitative, allo sfruttamento delle risorse, alle esigenze di difesa, sia in relazione alla organizzazione dello spazio urbano e a tutte le costruzioni architettoniche ad esso connesse. La definizione di monumento (dal latino monére fare ricordare) ci indica che i segni della storia non sono reliquie da contemplare, ma piuttosto nodi attivi di una trama, che deve essere tessuta con la memoria di ciò che essi hanno rappresentato e la partecipazione condivisa della comunità, perché il territorio non sia considerato solo spazio fisico in cui vivere, ma piuttosto tessuto connettivo in cui percepire e comprendere il senso dell’antico attivato dalle rovine stesse, adeguatamente valorizzate, e correttamente rintracciato nel paesaggio culturale. Riconoscere il valore del paesaggio culturale del Lametino significa riannodare il filo della storia antica con le istanze del mondo moderno, dando senso alle storie che accomunano il territorio, utili a creare una rinnovata unità in cui la comunità deve identificarsi e ritrovarsi. In questa prospettiva il patrimonio culturale è patrimonio di tutti, non solo in quanto proprietà materiale, ma piuttosto come riconoscimento Bella Nicastro di quella che oggi si definisce cultural heritage ambiase ossia eredità culturale intesa come senso di appartenenza e riconoscimento del valore immateriale del patrimonio culturale da riconoscere, condividere, custodire, tutelare e valorizzare. Questo processo non può che attivarsi attraverso la promozione della conoscenza esercitata con i mezzi più vari, utili a far considerare i segni del passato come pezzi di una memoria Lamezia Terme collettiva su cui far convergere nuovi interessi, € 00,00 non per una mera conoscenza statica, ma, piuttosto, per utilizzare il passato come strumento di interpretazione dell’oggi, per costruire nuovi Piazza Mazzini

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LAMEZIA TERME

Un percorso illustrato nella città An illustrated tour of the city

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Edizione aggiornata, ampliata e corredata di traduzione inglese, di un esemplare elaborato nel 2008 stampato in tiratura limitata. Illustrazioni e traduzione inglese di Madeleine O'Neill

© 2020 - Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale di testi e immagini.

Finito di stampare nel dicembre 2020 da Tipografia Perri - Lamezia Terme

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Illustrations and translation into English by Madeleine O'Neill

ISBN 000-00-00000-00-0

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Revised, enlarged edition, including an English translation, from a prototype published in a limited edition in 2008, All rights reserved. No part of the texts and images of this publication may be reproduced. Printed on december 2020

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Lamezia e non solo


lameziaenonsolo incontra

di Nella Fragale

Massimo Sdanganelli

Massimo Sdanganelli, nato a Nicastro, ora Lamezia Terme, cominciamo a parlare della sua fanciullezza … come era per un bambino vivere a Nicastro e come è, secondo lei, vivere a Lamezia per un bambino oggi. Le faccio questa domanda perché so che ha nipoti e pronipoti ed essendo la vostra una famiglia molto unita, sicuramente avrà potuto notare le differenze . Ho vissuto la mia infanzia assolutamente serena nell’immediato dopoguerra in una famiglia tradizionale e molto attenta all’educazione ed alla sicurezza dei figli. Giocavamo in strada davanti casa sotto il controllo della Mamma che ci controllava dalla finestra. Per noi la vita era abbastanza semplice tanto che, a differenza di oggi, riuscivamo ad inventarci i giochi, a costruirci qualcosa con cui giocare. Ricordo i carretti o il monopattino, costruiti utilizzando qualche vecchio cuscinetto, il pallone fatto di vecchie stoffe, “ u strumbulu”. Le serate invernali con la famiglia, tutti insieme intorno alla ruota con il braciere che ci forniva non solo il calore per riscaldarci ma l’opportunità di stare insieme e poter parlare. Poi l’Asilo presso le suore, la scuola, la frequenza della Parrocchia che ci ha formato, mentre gli anni passavano ed il tenore di vita migliorava sotto ogni aspetto. Siamo cresciuti in modo sano, pieno di valori e consapevolezza che la famiglia è il bene più prezioso in cui confidare. Sentimenti tutti che abbiamo conservato intatti e che cerchiamo di trasmettere alle nuove generazioni. Naturalmente conservo, come pure i miei fratelli, un ricordo grato e pieno di amore per i nostri Genitori. La Città era piccola e praticamente ci conoscevamo tutti. Lei era pro o contro l’unione dei tre comuni? Ho vissuto in prima persona il periodo entusiasmante della proposta dell’Avv. Perugini, al quale sin da allora ero molto vicino, per l’ unificazione dei tre comuni, proposta che ho sempre condiviso per la prospettiva che veniva ad offrirci. Peraltro, si era negli anni 60, e vivevo già da allora l’impegno politico nel Partito. Si discuteva tanto e perciò ero interessato al percorso intrapreso per creare la nostra nuova realtà, che purtroppo, per deprecabili campanilismi e per l’egoismo di tanti, non ha avuto l’evoluzione desiderata Lei è un politico di vecchio stampo, come è cambiata la politica nel tempo? Esistono ancora partiti politici che hanno alti ideali e non perseguono i loro scopi? Essere definito un politico di vecchio stampo, è motivo di orgoglio. Come appreso dai Politici di allora, la Politica è cosa seria e nel praticarla mi sono sempre attenuto ai principi di lealtà, allo spirito di servizio verso la comunità. I partiti del passato erano una palestra che formavano la classe dirigente e che, attraverso un severo “cursus honorum”, consentivano la effettiva partecipazione, l’affinamento delle proprie opinioni, la conoscenza dei veri valori del servizio alla comunità. La politica di oggi è solo per alcuni una possibilità di carriera veloce, fatta, in larga parte, di opportunismo privo di idealità a cui ispirarsi. Si passa da un partito all’altro senza vergogna al solo scopo di ottenere Lamezia e non solo

potere e danaro. Da qui deriva la crisi della politica. Si bada solo a se stessi e non a noi E’ entrato in politica giovanissimo, nelle schiere della Democrazia Cristiana, cosa la ha spinta verso questa scelta? Il fatto che lei fosse un fervente cattolico? Parlare della Democrazia Cristiana nella nostra famiglia era pane quotidiano. Ascoltavo anche la radio e sentendo parlare dei vari personaggi che all’epoca guidavano la rinascita dell’Italia la mia curiosità mi spingeva a cercare di ampliare le mie conoscenze. Sturzo, De Gasperi, Fanfani, Piccioni e tanti altri diventavano per me ogni giorno sempre più familiari. E per non parlare dei comizi dei politici di tutti i partiti che seguivo con grande interesse con tanta gente intorno. Ho ascoltato tanti oratori che affascinavano con le loro parole e che mi spingevano a capire quanto avveniva sia nel nostro piccolo ambito cittadino, ma anche a livello più ampio. Questo ha aperto la mia mente e mi ha spinto ad aggregarmi al Partito, la Democrazia Cristiana, che maggiormente soddisfaceva le mie convinzioni ed al quale, sin da giovanissimo, con entusiasmo e con spirito di servizio ho aderito. Certo hanno influito molto l’ ambiente familiare, la parrocchia, l’Azione Cattolica. La vicinanza poi, con Arturo Perugini mi ha consentito di imparare tante cose e gradatamente mi ha spinto ad impegnarmi in prima persona nel servizio della mia Città. Ho creduto fermamente nella possibilità di poter contribuire, con modestia ma anche con grande dedizione e consapevolezza, all’amministrazione civica ed ho assunto vari ruoli, da consigliere ad assessore, con i quali, caparbiamente ho realizzato iniziative concrete che ancora oggi vengono ricordate dai tanti concittadini che costantemente mi dimostrano stima ed amicizia. Lei ha fatto tantissimo per Lamezia, pur senza mettersi mai in mostra, con eleganza e sobrietà. Ora le farò una serie di domande sui vari incarichi che ha ricoperto e lei mi risponderà, magari parlando di ciò che ha fatto e che le sta particolarmente a cuore di quel determinato periodo Naturalmente per potermi dedicare a questa fantastica attività, senza dipendere da nessuno, sono entrato giovanissimo nel mondo del lavoro, nel quale ho trovato una cosi importante mia realizzazione, nel settore privato (Milano assicurazioni, Vide sas di Milano), che mi diede una grande opportunità quella di Ispettore delle Agenzie che la Società gestiva in Calabria. Avevo solo vent’anni, ero economicamente indipendente ed avevo aperto un mio Ufficio, nell’allora Piazza Fiorentino. Alla morte di mio Padre decisi di lasciare il lavoro autonomo per avere maggiori certezze e poter stare vicino a mia Madre. Partecipai ad un pubblico concorso ed entrai nell’Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri, prima come assistente tecnico, poi come insegnante tecnico pratico, dove ho lavorato per tanti anni sino al pensionamento. Grande soddisfazione ho avuto dai vari Presidi che si sono succeduti nel tempo, dai Colleghi e dagli alunni, che ancora oggi mi dimostrano stima ed affetto. Ho fatto il mio dovere con serietà ed abnegazione e non ho mai negato ad alcuno la mia disponibilità ed esperienza.

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Consigliere Comunale di Lamezia Terme dal 1970 al 1990, quindi per ben 20 anni, quando Lamezia Terme era ancora una “neonata”, cominciamo con l’assessorato con delega allo sport e decentramento amministrativo del personale al turismo. Cosa ricorda di quel periodo? Un particolare ricordo risale al 1970 quando si doveva eleggere per la prima volta il Consiglio Comunale della nuova Città. Il comitato provinciale della DC ostacolava il Senatore Perugini, tentando di vietargli di inserire nella lista elettorale alcuni suoi amici. Siccome Perugini non era tipo da sottostare a dictat inaccettabili nella forma e nella sostanza, creò una propria lista di democristiani con il simbolo del “Carroccio” che rappresentava appunto la difesa dell’autonomia dei Comuni. Fu un grande successo. La lista del Carroccio ebbe tanti voti da consentire che il Sen. Perugini fosse il primo eletto e conseguendo un risultato lusinghiero con l’elezione di ben sette consiglieri tra i quali io, il più giovane tra gli eletti non solo della lista ma dell’intero consiglio. Forte fu l’entusiasmo per avere raggiunto quel risultato. Io non avevo alcuna intenzione di candidarmi in quanto non mi ritenevo pronto al ruolo per la giovane età e per la consapevolezza che, pur avendo fatto vita di partito in diversi organismi, ritenevo di dover maggiormente acquisire esperienze. Fu il Sen. Perugini ad insistere dicendomi che la nostra lista non poteva privarsi di un vero democristiano. E’ stato anche assessore con delega alle finanze e programmazione economica, un incarico impegnativo, quali progetti ha iniziato e quali portati a termine con tale carica? Nel periodo compreso tra il 1976 ed il 1978, quando fui nominato assessore alle finanze, le finanze comunali erano particolarmente sofferenti. La gestione della finanza locale aveva meno vincoli burocratici e con un po’ di coraggio si riusciva a gestire le vere necessità della Città facendo si salti mortali, e ciò grazie alla preziosa collaborazione del personale del Comune ed in modo particolare del Direttore di Ragioneria, allora la Dott.ssa Jole Montesanti, alla quale sono riconoscente per la collaborazione fornita. Tra i tanti problemi affrontati ricordo particolarmente l’attività per il recupero di ingenti somme relative ai debiti fuori bilancio (la legge Stammati), la revisione delle entrate con l’accurato accertamento delle evasioni dei tributi che consentì l’aumento delle entrate e che consentirono all’Amministrazione l’accensione di mutui con la cassa Depositi e Prestiti e di conseguenza maggiori opportunità di lavori pubblici nei vari settori. E ancora è stato Assessore con delega alla polizia urbana, commercio e turismo. Di cosa si interessava in particolare? Tra le tante iniziative attuate ricordo particolarmente l’ organizzazione di un convegno con la partecipazione dei corpi di polizia municipale dell’Italia meridionale. In quella occasione fu lanciata l’idea della creazione di una scuola regionale per i corpi di polizia Municipale oltre ad un aggiornamento sulle nuove competenze trasferite dalla P.S. alle polizie locali; l’installazione in molti punti della città di semafori muniti di pulsanti

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per chiamate pedonali in particolare nelle zone vicine alle Scuole; l’ampliamento dell’organico del Corpo della Polizia Municipale, sempre in difficoltà numeriche, attraverso un concorso. Continuando con i ruoli istituzionali ci vuole parlare dell’assessorato con delega alla pubblica istruzione cultura, turismo e sport? Vorrei dire che io la ricordo in questo ruolo perché si occupò degli spettacoli teatrali e ricordo anche le matinée per portare gli studenti a teatro Nel settore scuola fu importante da parte mia, nel ricoprire la carica di assessore P.I. la massima disponibilità ad interventi mirati per rendere gli edifici funzionali. La costanza nella risposta puntuale ad ogni esigenza, che perveniva dai Direttori e dai Presidi. Furono completati e progettati molti edifici di scuole materne, Medie e superiori. Da considerare che a quei tempi le scuole, di ogni ordine e grado erano di competenza degli Enti Comunali. Solo gli Istituti Tecnici e Scientifici erano della Provincia. Di conseguenza, sia la costruzione che la manutenzione erano assegnate in grande parte al Comune. Lamezia è stata una delle prime amministrazioni ad Istituire il Centro psico-pedagogico che seguiva i bambini con disagi, che avevano maggiormente bisogno di attenzioni. L’evasione scolastica fu ridotta in misura importante. Nel campo della Cultura, ampio spazio è stato riservato, con la ripresa dell’attività con la stagione teatrale, favorendo in modo particolare la partecipazione dei giovani attraverso agevolazioni sugli abbonamenti. Ricordo le iniziative per il giugno Lametino con la festa di S. Antonio e dei SS. Pietro e Paolo; le manifestazioni, anche nei mesi estivi, che si richiamavano grandi folle provenienti dai paesi del circondario e non solo. In estate una grande partecipazione nel mese di agosto alle manifestazioni programmate per rendere l’estate più gradevole a chi rimaneva in città. Da ricordare la serata con il gruppo Brasiliano, che porto in città gente proveniente da tutti i villaggi turistici presenti sulla costa. Con la Delibera del Consiglio Comunale n. 142 del 10 dicembre 1989 fu deciso su mia proposta l’istituzione del Museo archeologico approvato all’unanimità . E’ stato anche componente dell’assemblea generale dell’unità sanitaria locale di Lamezia Terme con l’incarico di vicepresidente. Mi dica la situazione della sanità era anche allora così ingarbugliata e traballante come oggi? Non si dimentichi il prestigio della Sanità, retta da un Comitato di gestione e dall’Assemblea generale che mi vide vicepresidente, e che aveva il suo fiore all’occhiello nell’Ospedale nel quale esercitavano l’attività medica primari di alto valore professionale e dove erano in funzione molti reparti che altri ospedali della regione non avevano e che ora, purtroppo, sono state eliminati. Cosa ha significato per lei la carica di assessore? Qual è il bilancio che può fare degli anni che ha dedicato a questo ruolo? Ricoprire innanzitutto una responsabilità per servire la mia comunità. In questa funzione mi sono sempre collocato ponendomi in ascolto dei

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problemi nelle varie deleghe che mi sono state assegnate, cercando di capire cosa si doveva fare e cosa poteva essere rinviato. E’ stato, per quanto mi riguarda, un grande privilegio avere avuto la possibilità di poter operare per risolvere i tantissimi problemi che si dovevano affrontare per rispondere pienamente alle esigenze dei cittadini. Problemi economici con risorse non adeguate rispetto ai bisogni, carenza di personale, non adeguato alle esigenze determinatesi con l’unificazione dei tre ex comuni. Ciò in parte superato con la legge Anselmi 285 che potenziò l’organico e di cui dovetti occuparmi. Mi chiede un bilancio: quello di cui vado fiero, anche se sono trascorsi diversi anni, ricevere oggi rispetto e considerazione dai miei concittadini e di quanti hanno avuto rapporti con me, per esigenze, per problematiche scolastiche, in modo particolare, iniziative culturali, di sport etc. Lei vede qualche similitudine fra i ruoli degli assessori di quegli anni e quelli di oggi? Riterrei proprio di no. L’Assessore nel tempo in cui mi sono trovato ad operare, aveva una sua autonomia riconosciuta dal Sindaco, utile a far funzionare la macchina amministrativa ed a cui affidava le deleghe per le funzioni da svolgere. Il Sindaco, come gli Assessori, venivano eletti dal Consiglio Comunale tra i 40 consiglieri eletti. La riforma, successivamente intervenuta, oltre a ridurre a 30 i consiglieri, riteneva di tendere a snellire le procedure ed invece ci troviamo con maggiore burocratizzazione dell’apparato amministrativo ed ampi poteri ai dirigenti. Possiamo affermare che, comunque, le amministrazioni comunali godevano di maggiore libertà mentre oggi è tutto talmente burocratizzato che, spesso, non si riesce a portare a termine un piano perché tutto si perde in mille rivoli? Le amministrazioni godevano certamente di maggiore autonomia. I controlli agli atti avvenivano attraverso il Segretario Generale che veniva nominato dal Ministero degli Interni, dal Direttore di Ragioneria e per i problemi tecnici dal Capo dell’Ufficio Tecnico con la firma dell’assessore proponente. La riforma ha scisso le funzioni, delegittimando la figura dell’assessore nominato, accentrando ai dirigenti ampi e troppi poteri. Prima di passare ad altro vorrei che lei mi dicesse il suo pensiero su quanto sta accadendo alla politica in generale ed alla nostra città in particolare Bisogna far ritrovare la fiducia e la voglia della gente, ed in particolare ai giovani, ad avvicinarsi alla politica senza la quale non ci si può improvvisare. Oggi e pur vero che non esistono più sezioni di partito e quelli che aprono, sono in gran parte, in previsioni di competizioni elettorali. Nel tempo in cui mi sono cresciuto i partiti avevano una loro sede verso la quale iscritti o simpatizzanti si avvicinavano decidendo di frequentarla e partecipare così alla vita politica. Ritengo che i partiti, attraverso comportamenti di alcuni esponenti, han-

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no ingenerato un senso di disgusto verso la politica che è invece un ideale che deve essere sentito, praticato per poter dare risposte concrete e altruistiche. Oggi, purtroppo, manca la “politica” vera che conduca al ritrovamento da parte dei giovani, di quegli ideali che furono tanto cari ai padri Costituenti. Quale dovrebbe essere, a suo avviso, il ruolo della politica nel rapporto con le nuove generazioni Porsi in ascolto per capirne i bisogni. Valorizzare le tante capacità che per lo più sono rimaste inascoltate. Recuperare la fiducia verso la politica con azioni concrete che rifuggano dalle logiche di strumentalizzazioni. Creare opportunità per fornire fiducia per le prospettive future dei giovani, che possono, essere, purtroppo, non senza difficoltà. Teatro e sport, mi sento di affermarlo, sono sempre stati nel suo cuore e si è battuto molto per ottenere validi risultati, vogliamo parlare, a tal proposito, del Centro Nazionale Sportivo Libertas? Verso il Teatro ho posto ogni consentito interessamento, non solo con la programmazione di stagioni teatrali di alto valore artistico, ma incoraggiando le tante iniziative che il mondo della scuola intendeva realizzare con “ I Ragazzi in Gamba” che ha indirizzato tanti ragazzi verso le varie forme teatrali. L’obiettivo era quello di formare gioventù interessata verso queste discipline (teatrali, musicali danza). Non sono stato uno sportivo praticante ma mi piace ricordare tra le tante cose fatte di essere stato anche Arbitro di calcio della AIA - FIGC e di avere promosso tante attività tra le quali quelli del Centro Nazionale Sportivo Libertas (Ente di promozione sportiva) come dirigente Provinciale, Regionale e Nazionale, ricoprendo anche l’incarico nella giunta esecutiva. Furono organizzati i Campionati di nuoto alla Marinella di Lamezia Terme così come i campionati di sci a Camigliatello Silano con la partecipazione di oltre 300 giovani atleti provenienti da tutto il territorio Nazionale. Se invece le dico Rotary ? Devo riconoscere che attraverso il Rotary ho consolidato il mio senso nel service di cui sono stato sempre convito fautore. Fui invitato ad aderirvi nel 1978 e da allora ne faccio parte con la voglia di rendermi utile per gli altri. Del Rotary International del Club di Lamezia Terme sono stato impegnato a svolgere il Presidente, componente di vari direttivi ed incarichi Distrettuali, di Assistente del Governatore, ruolo che occupo tuttora, e di varie Commissioni. Mi faccio guidare, cosa che sempre ho tenuto presente, del motto del Rotary “ Servire al di la di ogni interesse personale”. Continuando con i riconoscimenti, cosa mi dice dell’“Accademia Hera Lacinia”? Sono stati diversi i riconoscimenti che mi sono stati attribuiti, questo in particolare “Hera Lacinia” quale socio Accademico, mi ha particolar-

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mente fatto piacere averlo ricevuto. Abbiamo già detto che lei è molto religioso, un suo pensiero sulla Fede? In famiglia sono stato educato al senso religioso. La fede va vissuta in particolare guardando all’altro come fratello, con disponibilità, con altruismo, comprensione. Concepisco la fede nei fatti e non nelle parole, silenziosamente senza apparire. Le piace Papa Francesco? Un papa che sta cercando di amalgamare, nel rispetto della religione cattolica, il vecchio con il nuovo? Lo seguo con attenzione e Fede. Sta vivendo con impegno notevole, un momento di grandi cambiamenti che ritengo da tanti cattolici non sempre apprezzati. Ci vuole tempo per comprenderli ed apprezzarli tenendo conto che i tempi attuali stanno subendo una grande evoluzione, anche per la Chiesa. Ama leggere? Quali sono le sue letture preferite? Certo. In particolare quelli che riguardano personaggi del passato e mi appassiona la lettura di testi scritti da giornalisti di questi tempi.

Noto, con piacere che lei utilizza quel che la tecnologia ci mette a disposizione, cosa ne pensa dei social network? Alludo a FB, Twitter, Instagram ecc. Oggigiorno se ne fa un buon uso a suo parere? Tutto va usato con discrezione, non farsi travolgere. Anche se bisogna capire che sempre di più senza le conoscenze informatiche non riusciremo a vivere. Parliamo della pandemia e dei social. In un certo senso i social ci avevano già abituati ad una società che, invece di incontrarsi, si scambia messaggi o chatta, allora in un certo senso sono stati di aiuto? Bisogna riconoscere che il sistema informatico ci ha consentito di connetterci per sopravvivere con l’utilizzo delle piattaforme incontrarci in video. Questo ha offerto a tutti i settori lavorativi, della scuola e sociali di poter svolgere le proprie attività. Certamente dovremo abituarci a questo sistema e concepirlo come concetto quotidiano.

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Per restare in tema … covid19, ritiene che il problema sia stato affrontato in modo corretto? Ci si è trovati difronte a situazioni impensabili, quindi impreparati per affrontarlo. Sia per noi che per chi, purtroppo, ha dovuto governarle. Bisogna dire, secondo me, che bisognava porre maggiore rigore, come è stato fatto nella prima fase pandemica. La seconda fase ci ha visti più liberi, forse per venire incontro alle difficoltà dell’economia e del lavoro. Bisogna, comunque, essere responsabili noi stessi e contribuire consapevolmente a superare questo difficile momento che pervade il mondo intero. Per concludere un suo augurio per la nostra città Che la classe dirigente sia capace di saper creare prospettive di sviluppo e di lavoro per trattenere le tante qualità e valori espresse dai nostri giovani. Che si ponga fine a quel campanilismo incomprensibile che ancora resiste, per guardare con fiducia verso un domani migliore per tutti “NOI LAMETINI”.

La frase che ho scelto per chiudere questa intervista è di Abraham Lincoln e così recita: “Non sono gli anni della tua vita che contano, ma la vita nei tuoi anni...” E di certo, questa frase si confà a Massimo Sdanganelli che ha vissuto e vive la sua vita intensamente ma sempre all’insegna dell’educazione, del rispetto verso gli altri, all’insegna di sani valori. L’avere ricoperto ruoli importanti non lo ha reso, come purtroppo spesso accade, arrogante, supponente, è rimasta una persona gentile, sempre prona a regalare un sorriso. E’ un uomo d’altri tempi quasi, dai modi inappuntabili e, a mio avviso, con un profondo senso dell’umiltà che, forse, è quello che fa la differenza. In me un ricordo vivido di quando ricopriva il ruolo di assessore alla cultura ed organizzava le matinée al teatro per le scuole: non si limitava di organizzarle e basta ma parlava agli studenti per convincerli a tornare a teatro... Non credo sia necessario aggiungere altro!

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arte

Francesca Falli di Antonio Perri Francesca Falli è una dei più promettenti artisti dei nostri tempi. Ha frequentato l’Istituto Statale d’Arte, l’Istituto Europeo di Design e l’Accademia di Belle Arti. Ha sempre lavorato parallelamente con la grafica e l’arte. Ha esposto in mostre personale e collettive in Italia e all’estero, le sue opere sono presenti in musei e gallerie internazionali. Quando ti sei scoperta artista? Ho sempre sentito l’arte nel sangue. Mio nonno era un artista e il suo atelier era frequentato da artisti di grande sensibilità. Ho iniziato a dipingere con mio nonno, guardando e imparando da lui e dai suoi amici artisti mentre mescolavano i colori. Lavoro da sempre nel campo delle arti visive, fin da bambina avevo le idee chiare su ciò che avrei voluto fare da grande. La mia prima mostra la feci nel lontano 1985, ricordo che un signore voleva acquistare un mio quadro, ma io non riuscivo a staccarmi da questa mia creazione e non glielo vendetti. Alle scuole medie pensavo di essere simpatica alla mia professoressa di disegno e quando metteva 10 ai miei lavori credevo di non meritarlo. Già dalle scuole medie sono stata indirizzata ad un percorso di studio artistico, sono interessata all’arte praticamente da sempre, dipingo da quando ero bambina, ma non mi sento ancora una “artista”. La tua arte è ispirata alla figura del Pollo con riferimenti alla corrente artistica della Pop Art. Cosa vuoi esprimere attraverso la tua PollArte. Il Pollo, in generale, è un animale che fa ridere e ha tanti significati. E’ un termine polifemico. E’ simbolico e metaforico. E’ provocatorio perché è collegato ai contesti e alle composizione più disparate che vanno da quelle che sono tipicamente pop a quelle sacre per dissacrarle. Amo giocare con le parole che ricordano il termine Pollo, sia nelle composizioni delle opere sia nella scelta dei loro titoli e mi piace , attraverso una sorta di automatismo psichico, ispirarmi ai grandi nomi della storia dell’arte. Da questo processo mentale nasce l’idea dei titoli delle mie opere “Pollo-Polli -Gallo”, “Van Coc”, “Chi è Pollok”, “Poll _Gauguin”, “Pollo della Francesca, Cha-Gall” “Pollo-Polli-Gallo”, “Van Coc”, “Pollaiolo” Tutti i miei Polli sono “conditi” con la Pop Art. Hai sempre creato “Polli”? Prima della mia PollArte creavo delle Pittosculture in catrame, la vita mi ha portato a reinventarmi anche artisticamente. Nel 2009 - l’anno del sisma dell’Aquila - mi sono arresa. Creare mi sembrava inutile avendo problemi molto più grandi da risolvere: il pensiero della casa distrutta, i traslochi, la necessità di ricostruire una vita interiore mi hanno reso inattiva per anni. Le persone che mi vogliono bene, la mia famiglia, i miei amici più cari mi hanno convinto a riprendere l’attività Lamezia e non solo

artistica, reinventandomi ed inventando uno stile artistico completamente diverso da quello di prima (quando usavo pennelli, colle e catrame per creare opere materiche). La mia attitudine alla sperimentazione mi ha spinto verso la creazione di una innovativa modalità di “lavoro artistico” in cui la pittura, la grafica e la comunicazione visiva si contaminano con le possibilità delle nuove tecniche digitali. Amo il mio nuovo procedimento creativo, amo i miei Polli. Come gestisci “Polli”, colore e materiali. Per creare i miei Pollage, uso il materiale specchiato. Amo lo specchio per gli effetti ottici che produce, per il gioco dei volumi, per gli oggetti non presenti nell’opera che diventano parte integrante della stessa. Attraverso lo specchio metto lo spettatore davanti a se stesso e allo stesso tempo mostro oggetti, elementi grafici, simboli, colori, frasi lasciate a metà e le figure stampate dei miei Polli producono volumi e riflessi che coinvolgono l’immagine stessa dell’osservatore Polli, colori, segni, simboli devono integrarsi con la scala cromatica dei volumi riflessi. Forma, colore, materiali di utilizzo si fondono visivamente dando vita alla mia opera d’arte. Quando e come nascono le tue idee Le idee nascono spontaneamente nei momenti più disparati, a volte durante il sonno, così mi capita di alzarmi dal letto e lavorare anche alle 4 del mattino. Nel pensiero creativo, che accresce il piacere di lavorare, non sono coerente: a volte l’intuizione nasce da dentro, di getto, liberamente, disvelando qualcosa che nemmeno la mia mente pensava di contenere, a volte invece vado alla ricerca di stimoli creativi studiando le opere dei miei artisti preferiti. Quali sono gli artisti che ti emozionano Ogni stile, ogni epoca nel campo artistico è in grado di offrire un’emozione. Un Caravaggio o un’opera concettuale di Duchamp mi consegnano la stessa emozione.

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I tuoi pregi e i tuoi difetti come persona e come artista. Mi riconosco sensibilità, allegria, emotività, ecletticità. Mi capita di essere permalosa e, se proprio si esagera, antipatica. pag. 7


Spettacolo

La sand art di Rachele Strangis al Global Teacher Prize 2020 Si chiama Rachele Strangis, è di Lamezia Terme, è un’artista di sand art e insegna Arte e Immagine nelle scuole secondarie di I grado. Il 3 agosto 2020 viene contattata sul suo profilo Instagram dall’organizzazione del premio Global Teacher Prize, la Varkey Foundation, e invitata a partecipare al concorso con un suo lavoro realizzato con la sand art e ispirato a uno dei 10 professori più bravi al mondo selezionati per l’edizione 2020. Tra i dieci finalisti, scelti tra oltre 12.000 candidati provenienti da più di 140 paesi in tutto il mondo, figura anche un italiano, Carlo Mazzone, professore di Informatica all’ITI “Lucarelli” di Benevento. Il professore Mazzone è stato scelto per la sua capacità di creare strumenti moderni e idee didattiche innovative in una terra bellissima, quella del Sannio, ma bisognosa di attenzioni e di speranza. La professoressa Strangis lo omaggia con un lavoro di sand art che sintetizza, attraverso le immagini che nascono quasi magicamente dalla sabbia manipolata abilmente dalle sue mani, i temi della conoscenza e della creatività tanto cari a Carlo Mazzone. “Fin da piccola amavo disegnare e colorare. – dice Rachele Strangis – Disegnavo e coloravo ovunque. Dopo il diploma all’Accademia delle Belle Arti ho pensato di condividere la mia passione con altre persone e ho creato l’Associazione Artis che mi ha permesso di aprire una scuola di pittura. Ed è proprio all’inaugurazione di una delle mostre realizzate con la scuola che è nato in me il grande desiderio di disegnare con la sabbia. È un’emozione fortissima esibirsi in pubblico creando le immagini direttamente davanti allo spettatore. Amo la sand art perché è come una danza. I movimenti delle mani riescono a creare emozioni esattamente come le immagini che realizzano. Sono stata particolarmente orgogliosa di partecipare a questo importante premio omaggiando un collega italiano, anche perché attraverso la mia opera dedicata al prof. Carlo Mazzone ho voluto idealmente ringraziare tutti i colleghi italiani e non che svolgono il loro lavoro con passione, spirito di abnegazione e senso di responsabilità, specie in questo particolare momento storico interessato da una pandemia globale, nei confronti di tutti gli studenti e le studentesse che rappresentano il futuro del mondo a ogni latitudine.” Il 7 ottobre 2020 l’Associazione Varkey Foundation annuncia, attraverso il video di presentazione di sand art realizzato da pag. 8

di Giovanna Villella

Rachele Strangis sulle note della musica del grande M° Ennio Morricone, il professore Carlo Mazzone come uno dei 10 finalisti aspiranti al titolo Global Teacher Price 2020 considerato il premio Nobel dei Docenti. La cerimonia di premiazione virtuale del Global Teacher Prize 2020 che mette in palio 1 milione di dollari per la realizzazione di progetti didattici, si è svolta il 3 dicembre in diretta live dal Museo di Storia Naturale di Londra con la conduzione dell’attore inglese Stephen Fry e ha visto come vincitore il professore Ranjitsinh Disale dall’India che dividerà metà del premio ricevuto con gli altri finalisti.

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spettacolo

“Liriche e note… aspettando il 9 agosto ”

L’Associazione San Nicola durante la serata evento ricorderà Don Saverio Gatti. Il premio La Rosa nel bicchiere sarà assegnato al Professor Francesco Polopoli. Il sodalizio ha recentemente nominato come presidente onorario il Dottor Ettore Greco LAMEZIA. La pandemia continua a stringere in una morsa e a stravolgere la nostra vita quotidiana ma i soci dell’Associazione culturale San Nicola, guidata dal presidente Pino Morabito, non demordono e stanno già programmando le attività e le varie iniziative per i prossimi mesi. L’auspicio comune è che il virus rallenti la sua corsa per poter realizzare il primo appuntamento in agenda che è la serata evento del 9 agosto. Un’iniziativa di cultura e spettacolo che va avanti da diversi anni e che ormai si è ritagliata un suo spazio nel palinsesto degli eventi estivi lametini. L’ottava edizione di “Liriche, note e… sotto le stelle di San Lorenzo” è già in via di programmazione: l’Associazione, infatti, ha già deciso i nomi di alcuni premiati. Nomi che riceveranno il riconoscimento assegnato anche se, per l’emergenza pandemica, l’evento dovesse essere posticipato. Come è ormai consuetudine, nell’edizione 2021, sarà ricordata una figura eccelsa che ha lasciato un segno profondo nella storia di Lamezia. Quest’anno la scelta è caduta su Don Saverio Gatti*, sacerdote e maestro di vita per tante generazioni. A ricordare l’uomo e il ministro di Dio saranno i suoi stessi figli spirituali che da oltre mezzo secolo ne portano avanti le sue idee, i suoi insegnamenti. Durante l’ottava edizione di Liriche, note

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e … sotto le stelle di San Lorenzo sarà assegnato il premio La rosa nel bicchiere, liberamente ispirato al poeta lametino Franco Costabile tra i più grandi della letteratura del Novecento. Per l’edizione 2021 il riconoscimento andrà al Professore lametino Francesco Polopoli*, docente di latino e greco, esperto di filologia neotestamentaria e divulgatore gioachimita. Si tratta di una figura insigne della letteratura contemporanea, studioso e scrittore che tiene alto il nome di Lamezia e della stessa Calabria nel contesto culturale nazionale ed internazionale. Una ‘mission’ che è la stessa essenza del premio La rosa nel bicchiere creato appositamente per omaggiare delle personalità, dei lametini e dei calabresi doc, che si distinguono nei loro rispettivi ambiti, non dimenticando mai e tenendo sempre ben salde le proprie radici storiche, culturali e antropologiche. La rosa dei nomi da premiare naturalmente non finisce qui: il programma della serata è in itinere. I soci dell’Associazione sono ben consapevoli che la ‘scaletta’ finale sarà condizionata inevitabilmente dall’andamento della pandemia ma, la macchina organizzativa non si ferma. Anzi, ha le idee ben chiare anche per gli eventi da realizzare nel prossimo autunno come l’ormai tradizionale Festa del vino, il festival del vernacolo nelle scuole e, infine, una manifestazione evento da orga-

nizzare per i primi di dicembre per dare inizio alle festività natalizie. Un programma ricco che aspetta solo di essere concretizzato, pandemia permettendo. Intanto l’Associazione da qualche giorno ha anche un presidente onorario che è il Dottore Ettore Greco, primario per tanti anni della divisione di Oncologia dell’ospedale Giovanni Paolo II di Lamezia, in pensione da poche settimane. Il Dottore Greco, apprezzato e stimato dall’intera comunità lametina, era già socio onorario del sodalizio; i soci hanno inteso nominarlo presidente onorario in modo da dimostrargli ulteriore stima e per coinvolgerlo nelle tante iniziative che il sodalizio promuove durante l’anno. Essendo ormai in pensione sicuramente il Dottore Greco avrà più tempo libero e, dopo tanti anni spesi in corsia, potrà dedicarsi ancora agli altri in forme diverse ma sempre all’insegna di alti principi ed ideali.

Associazione Culturale “San Nicola

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amici della terra

Oscillazioni climatiche e le necessarie iniziative del nuovo Governo per il G20 e la COP26 Geologo Mario

Pileggi del Consiglio Nazionale Amici della Terra - geopileggi@libero.it

Con la fine dell’inverno e l’auspicio di un clima meno aspro anche dal punto di vista politico, il tema della questione ambientale e climatica non potrà non essere tra le priorità dell’agenda del nuovo Governo. Sui temi in agenda del G20 e sulle iniziative da assumere per la COP26 s’incomincerà a discutere e verosimilmente si accenderanno anche i riflettori dei principali media. Classi dirigenti e media non possono continuare ad ignorare i risultati del più grande sondaggio di opinione mai realizzato sul cambiamento climatico promosso dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) che ha coinvolto un milione e duecentomila persone di 50 Paesi. In particolare, non possono continuare ad ignorare che i due terzi delle persone contattate pensano che si tratti di una “emergenza globale” e che proprio in Italia si è registrata con l’81% la percentuale più alta di persone che la ritengono tale. Ma c’è di più: ad essere maggiormente in ansia per i cambiamenti climatici sono i giovani, con il 69% di quelli di età compresa tra 14 e 18 anni. D’altra parte il consulente strategico dell’UNDP per il cambiamento climatico Cassie Flynn ha sottolineato: “La voce della gente è chiara: vogliono un’azione sul cambiamento climatico”. Dell’opinione dei giovani non si è tenuto conto nemmeno nella seconda versione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) nell’ambito del Next Generation Italia. Seconda versione che ha visto: ridurre i fondi destinati alla “Rivoluzione verde e alla transizione ecologica” con un taglio di 4,6 miliardi di euro, passati da 74,4 a 69,8 miliardi; ed assegnare alla tutela del territorio dal rischio idrogeologico solo 3,61 miliardi senza indicare come raggiungere l’obiettivo, richiesto dalla commissione Europea di destinare il 37% dell’ammontare complessivo delle risorse messe a disposizione per azioni per il clima, l’adattamento ai cambiamenti climatici e alla biodiversità terrestre e marina.

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che fredde del pianeta durante l’Olocene sono separate da circa 2100-2500 anni.

Va ribadito che mentre la storia documenta che il clima è sempre cambiato la scienza spiega perché il clima cambia. E tra le continue e nuove conferme della rilevanza e cause dei cambiamenti climatici sono da evidenziare i risultati di un recente studio pubblicato su Earth-Science Reviews, da ricercatori del Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e delle Risorse (DISTAR) dell’Università di Napoli Federico II e del Dipartimento di Fisica e dell›Osservatorio Astronomico dell›Università di Padova. Lo studio dimostra come il movimento della Luna intorno alla Terra regola le maree oceaniche, il movimento dei pianeti regola le maggiori oscillazioni solari e, quindi, anche le oscillazioni climatiche della Terra. In particolare, dallo studio emerge che specifiche risonanze astronomiche associate alla rivoluzione dei pianeti intorno al Sole sono responsabili delle maggiori oscillazioni osservate sia in record usati per descrivere l’attività solare che in record usati per ricostruire i cambiamenti climatici nel nostro pianeta durante l’Olocene, cioè negli ultimi 12000 anni. Lo stesso studio ha valutato in dettaglio il ciclo di Hallstatt che ha un periodo di circa 2100-2500 anni. Questo ciclo è il più lungo delle oscillazioni che caratterizzano sia i record di radiocarbonio C14 e di Berillio10 usati per ricostruire sia l’attività solare del passato sia numerosi proxi usati per la ricostruzione del clima sulla Terra. Il ciclo è detto di Hallstatt perché la Piccola Era Glaciale (1500-1800 AD) e l’epoca fredda che ha caratterizzato una cultura dell’Europa centrale dell’età del bronzo e degli inizi dell’età del ferro sviluppatasi in Austria nel comune di Hallstatt tra il 750 BC e il 400 BC e le precedenti maggiori epo-

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Nel corso dell’attuale era glaciale denominata Neozoica si sono alternati periodi più freddi della durata di circa 100 mila anni caratterizzati dalla crescita ed avanzamento dei ghiacciai e periodi meno freddi di durata variabile con riduzione e arretramento dei ghiacciai. La durata in milioni di anni delle epoche più calde, in colore rosso, e di quelle più fredde in azzurro è riportata nella parte superiore dello schema Ere Glaciali-Ere Interglaciali mentre nella parte inferiore dello stesso è indicata la durata e l’alternarsi dei periodi più freddi con la crescita ed avanzamento dei ghiacciai evidenziati in colore blu scuro e quella dei periodi meno freddi come l’attuale in azzurro. In pratica, lo schema mostra che nel contesto delle variazioni climatiche di durata di milioni di anni, attualmente ci troviamo in un era glaciale (area blu) iniziata circa due milioni di anni fa con la superficie della Terra ricoperta di calotte glaciali ai poli. Nel contempo ci troviamo in un periodo interglaciale di generale arretramento dei ghiacciai iniziato circa diecimila anni fa.

Le continue oscillazioni climatiche sulla Terra sono state ben evidenziate nel primo rapporto IPPC, istituito dalla World Lamezia e non solo


Meteorological Organization (WMO) e dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), per effettuare valutazioni periodiche della scienza, degli impatti e degli aspetti socio-economici del cambiamento climatico e delle opzioni di adattamento e mitigazione per affrontarlo. Nel capitolo dedicato al “Observed Climate Variations and Change” del Rapporto IPPC del 1990 redatto da centinaia di scienziati di tutti i continenti sono riportati molti dati e grafici come quelli che mostrano le oscillazioni climatiche con gli aumenti e diminuzioni delle temperature, rispetto a quella media terrestre del periodo 1961-1990, nell’ultimo milione di anni, negli ultimi 12 mila anni e negli ultimi mille anni. Inoltre la storia recente documenta cambiamenti climatici naturali a scala pluridecennale e secolare senza i gas climalteranti di origine antropica.

Approfonditi studi e ricerche storico-geografiche e geoarcheologiche effettuate nell’area mediterranea e in particolare nelle regioni meridionali del BelPaese evidenziano che negli ultimi 3.000 anni le condizioni climatico-ambientali sono variate alternando periodi più freddoumidi e periodi più caldo-aridi caratterizzati da notevoli implicazioni sugli assetti idrogemorfologici e sulla vita di tutti gli esseri viventi. In particolare nelle regioni meridionali sono stati individuati periodi caldo-aridi come quello Medioevale che va dall’anno 1000 al 1300 e quello dell’età romana compreso tra il 100 e il 300 d.C. circa. Periodi caratterizzati da un clima più freddo-umido sono documentati: - tra il 520 a.C. e il 350 a.C. denominato “Piccola Età Glaciale Arcaica”; - tra il 500 d.C. e il 750 d.C. denominato “Piccola Età Glaciale Alto medievale”;. - tra il 1500 d.C. e il 1850 d.C. denominato della “Piccola Età Glaciale”. Durante questo ultimo periodo di raffreddamento globale noto come “The Little Ice Age” sono documentati sia una ridotta attività solare, il “Maunder Minimum”, sia numerose eruzioni vulcaniche che, con la rilevantissima diffusione di cenere Lamezia e non solo

e polveri, hanno accentuato il raffreddamento. Particolarmente rilevanti le eruzioni del 1800 del Krakatoa e del 1815 del Tambora. L’enorme quantità di materiale eruttato tra il 10 e l’11 aprile del 1815 dal Tambora, stimato in più di 40 chilometri cubi, provocò il noto “Freddo del Tambora” e un abbassamento della temperatura mondiale di circa 3-4 °C. In Europa e Nord-America l’anno successivo all’eruzione è ricordato come “l’anno senza estate”. E sono ampiamente documentati anche i rilevantissimi e disastrosi impatti socio-economici, sull’ambiente e ogni forma di vita.

Sulle variazioni climatiche più recenti è da ricordare che negli anni sessanta del secolo scorso i climatologi, in considerazione dell’accertata crescita dei ghiacciai in tutto il mondo e dei risultati di altre ricerche, erano ossessionati dall’idea che una nuova glaciazione fosse imminente. Della fine dell’attuale periodo Interglaciale ed inizio di una nuova glaciazione discussero glaciologi e climatologi nel 1972 nella Brown University. Molti degli esperti presenti, anche in considerazione del fatto che il raffreddamento riguardava le Regioni Polari, concordarono nell’affermare che i periodi Interglaciali sono di breve durata e finiscono bruscamente. In particolare, basandosi sui cicli di Milankovitch, affermarono che: “senza alcun dubbio la fine naturale del nostro Periodo Interglaciale è alle porte”. Come spesso accaduto, anche allora c’era chi sosteneva che il raffreddamento globale era causato principalmente dall’uomo perché gli effetti dell’industrializzazione, della rilevante crescita della popolazione mondiale e della rapida crescita urbana nelle metropoli avevano sul clima una rilevanza pari a quella dei processi naturali. Si consideravano determinanti le notevolissime quantità di carbone e petrolio bruciate nell’aria e dei gas di scarico che venivano rilasciati nell’ambiente senza essere filtrati in alcun modo. In pratica, a causa della maggiore torbidità dell’aria legata all’aumento di smog, nebbia e nubi ci sarebbe stata una riduzione dell’insolazione e, quindi, il raffreddamento.

Si riteneva che il raffreddamento fosse causato da un “effetto filtro” che avrebbe ridotto l’esposizione della superficie terrestre ai raggi solari. È da considerare che, sempre negli anni ’60, per regolare il clima mondiale, negli Usa fu ideato un Progetto di una diga per sbarrare lo stretto di Bering tra Alaska e Siberia. Favorevole a questo progetto si dichiarò anche John F. Kennedy durante la campagna elettorale del 1960. Il progetto della diga di Bering fu approfondito durante la presidenza di Richard M. Nixon e costituì il tema centrale del vertice USA-URSS di Vladivostok del 1974 tra i Presidenti Gerald Ford e Leonid Brežnev. Sulla rilevanza data al rischio di un raffreddamento globale va ricordato che nel 1978, per fronteggiare il temuto raffreddamento globale (Global Cooling), il Congresso degli Stati Uniti lanciò un programma nazionale sul clima da realizzare tra 1980 e 2000. Per contrastare il temuto raffreddamento globale “esperti” climatologi e militari avevano previsto vari interventi come ad esempio: - aumentare le emissioni di CO2 in modo da rafforzare l’effetto serra; - ricoprire le calotte polari di una pellicola nera per diminuire l’effetto albedo; - costruire una diga in cemento tra Groenlandia e Norvegia; - riscaldare la Groenlandia con reattori nucleari o, in alternativa, sciogliere il ghiaccio dei poli con bombe all’idrogeno; - far esplodere delle bombe atomiche per abbattere le montagne sottomarine a SudOvest delle isole Fær Øer per prolungare gli effetti delle correnti marine calde dell’Artico. - far orbitare intorno alla Terra degli enormi specchi per accrescere effetto del Sole e,o costruire una specie di “anello di Saturno” di potassio. Questi ultimi esempi di misure progettate poco meno di mezzo secolo fa per fronteggiare il Global Cooling non possono essere ignorati e consigliano l’attenta e costante analisi scientifica dei dati sulle reali cause delle evoluzioni climatiche e dei conseguenti interventi da adottare nell’interesse comune. Geologo Mario Pileggi del Consiglio Nazionale Amici della Terra

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la musica nel cuore

Roberto Carlotto e il suo trascorso artistico.

di Anna Maria Esposito Il musicista cantante Roberto Carlotto, conosciuto con pseudomini diversi, Charlott, Otto Karl, Robert Stahel ed infine Hunka Munka, cominciò i suoi studi classici fin da piccolo, prima fisarmonica poi pianoforte. La sua carriera cominciò prestissimo nel boom degli anni 60. Iniziò a suonare con i “Big 66”, passando in seguito con “I Cuccioli”, per poi esibirsi con gruppi elvetici importanti: Underground, Night birds, Sauterelles, fino a toccare con mano Londra, esibendosi al famoso locale Marquee, dove ha l’opportunità di avere contatti con gruppi inglesi, che gli consentono di fare da apripista a gruppi come Colosseum, Yes, Amazing Blondel, Uriah Heep ed altri. Oltre la musica, sua grande passione erano i piccoli aerei e la sua carriera rischiò di essere condizionata, proprio in seguito ad un piccolo incidente aereo, riportando una ferita alla mano che gli impedì di suonare per diverso tempo. Ma, grazie alla sua grande forza di volontà, il giovane artista ritornò a suonare, a detta di molti, meglio di prima. Rientrato in Italia iniziò una lunga collaborazione con il gruppo “Anonima Sound” e con Ivan Graziani. Dopo questa esperienza, Roberto Carlotto partecipò a numerosi Live, ad alto impatto emotivo, esibendosi da solo, con il nomignolo “Hunka Munka”, cercando di imitare le grandi orchestre sinfoniche, con le tastiere da lui modificate. Utilizzava una strumentazione costosissima e monumentale, specialmente per l’epoca: tipo organo Hammond (modificati M102, C3, B3), Mellotron (M400, MK2), Leslie (almeno 8), sintetizzatori vari, effettistiche binson a cascata e delle primitive, ma efficaci, “batterie elettroniche” a nastro. Per trasportare il materiale veniva usato un Tir personale di 20 metri. Il tutto gestito dal suo amico e produttore, Gilberto Amati, proprietario

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dell’Altro Mondo di Rimini, uno dei locali più in voga in Italia degli anni 70. Roby Carlotto, che possiamo definire anima rock progressive e precursore della musica elettronica, negli anni 70 è approdato nel famoso gruppo italiano “Dik Dik”. Con questa band partecipò, con un suo pezzo “Piccola mia”, al festival di Saint Vincent, raggiungendo le vette delle Hit Parade. Finita l’esperienza positiva dei “Dik Dik”, conosce Alberto Radius, leader del gruppo “Formula 3”, partecipando ad un suo disco “Carta Straccia”, il quale in seguito divenne suo produttore. Altra importante collaborazione con una famosissima cantante inglese Norma Green, disco prodotto da Alex Slosser per Radio Luxembourg. Inoltre intorno al 1986, venne coinvolto in una nuova serie di concerti con Nunzio Favia, detto “Cucciolo”, ex batterista “Dik Dik”, formando un duo “Carlotto e Cucciolo già Dik Dik”. In seguito, il duo, su consiglio di Giancarlo Castorino, noto impresario, si allargò a 4 componenti. Dal 2000 in poi, Carlotto si esibisce sia con una sua band, ricalcando le canzoni più famose, con la dicitura “ROBERTO CARLOTTO già Dik Dik”, sia da solista con le sue tastiere modificate. Nei suoi vari concerti in Europa, grazie al bassista Mauro Rattaggi, ha avuto l’occasione di conoscere una famosa band Rock Progressive internazionale degli anni 70, gli Analogy-Earth-Bound, fondatori del gruppo i tedeschi, Martin Thurn- Mithoff e Jutta Taylor-Nienhaus, ai quali legato da fraterna amicizia. Il gruppo inoltre era costituito dal batterista Scott Hunter, dal chitarrista Richard Brett e dal già citato Mauro Rattaggi al basso. Da questo incontro, un primo concerto a Lamezia Terme in un grande teatro,

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riproponendo brani rivisitati con l’apporto delle sue tastiere, dando origine ad un Vinile e a un CD live, mixati poi a Londra, dal titolo “konzert” e poi anche a un DVD, realizzato dalla Zero DB Media di Pistocchi Diego & sas. Dopo Lamezia Terme si sono susseguiti altri concerti: Bloom di Milano, Viterbo festival, Roma Rai presentazione Konzert. Il sound tipico anglosassone, profondamente emozionale, coinvolge immediatamente il pubblico. In ultimo, un’importante collaborazione con il tastierista Joey Mauro, conosciuto in Italia e all’estero per l’esperienza sulle tastiere Vintage e musica prog e Italo Disco.

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A marzo, covid 19 permettendo, uscirà un Vinile, con il ritorno prog di Hunka Munka, dal titolo “Foreste Interstellari” per Black Widow. Ultima sua produzione artistica: nuovo CD dal titolo “Ho preso a schiaffi il mio cuore”, di cui tre brani the words sono di Anna Maria Esposito: “Stella Bianca”, dedicato al libro “Le rivelazioni della Stella Bianca”, “ Meteo Bollettino”, relativo al “Bollettino Meteo ai naviganti in rete”, scritti di Flaviana Pier Elena Fusi e “ Ho preso a schiaffi il mio

cuore”. “Da un’avversità nasce un’opportunità”, ispirato al libro saggio con l’omonimo titolo, di cui lui è anche autore, pubblicato recentemente da “Biblios Edizioni”. Infine ancora un CD, dal titolo “Amazzone”, una raccolta di poesie, della caleidoscopica Anna Maria Esposito di Radio CRT, da lui musicate. Questa è una sola parte della carriera artistica di Roby Carlotto, un pezzo di storia della musica italiana e non solo.

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cultura

di Giovanni Martello

Fiorentino e D’Annunzio, storia di un’incomprensione

Tempo fa nell’analizzare alcuni documenti di Fiorentino, mi sono imbattuto in alcune pagine manoscritte, recanti la data del 1882, in cui il Sambiasino analizzava la seconda opera giovanile di D’Annunzio Canto Novo. Mi sembrò un fatto molto intrigante, vista la notorietà e l’importanza che da lì a poco D’Annunzio avrebbe raggiunto, fino a diventare il poeta vate. Mi chiesi, allora, se questo manoscritto fosse stato pubblicato o fosse rimasto inedito, come altri, fra le carte di Fiorentino. In seguito ad altre ricerche appurai che quelle pagine erano state pubblicate, senza alcuna variazione, il 2 luglio 1882 sul n. 27 del Giornale Napoletano della Domenica. Questo periodico era la naturale filiazione del più famoso e quotato Giornale Napoletano di filosofia e lettere, scienze morali e politiche,1 tanto che agli abbonati di quest’ultimo veniva consegnato in omaggio. L’articolo di Fiorentino è molto ironico nell’incipit, prosegue poi in modo pacato, ma dissacrante e distruttivo, a smontare le pretese poetiche del giovane D’Annunzio e si conclude con un consiglio. Per orientare il lettore voglio dare delle semplici coordinate culturali. Siamo nel 1882, Fiorentino ha quarantotto anni d’età; è al culmine della notorietà e della maturità, D’Annunzio ha diciannove anni e solo da poco è noto all’opinione pubblica. La sua fama derivava dall’aver pubblicato a soli 16 anni, nel 1879, una prima raccolta poetica dal titolo Primo Vere d’ispirazione carducciana. All’apparire di questa silloge, alcuni giornali letterari parlarono di un astro nascente della lirica italiana. Nel 1881, terminato il liceo, D’Annunzio si reca da Pescara a Roma per frequentare l’Università, che non concluderà, e l’anno dopo dà alle stampe una raccolta di versi, Canto Novo e una di prose, Terra Vergine. Opere che riscuotono consensi, ma che provocano anche lo scandalo dei benpensanti a causa della sensualità dannunziana. Per capire l’articolo distruttivo di Fiorentino, dobbiamo inquadrarlo nel clamore provocato dal giovane poeta. Fiorentino morirà ventinove mesi dopo e non vedrà l’evoluzione e la fama di D’Annunzio che lo porterà ad essere l’esteta dello scandalo, il retore con manie di grandezza, il nazionalista che regalerà al fascismo slogan e parole d’ordine. Nel suo candore intellettuale Fiorentino non poteva immaginare che D’Annunzio si sarebbe circondato di quel mito di cattivo maestro che lo accompagnerà per decenni, ma qualcosa aveva già intuito. Molti, sbagliando, addebitano a D’Annunzio la responsabilità dell’entrata in guerra dell’Italia e di aver, suo malgrado, favorito l’ascesa del fascismo e di aver indicato a Mussolini il metodo per soggiogare le masse, grazie alla spettacolarizzazione della politica tramite l’uso spregiudicato dei mezzi di comunicazione. Metodi che D’annunzio aveva già testato nell’aver spettacolarizzato la sua vita privata e letteraria.

Al di là di ciò, D’Annunzio è un autore che ha lasciato in eredità una grande lezione di stile in cui s’intrecciano il vecchio e il nuovo, la tradizione e la modernità portando al limite massimo la potenzialità creatrice della parola. Tutto ciò per dire che, D’Annunzio è un uomo pieno di contraddizioni come l’epoca in cui è nato e quella tragica in cui è morto, ma è anche uno sperimentatore del nuovo e il creatore di un gusto diverso. In lui le contraddizioni cozzano, ma non si respingono, al contrario, si fondono. Ad esempio, è il cultore dell’oggetto raro e antico ma anche amante del neonato aeroplano, per il quale conia un nuovo vocabolo: velivolo. Ricerca il gusto antico, ma non disdegna lo sviluppo tecnologico. Lo si poteva vedere cavalcare sulle spiagge della Versilia e poi sfrecciare, sulle strade, su rombanti automobili o in cielo a bordo di aeroplani. Deluso aristocratico, quale lo vedremo ne Il Piacere e nelle opere successive, ma anche creatore delle pubblicità popolari e soggettista di film. Afferma di ricercare la solitudine ma si realizza nel bagno di folla, in occasione della guerra e dell’occupazione di Fiume. Molti hanno voluto trovare nella febbre della scrittura il collante tra i molteplici e diversi aspetti della sua esistenza. Di sicuro, l’esteta D’Annunzio è convinto profondamente che la scrittura con la bellezza della parola e del verso abbia il potere di salvare il mondo. Per concludere questa breve ma, non esaustiva, panoramica su D’Annunzio, è chiaro che abbiamo di fronte una figura controversa, fuori le righe, e definirlo immorale, come spesso è stato fatto, non ha senso trattandosi di un grande artista che va oltre ogni confine. Pur possedendo tanti aspetti negativi, non possiamo negare che anticipa molte problematiche attuali. Se la prosa altisonante dei suoi romanzi nasconde l’insufficienza della trama e dell’intreccio, a livello poetico, non c’è autore del Novecento che non gli debba qualcosa. Inoltre, non si può negare la sua valenza europea. D’Annunzio dedica Canto Novo alla sua amata del momento Elda Zucconi, che nella raccolta chiama Lalla. Gli ammiratori e i seguaci di D’Annunzio definirono Canto Novo una specie di inno, ovvero “il canto di tutta la gioventù italiana”, dunque un canto di giovinezza e d’amore, ma anche di gloria per la poesia e la natura.2 Credo che Fiorentino sia rimasto impressionato dalla sensualità e dalla carnalità che trasudano dalla poesia e dalla prosa dannunziana. Molti contemporanei, ad esempio, definivano Il Piacere, un romanzo pornografico e sconsigliavano i giovani ad approcciarsi alla lirica e alla prosa di D’Annunzio, che in quel periodo, lasciavano molto spazio all’eros trattato senza veli. Fiorentino era già morto da cinque anni, quando D’Annunzio pubblicò il suo primo romanzo considerato manifesto dell’estetismo e di una certa forma di decadentismo, altrimenti, sono

1 Fondato e diretto da Fiorentino nel 1872.

2 V. Morello (Rastignac), D’Annunzio, Società Libraria Editrice Nazionale, Roma 1910, p. 41.

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sicuro, sarebbe insorto nuovamente. Fiorentino nel suo insegnamento ha sempre cercato d’indirizzare i giovani, dedicando loro diversi scritti, cercando di guidarli verso valori da lui ritenuti validi e positivi. D’Annunzio ribalta tutta l’assiologia fiorentiniana e dell’Italia benpensante del periodo, e come Hugo, Maupassant, Rimbaud arriva alla fama giovanissimo, quasi senza sacrifici, con un bagaglio culturale esiguo, senza alcun apprendistato, senza la dura fatica dello studio dei classici. Fiorentino vuole vederci chiaro, non crede in questo nuovo astro, giovanissimo, e si mette ad analizzare il Canto Novo di D’Annunzio. L’articolo di Fiorentino è molto lungo, circostanziato ed argomentato. Non possiamo trattarlo in tutta la sua estensione, i lettori interessati lo potranno trovare nella sua forma estesa in una prossima pubblicazione. Lo stile dell’articolo oggi potremmo definirlo pedante, ma è, in ogni caso, un’analisi puntuale e rigorosa di molte liriche della raccolta in oggetto. Fiorentino inizia prendendosela con l’editore, anzi con gli editori, che allettano, quasi come lenoni, i lettori promettendo loro opere che non bisognerebbe pubblicare. Riporto le prime righe dell’incipit dell’articolo che esamina la raccolta Canto Novo di D’Annunzio. “OGGIDÌ, bisogna aspettarsi ad ogni semestre un nuovo canzoniere; le odi barbare fioccano da ogni parte, e non meno incalzanti piovono le lodi: la certezza di queste, parmi anzi uno dei motivi più efficaci, che inducono al canto i nuovi poeti. Gli editori poi ci mettono una mano anch’essi, col lenocinio (qui la parola non è un’esagerazione) della carta, de’ fregi, dei caratteri, e con quelle cento arti, che rendono più diffuso, più sicuro lo spaccio. Ho qui sott’occhio il Canto Novo di Gabriele D’Annunzio, stampato a Roma addì 5 maggio 1882, nella tipografia dei Fratelli Centenari, con inchiostro della ditta Francesco Orsenigo, con caratteri della Fonderia Rayper di Genova, sopra carta della Fabbrica Cini, in edizione di 500 copie. I lettori saranno ben impertinenti ed incontentabili se ameranno più minute notizie: non si è detto, è vero, dove fu comprato il filo delle cuciture, ma, in una prossima edizione, l’omissione sarà

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riparata; e noi e i posteri sapremo pure la fortunata merceria”. […] “Noi non conosciamo il signor D’Annunzio: ci si dice, che sia un giovane, ed un bravo giovane; e lo crediamo facilmente; che abbia attitudine poetica lo vediamo, anche attraverso agli scapestramenti della sua musa; né scriveremmo del suo libro, se non giudicassimo di qualche utilità le nostre parole. Una nota severa fra tanto concerto di lodi non fa male, perché il biasimo non ha sgomentato mai chi ha vero ingegno, l’ha soventi volte ingagliardito e ravviato; dovechè moltissimi si potrebbero indicare, impoltroniti dagli applausi volgari. Il D’Annunzio si è incaponito ad esser nuovo in poesia, come prima c’erano dei valorosi giovani, che non si tenevano da qualche cosa, se non avessero scoperto un nuovo sistema in filosofia; onde, una ventina di anni fa, pullulavano i sistemi nuovi, come ora i canti novi. Sempre novità! È il progresso, che di programma politico è diventato programma poetico: con pari fortuna, se non erro. Tra gli altri significati di nuovo, c’è pure quello di strano; ed è la sola eccezione, in cui ricorre più frequente l’uso di questo aggettivo. Il giovane poeta cammina sulle orme del Carducci, vorrebbe imitarlo, e, se potesse, emularlo; senza riflettere, che al Carducci servì di lunga preparazione lo studio dei classici; ch’ei ne fu, come egli stesso scrisse molti anni dopo, lo scudiere; che tardi osò di spiccare il volo con le sue penne. Il D’Annunzio ti esce di primo acchito con l’ode barbara, e con un mondo suo. Qual è questo mondo? Diciamolo con dura franchezza: è un guscio di noce, popolato di piante, e di animali: c’è una flora ed una fauna, e manca l’uomo, il solo e vero soggetto della poesia lirica. E, se l’uomo talvolta vi apparisce, è trasfigurato pure in oggetto naturale, è spesso imbestiato. Ho letto attentamente il Canto novo, e mi è parso d’averne scoperti i fonti. Quali sono? Non i lirici antichi, non i moderni, ma un libro scritto in prosa, la storia naturale di Aloisio Pokorny, adattata all’uso dei nostri ginnasî dal Lessona e dal Salvadori. Talvolta il poeta passa da un canto all’altro non per altro motivo, se non perché, dopo una pianta od un animale, nel manuale, ne segue un altro. È cotesta è, certo, novità; ma è stranezza. Eccone la prova, in un componimento, preso a caso, nel primo, intitolato: Preludio. Ignudo le membra agilissime a ‘l sole ed a l’acqua Liberamente, come un bianco cefalo […]. Non continuo, perché tutto il componimento cammina di questo passo, finché, all’ultimo, il poeta si ricorda del bianco cefalo, cioè del nuotatore, e lo lascia nuotare liberamente senza fastidio: […] S’accomodi pure il cefalotto; ma che sugo c’è in questa poesia? Gesù! Quante piante, quanti animali in undici distici? Questa elegia nova mi pare un orto botanico, od un giardino zoologico: e con queste novità si vuol far dimenticare le elegie di Tibullo? Ce ne vuole, figlioli, ce ne vuole! […]

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Io non metterò a conto del giovane poeta il: fiutandone l’aure lascivia di muschio, che deve essere un errore di stampa, invece di: fiutando ne l’aure eccetera. Ma il fiutar lascivia, che rimane a carico suo non glielo posso menare buono. L’Aleardi sentiva l’odore di santa nella stanza materna, e fu censurato: il D’Annunzio fiuta la lascivia ne l’aria; preferisco l’altro. Non posso trattenermi su tutte le poesie, come ho fatto su questa prima; non posso mica scrivere un commento, e mi restringo a poche osservazioni qua e là. Ne vo’ fare prima una generale. Il D’Annunzio si compiace di parlare spesso delle sue strofe, come Catullo farebbe dei suoi Endecasillabi, ovvero Orazio delle sue Alcaiche: in verità gli antichi non l’osarono. Ma il Carducci l’ha fatto, ed altri poeti di nome prima di lui. E sta bene: siate poeta come il Carducci, e lo tollereremo anche in voi: per ora, no. E poi il Carducci l’ha detto un paio di volte, e voi vi trattenete un po’ troppo con le vostre strofe, e le fate trasformare in sì svariati animali, che ci par di leggere Le metamorfosi di Ovidio, o i dialoghi del Gelli. […] Con un poeta che tiene a sua disposizione un serraglio di animali così pericolosi, i critici devono avere giudizio; e ciò spiega perché niuno si è arrischiato di biasimare il Canto Novo. Quando ero fanciullo, lessi in una rettorica del Blair, se non erro, che alla sublimità dello stile concorre l’abbondanza di consonanti; e, benché fanciullo ne risi: così rido ora delle opinioni, che all’altezza della lirica conferisca il volo delle strofe. Le strofe voleranno davvero, senza che si scaraventino di qua e di là, se prorompono da un animo alto e da una potente fantasia: i piccoli mezzi non approdano. Né la ricchezza delle immagini può misurarsi dal variare dei colori, o dei metalli, di cui il giovane poeta abruzzese mostra di compiacersi tanto. […] La poesia non è la pittura, nonostante l’oraziano: ut pictura poesis; e nella pittura stessa il colorito non è il disegno; e né l’uno né l’altro sono poi la figura umana. È da questa figura bisogna che traspaia la coscienza, l’interna ed assidua lotta che ci delizia e ci tormenta; a rappresentare la quale non bastano né le cerambici, né le paranzelle arance, né le vallisnerie del giovane poeta. […] Al D’Annunzio manca inoltre la temperanza nell’uso delle me-

tafore; e gareggia con i seicentisti, e talvolta li sorpassa. La smania delle novità gli fa smarrire la purezza e la precisione del contorno […]”. L’articolo di Fiorentino termina con un’esortazione nei confronti del giovane D’Annunzio “Se il signor D’Annunzio non è di coloro con cui la verità partorisce odio, ci prendiamo l’arbitrio di dargli un consiglio: egli ha buona vena poetica ed è giovane; si ingegni dunque di educare meglio il gusto; non si lasci invanire dalle lodi scioccamente prodigate; lasci stare in un canto il manuale del Pokorny, e si pigli in mano le non mai abbastanza studiate Odi di Orazio”. È chiaro che Fiorentino e D’Annunzio rappresentano due mondi in contrasto, quello benpensante e quello che cerca di superare ogni limite, ogni misura, quello del sacrificio e dei piccoli passi che viene superato di colpo dal volere e avere tutto e subito. A Fiorentino capita quello che accade a molti anziani che non riescono a capire il nuovo che avanza, che proprio per questo sembra portatore di valori negativi. Anche quando D’Annunzio aveva pubblicato Primo Vere, assieme a molti entusiasti insorsero tanti studiosi che lo criticarono. Ricordo, ad esempio, il Chiarini che pur lodandolo ne aveva evidenziato i limiti fino a stroncarne alcuni passaggi proprio per l’ostentazione di sentimenti e desideri (seni d’etère su cui passar le notti). Lo stesso Croce nella sua pacatezza, nel 1915, scriverà che il Canto Novo “mostra il rigoglio e l’esuberanza delle forze fisiologiche giovanili in mezzo alla libera natura”. A dimostrazione non dell’importanza e del valore di Canto Novo , ma della sua fama, voglio ricordare che nella sesta edizione del 1885, aveva già venduto 11.000 copie. Numeri molto importanti per l’epoca. Chiudo con un’ultima notazione: quattordici anni dopo, nel 1896, a Milano, presso i Fratelli Treves, D’Annunzio pubblicò l’edizione definitiva di Canto Novo, in cui l’ordine delle liriche appare scompaginato. Sarà stato un caso, o perché le critiche di Fiorentino lo avevano colpito, ma proprio la lirica Preludio, analizzata minutamente dal Sambiasino e severamente criticata, non è più presente.

Le perle di Ciccio Scalise

A MAFHIA, A NDRANGHITA... di Ciccio Scalise Sti sucetà, un ssù nnù castigu mandatu, sunu nù rigalu chi n’anu fhaciutu, chilli nchi ntrè seculi anu cumandatu, chilli chi, u distinu i tutti, anu dicidutu.

inianu i sordi, un cci ndì fhuttia nnenti, u mportanti era mù, Ila l’anu mbistuti.

fhina ll’urtimu sordu, sù piavanu, e cci davanu tuttu chillu chi vulianu.

Mentri i lustri passavanu, i nuastri, s’anu sempri cchjiù urganizzatu, i sordi chi fhacianu, ammunzillavanu, pua, supra s’anu spustatu ed’anu spindutu.

N’arbulu, nduvi a terra è rrigugliusa, crisci fforti, fhà nnà bbella fhrunda, mà puru a corchjia, a rarica, nutriandusi bbona diventa ccurpusa, fhà ffruttu e jjittuni, tuttu paru paru si mporchjia.u

Mò, siccomi tanti cosi mportanti, alli manu di mafhiusi e ndranghitisti sunu, dicinu cà s’anu nfiltratu tutti quanti, senza vidi tù, mù sì nd’adduna nnissunu.

U nordu nuastru, ntelliggenti, sti signori là ssempri accugliuti, di nduvi v

Accussì ha ssuccidutu allu nordu, mentri cà eramu mali ni dicianu, i miliuni chi llà purtavanu,

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Quandu s’anu vindutu puru l’anima, unn’anu guardatu cetu suciali, mo si vidinu succubbi e ccumandati i sti signori è, ssì fhanu mali. 4 febbraio 2021 Lamezia e non solo


Il

riflettendo

concetto di separazione tra filosofia e vita : un tentativo d ’ interpretazione

di Pierluigi Mascaro

Lasciarsi è tutto quanto sappiamo del paradiso, e quanto ci basta dell’inferno – scriveva Emily Dickinson. Da questo aforisma emerge un’importante riflessione sul tema della separazione, che può al contempo affascinare ed inquietare l’animo di ogni uomo. Quando “andiamo in paradiso”, che nel più comune gergo cristiano corrisponde al quando giunge al termine la nostra vita terrena, lasciamo non soltanto concretamente i nostri affetti e le cose più care che abbiamo, ma anche, idealmente, tutto quanto appartiene al coacervo della conoscenza sensibile umana, cioè tutto ciò che possiamo anche soltanto lontanamente immaginare, per compiere un tuffo a caduta libera al centro dell’ignoto, che può consistere nel paradiso per quanti si affidano alla fede e al credo nella vita ultraterrena, oppure all’inesorabile capolinea del percorso in questo mondo per molti altri. Ma entrambe queste concezioni del

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dopo-vita hanno un punto in comune, e cioè la fine dell’universo conosciuto o conoscibile attraverso i sensi ed il transito in una dimensione che, per quanto letterati e filosofi si siano sforzati di riempire nelle maniere tra loro più diverse, rimane pur sempre non conoscibile, né tanto meno immaginabile, e già questo potrebbe coincidere con l’idea di inferno contenuta nell’aforisma di Emily Dickinson. Inoltre, questa citazione poetica ci pone di fronte anche ad un’altra questione su cui riflettere, che prende spunto dalla forma riflessiva del verbo lasciare utilizzata dall’Autri-

esempio, per via della vera e propria dipendenza psichica ed emotiva che lo stesso crea (circostanza confermata anche dalla scienza medica e neurologica in particolare), la sensazione di dolore e frustrazione interiore che ne consegue è talmente pervasiva e avvolgente, da poterla assomigliare al concetto di inferno per come tramandatoci dalla filosofia e dalla letteratura. Ma, a ben vedere, il sottile legame tra lasciare e lasciarsi, associato idealmente al concetto massimamente negativo che abbiamo dell’inferno, consiste nel fatto che, per quanto l’uomo tenda naturalmente a voler oltrepassare il limite naturale della propria conoscenza o, più limitatamente, della propria zona di comodo, ha comunque il più o meno grande timore di separarsi dal noto per l’ignoto, dal comodo ed usuale per qualcos’altro che potrebbe risultare maggiormente, ma anche di gran lunga meno appagante. Il “placet experiri”, che implica di per sé separazione da ce: lasciarsi. Infatti, quando s’inter- quanto si è acquisito fino a quel morompe, per le più svariate ragioni, mento, affascina ma, come anticipaun rapporto affettivo molto intenso, to, inquieta e costa fatica. familiare, amicale o amoroso ad

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eventi

La fiera di San Biagio a Sambiase di Giovanni Mazzei L’origine toponomastica di Sambiase è da rintracciare in San Biagio, più precisamente nella sua forma latina Sanctii Blasii, che diede origine, dopo vari passaggi, al dialettale Sambiasi, italianizzato appunto in Sambiase. San Biagio è un santo di origine bizantina e cospicui sono i riferimenti alla cultura di Costantinopoli riscontrabili nell’ex comune di Sambiase (ricordiamo che nel 1968 la fusione tra Sambiase, Nicastro e Sant’Eufemia Lamezia diede origine alla città di Lamezia Terme). Per rintracciare echi del passaggio dei bizantini nei territori sambiasini basta porre in evidenza la denominazione di noti quartieri urbani, come: Santu Nicola, Santa Sofia, o allargare lo sguardo verso le vicine e floride campagne, incontrando località come Santu Sideru (Sant’Isidoro), ecc. La maggior parte delle “migrazioni” bizantine nei nostri territori è databile intorno all’840, periodo caratterizzato dall’Iconoclasmo, che causò migliaia di vittime e fuggiaschi tra i monaci che non si piegarono alle imposizioni imperiali circa il culto delle immagini. Come era facile intuire dai toponimi proposti in precedenza, dunque, la maggior parte dei bizantini giunti nelle nostre terre apparteneva al ceto monacale. Ulteriore prova del passaggio e dell’insediamento dei monaci bizantini nel territorio sambiasino è la presenza di vari monasteri nelle nostre zone montane (dei quali restano pochi e sparuti ruderi), come per esempio il monastero dei Santi Quaranta Martiri e di San Costantino. Proprio attorno all’antico cenobio di San Biagio cominciarono a svilupparsi i primi insediamenti abitativi che costituirono gli originari tasselli dell’attuale città. Seppur il culto di questo santo, protettore dei mal di gola, sia oramai poco sentito dalla popolazione, una tradizione legata ai suoi festeggiamenti si è protratta nel corso dei secoli giungendo fino a noi: ‘’a fhera’’ ‘i Santu Vrasu. “Vrasu” è una ulteriore storpiatura del nome Blasium di cui abbiamo parlato ad inizio articolo, con un passaggio da B a V, fenomeno noto come betacismo. Nei primi tre giorni di febbraio – intrecciandosi, in seguito, anche con le celebrazioni della candelora – il centro storico di pag. 18

Cafaldo, dove ora sorge la chiesa dedicata alla Madonna del Carmine e dove un tempo sussisteva il cenobio bizantino (fino a qualche tempo fa una croce in ferro, ora sparita, ne segnalava la corretta ubicazione), si riempie di volti, colori e rumori. Venditori di ogni etnia e provenienti da ogni parte della Calabria si ritrovano lungo le discese della Vignola, esponendo le loro stoffe, le ceramiche, gli attrezzi agricoli, il bestiame. Nei tempi più remoti, infatti, la fiera di San Biagio era una fiera specializzata nella compravendita di bestiame; una fiera che nel corso degli anni e dei secoli è sempre più divenuta punto di riferimento, facendo giungere a Sambiase i venditori di mostaccioli di Soriano, i ceramisti di Seminara, i pastori della Sila, i produttori di Sardella di Amantea e tutta una serie di commercianti provenienti da tutta la regione e anche oltre, che convogliavano nella zona centrale della Calabria incontrandosi e dando vita a uno degli eventi più colorati (in senso folklorico, ma anche letteralmente cromatico) della nostra terra. L’emergenza pandemica che stiamo vivendo in questo periodo storico proibisce però il perpetrarsi di questa antichissima tradizione, interrompendo a malincuore il secolare svolgersi della fiera dedicata al bizantino San Biagio, la quale statua, di giallo e di rosso vestita, è ospitata nella chiesa del Carmine. La notizia più antica dell’esistenza della fiera di Sambiase si apprende dalla sezione notarile dell’archivio di Stato, dove in una nota del 1618, si dichiarava che la fiera si svolgeva già “per antichissimo solito”. Anziché abbandonarci alla malinconia e alla tristezza per la mancata edizione di quest’anno, voglio lasciarvi un personale ricordo da me formulato lo scorso anno e ripreso anche dall’antropologo Vito Teti, un ricordo che orbita intorno a un “cavalluzzu di pruavula” (da lì a poco tempo tutta Italia sarebbe stata sigillata per il “lockdown”, termine purtroppo entrato oramai nel nostro lessico quotidiano, causato dalla pandemia del Covid-19). 4 febbraio 2020 “Mio nonno Giovanni Mazzei, classe 1921, falegname e storico esponente del PRI sambiasino prima e lametino poi, durante la tradizionale fiera di San Biagio era solito GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

recarsi fra le varie bancarelle, supportando i venditori locali acquistando alcuni dei loro prodotti tipici. Di quello che comprava, mio dono privilegiato erano le provolette con le fattezze di cavallucci. Mio nonno non c’è più dal 1998, ma io continuo, come lui mi insegnò, ad amare la mia terra cercando di fare sempre il meglio per essa. Ciò vuol dire anche celebrare la linea di continuità dei modi e costumi della signorilità calabrese, della galanteria e della solidarietà tra i figli del popolo che sembra ormai essere stata messa al bando in questi tempi di post-modernità. Ieri giorno di San Biagio io ho continuato, ho perpetrato, ho rinnovato questo continuum tenendo in vita in tal modo le tradizioni, il senso dei luoghi e il ricordo di mio nonno. Sembrerà solo ‘nu cavalluzzu ‘i pruavula ma è in realtà il simbolo dell’amore verso la propria terra, del legame con le tradizioni del proprio paese, l’emblema dell’amore verso la Calabria e i suoi figli”.

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eventi

Trent’anni fa* nasceva la fiera agricola di Sambiase * pubblichiamo, per volere dell’autore, un articolo datato ma sempre attuale, ora 54 anni Trent’anni fa. esattamente il 7 Dicembre 1966, la Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Catanzaro — su richiesta inoltrata precedentemente dal Comitato Organizzatore presieduto dal sottoscritto — deliberava l’istituzione in Sambiase della fiera del Sud. Non solo nel nome, ma anche e soprattutto nelle intenzioni degli organizzatori, quest ultima si proponeva il riscatto ed il rilancio del Meridione in generale e del Lametino in particolare, coniugando le più antiche attività umane: agricoltura, artigianato, industria e commercio. La FI.M.P.A. si svolge ancor’ oggi in concomitanza della tradizionale Fiera di S. Biagio, a cavallo della fine di Gennaio e l’inizio di Febbraio di ogni anno. Le prime edizioni, a cominciare da quella del 1967 (la quale, tra l’altro, costituiva la continuazione della vecchia consuetudine di alcuni rappresentanti e concessionari del Lametino, come il dr. Fagà, di esporre sin dagli anni Cinquanta i primi trattori OTO, FIAT e SAME, unitamente ad altri attrezzi agricoli in Piazza Fiorentino e nel Rione Cafaldo, dove si svolgeva la fiera di Santu Vrasci) vennero organizzate, a causa della mancanza assoluta di aiuti da parti di Enti o Istituzioni pubbliche, alla meglio con i modestissimi mezzi personali dei componenti del 1° Comitato organizzatore .Nonostante ciò, tali edizioni della Fiera, suscitarono nei visitatori del tempo curiosità ed interesse per l’enorme aiuto che le allora nuove macchine avrebbero apportato allo sviluppo dell’attività agricola. In seguito al ripetersi di tale manifestazione fieristica, infatti, nelle aziende del Lametino cominciarono ad essere impiegati nuovi trattori e motocoltivatori che andavano ad aggiungersi massicciamente all’ esiguo numero delle poche trattrici, allora solo in uso per lo più nelle grandi aziende baronali. Il motocoltivatore, un piccolo e versatile mezzo meccanico a due ruote, con fresa e rimorchio, alla fine degli anni Settanta, fini per soppiantare l’asino, il cavallo, il mulo ed il carretto (’a carretta), quale mezzo di lavoro e di trasporto dei piccoli agricoltori lametini. La Fiera, qualche anno dopo, si caratterizza come un appuntamento importante, atteso da tutti. operatori e semplici visitatori, per conoscere le ultime novità del settore e per fare acquisti. A ciò contribuivano anche le attese suscitate dalla nascita, nel 1968, del nuovo Comune di Lamezia Terme, il quale sin da allora costituisce la 4^ Città della Calabria, e per tal ragione centro di grande richiamo e speranze. Agli inizi degli anni Settanta, però, ben quattro

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componenti del 1° Comitato, per motivi di lavoro, si erano ritirati, per cui restai da solo a dover mandare avanti la manifestazione fieristica. La cosa era impossibile, ma il caso volle che io venissi invitato dai signori Pasquale Samele, Tommaso Traversa e Antonio Tavernese (rispettivamente Comandante dei VV.UU., Vigile Urbano e Commerciante) ad organizzare insieme a loro le edizioni successive, a partire dal 1973, allorquando l’Amministrazione comunale di Lamezia Terme, presieduta da Sindaco Vittorio Esposito, finalmente diede il suo appoggio alla Fiera, mettendo a disposizione l’area intorno al mercato coperto di Sambiase ed alcuni locali all’interno del medesimo. Con i nuovi mezzi a disposizione e l’appoggio dell’Ente comunale, nella persona del Sindaco e del com. Enzo Servidone, l’opera organizzativa del 2° Comitato raggiunse l’optimum, sia per il gran numero di espositori registrati, che per le manifestazioni collaterali, atte a suscitare l’interesse dei visitatori. Preceduta da una suggestiva inaugurazione, con l’intervento delle autorità civili e religiose delle Città e anche della Provincia, la Fiera richiamò a Sambiase numerosi visitatori diversi dei quali provenienti da varie parti della Regione. Sempre in quell’anno si sperimentò per la prima volta la formula del convegno su tematiche specifiche inerenti l’agricoltura, un’importante iniziativa continuata anche nelle successive edizioni. Conclusasi felicemente l’edizione 1973, il gruppo degli ultimi collaboratori a mia insaputa si riunì e trasformò il Comitato di fatto, in Comitato legalmente costituito, affidandone la presidenza al prof. Sirianni. Iniziò cosi per me un lungo periodo di amarezza e di incomprensione, durato ben sette anni, che sopportai con molta sofferenza per l’inspiegabile esclusione, ma con la certezza che prima o poi sarei rientrato tra i soci della F.I.M.P.A.. e cosi accadde agli inizi degli anni ’80. Intanto vari fatti si erano verificati. ed altri ancora si sarebbero verificati: la Fiera, ormai ingranditasi per il sempre crescente numero di espositori e visitatori, era stata spostata dall’area del mercato coperto a quella circostante l’edificio scolastico «E. Borello», e con in più 1’utilizzo dei vasti locali adibiti a palestra e di altri annessi al medesimo edificio; si arricchivano sempre più le manifestazioni collaterali, tra cui i concorsi enogastronomici da me suggeriti (per la valorizzazione dei vini locali e meridionali e della cucina calabrese); cresceva il volume degli affari conclusi in fiera; aderivano alla manifestazione fieristica, sostenendola concre-

di Antonio Zaffina

tamente, il Comune, la Provincia, la Regio ne, gli Istituti Bancari locali e nazionali operanti nel Lametino, la C.C.I.A.A. ecc. Al presidente Sirianni, nel frattempo scomparso, succedeva l’avv. Gianni Renda e a questi, più tardi, sarebbe succeduto — perché anch’egli prematuramente scomparso — il Senatore Peppino Petronio. Il tutto era dovuto, oltre che alla bontà dell’iniziativa, anche all’effetto ‘‘dell’onda lunga” delle fortune politiche di Renda e Petronio. Fu proprio negli anni Ottanta, infatti, che l’architetto Franco Brunetti (anche questi prematuramente scomparso), con il supporto di un’equipe di esperti, su incarico dèi Presidente dell’Ente Fiera, approntò un progetto “faraonico” per la nuova sede della Fiera. Si trattava di un’opera veramente lungimirante, ma troppo avveniristica, da realizzare nell’area denominata “Bagni” tra le due strade provinciali che collegano il bivio Bagni a S Eufemia Lamezia e a Gizzeria Lido. II progetto ed il plastico che lo riproduceva vennero esposti in fiera destando grandi attese ed entusiasmo nei visitatori e. soprattutto, negli espositori, che sempre più numerosi provenivano da molte parti d Italia. L’opera, se realizzata, avrebbe realmente dato alla Fiera caratteristiche ed importanza nazionali. Ma come sempre accade al Sud, le opere destinate a favorire sviluppo ed occupazione prima languiscono e poi falliscono miseramente. E cosi e stato (e sarà?) per il grandioso progetto del quartiere fieristico, che si affianca alle altre innumerevoli “grandi incompiute” della recente storia di Lamezia e del suo comprensorio. Nel 1993 si è conclusa la Presidenza Petronio ed è così che l’Ente Fiera ha affidato l’organizzazione dell’edizione 1994 alla F.I.M.P.A, alla quale è succeduta l’Amministrazione Comunale per l’edizione dello scorso anno e di quest’anno. A conclusione di questo rapido e non certamente esaustivo resoconto — sollecitato dall’attaccamento affettivo che nutriamo verso la Fiera, oltre che dalla consapevolezza delle grandi occasioni di sviluppo dirette ed indotte, che la Fiera può produrre per tutta Lamezia ed il suo comprensorio — dobbiamo rilevare che, a partire dagli ultimi 4-5 anni, la fiera non “cresce” e gli espositori ed i visitatori si disaffezionano sempre più. Anzi, c’è chi vorrebbe ubicare la manifestazione fieristica in altro sito, diverso da quello attuale e da quello della zona demaniale “Bagni”, acquisibile — vale la pena sottolinearlo — a costo zero

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il naturopata consiglia

Amici per la schiena

Viaggio alla scoperta delle cause e dei rimedi per risolvere il mal di schiena e non solo nel miglior modo possibile di Dino Mastropasqua

Sempre più spesso la vita moderna ci porta verso situazioni di stress sempre più complesse, ci troviamo immersi in un flusso dove non sappiamo come uscirne. Troppi stimoli, troppe richieste, troppe false esigenze ci portano a vivere una vita che non riconosciamo più come la “nostra Vita”. Ci serve una guida, una sorta di mappa per riprendere in mano le redini della nostra vera “Vita”. Un Naturopata od Operatore Olistico ha questa funzione, togliere i filtri che la società moderna ci ha forzatamente messo ed iniziare a guardare le cose per quelle che sono davvero, ci può dare indicazioni sui tre pilastri del nostro vivere: Alimentazione – Struttura – Emozioni. Oggi parliamo della struttura, la nostra impalcatura. Ovviamente nella postura entrano in ballo tanti fattori, ma per brevità in questa trattazione parliamo solo di biomeccanica. Per fare prevenzione dobbiamo innanzi tutto capire come funziona il nostro corpo e come si rapporta con il mondo esterno. Iniziamo a considerare le componenti principali: l’apparato scheletrico e l’apparato muscolare. L’apparato scheletrico umano è formato da ossa e da articolazioni e svolge la funzione di protezione, sostegno e movimento. Le ossa che oggi ci interessano in modo maggiore sono le vertebre con gli annessi dischi intervertebrali. l’Apparato muscolare è formato dai muscoli, che sono gli organi deputati al movimento del corpo o di alcune sue parti. Le cellule dei muscoli hanno la capacità di contrarsi e di rilassarsi , trasmettendo la propria forza alle ossa per mezzo dei tendini , (strutture fibrose molto resistenti e poco elastiche). Ogni movimento è il risultato di una serie di sinergie di vari gruppi muscolari che si chiamano catene muscolari pag. 20

o cinetiche. Se per esempio prendiamo la catena muscolare posteriore (la più lunga) in quanto parte dalla zona occipitale ed arriva fino al tendine di Achille, possiamo ben immaginare che se anche un solo muscolo non funziona nel modo corretto, influirà su tutta la catena portando fuori asse tutto il corpo. Quindi tutta la postura ne risentirà. Pertanto se pensiamo ai muscoli come delle molle, se abbiamo una molla che tira di più rispetto a quella controlaterale, ovviamente le ossa si sposteranno verso le molle che tirano di più. In una situazione di questo genere le curvature fisiologiche della nostra colonna cambieranno e prenderanno una posizione anomala che se prolungata nel tempo può diventare cronica portando a problemi di sovraccarico sui dischi intervertebrali delle zone interessate. Se si supera il limite di carico del disco, si rompe e fuoriesce parte del nucleo centrale che andrà a spingere sui rami nervosi periferici corrispondenti al tratto di colonna interessata. Per ovvi motivi i tratti più sollecitati sono: il tratto cervicale ed il tratto lombare. A questo punto ci saranno risentimenti alle spalle, alle braccia, alle mani se il tratto interessato è la cervicale oppure alle gambe e glutei se il tratto interessato è il lombare (la famosa sciatica è un risentimento della zona lombare). Allora la domanda sor-

ge spontanea, come possiamo prevenire ed eventualmente correggere eventuali problemi di questo genere? In prevenzione vanno tenuti i muscoli sempre allenati in sinergia, nel senso che quelli di destra e quelli di sinistra, o quelli anteriori e quelli posteriori devono lavorare con il giusto bilanciamento. Evitare tutte quelle posture che forzano il normale e corretto atteggiamento posturale, (vedi le troppe ore passate davanti ad uno schermo, etc etc,) In merito alle attività fisiche se non ci sono controindicazioni personali particolari si può intraprendere qualunque tipo di preparazione sportiva. Nei casi in cui ci siano dei limiti, le attività consigliate sono il pilates, lo yoga, il tai chi, poiché hanno la capacità di lavorare su tutti i gruppi muscolari con delicatezza senza forzare. Nei casi in cui ci siano già problemi conclamati di dolori costanti o ernie discali o posture scorrette (comprese le scoliosi idiopatiche), la mia esperienza mi porta a consigliare due tecniche da utilizzare in modo complementare: lo Shiatsu Namikoshi e la Kinesiologia. Con lo shiatsu possiamo lavorare sul recupero dello spazio intervertebrale, scaricando in questo modo il peso sul disco compromesso. Con la kinesiologia possiamo testare tutti i muscoli posturali e rinforzare direttamente quelli risultati deboli. Nel caso ci sia una ipersensibilità allo sfioramento oppure formicolio o sensazione di addormentamento di una o più parti è consigliabile assumere della vitamina B12 che aiuta ad alleviare questa sintomatologia. Dino Mastropasqua Naturopata mail: drmastropasqua@gmail.com facebook: Dr Mastropasqua cell.: 339 534 9119

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la parola allo psicologo

L’ASCOLTO DEL MINORE IN AMBITO GIUDIZIARIO di Raffaele Crescenzo -Pedagogista – Già Giudice Onorario del Tribunale per i Minorenni di Catanzaro. Autore di libri e articoli sul disagio giovanile. Per affrontare questo argomento, che tanti, più esperti di me, hanno analizzato a fondo, partirei dalla più recente posizione della Cassazione (Cass. SS.UU. sentenza n. 22238 del 2009 che conclude un procedimento proposto per la modifica delle condizioni di separazione) che ha definito obbligatoria l’audizione dei figli minori nel procedimento ed ha sanzionato la mancata audizione con la nullità del provvedimento decisorio per violazione dell’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 1996 sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, dell’art. 155 sexies c.c., oltreché dei principi del contraddittorio e del giusto processo. La sentenza in questione riafferma la valenza centrale nel nostro ordinamento giuridico del diritto del minore ad essere ascoltato in ogni processo che lo riguardi, facendo discendere tale diritto dall’art. 12 della Convenzione di NY del 1989 sui diritti del fanciullo e dall’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 1996 sull’esercizio dei diritti dei minori. Il minore, quale soggetto di diritti (ad essere istruito, mantenuto ed educato), acquisisce il diritto di essere ascoltato nei processi che lo riguardano potendo così esprimere le sue opinioni che il giudice dovrà tenere in debito conto nella sua decisione (pur senza esserne vincolato).  L’articolo 12 della Convenzione di NY sui diritti del fanciullo del 1989 riconosce al minore capace di discernimento il diritto inviolabile ad essere ascoltato in ogni procedimento giudiziario che lo riguardi.  L’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 1996 ha attribuito nelle procedure avanti all’autorità giudiziaria, ai fanciulli dotati i sufficiente discernimento per il diritto interno, in esse coinvolti, i diritti seguenti: a. ricevere ogni informazione pertinente; b. essere consultato ed esprimere la propria opinione; c. essere informato delle eventuali conseguenze dell’attuazione della propria opinione e delle eventuali conseguenze di ogni decisione. Effettivamente, escludere l’obbligo di audiLamezia e non solo

zione del minore nei procedimenti di separazione consensuale e divorzio congiunto, determinerebbe un inspiegabile disparità di trattamento ma salvo casi del tutto particolari ci si chiede quale valenza abbia l’audizione in ipotesi di totale accordo dei genitori sulle questioni afferenti l’affidamento. Sulle modalità di ascolto del minore, il bambino può essere ascoltato direttamente o per il tramite di una terza persona ovvero mediante operatori specializzati. Parecchi Tribunali, già negli anni scorsi, si sono dotati di protocolli d’intesa per stabilire le linee guida dell’ascolto del minore accende il riflettore sul tema della verità e della credibilità del minore, non menzognere, non fantasioso, ma portatore di una sua storia e di un suo vissuto. L’ascolto del minore è una condizione fondamentale e necessaria anche nel procedimento giudiziario, sia penale che civile, che vede il minore “testimone esplicito “ vittima di reati sessuali o maltrattamenti oppure minore “testimone implicito” parte attiva di un processo di separazione conflittuale o di affidamento extrafamiliare. L’ascolto è finalizzato alla comprensione. Fondamentale diventa a tal fine per chi opera in ambito giudiziario, nell’incontro con il minore, muovere competenze specifiche e soprattutto disporre di disponibilità nell’accogliere il contenuto che porterà, abbandonando un eventuale pregiudizio che condizionerebbe l’ascolto veritiero dello stesso. Un buon ascolto si determina se si crea una “relazione”, se si entra in una sorta di “riso-

te, empatico e determina la possibilità di espressione e di narrazione spontanea. In ambito giuridico l’ascolto del Minore è diventato sempre più centrale anche grazie al diritto internazionale che ha motivato fortemente nella direzione di voler riconoscere al Minore il diritto ad essere ascoltato in tutti i procedimenti giudiziari che lo riguardano. La Convenzione di New York del 20 .11. 1989 riconosce al minore “di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne” e anche La Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei Minori adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996 afferma che il minore ha il diritto di “ricevere ogni informazione pertinente; ad essere consultato ed esprimere la propria opinione; ad essere informato delle eventuali conseguenze di ogni decisione”. La comunicazione e l’ascolto del minore diviene quindi lo strumento che accompagna il bambino nel percorso giudiziale che determinerà una decisione che lo riguarda, permettendo di potersi esprimere su ciò che vive e ha vissuto. Non responsabile, ma partecipe deresponsabilizzato di un giudizio che lo riguarda, non più oggetto, ma soggetto, compartecipe, attraverso un ascolto libero e incondizionato. Quando si ascolta un minore in ambito giudiziario ci si dovrebbe riferire al suo “miglior interesse”, per far ciò è necessario tenere il focus sul suo vissuto, sulla sua storia, saper leggere tra comportamenti non verbali. I bambini e i ragazzi hanno qualcosa da dirci, gli adulti hanno grandi difficoltà ad ascoltarli, visto che in loro operano condizionamenti e false credenze che portano a relegare il minore in una condizione di predeterminata inferiorità e inattendibilità, rintracciabile anche nelle pregiudizievole supposizione che i bambini mentono. Lasciare uno spazio di ascolto e di accoglienza per e nell’interesse nanza empatica” con il minore. del bambino vuol dire dargli o restituirComunicare è compartecipare, una “comu- gli uno spazio di verità. nicazione efficace” si determina attraverso un ascolto attivo, non direttivo, accettanGrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

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di Maria Palazzo Carissimi lettori, di solito, recensisco soltanto i libri che mi piacciono di più: è il vantaggio di chi, non facendo il critico di professione, può ancora scegliere. Stavolta, non è che io vi voglia parlare di un libro che non mi sia piaciuto, ma di un volume che, pur non avendo riscosso, come gli altri, il mio totale gradimento, occupa, nella produzione letteraria dell’autore, uno posto di pregio. Di Pino Vitaliano abbiamo parlato spesso, in questa rubrica: ho già recensito due suoi libri, che ho amato moltissimo. Egli è un narratore che riesce a smuovere, con la sua prosa, a volte briosa, a volte poetica, a volte ironica, altre malinconica, le sensazioni e le emozioni, spesso sopite, del lettore. È per questo che, accingendomi a leggere un altro dei suoi libri, speravo di trovarci del nuovo, ma con gli stessi intenti narrativi. Invece scopro quello che, a parer mio, si rivela come un vero e proprio esercizio di scrittura, un modo per stupire in sé e per sé, più che quel desiderio profondo di comunicare, che mi ha accompagnata nei suoi scritti precedenti. Ricordo dell’ulisside e delle fantastiche figure teatrali, nel suo paese dei pazzi, che mi portarono nell’alto dei cieli sinceri di ciò che, per me, è letteratura… Da subito, in questo nuovo libro, CRONACHE ENOTRIE – STORIE DI UNA PUTTANA CHE DIVENNE SANTA, l’autore si pone in maniera asettica e divertita: il suo occhio extradiegetico è eccessivo, anche se il suo amusement non lo rende del tutto algido. Man mano che si procede nella lettura, infatti, egli attraversa varie sfumature: or sarcastiche, ora critiche, ora distanziate, senza trasmettere quel suo tipico fluido magico che fa scorrere la lettura. Seguire l’autore, infatti, diviene faticoso e le 128 pagine, che si sperava di poter leggere tutte d’un fiato, diventano quasi una scalata, senza panorami… Se, però, tutto ciò viene considerato come un esercizio di scrittura, tutto cambia. Spesso l’autore, in molti incontri con il pubblico, si è chiesto se egli sia o meno uno scrittore. Al suo posto, non mi porrei il problema. Chi si cimenta nel racconto scritto, a meno di non voler essere meramente chiamato scrivano, È, a parer mio, uno scrittore! Ovvero, colui che narra per iscritto, in prosa. Comunpag. 22

que, per non incorrere in sterili polemiche, conoscendo buona parte della produzione del Vitaliano, ho sempre usato l’appellativo di narratore, proprio perché, la sua maestrìa nel raccontare, è proverbiale. Esistono persone che, hanno una capacità performante di esporre i fatti, che lascia chiunque appagato, nelle cose lette. Lungi dal voler dare una risposta definitiva alla sua domanda, dunque, lo qualifico come narratore performante, riprendendo una citazione critica, riferita anche a Carlo Emilio Gadda, descritto come scrittore capace di stupire sempre, non rendendo mai stucchevole il suo narrato. Ma torniamo a CRONACHE ENOTRIE: il racconto, in effetti, stupisce, eccome! Non vi è empatia fra la protagonista, Sabetta guasta lietti, e il suo creatore. L’empatia, pur da non ricercarsi, per forza, nell’adesione alla realtà e alle vicende di un protagonista, crea una specie di filo diretto fra autore e personaggio, ma, in quest’opera, il primo sembra rinnegare la seconda, col risultato che il lettore non è coinvolto completamente. Creato, dunque, quell’effetto di straniamento, tipico del sarcasmo e della freddezza, il lettore viene a trovarsi su una vera e propria montagna russa. L’elevato lessico utilizzato, rispetto alla rusticità delle vicissitudini, non riesce a scrollarsi di dosso il pecoreccio dei fatti narrati. L’autore, in molti brani, risulta freddo oltre misura, non alla maniera dei naturalisti, ma

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alla maniera razionale dei sezionatori, mettendo in risalto la scaltra capacità del personaggio, di sapersi districare all’interno della perfida carnalità popolare. Cosa che non ispira alcuna tenerezza. Il titolo principale, contenente la parola enotrie, aumenta la distanza fra le realtà popolari, a noi delicatamente familiari, e quelle di un mondo altro, lontano, spinoso. Il titolo e il sottotitolo generano aspettative, che verranno, puntualmente deluse. Ci si aspetterebbe una conversione, un lieto fine, da santificazione, invece vien fuori la scaltrezza scarna di un popolo con cui non riusciamo a fraternizzare, perché non ha nulla di ciò che, nel popolo vero, amiamo. Ma credo che fosse proprio questo l’intento del Vitaliano: creare proprio quello straniamento che, in un’opera teatrale, sarebbe addirittura dirompente. Vi è molto, del teatro, infatti, in questo romanzo e, il fatto che il romanziere abbia lasciato che una maggiore teatralità s’insinuasse fra le sue pagine, rende l’opera di pregio. Non nascondo, dunque, che, a fine lettura, io abbia trovato il bandolo della matassa e superato quel desiderio di buttar via il libro, espresso all’autore, certa che egli abbia riso di cuore, di fronte alla mia sincerità. Non gli ho mai nascosto che non mi sia piaciuto neppure l’impiego di paroloni nel testo (cfr. pag. 125), così come alcuni particolari carnali esagerati, non nella descrizione, ma nello scavo, non crudo, ma asettico della personalità, apparentemente lasciva, ma in realtà implacabile, dei personaggi. E il gusto del particolare, non da laboratorio zoliano, ma messo in bocca a comari e compari da bettola. In definitiva, però, credo sia proprio questo il gran volano di quest’opera: l’aver messo in luce uno spaccato della natura popolare di un ambiente, pur non calato in un momento storico particolare. E l’aver creato un linguaggio che pone una lente d’ingrandimento e un focus, sul vulgo, non più soltanto sulla sua poetica bellezza, ma anche sulle sue caratteristiche meno auliche, in apparenza goderecce. In questo caso, il libro risulta, a mio parere, un vero e proprio capolavoro, per originalità e creatività. Certi di avervi messo addosso una curiosità infinita, vi auguro BUONA LETTURA. Lamezia e non solo


riverberi

Pensieri nella notte di Augusta Caglioti a tornare indietro fino a rinascere.

SOLE Divino astro del cielo dispensi a noi generoso il tuo caldo lume.

Rinascere! In quale modo e in quale mondo? In un mondo ove serenamente squadernare una nuova vita senza tema di giudizio.

Di questo Universo sei gran pittore Fratello sole. Ravvivi il verde dei prati maturi le messi fai schiudere i fiori tingi d'argento l'immensa distesa del mare.

Convinta di una scelta giusta. Una vita colma di valori non ostentati non predicati.

Mostri la via al viandante smarrito.

Una vita da vivere senza perdenti né vincenti.

Illumina ancora il nostro sorriso e fuga l'inverno del cuore!

Per tutti vivere è lottare.

Emanaci la sempiterna tua luce anche se fuori piove.

Siamo impastati tutti di luci e d'ombre!

Nocera Marina 19/11 /2020

RINASCERE Spesso mi ritrovo in posizione fetale nel mio letto quasi inconsciamente

Rinasciamo! Non cadiamo in abborracciati compromessi! Viviamo e diamo quando serve giuste risposte

magari anche con eloquenti silenzi ... e solo ricerca di armonia sia l'anelito interiore. Nocera Marina 28/11/2020

I PENSIERI Di giorno i miei pensieri ruscellano tra alvei spaziosi. Fluiscono a volte in conche ghiaiose che riflettono un limpido cielo. Ma prossima la notte incontrano un salto roccioso e intonano un rumoroso canto. S'acqueta un po' questo canto nella palude del sonno tardivo. E mentre il fiume ancora ruscella i pensieri cercano approdo al mare dei sogni. Nocera Marina 24/1/2011

NUOVO PUNTO DI RITIRO

PRESSO

Bar il Miraggio Luca Fragale - Via A. Volta, 22 - cell. 339 6953497 - Lamezia Terme Lamezia e non solo

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territorio

Operazione Waste water nel lametino La riflessione di Lamezia Rifiuti Zero “Cittadini , sentinelle del territorio”

di Michela Cimmino Socia Fondatrice Lamezia Rifiuti Zero ODV

Il termine “etica”, deve fare parte integrante e fondamentale del nostro essere uomini, deve rappresentare un traguardo decisivo nella crescita morale della nostra società. Termine di cui noi del Sud portiamo in consegna origine e storia, in una magnogrecità che dovremmo assumere come eredità irrinunciabile, come abito costante delle nostre azioni. Etica, dal greco ethos/comportamento, deve essere punto di forza, di rinnovamento, di nuovo umanesimo cui dovremmo accompagnarci, mai come in questo momento, per la costruzione di un mondo a dimensione umana . Questa la parola d’ordine in tutti gli ambiti del sociale, questo l’ abito dell’uomo che ci fa degni di questo nome. Mai come in questa fase devastante delle nostre vite, la nostra casa comune urla a gran voce un nuovo termine che regoli, completi la relazione con il pianeta. E’ il nuovo inscindibile binomio “etica ambientale” in cui si esplicitano norme , imperativi categorici che devono regolare ogni nostra azione quotidiana ; che devono regolare non solo la relazione tra gli uomini, ma implementare le relazioni tra gli uomini e l’ambiente, in tutte le sue manifestazioni; che devono perseguire un nuovo modo di far parte dell’ambiente, che non sia distruttivo ma coevolutivo, con una posizione antropologica da egocentrica a ecocentrica. Registriamo ritardi, e la pandemia ha dato l’allarme, siamo già assai temporeggiatori, assai ritardatari ma forse siamo ancora in tempo, per noi, per quella consegna dataci già al primo vagito . “Noi non abbiamo ereditato il mondo dai nostri padri, ma lo abbiamo avuto in prestito dai nostri figli e a loro dobbiamo restituirlo migliore di come lo abbiamo trovato” Responsabili, una parola che contiene in sé tutto, comprensiva e applicativa , che si attua in etica della responsabilità . Abbiamo bisogno di un esercito di responsabili, di sentinelle, contro gli irresponsabili, per divenire educatori, tra pari, nell’ interesse pag. 24

del bene comune. E allora facciamo nostri sentimenti, valori e azioni che si realizzino in cura, rispetto e amore verso una rivoluzionaria relazione con Madre Terra. A dare conferma della emergenza e attenzione alta che questo rinnovato rapporto richiede i fatti di cronaca di questi giorni. “Lamezia, operazione Waste Water, smaltimento rifiuti illeciti nel Golfo di S. Eufemia”- da Zero Waste a Waste Water , e nel nostro magnifico golfo! Di fronte a tale scempio non possiamo restare in silenzio. Inquinamento delle acque, alla foce del Torrente Turrina, percentuale di tossicità del 90/100% ; contaminazione dei terreni intrisi dai reflui da concentrazione di idrocarburi pesanti, di alluminio, ferro e manganese, e altre gravi infrazioni. Il mare nostrum, violentato e insozzato da gente senza scrupoli, che uccide lentamente mare e esseri viventi, uomini compresi. La nostra economia, la nostra “industria” paesaggistica, le nostre naturali risorse. Allora è compito nostro, di tutti noi cittadini attenti e attivi, far da custodi del territorio , denunciare al primo segnale i tristi figuri, fautori di tali misfatti. Nessuno di noi, dico nessuno, può restare immobile! Dobbiamo avere cura rispetto e amore verso il nostro territorio. È infatti partendo dal proprio territorio che viene fuori una somma di buone pratiche di cui Madre Terra sarà grata, amorevole e prodiga con i suoi figli che la ripagano con “amor pensoso” , che è impegno, studio, lotta, denuncia, al più piccolo segnale di allarme . “Solo insieme potremo sperare di realizzare una rivoluzione culturale, di assunzione di responsabilità personale e collettiva - così la presidente di Zero Waste del lametino, Dina Caligiuri - rivoluzione in cui ciascuno dovrà agire in modo tale che gli effetti delle sue azioni non distruggano la possibilità di vita sulla terra”.

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