Lameziaenonsolo Felice Saladini Febbraio 2021

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cultura

LAMEZIASTORICA.IT COMPIE 20 ANNI Nel gennaio del 2001 vedeva la luce on line lameziastorica.it, il sito web sulla storia di Lamezia Terme. Un progetto coordinato dal prof. Vincenzo Villella, che all’epoca precorreva i tempi e che ancora oggi, a 20 anni di distanza, offre ai visitatori di tutto il mondo una di Vincenzo Villella finestra unica sulla storia millenaria del territorio lametino. Il mio primo libro, “La Calabria della Rassegnazione”, l’ho pubblicato nel 1984. Macchina da scrivere Olivetti 32, fogli A4 sparsi per tutta casa, bianchetto per le correzioni, ore ed ore passate a correggere le bozze, che la tipografia mi consegnava in lunghi rotoli simili a carta igienica lucida. Poi nel 1988, in casa, la vecchia Olivetti 32 lascia il posto al ticchettio silenzioso di una Olivetti ET109 elettrica. All’epoca per me un grande salto tecnologico: meno rumore e meno rimproveri di mia moglie, più ordine e maggior velocità. Anche le bozze “carta igienica” lasciano il posto ad un formato più standard che la casa editrice La Modernissima mi restituiva puntualmente prima di ogni pubblicazione.

Nel 1995 la svolta: mio figlio, lo stesso che nel 1984 scarabocchiava sui rotoli di bozze e che allora era studente di ingegneria, mi porta in uno dei primi negozi di informatica della città, dell’amico Michele Menniti, nella piazzetta della Madonnina, per acquistare un computer, oggetto per me all’epoca ignoto. Torniamo a casa con un pc a torre, un monitor a tubo catodico, una stampante a getto d’inchiostro ed un numero inverosimile (credo superiore ai 40) di floppy disk per l’installazione di Windows e Word. Circa 20-25 chili di materiale che da lì in poi avrebbero cambiato per sempre i paradigmi per la

realizzazione dei miei libri. Finalmente vedevo a monitor ciò che scrivevo, potevo saltare con facilità da un capitolo all’altro, potevo salvare i files e soprattutto avevo sulla tastiera un tasto CANC: il bianchetto aveva finalmente terminato la sua onorata carriera. Nel 2001 erano già tanti i volumi che avevo pubblicato, credo una decina. Google era agli albori, i social network non esistevano (Facebook nacque nel 2004), il mondo dei telefonini era dominato dai Nokia a tastiera (Iphone e Smartphones vedranno la luce nel 2007), internet cominciava a diffondersi nelle case attraverso i modem a 56K e l’Adsl era roba riservata a pochi eletti (e benestanti). Digitando “LAMEZIA TERME” sui motori di ricer-

ca di allora (Altavista, Virgilio, Yahoo!), apparivano pochi risultati riguardanti per lo più la cronaca locale, spesso nera. Da qui l’idea: perché non trasporre su Internet parte delle mie ricerche storiche sulla città, in modo che chi cercasse “LAMEZIA TERME” sul web trovasse contenuti di qualità sulla storia millenaria del territorio lametino? Perché non rendere fruibili ad un pubblico più vasto contenuti sino ad allora solo cartacei? La scelta del nome, l’acquisto del dominio web, la composizione dei testi, la realizzazione delle foto, la progettazione del sito con uno dei primissimi programmi di web editing,

il posizionamento sui motori di ricerca: mesi frenetici che portarono on line il sito nel febbraio del 2001: www.lameziastorica.it. La soddisfazione era tanta: pochissime città in Italia avevano un sito sulla propria storia e decidiamo così che fosse giusto organizzare una presentazione a Lamezia. Scegliamo un giorno di maggio, confidando in una bella serata primaverile; chiediamo in prestito la sala convegni del Seminario Vescovile e, grazie a 2 amici che ci sponsorizzano (Francesco Pileggi e Titti De Duonni), organizziamo il tutto stampando le locandine, gli inviti, noleggiando il videoproiettore ed addobbando la sala. Titolo del convegno: “LAMEZIASTORICA, il portale storico della città di Lamezia Terme”. Un convegno su un argomento storico è ben diverso da un evento in un centro commerciale con qualche pseudo vip da reality show. Nel nostro caso c’è il sito web per i più giovani e l’argomento storico per gli adulti: stimiamo a naso un centinaio di persone in sala. In realtà quella sera, si presentano per assistere circa 300 persone e molti, a sala stracolma, rimangono all’esterno su via Lissania. Rimaniamo increduli: centinaia di persone che si interessano al connubio tra storia ed internet nel 2001? Possibile? La spiegazione di tutto arrivò alla fine del convegno ed il “responsabile” dell’inaspettato successo fu individuato nel titolo dell’evento: la maggior parte delle persone pensò che avessi scoperto un portale, una porta antica per intenderci, e che quella sera venisse presentata tale scoperta. Quella sera invece, tante persone ammirarono l’innovativa presentazione di Lameziastorica, il portale storico (nel senso di aggregatore di contenuti web) di Lamezia Terme che, a distanza di 20 anni, continua a fornire ai suoi visitatori un coinvolgente spaccato storico sulla nostra bella e contrastata città. Buon compleanno Lameziastorica!


lameziaenonsolo incontra

Felice Saladini di Nella Fragale

Come è stata la sua infanzia? Che rapporto ha avuto con la scuola? Ha dei bei ricordi della sua giovinezza? Ha mantenuto i suoi rapporti con i suoi compagni di scuola ed amici della sua fanciullezza? Sono nato a Lamezia Terme nel 1984, mia mamma è un’insegnante e mio papà un impiegato delle Poste Italiane. Ho dei bei ricordi della mia infanzia. Momenti semplici e felici passati con la famiglia e gli amici. Ho sempre avuto un buon rapporto con la scuola e con i miei insegnanti e compagni di classe. Sono sempre stato molto curioso nei confronti di quello che non conoscevo. Dopo le superiori ho iniziato l’università ma l’ho lasciata dopo due anni per dedicarmi al lavoro, la voglia di mettermi in gioco e di rendermi autonomo erano urgenti. Ho mantenuto sempre uno stretto legame con la mia città dove ho ancora rapporti di amicizia strettissimi con le persone incontrate durante la mia infanzia.

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Ha iniziato il 2021 con un’importante novità imprenditoriale. Come nasce MeglioQuesto? MeglioQuesto nasce dalla volontà di rispondere alla sfida più importante che la digitalizzazione spinta dalla pandemia ha messo in evidenza nel 2020: non lasciare indietro nessuno. Vogliamo dare a tutti la possibilità di sfruttare le potenzialità che ha pr da questo cambiamento epocale. In meno di vent’anni il web si è trasformato da vetrina a centro nevralgico delle decisioni, degli scambi e della crescita globale. Nell’ultimo anno abbiamo preso confidenza con le interazioni in video, con i sistemi di comunicazione multimediale. Non tutti però hanno gli strumenti per sapersi orientare. Noi abbiamo raccolto questa sfida su due fronti, quello delle vendite, core business del nostro gruppo, e quello sociale e culturale. Cosa offrite concretamente di nuovo? Offriamo la migliore esperienza di interazione attraverso l’assistenza personale e digitale. Una delle caratteristiche più importanti della nostra proposta sono gli “angel”, assistenti personali che interagiscono utilizzando tutti i canali: chat, video call e sono presenti anche in luoghi fisici. I nostri consulenti si collegano direttamente con gli utenti della piattaforma per aiutarli nella ricerca e la scelta di servizi e prodotti. Ed è solo l’inizio. Stiamo lavorando in modo formidabile sulla formazione per consentire ai nostri consulenti di dare una assistenza del tutto nuova con tecnologie sviluppate internamente. Ci guida una filosofia precisa: la rete è uno strumento straordinario ma non si può sostituire la componente umana. Su MeglioQuesto si mescolano l’umanesimo

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della rete e l’efficienza dell’e-commerce tradizionale. Quali sono i valori economici di questa nuova impresa? Parto dal dato più importante: i nuovi posti di lavoro che abbiamo intenzione di creare. Almeno cinquecento nuovi posti nei primi dodici mesi che si aggiungono ai 3.500 che già lavorano per noi in oltre quaranta città italiane. Ci sono poi gli investimenti sul fronte tecnologico mentre stiamo finalizzando nuove acquisizioni per portare nuove energie e competenze nel gruppo. Per quanto riguarda l’impegno sociale e culturale? Per rispondere al meglio a questa sfida ho lanciato una nuova organizzazione: Fondazione Territorio Italia che conta su un team con alle spalle un’esperienza radicata in tema di partecipazione, pari opportunità e smart working. Con Chiara Bisconti, tra i pionieri dello smart working in Italia sia nel settore privato che in quello pubblico, e Ilaria Scauri che ha un’esperienza decennale nelle fondazioni italiane, abbiamo lavorato in questi mesi per costruire una squadra che traduca in progetti concreti queste ambizioni e già nei primi mesi del 2021 presenteremo i primi progetti. Cosa distingue la sua azienda dai competitors? Noi possiamo dire cosa ci caratterizza: la nostra priorità consiste nel puntare all’eccellenza, nella qualità e nella trasparenza, creando luoghi dove si lavora con gioia, dove le persone si sentono valorizzate, ricerchiamo il miglioramento continuo e premiamo il merito. La gestione delle risorse umane è focalizzata sulla valorizzazione dei talenti e delle capacità personali e professionali. In questo crediamo profondamente e vediamo ogni giorno che porta risultati notevoli. Come abbiamo detto, quando si fa il suo nome si parla di cifre importanti come ci riuscite? E’ circondato da uno staff che lo aiuta nelle varie decisioni? Si certamente condividere il lavoro con collaboratori competenti e preparati è fondamentale. Il dialogo e il confronto sono fon-

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damentali. Saper identificare il valore di ciascuno e tirarlo fuori dagli spazi cosicché diventi valore aggiunto per tutti. Non prendo mai una decisione senza averla prima condivisa con i miei collaboratori. Siamo letteralmente una squadra, poi certamente l’ultima parola è la mia la responsabilità è mia, ma voglio condividere le scelte che devo fare. Quanto è difficile per i giovani fare impresa in Italia? Sì è difficile, ma vale comunque la pena provarci. Il mercato del lavoro oggi chiede delle professionalità sempre più specializzate. Noi investiamo molto nella formazione di giovani talenti in collaborazioni con le università e i master. Per me è stato difficile ma non impossibile. E’ stata principalmente una questione di obbiettivi. Avevo un obiettivo e ho cercato in tutti i modi la strada per realizzarlo e costruirlo. Ci vuole molta determinazione. E’ “patron” della Vigor Lamezia. I lametini si aspettano molto da lei per la loro squadra, ne è consapevole? Le staranno con il fiato sul collo giudicando ogni mossa, è pronto? Una città come Lamezia Terme meritava, dopo anni di divisione, di tornare a sognare con un’unica squadra, e ambire a tornare in campionati di livello superiore. Dobbiamo superare lo scetticismo di parte della tifoseria, è vero, e lo faremo sul campo. Al momento, con il campionato sospeso, abbiamo lavorato per offrire alla squadra una base organizzativa ed economica più solida. Si dice che imprenditori si nasce non si diventa, è d’accordo con questa affermazione? Essere un imprenditore di successo cosa comporta? Non avere mai tempo, troppo preso dal lavoro, oppure avere tutto il tempo che si vuole e poter fare quello che si vuole quando si vuole proprio perché è tutto ben organizzato? Credo che imprenditori lo si diventi ogni giorno, lavorando per lo sviluppo dell’azienda e il benessere dei propri dipendenti e collaboratori. L’aver creato una struttura aziendale ben organizzata mi permette di godere dei miei momenti liberi da impegni lavorativi,

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così da dedicarmi alla mia famiglia e alle mie passioni. Avendola come amico su FB e seguendola su Instagram, vedo che lei è abbastanza “social”; che importanza hanno oggi i social per un’azienda in generale? Oggi per un’azienda esistere significa anche avere una propria presenza sui canali “social”. Sono strumenti eccezionali che vanno gestiti con cura per sfruttarne tutte le loro potenzialità, capaci di raggiungere un pubblico difficilmente raggiungibile da altri media; Invece dal punto di vista personale se utilizzati in modo cauto e intelligente i social possono essere anche una grande opportunità per le persone comuni, per comunicare valori sani e attivare circoli virtuosi tra le community. Spesso sono usati come una vetrina autoreferenziale e allora servono a poco. Per chiudere una domanda di rito: Che consiglio darebbe ai giovani che vogliono entrare nel mondo del lavoro? Io credo che sia fondamentale essere estremamente curiosi, guardare oltre, impegnarsi in luoghi dove maggiormente si manifestano fermenti di trasformazione. Andare in aziende che investono in innovazione e nei giovani. Avere degli obiettivi precisi da raggiungere e se qualche volta la strada devia dagli obiettivi prestabiliti sfruttare questa deviazione come opportunità. Non accontentarsi, pensare sempre che si può fare meglio non solo per se stessi ma per la società in cui si vive. Lei è sempre molto elegante, non le chiedo se ha uno stilista preferito ma … c’è un capo di abbigliamento al quale lei non rinuncerebbe mai? Non ho uno stilista preferito ma c’è un capo da cui non mi separerei mai: la camicia bianca. E’ un buongustaio? Preferisce la cucina semplice, magari quella calabrese, o la cucina Gourmet? Sono una buona forchetta, mi piace sperimentare tutte le cucine sono un modo per capire la cultura e la storia delle città dove mi sposto.

uomo c’è una grande donna, lei conferma? Io seguo l’azienda e faccio l’imprenditore con i miei collaboratori. A casa il capo azienda è mia moglie. Quindi sì confermo dietro il successo di un uomo c’è anche la bellezza della condivisione della quotidianità con la propria compagnia di vita. Ha tre figli, sempre dai social noto che è un padre affettuoso, è così? È un papà presente? Sono un papà presente nonostante il lavoro mi porta sempre a essere fuori. Ma non salto mai i momenti importanti e quando sono a casa stacco la spina. Per lavoro lei vive a Milano e la sua famiglia a Lamezia. Questa lontananza le costa molto? Mi costa moltissimo ma lavoro per costruire il futuro della mia famiglia. Ci sentiamo spesso, con tutti i mezzi a disposizione oggi si può essere molto presenti anche nella lontananza. Che musica ama ascoltare? Musica italiana in assoluto. Ascolto prevalentemente i cantautori italiani, dai grandi classici ai più attuali, da Dalla a Brunori per intenderci. Sono affascinato dalla bellezza e ricchezza del cantautorato italiano. La frase che ho scelto per chiudere l’intervista è di Albert Einstein: “Colui che segue la folla non andrà mai più lontano della folla. Colui che va da solo è più probabile che si ritroverà in luoghi dove nessuno è mai arrivato. E, visto il successo che questo giovane lametino ha, è innegabile che non abbia seguito la folla, che abbia “scelto” di osare, di cambiare, eppure non è “un cervello non in fuga”! E’ vero che è costretto a lavorare al nord ma la sua famiglia è qua, e lui ritorna qua, sempre, non solo per le vacanze, magari lo imitassero in tanti! Felice Saladini ha una grande capacità imprenditoriale ed ha creato un business nuovo, originale, che ha dato risultati straordinari. Credo che la sua mente sia sempre in fermento e che continuerà ad avere altre notevoli affermazioni proprio grazie alla sua determinazione. Noi siamo orgogliosi di questo figlio del Sud e on possiamo che augurargli un grande e sentito “Ad maiora semper!”.

E’ sposato con una lametina, si dice che dietro il successo di un

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Sport

AMARCORD Il tecnico siciliano nel 2008 portò la Vigor ad un passo dalla C1 perdendo i play off AMMIRATA: “I TIFOSI IL NOSTRO VALORE AGGIUNTO. QUELLA ERA UNA GRANDE VIGOR. LA STAGIONE DOPO SBAGLIAI AD ACCETTARE” di Rinaldo Critelli “Prima del derby mi chiesero: gara difficile? Risposi, sì per il Catanzaro batterci e vincemmo noi. Il calcio è matematica: se conquisti palla nella metà campo avversaria fai 30 invece di 70 metri per arrivare in porta e far gol” “Ueh amico mio come stai?” Neanche il tempo di dire ‘mister’ che dall’altra parte del telefono ti accoglie con stima ed affetto, come faceva dodici anni fa ad ogni intervista al ‘Carlei’ o al D’Ippolito. Lui è il ‘sergente di ferro’, l’ammiraglio, più semplicemente Fofò Ammirata, che faceva del ‘furore agonistico’ il suo credo ed a cui bastava uno sguardo per far capire a suoi cosa volesse in campo. Il calcio, ancor di più il mestiere di scrivere, è affascinante ed al tempo stesso ‘romantico’ perché dà l’occasione di apprezzare, oltrechè risentire, personaggi come Fofò Ammirata, galantuomo d’altri tempi, che nel calcio attuale non sfigurerebbe affatto portando genuinità oltre che competenza. Ammirata compirà settant’anni il 7 aprile ma la passione e la saggezza sono rimaste quelle di sempre. Era il febbraio del 2009 e la sconfitta interna col Melfi gli costa la panchina della Vigor Lamezia, poi retrocessa in D. Ma il prodigio in biancoverde, il tecnico di Gela, lo compie la stagione prima quando arriva fino alla semifinale play off persa col Marcianise. “Quella – attacca Ammirata - era una grande Vigor, con grandi persone prima che calciatori, costruita in maniera straordinaria da Carmine Donnarumma assieme al sottoscritto. Abbiamo fatto un campionato eccezionale, avremmo anche meritato di vincerlo, se non fosse che siamo caduti in maniera incredibile a Marcianise. Purtroppo nel calcio non vince sempre la squadra che gioca meglio”. All’andata fu 1-1 (gol di Battisti per la Vigor e Poziello), al ritorno 2-0 per loro, con l’intera gradinata ospite stracolma di cuori e vessilli biancoverdi. Ricorda? “Eccome! Al sol pensiero mi vengono i brividi. Avevamo un valore aggiunto: il pubblico di Lamezia, per cui giocavamo sempre in ’dodici’. Non era facile per gli avversari, specie al D’Ippolito. Allenare a Lamezia era diverso che farlo in altre piazze: per me è stata una tappa straordinaria”. Fu uno dei risultati migliori della sua carriera quella semifinale play off? “Sicuramente, un traguardo prestigioso. Nonostante in passato avessi vinto un paio di campionati in D (Igea) ed Eccellenza, uno di C1 a Palermo quale vice di Sonzogni. Ho

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allenato per 5 anni il Palermo Primavera. Poi altri 2 alla Vibonese in C con un grande presidente come Caffo. Una salvezza strepitosa a Gela in C1. E poi Marcianise in C1. Anche quelli sono stati anni straordinari, però Lamezia è stato un trampolino di lancio non indifferente”. In quell’annata anche due fruttuosi (4 punti) derby col Catanzaro. All’andata Riccobono e Lauria per il 2-1 al ‘Ceravolo’ (per loro segnò Frisenda); al ritorno in casa 2-2, con gol vigorini di Marasco e Lauria (per loro Bueno e Marchano). “Racconto un aneddoto: quando andammo a Catanzaro avevo anche degli squalificati (Petrassi, Rosamilia, Maisto e Marasco; e due acciaccati Porpora e Ramora – ndr), nelle interviste della vigilia mi chiamarono i tuoi colleghi e mi chiesero ‘partita difficile?’, ed io: ‘Sì, molto difficile per il Catanzaro battere questo Lamezia’. E così fu: segnò il ‘piccoletto’ Riccobono che ha ancora un bel sinistro su perfetta punizione e Lauria”. L’anno dopo invece il suo esonero, arrivò Pierini. Se l’aspettava e cosa non funzionò? “Assolutamente no. Purtroppo ho fatto un errore grossolano: mi hanno convinto a restare. La società mi disse che doveva salvarsi anche all’ultima giornata, io però non ci arrivai, mi tolsero dopo 5 gare del ritorno. Avevo sempre mezza squadra infortunata e giocavo coi ragazzini. Quella fu l’unica cosa che non ho digerito. Col senno del poi dico che sbagliai ad accettare l’incarico, però non pensavo potesse finire in quel modo specie dopo la splendida annata precedente. Ricordo che andarono via anche il ds Zizza ed il preparatore Mondilla”. Le manca la panchina? “Tanto. Mi sento ancora giovane nonostante ad aprile com-

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dei giocatori in campo come dicono i presunti ‘sapientoni’ con i vari moduli, ma i compiti che assegniamo loro. Amo le squadre che puntano la porta in verticale, per dircela chiaramente. Se poi si vince il modulo è giusto, se perdi i compiti assegnati non erano quelli giusti”. Mister, non posso non citare un suo must: ‘il furore agonistico’, che elogiava in ogni vigilia e poi vedevamo in campo dai suoi giocatori… “E’ una vera metodologia di lavoro. A me davano del difensivista ma non è vero: giocavo sempre in attacco, perché i miei attaccanti erano i primi a difendere ‘alti’. Il calcio è matematica: se conquisti palla nella metà campo avversaria fai solo trenta metri per arrivare in porta. Ma se giochi nella tua metà campo, allora devi farne settanta per arrivare a far gol. Ergo: bisogna pressare alti”. pia 70 anni. Purtroppo da qualche anno non mi chiama nessuno, anche per ‘colpa’ mia: dal 2016 per gravi motivi familiari ho detto di no a varie panchine e da allora sono passati 4/5 anni”. E se dovessero chiamarla adesso? “Lamezia? Verrei di corsa” (… e la voce si illumina…) “Sto bene. Mi piacerebbe fare il responsabile dell’area tecnica di un settore giovanile. In questo momento il calcio soffre tanto per il Covid, in particolare dall’Eccellenza in

Un saluto ai tifosi della Vigor? “Mi sono rimasti nel cuore perché non dimentico quello che ho fatto a Lamezia in entrambe le annate e la gente mi vuol bene perché sa che ero sincero con tutti. Noi – e lo devi scrivere – giocavamo con un valore aggiunto, noi giocavamo… in dodici con la spinta di tifosi e pubblico”. * pubblicate Castillo, Galetti, Sinopoli, Gigliotti, Scardamaglia, Sestito, Forte, Lucchino, Rogazzo. continua… giù. Ritengo sia molto importante, sotto l’aspetto psicologico, però far riprendere ad allenare le squadre, con tutte le precauzioni, magari senza disputare gare perché l’organizzazione dei tamponi non è la stessa dei professionisti”. Mister, ovviamente il suo tempo libero è tutto per figli e nipoti? “Certamente. Ho due figlie, e faccio il nonno di Maria Francesca e Benedetta, di 6 e 2 anni.”. Cosa non le piace del calcio di oggi? “Mamma mia (che è tutto un programma – ndr) – sorride -, il calcio è nato in Inghilterra ma di quella bellezza ha conservato poco. Oggi è caotico, troppi passaggi, il tiki-taka di Guardiola è deleterio. E’ importante non la dislocazione Lamezia e non solo

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pandemia

Autolesionismo, disagio, assenza di futuro: la generazione del lockdown da cui ripartire di Salvatore D’Elia

Intere generazioni, in particolare quelle nate dopo la seconda metà degli anni ’80, sono da anni accusate di assenza di programmazione e di visione per il futuro. Nell’ultimo anno tutto si è capovolto: programmare il futuro, anzi il presente, non solo non è possibile, ma non è neppure auspicabile. Programmare il futuro diventa quasi “un peccato”. Questa è una delle cause principali che ha determinato quella che gli esperti hanno cominciato ad etichettare come “la generazione del lockdown”. Adolescenti, universitari e post-universitari da dodici mesi alle prese con lezioni da remoto e didattica a distanza. Ma soprattutto alle prese con una drammatica sospensione della vita, relazioni messe in stand by per un tempo indeterminato, impossibilità di guardare al presente e al futuro a lungo raggio. Una generazione dal cortissimo respiro. Sono allarmanti i dati comunicati nelle scorse settimane da Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma: i tentativi di suicidio e autolesionismo sono aumentati del 30%. “Dal mese di ottobre ad oggi, quindi con l’inizio della seconda ondata, abbiamo notato un notevole rialzo degli accessi al pronto soccorso con disturbo psichiatrico, nel 90% sono giovani tra i 12 e i 18 anni che hanno cercato di togliersi la vita – ha spiegato Vicari in un’intervista all’Huffpost -. Se nel 2019 gli accessi al pronto soccorso erano stati 274, nel 2020 abbiamo superato quota 300. Mai come in questi mesi, da novembre a oggi, abbiamo avuto il

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reparto occupato al 100 per cento dei posti disponibili, mentre negli altri anni, di media, eravamo al 70 per cento. Ho avuto per settimane tutti i posti letto occupati da tentativi di suicidio e non mi era mai successo. Al pronto soccorso si registra un ricovero al giorno per ‘attività autolesionistiche’” L’analisi dell’esperto dell’ospedale romano sono in linea con quanto rilevato da un più ampio studio pubblicato su “Lancet”, coinvolgendo oltre 200mila cittadini europei, che ha visto la collaborazione tra l’università di Copenhagen, l’Università di Groningen, University College di Londra, l’Istituto nazionale francese per la ricerca sulla salute e la medicina e Sorbona di Parigi. Ansia e solitudine sono un danno collaterale sempre più preoccupante della pandemia e stanno diventando un vero allarme sociale, che colpisce in maniera drammatica gli under 30. Il disagio è stato acuito nei giovani dalle misure per il distanziamento che hanno ridotto e in alcuni casi azzerato la loro socialità extrafamiliare. Nei giovani la solitudine percepita è doppia rispetto agli over 60. In generale, risultano livelli comunque più alti della media anche per le donne e per chi ha malattie pregresse in generale. Tutto questo - si legge nello studio - potrebbe portare a malattie a lungo termine se non croniche, destinate a rimanere anche dopo la pandemia. I picchi più elevati di choc si sono registrati a marzo e aprile scorsi con l’arrivo del Covid e le quarantene più rigide. I danni psicologici potrebbero durare per anni e una parte delle nuove generazioni potrebbe restare segnata dolorosamente. Nessuno conosce ancora i tempi del graduale ritorno alla normalità. I dati e gli studi ci inchiodano a una realtà che porteremo con noi: quella di una o più generazioni under 30, ma anche under 20, alle quali improvvisamente sono stati tagliati sogni, progetti, prospettive e speranze. Di loro si è parlato pochissimo, solo oggi, riservando loro qualche titolone per poi dimenticarcene il giorno dopo. Eppure proprio da loro bisogna ripartire per parlare, non più il linguaggio della paura, ma quello del futuro.

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lameziaeuropaspa

Progetto Waterfront e Porto Turistico:

Sopralluogo con Assessore Regione Calabria Catalfamo

per opere infrastrutturali SS 18 area industriale Lamezia Terme.

Proseguono le attività operative riguardanti il Progetto Waterfront e nuovo Porto Turistico promosso da Lameziaeuropa. Questa mattina lungo la SS 18 nei pressi dell’area industriale di Lamezia Terme si è svolto un sopralluogo operativo alla presenza dell’Assessore Regionale alle Infrastrutture, Pianificazione e Sviluppo Territoriale Domenica Catalfamo, del Direttore Generale del Dipartimento Regionale Infrastrutture, Lavori Pubblici, Mobilità Domenico Pallaria, del Dirigente Regionale alle Infrastrutture di trasporto Giuseppe Iiritano, per una verifica degli interventi infrastrutturali di contesto alla Zes Calabria ed al progetto Waterfront Lamezia– Porto Turistico. L’Assessore Regionale Catalfamo nel corso del sopralluogo ha evidenziato l’impegno della Regione Calabria, in questa fase di riprogrammazione delle risorse finanziarie riguardanti gli interventi sulla viabilità regionale da realizzare insieme ad Anas, a definire scelte ed indirizzi finalizzati all’ammodernamento, poLamezia e non solo

di Tullio Rispoli

tenziamento e messa in sicurezza delle reti viarie e di trasporto strettamente legati allo sviluppo del territorio calabrese. In tale ottica il sopralluogo odierno insieme al Direttore Generale Pallaria ed al Dirigente Iiritano, ha riguardato in particolare i seguenti interventi infrastrutturali lungo la SS 18 inseriti nell’ambito del Protocollo d’Intesa promosso dalla Regione Calabria e sottoscritto nel settembre 2019: • realizzazione di una rotatoria a nord della SS 18 e nuova bretella stradale di collegamento della SS 18 per accesso diretto a zona Centro Agroalimentare, Centro Protesi Inail, Aula Bunker e Porto Turistico; • messa in sicurezza ed allargamento tratto Statale 18 Area industriale Zona Vivaistica; • allargamento e messa in sicurezza ponte sul Turrina anche ai fini della possibile messa in funzione del sovrappasso realizzato da diversi anni su SS 18 allo stato non utilizzabile. ripristino della strada di collegamento diretto tra Aeroporto ed Area Industriale di Lamezia attualmente chiusa per mancata messa in sicurezza del ponte sul Fiume Amato in prossimità di località Trigna. Tale intervento è inoltre fondamentale per le attività agricole dell’area ed è stato fortemente sollecitato da alcuni anni mediante petizione sottoscritta da oltre 40 operatori agricoli.

Nel corso del sopralluogo il presidente della Lameziaeuropa spa Leopoldo Chieffallo ha consegnato al Dipartimento Regionale Infrastrutture, Lavori Pubblici, Mobilità copia di tutti gli elaborati del Progetto di Fattibilità Tecnica ed Economica del Progetto Waterfront e Porto Turistico Lamezia già trasmessi in via telematica da Coipa International in data 14 dicembre 2020 agli Enti sottoscrittori del Protocollo d’Intesa: Regione Calabria, Comune di Lamezia Terme, Provincia di Catanzaro, Corap, Fondazione Terina e Lameziaeuropa.

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Il nostro territorio

Lamezia Terme: Cinquantadue anni, tra storia e cronaca.

Il ruolo dell’avvocato Arturo Perugini e quello del Vescovo della diocesi di Nicastro, mons. Renato Luisi

(seconda parte)

Mons. Renato Luisi arrivò a Nicastro, nel giugno del 1963, dalla diocesi di Bovino che fa parte, oggi, dell’odierna arcidiocesi Foggia-Bovino nata nel 1986 dall’unione di due precedenti sedi episcopali: quella di Bovino, attestata dal X secolo, e quella di Foggia, istituita il 25 giugno 1855. Egli fu l’ultimo vescovo residenziale della secolare diocesi bovinese. Incerta e scarsamente documentata ne è l'origine. Il primo vescovo che ne è storicamente attribuibile è Giovanni, menzionato in un diploma dell’arcivescovo Landolfo del 971. Sul finire del XII secolo il vescovo Roberto I fece costruire la chiesa in onore di San Marco; durante l’episcopato di Pietro I fu eretta la Cattedrale consacrata nel 1231, la quale inglobò la citata chiesa di San Marco. A partire dal XIII secolo la città fu devota alla Vergine, Nostra Signora di Valleverde, e la Cattedrale di Bovino, dichiarata Monumento nazionale nel 1890, fu elevata a dignità di Basilica Minore da papa Paolo VI nel 1970; dal 1986 è Concattedrale dell’Arcidiocesi Foggia-Bovino. Dedicata a Santa Maria Assunta, sorge su una bellissima piazza pavimentata in pietra lavica e colpisce subito per la sobrietà dello stile romanico che ne caratterizza la facciata. Nell’accettare il trasferimento nella diocesi nicastrese, mons. Luisi era stato “rassicurato” dal cardinale Carlo Confalonieri, suo amico, il quale prevedeva che nella piana lametina, al centro ed nel cuore della Calabria, si sarebbero aperte favorevoli condipag. 10

zioni con risvolti assai positivi per la Chiesa calabrese. Il cardinale Confalonieri conosceva bene la Calabria e la diocesi nicastrese, la sua storia, la sua cultura. Il 6 giungo del 1959, vescovo diocesano mons. Vincenzo Jacono, fu lui a benedire ed inaugurare la colonna in cima alla quale è posizionata la statua della Vergine Maria che si trova in Piazza Pietro Ardito. A fare gli onori di casa al cardinale, dal punto di vista civile, era stato l’avvocato Arturo Perugini che, in quel torno di tempo, rivestiva l’incarico di commissario prefettizio di Nicastro. Don Renato era nato a Castelluccio Valmaggiore il 31 ottobre del 1903, nono degli 11 figli di Pasquale Luisi e Clorinda Barile, insegnanti elementari. Il vescovo di Foggia lo inviò a Salerno a frequentare la V ginnasiale; completò il liceo classico e gli studi teologici presso il Seminario regionale di Posillipo, a Napoli, cui era affiancata la Facoltà Teologica dei Gesuiti. Fu stimato e apprezzato dai superiori. Il 10 agosto 1927 fu ordinato sacerdote da monsignor Farina. Dal 1933 a Foggia don Luisi animò il circolo cattolico “Manzoni”. L’associazione, che per 25 anni aveva tenuto viva l’anima del cattolicesimo foggiano, cessò di esistere nel 1935 su intimazione delle autorità fasciste. Don Luisi curò quindi l’organizzazione della nascente Federazione degli universitari cattolici italiani (FUCI), di cui fu nominato assistente nel 1935. Durante la seconda guerra mondiale, la sede della Fuci divenne un punto di riferimento per tutta la società foggiana. I giovani universitari cominciarono a dibattere sui concetti di libertà e democrazia. La Fuci recepì queste istanze, indirizzandole verso gli ideali cristiani, e dando contenuto spirituale a quella ispirazione vaga ed incerta che gli studenti avvertivano, dopo le tristi esperienze di guerra. Nello stuolo dei giovani fucini si distinsero Carlo Forcella, amico intimo di un altro fucino, Aldo Moro, che sarebbe diventato presidente della Fuci di Bari nel 1936 e di quella nazionale dal 1939 al 1941 e, successivamente, un importante GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

di Giuseppe Sestito

leader politico negli anni dell’immediato dopoguerra e seguenti, e Maria Teresa Trifiletti che, in seguito, sarebbe diventata la moglie di Carlo Forcella. Molti di quei giovani fucini avevano frequentato il Liceo-ginnasio e il Magistrale di Foggia dove don Luisi insegnò per tutti gli anni in cui visse nella città pugliese prima che fosse nominato vescovo di Bovino. Come vicario generale della Diocesi (1943-1948), avallò una serie di attività di alto respiro. Numerose iniziative furono da lui proposte alla Città, da quelle religiose a quelle ricreative a quelle culturali, letterarie, scientifiche, ai dibattiti politici incentrati sullo studio dell’Umanesimo Integrale di Jacques Maritain, di Peguy, del Personalismo comunitario di Mounier e dei classici della sociologia cristiana. La Fuci di Foggia promosse il confronto ed il dibattito, un clima di tolleranza e di liberalità. Dotato di una personalità forte e carismatica, alla solida dottrina teologica unì una indiscussa cultura. Nel febbraio del 1958 realizzò un sogno concepito tra le rovine del dopoguerra: aprì a Siponto (un quartiere della città di Manfredonia in Puglia) “La Stella Maris”, una colonia permanente

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per i figli dei braccianti. Solcò l’Atlantico varie volte, alla ricerca dei fondi necessari. Di ritorno da questi frequenti viaggi, trasmetteva agli amici foggiani i ricordi e gli apprezzamenti degli americani per alcuni grandi interpreti della musica italiana: da Caruso a Gigli, da Verdi a Giordano a Puccini, da Toscanini ad Arturo Benedetto Michelangeli. Fu nominato vescovo della diocesi di Bovino da Giovanni XXIII. Rimase titolare per soli tre anni, lasciando dietro di sé una grande eredità spirituale. A Bovino acquistò l’antico castello ducale dei Guevara, destinandolo ad attività pastorali e scolastiche. Mons. Luisi fu trasferito nella diocesi di Nicastro nel mese di giugno del 1963 ed il 30 dello stesso mese fece il suo ingresso in diocesi dopo la morte, avvenuta il 1° di aprile di quell’anno, del suo predecessore, mons. Vittorio Moietta, che era entrato in diocesi meno di due anni prima, il 25 aprile del 1961. Mons. Vittorio Moietta, piemontese, originario di Casale Monferrato, era dotato di un grande carisma, una immensa spiritualità, una eccezionale capacità comunicativa e progettualità pastorale. Era un Capo e ne aveva tutte le qualità. In poco meno di due anni di permanenza nella diocesi aveva conquistato una vasta popolarità ed era amato dal suo popolo che non lo

avrebbe mai più dimenticato. Non furono perciò facili gli esordi di mons. Renato Luisi nella diocesi nicastrese; tanto prudente e posato lui nelle relazioni umane ed anche nella gestualità e nei tratti fisiognomici, quanto empatico, dinamico, energico, propulsivo, era mons. Vittorio Moietta. Per cui, soprattutto nei primi tempi, il paragone tra mons. Luisi ed il suo grande Predecessore, sorgeva spontaneo nelle riflessioni dei lametini, credenti e non. Ma il nuovo pastore, mons. Luisi, dotato anch’egli di una eccezionale personalità e di una grande cultura, innamorato di Dante e della sua Commedia Divina, di cui conosceva a memoria interi canti, seppe ben resto dimostrare le sue capacità ed imporre al popolo Lamezia e non solo

nicastrese, la sua forza, la sua determinazione, la sua grande umanità. La diocesi nicastrese di cui mons. Renato Luisi prendeva possesso era altrettanto antica di quella di Bovino. «Solo nel 1986 – ha scritto Giovanna De Sensi, storica della Grecia antica e della Magna Grecia - la diocesi ha assunto il nome attuale della città, ma ha conservato per la curia la denominazione storica di Diocesi di Nicastro (Neocastren[sis] da Neókastron, Neocastrum) con cui è menzionata per la prima volta nelle disposizioni di Leone VI il Filosofo (886-912) tra le diocesi suffraganee della metropolìa di Reggio. E’ ipotesi ricorrente, ma non certa, - continua la studiosa lametina - che sia succeduta nel tempo a quella latina di Torri, menzionata in documenti sinodali e conciliari del VII secolo. Un catalogo bizantino della prima metà dell’XI secolo registra la presenza nella diocesi di Neókastron dei monasteri di S. Costantino, dei SS. Quaranta Martiri e di Sant’Eufemia, con la lista dei relativi possedimenti». Durante la sua lunghissima storia, due vescovi di Nicastro sono saliti al soglio pontificio: «il vescovo Marcello Corvino, diventato papa nel 1555 col nome di Marcello II e G. A. Facchinetti, vescovo di Nicastro dal 1560, che diventò papa col nome di Innocenzo IX. Questo Pon-

tefice, partecipò attivamente al Concilio di Trento, fu delegato alla redazione del Decreto di Riforma e si premurò di applicarlo nella sua diocesi». [1] Anche a Nicastro mons. Luisi si rese promotore di iniziative singolari: la “scuola per i figli dei rom” fu la prima in Italia. La televisione nazionale trasmise la cerimonia di inaugurazione. Attribuì una straordinaria importanza alla stampa, ed in generale alla diffusione delle informazioni: nel 1944-1945 promosse, a Foggia, il periodico cattolico “Il Popolo Dauno” e, successivamente, “Il Progresso Dauno”; a Nicastro incentivò la diffusione di “Orizzonti Nicastresi” ch’era stato creato da mons. Vittorio Moietta e diretto dal suo segretario don Carlo Grattarola. Rilanciò l’Azione cattolica e la Fuci e le sue attività in tutta la diocesi chiamando a dirigerne l’associazione diocesana il sottoscritto e la prof.ssa Marisa Ferlaino. Intrecciò rapporti con uomini illustri del suo tempo: da mons. Montini (futuro papa Paolo VI), al cardinale Carlo Confalonieri, a Carlo Forcella, sindaco di Foggia, ad Aldo Moro, che conobbe nella Fuci di Bari. «L’amicizia con il cardinale Dom Helder Camera, vescovo di Recife (che denunciò il problema drammatico della miseria in Brasile affermando: «La miseria è un insulto a Dio»), era fondata su una condivisione profonda di coraggiose posizioni sociali». Dopo essersi speso vincente e con successo per la creazione di Lamezia Terme nel 1967, che rimane la sua opera di natura civile più bella ed importante, destinata a rimanere nei secoli, in questo quadro di sogni coltivati e realizzati, va inserita la rinuncia alla sede vescovile di Nicastro per recarsi in missione in Brasile, in una delle zone più disagiate: l’Amazzonia. All’età di 65 anni, nella missione brasiliana “Candido Mendes”, mons. Luisi realizzò un asilo per 250 bambini dedicato alla Madonna dei Sette Veli: un’opera monumentale, inaugurata nel 1970, frutto della generosità del gruppo “Amici del Brasile”. La sua vita missionaria fu interrotta da una rara malattia tropicale che lo costrinse a rientrare

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l’angolo di tommaso

di Tommaso Cozzitorto

Ho incontrato

Ho incontrato l’alba in una cornice di fuoco, ho sco- senza regalo, guardavo una scatola vuota, l’ho lasciata perto il cielo ma solo per un po’, ho vissuto per non lì, dimenticata. Ho incontrato la notte immersa in una morire, era solo un attimo e per pietra, in attesa dell ‘alba, e ti ho cominciare, i colori a ridosso del parlato di una vana attesa, di una mare, poi ho provato a fermare il speranza incastonata, di un pozzo tempo e il tempo mi ha perso in profondo e poi della vita. un giorno qualunque. Ho incontrato l’amore su una colHo visto una rondine stanca di lina brulla, ma il vento venne a volare, ho parlato come un sacco spazzare via il mio cuore, me ne immerso nel sale poi più niente, ritornai a valle, in compagnia di ho lasciato andare quel che di una parola che seguiva i rami di me si poteva ancora sognare, una un bosco piccolo e non cercai mai speranza non dà sempre dolore. più il mio cuore. Ho incontrato il dolore sotto un Ho incontrato il fuoco in una corcielo pieno di stelle, col naso in nice d’alba, da solo sono ritornato, su avrei voluto vedere quello che sulla strada solo un foglio dimendi te restava sulla barca bianca, ticato, un titolo bagnato, non ero come nuvola respiravo aria, poi io, ero altrove, ero un tramonto, un più nulla su di me. gatto nero, uno scoglio, un sopravGiunge sempre il giorno del covissuto, un pezzo di tela, un diario raggio, giunge sempre un sogno di vento. in Italia, a Foggia, dove concluse la sua vita terrena il 16 novembre del 1985. A Lui pienamente si addice ciò che ha scritto Paolo di Tarso, che conclude la seconda lettera a Timoteo con queste indimenticabili parole: «…ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno…..» Su sua espressa disposizione, nel ventesimo anniversario della sua morte, il 16 novembre 2005, le spoglie del Pastore Renato Luisi, che resta tra i più grandi che la chiesa lametina abbia avuto, furono trasferite a Bovino e tumulate nella sua splendida cattedrale. La lapide posta al di sopra del suo sepolcro recita: Qui riposano le spoglie di Mons. Renato Luisi Ultimo vescovo residenziale della diocesi di Bovino. pag. 12

Nato a Castelluccio Valmaggiore il 31 ottobre 1903 Sacerdote di grande cultura Nominato vicario della diocesi di Foggia Si prodigò per la formazione cristiana dei giovani universitari. Eletto vescovo di Bovino il 7 dicembre 1959 Pastore amabile e forte Nel suo breve ministero quivi esercitato Predilesse con larga munificenza i più poveri. Evangelizzò con amore i fedeli sparsi nelle campagne Acquisì alla diocesi il Castello dei Duchi Guevara di Bovino. Trasferito nella diocesi di Nicastro il 30 giugno 1963 E in seguito vescovo missionario nel Brasile Espresse il desiderio di essere sepolto in questa Cattedrale Nel XXV della sua morte Avvenuta a Foggia il 16 novembre 1985 Il Capitolo Concattedrale, i Fedeli e quanti lo amarono. Nel 30° anniversario della sua morte, domenica 15 novembre 2015, l’amministrazione comunale di Castelluccio Valmaggiore, a conclusione di una intensa concelebrazioGrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

ne religiosa, scoprì una lapide apposta sulla facciata della casa dove il Presule era nato e gli intitolò una strada, via Mons. Renato Luisi. In una lettera aperta del 20 giugno 2020 indirizzata al sindaco Paolo Mascaro, al presidente del consiglio Pino Zaffina e ai consiglieri capi gruppo del comune di Lamezia, Salvatore De Biase già presidente del consiglio comunale della città e consigliere comunale in svariate consiliature lametine propone l’intestazione della sala consiliare di contrada Maddamme a Monsignor Renato Luisi. Per quanto mi riguarda, non posso che condividere con gioia la proposta, splendida, di Salvatore De Biase. Sarebbe un doveroso atto di riconoscenza e di amore della comunità civile lametina verso Colui a cui Lamezia Terme deve la sua esistenza. Penso che anche la Chiesa che è in Lamezia dovrebbe riscoprire e rinnovare il ricordo di questo suo grande Pastore. ******** [1] Giovanna De Sensi Sestito, Testo della voce ‘Diocesi di Lamezia Terme’ pubblicata nel vol. II dell’Enciclopedia delle Diocesi d’Italia, Edizioni San Paolo, Roma 2008.

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I Meridiani: Voci calabresi in serie e parallelo

Il dialetto e la metrica di Francesco Polopoli

Tante sono le forme poetiche (ode, canzone, sonetto Tiagnu na ngagghjia ‘i l’anima chi ridi, e.g.) prestate all’espressione sentimentale dei nostri Ntramenti c’ammutanu i cicali poeti: Goethe, più specificatamente, sottolineandone E lli pampini ‘i fhicu shu già d’oru. l’aspetto metrico, definiva l’endecasillabo “il verso d’oro” ed il sonetto “il suo degno scrigno”. Tradotto Cala llu shuli. in parole povere: “meglio dell’endecasillabo non c’è (Francesco Gaspare La Scala) nulla”. La musicalità di una riga fatta da undici sillabe sbancherebbe nell’economia di un discorso lirico, pur Anche i nostri adagi sapienziali non contraddicono circoscritto ad un genere, come in questo caso! Tuttaquest’usus scribendi: via, voglio rammentare, nulla togliendo alla tipologia testuale individuata dall’autore del Faust, che la Divina Commedia, oltre a contare 3 Cantiche, 100 Canti, Allu lustru d’’a lumèra, 101698 parole, ha più di 14000 versi: se tanto mi dà simu tutti ‘i ‘na manèra. tanto, ci troveremo di fronte ad un guinness per conteggio di sillabe, moltiplicate per undici. Tutto questo per (Guardàti alla luce della lampada, siamo tutti uguali). dire che se il sonetto è uno scrigno, la Divina è, fuor di dubbio, il tesoro dei tesori, servendo umilmente, al di là di questo, I dolori del giovane Werther. Inutile, poi, Colpisce, a dire il vero, questo distico proverbiale in fare una differenziazione tra letteratura ufficiale e lo- ottonari: tutta poesia in due versi a rima baciata! cale, canonica e marginale, colta ed inculta: la metrica è sottesa ad entrambe, quando è sciolta per l’una, lo è anche per l’altra. L’humanitas accomuna le relazioni, seguendo corde comuni, questa è verità: magari, se non è la cetra o la lira, a seguirla sarà il mandolino, ma non cambia nulla! Circa i neo-autori dialettali non entro nella polemica sterile che li conierebbe “becchini di nostalgie o demagoghi di un’archeologia senza lievito”. Un cadavere che risuscita, nella sostanza, questo parrebbe! Come Lazzaro della buona novella: non è un buon segno, mi domando, dipoi!? Intendiamoci: anche per la lingua nazionale è così. Il poeta richiama in vita (o fa nascere dal nulla) ogni cosa: non si serve del già vivo? Ecco le ragioni per cui Tullio De Mauro e Mauro Lodi parlarono, illo tempore, di dialettofobia e di mito puristico “che vede il dialetto come deviazione, errore, Vaso greco con la seguente traslitterazione ludica corruzione, incultura. ]~ l’idea, come si disse nella pemade in Sambiase: dagogia del tardo Ottocento, del dialetto come malerba, che la scuola dovrebbe provvedere a sradicare”. Tutto “Ccà nissunu è Fidia, pardon, è fissa”. ciò per evidenziare il valore imperituro delle memorie, Della serie: Satyra, tota (lametina) nostra est! slang compreso: recuperare il vernacolo credo faccia rimare le generazioni, baciandole nell’alternanza delle età che si sono succedute. Il metro, e concludo, segue il ritmo delle produzioni: Ecco una strofa saffica, composta da tre endecasillabi non scade, né tantomeno fa distinzioni. Escludere i diasaffici più un “adonio” pentasillabico finale: pare ora- letti, quelli sì che sono gravi omissioni! ziano, ed invece è lametino! Lamezia e non solo

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l’angolo di gizzeria

Nel ricordo del luogotenente

Alfredo Anselmo

di Michele Maruca Miceli - storico – ricercatore Alfredo Anselmo nasce a Gizzeria il 24-09-1959 dal padre Giuseppe e dalla madre Saveria Falvo. Terminati gli studi superiori, nel 1976 si arruola nell’Arma dei Carabinieri che dopo il corso di formazione lo destina come carabiniere presso la stazione di San Felice sul Panaro in provincia di Modena. L’anno dopo vince il concorso per sottufficiali che gli consente di ricopre il nuovo grado di vice Brigadiere prima e Maresciallo dopo impegnandolo in varie località del paese, dal nord al sud , da Bobbio(PC), San Giorgio Piacentino (PC) a Castel di Luci (ME). Nel 1991 rientrerà in Calabria dove gli viene assegnata la stazione di Guardavalle prima e Chiaravalle dopo. Dal 1993 al 2006 svolge anche le funzioni di Pubblico Ministero su delega del Procuratore della Repubblica di Catanzaro presso il Tribunale di CATANZAROdistaccamento di Chiaravalle Centrale. Sempre da comandante di stazione, attua svariate indagini contro le cosche locali che lo porteranno ben presto a diventare luogotenente ed essere insignito di varie onorificenze quali;

- Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. - Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. - Medaglia Militare di Bronzo e d’Argento e d’Oro al Merito di lungo Comando. - Croce d’Argento e Croce d’Oro per l’anzianità di servizio. - Diploma di Benemerenza con Medaglia a testimonianza dell’opera e dell’impegno prestati nello svolgimento delle attività con-

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nesse all’Emergenza “Calabria”. - Medaglia Mauriziana al merito ai 10 lustri di carriera Militare. Il luogotenente Anselmo orgoglioso di questo suo ardire che giornalmente anima il suo intenso lavoro non si ferma solo alla Calabria , ma affronta volontariamente la missione umanitaria in Kosovo, martoriato da guerre continue dei Balcani, ed è lì che dal 14 Dicembre 2006 al 30 Luglio 2007 ricopre l’incarico di Comandante di Plotone e per alcuni mesi di responsabile della componente carabinieri della compagnia “Bravo Coy” presso la Multinaltional Specializzed Unit di Pristina, dove era stato anche insignito di importanti attestati al merito: in particolare della Medaglia Commemorativa “Nato”e della Medaglia Commemorativa per le operazioni di Pace . Fervente cattolico ed attaccatissimo alla sua Gizzeria è sempre stato presente nelle feste patronali e nei giorni di particolare importanza per il paese, ricevendo sempre affetto e gratitudine dalla gente che incontrava per le strade. Correva l’anno 1989, quando egli decise di devolvere parte dei suoi risparmi al restauro di due “Kone” dedicate a San Giovanni Battista munendole di maioliche raffiguranti l’effige del Santo, ridando così, lustro e religiosità alle contrade che le ospitano. Il 24 Giugno del 2011 , il Sindaco ing. Pietro Raso , durante i festeggiamenti in onore di San Giovanni Battista, alla presenza di centinaia di fedeli ed autorità civili e religiose , gli consegna una targa di Riconoscenza per la lungimirante carriera ed il suo attaccamento a Gizzeria. Il 24 Aprile del 2016 improvvisamente, mentre si accingeva a prestare il suo quotidiano servizio, viene colto da un malore che gli stroncherà per sempre la vita. Inutili sono stati i soccorsi prontamente offerti dai sanitari, i quali non hanno che potuto constatarne la morte avvenuta all’interno della sua caserma . Che dire di questo grande luogotenente e Comandante dei Balcani, che fra pochi anni avrebbe tagliato l’agognato traguardo della pensione dopo una così lunga e lungimirante carriera, se non che il nostro caro Alfredo Anselmo ha saputo svolgere con tanta alacrità e dedizione la sua missione, collezionando un’ infinità di Decorazioni e Riconoscimenti internazionali che hanno fatto di lui un vero figlio dell’Arma , fedele nei Secoli fino alla morte .

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Comune di San Pietro a Maida

La Dottrina Sociale della Chiesa Uno strumento per camminare insieme di Fabio Stanizzo di Loretta Azzarito Don Fabio Stanizzo, Parroco della Chiesa di San Nicola di Bari in San Pietro a Maida, Direttore della Caritas diocesana di Lamezia Terme è l’autore di un nuovo lavoro che armonizzando il rapporto tra fede, cultura e pastorale sociale eleva il vero fine del Magistero Sociale indicando la via di un nuovo Umanesimo cristiano, che centralizza l’identità interiore dell’uomo nel vivere comune ed il valore della Carità come essenza del Cristianesimo. Già direttore dell’Ufficio Pastorale sociale del lavoro e dei Laboratori della Dottrina Sociale della Chiesa, Don Fabio dibatte sul lavoro, sulla centralità dei valori umani e principi della dottrina sociale, consegnando nelle mani dei lettori un importante ed utile strumento per camminare insieme. La dottrina sociale rappresenta il punto di riferimento necessario per una formazione cristiana completa, essa è principalmente fonte di dialogo per costruire insieme un futuro di giustizia e di pace, ma occorre viverla e farla conoscere. Ecco che Don Fabio spiega come tutti i cristiani hanno un ruolo da portare avanti nell’ambito del sociale : “Approfondire la vita interiore mediante una formazione culturale e professionale aiuta ad assicurare una maggiore armonia tra la vita quotidiana e la fede cristiana “. Alla base di ciò raccomanda Stanizzo si eleva la virtù della prudenza nel campo sociale, che attraverso lo studio, la riflessione, la consultazione, la valutazione ed il giudizio rende capaci di prendere decisioni coerenti e responsabili. Il Lavoro, che nel Magistero sociale e nella Teologia sociale è la sintesi dottrinale più profonda e completa, è la condizione fondamentale della singola persona, l’uomo è invitato a lavorare e custodire il giardino dell’Eden, egli agisce in quanto essere dinamico e produce attraverso risorse e tecniche. Ma il lavoro deve essere onorato attraverso la creazione di condizioni decorose (ecco dunque che ha un senso l’assunto del riposo sabbatico come idea di libertà). Nella linea della Rerum novarum scrive Stanizzo, il lavoro umano non è mera finalità economica e né superiorità del materiale, il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro : “l’uomo autore e fruitore del lavoro, ne è sempre il centro e su di esso ha sempre il primato “ “Spetterebbe alla politica assicurare , con metodo democratico, il funzionamento delle istituzioni che tutelino e promuovano le condizioni per migliorare l’esistenza del maggior numero possibile di persone, a partire da coloro che sono più svantaggiate”. Il quarto capitolo del libro è dedicato ai valori fondamentali della vita sociale. La convivenza tra gli esseri umani all’interno della comunità è feconda solo quando si fonda sulla verità. La verità così come la libertà e la giustizia nascono dalla carità. Lamezia e non solo

La libertà trova la sua voce nella dignità di ogni persona umana ed il suo valore viene rispettato quando ciascun membro della società può realizzare la propria personale vocazione. La giustizia svincolata dai criteri dell’utilità e dell’avere, ma fondata sulla solidarietà e sull’amore, si erige a realizzazione del bene comune collettivamente ed in stretta connessione con i diritti umani . Ricorda dunque Stanizzo l’enciclica Deus caritas est di Benedetto XVI , che sottolinea come per tale via l’amore sarà sempre necessario: “ la compassione e la misericordia, prendersi cura degli altri, avere un cuore che vede “ così la giustizia può trovare il suo completamento nella carità, unica virtù capace di animare l’agire sociale in direzione della pace. Punto fermo della dottrina sociale cattolica è e continua ad essere la sussidiarietà secondo cui lo Stato deve fare solo quello che i cittadini non possono fare. Il principio di sussidiarietà scrive Stanizzo è formulato nell’enciclica con la quale Pio XI celebra i quarant’anni della Rerum novarum: “ è ingiusto affidare ad una maggiore e più alta società quello che le minori e inferiori comunità possono fare” “ lo Stato deve rimettere ad istanze minori ed inferiori lo svolgimento di questioni di minore importanza, solo così esso potrà dedicarsi con maggiore forza alle attività di direzione, di governo, di vigilanza e difesa”. Precisa Stanizzo come non si debba confondere la sussidiarietà con il federalismo, ricordando anche che nella pratica sociale ed imprenditoriale i cattolici operano in gran parte in autonomia dallo Stato, con il fine del bene comune e che le loro iniziative nella sanità, nell’istruzione, nell’assistenza agli emarginati sono frutto di un lavoro sorretto da motivazioni solidaristiche ispirate alla dottrina sociale della Chiesa. Quello del bene comune attraverso l’azione politica è una vocazione altissima, una delle forme più preziose di carità se lo stesso bene comune (qualitativo, etico e non meramente quantitativo) garantisce la dignità della persona umana, vero fine di tutto il Magistero sociale. Ed il fondamento della dignità umana secondo cui degno è ciò che ha valore e perciò merita rispetto, nella dottrina sociale trova coerenza con la nostra identità, nell’intimo della coscienza e nella struttura della libertà, permettendo all’uomo di essere se stesso con le responsabilità della pace interiore, della relazione amica, della corrispondenza filiale alla paternità di Dio che ci ama per primo. Allora ecco che con questo libro Don Fabio Stanizzo ci insegna come in realtà il rispetto dei valori e la realizzazione dei principi necessari per costruire un nuovo Umanesimo cristiano, integrale e solidale dipendano dalla conoscenza, consapevolezza e volontà del popolo di camminare insieme, attra-

verso la partecipazione, il dialogo ed il confronto a completamento dell’ incontro del Signore la domenica, nella celebrazione eucaristica: “ La Dottrina Sociale della Chiesa costituisce oggi un punto di riferimento importante e irrinunciabile, ma è fondamentale viverla e farla conoscere, facendosi guidare sempre dall’essenziale, quell’essenziale che nella vita va donato a tutti”. Ricche e profonde le sue conclusioni che annunciano l’essenzialità dell’amore “senza l’amore non siamo nulla “ , “L’amore è una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace” . I mille volti della Carità , come quello, ricorda Stanizzo in questo periodo di pandemia, del sacrificio estremo della propria vita, dei tanti medici, suore e preti stroncati dal Covid-19. La Dottrina sociale della Chiesa, “un autentico stile di vita “ leggiamo nella immediata e riflessiva prefazione del libro del Vescovo della diocesi di Lamezia Terme Giuseppe Schillaci, “ così, “forti della ragionevolezza della nostra fede possiamo contribuire a rendere più umano e più fraterno il mondo che abitiamo” A chiosa di questo lavoro, che fa riflettere sul maggior coinvolgimento ed impegno di tutti, l’enciclica di Papa Francesco Fratelli Tutti, ispirata allo stile evangelico del Santo di Assisi, la cui missione non era quella di imporre dottrine, bensì comunicare l’amore di Dio che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro. Nella Postfazione del libro a cura del Professore ordinario di Storia delle dottrine politiche Flavio Felice leggiamo dunque: “ fraternamente si è popolari nella misura in cui si promuove la dignità di colei o di colui di cui ci prendiamo cura” .

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territorio

di Matteo Scalise

I SANTUARI MARIANI DELLA DIOCESI LAMETINA

Santuario Maria S.S. del Carmelo in Curinga: Sorge su una dolce collinetta all’inizio del comune di Curinga il Santuario dedicato a Maria Santissima del Carmelo. Le scarse fonti storiche ci informano che la costruzione del sacro edificio, dopo l’edificazione del Convento dell’Ordine Carmelitano, fu completato il 26 agosto 1629, quando divenne parrocchia, mentre nel 1705 su costituita la Confraternita religiosa su concessione degli allora Padre Generale dell’Ordine e del vescovo di Nicastro Nicola Cirillo (1692 - 1709). Prima di tale data la chiesa era ancora sita presso l’antico Eremo di Sant’Elia Vecchio, i cui resti ancora oggi prosperano presso località Corda, a 400 mt s.l.m., sulla strada provinciale che collega Curinga con San Pietro a Maida. Dell’Eremo, fondato nel IX secolo ad opera dei monaci greci basiliani che sfuggivano sia dalla persecuzioni iconoclaste dell’imperatore Leone III Isaurico e sia dalle devastazioni arabe sulla costa lametina, ne abbiamo la prima menzione nel Diploma di fondazione della Abbazia Benedettina di Sant’Eufemia Lamezia da parte di Roberto il Guiscardo nel 1062 dove troviamo scritto che fu concesso come dote fondiaria con la seguente formula: “gli

abbiamo pure donato l’imperiale monastero di Sant’Elia con i villani e con tutte le sue dipendenze e pertinenze”. Quest’Eremo nei secoli

- 1796). Attualmente, dal 2010, Priore è il signor Giovanbattista Pansarella. Con le leggi eversive della Proprietà fondiaria ecclesiastica volute da Giuseppe Bonaparte nel 1809 l’Ordine Carmelitano fu costretto a lasciare Curinga definitivamente. La diocesi di Nicastro soppiantò i frati nella cura pastorale della chiesa con un presbitero diocesano. Il Santuario nel 1908 ebbe l’onore di vedere ufficiata la Santa Messa da parte dell’allora arcivescovo di Reggio Calabria, cardinale Giacomo Portanova, il quale nella sua veste di Metropolita della diocesi nicastrese (dal 2001 invece l’attuale diocesi di Lamezia Terme è sotto la Metropolia dell’arcidiocesi di Catanzaro – Squillace), visitò Curinga assieme all’allora vescovo di Nicastro Giovanni Règine ( 1902 – 1915) nell’ambito di una visita generale del Nicastrese che era stato colpito nuovamente da scosse di terremoto poco anni dopo quello più devastante del 1905. Nel 1951 fu il felice anno in cui la chiesa del Carmelo fu elevata a Santuario diocesano dall’allora vescovo di Nicastro Eugenio Giambro (1916 -1955) quand’era Priore il signor Antonio Pansarella. Entrambi gli storici eventi sono ricordati da lapide affisse all’interno. Dal punto di vista architettonico importante è il Campanile di stile normanno, mentre

l’interno si presenza avente architettura corintia con decori a stucco lucido e doratura a foglia, un peristilio in stile

greco-romanico circondato da tre archi a tutto sesto. Come arte sacra troviamo due opere dell’artista Agostino Guzzi da Miglierina e un quadro ad olio del prof. Natale Cesareo da Vibo Valentia. Troneggia sopra l’entrata principale un artistico organo a canne del XVIII secolo progettato dall’allora Priore Vincenzo lo Russo. Suggestivo all’esterno è il portale

bronzeo, opera dell’artista Giuseppe Farina ove sono scolpite episodi inerenti la storia dei Carmelitani, episodi della vita del profeta Elia e la crocifissione di Gesù Cristo. Infine è presente sotto il Santuario un prutidiarum, tipica cripta presente nelle chiese rette degli Ordini Religiosi ove i cadaveri dei frati, seduti, marcivano su dei sedili – colatoi fino a quando non restavano di loro che le ossa a significare “visivamente i vari stadi di dolorosa “purificazione” affrontati dall’anima del defunto nel suo viaggio verso l’eternità, accompagnata dalle costanti preghiere di confratelli o consorelle.”. La celebrazione liturgica più importante del Santuario è logicamente la Novena a Maria SS. del Carmelo che va dal 7 al 15 luglio. Importante da ricordare è che la sera del 15 luglio l’immagine del Carmelo è portata in processione presso i ruderi di Sant’Elia Vecchio e li staziona fino a quando il giorno successivo, memoria liturgica del Carmelo, in solenne processione viene riportata al suo Santuario senza non prima aver attraversato le vie principali di Curinga. La memoria storica dell’eremo di Sant’Elia Vecchio quindi si rinnova con questa processione notturna del 15 luglio e con la celebrazione di un Triduo a Sant’Elia Profeta dal 17 fino al 20 luglio, sua memoria liturgica. Attuale rettore è don Pino Fazio, che è anche il parroco della chiesa Matrice di Curinga, Sant’Andrea Apostolo

successivi seguì le vicende dell’Abbazia Lametina, sicché fu retto prima dai Benedettini e poi dai Giovanniti, fin quando non fu abbandonato dopo il terremoto del 1578 (magnitudo 5.1. 530) . Occupato dai Carmelitani (che crearono la loro Provincia in Calabria nel 1575), fu definitivamente abbandonato dopo il terremoto del 1783 e il conseguente incameramento e vendita della struttura religiosa e dei suoi Fondi agricoli da parte della Cassa Sacra (1784). Tornando alla Chiesa del Carmine, nel 1707 fu fondata la Congrega laicale, ancora oggi attivissima i cui Statuti furono revisionati e approvati nuovamente nel 1777 dalla Regia Camera di Santa Chiara a Napoli e dal vescovo di Nicastro Francesco Paolo Mandarani (1773

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(seconda parte)

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eventi

Il carnevale di Alessandria del Carretto di Giovanni Mazzei Fra le festività e le tradizioni che la pandemia dovuta al diffondersi del corona virus Covid-19 ha reso impossibile rinnovare, vi è soprattutto il carnevale. Proprio in un periodo dove estremamente necessarie sarebbero risate e gioia e dove con urgenza vi sarebbe bisogno di tutti i colori di Arlecchino (e non solo dei tre colori che oggigiorno caratterizzano le varie zone d’Italia), dobbiamo arrenderci all’impossibilità di festeggiare il carnevale. Al di là dell’aspetto godereccio, il significato del carnevale è molto antico e con riscontri decisamente pratici e calati nella realtà del tempo; il carnevale rappresenta l’ultima occasione di festeggiamenti e gozzoviglie (il tutto si conclude con il “martedì grasso”) prima che inizi un periodo di Quaresima, in cui astenersi da ogni eccesso, prima di giungere infine a Pasqua. Tante volte nelle tradizioni calabresi vengono rappresentate appunto le vicende di Cornalivari e del suo funerale, che renderanno vedova e triste sua moglie Corajisma. Si ricorda, per esempio, che un tempo nella sfilata del carnevale di Sambiase un corteo di persone mascherate portavano a braccio una bara vera e propria con dentro un uomo travestito, che rappresentava Carnevale morente per indigestione di troppi salami. Seguiva la bara uno stuolo di donne vestite a lutto e coi capelli sciolti, che recitavano il ruolo di prefiche e, dietro a loro, avanzava, rumorosa e festante, un’enorme folla di gente. Nel corso del tempo le tradizioni si sono modificate e i vari carnevali delle città ca-

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labresi hanno lasciato le tradizioni più antiche, per specializzarsi nella realizzazione di carri allegorici di carta pesta, ispirati a personaggi fiabeschi o di carattere satirico verso la politica. Si distinguono fra le varie sfilate dei carri di carnevale – ormai divenuti tradizionali – quelle di Castrovillari, di Amantea, di Lamezia Terme, Catanzaro con la tipica maschera di Giangiurgolo ecc. Fra le feste di carnevale più particolari si segnala in maniera speciale quello che si tiene ad Alessandria del Carretto, paesino di appena 380 persone, sulle montagne del Pollino a 995 m di altitudine. Il centro di Alessandria ha da sempre attratto l’attenzione di vari antropologi per i particolari rituali e festeggiamenti, che ancora si perpetuano in un questo centro, dimostrazione di una ancestrale memoria che non vuole dimenticarsi; uno di questi, per esempio, è la festa della “pita” in cui gli uomini del paese vanno nei boschi per trovare l’abete più grande, il quale verrà messo poi in piazza come albero della cuccagna. Il carnevale alessandrino è quanto mai tipico; non aspettatevi di incontrare maschere di supereroi moderni e neanche moschettieri, Zorro o cowboy. Ad Alessandria le maschere sono codificate dalla tradizione e dalla simbologia, risultando quasi mistiche.

I “Połëcënellë” con il loro colorato e prezioso abito sfilano per le vie del paese esibendosi in danze propiziatorie affascinando i visitatori e la stessa comunità, invitando le ragazze a unirsi alle danze. Lunga è la loro vestizione, con indumenti e oggetti che vengono tramandati di generazione in generazione in alcuni nuclei familiari. A far da contraltare alle połëcënellë belle, linde e candide, vi sono le połëcënellë brutte che disturbano le danze, gettando cenere contro la loro controparte e il pubblico astante. Le incursioni delle połëcënellë brutte anticipano la venuta dell’“ursë”, maschera dalle fattezze mostruose che con corna e urla incute timore e fa fuggire i ballerini in bianco. Solo dopo aver domato e allontanato la maschera, la festa può riprendere. Fra questi vari personaggi, si aggira la “coremm”, la Quaresima, dalla faccia nera con in mano una conocchia. Le połëcënellë belle incarnano la primavera, l’apollineo, l’impulso alla bellezza; scopo delle połëcënellë belle è quello di proiettare la realtà in un mondo fantastico che popola i sogni dell’uomo. Le połëcënellë brutte rappresentano il caos, il frastuono, il dionisiaco. L’ursë rappresenta la forza oscura della natura, l’entità mostruosa che va domata. Lo stretto legame tra la comunità e la terra è segnato dalle maschere, allegoria della divinità redentrice, venuta a rassicurare gli uomini e le donne di sorte favorevole e benigna.

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Radio CRT

LIBER ABBACI ABECEDARI e RICETTE: Brama lo specchio e dell’anima vedrai il riflesso. Approfondimenti della puntata in onda sulle frequenze di Radio CRT,

LIBER ABBACI di Flaviana Pier Elena Fusi PRELUDIO Lo specchio appare chiaro, non risponde al desiderio ignaro, non nasconde l’animo austero e non guarda chi è troppo altero. Un sé importante e altisonante incide la sua via di egocentrismo e malattia. Lo specchio non mente e lo fa egregiamente, non sa cambiare una realtà e non è banalità. Riflette giustamente e riporta integralmente, così se hai ingannato ti rimanda un concetto sbagliato. Nell’idolatria si perde la simbologia e del contenitore non si utilizza l’energia. Lo specchio contiene buona volontà che è dell’anima peculiarità. Riluce, conduce e amore produce. Sa raccontare, tutto quello che vuoi sapere, basta stare a vedere, oltre il velo dell’accadere. Nel futuro e nel destino lo specchio ti è vicino. A chi guarda dritto alla vita, la Conoscenza è servita. Lo specchio è uno strumento magico. Andando a rivedere le mie esperienze di vita, devo necessariamente soffermarmi o forse meglio dire riflettermi, in quello gigantesco della mia sala da aerobica; mi vedo lì, di fronte alla parete sulla quale risalta, con le allieve schierate alle mie spalle. Si ballava sulla sincronia di movimenti ritmati che infondevano fiducia, energia e allo stesso tempo forgiavano il corpo. Materia plasmata dalla “destra informazionale”: é noto a tutti che i movimenti coreografici non cominciano mai con mano e piede sinistro. La Destra di Dio produce simmetria nel momento in cui trasporta l’informazione che detiene dall’altro lato, ove la sinistra esecutrice la fa propria. Questo “spostamento laterale” dell’energia, completa il movimento di ogni singola persona producendo armonia sincronizzata. Grazie agli elementi del corpo di ballo, presenti nella sala, la diffusione del messaggio è simultanea e istantanea: una sorta di “entanglement quantistico”, reso possibile proprio dallo specchio. Se un elemento del gruppo perde di vista il dato ricevuto, il danno si ripercuote su tutti. La distrazione di un solo elemento provoca disfatta generale e ciò può accadere per una serie di motivi, tutti riconducibili a un’unica causa. Guardarsi, avendo l’esclusiva percezione del proprio corpo, non fornisce la visione corretta e quindi si compromette la totalità. Lo specchio è lì soltanto per facilitare l’esecuzione dei passi, per agevolare la sintonia con il gruppo, unica e indispensabile caratteristica al fine dell’effetto magico generale. Soffermarsi sulla propria bellezza fisica, inficia la verità. Come non pensare alla pandemia, alla provvidenza causale assimilabile a una sorta di specchio? Il covid sta fornendo le risposte necessarie all’evoluzione, atte alla creazione di un nuovo mondo fondato sull’armonia e sull’uguaglianza. pag. 18

Ognuno faccia appello alla propria coscienza, di ‘lei’ non si può far senza. Ciascuno deve agire con un sé inserito nel tutto e per raggiungere un efficace cambiamento tutti siamo chiamati ad agire. Rifletto nel mio specchio, come sia contenitore di “anima insegnante”. È proprio la nostra che vediamo rispecchiata, pertanto se ciò che guardiamo non ci soddisfa, è su di noi che dobbiamo indagare. La strega cattiva di Biancaneve, parla al suo specchio da ingannatrice, così che lo strumento stesso le rimanda la sua falsa essenza. Lo specchio diviene ingannatore. Il motivo m’induce a pensare che nei camerini-prova dei negozi, sia impossibile ritrovare la propria dimensione. In questi specchi, come del resto accade per i luoghi, restano intrappolate le energie di tutte le persone lì passate. Il falso si mescola al vero e la risultante visione ne è inevitabilmente compromessa. Lo specchio è l’immagine dell’anima. La società è lo specchio dell’evoluzione dell’animo umano. ABECEDARI di Edoardo Flaccomio Già nel II secolo d.C., lo storico greco Pausania affermava di aver visto in un tempio uno specchio magico che rimandava i riflessi degli dei dell’Olimpo al posto del volto della persona. Secondo una leggenda locale, a Stonehenge sarebbe seppellito uno specchio imprigionante un essere potentissimo vissuto 14 000 anni fa che se fosse dissepolto e la sua superficie toccata dai raggi del sole verrebbe fuori per scatenare le proprie ire. Passato remoto e luce solare diventano qui emblemi di energie potentissime. Si racconta che gli specchi fabbricati secondo un’antica formula, consentano la sopravvivenza fisica, dopo la morte, di chi vi si è specchiato a lungo. Simbolismo che rimanda alla tematica dell’eternità. In un brano inquietante di Carlos Castaneda, uno specchio artigianale costruito da stregoni, se immerso in un ruscelletto, attirerebbe esseri informi e permetterebbe la visione tridimensionale degli abissi, stelle comprese. Tale visione sarebbe così potente da succhiare in un attimo le forze vitali di chi assiste alla scena. Stregoni dell’antico passato riuscivano ad ‘entrare’ negli specchi utilizzando funi che legavano in vita per calarsi in profondità. Atto di pericolosissima portata. La catoptromanzia è una delle mantiche (profezia) più antiche, praticata dai Magi Persiani tra il 116 e il 27 a.C, era presente nel culto egizio dove si faceva uso di secchi d’acqua i cui riflessi andavano interpretati. Certe cronache dell’antichità asseriscono che Pitagora posse-

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deva uno specchio magico, lo esponeva alla luce della luna piena per leggervi il futuro. Marco Didio Severo Giuliano, imperatore romano nel 193 d.C. fece la stessa cosa, con la differenza che utilizzò gli occhi innocenti di un bambino per leggere tali riflessi. Si riteneva che gli occhi delle vergini e dei bambini fossero dotati dell’innocenza necessaria alla divinazione. L’idea universale che negli specchi si legga il futuro, va collegata al fatto che fosse raro entrarne in possesso. Ad eccezione di maghi, sacerdoti e sacerdotesse, nessuno poteva accedervi con semplicità. Possedere uno specchio poteva comunque condurre a critiche pesanti. Apuleio e Pitagora ne fecero le spese. In epoche successive, certuni vennero condannati a morte per essere stati incriminati d’aver compiuto sortilegi tramite superfici speculari insolite. Nelle profondità degli specchi, soprattutto quelli antichi, si possono percepire immagini disparate riguardanti il passato, persino scene davvero accadute e talune volte poco piacevoli. Fiammelle di candele sono ottime alleate in tali pratiche, comunque sconsigliate per gli effetti pericolosi che producono in coloro che non sono in armonia con se stessi. Più a lungo ci si specchia, più le immagini possono diventare nitide, al punto da mostrare un riflesso diverso, più intenso, non combaciante perfettamente con l’osservatore che nonostante sia fermo, vede la sua immagine spostarsi e viceversa. Lo spostamento dipende dall’inclinazione dello sguardo, dal silenzio interiore, dalla preparazione intellettuale ed animistica. Spegnendo i pensieri lo specchio rivela ciò che riceve.

ratteristico e fresco profumo che tutti conosciamo. Sono note oltre 600 varietà di menta poiché la pianta tende a ibridarsi. È profumatissima, rinfrescante e facilita la digestione, ottimo rimedio contro la nausea e il vomito. Strofinata sui denti combatte l’alitosi. È utile in casi di cefalee ed emicranie. Menta utilizzata in cosmetica: Sali da bagno lenitivi. Rimedio naturale contro prurito, orticaria e dolori articolari. Ingredienti: 140 gr. di sale del mar morto 15 gr. di amido di mais 5 gr. di oleolito di arnica 1 gr. di curcuma 85 gr. di olio essenziale di menta 80 gocce di olio essenziale di eucalipto 40 gocce di olio essenziale di timo Procedimento In una ciotola unire l’oleolito di arnica, gli olii essenziali e la polvere di curcuma. Amalgamare e mescolare al sale del mar morto aggiungendo per ultimo l’amido. Conservare i Sali da bagno in un barattolo munito di coperchio. Versare 4 cucchiai di sale nell’acqua della vasca da bagno immergendosi almeno 15 minuti per trarre migliori benefici dal trattamento. RICETTE: DE GUSTIBUS NON DISPUTANDUM EST di Chefdomenico Trofie “io e te” Trofie alla menta per due persone Ingredienti: 180gr. di trofie 1 melanzana del tipo dolce di colore rosa

La Biblios è lieta di comunicare la nuova uscita del librosaggio Testa e Croce di Edoardo Flaccomio terzo classificato mondiale nella sezione saggistica Golden Aster Book RICETTE: NON SOLO VERDE di Anna Maria Esposito La menta Il nome menta richiama la ninfa Myntha della mitologia greca. Sfortunatamente era così bella che Plutone, dio degli inferi e signore dei morti, se ne innamorò a tal punto da trascurare sua moglie, Proserpina. Fu proprio quest’ultima a tramutare la ninfa in pianta per vendicarsi dell’affronto. Plutone, non potendo riportarla in vita, come ultimo gesto d’amore, le donò il caSpecchio delle mie brame Chi è la più bella del reame? Così chiama la gente Che intorno non vede niente. Un sé ingombrante Da tutto tiene distante Un riflesso strano Che attacca all’amo Della fragilità Dove prioritaria è la beltà. Per non sbagliare Lo specchio è utile attraversare Lamezia e non solo

3 foglie di menta Mandorle tostate Burro Pecorino grattugiato Sale q.b. Preparazione Cuocere le trofie nel modo classico, nel frattempo sbucciare la melanzana e tagliarla a dadini. Rosolare in una padella con burro, cuocere a fuoco vivo per alcuni minuti e se necessario aggiungere acqua di cottura della pasta. Scolare le trofie, spadellarle col sugo di melanzane aggiungendo mandorle tostate sbriciolate, pecorino grattugiato e foglie di menta.

BOLLETTINO RADIOMETEO, di Flaviana Pier Elena Fusi Guardare al di là Per trovare altra sincerità Quella dell’anima antica Che in questa vita ti è amica Se la scruti potrai estrapolare La strada e il lasciapassare. Consultare la memoria Traccerà di te nuova storia.

Consiglio radiometeo: lo specchio contiene potenzialità, guarda dritto e troverai tutto là. Anna Maria Esposito annadilucerna@libero.it Flaviana Pier Elena Fusi: flavianafusi@gmail.com Edoardo Flaccomio edoardoflaccomio@libero.it

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riflessioni

Favori e diritti : la partita del riscatto del Sud Morra e Augias non sono la colpa della Verità di Alberto Volpe Nel momento in cui mi accingo a vergare le mie riflessioni sull’argomento, ricordo a me stesso e a tutti i cortesi lettori, della odierna ricorrenza della Giornata della Memoria. Memoria che va a quanti sono stati sacrificati sull’assurdo altare della egemonia del potere della forza delle armi, che per un periodo troppo lungo ha visto conculcare la vittoria della forza della ragione. Si ha da nutrire la speranza che le generazioni attuali e quelle future traggano un sano e forte insegnamento dal quell’inumano genocidio. Ma una certa “resistenza” a risorgere da quel buio criminale fa temere sulla scarsa permeabilità dell’insegnamento di quel periodo storico in cui la Democrazia rimaneva oscurata tragicamente. Ma, per tornare invece al nostro assunto, argomento della presente Nota, sembra che il treno del progresso e dell’avanzamento culturale sia gelosamente fermo su un binario morto, viste le reazioni nei confronti di chi, magari con mancati accorgimenti ed eufemismi di maniera, hanno ancora una volta posto il dito sulla piaga arretratezza del Sud. Ma non si dice dalle nostre parti,come altrove, che “il medico pietoso fa la piaga cancrenosa”? Si vuol forse negare che nella nostra Calabria (e lasciamo ad altre artistiche ed estemporanee quanto fugaci sottolineature genialità e paesaggistiche naturali preziosità) si soffra di una sorta di vischiosa cappa che impedisce di far affermare ma anche esplodere le potenzialità che geneticamente ci venivano trasmesse da quel mondo greco prima e romano dopo che hanno varcato gli oceani ? Ma tant’è, ahimè, è innegabile che quella “rivoluzione culturale” pure da tanti storici illuminati invocata, deve attendere. Certo che quanto ci viene gridato dal di fuori dei nostri confini che “la Calabria è una terra perduta e irrecuperabile”, e quando non diversamente che dall’interno si punta il dito sulla “responsabilità dei Calabresi” per la condizione socio-economica quale humus fertile per la ‘ndrangheta che trova ed incontra sempre più spudoratamente permeabile la rap-

presentanza politico-istituzionale alla corruzione, beh ! come si fa a lamentarsi che si possa sottolineare tanto e insopportabile malaffare ? Forse che si può negare quella diffusa omertosità di chi tutto vede e nulla sa, per cui si attende sempre la “coraggiosa” attività investigativa della Magistratura ? Quella stessa azione giudiziaria altrettanto impunemente e diseducativamente appellata “ad orologeria”, forse perché tocca “terreni e interessi” ritenuti intoccabili. Né giova attendere che un Gratteri di oggi venga opportunamente sorretto ed appoggiato perché non ci sia un domani troppo tardi, quando magari debba far il tris con Falcone e Borsellino. Quel nerbo scoperto, toccato da Morra e da Augias (il primo invitante a non farsi strumentalizzare nelle emozioni del momento, ed il secondo a non chiudere gli occhi per non vedere), prima ed invece che lasciarci prendere da un pur naturale “arroccamento rabbioso” , deve muovere verso un moto di reazione a saperci indignare per quella spocchia del potere costituito che respinge una analisi sociologica, per quanto nuda e cruda, verso chi vuole scuoterci dal torpore e dal vittimismo di maniera. Sentimenti e condizioni che non saranno la leva giusta per risollevarci e ribellarci nei confronti di chi (ieri la casta politica, oggi i rampanti mediocri rappresentanti istituzionali territoriali) ha interesse a “governare” attraverso la elargizione di favori, piuttosto che illuminare ed avviare una stagione dei diritti. Non aspettiamo che la Magistratura sollevi la corruzione che sta sotto il tappeto Calabria, e favorita dal nostro fare omertoso che non vuole “disturbare” il politico o l’impresario o l’usuraio di turno per la segreta speranza di essere tra i “favoriti” di un diritto negato. Il riscatto della nostra Calabria passa per la “partita” che sapremo giocare per l’affermazione della civiltà, con l’arbitraggio serio e certo di uno Stato garante, e per quel tipo di ineludibile solidarietà che ci deve vedere,anche in maniera laica, Fratelli tutti.

Satirellando e dintorni

Onde evitare le delusioni del 2020, ho deciso di satirellare così| La satira qui, di seguito, dice tutto, senza bisogno di commenti inutili!

DELUSIONI Mi delude il governo, che è tutto un inferno; mi delude la scuola, diventata ‘na sòla! Mi delude la gente, che sa di poco o di niente; mi delude il lavoro, un tempo caro, che mi lascia l’amaro! Mi delude la tecnologìa: scalzar doveva la burocrazia, invece ogni cosa è triplicata e, d’inutilità, sempre più, gravata!

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Di molti mi delude anche il cervello, usato senza falce, ma solo a martello! Mi delude la televisione, con Montalbano a profusione: usato come riempitivo, se il palinsesto è approssimativo! Mi delude tutto ciò che è inutile, vile, senza scopo, futile: fatto solo per raggiungere un R.A.V., ma, ditemi, proprio, “chi se la cav”!?! Vi chiederete come mai, io stia elencando solo guai… GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

di Maria Palazzo Beh, così, senza scomodar nessuno, dò il benvenuto al 2021: non voglio restare intrappolata in un altro anno da gran frittata! Così che, se non si avrà il meglio, ognuno affronti l’anno nuovo… da sveglio! P.S. Il R.A.V., per chi non lo sapesse, è il Rapporto di Autovalutazione della Scuola, nel Sistema Scolastico Nazionale

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Sport

Ragionamento sul gioco che origina bellezza L’intellettuale che guarda al calcio, di solito, è seduto, con gli occhi e il cuore, con le spalle rivolte al campo, che non interessa. E’ tutto teso a capire ed interpretare i segnali della folla, i comportamenti, le motivazioni, i linguaggi, i movimenti. Ne potrà decretare, di volta in volta, l’incivile comportamento (tutta colpa della stampa sportiva, dirà), o ne sarà affascinato come un bambino di fronte ad un giocattolo nuovo, un po’ rumoroso. Sarà convinto di aver capito, scientificamente, senso, comune costume di qualche decina di migliaia di persone perché, secondo i suoi codici ferrei, essi sono riuniti (e uno), rappresentano un campione universale (e due), sono in un luogo - contenitore (e tre), seguire un gioco (e quattro) la cui dinamica una palla in porta non può confermare che ci troviamo di fronte a regressioni darwiniane, a manifestazioni tribali, a medioevi prossimi venturi (cinque, ed eccoci tutti sistemati). Il calcio è stato, finora, quasi sempre solo un’occasione per studiare comportamenti e reazioni di massa. Cerchiamo per un attimo di fare operazione contraria, Prendiamo l’intellettuale mentre contempla, sul bordo pista, il «molto pittoresco» comportamento dei tifosi, e proviamo a girare la sedia di 180° fino a portarlo, con il campo visivo, ad abbracciare il rettangolo di gioco, da porta a porta. Vedrà così il calcio, quello vero. Capirà, intanto, le ragioni reali di quei comportamenti che ora ha dietro le spalle, si spiegherà perché il suo campione è un universo cosi rappresentativo (geograficamente, anagraficamente,

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di Vincenzo De Sensi socialmente), cosa e come scatena la passione e talvolta la violenza. Ma, forse, guardando al contenuto del calcio recupererà nella memoria vecchie letture e capirà meglio i confini tra gioco e cultura, tra arte e spettacolo. Il gioco è una cosa seria, con una via d’uscita. C’è una espressione che consola gli animi e che si ripetono concorrenti di quiz spediti a casa, cantanti pieni di insuccesso, tifosi delusi la domenica sera, e che suona come la frase finale di Vivien Leigh a Clark Gable in Via Col Vento. Li è «domani è un altro giorno» qui è «tanto è un gioco». Delusione e speranza. Ma il gioco è una cosa seria, che può rendere il domani qualcosa di diverso da un giorno qualsiasi. Johan Huizinga, che era un giocherellone, ha teorizzato la straordinarietà del gioco rispetto alla vita ordinaria, ne ha richiamato la dimensione conchiusa, da microcosmo, entro la quale tempo, spazio, finalità si riclassificano. Le ore e i minuti di una partita di calcio non sono quelli della vita reale ma quelli che il gioco decide; lo stadio e il campo sono, per il tempo del gioco, la città reale entro la quale tutto avviene. E’ evasione, dunque, per somma gioia del sostenitore del complotto capitalistico ma lo è nella misura del cinema, del teatro, d’ascolto di musica. Insieme, forse potremmo, dunque, arrivare, dove vogliamo. Cioè a dimostrare che il calcio è cultura. Forse proprio perchè è un gioco, un gioco serio. Huizinga ha scritto: «il gioco si converte in serietà, la serietà in gioco. Il gioco sa innalzarsi a vette di bellezza che la serietà non raggiunge». Ed ha aggiunto: è evidente che la relazione fra cultura e gioco è da ricercarsi soprattutto nelle forme superiori del gioco sociale, la’ dove esiste nell’azione ordinata, d’un gruppo o d’una società, o di due gruppi in opposizione».

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territorio

Maria Chindamo:

oltre il silenzio, una storia di riscatto da continuare a scrivere

di Lamezia Bene Comune

Una storia che mette i brividi che colpisce in maniera forte e dolorosa, che ci lascia muti e incapaci di elaborare una tale notizia e ci fa piombare in una sofferenza profonda, in un orrore senza fine. Che si fa ancora più insopportabile incontrando l’immagine di Maria, quello sguardo aperto e gioioso, pieno di promesse e determinazione verso il futuro, da donna libera e fiera in terra di Calabria. Terrificanti le informazioni riferite dal pentito, tanto forti da far riflettere sulla opportunità di scriverne, come se la narrazione, le parole materializzassero il male... ma abbiamo ritenuto doveroso farlo, pur con sofferenza. Il silenzio assordante che ha accompagnato la notizia dopo le prime reazioni non va confuso con indifferenza di fronte ad avvenimenti che hanno sconvolto le coscienze dei calabresi, inorriditi e increduli , ma con una sorta di riservatezza, di pudore nei confronti di Maria, dello strazio della famiglia. Ma l’orrore va raccontato ad ogni prezzo, affinché non debba più accadere. Ad essere cancellata, ad essere soppressa, con odio e sfregio senza pari, una donna laboriosa e coraggiosa, così era Maria, così rappresentava, con impegno e coraggio, l’indole, la determinazione, la caparbietà della gente di Calabria, in una terra certamente non facile ma resiliente nella lotta e condanna a quella parte, che per quanto minima, getta un’ombra terribile sulla nostra regione. “Uomini d’onore”, bestie per fare loro un complimento, non hanno sopportato che Maria, donna libera e temeraria, volesse col suo contributo, garantire ai suoi figli, alla famiglia, alla sua gente, alla Calabria tutta un dono grande di emancipazione, una svolta, nel ruolo determinante delle donne del sud. Una narrazione che, nella sua tragica esecuzione, parte dal 2016, in una mattina come tante in cui Maria si reca in azienda per non fare più ritorno dai suoi figli Scomparirà nel nulla. “Uccisa e data in pasto ai maiali o fatta a pezzi con un trattore per far sparire ogni traccia del suo corpo”. Così il pentito Antonio Cossidente, così sarebbe avvenuta la scomparsa e la tragica fine di Maria Chindamo, imprenditrice di Laureana di Borrello. Un antico retaggio che persiste in alcuni malavitosi ambienti e che, ancor di più, si esaspera quando a dimostrare forza e disubbidienza alle regole è una donna giovane che Testata Giornalistica Di tutto un po’ - lamezia e non solo anno 29°- n. 69 - febbraio 2021 Iscrizione al Tribunale di Lamezia Terme dal 1993 n. 609/09 Rug. - 4/09 Reg. Stampa Direttore Responsabile: Antonio Perri Edito da: GRAFICHÈditore Perri Lamezia Terme - Via del Progresso, 200 Tel. 0968.21844 - e.mail. perri16@gmail.com Stampa: Michele Domenicano Allestimento: Peppino Serratore Redazione: Giuseppe Perri - Nella Fragale - Antonio Perri Progetto grafico&impaginazione: Grafiché Perri-0968.21844

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persegue i suoi progetti, quasi sfidando le bestie, noncurante dei pericoli, ma mai prevedendo quel che sarebbero stati capaci di riservarle. Una donna, una donna di Calabria, già terra di donne coraggio... Tante, troppe, che hanno pagato con la vita le loro lotte contro le regole dei clan. Anche Maria non ha ceduto alle offerte di Salvatore Ascone, “U pinnularu”, narcotrafficante vicino al clan Mancuso, confinante di casa di Maria, che avrebbe voluto acquistare, i terreni dei Chindamo, ricevendo da Maria un netto rifiuto. Nella vicenda, qualche anno fa, l’Ascone fu arrestato, poi rilasciato, per aver manomesso il sistema di videosorveglianza, forse per impedire che venisse registrato al mattino il rapimento dell’imprenditrice. Ma Maria era donna libera sia nella sua professione sia nella sua vita privata. La separazione dal marito aveva, infatti, rappresentato, un anno prima, un altro momento difficile nella sua vita. Un altro momento inquietante. E, allora, Maria resta una delle tante vittime di lupara bianca, “gli spariti”, quelle situazioni che privano i familiari di piangere sul proprio caro, di non poter procedere al rito di una pietosa sepoltura. Non possiamo immaginare l’immenso dolore che vivono e che per sempre accompagnerà i figli, la famiglia nell’apprendere i termini dell’orrenda confessione del pentito. Mai tale racconto, che niente ha di umano, abbandonerà il percorso di vita dei suoi cari e, seppure in minore intensità, di uomini e donne di Calabria, e non solo. Certamente tutto è ancora secretato e le indagini proseguono, nella speranza che la verità possa in parte dare un minimo di conforto alla famiglia, ai suoi ragazzi così provati prima dal suicidio del padre, avvenuto dopo la separazione e, poi, dalla scomparsa così tragica della madre, così estremamente inquietante e insopportabile per modalità e orribili particolari. Per quel che possiamo, ci affianchiamo ai suoi figli, a suo fratello, a sua madre, vogliamo condividere il nostro pensiero di affetto e ammirazione per una donna che nella sua esistenza, per quanto breve, ha lasciato a tutti noi e, in primis, ai suoi cari, l’esempio di donna che ha dato il suo contributo al riscatto della nostra terra e della straordinario ruolo delle figlie di Calabria.

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