Il Perseguitato!:) 2 denaro a Lugano tangenti a Milano
IL PRIMO MIRACOLO ITALIANO fragorose rotte degli aerei che decollano dal vicino aeroporto di Linate - nessuno al mondo costruirebbe abitazioni in un luogo simile. Il 25 settembre 1968, nello studio di un notaio milanese, viene costituita la società Edilnord Centri Residenziali sas di Lidia Borsani & C., capitale sociale di 6 milioni di lire, oggetto dell'attività “operazioni immobiliari”: la Borsani (cugina trentunenne del trentaduenne Silvio Berlusconi, e sua prestanome) ne è la socia accomandataria, con firma libera per somme inferiori a un milione - per somme superiori, occorre la preventiva autorizzazione scritta del socio accomandante. Il socio accomandante, cioè chi conferisce alla società i capitali, è la finanziaria Aktiengesellschaft fúr Immobilienlagen Ag con sede a Lugano; gli anonimi capitali della finanziaria svizzera sono in parte depositati presso la International Bank di Zurigo, e pervengono alla Edilnord Centri Residenziali attraverso la Banca Rasini 2 . Il giorno dopo, 26 settembre 1968, la società Edilnord Centri Residenziali sas di Lidia Borsani & C. acquista dal conte Leonardo Bonzi, pagando la somma di oltre 3 miliardi di lire, l’area di 712.000 metri quadrati situata a Segrate, comprensiva delle convenzioni edilizie col Comune per la costruzione di 2,5 milioni di metri cubi di “opere di urbanizzazione primaria e secondaria” 3 . Coi capitali forniti dalla Aktiengeselìschaft fúr Immobilienlagen Ag 4 , sull'area segratese (vendutagli dai Bonzi attraverso la cugina Lidia Borsani) il palazzinaro Berlusconi intende edificare una cittadella sul modello dell'avveniristica edilizia nordeuropea - una “città satellite” che verrà chiamata “Milano 2” 5 . La Edilnord di Lidia Borsani & C. comunica al Comune di Segrate di avere acquisito la proprietà dell'area Bonzi, e inoltra subito la proposta di una nuova soluzione planivolumetrica dell’area. 2
Il piccolo istituto di credito (un solo sportello a Milano), già con Berlusconi nella precedente operazione immobiliare di Brugherio, nel 1981 verrà indicato dalla Criminalpol come uno dei crocevia della “Mafia dei colletti bianchi” radicata a Milano: pericolosi boss mafiosi dediti allo spaccio, all’usura, e al riciclaggio di denaro sporco, risulteranno correntisti della Rasini. Cfr. G. Ruggeri, M. Guarino, Berlusconi. Inchiesta sul signor Tv, Kaos Edizioni, Milano 1994, pagg. 49-51.
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“La transazione è preceduta da inquietanti retroscena: mentre i Bonzi erano in trattative con vari interlocutori interessati, le "villette civetta" [che essi avevano costruito sull'area] erano state oggetto di atti vandalici accompagnati da intimidazioni e minacce, sì che i Bonzi si erano affrettati a concludere l'affare con la Edilnord, lasciando cadere altre offerte”; G, Ruggeri, M. Guarino, op. cit., pag. 45.
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Nel febbraio 1973 nascerà un'altra misteriosa “società svizzera” berlusconiana intestata a prestanome: la Italcantieri srl, costituita dal praticante notaio Renato Pironi (in rappresentanza della Cofigen Sa di Lugano) e dalla "casalinga" Elda Brovelli (in rappresentanza della Eti Ag Holding di Chiasso).
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L’esclusiva cittadella su misura dei ceto medio verrà pubblicizzata con gli slogan “Milano 2: una città firmata”, e “I bambini di Milano 2 sono più sani, più sicuri, più liberi, più allegri”. Più concretamente, anni dopo il pragmatico Berlusconi dirà: “Per l'Edilnord ho disegnato perfino le fogne. Pensavo: se ho sbagliato, si sveglieranno tutti nella merda”.
IL PRIMO MIRACOLO ITALIANO Il 12 maggio 1969, dopo il parere favorevole della Commissione edilizia, il sindaco di Segrate - il socialista “autonomista” 6 Renato Turri - approva il nuovo piano di lottizzazione dell'area ex Bonzi proposto dalla Edilnord; del resto, già dal precedente 30 aprile il sindaco Turri ha cominciato a firmare le prime licenze edilizie alla Edilnord Centri Residenziali sas. Ma il 16 settembre 1969, la Giunta provinciale amministrativa respinge la delibera del 12 maggio; il Consiglio comunale segratese, revocando la delibera del sindaco, ripristina la convenzione originaria, e perdipiù limitatamente alla sola parte dell'area in origine a destinazione residenziale (cioè 485.964 mq) - per la Edilnord e per i suoi piani speculativi è un grave smacco. Il 15 aprile 1970, Lidia Borsani cessa nelle sue funzioni di prestanomeaccomandataria della “società svizzera” Edilnord; le subentra sua madre Maria Bossi vedova Borsani, zia di Berlusconi. Il cambiamento di prestanome sembra propiziatorio per il costruttore milanese che si muove nell'ombra: cinque giorni dopo, il Consiglio comunale, modificando la convenzione Bonzi del luglio 1963, delibera che i 30.000 mq regalati al Comune divengano di proprietà della Edilnord, la quale si impegna in cambio a costruire nel complesso Milano 2 “opere edilizie scolastiche”. Intanto, sono in corso serrate e riservate “trattative” per approdare a una nuova convenzione che consenta alla Edilnord sas di attuare i suoi progetti speculativi. “Occorre avere contatti con le segreterie provinciali dei partiti, con la Regione... Le segreterie provinciali dei partiti acquistano una grande importanza nella definizione di queste decisioni... Il potere decisionale reale è delegato agli organi politici, che hanno potere superiore agli organi tecnici, dì cui possono anche scavalcare le indicazioni... Le strutture dei partiti diventano i canali reali di mediazione fra i livelli decisionali locali e intercomunali” 7 . Nel gennaio 1971 la Giunta comunale di Segrate (Pci-Psi, sindaco Turri) entra in crisi, ma la Edilnord sembra aver già trovato la strada maestra da percorrere per superare le difficoltà che si frappongono ai suoi disegni. Il 26 marzo 1971, il ministero dei Lavori Pubblici invita il Comune di Segrate a modificare il Piano regolatore 8 , e il mese successivo un decreto dei ministero vieta di edificare la zona segratese ex Bonzi già prevista a verde e modificata in abitativa dal Consiglio comunale il 27 giugno 1968: ma l'invito del ministero cade nel vuoto, e al decreto ministeriale “tocca una sorte misteriosa: nei registri del Comune non risulta protocollato e, secondo alcuni consiglieri, “deve essersi smarrito”” 9 . Nel settembre 1971 si insedia la nuova Giunta comunale segratese, di centro-sinistra 6
La corrente “autonomista” dei Psi milanese è capeggiata da Bettino Craxi, futuro segretario dei Psi e padrino politico di Berlusconi.
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Dichiarazione dell'arch. Mario Piazza, cit. in "L'Espresso", 16 settembre 1984.
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La Direzione generale urbanistica dei Lavori Pubblici scrive tra l'altro: “In merito alla convenzione Conte Bonzi, si osserva che tale insediamento comprometterebbe le possibilità di ampliamenti a livelli intercomunali del Parco Lambro verso Vimodrone e Segrate e la possibilità di creare una vasta fascia continua a verde ed attrezzature”.
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“Il Mondo”, 13 marzo 1975.
IL PRIMO MIRACOLO ITALIANO (Dc-Psi, sindaco il democristiano Gianfranco Rosa, vicesindaco e assessore all’Urbanistica l'ex sindaco Psi Renato Turri), e il 29 marzo 1972 “in una sola seduta il Consiglio comunale di Segrate approva tutto: la nuova Convenzione [proposta dalla Edilnord] e le necessarie varianti del Piano regolatore generale e del piano di fabbricazione. Rimane sempre in sospeso la questione della Giunta provinciale amministrativa [organo burocratico, NdA], che ha il potere di bloccare tutto e che già in passato è stata poco favorevole. Niente paura: pochi giorni dopo, esattamente il lo aprile 1972, la Giunta provinciale amministrativa cessa di avere competenza sulla materia perché essa viene trasferita alla Commissione regionale di controllo [organo politico, Nd,4], che in poche settimane approva ogni cosa senza modifiche e senza inutili discussioni” 10 . Nella sala del Consiglio comunale di Segrate sì parla di appartamenti in regalo a socialisti e democristiani, e del regalo di una villa in Svizzera. Secondo Umberto Dragone (all'epoca capogruppo del Psi nel Consiglio comunale di Milano), la Edilnord paga alla Dc e al Psi milanesi tangenti tra il 5 e il 10 per cento sull'ammontare dell'operazione Milano 2. “Vengono concesse alla Edilnord licenze edilizie in cambio di sostanziose somme di denaro... Qualche appartamento arredato [di Milano 2] pare sia stato dato gratis ad assessori e tecnici Dc e socialisti. E’ certo che questo regalo lo ha avuto un tecnico del Psi che vive a Milano 2 con una fotomodella 11 . “L'Edilnord ha ottenuto la revisione dell’originaria Convenzione ereditata dal Bonzi, sottoscrivendo il 29 marzo 1972 una vantaggiosissima Convenzione che legittima ogni sua mira speculativa: si è significativamente appena iniziata la campagna elettorale per le politiche del maggio, e i gruppi politici dei vari partiti appetiscono, più del solito, finanziamenti e sovvenzioni... [Nella società Edilnord] vi sono gli interessi del Monte dei Paschi di Siena, serbatoio e feudo del potente gruppo democristiano capeggiato da Andreotti, e di finanziamenti svizzeri della Aktiengesellschaft für Immobilienlagen in Residenzzentren Ag, leggi Banca Rasini... Berlusconi capeggia l'Edilnord sas” 12 . Alcuni consiglieri comunali dell'opposizione, e lo stesso capogruppo Dc Filippo Accinni, denunciano alla Procura della Repubblica il sindaco Rosa e il vicesindaco Turri per “l’uso continuato di un Programma di Fabbricazione non conforme a quello vigente, e di un Piano Regolatore generale non conforme a quello in itinere; rilascio di licenze edilizie in contrasto col P.d.F. veramente vigente; formazione di delibere consiliari con allegati e facenti parte integrante i citati strumenti urbanistici irregolari; occultamento di atti pubblici”. Il capogruppo consiliare democristiano Filippo Accinni rassegnerà le dimissioni dalla DC “in segno di polemica” per le corruttele 13 . Scossa dal turbine di polemiche sintetizzate nell’esposto-denuncia dei consiglieri comunali, la giunta Dc-Psi rassegnerà le dimissioni, e a partire dal maggio 1974 l'amministrazione comunale di Segrate verrà affidata a un commissario prefettizio. 10
“L’Espresso”, 16 settembre 1984, “L’Espresso” , 10 aprile 1977 12 Denuncia presentata dall'avvocato Giuseppe Melzi alla Procura della Repubblica di Milano nel dicembre 1973. 13 Accinni dichiarerà “I profitti ricavati da transazioni come le convenzioni e le licenze edilizie erano una rilevante, se non la primaria, fonte di finanziamento dei partiti politici. Questa corruzione politica ha permesso alle compagnie immobiliari di muoversi liberamente”. 11
IL PRIMO MIRACOLO ITALIANO Con la truffaldina delibera della Giunta comunale segratese Dc-Psi del marzo 1972, grazie alla quale “con un colpo di mano la nuova Giunta [ha portato l'area edificabile della Edilnord] dagli iniziali 400.000 metri quadrati a 700.000” 14 , la speculazione edilizia di Milano 2 può dispiegarsi secondo i piani di Berlusconi e dei suoi anonimi finanziatori. La stessa Giunta esecutiva del Piano intercomunale milanese, che a suo tempo aveva espresso parere negativo circa la lottizzazione della zona (ritenuta “di importanza strategica dal punto di vista intercomunale”), l’8 giugno 1972 ratificherà il fatto compiuto: “Non si può che tener conto dell'esistente, e garantirne il completamento al miglior livello possibile” 15 . Forte dei capitali che affluiscono dalla Svizzera, dietro lo schermo societario prima della cugina e poi della zia-prestanome, protetto dal potere politico milanese (DC e PSI), il palazzinaro Silvio Berlusconi appalta la costruzione materiale della “cittadella satellite” ad alcune note imprese edili (le quali spesso subappaltano a loro volta i lavori a piccole imprese e a cottimisti, ricorrendo anche al “lavoro nero”); colui che diverrà celebre come “costruttore di città”, in realtà non costruisce nulla: compra aree con capitali “svizzeri”, ottiene licenze, e dopo averne appaltata la realizzazione si occupa della commercializzazione degli immobili. E’ proprio con la vicenda di Milano 2 (che segue il Centro residenziale di Brugherio 16 e precede Milano 3) che Berlusconi esprime per la prima volta il suo vero, formidabile talento di “persuasivo interlocutore” del potere politico: non tanto e non solo di sindaci e assessori locali, ma anche e soprattutto delle segreterie provinciali dei partiti di governo - essenzialmente DC e PSI e le loro “correnti” interne che si sostentano di tangenti ricavate principalmente dall’edilizia (licenze e appalti). E sono ancora i “contatti eccellenti” col potere politico, anche attraverso il sodalizio con un losco prete spretato, che consentiranno a Berlusconi di risolvere il grave inconveniente che grava sulla sua ambiziosa speculazione segratese: le rotte aeree dei velivoli che, decollando dal vicino aeroporto di Linate, transitano con fragore sul cielo di Milano 2, e rischiano di comprometterne la commercializzazione.
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“Il Mondo”, 13 marzo 1975 All'epoca, direttore dell'ufficio tecnico dei Pini è l'architetto "socialista" Silvano Larini, legatissimo a Bottino Craxi. Sarà proprio Larini a organizzare il primo incontro fra Berlusconi e Craxi. Nel 1993, dopo un lungo periodo di latitanza, Larini finirà in carcere nell’ambito dell'inchiesta giudiziaria "Mani Pulite": confesserà di essere stato per lunghi anni il collettore di tangenti pagate da imprenditori e da lui consegnate nell'ufficio milanese di Craxi. 16 Il Centro Edilnord di Brugherio era stato edificato da Berlusconi con forniti dalla Finanzierungesellschaft fur Residenzen Ag di Lugano (legalmente rappresentata dall'avvocato svizzero Renzo Rezzonico). Cosi come accadrà in occasione della speculazione di "Milano Y, anche l'edificazione dei Centro Edilnord di Brugherio era stata accompagnata da abusi e polemiche: “[Edoardo Teruzzi, geometra] ha tirato su [a Berlusconi] le 18 torri di Brugherio, occupandosene prima da assessore [democristiano] all'Urbanistica, poi da capocantiere, facendo filare a tempo di record i duecento muratori che nella fretta anziché fermarsi a costruire fino al quinto piano (come stabiliva la licenza edilizia) sono saliti fino all'ottavo. Tre piani abusivi per ogni torre? "Abusivi... non esageriamo, è stato un malinteso che si è risolto subito con una ammenda da 200 milioni e offrendo al Comune la costruzione gratuita di un asilo" [dichiara Teruzzi, oggi attivista di "Forza Italia"]”; in P. Corrias, M. Gramellini, C. Maltese, 1994. Colpo grosso, Baldini & Castoldi, Milano 1994, pag. 47. 15
IL PRIMO MIRACOLO ITALIANO
Con l'aiuto di Dio La convenzione stipulata nel 1963 dal conte Bonzi col Comune di Segrate era comprensiva di un'area di 46.000 mq che il conte aveva venduto, nel 1966, a un oscuro Centro assistenza ospedaliera Monte Tabor di don Luigi Maria Verzé; nel luglio 1967, il compiacente sindaco segratese Turri aveva poi rilasciato a don Verzé licenza edilizia per la costruzione sull'area di una clinica geriatrica privata (“Ospedale San Raffaele”). La losca vicenda della clinica segratese e del suo spregiudicato promotore don Verzé si salda subito con quella di Milano 2 e del suo spregiudicato (e occulto) promotore Berlusconi, dando luogo a uno scandalo nello scandalo a colpi di abusi, irregolarità, e soprattutto collusioni politiche. Don Luigi Verzé (prete “interdetto” dalla Curia milanese il 26 agosto 1964 con “la proibizione di esercitare il Sacro ministero”17 ) aveva potuto acquistare l'area del conte Bonzi grazie a un finanziamento statale di 600 milioni ottenuto attraverso i suoi stretti legami con alcuni leader della Dc romana 18 ; lo scaltro don Verzé intendeva edificare la sua clinica privata attraverso ulteriori finanziamenti statali che gli sarebbero pervenuti grazie agli stessi politici 19 . Berlusconi, per ovvie ragioni, vedeva con estremo favore il sorgere di una clinica ospedaliera nei pressi di Milano 2; ma soprattutto, all'ombra dell'iniziativa “cattolico-umanitaria” di un don Verzé cosi ben introdotto nella Dc romana, sarebbe stato più facile per la Edilnord risolvere il grave problema delle fragorose rotte aeree nel cielo della zona. Dunque, la Edilnord si assume il compito di "costruire" la clinica del prete spretato (si occupa cioè di appaltarne la costruzione alle imprese edili che edificheranno Milano 2). La costruzione della clinica “Ospedale San Raffaele” è oscura fin dall'inizio: “Non è stato possibile rilevare la data di inizio dei lavori”, scriverà in un rapporto la 17
Definito “prete-manager”, e descritto come “un prete atipico che viaggia su auto di lusso con radiotelefono, che non veste abitualmente la tonaca e nemmeno clergyman, che si attornia di segretarie tanto efficienti quanto di gradevole aspetto” ("Panorama", 14 maggio 1989), don Luigi Maria Verzé riuscirà a costruire un vero e proprio impero di cliniche private proprio a partire dalla vicenda segratese del San Raffaele; ma la sua proverbiale spregiudicatezza lo porterà più volte nelle aule dei tribunali. 18
I 600 milioni erogati a don Verzé dallo Stato erano parte di uno stanziamento di 2 miliardi e 136 milioni; il resto della somma che gli era stata destinata dai potenti amici della Dc romana non aveva potuto essergli erogata perché la nuova legge ospedaliera approvata nel 1968 subordinava i finanziamenti a requisiti che l'iniziativa privata di don Verzé non possedeva. I "requisiti" che la progettata clinica democristiana invece aveva, erano espressi in un apposito depliant pubblicitario: “È innanzitutto l'ospedale per il medico, prima ancora che per l'ammalato... perché il medico possa realizzare se stesso come maestro e professionista di un'arte sacra... Quanto all'ammalato, il San Raffaele lo accoglie e lo tratta come un’entità bio-psico-spirituale che, ammalandosi, ha acquisito il diritto di un trattamento privilegiato e individuale... Per entità bio-psico-spirituale si intende che nel San Raffaele incombe l'obbligo di riconoscere, in ogni momento, l'ammalato come un tutto organico, composto di fisico, di valore psico-intellettuale e di anima praeternaturale, tutti invisibilmente impegnati nella nuova situazione patologica... La lotta contro la malattia è un corpo a corpo tra uomo e UOMO ... ”. 19 La certezza delle ingenti sovvenzioni pubbliche alla sua iniziativa era il necessario presupposto dell'intera operazione - buona parte delle somme sarebbe poi finita nelle casse della "costruttrice" Edilnord.
IL PRIMO MIRACOLO ITALIANO Guardia di Finanza. Ma la cerimonia della “posa della prima pietra” avviene il 24 ottobre 1969 alla presenza del sindaco socialista di Milano Aldo Aniasi - è l’avvio di una sequela di irregolarità, abusi, colpi di mano e manovre sotterranee, che la coppia di affaristi Berlusconi-don Verzé attuerà nel segno di “sinergici” interessi speculativi. Nel 1970, don Verzé muta il suo Centro di assistenza ospedaliera in “Fondazione religiosa Centro San Romanello del Monte Tabor”, e nel consiglio di amministrazione della Fondazione trovano posto politici e imprenditori legati alla Dc; il 15 aprile 1971 il governo del Dc Emilio Colombo riconosce “la personalità giuridica” della Fondazione, che dunque può essere ammessa a fruire degli stanziamenti previsti dal Piano regionale ospedaliero. Ma l'assessore alla Sanità della Regione Lombardia, il De Vittorio Rivolta, poiché il privatistico “ospedale” di don Verzé è estraneo al piano ospedaliero lombardo, nega alla Fondazione i finanziamenti del Fondo nazionale ospedaliero. Dopo pressioni, minacce, e tentata corruzione20 , l'intraprendente don Verzé e i suoi protettori politici romani trovano il modo di aggirare l'ostacolo. Il 25 luglio 1972, con apposito decreto, il ministro della Sanità (il Dc Athos Valsecchi) e il ministro della Pubblica Istruzione (il Dc Oscar Luigi Scalfaro) riconoscono alla rudimentale clinica privata di don Verzé l'attestato di “Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico”: ancorché platealmente truffaldino (verrà definito “un atto di pirateria politica”, dal momento che il sedicente ospedale non è neppure funzionante), il prestigiosissimo riconoscimento elargito dai due ministri Dc consente allo spretato affarista democristiano di beneficiare di finanziamenti e agevolazioni varie, e soprattutto sottrae la sua iniziativa "ospedaliera" alle competenze della Regione. Nel ricorso subito inoltrato, la Regione Lombardia chiede infatti l'annullamento del decreto ministeriale perché viziato da “eccesso di potere per difetto di istruttoria, erronea valutazione della realtà, illogicità, sviamento”, e nega che la clinica di don Verzé possa essere qualificata "Istituto a carattere scientifico": si tratta di un espediente “strumentale rispetto al perseguimento di finalità diverse... 1 fini perseguiti [dall'iniziativa di don Verzé] sono completamente diversi da quelli assunti a base del decreto di riconoscimento” 21 . 20
Le pressioni di don Verzé sull'assessore Rivolta sono di vario tipo. Dapprima burocratiche: “Fin dal 1969 erano stati iniziati i lavori per la costruzione [della clinica],.. 1 lavori rimasero in seguito sospesi per la interruzione del finanziamento che lo Stato aveva a suo tempo promesso e poi demandato alle scelte della Regione... La spesa prevista ammonta a 980 milioni... Se il predetto lotto non verrà ora incluso nell'elenco degli Ospedali lombardi da rifinanziare con la legge in itinere, il primo lotto, già pronto, del San Raffaele rimarrà una bella costruzione incompleta e sterile ai fini ospedalieri” (lettera del settembre 1971); poi minacciose: “Poiché so, avendone le prove, che il nostro lavoro è voluto da Dio, e che Dio non si lascia irridere, la consiglio, di non molestare oltre” (lettera dei novembre 1973). Né manca la tentata corruzione - la promessa di una tangente del 5 per cento sull'erogazione - che porterà a un'intricata vicenda giudiziaria in seguito alla quale don Verzé verrà condannato in primo grado appunto per tentata corruzione.
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Scrive in una lettera all'Unità" l'assessore regionale alla Sanità Rivolta: “Se l'Ospedale San Raffaele ha dovuto imboccare - purtroppo con successo, finora - la strada del riconoscimento interministeriale di "Istituto scientifico" è solo perché ha trovato la strada normale (la strada cioè della classificazione e dei riconoscimento come Ente ospedaliero) ripetutamente sbarrata dalla volontà dell'assessorato alla Sanità di non pregiudicare con decisioni settoriali e con suggestioni privatistiche la definizione del piano ospedaliero lombardo... [Cosi] i promotori dell'iniziativa hanno creduto opportuno aggirare l'ostacolo ricorrendo a Roma”.
IL PRIMO MIRACOLO ITALIANO intanto, dopo che in precedenza la Commissione edilizia segratese aveva respinto JI progetto per l'edificazione di un secondo lotto ospedaliero perché privo di benestare del medico provinciale e dei Vigili del Fuoco, nello stesso luglio 1972 la clinica si vede negata l'agibilità perché “il sistema degli scarichi delle acque non è conforme alle disposizioni del Consorzio di vigilanza igienica, ed è priva di camera mortuaria”. Il 14 giugno 1973, il rettore dell’Università Statale di Milano, il democristiano Giuseppe Schiavinato, sottoscrive una truffaldina convenzione tra la Facoltà di Medicina e il sedicente “Ospedale San Raffaele” - un nuovo, proditorio atto di “pirateria politica” tutto interno alla Dc e mosso da interessi economico-clientelari. “L'obiettivo manifesto del Verzé è di procedere alla costruzione di altri due mostruosi immobili per una volumetria [equivalente a] più dei doppio di quella prevista dai piani urbanistici locali... Lo strumentale aggancio all'Università, aggiunto all'abnorme riconoscimento ministeriale di "Istituto scientifico", potranno ulteriormente sottrarre la Fondazione e la sua struttura edilizia in territorio milanese ai controlli regionali e a qualunque altro controllo imposto dalla legge. A questo preciso scopo concordato, il Rettore Schiavinato [firmando la convenzione ha offerto [a don Verzé], a fondo perduto, finanziamenti, strumenti, strutture, docenti e personale, prostituendo le esigenze didattiche degli studenti alla speculazione dei gruppi clericali amici” 22 . Il 21 settembre 1973, un'ordinanza dei sindaco di Segrate interrompe la costruzione del secondo lotto della clinica perché platealmente abusivo: “Nell’ordinanza, dopo aver considerato che la Fondazione dell'ospedale “ha presentato un progetto di costruzione di ampliamento del secondo lotto dell'ospedale medesimo e che lo stesso non è risultato, all'esame della Commissione edilizia comunale, meritevole di approvazione”, si ingiunge la “sospensione immediata dei lavori edili abusivamente intrapresi”. Circa il motivo per il quale è stata avviata la costruzione del secondo lotto dell'ospedale senza l'autorizzazione prevista, don Verze’ afferma che “secondo accordi verbali presi con le autorità di Segrate, e di cui possiamo fornire testimonianze, ci fu detto di iniziare pure i lavori e che la autorizzazione sarebbe giunta in un secondo tempo”” 23 . Nell'occasione, l'ineffabile prete “sospeso” dichiara 22
Denuncia alla Procura della Repubblica inoltrata da un gruppo di studenti della Facoltà di Medicina (14 ottobre 1973), In un comunicato-stampa, gli studenti precisavano: “La convenzione dell'Università Statale con il San Raffaele è praticamente nulla sia in base alla legge ospedaliera che afferma che l'Università può assumere rapporti solo con enti ospedalieri o comunque con enti pubblici, sia perché anche qualora il San Raffaele si configurasse come ente pubblico avrebbe trasgredito il Piano regolatore regionale che ne vietava la costruzione stessa; esso è quindi un edificio abusivo. Inoltre la convenzione è in contrasto con lo schema legislativo di convenzione in quanto lascia all’Università tutti gli oneri e gli aggravi finanziari e al San Raffaele solo le “ buone intenzioni “ e i benefici economici. Ciò stabilito possiamo oltretutto rilevare che il San Raffaele contravviene alle condizioni previste per un ospedale dalla legge del 12-2-1968 mancando dei più elementari servizi: pronto soccorso, camera mortuaria, rete fognaria adeguata, personale competente”. 23
"Corriere della Sera", 27 settembre 1973. A riprova degli strettissimi legami di don Verzé con i boss della Dc romana, in data 8 febbraio 1974 il ministro della Sanità Luigi Gui (futuro protagonista dello scandalo Lockheed) scrive al Comune di Segrate una subdola lettera che, riferendosi all'ordinanza, precisava: “Senza minimamente voler sindacare le ragioni che sono alla base dell'ordinanza [di sospensione dei lavori di ampliamento del San Raffaele], questo Ministero - cui, come è noto, è demandata la vigilanza sugli Istituti di cura a carattere scientifico - rappresenta a codesto Comune il contributo di considerevole rilevanza sociale che, nell'ambito dell'assistenza ospedaliera, la Fondazione Centro San Rornanello dei Monte Tabor apporta alla comunità, nonché il notevole interesse che l'Istituto riveste per l'impulso dell'attività scientifica e per lo sviluppo del settore didattico-universitario”.
IL PRIMO MIRACOLO ITALIANO alla stampa: “Non siamo lo specchietto delle allodole, come qualcuno vuol vederci, di una grossa società immobiliare [cioè l'Edilnord, N.d.A.]. Siamo solo un ospedale che vuole portare a termine il suo programma per funzionare sempre meglio”. Il 14 ottobre 1973, l'avvocato Giuseppe Melzi, a nome di un gruppo di studenti della Facoltà di Medicina dell'Università di Milano, inoltra alla Procura della Repubblica una denuncia a carico del Rettore Schiavinato e dei ministri Valsecchi e Scalfaro per i reati di peculato, abuso d'ufficio, interesse privato in atti d'ufficio, falsità ideologica, truffa ai danni dello Stato - don Luigi Verzé viene denunciato per truffa ai danni dello Stato. Nella denuncia viene ricostruita la vicenda della clinica-ospedale San Raffaele, associandola a tangenti e benemerenze politiche; vi si parla di “complessi e oscuri rapporti clientelari personali e politici [del rettore] che, intrecciandosi al sedicente Ospedale San Raffaele, coinvolgono diverse realtà e interessi di potere e economici... [La scandalosa convenzione firmata dal rettore] è una chiara copertura di interessi politico-economici... La storia del San Raffaele si riannoda a quella di una grossa iniziativa immobiliare a carattere speculativo, nota come "Milano 2" e patrocinata dalla società Edilnord S.a.s. [dietro cui vi sono capitali svizzeri e interessi bancari democristiani, e capeggiata da] Berlusconi... Le iniziative e i programmi edificatori di Milano 2 e del San Raffaele superavano di gran lunga le volumetrie consentite anche dal Piano regolatore del Comune di Segrate [mal l'Edilnord otteneva una vantaggiosissima convenzione [coincidente con] la campagna elettorale per le politiche... Le fortune del San Raffaele coincidono in successione cronologica con quelle di Milano 2 e con tali scadenze elettorali... [Vi sono prove] della collusione tra i due gruppi e le due iniziative, o meglio, dell'asservimento del San Raffaele ai prevalenti scopi speculativi di Milano 2... Milano 2 è indubbiamente interessata al connubio tra il San Raffaele e l'Università... Schiavinato [ha cosi assunto] l'alto patrocinio dell'Edilnord, divenendo il padrino della speculazione ospedaliera e immobiliare più sfacciata d'Italia ... ”. I denuncianti sollecitano “una severa inchiesta sui vari rapporti e sui vari personaggi ruotanti attorno al San Raffaele, all’Università, e all'iniziativa Milano 2 [anche considerando] gli indubbi collegamenti speculativi tra l’Ospedale San Raffaele e l'insediamento edilizio Milano 2, e il coinvolgimento degli uffici ministeriali prima, e dell'Università poi, aventi come scopo la “valorizzazione” dell’Ospedale e di Milano 2”. La denuncia studentesca, presentata dall’avvocato Melzi, non manca di porre in rilievo la faccenda più sporca tra le molte che stanno accompagnando la nascita di Milano 2-San Raffaele, e che è alla base del connubio Berlusconi-don Verzé: “Quando al confine col San Raffaele inizia anche la costruzione degli immobili di Milano 2, la combine tra le due iniziative si manifesta pubblicamente in una comune, incalzante iniziativa mirante a ottenere lo spostamento delle rotte aeree, per la ulteriore “valorizzazione” iniziativa immobiliare”.
IL PRIMO MIRACOLO ITALIANO
Nell’alto dei Cieli Nella seconda metà degli anni Sessanta, l'aeroporto milanese di Linate aveva registrato un forte incremento del traffico aereo: se nel 1961 dall'aerostazione decollavano 35 aerei al giorno, nel 1967 i decolli erano già 63 (dei quali 33 di jet), e due anni dopo erano saliti a 75 (con 65 jet) 24 . 1 potenti e fragorosi aviogetti decollavano lungo l'asse Sud-Nord, e l'incremento dei decolli aveva determinato un progressivo aumento dell'inquinamento acustico a danno dei circa 10.000 residenti nella fascia orientale del Comune di Segrate e degli abitanti dei comuni limitrofi. Il 24 luglio 1969, la Direzione generale dell'Aviazione Civile (Civilavia) aveva emanato una prima direttiva di regolamentazione dei corridoi di decollo da Linate; con la sigla “Notam” 25 e il numero d'ordine “AIII/69”, la disposizione stabiliva che subito dopo il decollo gli aerei procedessero dritti lungo la rotta Sud-Nord, per poi virare a un'altezza di 3.600-5.000 metri (a seconda del tipo di aeromobile) dal punto di stacco: in tal modo, i jet evitavano gli abitati di Segrate, San Felice, Vimodrone, Cologno e Brughiero, e sorvolavano la disabitata zona verde del conte Bonzi posta oltre il confine orientale del Comune di Segrate. L'area Bonzi sorvolata dal luglio 1969 è da qualche mese di proprietà della Edilnord Centri Residenziali che intende costruirvi una cittadella. Secondo la Convenzione di Chicago sulla Aviazione civile (che tra l'altro definisce le “servitù aeroportuali”), tale area - posta proprio sull'asse della pista n° 36 di Linate, e a pochi chilometri dall'aerostazione - dovrebbe essere considerata “inabitabile” e destinata a “zona verde”; anche per questa ragione, nel 1967 il Piano Intercomunale Milanese si era chiaramente pronunciato contro la lottizzazione urbanistica dell’area Bonzi 26 . Ma Berlusconi sembra ritenere la grave questione un problema ininfluente, e alla fine del 1970 l’edificazione di Milano 2 procede spedita sotto il costante fragore dei jet che sorvolano l’area ridicolizzando lo slogan commerciale di Milano 2 “un'oasi di pace ai confini della città”. In realtà, è già operante il sodalizio Edilnord don Verzé, attraverso il quale, al più presto, si potrà “ripulire” il cielo della zona dal micidiale inquinamento acustico: in quale Paese al mondo sarebbero ammessi decolli aerei a ridosso di un ospedale?
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All'epoca, Linate disponeva di una sola pista, la n° 36, la cui testata Sud era abilitata all'atterraggio strumentale - era l’unica disponibile per il traffico dei jet. 25 Da "Notice Io Air Men" ("Avviso agli aeronaviganti"). 26 In un esposto alla Pretura di Monza, il Comitato antirumore “L'esistenza delle servitù aeronautiche, rese operanti con ordine del generale comandante della 1 Regione Aerea in data 12 aprile 1962 e ribadite dalla Legge n° 58 del 4-2-1963, dimostra chiaramente che gli aerei hanno a disposizione per il decollo e l'atterraggio una fascia di territorio di lunghezza complessiva di 20 km giacente sull'asse della pista dell'aeroporto Milano-Linate”, fascia relativa a tutta l'area Bonzi-Edilnord e oltre.
IL PRIMO MIRACOLO ITALIANO Milano 2 conta circa 200 abitanti, quando, il 24 giugno 1971, il duo Berlusconi-don Verzé inoltra al ministero dei Trasporti una petizione: primi firmatari lo stesso don Luigi Verzé e Maria Bossi vedova Borsani (zia di Berlusconi e sua prestanome nella Edilnord), la petizione sollecita “immediati provvedimenti” per salvaguardare la quiete dei “cittadini” 27 di Milano 2, e dei “degenti” dell'Ospedale San Raffaele “che inizierà la sua attività nel luglio 1971 e che nel prossimo futuro raggiungerà la potenzialità di 600 letti”. Con inopinata e sospetta tempestività, la direzione di Civilavia asseconda le “futuribili” esigenze del potente binomio Edilnord San Raffaele: il 15 dicembre 1971, emanai “Notam A267/71” (che entrerà in vigore il successivo 15 gennaio): “l’Avviso” dispone un dirottamento del corridoio di uscita da Linate, allontanandolo “di circa 700 metri dal limite orientale della zona interessata (“San Romanello”)” 28 . Coi nuovo “Notam”, la rotta diretta a Nord evita le zone di proprietà della Edilnord con le sue poche centinaia di residenti, ma determina un aggravio dell'inquinamento, acustico ai danni delle decine di migliaia di abitanti dei comuni di Segrate, Vímodrone, Cologno e Brughiero. Disposto quale semplice “aggiustamento tecnico”, il repentino dirottamento conseguito dal duo Berlusconi-don Verzé suscita la protesta dei piloti associati all’ANPAC (il maggiore sindacato autonomo di categoria) e della direzione dell’ALITALIA: le nuove procedure di decollo, infatti, comportano una drastica diminuzione dell'altitudine di virata dal punto di stacco dal suolo, con conseguente riduzione dei margini di sicurezza. Civilavia deve quindi rivedere le disposizioni, e il 30 marzo 1972, col “Notam A107/72”, recepisce le obiezioni dei piloti e della compagnia di bandiera nazionale. Solo un mese dopo, al fine di “stabilizzare” in via definitiva la delicata questione delle rotte da Linate, Civílavia, con il “Notam A128/72” (in vigore dal 25 maggio), allontana ulteriormente il corridoio di decollo dall'area Milano 2-Ospedale San Raffaele stabilendo che gli aerei seguano una rotta di 010° in direzione Est fino all'attitudine di 2.000 piedi (poco più di 600 metri). Ma la nuova disposizione “ispirata” da Berlusconi-don Verzé danneggia gravemente la tranquillità acustica degli abitanti di Segrate, e nel comune, a giugno, si forma il Comitato antirumore segratese (Cas). Il Cas promuove una petizione popolare, raccogliendo oltre 3.000 firme in calce a una serie di richieste, prima fra tutte il ripristino delle rotte in vigore fino al 1971. Il successivo 15 settembre 1972, una rappresentanza del Consiglio comunale di Segrate si reca a Roma, presso la direzione di Civilavia, e ottiene una sensibile modifica della quota di virata, ratificata dal nuovo 27
La petizíone-istanza, che ha la tipica impronta berlusconiana, arriva tra l'altro a dare per acquisiti elementi allo stato inesistenti: “Il quartiere residenziale Milano 2 ospiterà, entro un anno, circa 500 famiglie, con la presenza quindi di circa 2.000 persone con una notevole percentuale di bambini...” - Berlusconi non si perita di invocare, per salvaguardare i propri affari speculativi, la Famiglia, e i Fanciulli... 28
In Sentenza dei Pretore di Monza, 30 marzo 1974, che precisa: “t necessario chiarire che il "San Romanello" [ ... ] non è che l'ospedale "San Raffaele", e che la ,,zona interessata" è quella dove sorsero detto ospedale, prima, e "Milano 2" poi”.
IL PRIMO MIRACOLO ITALIANO “Notam A282/72” del 26 settembre 1972 29 ; nel cielo di Segrate e dei comuni della fascia settentrionale torna la quiete, ma la berlusconiana Edilnord prepara la reazione. Il 13 settembre 1972, gli sparuti abitanti di Milano 2 vengono allertati con un manifesto-appello da adunata: “A tutti gli abitanti di “Milano 2” - L'Edilnord, nel reciproco interesse, chiede "una mano" per risolvere alcuni dei problemi che intralciano “il cammino” di Milano 2. Il problema più attuale è quello del passaggio degli aerei sopra il nostro quartiere. A Segrate si è da tempo costituito un "Comitato Antirumore" [ ... ]. Dobbiamo a nostra volta formare un Comitato Antirumore per sostenere che detti aerei debbano seguire una rotta leggermente spostata (8°) ad Est, come è avvenuto per un certo periodo [ ... ]”. A ottobre, prende forma il nuovo strumento di pressione berlusconiano: coi pomposo appellativo di “Comitato intercomunale antirumore” (CIA), animato e guidato da un ambiguo personaggio come Marcello Di Tondo 30 il berlusconiano CIA riesce a formare un gruppo di pressione che vede momentaneamente alleati otto comuni dell'hinterland settentrionale (Brughiero, Vimodrone, Cernusco sul Naviglio, Cologno Monzese, Cassina de'Pecchi, Carugate, Bussero e Pessano con Bornago) - una lobby eterodiretta il cui reale obiettivo è la salvaguardia della multimiliardaria speculazione edilizia della “svizzera” Edilnord. A Roma, il berlusconiano CIA ha un esplicito santo in paradiso nella persona del deputato Dc Egidio Carenini (futuro “fratello” di Berlusconi nella Loggia P2, e intimo amico del Venerabile maestro Licio Gelli). E a Roma, il 13 marzo 1973, la direzione di Civilavia convoca un vertice dedicato alla questione delle rotte da Linate: vi prendono parte l'on. Carenini, esponenti del Cia, i direttori dei quattro ospedali dei comuni settentrionali, funzionari del ministero della Difesa responsabili dei controllo aereo, dirigenti dell’Alitalia, e don Luigi Verzé in persona 31 . Secondo un esponente del Comitato antirumore segratese, nel corso di tale riunione vengono utilizzate carte topografiche per Segrate e Pioltello risalenti al 1848, per Milano 2 29
Nell'occasione, Civilavia procede ancora per approssimazione, e il nuovo "Notam" dovrà essere ulteriormente modificato meno di due settimane dopo la sua entrata in vigore: il 22 ottobre 1972verrà emanato il "Notam A314/72", che sposterà la quota di virata da 2.000 a 3.000 piedi per evitare la possibile rotta di collisione con gli aerei in "rnancato avvicinamento" all'aeroporto bergamasco di Orio al Serio.
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il profilo di Marcello Di Tondo verrà cosi ricostruito in un documento prodotto agli atti processuali: “Democristiano, [-] apparteneva alla corrente di Forze Nuove [il cui leader è il futuro "referente berlusconiano" Carlo Donat-Cattin, Nd,41 [ ... ]. Prova una forte, e pubblicamente espressa, stima nei confronti di Silvio Berlusconi, del quale ammira il fiore all'occhiello Milano 2, e in uno dei migliori appartamenti di Milano 2 Di Tondo ha avuto il privilegio di risiedere[...]. Alla fine degli anni Sessanta, Di Tondo si era stabilito in un appartamento di quattro stanze nel centro residenziale di Brughiero [realizzato da Berluscon4 Nd,41. Si fece presto conoscere a Brughiero, e venne eletto consigliere comunale. Nell'estate del 1972 [ ... ], Di Tondo aveva lasciato Brughiero (e da allora il suo appartamento è rimasto sfitto) e si era trasferito a Milano 2 [ ... ]. Avvalendosi delle conoscenze sviluppate a Brughiero (per anni, tutti hanno continuato credere che Di Tondo risiedesse a Brughiero; ancora oggi [19741 il suo indirizzo di Milano 2 non compare sull'elenco telefonico, e lui stesso dà sempre l'indirizzo del suo luogo di lavoro), Di Tondo costituì il Comitato intercomunale antirumore ... ”. Proprio per queste sue caratteristiche, Di Tondo verrà ribattezzato 'Tassassero al seguito (di Berlusconi)". 31
Fra le varie stranezze della losca vicenda, vi è il fatto che ai piloti dell’ALITALIA era stata consegnata una mappa aerea della zona circostante Linate (datata 25-5-1972), con tutta la zona di Milano 2 contrassegnata dal simbolo "H" (ospedale): l’espediente era teso a indurre i piloti a evitare tutta l'area di proprietà della Edilnord (e non il solo Ospedale San Raffaele).
IL PRIMO MIRACOLO ITALIANO (edificata solo al 25 per cento) complete come se la cittadella fosse già stata ultimata. I risultati del vertice romano si concretizzano il successivo 30 agosto, quando Civilavia emette il “Notam A235/73” (che entra in vigore il 15 settembre, previa parziale modifica il 7 settembre): la nuova rotta di decollo ha la prioritaria cura di evitare l'area di Berlusconi-don Verzé, e stabilisce una direttrice lungo la “radiale 244”, che passa dritta sopra il municipio di Segrate aggravando cosi l'inquinamento acustico anche nel cielo di Pioltello, Limito e San Felice. Per la berlusconiana Edilnord è una vittoria sul campo, celebrata da un volantino diffuso dalla cosiddetta “Associazione dei residenti di Milano 2”: “[ ... ] I risultati della lunga e difficile azione sono facilmente constatabili, e vanno a premiare gli sforzi di chi ha creduto ed aiutato l'impegno civile dei Comuni e delle Amministrazioni Ospedaliere che si sono battuti per raggiungere gli attuali risultati” 32 . Ma la vittoria berlusconiana è a scapito anzitutto degli otto comuni settentrionali che pure si erano “alleati” al Cia: in seguito al “Notam A235/73”, essi accusano la Edilnord-Milano 2 di strumentalizzazione per interessi di parte. Penalizzati dal nuovo provvedimento sono anche i piloti aerei, i quali esprimono la loro ostilità alle nuove direttive di decollo (quelli dell'Alitalia segnalano la pericolosità della virata "a coltello" necessaria per rispettare la “radiale 244”, mentre quelli dell'Air France e della Klin affermano trattarsi di una rotta praticabile solo per decolli a vuoto, con aeromobili di piccola stazza, e in condizioni metereologiche pressoché perfette). La vicenda assume sempre più i connotati dello scandalo - la stampa locale scrive di ““Dirottamenti” aerei coi sistema della mafia” 33 . IL 2 agosto 1973, l'avvocato Raffaele Della Valle inoltra alla Pretura di Monza un esposto con il quale, premesse alcune considerazioni di ordine generale sulla “politica urbanistica quantomeno imprevidente” che ha consentito insediamenti come quello di Milano 2 in zone originariamente comprese nel piano di volo “degli aerei in partenza da Linate”, denuncia “un vero e proprio bombardamento del frastuono dei jet, dalle primissime ore dei mattino a notte inoltrata, nel territorio del Comune di Brughiero”, e chiede al Pretore di procedere “giudizialmente a carico dei responsabili per il reato previsto e punito dall'art. 659 Cp.” 34 . Nell'ottobre 1973, il Comitato antirumore segratese inoltra un esposto alla magistratura in merito al dirottamento dei voli in partenza da Linate, e sollecita un'inchiesta relativa agli “strumenti urbanistici predisposti negli ultimi anni dal Comune di Segrate, con specifico riferimento all'insediamento chiamato "Milano 2", e circa le autorizzazioni concesse perfino per la costruzione di un "Istituto di ricovero e cura" San Raffaele [benché la zona fosse gravata da servitù aeree]”. Una mozione 32
Cit. in "L'Eco del Sud Milano", 2 ottobre 1973. Cfr.”Lambrosiano”,13-20 dicembre 1974, che ricostruisce la cronologia, e denuncia le responsabilità politiche, della vicenda. 33
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L'avvocato Della Valle, nell'occasione, rilascia anche sferzanti dichiarazioni alla stampa: tra l'altro, denuncia A grave nocumento [ricevuto da un assai rilevante numero di cittadini] ad esclusivo vantaggio di ben noti complessi immobiliari nel frattempo sorti e non si sa bene quanto legittimamente” (cfr. 'T Giorno", 5 dicembre 1973). Vent'anni dopo, l'avvocato Della Valle verrà ingaggiato dal partito-Fininvest, alla corte dell'artefice del “ben noto complesso immobiliare sorto non si sa bene quanto legittimamente”,
IL PRIMO MIRACOLO ITALIANO assembleare firmata dal Comitato segratese (e approvata all'unanimità dalla cittadinanza), chiede “che il ministro della Pubblica Istruzione e quello della Sanità revochino congiuntamente la qualifica di “Istituto a carattere scientifico” accordata al sedicente Ospedale San Raffaele... E’ infatti noto a tutti i Segratesi che il suddetto Istituto, sorto in aperto contrasto con la programmazione ospedaliera regionale, non svolge né attività ospedaliera né attività di ricerca scientifica, ma esercita una mera attività di ricovero di mutuati e solventi [come] una casa di cura privata... Altrettanto nota a tutti è la funzione di specchietto per le allodole" che tale Istituto ha giocato nella questione del cambiamento delle rotte degli aerei... L'assemblea dei cittadini di Segrate invita pressantemente la Procura della Repubblica di Milano a dare corso alle indagini necessarie per accertare quali reati siano stati commessi in tutti i fatti connessi con l'insediamento del quartiere "Milano 2" e con i cambiamenti delle rotte. Questo, al fine di impedire che gli abitanti di Segrate siano vittime di un incredibile sopruso destinato a far arricchire squallidi personaggi dalla smodata vocazione speculativa”. Ma la Edilnord prosegue il suo incessante lavoro manipolatorio. Verso la fine del 1973, viene fatto circolare un,ponderoso “studio scientifico” sul problema delle rotte: attribuito al prestigioso Politecnico di Milano, “l’inparziale" studio indica nell'ultimo “Notam” del 1973 la “soluzione ottimale” dell’inquinamento acustico a Segrate soluzione che, manco a dirlo, è quella vagheggiata dalla berlusconiana “immobiliare svizzera” Edilnord. L'inganno durerà solo qualche mese: la presidenza del Politecnico scoprirà che lo studio era stato commissionato dalla stessa Edilnord, con “incarico privato”, a un gruppo di docenti dell'Istituto capeggiati dall'ing. Giovanni Da Rios - i docenti coinvolti nella truffaldina iniziativa si vedranno costretti, per evitare l'espulsione dall'Istituto, a pubbliche scuse e a eliminare dallo studio pro-Edilnord ogni riferimento al Politecnico.
IL PRIMO MIRACOLO ITALIANO
Il silenzio è d’oro Le vicende che a partire dal 1968 e fino a metà anni Settanta accompagnano il sorgere della "città satellite" Milano 2 danno luogo al più grave scandalo urbanistico che si sia mai verificato nell'hinterland milanese. L'operato di una strana società edilizia come la Edilnord (anonimi capitali svizzeri, un enorme potere finanziario, e il vero promotore, tale Silvio Berlusconi nascosto da prestanome) finisce sulle pagine locali dei quotidiani milanesi insieme alle scorrerie di don Luigi Verzé, approdando poi nelle aule dei tribunali. I mille volti della speculazione edilizia: a Segrate, 50. 000 persone ci rimettono la salute con lo spostamento dei corridoi aerei, titola "il manifesto" nell'agosto 1973: “La Edilnord è riuscita a mobilitare gli abitanti dei paesi limitrofi a "Milano 2" ed è andata a Roma alla testa di un finto "Comitato intercomunale antirumore" a contrattare le rotte aeree... Il terreno [dove sorge "Milano 2] è stato acquistato per un tozzo di pane, e gli appartamenti vengono venduti [dalla Edilnord] a prezzi astronomici ... ”.Per portare avanti la speculazione che si chiama Milano 2", prima rendono sordi i Segratesi con i jet, ora li vogliono appestare con un immondezzaio: “Ci sono dentro tutti, la Regione, i democristiani e anche i socialisti... Ma la più sporca di tutte l'ha fatta il Vaticano che, con l'aiuto economico delle banche svizzere, ha appoggiato l'operazione "Milano 2" con l'insediamento nella zona dell'Ospedale San Raffaele [...]. Intorno al villaggio di lusso "Milano 2" si sta "purificando" tutto, per garantire che nulla turbi il pacifico insediamento dei "cittadini di prima classe". C'è ad esempio una questione di fognatura: da oltre vent'anni nella zona adiacente quella che avrebbe ospitato “Milano 2” c'è il deposito di immondizie dell’Amministrazione nettezza urbana. E’ evidente che questo deposito verrà spostato d'autorità, su questo non ci sono dubbi. Quel che invece resta da discutere è “dove” lo si deve trasferire, visto che la zona è ormai tutta abitata ... ” 35 . Il settimanale “Il Mondo” del 4 ottobre 1973, sotto il titolo Le rotte di cemento, scrive: “In un Paese come l'Italia, distribuendo qualche bustarella è possibile riuscire a spostare le rotte aeree [dallo scalo di Linate Appurarlo non è certo facile, perché i protagonisti di tali vicende amano la discrezione [...]. Un'inchiesta del Pretore di Monza ha preso le mosse [dai rumori delle rotte] ma si è presto estesa al tema-tabù delle licenze edilizie e della speculazione sulle aree fabbricabili... Per ora al centro delle indagini [c’è] “Milano 2”, un complesso residenziale ultramoderno costruito alla periferia della città dalla società Edilnord, ufficialmente controllata da una 35
Le roventi denunce del “Manifesto” erano firmate da Tiziana Maiolo, la quale in quegli anni indossava il tailleur comunista allora di gran moda , dopo successive peregrinazioni partitiche segnate da un maniacale furore arrivistico e da una divorante ambizione, la mania di potere della “pannellata” Maiolo troverà nuovo lenimento, vent’anni dopo, proprio al servizio dello <speculatore> Berlusconi.
IL PRIMO MIRACOLO ITALIANO finanziaria svizzera [...]. Nel dopoguerra, spiegano gli urbanisti, per ottenere dall'amministrazione comunale le licenze edilizie era necessario ungere le casse dei partiti... Negli anni Sessanta, per ottenere le licenze i costruttori dovevano versare una tangente nelle casse dei partiti che controllavano la Giunta […]. Nelle immediate vicinanze dell'aeroporto di Linate sta nascendo (Milano 2), una piccola città di 9 mila abitanti che sarà ultimata nel 1975... Dei 2.500 appartamenti previsti, finora ne sono stati costruiti circa un terzo, e ne sono stati venduti circa 600; l'operazione, quindi, è in una fase estremamente delicata. Secondo il "Comitato antirumore" di Segrate, la Edilnord sarebbe riuscita a far deviare le rotte degli aerei che decollano da Linate, per poter continuare a vendere i propri appartamenti: che sono passati da 130 mila lire al metro quadrato, a 280 mila lire [...]. Alcuni anni fa, sul territorio di "Milano 2", è stato costruito un "ospedale" in mezzo ai prati, retto da don Verzé, un curioso prete spretato... Questo "ospedale", secondo gli abitanti di Segrate, avrebbe permesso all'Edilnord di ottenere da Roma il recente mutamento delle rotte aeree: infatti, nelle carte di volo fornite ai piloti dell’ALITALIA, la macchia nera della lottizzazione di "Milano 2" reca la scritta “Hospital” come se l'intera area fosse zona ospedaliera anziché un colossale condominio di lusso Ma probabilmente la verità non verrà mai a galla” Nel dicembre del 1973, il quotidiano socialista "Avanti!" informa: “II Pretore di Monza che sta conducendo l'inchiesta [sul dirottamento dei voli aerei da Linate] ha chiesto alla Procura della Repubblica di Milano di incriminare [per corruzione, abuso e omissione di atti d'ufficio] il rettore dell'Università Statale Giuseppe Schiavinato, l'assessore regionale all'Ecologia Filippo Bertani, il sindaco di Segrate Gianfranco Rosa, e il direttore dell'Ospedale San Raffaele don Luigi Verzé. Nel corso dell'inchiesta, infatti, il magistrato ha rilevato una serie di irregolarità nella costruzione della clinica che si trova nel territorio del Comune di Segrate e che è stata costruita dopo una convenzione tra l'Università di Stato e il Verzé”. Il “Corriere della Sera” del 18 aprile 1974 scrive: “Un presunto tentativo di corruzione nei confronti dell'assessore regionale alla Sanità Vittorio Rivolta è oggetto di un'inchiesta giudiziaria da parte della Procura della Repubblica. La magistratura ha inviato nei giorni scorsi un avviso di procedimento a don Luigi Maria Verzé, direttore dell'ospedale San Raffaele di Segrate, per informare il religioso che sul suo conto sono in corso accertamenti a proposito di illecite attività che sarebbero state svolte in relazione alle richieste di finanziamenti per il nosocomio. In pratica, la Procura della Repubblica sta cercando di stabilire se corrisponde al vero che don Verzé, in occasione di un incontro avuto con Rivolta, abbia sollecitato un contributo di circa due miliardi di lire da parte della Regione a favore del San Raffaele (promettendo all'assessore) in cambio il 5 per cento dell'intero importo, vale a dire qualche cosa come cento milioni”. In data 25 giugno 1974, il quotidiano “Il Giorno” informa che “il pretore milanese Francesco Dettori ha inviato un avviso di procedimento a 14 ex consiglieri del Comune di Segrate (che è attualmente retto da un commissario prefettizio) per il reato di omissione di atti d'ufficio; la notifica dice testualmente: 'Per aver indebitamente omesso di adottare le controdeduzioni alle proposte di modifica del Piano regolatore
IL PRIMO MIRACOLO ITALIANO generale del ministero dei Lavori Pubblici entro 90 giorni dalla comunicazione di dette proposte, pervenuta il 2 febbraio 1971". E una grana grossa [...] che investe tutta la storia del Piano regolatore di Segrate in barba al quale sono nati e cresciuti i centri residenziali [...]. Una perizia sulla( convenzione stipulata tra il Comune e l'Edilnord ) concluse che nell'operato dell'ex sindaco Renato Turri potevano ravvisarsi gli estremi per il reato di abuso di autorità in atti d'ufficio; la Giunta presentò un esposto alla Procura: è li che dorme ... ”. Nell'edizione dei 27 giugno 1974, 1l Giorno" scrive: “II commissario prefettizio, dottor Ajello, si è rifiutato di rilasciare le 3 licenze (le ultime) richieste dall'impresa costruttrice di Milano 2, perché sono in contrasto con le norme di rispetto cimiteriale. Il cimitero è quello di Lambrate: per tre lati confina col territorio del Comune di Milano e per un lato con quello di Segrate. La zona di rispetto è di 200 metri: i costruttori di Milano 2, che sorge nel lato segratese, avrebbero voluto ridurla a 100 metri, ma ciò non è possibile. La società Edilnord ha criticato il commissario prefettizio [e poiché il commissario è irremovibile, la Edilnord ha stabilito che] in mancanza delle licenze, non [consegnerà] in tempo utile gli edifici scolastici. Risultato: disagio della popolazione di Milano 2, perché si dovrebbe addivenire all'adozione dei doppi turni, eccetera. A questo punto la vertenza si fa calda: c'è qualcuno che ha proposto -per constatare la buona fede della società costruttrice - di eseguire una verifica delle cubature finora realizzate a Milano 2 e che dovrebbero ammontare - secondo la convenzione - a un milione e 400.000 metri cubi: secondo quel qualcuno potrebbero saltare fuori differenze sconcertanti, sia per la parte quantitativa (il numero dei metri cubi oltre la prima soletta) sia per l'aspetto qualitativo (cioè l'accorgimento tecnico con cui si sarebbe saltato il "fosso" della delibera comunale)”. Il settimanale milanese “L 'Ambrosiano”, nel dicembre del 1974, scrive: “La vita del villaggio residenziale “Milano 2” continua a interessare le cronache giudiziarie. 1 cittadini di Segrate accusano la Edilnord di aver ottenuto, con abusi e irregolarità, il dirottamento degli aerei in decollo da Linate dal cielo di "Milano 2" a quello di Segrate. Inoltre, i clienti di "Milano 2" accusano la stessa Edilnord di aver alterato, con incrementi fino al 61 per cento, i prezzi di acquisto [degli appartamenti, espressi in franchi svizzeri] a suo tempo stipulati: cosi, mentre il Tribunale non ha ancora chiuso il capitolo del “dirottamento all'italiana”, ecco aprirsi una nuova vicenda che difficilmente si concluderà fuori dalle aule giudiziarie. Nello scandalo di “Milano 2” sono coinvolti i partiti politici che vanno per la maggiore, uomini politici di grosso e piccolo calibro, e perfino un prete spretato, direttore della clinica San Raffaele che è lo specchietto per le allodole al servizio della Edilnord”. Il "Corriere della Sera" del 12 febbraio 1975 scrive: “L'ex sindaco di Segrate, il democristiano Gianfranco Rosa, il legale rappresentante della Edilnord Giorgio Dall'Oglio [fratello della prima moglie di Berlusconi, N.d.A.], e il direttore dei lavori della stessa Edilnord, sono stati indiziati di reato in relazione a una serie di illeciti edilizi. Il primo dovrà rispondere di abuso continuato in atti d'ufficio, mentre gli altri due hanno ricevuto mandati di comparizione per “uso di licenza edilizia illegittima” Il Comune di Segrate aveva stipulato un accordo con l'impresa di costruzioni
IL PRIMO MIRACOLO ITALIANO Edilnord (a capitale svizzero), e per approvare la convenzione vennero modificate (dalla sola Giunta, senza cioè presentarle al Consiglio) le previsioni del Piano regolatore generale e del Piano di fabbricazione vigente. (La costruzione di Milano 2) avrebbe cosi usurpato anche parte del terreno destinato ad ampliare il "polmone verde" del Parco Lambro [ ... ]. 1 rappresentanti della Edi1nord si sono sempre difesi affermando di aver avuto regolare licenza edilizia, ma il pretore Francesco Dettori ha emesso gli avvisi di reato in base all'art. 31 della "Legge ponte", secondo la quale le imprese edili e i loro direttori dei lavori sono tenuti a conoscere la normativa edilizia e le disposizioni di legge in materia urbanistica”. Il “Corriere d'Informazione” del 20 marzo 1975 scrive: “II commissario prefettizio dottor Ajello, che sostituisce il sindaco di Segrate, ha sospeso la concessione delle licenze di abitabilità nelle nuove case di Milano 2 Questo significa che al momento gli abitanti di Milano 2 non hanno la sicurezza di ottenere la promessa esenzione fiscale venticinquennale sugli immobili, che è subordinata, appunto, alla classificazione delle case: se venissero giudicate abitazioni di lusso, per i proprietari si profilerebbe il pagamento di tasse per un ammontare non trascurabile. Toccati nel lato debole - il portafogli - gli abitanti del quartiere più chiacchierato Lombardia hanno reagito, gettando cosi benzina sul fuoco polemiche che coinvolgono interessi politici oltre che economici. Il chiasso che si è creato intorno al caso di Milano 2 non giova certo alla chiarezza (né favorisce il compito del pretore Francesco Dettori, incaricato dell'inchiesta). E forse proprio per questo il magistrato ha sospeso l'esecuzione dell'ordinanza che la scorsa settimana aveva redatto e con la quale intendeva mettere sotto sigillo le case sorte in luogo delle fabbriche grazie alla variante (oggetto delle indagini) al programma di fabbricazione”. Il 20 giugno 1975, il "Corriere della Sera" informa che “la Pretura penale ha deciso di trasmettere alla Procura della Repubblica tutti gli atti relativi al generale Paolo Moci, il direttore generale dell'Aviazione civile che è il responsabile delle rotte imposte agli aerei. Tale decisione è stata presa a conclusione di un processo, avvenuto alla Terza sezione penale davanti al Pretore Massimo Amodio, nel quale il generale Moci - era imputato del reato previsto dall'articolo 659 del Codice penale. “Predisponendo [nuove] rotte e orari di decollo e di atterraggio degli aerei - diceva la denuncia aveva organizzato l'esercizio di un mestiere rumoroso, in violazione dei regolamenti comunali dei comuni di Segrate, San Donato, San Giuliano e Pioltello”. La denuncia accennava anche a manovre speculative, intese ad aumentare il valore dei terreni sui quali è sorto il quartiere di “Milano 2” [ ... ]. E’ stata proprio la parte civile, nel corso della udienza, a adombrare il sospetto di irregolarità che andrebbero oltre le dirette responsabilità del direttore generale dell'Aviazione civile. La parte civile ha accennato anche a possibili abusi di ufficio e ha ipotizzato il reato di interessi privati in atti di ufficio, commesso a favore della società immobiliare che ha costruito “Milano 2””. Sul quotidiano “Il Giorno”, l'inviato Giorgio Bocca dedica alle vicende Segratesi un pungente articolo, pubblicato nell'edizione del 13 giugno 1975 sotto il titolo Milano Uno Due Tre: “Storie di astuzie, corruzioni, raggiri, guadagni giganteschi. Tutto risaputo, sperimentato: i comitati locali che nascono battaglieri, decisi a fare i conti in
IL PRIMO MIRACOLO ITALIANO tasca al padrone amministratore e dopo due anni sono già addomesticati. Il filantropo che costruisce un ospedale come il San Raffaele che, combinazione, servirà egregiamente alla campagna vendite... I comuni della periferia milanese hanno impiegato gli ultimi vent'anni a fare piani regolatori, allo scopo unico, si direbbe, di trattarli e di modificarli: le grandi immobiliari se li comprano e se li manipolano, fanno eleggere consiglieri i loro uomini e procedono sempre per vie indirette. Sono disposte a offrire una scuola per avere in cambio una modifica che vale cento scuole. Mandano avanti i genitori e i bambini del paese da corrompere, li fanno dimostrare in piazza con i cartelli... Le immobiliari ti fregano, regolarmente; ti fanno pagare ciò che ti avevano promesso in regalo, calcolano a loro comodo gli aumenti dei costi, costruiscono dove nel plastico c’erano erbe e acque... “Un nuovo modo di abitare” come si legge nei depliant, ma il vecchio modo di speculare sui terreni, sulle case, sulle ambizioni... E poi qui c'è don Luigi Maria Verzé arrivato [ ... ] a fondare l’ospedale San Raffaele, quello che allontana gli aerei e nel quale si curano non solo i malanni fisici ma anche le “anime praeternaturali” ... ”.
IL PRIMO MIRACOLO ITALIANO
Giustizia e misericordia Nel dispositivo della sentenza relativa al processo che ha visto imputato (e condannato) il direttore generale dell'Aviazione civile, generale Paolo Moci, per la modifica delle rotte aeree, il Pretore di Monza Nicola Magrone scrive tra l'altro: “Dal 1969 all'agosto 1973 la “tendenza” costantemente espressa dalle successive modifiche delle rotte di uscita da Linate è nel senso di un progressivo allontanamento delle stesse [dal Milano 2 (con l'Ospedale San Raffaele)... Il ruolo oggettivo [di] Milano 2 (col San Raffaele) nell'intera vicenda dei mutamenti delle rotte emerge con sorprendente vistosità... Non può ignorarsi la perplessità suscitata in autorevoli organismi pubblici dall'iniziativa [di insediamento] di Milano 2... Le successive variazioni apportate alle rotte di uscita da Linate, soprattutto per il dimostrato costante collegamento con le vicende edilizie attorno all’aeroporto, giustificano da sole [un rimprovero all'imputato) tanto più doveroso quando si pensi alle conseguenze disastrose di una scelta apparentemente imparziale tra "opposti diritti", sostanzialmente espressione vistosa di un inammissibile cedimento del pubblico amministratore a pressioni settoriali, non controllate, non vagliate, non assoggettate a doverosa verifica, nemmeno sotto il profilo della verità dei fatti (vedasi Ospedale San Raffaele)”. E ancora: “La comparsa [nella zona prima sorvolata] di nuovi “centri residenziali” - uno dei quali [Milano 2] sorprendentemente preceduto da un ospedale dai connotati molto ambigui - [non costituisce] motivo sufficiente ad invalidare la “scelta” originaria (da nessuno mai contestata) [delle rotte aeree] ed a far aprire la serie di "ripensamenti" sempre più univoci in danno della "fascia nord"... L'indagine ha avuto occasione di soffermarsi su "momenti" particolarmente allarmanti che hanno indotto questo Pretore a disporre lo stralcio dal presente procedimento di alcuni atti che consentono ipotesi di ben diversi reati [abuso d'ufficio, omissione atti d'ufficio, corruzione, a carico del rettore Giuseppe Schiavinato, del sindaco di Segrate Gianfranco Rosa, dell'assessore regionale all'Ecologia Filippo Bertani, e di don Luigi Verzè, N.d.A.] [i quali, nell'insieme, formano] il mosaico di una complessa e non rassicurante vicenda” 36 . In data 18 giugno 1975, il Pretore di Milano Massimo Amodio, nella sentenza relativa a un secondo procedimento a carico del generale Paolo Moci per la vicenda delle rotte aeree, scrive tra l'altro: “Per la questione della fissazione delle rotte (Notam), la competenza si ritiene essere della Procura della Repubblica in quanto è chiara la connessione fra tali fatti ed eventuali fenomeni di speculazione e di illeciti comportamenti da parte di pubblici amministratori (e di altri)... Vi furono gravi illeciti da parte dei responsabili della cosa pubblica?... Dalle risultanze processuali, 36
Sentenza del Pretore di Monza Nicola Magrone del 30 marzo 1974,
IL PRIMO MIRACOLO ITALIANO allo stesso succedersi dei fatti, sembra che i sospetti [ ... ] abbiano un certo fondamento... [È opportuna] un’approfondita analisi da parte del competente giudice in merito ad eventuali fatti di corruzione o di interesse privato in atti d’ufficio... Perché è certo che [la modifica delle rotte] portò rumorosità su paesi densamente abitati; ed inoltre perché si sospetta che mutamento delle rotte e conseguente inquinamento acustico furono conseguenza di illeciti di grandi proporzioni implicanti responsabilità di pubblici amministratori” 37 . Il 3 marzo 1977, la Seconda sezione penale del Tribunale di Milano riconosce l’imputato don Luigi Verzé colpevole di “istigazione alla corruzione” “per avere, quale Presidente dell'Ospedale San Raffaele, con atti idonei diretti in modo non equivoco, ad indurre il dottor Rivolta, assessore alla Sanità della Regione Lombardia, a compiere atti contrari ai doveri del proprio ufficio, promesso di corrispondergli il 5 per cento sull'ammontare del residuo contributo pari a L. 1.500.000.000 circa, quale corrispettivo della erogazione da parte dell'Ente Regione ad esso Verzé del predetto residuo contributo”. Nella sentenza è scritto di “sorprendenti circostanze attraverso le quali l'ente di don Verzé era riuscito a ottenere la qualifica di “Istituto scientifico””, del fatto che l’imputato era “strettamente legato agli ambienti della Democrazia cristiana, ma egli aveva dimostrato di esercitare [anche] una notevole influenza sulle pubbliche autorità”; dopo una minuziosa ricostruzione dell'intricato tentativo di corruzione dell'imputato nei confronti dell'assessore Rivolta, il Tribunale conclude: “II reato commesso da don Verzé non poteva essere considerato lieve, se valutato nel quadro delle circostanze in cui era sorta e si era sviluppata l'iniziativa di costruire l'Ospedale San Raffaele. Da questo punto di vista, don Verzé doveva essere ritenuto un imprenditore abile e spregiudicato, inserito in ambienti finanziari e politici privi di scrupoli sul piano etico e giuridico-penale” 38 . Ma nessuno degli strascichi giudiziari scaturiti dallo scandalo Milano 2-San Raffaele (dalle denunce a carico dei ministri Valsecchi e Scalfaro e del rettore Schiavinato, a 37
Nella sentenza, il Pretore di Milano cita la deposizione del teste Guido Provera (“Mi è stato detto che la Regione Lombardia riceveva molteplici telefonate da Roma perché venisse approvato il "Notam" dei settembre 1973”), e fa riferimento a un documento “in cui si espone un aumento dei prezzi di vendita praticati dalla EdiInord per l'insediamento di "Milano 2": tali prezzi da 140 mila lire al mq del '70-71, balzano fino a 290 mila lire al mq nel settembre 1973, quindi proprio nel momento in cui prendeva efficacia [il nuovo] "Notam"”. 38
Nel maggio 1989, "Panorama" pubblicherà il seguente ritratto dell'esimio don Verzé: “Sei comunicazioni giudiziarie a medici e responsabili [dell'Ospedale San Raffaele] per omicidio colposo (la morte di un paziente rimasto per 30 ore senza diagnosi e cure adeguate)... La sentenza del Tribunale di Milano che ha definitivamente annullato le rette di favore stipulate [dal San Raffaele] con la Regione, condannando l'assessore compiacente... Nel 1976, don Verzé viene condannato a tre mesi di arresto per i lavori di ampliamento dell'Ospedale avviati senza licenza edilizia... [e proprio] in materia di abusi edilizi che don Verzé ha avuto più frequentemente a che fare con la legge: da anni, per esempio, si trascina un contenzioso con gli abitanti di Milano 2 che si considerano "scippati” come spiega Silvio Fontanelli, consigliere indipendente al Comune di Segrate, di una strada che avrebbe dovuto costeggiare il quartiere e che non verrà mai realizzata perché su parte di quel terreno sono stati eretti nuovi edifici dell'ospedale. "Costruzioni abusive", specifica Fontanelli, "che anche dopo l'ultima ordinanza del pretore sono ancora li. Quando si hanno i santi in Paradiso tutto è possibile"”.
IL PRIMO MIRACOLO ITALIANO quelle riguardanti i sindaci Rosa e Turri e la stessa Edilnord) approderà a sentenze di condanna definitive. Tra archiviazioni, stralci, rinvii a giudizio, ricorsi, assoluzioni, prescrizione di reati, perfino lo spretato don Verzé si vedrà risparmiata (per intervenuta prescrizione) la condanna subita in primo grado per "tentata corruzione". Del resto, il regime Dc-Psi è già operante, la prassi delle tangenti è già regola, l'impunità per le corruttele polifico-affaristiche è già garantita; gli anni di “Mani pulite” sono ancora molto lontani. Solo un ventennio dopo, infatti, le inchieste giudiziarie di “Mani pulite” scoperchieranno “Segratopoli”, rivelando il vermicaio di corruttele, scandali edilizi, mazzette e appalti truccati, all'ombra del Comune di Segrate. Decine di amministratori e costruttori finiranno in carcere: tra essi, il corrotto sindaco craxiano Renato Turri (arrestato sulla scia di una decina di ordini di cattura); verrà arrestato per corruzione anche il costruttore Antonio D'Adamo (già dipendente e prestanome della Edilnord negli anni di Milano 2). Berlusconi, da parte sua, sarà assiso alla presidenza del Consiglio, capo di un governo che emanerà un “condono edilizio” e che tenterà di varare un decreto “salva-ladri” per sottrarre i corrotti al carcere. Benché operi nell'ombra, coperto da prestanome e coi capitali di anonime finanziarie svizzere, sulla figura del palazzinaro Silvio Berlusconi, in seguito alla scandalosa speculazione multimiliardaria di Milano 2, comincia ad appuntarsi l’attenzione della stampa. Tra i primi a occuparsi del misterioso affarista è Giorgio Bocca, che nel marzo 1976 scrive: “Milano è la città in cui un certo Berlusconi di 34 anni costruisce "Milano 2” cioè mette su un cantiere che costa 500 milioni al giorno. Chi glieli ha dati? Non si sa. Chi gli dà i permessi di costruzione e dirotta gli aerei dal suo quartiere? Questo lo si sa, anche se si ignora il resto. Come è possibile che un giovanotto di 34 anni come questo Berlusconi abbia un “jet” personale con cui raggiunge nei Caraibi la sua barca che sarebbe poi una nave oceanografica? Noi saremmo molto curiosi, molto interessati a sapere dal signor Berlusconi la storia della sua vita: ci racconti come si fa a passare dall'ago al milione o dal milione ai cento miliardi” 39 . “Berlusconi lavora sott'acqua, non appare mai”, scrive il quotidiano “Lotta Continua” il 25 marzo 1977. “Gli strascichi amministrativi e giudiziari [dello scandalo di Milano 2] si sono risolti senza danno per Berlusconi [...] Quel che sorprende è la capacità di Berlusconi di costruire una intera città senza praticamente possedere nulla di suo. avvalendosi di potenti protezioni (e di alcune grosse banche come il Monte dei Paschi di Siena e la Banca Nazionale del Lavoro) Berlusconi ha venduto le case, e incassato i soldi, prima ancora di costruirle [...]. Mentre la Edilnord mette in cantiere un nuovo villaggio residenziale, Milano 3, Berlusconi comincia a viaggiare, e avendo come 39
La Repubblica 11 marzo 1976. Il brano era posto a conclusione di un articolo nel quale Bocca si occupava del faccendiere Franco Ambrosio: delle sue misteriose quanto ingenti disponibilità finanziarie, e dei suoi traffici con le banche svizzere; secondo la testimonianza di un banchiere riportata da Bocca nell'articolo, “a Milano [sono molti] i personaggi simili a Ambrosio... Come possono [questi personaggi fare i miliardi [in una regione in crisi come è la Lombardia]? Li fanno esportando capitali, trafficando sulla droga, prestando il nome alle speculazioni dei politici ... ”.
IL PRIMO MIRACOLO ITALIANO intermediarie banche panamensi e lussemburghesi, combina affari in Medio Oriente e in Libia”. Nello stesso marzo 1977 Berlusconi rilascia a Camilla Cederna “la sua prima intervista”; Cederna descrive l'intervistato cosi: E’ cattolico e praticante, e ha votato Dc... E’ considerato uno dei maggiori speculatori edilizi del nostro tempo. Si lega prima con la corrente di Base della Dc (Marcora e Bassetti), poi col Centro, cosi che il segretario provinciale Roberto Mazzotta è il suo uomo. Altro suo punto di riferimento è il PSI, cioè Craxi, che vuol dire Tognoli, cioè il Sindaco [di Milano]. È allergico alle fotografie – “Anche per via dei rapimenti” spiega con un sorriso ironico solo a metà ( ... ) In settembre comincerà a trasmettere la sua “Telemilano” e pare che in questo suo progetto sia stato aiutato dall'amico [democristiano] Vittorino Colombo, ministro delle Poste e della Tv” 40 . *** Nei primi anni Novanta, a distanza di un ventennio dagli scandali Segratesi che hanno accompagnato il sorgere di Milano 2, la berlusconiana Edilnord (ormai intestata al fratello Paolo, mentre Silvio è il nuovo presidente del Consiglio della “nuova" Repubblica italiana) riguadagna le cronache giudiziarie, nell'ambito dell’ inchiesta "Mani pulite", per numerose altre vicende di speculazioni edilizie accompagnate da corruzioni e collusioni con esponenti politici - speculazioni e corruzioni risalenti agli anni Ottanta del regime detto "Caf' (Craxi-Andreotti-Fininvest). Una di esse in particolare ha avuto per scenario Pioltello, paese dell'hinterland milanese situato in prossimità di Milano 2 e a suo tempo coinvolto nella vicenda del “dirottamento” dei voli aerei-. “Michele Rossetti, già sindaco socialista di Pioltello, in carcere per corruzione [una tangente di 800 milioni pagata dalla Edilnord per ottenere l`edificabilitá di un terreno, N.d.A.], ha raccontato che nel febbraio 1988, dopo avere portato a Roma, nelle casse del PSI nazionale, 200 milioni ricevuti su ordine di Paolo Berlusconi, fece il viaggio di ritorno a bordo del Gulf Stream privato di Silvio Berlusconi, in compagnia dell'attuale presidente del Consiglio e di Fedele Gonfalonieri [...]. E, una volta atterrati, Silvio Berlusconi ordinò che il sindaco di Pioltello venisse accompagnato da un'auto della Fininvest in municipio, dove era atteso per presiedere il Consiglio comunale: l'auto era quella di Carlo Bernasconi, amministratore delegato della Silvio Berlusconi Communications, anche lui a bordo del Gulf Stream. Né con Berlusconi senior né con Confalonieri il sindaco Rossetti parlò di tangenti. I rapporti in tema di quattrini ha spiegato di averli sempre tenuti con Sergio Roncucci, infaticabile elemosiniere della Fininvest. Fu Roncucci a chiedere al Cavaliere di riportare a Milano l'amico Rossetti dopo la sua "missione" in via del Corso. Messo a confronto nei giorni scorsi con l'ex sindaco - che da circa un mese è detenuto in carcere - Roncucci ha confermato. Non si sa, invece, se il factotum della Fininvest 40
“L’Espresso”, 10 aprile 1977.
IL PRIMO MIRACOLO ITALIANO abbia confermato il resto del racconto dell'ex sindaco. Rossetti ha sostenuto che i soldi dell'Edilnord gli vennero versati su indicazione del senatore craxiano Antonio Natali, e che lo stesso Natali gli ordinò di passare la prima tranche al cassiere nazionale del partito, Vincenzo Balzamo, e la seconda tranche al segretario regionale Sergio Moroni” 41 Intanto, a Segrate è scoppiata “Segratopoli”, con raffiche di arresti: “Gli scandali edilizi e le mazzette transitate sugli appalti e le concessioni edificatorie all'ombra del palazzo comunale di Segrate continuano a rivelarsi un vero e proprio pozzo di San Patrizio. E’ un'inchiesta senza fondo [...]. Dopo la decapitazione del potente PSI del sindaco Renato Turri (fedelissimo di Bettino Craxi), che ha collezionato una decina di ordini di arresto scontando in carcere più di 180 giorni di detenzione preventiva, [altri assessori e funzionari del Comune di Segrate sono finiti in carcere] a conferma che il sistema delle mazzette era diffuso a 360 gradi all'interno del vecchio Consiglio comunale segratese [...]. E un terremoto giudiziario che negli ultimi dodici mesi [1993-94, Nd,A] ha portato in carcere ben 32 persone tra politici e imprenditori” 42 .
Vent’anni dopo lo scandalo di Milano 2, riguadagnerà le cronache giornalistiche anche il vecchio complice segratese di Berlusconi, don Luigi Verzé. Come registrano i quotidiani del giugno 1994, il maneggione don Verzé ha incaricato il faccendiere craxiano Sergio Cusani (condannato in primo grado a 8 anni per la vicenda della rnaxitangente Enimont) di interessarsi all'acquisto di un terreno in Palestina, sul monte degli Ulivi, per costruirvi una nuova "Clinica di Dio". La stampa sottolinea con rilievo il "promettente" sodalizio tra il prete-manager democristiano e l'affarista craxiano, e nell'occasione don Verzé trova modo di esprimere la sua pubblica stima per il corrotto (e contumace) Bettino Craxi: “Quando ha governato, ha fatto progredire l'Italia... lo lo stimo. Comunque il cristiano non deve dimenticare che la misericordia viene prima della giustizia”. La stampa informa anche che il sottosegretario Ombretta Fumagalli Cartilli, ex andreottiana e neo-berlusconiana, ha assicurato al misericordioso don Verzé “sollecitudine in sede di governo” a sostegno delle nuove “iniziative” della Fondazione religiosa San Romanello del Monte Tabor - tra le virtù dei neo-presidente del Consiglio Berlusconi, infatti, oltre alla specchiata cristianità e fede nel Signore, c'è senz'altro anche l'imperitura gratitudine verso i compari.
41
42
“Il Giorno”, 2 ottobre 1994.
La Repubblica", 25 maggio 1994. 11 19 maggio precedente, "La Stampa" ha scritto: “Paolo Berlusconi (fratello del presidente del Consiglio) ha ammesso di avere ordinato al manager della Edilnord [Roncucci di pagare i vertici del Comune di Pioltello per ottenere l'edificabilità dell'area "Bica", passata da verde agricolo a terziario. Gli 800 milioni vennero versati in due tranche. Duecento milioni a testa, nel marzo '88, andarono a Michele Rossetti, allora sindaco socialista del Comune, e a Antonio Soravia, capo ufficio tecnico dello stesso Comune. La stessa cifra venne versata ad entrambi anche alla fine dell'89”. In merito alle corruttele della Edilnord emerse con l'inchiesta "Mani pulite", cfr., cap. I maniscalchi del Cavaliere", pagg. 217.
SEGRETI ITALIANI IN TERRA ELVETICA Pecunia non olet
La mitomania berlusconiana del prodigioso imprenditore che costruisce un impero partendo dal nulla, intende forse per “nulla” i capitali miliardari forniti a Berlusconi, a partire dai primi anni Sessanta, dalle finanziarie elvetiche Finanzierungesellschaft für Residenzen Ag di Lugano, Aktiengesellschaft für Immobilienlagen in Residenzzentren Ag di Lugano, Cofigen Sa di Lugano, Eti Holding Ag di Chiasso. Un torrente di denaro anonimo domiciliato in Svizzera, convogliato in società italo-svizzere operanti in Italia e intestate a prestanome: come la Edilnord Centri Residenziali S.a.s. (intestata prima alla cugina di Berlusconi, Lidia Borsani, quindi a sua zia Maria Bossi vedova Borsani), e la Italcantieri S.r.l. (costituita a nome del “praticante notaio” Renato Pironi e “casalinga” Elda Brovelli). Perché le citate finanziarie svizzere, a partire dal 1963, affidano anonimi miliardi dell’epoca a un anonimo giovanotto milanese di nome Silvio Berlusconi? E perché tali capitali vengono convogliati in società italo-svizzere operanti in Italia e intestate a prestanome? E di quale tipo di capitali si tratta? Per cercare possibili risposte, occorre prima scoprire l’esatta identità e la reale natura della Finanzierungesellschaft für Residenzen Ag, della Aktiengesellschaft für Immobilienlagen in Residerizzentren Ag, della Cofigen Sa, e della Eti Holding - un obiettivo arduo, poiché la loro funzione è precisamente e prioritariamente quella di “schermare” e celare gli interessi che le sottendono e i capitali che le sostanziano: non a caso, la loro domiciliazione è in terra elvetica. *** Da molti ritenuta un Paese solido e ordinato, forte della sua storica neutralità bellica e di un’operosità improntata alla più rigida etica calvinista, la Confederazione elvetica deve le sue fortune al ruolo di storico “paradiso della finanza” e “cassaforte” di capitali provenienti da tutto il mondo - capitali in gran parte “sporchi”. Affidata alla retorica turistica la rinomata produzione di orologi e cioccolata, la floridissima economia svizzera è originata da un sistema bancario mastodontico, la cui articolazione è ormai tale da soverchiare le stesse strutture politico-amministrative del minuscolo Paese alpino (nel 1991, le tre maggiori banche elvetiche potevano vantare da sole un giro d’affari complessivo di circa 17 volte superiore al bilancio dell’intera Confederazione). Dunque, la rilevanza strategica della Svizzera negli scenari finanziari internazionali è di assoluta preminenza, al punto che “delle 1.000 holding americane che controllano le ditte statunitensi e le loro succursali in tutto il mondo, 600 hanno sede in Svizzera” 1
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Cfr. J. Ziegler, Una Svizzera al di sopra di ogni sospetto, Mondadori, Milano 1976, pag. 44. Ziegler è docente di Sociologia all'Università di Ginevra, deputato, membro della Commissione esteri del Parlamento della Confederazione.
SEGRETI ITALIANI IN TERRA ELVETICA L’afflusso nel circuito bancario elvetico delle colossali masse finanziarie “estere” è sempre stato favorito e tutelato da un ferreo segreto bancario (la cui violazione comporta salatissime ammende e perfino pene detentive in base all’art. 47 della legge federale sul risparmio). “Da secoli ricettatrice di tutto il denaro sospetto del Pianeta” 2 la Svizzera è da sempre un autentico “paradiso” finanziario: nessuna legge ha mai limitato l’ingresso, l’uscita, il cambio, A reinvestimento dei capitali, i quali infatti hanno sempre potuto entrare e uscire dai forzieri delle banche, passare e ripassare i confini della Confederazione in assoluta libertà, nella massima segretezza, e nei modi più disparati (attraverso i canali bancari ufficiali, ma anche attraverso gli “spalloni” e i trafficanti di valuta). Ne consegue - come conferma il sociologo Jean Ziegler - che la Svizzera è storicamente il principale crocevia mondiale dei capitali sporchi, una tappa obbligata per i grandi boss del traffico internazionale di armi e di stupefacenti 3 e per i proventi delle corruttele e delle ruberie politico-affaristiche. All’insegna del motto “pecunia non olet”, il potentissimo sistema bancario elvetico è notoriamente assai solerte con i propri “clienti”, e tutela i loro capitali perfino dalle insidie della Giustizia nazionale e internazionale. Racconta Ziegler, a titolo di esempio: “Una richiesta italiana di sequestro di conti (presso la Banca Centrale) era giunta a Zurigo. La giustizia italiana aveva infatti identificato un conto di 10 milioni di dollari appartenente a una “famiglia” della mafia siciliana che copriva il bottino di operazioni criminose. Che cosa fa la direzione della banca? Convoca d’urgenza l’uomo di paglia del clan mafioso a Zurigo, gli comunica il pericolo che minaccia il conto e gli consiglia di ritirare immediatamente il denaro. Gli indica anche il nome di una società fiduciaria con sede a Zurigo. L’uomo di paglia chiude il conto, trasferisce il denaro alla fiduciaria che riapre un conto a proprio nome presso la Centrale”. Come l’indispensabile humus di un bosco rigoglioso, attigua al sistema bancario è radicata in Svizzera una capillare struttura di supporto, formata da società di intermediazione finanziaria, fiduciarie, studi legali, società parabancarie, ecc. Chiunque intenda avvalersi di un conto presso una banca svizzera senza rivelare la propria identità, può farlo tramite un avvocato, il quale provvede in sua vece vincolato dal segreto professionale a tutelare l’identità del cliente; i più diffidenti possono interporre un ulteriore schermo tra l’avvocato e la banca, ricorrendo a una società fiduciaria che a sua volta ricorre allo studio legale. Del resto, come rileva Ziegler, i confini tra “legalità” e “illegalità” sono di fatto inesistenti: “Ginevra, Lugano e Zurigo ospitano molte società finanziarie grazie alle quali transitano regolarmente (per venire poi reinvestite in Italia in modo legale) le enormi somme estorte illegalmente dalla mafia”4 . 2
J. Ziegler, La Svizzera lava più bianco, Mondadori, Milano 1992, pag. 26,
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“La maggior parte di questi [boss mafiosi e trafficanti d'armi] vive da molti anni, sotto il vero nome (più raramente con nome falso), in sontuose ville sulle rive del Lago di Zurigo o di Ginevra. Ottimi clienti delle banche multinazionali elvetiche, godono della stima generale e, spesso, di efficaci protezioni”; J. Zíegler, La Svizzera lava più bianco, cit., pag. 46.
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Ibidem, pag. 26. Nel Rapporto ZSD/ 191-030- 1/KI, dei 27 aprile 1992, firmato dal capo dell'Ufficio federale antidroga della Confederazione Jacques Kaeslin, si legge: “[L'impiego di agenti infiltrati] ha permesso di svelare i
SEGRETI ITALIANI IN TERRA ELVETICA
In Italia, la criminalità organizzata e i suoi sporchi traffici lungo l’asse Palermo-Milano, e la diffusa criminalità finanziaria di tipo politico-affaristico, hanno sempre trovato nei forzieri bancari della vicina Svizzera un approdo ideale per rapidità, segretezza e sicurezza. Mentre i capitali sporchi di Cosa Nostra rappresentano ormai uno dei cardini del sistema bancario elvetico, non vi è scandalo politico-affaristico italiano, fin dagli anni Sessanta, che non abbia rivelato propaggini nelle banche svizzere (dal crac del bancarottiere Michele Sindona, alle trame finanziarie della Loggia P2, ai maneggi del banchiere piduista Roberto Calvi, alle ruberie dei grandi ladri di Stato, fino alla macrocorruttela oggetto delle inchieste di “Mani pulite”). L’obiettivo prevalente dell’approdo svizzero è quello del riciclaggio delle masse di denaro sporco provento di illeciti, la loro discreta tutela, il loro reinvestimento in normali attività economico-finanziarie, e spesso il loro ritorno “legale” in Italia. Secondo Carla Del Ponte, valente procuratore generale della Confederazione (una delle massime cariche giudiziarie svizzere), ormai le tecniche di riciclaggio impiegate da Cosa Nostra “sono quelle della cosiddetta seconda e terza fase. Quando, risolto il problema di trasferire i soldi da un conto all’altro, ci si preoccupa di immettere questi fondi in un settore economico per farli fruttare. Sono state messe a punto operazioni molto sofisticate, vere e proprie acrobazie contabili. Per esempio, le operazioni swap o quelle back to back, cioè fondi già ripuliti su banche straniere. Noi facciamo il trasferimento tramite bonifico, ma l’operazione figura come un prestito, un mutuo della banca svizzera. Cosi questi fondi entrano in un meccanismo legale. E poi c’è la Borsa. in questo caso non c’è nemmeno circolazione di contante. Alla chiusura delle operazioni, il denaro è riciclato fino a tre, quattro volte. Diventa impossibile ricostruire i passaggi precedenti. Non c’è più traccia dei fondi, spariscono letteralmente, nessuno li può bloccare e confiscare e si tratta di masse monetarie enormi che finiscono nel mercato legale. Comunque la questione è stabilire quando il denaro è sporco o pulito. Ed è un problema: perché da noi l’evasione fiscale e il contrabbando non sono reato, e la Svizzera è l’unico Paese in Europa, se non al mondo, che punisce la violazione del segreto bancario. Manca un’omogeneità legislativa a livello europeo. E i canali dei fondi sporchi e dei fondi puliti, spesso, sono gli stessi” 5 . “Nel riciclaggio del denaro sporco, i “tangentisti” italiani hanno superato tutti per abilità, perfino il narcotraffico e la mafia”, dichiarerà Jean Ziegler nel 1994, commentando la difficoltà dei magistrati milanesi di “Mani pulite” alle prese con i meandri dei “conti cifrati accesi dai ladroni italiani nelle banche elvetiche per legami esistenti in Svizzera tra gli studi legali di Ginevra e del Canton Ticino e le organizzazioni criminali”. In sostanza, le autorità investigative svizzere confermano quanto rilevato in sede "sociologica" da Ziegler: “Si trovano a Ginevra un certo numero di "società finanziarie" che tutti conoscono. Tanto le reti controllate direttamente dalle banche o dalle società finanziarie, quanto quelle dirette da "portatori" indipendenti, si servono per l'esecuzione dei compiti relativi di contrabbandieri, malviventi di professione” (J. Ziegler, Una Svizzera al di sopra di ogni sospetto, cit., pag. 72). 5
"Panorama", 4 giugno 1994.
SEGRETI ITALIANI IN TERRA ELVETICA occultarvi i proventi delle corruttele. “Nessuno è riuscito a sfruttare meglio il segreto bancario e la connivenza dei banchieri svizzeri con le attività criminali... Chi ha inventato il reticolo di società, conti e prestanome ha lavorato molto bene, il livello è assai più sofisticato di quello riscontrato nelle inchieste di mafia. Il trucco sta nel cambiare più volte possibile identità fisica del denaro. L’INTERPOL stessa ammette che dopo tre cambiamenti è praticamente impossibile scoprire dove sia finito il denaro. In una situazione di completa disponibilità del sistema finanziario internazionale a fare questo “lavoro sporco” non c’è abilità o velocità di un magistrato che tenga. Il denaro è sempre più svelto... Ma il vero bubbone sta nella struttura stessa dello Stato svizzero. La maggioranza dei deputati di Berna siede nei consigli di amministrazione delle banche e delle finanziarie, tutte le leggi sono sempre a favore del sistema creditizio. E nella mentalità della gente, qui da noi, bisogna difenderle, sennò i clienti scappano e la montagna di denaro sporco sulla quale vive la Svizzera potrebbe sparire sotto i piedi”. Secondo alcune stime recenti, “evasori fiscali, trafficanti di droga, politici corrotti, faccendieri, trafficanti di armi, e manager infedeli delle aziende, potrebbero aver depositato nelle banche svizzere oltre 500 miliardi di dollari (pari a 750 mila miliardi di lire). Ma il magistrato di Milano Pierluigi Dell’Osso, che dall’83 ha tenacemente indagato sul conto “Protezione” presso la Ubs di Lugano (terminale di tangenti destinate agli allora leader del PSI Bettino Craxi e Claudio Martelli), ha individuato dietro le banche elvetiche anche quegli intrecci tra finanza perversa, criminalità organizzata, corruzione politica e poteri occulti, che ha definito veri “mostri orribili”” 6 . Dichiara un banchiere ginevrino: “Gli gnomi svizzeri del riciclaggio offrono un pacchetto che include i servizi di vari professionisti dell’illegalità. Si parte dai collettori di capitali e da spalloni che li esportano illegalmente. Si passa dagli avvocati e dagli intermediari sparsi in una miriade di finanziarie, che operano ai limiti della legalità per rinforzare il segreto sui depositi. Ma entrano in ballo anche compiacenti certificatori di bilanci, esperti della falsa fatturazione, le solite società off-shore domiciliate fittiziamente nei paradisi fiscali, sempre per creare fondi neri ed evadere le tasse”. Il “paradiso svizzero” è dunque il sintomatico scenario dal quale, nei primi anni Sessanta, prende le mosse l’avventura imprenditoriale berlusconiana: mediante un occulto canale finanziario che, approdato a Milano, viene ulteriormente “coperto” da prestanome.
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"Corriere della Sera", 31 gennaio 1994
SEGRETI ITALIANI IN TERRA ELVETICA Capitali al signor Uno per cento Nel 1963 nasce a Milano la Edilnord S.a.s. di Silvio Berlusconi & C.; nella società, che ha per obiettivo la realizzazione di un centro residenziale a Brugherio, il ventisettenne “Signor Nessuno Berlusconi é il “socio d’opera”, cioè si limita ad apportare il proprio impegno (e per le sue prestazioni, come è scritto nell’atto costitutivo, verrà compensato con l’1 per cento degli utili), il socio che apporta i capitali è la finanziaria svizzera Finanzierungesellscbaft für Residenzen Ag, domiciliata a Lugano. Il 29 settembre 1968, in vista del progetto “Milano 2”, nasce a Milano una nuova “Edilnord” italo-svizzera: la Edilnord Centri Residenziali S.a.s. di Lidia Borsani & C. 7 ; la “socia d’opera” è la Borsani, mentre il socio finanziatore che apporta i capitali è la Aktiengeseilschaft flir Immobilienlagen in Residenzzentren Ag, società svizzera costituita a Lugano solo dieci giorni prima, il 19 settembre 1968 8 . Sia la FinanzierungeselIscbaft ftir Residenzen, sia la AktíengeselIschaft fúr Immobilienlagen in Residenzzentren, sono legalmente rappresentate dall’avvocato ticinese Renzo Rezzonico, un avvocato d’affari votato al più ferreo segreto professionale. Le due finanziarie elvetiche risultano controllate dalla Discount Bank Overseas Limited, società con sede a Tel Aviv (Israele) e filiali anche a Lugano, Ginevra e Milano 9 . È dietro lo “schermo fiduciario” della controllante Discount Bank Overseas che si celano i veri promotori-finanziatori della Finanzierungesellschaft e della Aktiengesellschaft. La società Edilnord S.a.s. di Silvio Berlusconi & C., ultimata la realizzazione del deludente Centro residenziale di Brugherio 10 , verrà posta in liquidazione, con effetto 1° gennaio 1972, unitamente alla finanziatrice svizzera Finanzierungesellschaft für Residenzen Ag. Anni dopo, un costruttore milanese legato alla prima Edilnord S.a.s., Giovanni Botta, dichiarerà: “Non chiedetemi se Berlusconi ha guadagnato con il centro di Brugherio. Non fatemi queste domande, 7
Nel sospetto ruolo di accornandatari-prestanorne della società, a Lidia Borsani succederanno la zia di Berlusconi Maria Bossi vedova Borsani, e il dipendente della società Antonio D'Adarno. Molti anni dopo, nel 1993, ormai costruttore in proprio, D'Adamo, forgiatosi alla scuola edilizia berlusconiana, verrà arrestato perché accusato di corruzione, nell'ambito dell'inchiesta "Mani pulite". 8
Nell'atto costitutivo, la finanziaria risulta gravata da "vincolo estero", può cioè operare soltanto fuori dai confini della Confederazione elvetica.
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“I soci della Discount Bank sono numerosi, e sparsi in tutto il mondo. Si tratta degli americani Morton P. Hjman e Raphael Recanati, dei francesi Jean Frangois Charrey e Hemi Klein, dei greci Maurice Nissim e Elía Molho, dei milanesi Henry Cohen, Aaron Benatoff e Franco Saminí, degli israeliani Oudi Recanati e Joseph Assaraf, dello svizzero Jean Píerre Cottier” ("Avvenimenti", 9 febbraio 1994); Cottier (responsabile delle filiali svizzere della Discount Bank) siede anche nel consiglio di amministrazione della Privat Kredit Bank.
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“L'edificazione del centro residenziale di Brugherio da parte della Edílnord non si rivelerà l'affare sperato: sarà infatti solo grazie ai massicci acquisti di appartamenti da parte del Fondo previdenza dei dirigenti commerciali che l'iniziativa non si trasformerà in un fiasco [ ... ]. Il bilancio finale di liquidazione [della Edílnord sas] è risibile: gli utili degli ultimi anni ammontano complessivamente a poco più di 4 milioni di lire, che uniti al capitale sociale e al fondo accantonamento imposte portano a 13,2 milioni, depositati presso la Banca Rasini”; G. Ruggeri, M. Guarino, op. cit., pagg. 40 e 48.
SEGRETI ITALIANI IN TERRA ELVETICA non posso rispondere... Chi ci finanziava? C’erano un pò di finanziamenti della Banca Rasini, e per il resto non so. Di soldi è meglio non parlare: non sta bene curiosare su chi c’è dietro le società ... ” 11 . La Edilnord Centri Residenziali S.a.s. di Lidia Borsani & C. (costituita per affrontare la realizzazione della "cittadella satellite" Milano 2), il 6 dicembre 1977, dopo il succedersi dei vari prestanome, avrà come socio accomandatario il commercialista romano Umberto Previti (padre dell’avvocato Fininvest Cesare Previti); benché la costruzione di Milano 2 sia ancora in corso, Previti procederà alla messa in liquidazione della società italo-svizzera a partire dal 1° gennaio 1978, dopo avere ceduto il costruito e il costruendo della “città satellite” alla società Milano 2 SPA (cioè alla ex Immobiliare San Martino SPA amministrata da Marcello Dell’Utri, trasformata appunto in Milano 2 S.p.A. nel settembre 1977). Cessa l’attività, e viene posta in liquidazione, anche la società svizzera che ha finanziato 12 il progetto Milano 2, la Aktiengesellschaft für Immobilienlagen in Resideuzzentren. Il senso di tutta l’operazione è evidente: i beni mobili e immobili acquisiti attraverso l’attività della Edilnord Centri Residenziali sas grazie ai capitali “svizzeri”, vengono convogliati a Roma nel nascente gruppo Fininvest e divengono di proprietà degli anonimi soci che, coperti dalle due fiduciarie romane Servizio Italia e Saf-Società azionaria fiduciaria13 stanno infatti dando origine al gruppo Fininvest - si compie cosi la direttrice Lugano (capitali)-Milano (beni)-Rorna (proprietà). In tutta questa operazione, non si comprenderebbe il tornaconto dei soci finanziatori “svizzeri” se essi fossero realmente svizzeri. *** Il 2 febbraio 1973 nasce a Milano la società svizzera Italcantieri srl; i soci sono due finanziarie di diritto elvetico - la Cofigen Sa di Lugano, e la ETI Holding Ag di Chiasso - legalmente rappresentate da due prestanome: il praticante notaio Renato Pironi 14 , e la “casalinga” Elda Brovelli. “Braccio, esecutivo dei progetti edilizi berlusconiani, e canale collettore dei misteriosi finanziamenti provenienti dalla Svizzera” 15 la Italcantieri, società a capitale interamente svizzero, annovera nel suo consiglio di amministrazione Luigi Foscale, zio di Berlusconi 16 . 11
G. Ruggeri, M. Guarino, op. cit., pag. 39. La Aktiengeselischaft ha infatti apportato il capitale sociale iniziale (50 mila franchi svizzeri), e interamente sottoscritto i successivi aumenti di capitale: 600 milioni di lire nel 1974, e due miliardi nel 1975. 12
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Le due fiduciarie appartengono al parabancario della Banca Nazionale del Lavoro, all'epoca controllata dalla Loggia P2. Tra gli altri, dello schermo della fiduciaria Servizio Italia si avvalgono il bancarottiere mafioso e piduista Michele Sindona, il faccendiere Flavio Carboni, il bancarottiere piduista Roberto Calvi, e il Venerabile maestro Licio Gelli; Berlusconi risulta essersi affiliato alla Loggia massonica segreta P2 in quello stesso gennaio 1978. 14 Pironi, oggi titolare di un avviato studio notarile, sostiene di avere prestato il proprio nome nella Italcantieri “per semplice compiacenza verso il notaio che me lo aveva chiesto”, e di non avere avuto alcuna parte reale o ruolo attivo nella società. 15
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G. Ruggeri, M. Guarino, op. cit., pag. 49.
Nel luglio 1975, la Italcantieri srl muterà la propria ragione sociale in "società per azioni", eleverà il capitale sociale a mezzo miliardo di lire, e a Foscale subentrerà Silvio Berlusconi in persona, il quale assumerà la presidenza del consiglio
SEGRETI ITALIANI IN TERRA ELVETICA Costituita a Lugano il 21 dicembre 1972 (poche settimane prima della Italcantieri srl), la Cofigen Sa risulta controllata dalla Banca della Svizzera Italiana (al 50 per cento) e dalla svizzera Privata Kredit Bank (al 48 per cento). La Banca della Svizzera Italiana è controllata da Tito Tettamanti, finanziere vicino alla massoneria internazionale, fervente "anticomunista", al centro di mille legami affaristici e trame finanziarie 17 tra l’altro in rapporti con uno dei legali di Licio Gelli, l’avvocato Giangiorgio Spiess. La Privat Kredit Bank risulta controllata all’83 per cento dalla Cofi-Compagnie de l’Occident pour la Finance et l’Industrie; il controllo della Cofi è suddiviso tra la Banca della Svizzera Italiana di Tettamanti, la Société de Banque Suisse, e la milanese Cassa Lombarda. “Ma proprio dalla Cofi discende un’altra sorpresa della nebulosa Berlusconi. Fino al 1977, infatti, la Cofi si è chiamala Milano Internazionale Sa, con sede in Lussemburgo. Il 99,9 per cento di questa società era controllata da una sigla italiana, la Compagnia di Assicurazioni di Milano con sede nel capoluogo lombardo, in via dell’Auro 7. A colpire l’attenzione è il nome del rappresentante legale di quest’ultima società: il senatore Giuseppe Pella, scomparso da molti anni. Pella era stato leader della destra democristiana e aveva ricoperto nei governi centristi cariche di rilievo: tra le altre il ministero delle Finanze, quello degli Esteri, e per un breve periodo, fino alle sue dimissioni nel gennaio 1954, addirittura la presidenza del Consiglio” 18 . La Eti Holding Ag era stata costituita a Mendrisio nell’aprile 1969 (verrà liquidata nel 1978), con un capitale di 50 mila franchi svizzeri suddiviso in 50 azioni da mille franchi. Soci fondatori tre svizzeri: il ragionier Arno Ballinari e l’avvocato Ercole Doninelli con un’azione ciascuno 19 , e le restanti 48 azioni intestate a Stefania di amministrazione. (In seguito, il capitale sociale della Italcantieri spa verrà portato a 2 miliardi di lire, e verrà emesso un prestito obbligazionario per ulteriori 2 miliardi.) 17
“Uomo potentissimo, a capo di una delle più importanti lobbies internazionali facenti capo alla Svizzera, il gruppo Saurer, Tettamanti è al centro di una vasta rete di rapporti d'affari e d'amicizia nel mondo della finanza europea. Socio di Vittorio Ghidella (ex numero due della Fiat, indagato a Bari per truffa ai danni della Cassa del Mezzogiorno), grande amico dell'ex vicepresidente del Banco Ambrosiano Orazio Bagnasco e del faccendiere, luganese Marco Gambazzi (coinvolto nelle inchieste sul crac Ambrosiano, e più recentemente gestore del "Conto Cassonetto" del giudice Diego Curtò), legato all'Opus Dei (e al suo boss zurighese Peter Duft, processato a Milano per concorso in ricatto ai danni di Roberto Calvi), alla Banca Karfinco (il cui presidente, Hubert BascImagel, è stato per anni l'analista economico del gruppo di Tettamanti), a Florio Fiorini, al deus ex machina degli affari in Medio Oriente Nadhmi S. Auchi (coinvolto nel giro delle tangenti del gruppo Eni ma anche punto di riferimento al Lussemburgo per l'area di Mauro Gíallombardo e Jean Faber). Un socio di Tettamanti, John Rossi, fu incaricato da Larini e da Fiorini di opporsi alla rogatoria italiana sul "Conto Protezione". Alla fiduciaria di Tettamanti, la Fidinam, e alla banca a lui collegata, la Bsi (Banca della Svizzera Italiana), si rivolse il manager Pino Berfini per smistare la "madre di tutte le tangenti del caso Enimont. Fidinam e Bsi, inoltre, sono entrate a più riprese nella misteriosa nascita della Merchant Bank di Cragnotti & Partners, anch'essa coinvolta nell'affare Enimont. Ma le due sigle compaiono anche in altre inchieste giudiziarie: il traffico di rifiuti, il caso KolIbrunner, e indirettamente il caso Techint” ("Avvenimenti", 9 febbraio 1994). 18
"Avvenimenti", 9 febbraio 1994. La Milano Internazionale Sa (poi Cofi) era nata in Lussemburgo nel 197 l; tra i soci fondatori Italiani: la Maa Assicurazioni, il Credito Lombardo, e la milanese Agefin; tra i soci stranieri: la Banca della Svizzera Italiana, la AdIer Bank, la Suisse-Italian Bank Inc. di Nassau (Bahamas). 19
Cioè la quota minima per poter risultare azionisti della società; la presenza di Ballinari è chiaramente di tipo "professionale".
SEGRETI ITALIANI IN TERRA ELVETICA Doninelli (moglie di Ercole) in nome e per conto della Aurelius Financing Company Sa di Chiasso. “Parte da qui il gioco delle scatole cinesi: la Aurelius, fondata l’11 aprile del 1962, ha un capitale sociale di 50 azioni, come la Eti. E, come nella Eti, Doninelli e Ballinari detengono una azione a testa. Il pacchetto di maggioranza, 48 azioni su 50, è in mano allo svizzero Angelo Maternini e all’italiano Dino Marini, che agiscono per conto della Interchange Bank. E il gioco delle scatole prosegue ... ” 20 . La Interchange Bank era stata fondata nel luglio 1956, con un capitale sociale di 400 mila franchi svizzeri. Tra i soci fondatori (svizzeri, italiani e venezuelani), tre nomi interessanti: il costruttore milanese Botta, lo svizzero Alfredo Noseda (coinvolto in uno dei primi scandali finanziari elvetici per esportazione di capitali e frode fiscale), e “L’italiano di Caracas” Angelo Maternini; nel 1957, nella compagine azionaria della Interchange Bank era entrato un secondo “finanziere di Caracas” Remo Cademartori, che ne aveva assunto la presidenza dopo aver sottoscritto l’aumento di capitale sociale a un milione di franchi svizzeri; successivamente, erano entrati il cittadino svizzero residente a Corno Umberto Naccaroni (1959), il duo Ercole Doninelli-Arno Ballinari (1961), e infine, nel 1965, due nuovi “venezuelani” residenti a Caracas: W. Gerry William Rotenburg Schwartz e Abramo Merulan, “Quando conferisce i capitali che, di passaggio in passaggio, arriveranno alla Italcantieri di Berlusconi, nel 1973, la Interchange Bank è già in liquidazione. La procedura, avviata nell’ottobre del 1967, si prolungherà fino al 15 dicembre 1989, data della definitiva liquidazione della società. A gestire la liquidazione saranno Pierfrancesco e Pierluigi Campana, Guido Caroni, Enzo Tognola; personaggi, l’ultimo in particolare, che appartengono all’area politico-finanziaria di Gianfranco Cotti, potente ex parlamentare della Democrazia Cristiana svizzera e dirigente della Fimo, la chiacchierata finanziaria di Ercole Doninelli, un altro dei finanziatori nascosti di Berlusconi” 21 Come la Cofigen Sa ha il suo “uomo forte” nel finanziere Tito Tettamanti, cosi la ETI Holding Ag è nel nome e nel segno del finanziere, Ercole Doninelli 22 e della sua Fimo 23 finanziaria svizzera fondata nel 1956 (con la quale ha a che fare lo stesso Tettamanti). “La Fimo è clamorosamente finita sotto inchiesta in Italia nel 1989, quando il ragioniere milanese Giuseppe Lottusi venne colto sul fatto a riciclare, per conto della società svizzera, i soldi della mafia colombiana 24 . I magistrati italiani sospettano che 20
"Avvemmenti”, 9 febbraio 1994. La brillante inchiesta pubblicata dal battagliero settimanale è firmata da Michele Gambino Christopher Helti. 21
Ibidem. Facoltoso e spregiudicato avvocato d'affari svizzero, politicamente legato a organizzazioni anticomuniste di estrema destra, Doninelli è deceduto nel 1988. 22
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“Volete far passare i vostri personali “fondi neri" attraverso la frontiera ítalo-Svizzera? Telefonate allo 0041-91-430101 e non resterete delusi. Da quasi quarant'anni, infatti, la Fimo si occupa di far arrivare denaro (o altro) da un mittente che nessuno deve conoscere, a un destinatario che vuole restare segreto” ("Avvenimenti", 9 febbraio 1994). 24
In un rapporto del novembre 1992 inviato ai vertici della Confederazione elvetica dalla Polizia cantonale ticinese, si
SEGRETI ITALIANI IN TERRA ELVETICA tramite i canali del narcotraffico giungessero in Svizzera anche una parte dei ricavi delle tangenti pagate ai politici italiani. La Fimo è sotto inchiesta anche in Francia, per riciclaggio di denaro sporco, e in Belgio, per la bancarotta fraudolenta della Pibi Finance di Jean Verdoot, morto misteriosamente a Ginevra all’inizio del ‘93 dopo un incontro con i vertici della Fimo (che da parte loro negano l’incontro). Inoltre la Fimo è sotto inchiesta per bancarotta fraudolenta in diverse procure del Friuli e del Veneto per il crac delle società legate alla Sirix Intervitrum e al gruppo Cofibel francese e Pibi Finance belga. Per lo stesso motivo è stata aperta un’inchiesta anche in Olanda, dato che alcune società del gruppo si trovano in quella sede. La Fimo è accusata di aver partecipato al riciclaggio delle tangenti Enimont, delle tangenti ENI, delle tangenti IRI, è coinvolta collateralmente nelle inchieste sulla Sanità, nel caso KolIbrunner, nel caso Fidia, nelle tangenti della Carlo Gavazzi [ ... ]. Uno dei fiduciari dell’area Fimo, Giancarlo Tramezzani, è morto in circostanze misteriose il 17 settembre 1993, a poche ore dall’arrivo in Ticino [del magistrato] Antonio Di Pietro, che indagava sui risvolti elvetici dell’affare Enimont” 25 . La Fimo ha sede al n° 89 di via San Gottardo, a Chiasso, presso lo studio legale Doninelli 26 . Una società collegata alla Fimo, la Fidinam, ha gli uffici al n° 2 di boulevard Royal al Lussemburgo: nello stesso edificio ha sede una importante società del gruppo FININVEST, la Silvio Berlusconi Finanziaria 27 . L’ambigua finanziaria elvetica Fimo estende i suoi tentacoli affaristici anche in Italia: non solo mediante società collegate 28 , ma anche attraverso una stranissima legge: “[ ... ] li 15 ottobre 1991 viene arrestato a Milano il quarantanovenne Giuseppe Lottusi” il quale, con un solo viaggio settimanale in Svizzera e mediante contatti telefonici dall'ufficio della sua società Interpart Finanziaria, nella milanese Piazza Santa Maria Beltrade, ha riciclato 57 milioni di narcodollari e 15 miliardi di lire per conto del clan mafioso dei Madonia; prosegue il rapporto: “II denaro, nascosto nei carichi di frutta, risaliva la penisola italiana e giungeva al mercato ortofrutticolo di Milano; in seguito veniva consegnato a tale signor Rossi che è poi risultato essere il Lottusi. Questi faceva capo, per le operazioni di riciclaggio, alla piazza finanziaria svizzero-italiana e, in particolare, alla Fimo di Chiasso”. Per le sue attività di riciclaggio dei proventi dei narcotraffico, nel marzo 1993 Lottusi verrà condannato dal Tribunale di Palermo a vent'anni di carcere. 25
"Avvenimenti", 9 febbraio 1994. “La versione ufficiale venne rivista almeno quattro volte. Per uccidersi come pretende il referto ufficiale, Tramezzani avrebbe dovuto possedere la freddezza e la lucidità necessari per spararsi ripetuti colpi di fucile-mitragliatore alla testa senza mai sbagliare la mira... Per gli inquirenti svizzeri, dato che è stata trovata una lettera, il caso è chiaro: suicidio” (Ndem). 26
Fino a qualche anno fa, aveva sede in via San Gottardo 12, stesso recapito dello studio dell'avvocato Elio Fiscalini. 1 due professionisti, soci nella Firno cosi come in numerose altre società, erano anche parenti per via di Laura Fiscalini, moglie di un Doninelli. 1 rispettivi eredi nascono figli d'arte: associati agli studi paterni, formano la più influente dinastia di avvocati d'affari della Confederazione. 27
“La Silvio Berlusconi Finanziaria Sa Société Anonyme era stata fondata il 23 dicembre 1987 nello studio del notaio Mare Eíter con la ragione sociale di Finanziaria d'Investimento International Sa. li capitale sociale iniziale non superava i 40 mila dollari ed era stato sottoscritto per un dollaro da Giovanni Vittore e per fi resto dalla Fininvest spa. Fin dall'origine, alla presidenza della società di diritto lussemburghese viene nominato Giancarlo Foscale, cugino di Silvio Berlusconi, Livio Gironi è l'amministratore delegato. Nell'89 la società cambia nome e acquisisce la ragione sociale attuale. Il capitale sale gradualmente a cento miliardi di lire. Nell'ultirna assemblea registrata al Tribunale di Lussemburgo - quella del 30 dicembre '92 - si approva un bilancio del '91 singolarmente ricco (67 miliardi di utile) e appaiono le firme di Foscale e di due manager finanziari: Ubaldo Livolsi e Alfredo Zuccotti, per il quale i magistrati milanesi hanno spiccato un ordine di custodia cautelare”; L’Espresso 5 agosto 1994. 28
Nel 1969 Doninelli e il fido Ballinari hanno fondato a Milano la Socirni, Società Costruzioni Industriali Milano; amministratore, fino al settembre 1993, ne è il presidente della Fimo Elio Fiscalini. La Socimi (costruzione di armi
SEGRETI ITALIANI IN TERRA ELVETICA “Fimo italiana”. La Fimo italiana, intestata ad anonimi, opera nel Nord Italia, a Chiasso, nel Liechtenstein, e i suoi legali rappresentanti e prestanome riconducono alla Interchange Bank di Chiasso, e a finanziarie del giro Lottusi-Doninelli; vi è connessa una ragnatela di case d’arte e gallerie che si estende da Milano a Como, dall’Alto Lario a Lugano e a Londra 29 . “Chissà se un giorno Antonio Di Pietro riuscirà nell’impresa di leggere l’intera storia finanziaria di una società svizzera che si chiama Fimo e che nella storia giudiziaria [italiana] è apparsa due volte: nel 1991, in una storia di riciclaggio di soldi dei trafficanti di droga italiani; nel 1993, nella ripulitura e spedizione in Italia delle tangenti pagate a Dc e Psi all’estero. Il magistrato di “Mani pulite” ci sta provando e negli ultimi mesi ha chiesto più volte di avere accesso ai conti di transito di questa società. Se riuscirà a leggere tutta la documentazione bancaria della Fimo, potrebbero arrivare molte sorprese. Non solo si capirebbero meglio i movimenti dedicati al riciclaggio di narcolire o i trucchi per riportare in Italia i miliardi delle mazzette ai politici, ma anche per alzare qualche velo sulla storia, mai raccontata per intero, di come Silvio e Paolo Berlusconi hanno messo insieme la loro fortuna. Storia che comincia nei lontani anni Settanta, quando i loro interessi erano tutti diretti al mattone e dell’impero televisivo Fininvest non c’era ancora nulla. 1 due fratelli, infatti, sono stati a lungo soci del primo presidente della Fimo che nei documenti della società compare come il primo dei responsabile: Ercole Doninelli da Meride in Mendrisio. La società dove si trovano insieme i Berlusconi e Doninelli (naturalmente attraverso il possesso di altre società) è la Italcantieri srl che fino al 1991 resta nel gruppo Fininvest e poi viene ceduta, assieme a tutte le altre attività edilizie, al fratello Paolo [ ... ]. Doninelli appare proprio attraverso la Eti Ag costituita il 24 aprile 1969 i cui soci erano lo stesso Doninelli, sua moglie Stefania e Arno Ballinari. L’intreccio societario non è finito, perché i Doninelli nella ETI Ag rappresentano anche gli interessi della Aurelius Financing Company Sa di Chiasso” 30 . Nel consiglio di amministrazione della Fimo ticinese il 9 febbraio 1993 entra Valentino Foti, nato a Fürci Siculo (Messina) e residente a Milano. Attraverso la sua finanziaria Valfin, nel 1989 Foti aveva conteso a Silvio Berlusconi la Villa Belvedere di Macherio (messa all’asta dalla Provincia di Milano); successivamente, Foti è finito in carcere, in Belgio, perché coinvolto in uno scandalo finanziario. *** Ma il 7 ottobre 1968 (cioè pochi giorni dopo la costituzione della Edilnord Centri pesanti, carrozze ferroviarie, autobus) il 28 maggio 1992 è stata dichiarata insolvente dal Tribunale di Milano e successivamente posta in amministrazione controllata con decreto del ministero dell'Industria. Sulla società grava il sospetto di traffico di armi, e i magistrati di "Mani pulite" la accusano di avere pagato 13 miliardi di tangenti al socialista Sergio Radaelli. 29
Pare che il commercio delle opere d'arte si presti ottimamente al riciclaggio e ad altro: Sergio Vaccari, sospettato di avere organizzato il "suicidio" del banchiere piduista Roberto Calvi a Londra, era commerciante d'arte... 30
“L’Espresso”, 11 febbraio 1994.
SEGRETI ITALIANI IN TERRA ELVETICA Residenziali sas di Lidia Borsani & C.), a Lugano, la Discount Bank Overseas Limited aveva dato origine a una società “gemella” della Edilnord, la luganese Telecineton Sa, col medesimo fiduciario Renzo Rezzonico, e con scopo sociale attività nel settore televisivo. Il 22 ottobre 1979, la Telecineton aveva mutato denominazione sociale, assumendo quella di Open Sa; il successivo 12 novembre, a Milano, nasceva la berlusconiana Canale 5 Music srl. Il 6 marzo 1980, la Open Sa mutava nuovamente nome trasformandosi in Open Service Sa; nel consiglio di amministrazione figurava Giancarlo Foscale (cugino di Berlusconi). Il 23 ottobre 1986, la luganese Open Servíce Sa, elevando il capitale sociale a un milione di franchi, diverrà Fininvest Service Sa, “una società che oggi riveste il ruolo di capofila del gruppo Berlusconi in Svizzera: il 94 per cento del pacchetto azionario è posseduto dalla Fininvest Servizi spa di Milano, mentre il restante 6 per cento è dell’antico fondatore, la Discount Overseas Bank” 31 . In pratica, l’originaria Telecineton approderà, diciotto anni dopo, nel gruppo Fininvest. Dunque, entrambi i filoni delle attività berlusconiane - sia quello edilizio, sia quello televisivo - hanno avuto dirette radici e connessioni in terra elvetica. E in Svizzera sono celati sia l’identità degli originari promotori, sia la provenienza di capitali impiegati.
31
"Avvenimenti", 12 ottobre 1994. Paolo Fusi e Michele Gambino firmano l'articolo che rivela la connessione Canale 5-Telecineton.
SEGRETI ITALIANI IN TERRA ELVETICA Milano in Svizzera Nella notte del 14 febbraio 1983, nel corso di una massiccia operazione delle forze dell’ordine con epicentro Milano, vengono arrestati decine di “insospettabili” esponenti della criminalità organizzata. “Nella notte di San Valentino è scattata la più imponente operazione degli ultimi anni contro la mafia e la camorra. Nella rete non sono caduti semplici picciotti, ma per la prima volta i "colletti bianchi", quei personaggi insospettabili con posizioni di rilievo nell’economia lombarda - come hanno detto i magistrati - smascherati attraverso le indagini patrimoniali e i controlli bancari della Guardia di Finanza. Il blitz si è sviluppato contemporaneamente a Milano, a Roma, a Palermo e in altre città. Le cifre parlano chiaro: 130 fra ordini e mandati di cattura emessi, 200 perquisizioni, decine di denunciati, sequestrati beni immobili, società, azioni, bloccati assegni e conti correnti per diverse centinaia di miliardi [ ... ]. Solo a Milano i provvedimenti restrittivi emessi sono 52, dei quali 30 eseguiti, 70 i provvedimenti di sequestro, 164 le persone denunciate. L’accusa che viene contestata è quella indicata all’articolo 416 bis del Codice penale. Un comunicato della Procura della Repubblica di Milano meglio specifica che il reato addebitato è quello di “appartenenza ad associazione a delinquere finalizzata alla consumazione di una serie interminabile di delitti contro la persona, quali omicidi e sequestri, contro il patrimonio, quali estorsioni e ricettazioni, contro l’amministrazione della giustizia, quali favoreggiamento, contro la pubblica amministrazione, quali corruzione, di delitti di detenzione e porto d’armi, di delitti legati alla gestione e al controllo delle bische clandestine, e di delitti comunque diretti alla acquisizione del controllo e della gestione di attività economiche e alla realizzazione di profitti e vantaggi ingiusti”. È stata individuata una organizzazione che in stretto contatto con i clan della Sicilia Occidentale, della Campania, degli Stati Uniti e dei Canada aveva il compito di riciclare i denari provenienti dai traffici di droga e dai rapimenti in attività apparentemente legali e in particolar modo in società immobiliari, società commerciali, società finanziarie e società di import-export [ ... ]. Le indagini hanno poi consentito di delineare la mappa di un numero considerevole di società collegate a esponenti mafiosi e camorristici. Fra le persone catturate figurano Luigi Monti, Antonio Virgilio, Romano Conte, Carmelo Gaeta, Antonio Enea, Giovanni Ingrassia, Claudio Giliberti [ ... ]. Ma accanto troviamo nomi di boss conosciuti. È il caso di Giuseppe Bono, palermitano, fratello di Alfredo Bono detenuto all’Ucciardone. Ordine di cattura hanno ricevuto inoltre Gaetano Fidanzati, Alfredo Bono, Vittorio Mangano, Ugo Martello detto “Tonino”, mafiosi noti e da tempo in carcere [ ... ]. In moltissime banche di Milano, in due giorni, gli inquirenti hanno sequestrato conti correnti, libretti di risparmio, titoli di credito, azioni facenti capo a individui e imprese sospettate di collusioni con la mafia. Il punto di partenza dell’inchiesta risale a circa due anni fa e al rapporto fatto dalla Criminalpol il 12 aprile 1981. Da allora si sono sviluppati accertamenti in Italia e all’estero che hanno coinvolto anche l’Fbi e la Dea. È stato cosi possibile identificare i boss internazionali di Cosa Nostra e i loro “amici” in Venezuela, in Canada, negli Stati Uniti, in Francia e, per finire, in Italia. e
SEGRETI ITALIANI IN TERRA ELVETICA stato possibile risalire ai canali del riciclaggio e del traffico di valuta. È stato possibile acquisire agli atti la certezza di incontri al vertice fra esponenti della mafia e della camorra avvenuti a Milano, a Roma, in Svizzera, nel Nord Europa e negli Usa” 32 . Nel rapporto Criminalpol dell’aprile 1981 che ha dato origine alla “operazione San Valentino”, veniva ricostruita la criminosa ragnatela affaristica tessuta dalla “mafia imprenditoriale” e dalla cosiddetta “mafia dei colletti bianchi” a Milano, attraverso decine di “società commerciali” dedite al riciclaggio di denaro sporco, e in rapporti con ambienti bancari e finanziari svizzeri: tra gli altri, con la Banca della Svizzera Italiana (Mendrisio, Lugano e Zurigo), il Credito Svizzero (Bellinzona, Chiasso e Zurigo), la Bankverem Schweízerischer (Chiasso), la Banque Société Alsacienne (Zurigo), la HandIess Bank (Zurigo), la Banca Hutton (Lugano), la Banca Rolmer (Chiasso), l’Unione Banche Svízzere; tra le società finanziarie: con la Finagest Sa (Lugano), la Copfinanz (Breganzona), la Traex Co. (Lugano), la Sogenal (Zurigo). Alcuni dei boss colpiti da mandato di cattura risultano tra l’altro correntisti della Banca Rasini 33 piccolo istituto di credito milanese (un solo sportello a Milano) del quale Luigi Berlusconi (padre di Silvio) era stato per molti anni funzionario, e il cui titolare, Carlo Rasini, era stato tra i finanziatori delle primissime iniziative edilizie di Silvio Berlusconi 34 . Presso la stessa Banca Rasini era affluita buona parte dei capitali “svizzeri” destinati alle attività edilizie berlusconiane. Ma il rapporto Criminalpol dell’aprile 1981 si occupava a lungo del boss mafioso Vittorio Mangano, e citava il berlusconiano Marcello Dell’Utri per i suoi sospetti contatti con lo stesso Mangano, definito nel rapporto “pericolosissimo pregiudicato, schedato mafioso, coinvolto, interessato o cointeressato in imprese commerciali e finanziarie con vorticosi volumi di affari su scala nazionale e intenzionale” 35 . 32
"Corriere della Sera", 16 febbraio 1983.
33
“Sul conto corrente n° 6861 acceso da Antonio Virgilio presso la Banca Rasini, transitano tra il 28 febbraio 1980 e il 31 maggio 1982 operazioni per circa 50 miliardi di lire. Inoltre, nel periodo febbraio 1981-novembre 1982, la Rasini sconta a Virgilio 135 effetti per oltre un miliardo di lire; parte degli effetti (esattamente 360 milioni) proveniva da una gioielleria di piazza di Spagna a Roma, "riconosciuta" (secondo la requisitoria del Pubblico ministero nel troncone romano del procedimento contro la "mafia dei colletti bianchi") "essere strumento di riciclaggio in favore di Giuseppe Bono". Anche sul conto corrente n° 6410 presso la Banca Rasini transitano notevoli e "ingiustificati" importi: il conto è intestato a Luigi Monti, socio di Virgilio in tutta una serie di società, ma anche in operazioni che portano alla loro incriminazione”; cfr. G. Ruggeri, M. Guarino, op. cít., pag. 50. “La flagrante connivenza della Rasini con Monti e Virgilio rientra nel novero dei più vasti rapporti che la banca intrattiene con esponenti della "mafia dei colletti bianchi", e con personaggi a essa mafia attigui, come il costruttore Silvio Bonetti (condannato per il crac della Concordia a 9 anni di reclusione). Il comune tornaconto è tale che a un certo punto il malavitoso "giro" manifesta alla Rasini la "disponibilità a trattare l'acquisto del pacchetto azionario di controllo della banca dal 51 al 73 per cento sulla base di una valutazione dell'intero pacchetto di lire 40 miliardi” (Ibidem, pag. 5 1). L'operazione di compravendita della banca non andrà in porto, ma è un fatto che la Rasini risulterà particolarmente compiacente con i correntisti mafiosi: il suo direttore generale, Antonio Vecchione, verrà rinviato a giudizio per “violazione dei doveri inerenti al pubblico esercizio del credito”. 34
La Rasini, nei primi anni Sessanta, aveva garantito a Berlusconi una sostanziosa fideiussione per l'acquisto di un terreno in via Alciati, a Milano. 35
La vicenda dei rapporti tra Mangano, Dell'Utri e Berlusconi verrà diffusamente trattata nel capitolo "L'amico siciliano
SEGRETI ITALIANI IN TERRA ELVETICA In un rapporto della polizia cantonale di Bellinzona datato 13 settembre 1991 (“Aggiornamento operazioni Atlantida e Mato Grosso” 36 firmato dal comandante della sezione “Informazioni droga” del Canton Ticino Daniele Corazzini e dal comandante della polizia di Bellinzona Silvano Sulmeni, a pag. 2 è scritto: “Per quanto riguarda il denaro da ricevere in provenienza dall’Italia (v. nostro rapporto 10-6-91) il medesimo apparterrebbe al clan di Silvio Berlusconi. Già si dispone del codice di chiamata (per il trasferimento del denaro dall’Italia): dovranno unicamente designare una persona di fiducia di tale gruppo. Il nome di Berlusconi non deve impressionare più di quel tanto poiché anni fa, segnatamente ai tempi della Pizza Connection, lo stesso era fortemente indiziato di essere il capolinea dei soldi riciclati. All’epoca si interessava dell’indagine l’allora giudice Di Maggio, che era stato anche in Ticino per conferire con l’ex procuratore pubblico on. Dick Marty”. “A parlare per primi del presunto coinvolgimento di Silvio Berlusconi nell’inchiesta Mato Grosso”, scrive il settimanale “Avvenimenti”, “furono i giornalisti dei quotidiano svizzero “L’Altranotizia”, che pubblicarono una serie di servizi tra novembre e dicembre [1993]. Partendo da quella notizia, abbiamo rintracciato il rapporto della polizia di Bellinzona: Silvio Berlusconi - o più esattamente “il clan Berlusconi”, come scrivono le autorità svizzere - sarebbe coinvolto in una grossa operazione di riciclaggio. Stando al testo del rapporto, il suo nome sarebbe stato fatto, in passato, nell’ambito delle indagini sulla “Pizza Connection”, una gigantesca inchiesta sugli affari di grandi boss della mafia turca e siciliana, che intrattenevano rapporti da un lato con i salotti buoni della finanza svizzera, e dall’altra con il capo della P2 Licio Gelli” 37 . Il rapporto della polizia di Bellinzona nasce dalle indagini condotte da un funzionario “coperto” della polizia ticinese infiltratosi nel giro del narcotraffico internazionale: “Attraverso uno stratagemma sono entrato in contatto col finanziere brasiliano Juan Ripoll Mari 38 personaggio che in Brasile gode di poderosi appoggi politici, specialmente quando era al potere l’ex presidente Collor, destituito perché degli amici siciliani pagg. 151-213 36
Il rapporto, rivelato dal settimanale "Avvenimenti" (23 marzo 1994), risulta essere stato inviato, come scrivono Paolo Fusi e Michele Gambino, “al comandante della polizia cantonale Mauro Dell'Ambrogio, al Procuratore pubblico di Lugano Carla Del Ponte, e a quello di Bellinzona Jacques Ducry”. 37
Ibidem. “Un funzionario della polizia elvetica, che chiameremo convenzionalmente A.B., ha detto a "Avvenimenti": 'Nel 1989 DI Maggio stava lavorando insieme a un colonnello della Guardia di Finanza a una inchiesta sul casinò di Nizza, ed era inciampato nel nome di Renato Della Valle (socio di Berlusconi in Telepiù). La Guardia di Finanza aveva intercettato delle telefonate tra Della Valle e un certo Macolin, un torinese, in cui si parlava anche di Berlusconi. Senza informare la magistratura, un corpo di polizia italiano mise sotto controllo anche i telefoni di Silvio Berlusconi. Successivamente Di Maggio venne in Svizzera per interrogare un ticinese che già in passato aveva collaborato con le forze di polizia e che conosceva bene gli ambienti finanziari elvetici e italiani (--). Di Maggio, però, smentisce che siano state messe a verbale circostanze riguardanti Berlusconi”. 38
“Ripoll Mari è un grande esperto in tecniche di riciclaggio del denaro sporco. A lui, secondo le polizie di mezza Europa, si rivolgevano tutti coloro (imprenditori, mafiosi, politici e narcotrafficanti) che avevano necessità di far uscire dai loro Paesi grosse quantità di denaro di provenienza oscura: dall'evasione fiscale, alle tangenti, fino alla vendita di droga” ("Avvenimenti", 23 marzo 1994).
SEGRETI ITALIANI IN TERRA ELVETICA coinvolto in uno scandalo legato a un vasto giro di trafficanti di cocaina e riciclatori... Juan Ripoll Mari dispone di quattro società-paravento panamensi dislocate a Lugano, dove tra l’altro è in contatto con un avvocato fiduciario con funzione di amministratore.. L’intenzione di Ripoll Mari era quella di riciclare 300 milioni di dollari provenienti dalla Francia, dalla Spagna e dall’Italia, oltre ad altri 100 milioni del gruppo terroristico Eta... A suo dire, il denaro fermo in Italia e da riciclare proveniva dall’impero finanziario di Silvio Berlusconi, attualmente alle prese con grosse difficoltà finanziarie” 39 . Il 25 settembre, la polizia di Ginevra arresta tale Winnie Kollbrunner, trovata in possesso di titoli rubati provenienti da una stranissima rapina ai danni di una filiale romana del Banco di Santo Spirito. La Kollbrunner risulta avere “trattato, per mesi, operazioni di cambio valuta fra banche per tranches di 50 milioni di dollari la settimana. Nel passaggio si fingevano perdite sul cambio intorno al 6 per cento, una parte delle quali (generalmente il 4 per cento) andavano a ingrassare i conti in nero della Dc e del Psi. La Kollbrunner ha trattato anche affari immobiliari e operazioni di cambio [tra gli altri] con Paolo Berlusconi” 40 . Ma l’ambigua Kollbrunner arrestata dalla polizia ginevrina è anche una stretta collaboratrice del ministro di Grazia e Giustizia Claudio Martelli (a carico del delfino di Craxi, infatti, la magistratura inoltrerà richiesta di autorizzazione a procedere per ricettazione). Martelli e Craxi risulteranno essere stati i beneficiari del conto cifrato “Protezione” 633369, aperto presso l’Unione Banche Svizzere di Lugano dal faccendiere craxiano Silvano Larini (amico di Silvio Berlusconi, e tramite dell’incontro Berlusconi-Craxi sul finire degli anni Sessanta); nel conto “Protezione”, tra il 1980 e 1,81, affluì una prima tangente di 7 milioni di dollari pagata dal bancarottiere piduista Roberto Calvi con la regia del Venerabile maestro Licio Gelli l’operazione venne concepita all’interno della Loggia P2 alla quale Berlusconi era affiliato, ed era a beneficio del padrino politico della Fininvest (e intimo amico di Berlusconi) In seguito al fallimento della sua finanziaria svizzera Sasea Holding Sa (un crac da 4,5 miliardi di franchi svizzeri - circa 5 mila miliardi di lire), nel novembre 1992 il faccendiere italiano Florio Fiorini finisce nel carcere ginevrino di Champ Dollon per bancarotta. Fiorini, nel 1980, era stato il direttore finanziario dell’Eni che, in combutta con Bettino Craxi e col bancarottiere piduista Roberto Calvi, aveva propiziato l’operazione piduista “conto Protezione” mediante un finanziamento dell’Eni per 220 miliardi di lire al Banco Ambrosiano. Ma Craxi e la Loggia P2 non sono stati i soli punti di contatto tra Fiorini e Berlusconi: “Florio Fiorini è sempre andato fiero dei suoi rapporti di amicizia con Silvio Berlusconi. A partire dal 1989, quando si mise in 39
Dichiarazione rilasciata dal funzionario all'Autore nel luglio 1994, senza tuttavia esibire alcun documento o ulteriori dettagli probatori. 40
Cfr. F. Forgione, P. Mondani, Oltre la cupola, Rizzoli, Milano 1994, pag. 195.
SEGRETI ITALIANI IN TERRA ELVETICA testa di fare affari nel settore dei mass media (Odeon Tv, Pathé cinema, Mgm), Fiorini usò quei rapporti come una specie di biglietto da visita in un mondo che gli era sconosciuto e che gli è poi risultato fatale. Ai tempi d’oro della sua Sasea, quando Hollywood sembrava a portata di mano, non si contano le interviste in cui Fiorini dava per imminente l’intervento al suo fianco dell’amico Berlusconi. Da parte sua la Fininvest di Berlusconi partecipò, in veste di finanziatore, alla disastrosa scalala alla Mgni tentata da Fiorini in coppia con Giancarlo Parretti. Un appoggio che è puntualmente ricordato dall’ex patron di Sasea nelle sue deposizioni ai giudici” 41 . E mentre “l’amicizia” Fiorini-Berlusconi andava cementandosi, Fiorini era legato anche al boss mafioso (residente a Lugano) Michele Amandini 42 attraverso la finanziaria Blax Corporation di Vaduz (nel “paradiso fiscale” del Liechtenstein). Oggi, dal carcere ginevrino dove è detenuto, Fiorini invia alla magistratura periodici “memoriali” nei quali ricorre spesso il nome di Silvio Berlusconi. In un rapporto datato 27 novembre 1992 e inviato ai vertici della polizia cantonale ticinese, il già citato funzionario svizzero “infiltrato" nel narcotraffico internazionale scrive: “Agli inizi dei 1991 alcune informazioni confidenziali rivelarono che presso la Banca Migros di Lugano venivano riciclate forti somme di denaro provenienti dall’Italia... L’inchiesta produsse un primo significativo effetto il 13 giugno 1991, a Lugano, quando fürono arrestati tali Edu de Toledo e Donizete Ferreira Pena con circa un milione di franchi svizzeri in contanti. Unitamente a Gianmario Massa, cassiere della Banca Migros di Lugano (pure arrestato), i due erano intenti nell’operazione di parziale pagamento di una partita di 70 chili di cocaina giunta precedentemente a Rotterdam. La droga, proveniente dal Brasile, era stata ritirata da emissari della criminalità organizzata italiana”; secondo il funzionario, il riciclatore Giuseppe Lottusi “faceva capo, per le operazioni di riciclaggio, alla piazza finanziaria svizzero-italiana e, in particolare, alla Fimo Sa di Chiasso”.
41
“Il Mondo”, 13 giugno 1994. “Il prezzo d'acquisto definitivo di Mgm” ha dichiarato Fioriffi ai magistrati di Ginevra in un interrogatorio dei 12 ottobre 1993, "fu di 1.312 milioni di dollari". Secondo il racconto dell'imputato 862 milioni di dollari furono forniti direttamente dal gruppo Crédit Lyonnais. In particolare Mgm aveva raggiunto un accordo per cedere i diritti di trasmissione dei film della sua biblioteca. Tra gli acquirenti secondo Fiorini c'era anche Fininvest Spagna. 11 Crédit Lyonnaís di New York, ha fatto mettere a verbale l'ex patron di Sasea, "scontò il contratto d'acquisto di Fininvest Spagna per 66 milioni di dollari". Per quanto riguarda altri 160 milioni di dollari forniti dal Crédit Lyonnais, Fiorini precisa che erano in parte garantiti da un "impegno della Fininvest a comprare azioni Mgm per 50 milioni di dollari". Un impegno che deve essere caduto nel vuoto: non risulta che la Fininvest abbia mai comprato una partecipazione azionaria della casa cinematografica dei leone ruggente. E, infatti, in un successivo interrogatorio lo stesso Fiorini ha fatto notare che in seguito il Crédit Lyonnais rinunció a far valere le garanzie fornite da Fininvest. In quelle convulse giornate dell'ottobre del 1990, che videro Parretti e Fiorini conquistare la Mgm, anche la Popolare di Novara allora guidata da Piero Bongianino fece la sua parte. Dei 112 milioni di dollari che rappresentavano l’impegno diretto (in seguito destinato ad aumentare notevolmente) di Sasea Holding nell'operazione, circa 50 milioni di dollari (oltre 70 miliardi di lire) furono forniti dall’istituto piemontese. Un prestito, ha confermato Fiorini ai giudici, che era garantito dalla stessa Fininvest” “bidem). Per la vicenda Mgm/Fininvest, cfr. pagg. 244-48. 42
“Nella recente maxi-inchiesta antimafia chiamata Nord-Sud, Amandini [è risultato] affiliato a un'organizzazione mafiosa che fa capo alle famiglie calabresi ffisediate a Milano: le famiglie Morabíto, Sergi e Papalia. Amandini è personalmente coinvolto nel traffico d'eroina e in alcuni sequestri di persona”; '11 Mondo", 18 aprile 1994. Amandim è stato in affari anche col faccendiere sardo Flavio Carboni, a sua volta in affari con Berlusconi.
SEGRETI ITALIANI IN TERRA ELVETICA Di sospetti rapporti tra società berlusconiane e gli ambienti finanziari italo-svizzeri legati alla “galassia Fimo” di Chiasso scriveranno le cronache giornalistiche nel marzo 1994, per una oscura vicenda inerente l’acquisto di un calciatore da parte del Milan-Fininvest. “Tutte le inchieste portano a Chiasso. Al numero 89 di via San Gottardo, dove ci sono le sedi di una finanziaria e di una banca che sono al centro di infinite indagini su mafia e tangenti. E dalle quali si scopre che sono passati anche i soldi per il trasferimento di Gianluigi Lentini, l’attaccante granata acquistato dal Milan a suon di miliardi. A parlare della vicenda è stato Mauro Borsano [ex parlamentare Psi, e amico di Bettino Craxi, Nd-4], ex presidente del Torino, che ne curò la vendita nel marzo 1992. Davanti al Pm. Gherardo Colombo, l’ex patron granata ha ricostruito la trattativa e soprattutto i versamenti in nero estero su estero. Secondo Borsano, il primo accordo prevedeva un prezzo ufficiale di 14 miliardi e mezzo più un anticipo di 4 miliardi in nero. Per la gestione degli accrediti, Borsano si rivolge alla famiglia Aloisio, che controlla sia la banca Albis sia la finanziaria Fimo: entrambe di Chiasso, entrambe protagoniste di una selva di vicende giudiziarie. La più famosa è quella di Giuseppe Lottusi, il commercialista che attraverso la Banca Albis avrebbe trasmesso tutti i pagamenti del clan Madonia ai “narcos” colombiani. Per questi fatti, Lottusi è stato condannato a vent’anni in primo grado dai giudici di Palermo. Non solo. La sede di via San Gottardo è stata fatta perquisire un anno fa su richiesta di Antonio Di Pietro: grazie a questa struttura sono state distribuite a Dc e Psi tutte le mazzette del gruppo Eni. Si tratta di almeno sessanta miliardi. E intorno agli uomini della Fimo e delle sigle collegate le istruttorie si sono moltiplicate [ ]. Mauro Borsano ha rivelato al Pm Colombo che anche i soldi per la cessione di Lentini sono transitati attraverso questa rete. Il finanziere torinese ha spiegato di essersi messo in contatto con Emilio Aloisio, consigliere della Fimo, e di avere poi preso accordi per il versamento con Adriano Galliani, amministratore del Milan [ ]. I primi quattro miliardi vengono quindi depositati sulla Banca Albis nella primavera 1992. Da li si provvede a trasferirli alla società Cambio Corso di Torino, sempre di proprietà degli Aloisio, che consegna il controvalore in titoli di Stato a Borsano. La scelta di rivolgersi all’istituto ticinese è sorprendente: Lottusi era stato arrestato sei mesi prima e tutti i giornali avevano dedicato intere pagine ai suoi rapporti con la Banca Albis per il riciclaggio dei narcocapitali [ ... ]. In tutto per il contratto di Lentini sulla Banca Albis viene versata una cifra compresa tra i 6 miliardi e mezzo e gli 8 miliardi e mezzo […]. I soldi del Milan sono arrivati dalla banca Ubs di Chiasso, però Borsano sospetta che non sia quella la sorgente dei fondi neri Ora i magistrati del pool “Mani pulite” cercano di capire quale sia la caverna del tesoro dalla quale attingevano le società del gruppo Fininvest” 43 .
Attualmente il gruppo Fininvest è assai radicato in terra elvetica. “Non si tratta solo della parte “evidente” del gruppo, vale a dire il “Punto Milan Estero” di via Besso a 43
"Corriere della Sera", 6 marzo 1994.
SEGRETI ITALIANI IN TERRA ELVETICA Massagno, frazione di Lugano. Li ci si occupa dei tifosi rossoneri all’estero, e vi ha sede la Fininvest Services Sa, presieduta dall’ex presidente ticinese del partito liberal-radicale (maggioranza relativa) Pierfelice Barchi ‘ uno dei più potenti notabili del cantone (il suo studio legale difende tradizionalmente gli imputati di mafia). L’impero berlusconiano viene piuttosto gestito dagli uffici della Fiduciaria di Giorgio e Renato Ferrecchi, situata al 6 di via Bossi, a Lugano, nel cuore della “city” luganese. Ferrecchi gestisce tutta una serie di società di rilievo come la Brico Sa Lamone Cadempino, la Edilnord Sa Biasca, il gruppo Precicast di Novazzano (cui è legata la Privat Kredit Bank attraverso l’azionista Giuseppe Penati, a sua volta legato alla Fidinam di Tito Tettamanti), le fiduciarie Sogepa e AlIfinanz (che legano Ferrecchi a un altro fiduciario del gruppo Berlusconi, l’avvocato Renzo Rezzonico), il gruppo Alitec (gruppo italo-brasiliano legato a Bemardino Bernardini e a Nuova Rivista Internazionale), lo studio pubblicitario italo-svizzero Publigoods di Paolo Spalluto, gli uffici svizzeri del commerciante milanesi). In via Bossi 6 hanno sede anche la Orion Communication Sa e la Dominfid, ovvero le due società che, secondo la magistratura napoletana, sono servite per riciclare almeno 3 miliardi di lire di fondi neri creati all’interno del gruppo di Berlusconi con una transazione sopravvalutata intercorsa tra Publitalia (società del gruppo Fininvest), il Milan, la Sme (holding statale agroalimentare) e la Sport Events, una società di proprietà dell’ex arbitro italiano Egidio Ballerini rivenduta nel 1992 alla Orion. La Dominfid appartiene alla Sirtis Sa di Lugano, che a sua volta appartiene alla Dominion Fiduciaria di Chiasso, una holding italo svizzera (legata al tivolino Renzo Bitocchi e al romano Michele Grimaldi) posta in fallimento nel giugno 1993, ovvero nel periodo in cui partiva l’inchiesta dei magistrati napoletani. Oltre al “gruppo Ferrecchi”, in questo troncone sono attivi tre fiduciari: Fabrizio Pessina, Edy Albisetti e Ettore Abeltino. Quest’ultimo, a sua volta, è legato alla Fidinani di Tito Tettamanti attraverso la Coexsu” 44 . Intanto, le cronache giudiziarie informano che il faccendiere romano Giancarlo Rossi (arrestato su mandato dei magistrati milanesi nel giugno 1994) è l’intestatario del conto corrente “coperto” FF 2927 presso la Trade Development Bank di Ginevra, conto sul quale sono affluiti 2 milioni e 200 mila dollari fornitigli dal piduista Luigi Bisignani e parte della maxitangente pagata dall’Enimont ai partiti di governo; il faccendiere romano 45 risulta intestatario anche di altri conti “coperti” presso banche svizzere sui quali sono transitati un migliaio di miliardi, e dispone di due società off-shore domiciliate a Panama. Mentre la magistratura italiana indaga per corruzione, ricettazione e violazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti, e la magistratura di Ginevra apre un’inchiesta per riciclaggio, si apprende che Rossi è in rapporti col gruppo Fininvest, come dimostrano i suoi contatti telefonici 44
"Avvenimenti", 9 febbraio 1994. “Gestendo i miliardi di tanti potenti, Rossi è diventato il simbolo dei rampantismo finanziario "alla romana", basato sulla furbizia e sul moltiplicare le conoscenze giuste. Quando il magistrato Di Pietro l'ha fatto arrestare, sono emersi i suoi rapporti con la Dc andreottiana, con il ministro della Difesa Cesare Previti di Forza Italia, con l'ex ministro Pri Antonio Maccanico, con l'ex agente segreto del Sisde Michele Finocchi e con tanti altri vip” ("Corriere della Sera", 5 settembre 1994). “Rossi sta emergendo come un crocevia negli intrecci della politica e della finanza di Roma [ …] al punto di poter essere considerato il cassiere occulto non solo della corrente andreottiana, ma di tutta la Dc” ("L'Espresso", 15 luglio 1994). 45
SEGRETI ITALIANI IN TERRA ELVETICA nelle settimane precedenti il suo arresto: “Una chiamata a un numero intestato a Silvio Berlusconi (via Santa Maria dell’Anima 3 1/A, l’abitazione romana del presidente del Consiglio). Con uomini legati a Berlusconi e al suo gruppo, Rossi ha avuto rapporti frequenti: compaiono infatti chiamate a Antonio Tajani (portavoce del premier), a Fininvest comunicazioni, Publitalia, e alla Diakron, la società che sforna i sondaggi per Forza Italia [ ]. Rossi chiama per ben cinque volte direttamente il ministro della Difesa Cesare Previti, col quale si è sempre dichiarato in ottimi rapporti: Previti viene chiamato sul suo cellulare, nell’abitazione romana e persino a Porto Santo Stefano, sull’Argentario. Con numeri diversi, Rossi chiama anche 11 volte il ministero della Difesa” 46 . La polizia elvetica, da parte sua, segnala ai magistrati milanesi che nell’inverno 1993-94 l’ex segretario del Psi Bettino Craxi si è recato in Svizzera, utilizzando per il suo viaggio un aereo di proprietà di Silvio Berlusconi. E nell’ottobre 1994, arrestato dai magistrati di “Mani pulite”, l’imprenditore Giorgio Tradati (amico d’infanzia di Craxi) dichiara al Tribunale di Milano: “Nel 1981, Craxi mi chiese di fargli da prestanome per un conto in Svizzera [alla Sbs-Société de Banque Suisse di Chiasso aprii per lui un conto cifrato]. Poi i conti diventarono due [il secondo, lo aprii all’American Express di Ginevra]. In totale, sui due conti, affluirono circa 30 miliardi di lire [di tangenti]” 47 ; nella vicenda dei due conti svizzeri craxiani risulta coinvolta la contessa Francesca Vacca Agusta, la cui villa di Portofino è assiduamente frequentata da Silvio Berlusconi. Fin dai primissimi anni Ottanta, ricorrenti sono state le voci di presunti comuni interessi affaristici tra Berlusconi e Craxi, e insistenti le vociferazioni secondo le quali Bettino Craxi sarebbe uno dei soci occulti del gruppo Fininvest. *** Ma la presenza di Berlusconi in terra elvetica non è legata soltanto a meri interessi affaristici: in Svizzera (ad Arlesheim), Miriam Bartolini (in arte Veronica Lario), seconda signora Berlusconi, ha dato alla luce le loro figlie Barbara (luglio 1984) e Eleonora (maggio 1986); nella svizzera Arlesheim, anche Marcello Dell’Utri, nel 1981 e nel 1985, è divenuto due volte padre.
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"Panorama", 9 luglio 1994. Secondo i magistrati di "Mani pulite", il padrino politico di Berlusconi ha tessuto negli anni una ragnatela di conti bancari cifrati, intestati a prestanome, dove confluivano le tangenti riscosse: oltre che in Svizzera (Giorgio Tradati), in Lussemburgo (Mauro Giallombardo), alla Bahamas (Giancarlo Troielli), a Hong Kong (Troielli e Agostino Ruju).
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IL GRANDE IMBROGLIO Sesso, sangue, soldi Il secondo “miracolo italiano” del millantato self made man Silvio Berlusconi è una faccenda le cui radici affondano nella cronaca nera. Per compiersi, la magia berlusconiana no 2 - un raggiro multimiliardario - si avvale dell’estro compiacente di un versatile uomo d’affari e dì mondo: l’avvocato della cupola Fininvest Cesare Previti. Ma per cogliere appieno questo nuovo “miracolo” nel suo mirabolante divenire, occorre conoscere nel dettaglio gli antefatti che lo hanno reso possibile. *** Nella sontuosa residenza romana dei marchesi Casati Stampa (attico e superattico con giardini pensili, in via Puccini 9), la sera di domenica 30 agosto 1970 vengono rinvenuti, chiusi dentro un salone, tre cadaveri: quello del marchese Camillo Casati Stampa di Soncino, quello di sua moglie Anna Fallarino, studente Massimo Minorenti. Dinamica e movente della tragedia sembrano subito chiari: il marchese, in preda a un raptus dì gelosia, imbracciato uno dei suoi fucili da caccia avrebbe sparato più colpi alla marchesa e al di lei amante, quindi avrebbe rivolto l’arma su di sé e si sarebbe suicidato. L’indomani, lo scandalo "blasonato" campeggia sulle prime pagine dei quotidiani nazionali. Il marchese Camillo Casati Stampa di Soncino, nato a Roma nel 1927, discendente dall’omonima famiglia patrizia lombarda dalla quale aveva ereditato cospicue proprietà, studi in un collegio svizzero, in prime nozze aveva sposato la ballerina napoletana Letizia Izzo, e dall’unione era nata la figlia Annamaria. Conosciuta Anna Fallarino, moglie di un amico, il marchese Camillo aveva ottenuto dalla Sacra Rota l’annullamento del proprio matrimonio (gennaio 1959), e alla Izzo aveva riconosciuto, a titolo di “liquidazione”, la somma di un miliardo di lire e la proprietà della cappella-tomba dei Casati Stampa 1 . Anna Fallarino, nata a Benevento nel 1929, procace ex modella, era stata sposata in prime nozze con l’imprenditore romano Giuseppe Drommi, amico d’infanzia del marchese Camillo; nell’aprile del 1959 aveva anch’essa ottenuto dalla sempre compiacente Sacra Rota l’annullamento del matrimonio 2 e il 21 giugno 1961 il suo nuovo matrimonio religioso col marchese Camillo (preceduto, l’anno prima, da una unione civile in Svizzera) l’aveva consacrata legittima marchesa Casati Stampa di Soncino. Il venticinquenne romano Massimo Minorenti, figlio di un ex funzionario 1
“Voglio la cappella di famiglia dei Casati: sono nata tra i poveri, e voglio finire sottoterra tra i ricchi”, sembra avesse dichiarato Letizia Izzo, che morirà per un tumore nel giugno del 1965.
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Il doppio annullamento da parte della Sacra Rota dei precedenti matrimoni di Camillo Casati Stampa e della Fallarino darà luogo, dopo la tragica morte dei marchesi, a vivaci polemiche, e perfino a un'interrogazione parlamentare; Quanto spese Camillo Casati per annullare il suo matrimonio?, titola "La Stampa" dei 15 settembre 1970, in un articolo dove si adombrano sospetti sul Tribunale ecclesiastico per la celerità con la quale aveva accordato il doppio annullamento.
IL GRANDE IMBROGLIO statale, studente universitario fuori corso, attivista del Movimento sociale, si muoveva da aitante playboy-gigolò negli ambienti della Roma-bene. Da alcune settimane, era l’amante della marchesa Anna Fallarino. I marchesi Casati Stampa erano tra gli esponenti più in vista dell’aristocrazia liberale 3 un ambiente che l’eccentrico marchese Camillo arrivava a snobbare. “Nei periodi in cui soggiornava a Palazzo Soncino, a Milano”, ricorda uno dei suoi ex dipendenti, “il marchese scendeva in strada portandosi appresso una borsa con dentro delle uova sode, entrava in un bar di piazza Santa Maria Beltrade, e ci bivaccava tutto il giorno: li chiacchierava con gli avventori, mentre mangiava le sue uova bevendo champagne... La sera rientrava a Palazzo, ma non mancava di lasciare nel bar 100 mila lire di mancia” 4 . Le proprietà lasciate dai defunti marchesi Casati Stampa sono ingenti: i giornali scrivono di beni mobili e immobili valutabili fra i 300 e i 400 miliardi di lire. Amministrate a Milano, negli uffici di Palazzo Soncino, dall’anziano ragionier Lorenzo Saracchi, le proprietà terriere e immobiliari della nobile famiglia sono concentrate essenzialmente in Lombardia: a Milano, Cinisello Balsamo, Usmate Velate, Muggiò, Nova Milanese, Trezzano sul Naviglio, Gaggiano, Bareggio; a Cusago, le vastissime proprietà comprendono un castello visconteo; nella tenuta di Arcore, estesa per un milione di metri quadrati e "cuore" del patrimonio dei marchesi, sorge una villa settecentesca di circa 3.500 mq impreziosita da una collezione di quadri del Quattrocento e del Cinquecento e da una biblioteca ricca di diecimila volumi (è proprio nella villa di Arcore che la marchesa Anna Fallarino aveva stabilito la sua residenza ufficiale, ed è nella villa di Arcore che i marchesi risiedevano di tanto in tanto, quando soggiornavano al Nord). Oltre a scuderie di cavalli purosangue, aziende agricole, allevamenti, immobili a Roma e altrove 5 gioielli, quadri antichi (tra gli altri, del Tiepolo e del Tintoretto), il patrimonio dei Casati Stampa comprende rendite finanziarie, investimenti azionari, e consistenti partecipazioni nel comparto assicurativo. Tre settimane dopo la tragedia, il notaio romano Carlo Pantalani rende pubbliche le volontà testamentarie manoscritte dal marchese Casati Stampa in data 19 luglio 1961: “Nomino mia erede universale mia moglie Anna Fallarino che mi ha reso tutti gli anni in cui mi è stata vicino, felicissimo, e che ho sposato in chiesa il 21 giugno 1961 A mia figlia Annamaria, di Letizia Izzo, spetterà la legittima, con in più l’assicurazione di cento milioni stipulata nell’estate del 1961 ed il quadro raffigurante la Madonna col Bambino attribuita a Lorenzo di Credi”. 3
Alessandro Casati, zio di Camillo, nel 1924 era stato ministro dell'Istruzione nel governo Mussolini, dal quale si era poi dimesso in posizione critica verso il regime. Nel 1943, aveva rappresentato il Partito liberale nel primo Cln; nel 1944-45, era stato ministro della Guerra nei due governi Bonomi, quindi deputato della Costituente e senatore di diritto dal 1948 al 1953. Era morto a Arcore nel 1955.
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Fonte dell'Autore.
“Non lontano da Roma, il marchese aveva acquistato di recente dalla Ruspoli "La Luparella", una vasta area adibita a riserva di cinghiali. che l'intera isola di Zannone, presso Ponza, gli apparteneva: il marchese vi aveva fatto costruire una villa e un'abitazione per il guardiano”; '11 Giorno", 5 settembre 1970.
IL GRANDE IMBROGLIO Il dispositivo testamentario induce i parenti diretti della marchesa Anna Fallarino (i genitori e la sorella) ad avviare un’azione legale: se la loro congiunta la sera del 30 agosto fosse spirata anche un solo secondo dopo il marchese Camillo, l’eredità dei Casati Stampa sarebbe di loro spettanza - un settimanale scrive infatti “E legata a un respiro l’eredità del marchese” 6 . I parenti della Fallarino affidano l’azione legale al trentaseienne avvocato romano di origine calabrese Cesare Previti, buon amico della sorella della defunta marchesa Anna. Ma le perizie medico-legali stabiliscono che i colpi esplosi dal marchese la tragica sera del 30 agosto hanno ucciso Anna Fallarino all’istante; ne consegue che l’intera eredità dei Casati Stampa spetta di diritto alla figlia di primo letto del marchese, Annamaria, che tuttavia, essendo minorenne (è nata a Roma il 22 maggio 1951), deve essere affidata dal Tribunale dei minori a un tutore fino al compimento del ventunesimo anno di età. A quel punto, l’intraprendente avvocato Previti contatta Annamaria Casati, e benché disponga del mandato per la tutela dei Fallarino, offre alla giovanissima ereditiera la propria assistenza sola e sconvolta dalla tragedia, accetta. Intanto, Emilia Izzo, zia materna di Annamaria Casati Stampa, residente a Napoli, e unica parente vivente della ragazza, fin dai primi giorni di settembre ha inoltrato istanza al Tribunale di Roma chiedendo appunto di essere nominata tutrice della nipote minorenne. Il 7 settembre, a una settimana dall’oscura tragedia di via Pucciní, la minorenne Annamaria Casati Stampa si reca al Palazzo di Giustizia di Roma scortata da due accompagnatori: l’avvocato Cesare Previti, e il senatore liberale Giorgio Bergamasco (vecchio amico dei marchesi Casati). Al giudice che deve pronunciarsi circa la sua tutela, la giovane ereditiera precisa di non voler essere affidata alla zia materna Emilia Izzo bensì al senatore Bergamasco. Il Tribunale di Roma demanda per competenza a quello di Milano la decisione inerente l’affidamento della marchesina. E benché il Codice preveda la nomina del tutore preferibilmente “tra gli ascendenti o tra gli altri prossimi parenti o affini del minore”, il 15 settembre il pretore di Milano Antonio De Falco stabilisce che sia il senatore Bergamasco il tutore dell’ereditiera minorenne, cioè colui che si occuperà “della sua educazione e dell’amministrazione del suo ingente patrimonio”. Il 16 settembre, cioè il giorno dopo la sentenza di affidamento, il solerte avvocato Previti si precipita al Palazzo di Giustizia di Roma con Annamaria Casati Stampa; dopo un breve colloquio, ottiene dal magistrato “l’autorizzazione a prendere possesso dell’attico superattico di via Puccini, compreso il saloncino in cui è avvenuta la tragedia. La giovane tornerà perciò nella casa paterna accompagnata dall’avvocato Previti e dal tutore, senatore Bergamasco; insieme, procederanno all’inventario di tutto quanto è contenuto nella casa, una ventina di stanze per oltre 500 metri quadrati, arredata con pezzi di grande valore” 7 . 6
"Panorama", 8 ottobre 1970.
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"La Stampa 17 settembre 1970.
IL GRANDE IMBROGLIO
A partire dalla metà di settembre del 1970, dunque, l’ingente patrimonio dei Casati Stampa di Soncino, in seguito alla morte del marchese Camillo e della marchesa Anna, è giuridicamente amministrato dal senatore Giorgio Bergamasco, che è il tutore della minorenne marchesina Annamaria. Nato a Milano nel 1904, di professione avvocato, Bergamasco era stato eletto senatore per il Partito liberale nel 1958; rieletto nel 1963 e nel 1968, ha fatto parte della Commissione Finanze e Tesoro del Senato, e in Parlamento presiede il Gruppo liberale al Senato. Il ruolo di protutore della giovane ereditiera dei Casati Stampa (cioè il legale della minore e suo rappresentante nel caso di un conflitto di interessi tra essa e il tutore) è esercitato dall’avvocato Cesare Previti. Nato a Reggio Calabria nel 1934, a Roma fin dal 1949, figlio del commercialista missino Umberto Previti, lui stesso di orientamento fascista 8 , Cesare Previti disattende dunque il mandato dei Fallarino, e assiste l’ereditiera Annamaria. Da tempo - e non è dato sapere per quali circostanze l’avvocato Previti è in rapporti con l’ancora anonimo palazzinaro milanese Silvio Berlusconi.. L’ereditiera minorenne Annamaria, da parte sua, è duramente provata e gravemente scossa dalla tragedia familiare, ed è stretta d’assedio dalla stampa e braccata dal business giornalistico che è sorto intorno allo scandalo dei Casati Stampa 9 . Cosi, con tutte le incombenze burocratico-fiscali e amministrative legate all’eredità nelle mani della coppia Previti-Bergamasco, la marchesina lascia subito l’Italia e si rifugia alle Seychelles (dove acquisterà e gestirà un albergo) 10 . La reale cura degli affari legati all’eredità Casati Stampa è virtualmente nelle mani del protutore Previti: l’anziano tutore Bergamasco, infatti, si limita alla gestione burocratica, ratificando con la sua firma le decisioni assunte dall’avvocato Previti nella sua veste di avvocato-protutore della marchesina 11 . A quasi un anno dalla tragedia di via Puccini, il 26 giugno 1971, il senatore Bergamasco presenta all’Ufficio imposte la “denuncia di successione” comprendente un inventario analitico (64 pagine dattiloscritte) dei molti beni mobili e immobili passati in proprietà alla marchesina Annamaria. 8
Molti anni dopo, salito alla ribalta delle cronache politiche quale ministro nel primo governo Berlusconi, l'avvocato calabro-romano si attribuirà una qualche coloritura liberale: “Da ragazzo ero missino come tutti i borghesi romani... [Ma] io sono sempre stato un liberale, anche quando ero vicino al Movimento sociale”; "La Stampa", 11 maggio 1994. L'ineffabile ministro della Difesa dichiarerà alla “ Repubblica" di aver fatto parte, negli anni Sessanta, della Direzione dei PLI, circostanza subito smentita dal coordinatore nazionale della Federazione dei liberali italiani.
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Titoli cubitali, tirature dei giornali alle stelle; le redazioni si contendono a colpi di milioni le foto "piccanti" della marchesa Fallarino offerte da anonimi detective privati, e nel business risultano coinvolti anche giornali tedeschi e inglesi.
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Nel 1972, tornata in Italia per un breve periodo, Annamaria conoscerà Pier Donà Dalle Rose (allievo ufficiale a Caserta), che nel luglio 1973 diverrà suo marito; i coniugi si trasferiranno subito alle Scychelles per sottrarsi al rinnovato assedio dei fotoreporter e della stampa scandalistica (rimetteranno piede in Italia, per un breve soggiorno, solo nel 1983, dieci anni dopo). Oggi, i coniugi Donà Dalle Rose, e i loro due figli, vivono a Brasilia. 11
Fonte dell'Autore.
IL GRANDE IMBROGLIO L’elenco-inventario si apre col palazzo Casati Stampa di via Soncino 2, nel centro di Milano (un solenne edificio di tre piani, per i pregi storici e architettonici dichiarato monumento nazionale): il valore d’inventario è indicato in soli 216 milioni di lire. Segue la descrizione di fabbricati, parchi, aree edificabili, terreni agricoli, rustici, disseminati in vari comuni dell’hinterland milanese; in totale, il valore dichiarato dei beni è di 1 miliardo e 782 milioni 12 . Con i crediti, i titoli azionari 13 i mobili, i gioielli e le disponibilità liquide, il totale patrimoniale è denunciato in 2 miliardi e 403 milioni, a fronte dei quali vengono indicati debiti, imposte e tasse da pagare per 538 milioni. Forse per la complessità dei patrimonio da censire, dall’inventario risultano mancanti alcuni piccoli lotti dei terreni di Cusago. Nella “denuncia” si accenna al contenzioso aperto tra l’Erario e il contribuente Camillo Casati Stampa, le cui dichiarazioni dei redditi il ministro delle Finanze aveva avuto modo di definire “palesemente risibili” 14 . Benché lontano dai 300-400 miliardi di cui favoleggia la stampa 15 il patrimonio dei Casati Stampa è comunque cospicuo e assai superiore al modestissimo valore indicato nella “denuncia di successione” (2 miliardi e 400 milioni). Vero è che il senatore liberale Bergamasco è un esperto in materia fiscale e tributaria: dopo avere fatto parte della Commissione Finanze e Tesoro del Senato (1958-68), tra il 1972 e il 1976 (VI legislatura) presenterà disegni di legge e interverrà in aula su temi quali: concessione di amnistia in materia di reati finanziari, e disposizioni in materia di imposte sui redditi e sulle successioni. Anche il. padre del protutore, il commercialista Umberto Previti, è un vero “mago” in materia tributaria e societaria. Il 26 giugno 1972 si insedia il 2° governo Andreotti (una coalizione di centro-destra Dc-Partito liberale, noto come governo Andreotti-Malagodi), nell’ambito del quale il senatore Bergamasco ricopre la carica di ministro per i Rapporti col Parlamento. L’avvocato Cesare Previti ha modo di conoscere il presidente Andreotti “per una questione professionale che riguarda il governo” (come dirà lui stesso). Il precedente 12
Cosi suddivisi: Cinisello Balsamo 531 milioni, Arcore 103 milioni, Usmate-Velate 174 milioni, Muggiò 70 milioni, Nova Milanese 2 inifiom 360 mila lire, Trezzano sul Naviglio 293 milioni, Gaggiano 965 mila lire, Baseggio 334 mila lire, Cusago 368 milioni, Roma (il palazzo di via Puccini, e altri due immobili) 33 milioni.
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Nel portafoglio titoli è presente buona parte delle società quotate alla Borsa italiana, con una modesta presenza di società non quotate: il tutto, porta gli investimenti azionari a 435 milioni (quotazioni dell'epoca), depositati presso varie banche in amministrazione, libera o a garanzia del conto corrente. 1 titoli più consistenti: 5.123 azioni ordinarie e 3.333 privilegiate della Milano Assicurazioni, per oltre 190 milioni; 124.268 Montedison per 120 milioni; 4.135 SIP per 12 milioni; 2.685 Pirelli per 7 milioni e 700 mila lire. Inoltre, nell’inventario relativo alla "denuncia di successione" risultano mobili pregiati e gioielli per 135 milioni, e cavalli per oltre 20 milioni (all'apertura della successione, i cavalli di razza della scuderia di Roma vengono dati per morti, mentre pare che ignoti li abbiano venduti dopo avergli cambiato nome). Tra le molte cose del patrimonio che risulteranno misteriosamente scomparse, la collezione di armi antiche della villa di Arcore, e la collezione di uccelli rari imbalsamati della residenza di Roma. 14
Il 20 settembre 1970, il ministro delle Finanze Luigi Preti, rispondendo in Parlamento a numerose interpellanze, aveva appunto definito “palesemente risibili” le dichiarazioni dei redditi presentate dal marchese. 15
Cfr. "Panorama", 8 ottobre 1970; anche i più autorevoli quotidiani scrivono di “300-400 miliardi”.
IL GRANDE IMBROGLIO 22 maggio, la marchesina Annamaria ha compiuto i ventun anni ed è divenuta maggiorenne, emancipandosi dal tutore e acquisendo la piena e diretta disponibilità del patrimonio ereditato. Ma Annamaria Casati ha deciso di vivere all’estero, e dunque è nella necessità di delegare la gestione dei suoi interessi e dei suoi beni in Italia. Cosi, il 27 settembre 1972, in occasione di un suo brevissimo soggiorno a Milano, sottoscrive nello studio del notaio Michele Zanuso un “mandato generale” che riaffida tutti i poteri al senatore Bergamasco: nell’atto è precisato che il senatore-ministro, nominato procuratore generale, rappresenterà la marchesina Casati Stampa “in tutti gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione relativa a tutti i beni immobili e mobili da essa posseduti o da possedere in Italia [ ...]. In una parola, tutto quanto esso procuratore crederà del caso, rimossa ogni limitazione di mandato” 16 . Tre mesi dopo la cessazione della sua tutela legale, il ministro Bergamasco ríacquisisce dunque la piena disponibilità del patrimonio dei Casati Stampa; e non più implicitamente in quanto tutore della minore, bensì per esplicito mandato dell’ereditiera ormai maggiorenne. Annamaria Casati, nel luglio 1973, sposerà Pier Donà Dalle Rose, e prenderà residenza in Brasile, a Brasilia; la gestione e la cura dei suoi interessi, in Italia, è affidata a un ministro della Repubblica esperto fiscalista, affiancato da un “avvocato di fiducia” figlio di un noto commercialista.
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Il "Mandato generale" prevedeva in modo esplicito la facoltà per il senatore Bergamasco di “acquistare, vendere, permutare beni mobili e immobili.,. emettere assegni e cambiali... accendere ipoteche... cedere e riscuotere crediti_ rappresentare la mandante presso qualsiasi Commissione o Autorità fiscale... accettare eredità con o senza beneficio inventario, addivenire a inventari, denuncie di successione, discuterne i valori, concordare o prorogare le relative tasse, addivenire a dilazioni di pagamento delle stesse prestando all’Amministrazione Finanziaria dello Stato le opportune garanzie, mediante pegni o ipoteche ... ”.
IL GRANDE IMBROGLIO Avvoltoi sulla preda Pressata da tasse arretrate e scadenze di imposte di successione, nell’autunno del 1973 Annamaria Casati incarica l’avvocato Previti di trattare la cessione della sola villa di Arcore e del relativo parco, con espressa esclusione degli arredi, della pinacoteca, della biblioteca, e delle circostanti proprietà terriere. Senza alcun tipo di preventivi contatti o consultazioni, primavera del 1974 l’avvocato Previti telefona alla sua assistita, a Brasilia, e trionfante le annuncia di avere concluso per lei “un vero affare”: ponendola di fronte al fatto compiuto, Previti le comunica di avere venduto per la somma di 500 milioni di lire la villa di Arcore al completo (compresi quadri, biblioteca e arredi), e i circostanti terreni. Nella concitatezza emotiva di una questione che la ripiomba nel ricordo della tragedia familiare, Annamaria Casati, dal lontano Brasile, non ha elementi per comprendere la risibilità della somma di 500 milioni in rapporto al reale valore, enormemente superiore, delle proprietà di Arcore cedute; e del resto, il senatore Bergamasco preme perché si reperisca denaro per poter fronteggiare le varie scadenze fiscali che incombono. Nella stessa primavera del 1974, l’“acquirente”, cioè il costruttore milanese Silvio Berlusconi, si insedia nella sontuosa villa di Arcore dei Casati Stampa, prendendo possesso di tutto quanto vi è contenuto. Ma non paga i 500 milioni annunciati dall’avvocato Previti: li pagherà nel tempo, in comode e indefinite rate annue coincidenti per scadenze ed entità con le scadenze fiscali di Annamaria Casati verso l’Erario. Berlusconi non si intesta la villa e i circostanti terreni di Arcore dei quali è entrato in possesso grazie all’avvocato Previti (il rogito verrà stipulato solo sei anni dopo, nel 1980). Infatti, Previti comunica alla sua assistita che l’acquirente Berlusconi è in attesa di non meglio precisate pratiche burocratiche edilizie, che non è opportuno per il momento stipulare l’atto notarile, e che insomma è meglio per tutti lasciare per ora le cose come stanno. Cosi, di anno in anno, fino al 1980, le proprietà di Arcore di cui Berlusconi dispone e usufruisce a partire dalla primavera 1974 continueranno a risultare intestate ad Annamaria Casati, e la stessa continuerà, per ben sette anni, a pagare le relative tasse di proprietà, tasse “risparmiate” dal Magico Imprenditore Berlusconi grazie all’avvocato Previti. Benché sia arduo conciliare gli interessi della sua assistita con quelli, avversi, del palazzinaro milanese, e come si vedrà anche con i propri, Previti riuscirà nella prodezza... Ma Previti e Berlusconi intendono comunque cautelarsi rispetto a un “affare” che, in quanto privo di rogito notarile, risulta troppo precario. Cosi l’avvocato romano, nella stessa primavera 1974, vola a Brasilia dalla sua cliente, e riesce a ottenere la firma di Annamaria Casati in calce a una delega, congiuntamente intestata allo stesso Previti e a Berlusconi, che li nomina “amministratori” della tenuta e dei beni di Arcore. Nell’estate del 1974, dunque, Berlusconi abita stabilmente la villa di Arcore con
IL GRANDE IMBROGLIO annesso parco, e benché non abbia ancora pagato la pur modesta somma pattuita con Previti, ne dispone già come di sua proprietà. Ma nella villa, con Berlusconi, si sono insediati anche Marcello Dell’Utri 17 , e il pluripregiudicato boss di Cosa Nostra Vittorio Mangano 18 . Poco tempo dopo, nel Palazzo Soncino di Milano, dove hanno sede gli uffici che amministrano il patrimonio Casati Stampa, allo storico e anziano ragionier Lorenzo Saracchi viene affiancato tale Egidio Lo Baido, originario di Palermo. Lo Baido si muove negli uffici amministrativi di Palazzo Soncino con molta sicurezza e disinvoltura, assumendo ben presto un ruolo dirigente. Fatto è che le abitazioni dei Casati Stampa situate a Cinisello Balsamo (Milano) vengono affidate in locazione a un gruppo di siculo-calabresi, i quali nel tempo, attraverso pressanti avvertimenti, intimidazioni e minacce rivolti in puro stile mafioso all’amministrazione dei Casati, riusciranno infine a divenire “legittimi proprietari” delle abitazioni. Secondo una testimonianza 19 , all’inizio del luglio 1975 la villa di Arcore è presidiata da “gorilla” armati di fucili a canne mozze; all’interno, Berlusconi e Previti sono guardati a vista da altri ceffi siculo-calabresi armati. Il precedente 26 giugno, la sede delle attività berlusconiane, nella milanese via Rovani, era stata oggetto di un misterioso attentato dinamitardo. Nell’inverno 1977-78, l’avvocato Previti vola in Brasile dalla sua assistita, e le avanza nuove, pressanti richieste inerenti i beni ereditari. Ma Annamaria Casati, stavolta, è irremovibile: non solo rifiuta di assecondare le pretese del suo “avvocato di fiducia”, ma gli pone in termini ultimativi la questione del rogito notarile per le proprietà di Arcore sulle quali essa continua a pagare le tasse benché da ormai quattro anni tali proprietà siano in realtà di Berlusconi. I fumosi pretesti che ancora una volta Previti le oppone per rinviare ulteriormente l’atto notarile portano cliente e avvocato a un contrasto che costituirà la premessa alla revoca del mandato fiduciario. Ormai, Annamaria Casati comincia a temere che dietro le ambiguità dell’avvocato Previti 20 vi sia, o vi possa essere, qualcosa che non quadra; né riesce a spiegarsi per quale ragione l’acquirente Berlusconi continui a eludere il rogito, rinviando nel tempo il saldo dei 500 milioni pattuiti 21 . 17
Poche settimane dopo, il 16 settembre 1974, a Roma, viene posta la "prima pietra" dell'impero Fininvest, con la costituzione della Immobiliare San Martino spa e la nomina di Dell'Utri a amministratore unico; i promotori della società sono celati da due fiduciarie del parabancario della Banca Nazionale del Lavoro, ambito nel quale opera il commercialista calabro-romano Umberto Previti, padre di Cesare. 18
Il Cfr. il capitolo l 'amico siciliano degli amici siciliani", pagg. 151-213.
19
Fonte dell'Autore.
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Da tempo la giovane ereditiera lamentava coi famigliari la condotta del suo avvocato di fiducia: Previti le risultava omissorio e sfuggente, e spesso assumeva decisioni discutibili che poi, a cose fatte, giustificava con verbose vacuità. Conferma un parente dei Casati: “I rapporti di Annamaria con l'avvocato Previti passarono nel tempo dalla iniziale fiducia, allo stupore, al disagio, alla preoccupazione, e culminarono nella decisione di revocargli il mandato” (Fonte dell'Autore). 21
Diluita negli anni, la somma verrà di volta in volta assorbita dalle scadenze fiscali a carico di Annamaria Casati (scadenze gravate delle stesse proprietà di Arcore ancora intestate alla giovane ereditiera).
IL GRANDE IMBROGLIO Ciò che l’ereditiera non può sapere, è che il suo legale avvocato Previti siede nel collegio sindacale (insieme al padre Umberto) della Immobiliare Idra srl costituita il precedente maggio 1977: e cioè parte della società cui due anni dopo verranno intestati la villa e i circostanti terreni di Arcore, ed è la società dove approderanno anche tutti i superstiti beni terrieri di Arcore dei Casati Stampa. Né Annamaria Casati può sospettare che l’anno dopo sarà vittima di una prima truffaldina transazione i cui beneficiari risulteranno essere Silvio Berlusconi e i soci occulti delle sue attività.
IL GRANDE IMBROGLIO Cusago: il gioco delle tre carte Il 30 luglio 1979, a nove anni dalla morte dei marchesi Casati Stampa, il notaio di fiducia di Berlusconi, Guido Rodeva, registra l’atto di deposito di una “scrittura privata di permuta registrata in data odierna, recante scambio di immobili in Cusago e azioni tra Annamaria Casati Stampa di Soncino e la Immobiliare Coriasco spa con sede in Milano”. Nel documento vi è scritto: “Tra i signori: senatore Giorgio Bergamasco [procuratore generale della signora Annamaria Casati Stampa di Soncino in Donà Dalle Rose] e il ragionier Giuseppino Scabini impiegato 22 , amministratore unico e legale rappresentante della Immobiliare Coriasco spa] si stipula quanto segue: la signora Annamaria Casati Stampa [rappresentata dal senatore Bergamasco trasferisce a titolo di permuta alla Immobiliare Coriasco spa che, allo stesso titolo, acquista: appezzamenti di terreni con sovrastanti fabbricati, sia rustici che urbani, compresi nel comune di Cusago, della superficie catastale complessiva di circa 246.60.63 23 . La Immobiliare Coriasco spa [rappresentata dal ragionier Scabini] trasferisce a titolo di permuta alla signora Annamaria Casati Stampa [ ... ] no 800.000 azioni della Cantieri Riuniti Milanesi spa del valore nominale di L. 1.000 ciascuna. I beni immobili permutati dalla signora Annamaria Casati Stampa alla Immobiliare Coriasco spa hanno un complessivo valore di L. 1.700.000.000. Egualmente le no 800.000 azioni di cui sopra costituenti parte del capitale sociale della Cantieri Riuniti Milanesi spa [ ... ] hanno il valore di L. 1.700.000.000, per cui non si fa luogo a conguaglio” 24 . Sette anni prima, quelle medesime proprietà di Cusago erano state denunciate all’Erario da Bergamasco e Previti per un valore di 367 milioni; ora, i due professionisti le cedono a una società “berlusconiana” per l’ipotetico controvalore di 1,7 miliardi sotto forma di “azioni” di un’altra società “berlusconiana”. Promotore e artefice primo dell’assurda transazione è Cesare Previti, il quale è si l’avvocato di fiducia della venditrice marchesina Casati Stampa, ma al tempo stesso, e all’insaputa della sua assistita, ha diretti interessi nel gruppo berlusconiano del quale le società “acquirenti” sono parte. La Immobiliare Coriasco e la Cantieri Riuniti Milanesi, infatti, sono società 22
Uno dei tanti prestanome di cui é costellato il nascente impero berlusconiano.
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Si tratta di oltre 246 ettari, pari a 2.466.000 metri quadri - un'estensione che rappresenta poco meno di un quarto dell'intero territorio comunale (e Cusago è comune di media estensione). La mastodontica "cessione" é comprensiva dello stesso abitato di Cusago con il centro storico e piazzette e stradine; il magnifico Castello (riconosciuto fin dal 1912 monumento nazionale, e sottoposto dal 1964 anche a vincolo ambientale); le tenute agricole di Cusago di Sotto, Corte del Rumi, Podere S. Antonio, Podere Stampa; una sessantina di fabbricati rurali, alcuni dei quali di grandi dimensioni; e decine di boschi, seminativi, prati, stagni per la pesca, rogge e canali di irrigazione. Considerando la nuda superficie (quindi escluso il valore degli edifici sia urbani sia colonici), la Immobiliare Coriasco "paga formalmente" questo ben di Dio di terreni 690 lire al metro quadro - come si vedrà, l'anno dopo finirà per pagarne realmente il 50 per cento, cioè 345 lire al metro quadro... 24
Nell'atto viene inoltre precisato: “A proposito dei terreni trasferiti in permuta alla Immobiliare Coriasco spa, quest’ultima dichiara di ben conoscere la destinazione urbanistica e le loro possibilità edificatorie come risulta dal programma di fabbricazione adottato con delibera del Consiglio Comunale di Cusago del 28 settembre 1963 approvata dalla G.P.A. il 20 marzo 1964 con provvedimento n. 90929 e dal Ministero dei Lavori pubblici il 21 luglio 1964”.
IL GRANDE IMBROGLIO appartenenti al nascente gruppo Fininvest, gruppo nel quale hanno ruoli-chiave sia l’avvocato Cesare Previti, sia suo padre, il commercialista Umberto Previti 25 . La Immobiliare Coriasco spa è una delle più ambigue società berluscomane: sede a Ciriè (provincia di Torino), e “gemella” della Immobiliare Romano Paltano spa (anch’essa con sede a Ciriè, dal 1975 amministrata da Marcello Dell’Utri) dalla quale il 12 maggio 1978 era nata la Cantieri Riuniti Milanesi spa 26 . La transazione è chiaramente assurda: quale valore reale possono infatti avere azioni non quotate da nessuna parte, e relative a una società - la Cantieri Riuniti Milanesi - che è una semplice “scatola vuota” la cui attività si avvale di soli 7 dipendenti? 27 . La stessa somma nominale di L. 1.700.000.000 è di entità risibile, sia in termini assoluti rispetto al reale valore del patrimonio acquisito, sia dei termini relativi al valore già “palesemente risibile” indicato nella “denuncia di successione” del 1971. Quando il senatore Bergamasco, su disposizione di Annamaria Casati, cercherà di monetizzare le azioni della Cantieri Riuniti Milanesi avute “in permuta” i contorni della truffa diverranno ulteriormente palesi. Non riuscendo ovviamente a trovare sul mercato qualche sprovveduto disposto ad acquistare “azioni” della società-fantasma, nella primavera del 1980 l’anziano procuratore è costretto a rivolgersi alla stessa Cantieri Riuniti Milanesi: la società riacquista le proprie azioni, nominalmente di L. 1.700.000.000, per lire 850 milioni cioè al 50 per cento in meno del valore dichiarato al momento della loro cessione solo l’anno prima. Una truffa nella truffa, la cui entità risulta ancora più chiara se si considera che la vendita di alcuni “scampoli” di terreni agricoli di Cusago sfuggiti alla “permuta” berlusconiana perché non compresi nella “denuncia di successione” rendono alla marchesa Annamaria Casati Stampa la somma di circa 6 miliardi (regolarmente denunciata al Fisco). A questo punto, Annamaria Casati ha la piena consapevolezza di quanto è accaduto, e decide finalmente di revocare la procura ai propri fiduciari. Ma prima, è per lei opportuno ottenere la stipula del rogito della villa e circostanti terreni di Arcore, beni che risultano ancora intestati a suo nome benché da anni siano di proprietà berlusconiana. 25
A partire dal 1975, Previti senior e Previti junior forniscono un grande contributo professionale all'edificazione dell'oscuro Impero berlusconiano: ufficialmente, nel ruolo di amministratori di società e sedendo nei vari consigli di amministrazione, come si vedrà più avanti. 26
Lo strano divenire di queste strane compagini societarie (che in alcuni tratti richiamano le società del boss mafioso Vito Ciancimino nel Nord d'Italia), e l'ambigua figura di Marcello Dell'Utri (che nel 1981 la Criminalpol indicherà partecipe di “società gestite dalla mafia e di cui la mafia si serve per riciclare il denaro sporco provento di illeciti”), sono dettagliatamente ricostruiti in G. Ruggeri, M. Guarino, Berlusconi. Inchiesta sul signor Tv, cít. 27
Scrivono in proposito gli architetti Alessandro Balducci e Mario Piazza nel loro studio Dal Parco sud al cemento armato (1981): “A riprova del ruolo praticamente formale svolto dalla società, è i1 fatto che alla fine del 1978 la Cantieri Riuniti Milanesi avesse alle sue dipendenze solo sette fra dirigenti e impiegati”,
IL GRANDE IMBROGLIO *** Intanto, la vicenda dei terreni di Cusago ex Casati Stampa registra importanti novità. La Immobiliare Coriasco ne vende alla Cantieri Riuniti Milanesi una parte, destinata a un nuovo insediamento residenziale per 122.470 metri cubi edificabili. La seconda società subentra alla prima nel piano di lottizzazione, e il 15 novembre 1989 la Cantieri Riuniti Milanesi firma col Comune di Cusago la relativa convenzione urbanistica: essa prevede la costruzione di un complesso di edifici su tre piani in condomini raggruppati “a schiere” formanti “corti”; nella parte centrale dell’insediamento, case unifamiliari “a schiera” con giardino, e all’estremità orientale ville “binate” con ampio giardino privato (è prevista anche la dotazione di una piscina e di un campo-giochi). Il piano di lottizzazione viene puntualmente approvato a maggioranza dalla giunta comunale Dc, col voto contrario dell’opposizione di sinistra, secondo la quale “l’arnimmstrazione democristiana non governa Cusago, ma spadroneggia in questo nostro povero paese facendo il bello e il cattivo tempo a proprio piacimento senza tener conto delle esigenze dei cittadini... Si deve approvare e basta, senza fiatare, che poi a tutto penserà il nostro caro sindaco, purché non vengano toccati gli interessi della Coriasco... Il sindaco ragionier Luigi Cairati si arrabbia soprattutto quando si parla di tutela dell’ambiente e dei beni storici, di sviluppo dei servizi sociali, perché queste non sono voci economicamente utili per le immobiliari” 28 . La speculazione berlusconiana a Cusago trasformerà in edificabili buona parte dei terreni agricoli e delle aree verdi ex Casati Stampa. Dichiara un consigliere comunale: “In Monzoro, una frazione di Cusago, c’era un’area verde che era parte dell’acquisto Coriasco. Doveva rimanere verde, ma ci hanno costruito sopra delle case in cooperativa, come al solito assegnate agli amici”. Ancora oggi sono in corso iniziative immobiliari di varie società che fanno capo alla Fininvest (col “marchio” Milano Visconti) sulle aree cusaghesi dell’eredità Casati Stampa acquisite nel 1979 dalla Coriasco a 345 lire al metro quadro; e gli edifici costruiti vengono venduti fra i 3 e i 4 milioni al metro quadro 29 . A Cusago è convinzione diffusa che il “regista sul campo” della locale speculazione edilizia sia l’avvocato Cesare Previti (coadiuvato da Enrico Hoffer, architetto 28
Il sindaco di Cusago, oltre all'impegno di amministratore pubblico, svolge attività professionale per la Fininvest, e più precisamente per la Standa. 29
Un professionista locale, il geometra Antomo Bozzi, il 30 marzo 1994 ha inviato all'Ufficio tecnico del Comune di Cusago il seguente esposto: “La zona industriale a sud del centro abitato di Cusago è completamente satura di nuovi edifici industriali, commerciali e terziari, non ancora occupati, ai quali edifici si aggiungono molti altri capannoni ed edifici che, causa la sfavorevole congiuntura, sono stati immessi sul mercato anche da note ed importanti ditte che hanno cessato recentemente la propria attività produttiva e commerciale... Risulta pertanto non favorevole alla collettività cusaghese la ventilata espansione a sud della zona industriale... Sia in Cusago contro (Milano Visconti) che alla frazione Monzoro il territorio comunale e pure saturo di edifici residenziali, che sono posti in vendita ad alto prezzo (specificatamente Milano Visconti), il che non consente concrete possibilità ai cittadini di Cusago interessati ad acquistare o affittare appartamenti di residenza; e pertanto non si ritiene necessario l'ulteriore sviluppo di aree agricole che sono pure vincolate al Parco sud Milano. Se venisse ampliata la zona residenziale (espansione Milano Visconti), non si otterrebbe alcun vantaggio per la popolazione locale, in quanto si aggraverebbero le necessità delle strutture sociali (scuole, servizi, ecc,) alle esigenze di residenze dormitorio….>
IL GRANDE IMBROGLIO Fininvest beneficiario nel 1991 di una “donazione” berlusconiana di oltre un miliardo). Fa tutto l’avvocato Previti , qui comanda lui: senza di lui qui non si muove foglia. In paese si dice anche che è proprio grazie al Colossale business di Cusago che l’avvocato Previti ha potuto acquistare l’edificio di via Cicerone 60, a Roma (al momento dell’Acquisto era una caserma dei Carabinieri , ma l’onnipotente Previti nel giro di pochi mesi sarebbe riuscito nella miracolistica Impresa di sloggiare la Benemerita). Nel 1994, a Cusago, nella piazza Soncino (di fronte al castello visconteo appartenuto ai Casati Stampa e finito alla Coriasco), viene avviata dalle imprese berlusconiane una ampia "ristrutturazione" che nei fatti è una nuova edificazione: infatti, i vecchi fabbricati rustici risultano completamente demoliti (tra questi, vi era l’abitazione del padre del sindaco, che in cambio si è fatto costruire una comoda palazzina), e dunque le licenze rilasciate per “ristrutturazione” sarebbero in realtà una commedia. Il progetto della “ristrutturazione” è firmato dall’architetto Roberto Rizzini, che è sì il tecnico progettista dell’edilizia Fininvest, ma è anche l’estensore del Piano regolatore di Cusago, nonché membro della Commissione edilizia.
IL GRANDE IMBROGLIO Arcore nelle fauci dell’Idra Il 2 ottobre 1980, a quasi sette anni dall’effettiva cessione dei beni, viene sottoscritto il rogito per la villa di Arcore e circostanti terreni. Ancora sotto la sapiente regia dell’avvocato Previti nel versatile ruolo di legale di fiducia della lontana “cedente” Annamaria Casati Stampa e di sodale affaristico dell’“acquirente” Berlusconi-Fininvest, viene stipulato l’atto di compravendita repertato al n° 36110 del notaio milanese Guido Rodeva. “La signora Annamaria Casati Stampa di Soncino in Donà Dalle Rose [rappresentata dal procuratore senatore Giorgio Bergamasco] vende alla Società Immobiliare Idra srl (rappresentata dal signor Giovanni Dal Santo 30 , amministratore unico della società] che acquista” la villa di Arcore e i circostanti possedimenti terrieri (oltre 200 mila mq); “Il prezzo della presente vendita è stato convenuto in complessive lire 500 milioni che la parte venditrice dichiara di aver prima d’ora ricevuto dalla parte acquirente alla quale rilascia corrispondente quietanza” - firmato: Giorgio Bergamasco (procuratore, a nome della “venditrice”) e Giovanni Dal Santo (amministratore, per conto della “acquirente”). La valutazione di 500 milioni di lire “già pagate” per la tenuta e la principesca villa di Arcore (nell’atto notarile disinvoltamente definite “casa di abitazione con circostanti fabbricati rurali e terreni a varia destinazione”) è un macroscopico imbroglio, anche sotto l’aspetto del danno all’Erario. Infatti, subito dopo, la Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde riterrà la villa di Arcore una garanzia congrua per erogare un finanziamento di 7 miliardi e 300 milioni (fideiussione dell’Immobiliare Idra in favore della Cantieri Riuniti Milanesi), mentre il Monte dei Paschi di Siena, con quella stessa garanzia, accorderà un ulteriore finanziamento di 680 milioni alla Immobiliare Idra. Del resto, secondo una conoscente della marchesina Casati, “la somma di 500 milioni è il valore della sola Via Crucis del Luini, in 14 quadri che pendevano nella quadreria della villa accanto a un Tintoretto e a un Tiepolo ... ” 31 . Nel bilancio 1980 della Immobiliare Idra si leggerà che la società ha acquistato “una villa con parco, di notevole valore e prestigio, sita in Arcore, al prezzo storico di mezzo míliardo”. La “acquirente” Immobiliare Idra srl era stata costituita a Roma nel maggio 1977, e nel suo collegio sindacale figuravano sia Umberto Previti, sia Cesare Previti; il 28 giugno 1979, nel collegio sindacale della società era rimasto solo Previti senior il dimissionario Previti junior, il mese successivo, sarebbe stato impegnato nella prima parte del berlusconiano “miracolo italiano” avente per oggetto i cespiti più ghiotti del patrimonio Casati Stampa situati a Cusago e di proprietà della sua assistita. L’atto notarile del 2 ottobre 1980, che sancisce ufficialmente l’acquisizione di 30
Commercialista berlusconiano con funzioni di prestanome, e di procacciatore di prestanome; cfr. G. Ruggeri, M. Guaríno, op. cit, 31
Fonte dell'Autore. A proposito della pinacoteca, secondo L'Espresso" “per anni Annamaria Casati Stampa cercherà di rientrare in possesso almeno di un ritratto di Anna Fallarino Casati, opera di Pietro Annigoni, ma non vi riuscirà”.
IL GRANDE IMBROGLIO una parte del patrimonio Casati Stampa di Arcore da parte del gruppo Fininvest (villa e tenuta delle quali, come si visto, Berlusconi già dispone di fatto e personalmente da circa sette anni), è stato preceduto di pochi giorni da una provvidenziale “coincidenza”: il 12 settembre, infatti, il Comune di Arcore aveva deliberato la destinazione urbanistica di una parte oggetto della compravendita. Con questa sfacciata “transazione”, il poliedrico avvocato Previti arriva a eguagliare i più mirabolanti sortilegi di matrice berlusconiana: aliena una parte del patrimonio della sua assistita Annamaria Casati in favore di una società Fininvest nella quale è parte suo padre e nella quale è stato parte lui stesso. Ma il 2 ottobre 1980, il notaio Guido Roveda autentica anche un secondo atto di compravendita: riguarda tutti i superstiti possedimenti terrieri di Arcore dei Casati Stampa non compresi nel primo rogito, che vengono ceduti sottoforma di “permuta” a una società del gruppo Fininvest, la Immobiliare Briantea srl (rappresentata dall’amministratore unico Giovanni Bottino - un prestanome residente a Milano 2). Nel documento è scritto infatti che il senatore Bergamasco, nella sua veste di procuratore generale di Annamaria Casati, cede alla Immobiliare Briantea srl tutti i residui beni posseduti dai Casati Stampa a Arcore: circa 70 ettari di terreni agricoli, parte dei quali consistenti in poderi a coltura intensiva e per il resto in appezzamenti seminativi, prati, boschi e pascoli, comprese le cascine e tutti i fabbricati rurali sovrastanti 32 . Come già l’anno prima per i beni di Cusago, anche in questo caso la transazione non avviene per denaro, bensì attraverso un “permuta” truffaldina: in cambio dei possedimenti terrieri, infatti, la Immobiliare Briantea srl “trasferisce a titolo di permuta alla signora Annamaria Casati Stampa di Soncino in Donà Dalle Rose numero 55.000 azioni del valore nominale di lire 1.000 ciascuna, della Infrastrutture Immobiliari spa, con sede a Milano, via Rovani 2 [ ... ]. I beni permutati hanno il complessivo valore di lire 250 milioni. Egualmente le 55.000 azioni della Infrastrutture Immobiliari spa hanno il valore di lire 250 milioni, per cui non si fa luogo ad alcun conguaglio”. Poiché il capitale sociale della Infrastrutture Immobiliari spa è di 400 milioni, l’importo di 250 milioni attribuiti alla transazione equivale al 62,5 per cento del capitale della società “acquirente”; ma la vittima del raggiro, la “cedente” e ignara Annamaria Casati, non acquisisce affatto la maggioranza della Infrastrutture Immobiliari spa: gli artefici dei raggiro attribuiscono infatti alle 55.000 azioni un valore equivalente al 13,75 per cento del capitale sociale - in pratica, azioni senza mercato di una società sconosciuta e inattiva vengono valutate dagli stessi interessati quattro volte e mezzo il loro valore nominale... Artefice-regista della sconcertante operazione è come sempre l’avvocato Previti: grazie a lui, infatti, i superstiti e ingenti beni terrieri di Arcore della sua assistita vengono in pratica regalati in cambio del simbolico importo di 250 milioni 32
Alcune superfici minori (mappali 116-117-118-120-181 del foglio catastale 14, e mappale 50 del foglio 10) non hanno, all'epoca, destinazione agricola, ma si è già visto come sia agevole mutarne comunque la destinazione a lottizzazione edilizia, e infatti, nel 1994, parte di questi terreni diverranno edificabili,
IL GRANDE IMBROGLIO (cioè 357 lire al metro quadro), somma non già in denaro bensì sottoforma di cartacee “azioni” della vacua e oscura Infrastrutture Immobiliari spa, azioni del tutto prive di valore certo e che saranno anzi fonte di grane per la vittima del raggiro; beneficiaria del “regalo” è una società del gruppo Fininvest, gruppo del quale l’avvocato Previti è parte. La società Infrastrutture Immobiliari era stata costituita a Roma il 30 dicembre 1977, e nel 1978 la Fininvest Roma ne aveva assunto il controllo. Nel 1980, poco prima della “operazione permuta”, a danno di Annamaria Casati, il capitale sociale era stato portato a 400 milioni, e il solito Luigi Restelli ne era stato nominato amministratore unico. La Immobiliare Briantea srl (nata a Milano il 30 settembre come Edizioni Sociali Villanova srl con 900 mila lire di capitale, aveva assunto la nuova denominazione nel 1978) è una scatola vuota fino ai primi mesi del 1980, quando l’amministratore della Infrastrutture Immobiliari, Luigi Restelli, la convoglia nel gruppo Fininvest: ciò accade il 2 giugno 1980, con l’aumento di capitale a 450 milioni e la nomina del prestanome Giovarmi Bottino ad amministratore unico. Dopo avere acquisito, col secondo atto notarile del 2 ottobre 1980, gli ultimi beni terrieri dei Casati Stampa, la Immobiliare Briantea srl si dedicherà al compito di sloggiare dai terreni di Arcore i contadini che vi sono residenti 33 ; risolto il problema, e “ripulite” le aree per potervi procedere alle speculazioni edilizie, il 4 luglio 1988 la Immobiliare Briantea verrà incorporata, dalla Immobiliare Idra srl, approdo finale del colossale "bottino". La Immobiliare Idra è uno degli anfratti più oscuri tra le molte oscurità che caratterizzano il divenire dell’impero Fininvest. La società viene costituita a Roma il 4 maggio 1977 (pochi mesi prima della affiliazione di Berlusconi alla Loggia P2) dalle due stesse fiduciarie - Servizio Italia spa e Saf spa - della Banca Nazionale dei Lavoro che originano la Fininvest; la BNL è controllata da banchieri affiliati alla Loggia P2 34 , e gli stessi piduisti controllano le due fiduciarie dietro le quali si celano i promotori della Immobiliare Idra. La società nasce con un capitale di un milione (verrà elevato a 900 l’anno successivo), risulta amministrata dal prestano me Giovanni Dal Santo, e nel suo collegio sindacale figura, oltre a Cesare Previti, suo 33
Sulle terre di Arcore vivevano da molti anni alcune famiglie di contadini legati ai Casati Stampa da vincoli reciproci; nel tempo, i diritti e i doveri si erano intrecciati, determinando per i conduttori dei fondi un diritto di prelazione o di buonuscita. Ma le società berlusconiane che nel 1980 acquisiscono la proprietà delle terre non intendono onorare tali vincoli: cosi, i contadini sono costretti a ricorrere al tribunale. Luigi Penati, Gaetano Gariboldi, Luigi e Carlo Teruzzi, citano al Tribunale di Milano l'Immobiliare Idra srl; le parti raggiungeranno un accordo extragiudiziale. Più aspro è lo scontro che oppone i contadini di Arcore all'Immobiliare Briantea. occorreranno alcuni anni per comporre la vertenza. “Nel corso del 1985”, scriverà la società in sede di bilancio annuo, “sono state definite avanti la sezione Agraria del Tribunale di Monza le più grosse pendenze con i contadini occupanti i terreni di proprietà sociale”; la Immobiliare Briantea sarà costretta a pagare indennizzi in denaro, e a cedere ai contadini parte dei terreni (133.000 mq, sui 700.000 acquisiti). 34
Cfr. capitolo "Grande Fratello dei potere occulto pagg. 117-147.
IL GRANDE IMBROGLIO padre Umberto; Umberto Previti è un commercialista legato al parabancario BNL nel quale operano le due fiduciarie piduiste. Il 28 giugno 1979 la sede sociale della Immobiliare Idra viene trasferita a Milano, in via Rovani 2 (sede delle attività berlusconiane) e lo stesso giorno Cesare Previti lascia il collegio sindacale: nella sua veste di “fiduciario” degli eredi Casati Stampa, come si è visto, il 2 ottobre dell’anno dopo propizierà il passaggio dei beni di Arcore di proprietà della sua assistita alla Immobiliare Idra e alla Immobiliare Briantea. Tra il 1984 e il 1985, l’Immobiliare Idra acquista una faraonica villa a Punta Lada, in Sardegna (28 stanze e 12 bagni per 2.500 mq, e 7 ettari di parco), al “prezzo storico” di 1 miliardo e 500 milioni 35 : venditore è Flavio Carboni, il losco faccendiere sardo (condannato a quindici anni di carcere per il crac del Banco Ambrosiano del píduista Roberto Calvi, e a 10 anni e 4 mesi quale mandante del tentato omicidio di Roberto Rosone, direttore ai tempi in società con Berlusconi 36 . Il 10 dicembre 1986, la Immobiliare Idra incorpora la Gir-Gestioni immobiliari romane srl, una società che da un lato riconduce a misteriosi ambienti svizzeri, e dall’altro a operazioni immobiliari col boss mafioso Pippo Calò. Intatti la Gir è la ex Pinki srl (orbita Fininvest) costituita a Milano il 23 settembre 1982 dalla cittadina svizzera Monica Merzaghi e dal prestanome Pasquale Guaglianone; interessata a un edificio di Portorotondo (in Sardegna) costruito, per conto della Marius srl di Pippo Calò, dal palazzinaro mafioso Luigi Faldetta, la Gir ha acquistato dal “cassiere della mafia” un appartamento. Nel 1993, la Immobiliare Idra viene acquisita personalmente da Silvio Berlusconi: “Al centro dell’operazione c’è l’Immobiliare Idra, sede a Milano, 10 miliardi di capitale sociale, proprietaria, tra l’altro, della Ala di Arcore. Fino all’anno scorso questa società faceva capo alla Fininvest. Poi è stata ceduta, come risulta dal bilancio 1993 della holding del Biscione. In veste di compratore e intervenuto Silvio Berlusconi in persona [ ... ]. Prezzo pattuito: 10 miliardi. La Fininvest però aveva in carico la controllata Idra per 16 miliardi, cosi l’operazione si è risolta in una perdita di 6 miliardi per la holding. Poca cosa rispetto alle perdite registrate dall’Immobiliare Idra negli ultimi esercizi: 14 miliardi nel 1991 e 20 miliardi nel 1992, secondo gli ultimi due bilanci disponibili” 37 . La singolare operazione, cui viene sbrigativamente attribuito lo scopo di “alleviare” il bilancio Fininvest delle passività della Idra, in realtà sembra costituire piuttosto una “spartizione di beni” dato il sempre più incerto futuro dell’impero: ma 35
La villa, dotata perfino di bunker antiatomico, sembra sia stata acquistata nell'estate del 1994 da Hassanal Bolkiah Muizzaddin Waddaulah, sultano del Brunei, al prezzo di 80 miliardi di lire. 36
37
Ctr. G. Ruggeri, M. Guarino, op, cit., pagg. 137-63.
"Il Mondo", 29 agosto 1994. A sua volta, il settimanale “L’Espresso” scrive; “Ha concluso un grande affare, nel 1993, Silvio Berlusconi comprando dalla Fininvest la società Immobiliare Idra, alla quale sono intestate le principesche residenze di Arcore e di Macherio, la villa Borletti nel cuore di Milano, più uno stabile a Milano 2 e un'altra villa in provincia di Olbia. Berlusconi ha pagato solo dieci miliardi una società che la Fininvest aveva in bilancio per sedici. E, a conti fatti, gli immobili di superlusso dei quali si è impossessato gli sono costati circa un milione al metro quadro: una miseria” (2 settembre 1994). Nella Immobiliare Idra, dal 14 febbraio 1994, la figlia di Berlusconi, Marina Elvira, è presidente del consiglio di amministrazione, e il tiglio Pier Silvio è consigliere delegato.
IL GRANDE IMBROGLIO una spartizione tra Berlusconi e chi?
IL GRANDE IMBROGLIO Buckingham Palace in Brianza Informata dell’avvenuto rogito dei 2 ottobre 1980 relativo alla villa di Arcore e terreni circostanti, ma posta anche di fronte al fatto compiuto del secondo e sbalorditivo atto notarile di “permuta” di tutte le superstiti proprietà terriere, Annamaria Casati revoca il mandato all’avvocato Previti, e nomina suo procuratore generale e suo nuovo legale di fiducia l’avvocato Ferdinando Carabba dello studio Carnelutti. Dal lontano Brasile, Annamaria Casati tutto desidera fuorché tornare alla ribalta delle cronache giornalistiche e nelle aule dei tribunali italiani. Cosi, insiste presso l’avvocato Carabba perché risolva al più presto il residuo strascico delle “permute”. “Da atti pubblici risultava che per due transazioni su tre Annamaria era entrata in possesso di strane azioni di oscure società, e lei temeva di venire coinvolta in fallimenti, o in dissesti, o anche peggio ... ”, ricorda un amico di famiglia 38 . Le preoccupazioni della marchesina Casati Stampa per le strane permute con ignote società vengono espresse a Berlusconi, il quale alzando le spalle risponde: “Non c’è niente di cui ci si debba preoccupare, e in ogni caso io sono in grado di sistemare tutto. Tutto ha un prezzo: basta pagare ... ” 39 . La principesca villa di Arcore appartenuta ai Casati Stampa è ormai da molti anni il quartiere generale di Berlusconi e la sua personale reggia. L’ha radicalmente ristrutturata, e le ha attribuito un nuovo nome, “Villa San Martino” (dal monastero San Martino delle suore benedettine che vi sorgeva fino al Quattrocento, nel Settecento trasformato in villa dal conte Giorgio Giuliani); ne ha fatta “riconsacrare” la cappella (dove la domenica vi si celebra una esclusiva santa messa per il Sovrano e per i suoi Cari), ha provveduto a far benedire le decine di stanze e saloni (per esorcizzarne le volte dal Maligno portatovi dai peccaminosi marchesi Anna e Camillo Casati Stampa), e nei sotterranei che furono del convento vi ha fatto ricavare tra l’altro una sala da concerto (per cantanti, cabarettisti e ballerine). “Attraversando un labirinto di scantinati, sottosuoli, cunicoli, Berlusconi guida gli invitati fino al bordo di un’ampia piscina coperta dove un soffio artificiale increspa l’acqua. Il locale è stato ricavato dalla vecchia casa dei custodi ed è stipato di congegni elettronici: su una parete c’è un enorme schermo che trasmette i programmi di Canale 5. Intorno, altri televisori diramano i programmi dei canali controllati dalla Fininvest in tutt’Europa [ ... ]. Procedendo da uno all’altro di questi locali, mostra un locale per lo squash, si ferma in una sala piena di attrezzi ginnici, attraversa una palestra per la boxe, e poi saune, bagnoturco, idromassaggi. Da qui si può uscire all’aperto, rientrare nella villa passando per il giardino, oppure ci si può inoltrare all’interno del parco popolato di animali comprati dagli zoo smantellati. Singolarità del posto e orgoglio del padrone di casa è il mausoleo che ha fatto erigere 38
Fonte dell'Autore.
39
Ibidem.
IL GRANDE IMBROGLIO su un lato dei parco e dove ha sepolto suo padre disponendo fin d’ora che un giorno vi riposerà lui stesso accanto ai fidi Gonfalonieri e Dell’Utri [ ... ]. In fondo al parco c’è la pista di atterraggio dei suoi due elicotteri [ ... ]. Berlusconi va molto fiero dello studio che gli ha progettato l’amico architetto Claudio Dini, uno degli inquisiti di Tangentopoli. Questo locale rompe completamente con gli ambienti monastici o barocchi o settecenteschi della villa [ ... ]. Tutte le serate finiscono nell’ampio locale che ai tempi dei marchesi Casati era la grande sala da ballo e che ora viene chiamata la sala della musica, poiché vi troneggia un pianoforte. Non di rado il patron della Fininvest si lancia in motivetti anni Sessanta o improvvisa un duetto con Confalonieri, come ai bei tempi quando avevano creato un complesso musicale” 40 . Piantonata a vista da decine di guardie del corpo che proteggono giorno e notte questa specie di Buckingham Palace della Brianza, Villa San Martino di Arcore rappresenta nei fatti il vero, grande “miracolo italiano” di Berlusconi, non a caso emblema del suo potere: grazie al talento dell’avvocato Previti, il Superimprenditore nel 1974 è riuscito a impossessarsi di una multimiliardaria reggia, con pinacoteca e parco e terreni, sborsando a rate nell’arco di anni (e dunque sottraendosi per armi alle relative tasse di proprietà, né pagando alcun “affitto”) il prezzo equivalente a un appartamento del centro-cíttà. Nel 1994, intervistato da Giorgio Bocca 41 l’ineffabile avvocato Previti dichiara: “[Ho conosciuto] Berlusconi molto tempo fa, negli anni Settanta 42 . Allora curavo gli interessi della contessa Casati Stampa 43 , ricorda quella poveretta che fu uccisa con il suo amante dal marito, Camillo Casati Stampa? Rimase una figlia, Annamaria, giovanissima [ ... ]. La Annamaria non voleva stare in quella villa dalle tragiche memorie, volle che la vendessi. Provai con dei brianzoli, degli speculatori che prima o poi l’avrebbero lottizzata. In quei giorni avevo avuto un lavoro dalla Edilnord di Silvio e gli dissi: “Berlusconi, lei deve farmi un grande piacere”. “Si, e quale?”. “Mi comperi la villa San Martino dei Casati Stampa, ad Arcore”. “Ma avvocato cosa me ne faccio di una villa, io sto in città, in viale San Gimignano, ho i miei affari in città”. “Venga a vederla”. Andammo a vederla e alla fine lui mi fece una proposta tipicamente sua: “Me la lasci provare, ci sono le vacanze di Pasqua, ci vado per qualche giorno e la provo”. La provò e non se n’è più andato”.
40
"L'Espresso", 31 ottobre 1993.
41
Cfr. G. Bocca, Il sottosopra, Mondadori, Milano 1994, pagg. 195-96.
42
Previti, invece, conosce Berlusconi fin dalla fine degli anni Sessanta, come lui stesso ha confermato alla "Stampa" l'11 maggio 1994.
43
Previti, invece, tutelava gli eredi Fallarino nella contesa con Annamaria Casati per l'eredità.
IL GRANDE IMBROGLIO L’avvocato del Potere Non è dato sapere né come né quando Berlusconi sia entrato in contatto con loro, ma è certo che Previti padre e figlio hanno avuto un ruolo-cardine nell’ambiguo divenire del gruppo Fininvest, e oggi Cesare Previti siede stabilmente al vertice della cupola berlusconiana. Umberto Previti (nato nel 1901 a Reggio Calabria, romano ) è l’ultimo degli amministratori che si sono succeduti alla Edilnord 44 , l’oscura società a capitale “svizzero” che lo stesso Umberto Previti nel gennaio 1978 ha posto in liquidazione, previa vendita a Milano 2 spa (nuova intestazione della Immobiliare San Martino, fondata da anonimi nel 1974 e amministrata da Marcello Dell’Utri) di tutto il costruito e il costruendo della “città satellite” Milano 2. E’ ancora Umberto Previti che nella sua veste di amministratore della neocostituita Fininvest Roma il 30 giugno 1978 (5 mesi dopo l’affiliazione di Berlusconi alla Loggia P2) ha proposto di elevarne il capitale sociale da 20 milioni a 50 miliardi 45 . Del resto, Previti è interno al parabancario della Banca Nazionale del Lavoro (all’epoca controllata dalla Loggia P2) - Bnl Holding - le cui fiduciarie Servizio Italia e Sfa sono all’origine del gruppo Fininvest celando Identità dei veri promotori 46 . Cesare Previti nel 1975 sedeva nel collegio sindacale della romana Fininvest srl (e nel 1977 in quello della neocostituita Immobiliare Idra srl) - una presenza che sembra essere a tutela di precisi interessi. Negli anni Ottanta, il suo nome comparirà al vertice di numerose società del gruppo Fininvest (nel consiglio di amministrazione della Standa, di Euromercato, di Mediolanum Factor, alla vicepresidenza della Fininvest Comunicazioni e della Rti), mentre il suo personale potere andrà consolidandosi di pari passo. Come avvocato civilista, Previti assiste il palazzinaro andreottiano Gaetano Caltagirone 47 alle prese con un crac multimiliardario, e il 44
Si tratta della società già intestata prima alla cugina e poi alla zia di Berlusconi, e finanziata dalla Finanzierungesellschaft Fr Residenzen e dalla Aktíengesellschaft Fr Immobilienlagen in Resídenzzentren (entrambe con sede a Lugano). Umberto Previti ne viene nominato socio accomandatario il 6 dicembre 1977 proprio con il compito di liquidare la società. 45
“Illustrando gli obiettivi dello sbalorditivo megaaùmento, Prevíti parla degli insediamenti residenziali di Milano 2 e Milano 3, del centro commerciale all'ingrosso di Lacchiarella, di Tv commerciale, di trasporti aerei, di servizi finanziari... Viene quindi deliberato l'aumento del capitale sociale a 50 miliardi, ma al momento i due soci [le due fiduciarie piduiste della piduista Bnl, Nd,41 ne versano solo 18: l'intera somma viene data in finanziamento a "terzi", i quali "terzi" altri non sono che la Fininvest spa di Milano, e utilizzata per acquisire il controllo di Milano 2 spa, di Italcantieri, e di altre società”; cfr. G. Ruggeri, M. Guarino, op. cit., pag. 102. 46
Secondo Nerio Nesi (ex presidente della Bnl), il ricorso allo schermo delle fiduciarie per l’intestazione di azioni societarie è perché “vi sono soci che non gradiscono apparire”. Della fiduciaria Servizio Italia, in quegli stessi anni, si avvalgono per coprire i loro traffici anche il Venerabile maestro Licío Gelli, il bancarottiere piduista e mafioso Michele Sindona, il bancarottiere piduista Roberto Calvi, e il losco faccendiere Flavio Carboni. “t assodato che Servizio Italia, formalmente Bnl, è pienamente controllata dalla Loggia P2, e che dietro il suo schermo si celano anche società e interessi di ogni sorta”; cfr., G. Ruggeri, M. Guarino, op. cit., pagg. 106-08. 47
Quale difensore di Caltagirone (dichiarato fallito coi suoi fratelli in seguito al crac del suo spregiudicato impero edilizio, e coinvolto nello scandalo Italcasse), l'avvocato Previti “strappa alla Corte di Cassazione un verdetto considerato degno di figurare tra la giurisprudenza del diritto societario, ottenendo la conferma della distinzione, ai fini giuridici, tra società e persone fisiche” ("il manifesto", 21 aprile 1994).
IL GRANDE IMBROGLIO craxiano Enrico Manca coinvolto nello scandalo P2 48 ; ricopre per anni l’incarico, si dice per conto del Psi craxiano, di vicepresidente della Selenia (azienda bellica statale del gruppo IRI), e allaccia molte relazioni eccellenti 49 . Grazie al suo sodale Berlusconi, conosce anche Bettino Craxi, del quale diviene anch’egli un assai intimo amico 50 . Benché il suo nome non comparisse negli elenchi degli affiliati alla Loggia P2 51 Cesare Previti era in contatto col Venerabile maestro Licio Gelli - un rapporto, quello tra i due, rimasto sempre supersegreto, e casualmente emerso solo nel 1988: “Ore 13,40 del 23 maggio 1988. Gli uomini della Digos di Arezzo fermano un’auto che sta entrando a Villa Wanda, residenza di Licio Gelli. È la prassi, dopo che il Venerabile il 17 febbraio è stato finalmente estradato dalla Svizzera: nessuno può incontrarlo senza essere identificato. E quel giorno, sul brogliaccio della Digos, compare l’annotazione “Avvocato Cesare Previdi, Roma. Senza documenti”. Pochi mesi dopo, esattamente il 10 settembre, la stessa persona viene identificata mentre va di nuovo a visitare Gelli presso l’hotel Continentale di Arezzo, uno dei luoghi dove il Gran maestro della P2 teneva i suoi incontri. Ma chi è questo misterioso personaggio? Da una ricerca presso la Cassazione non risulta a Roma nessun avvocato Cesare Previdi, ma solo un avvocato Cesare Previti. Proprio lui, l’ex vicepresidente della Fininvest, da anni tra i più stretti collaboratori di Silvio Berlusconi, l’uomo che favori l’acquisto della villa di Arcore [ ... ]. Era lui a incontrare Gelli, già condannato per la strage dell’Italicus e sotto inchiesta in numerose Procure Sul nome non dovrebbero esserci dubbi, anche perché nel tabulato della Digos gli errori sui nomi sono molto frequenti. Inoltre, sotto le indicazioni delle due visite, vi è una strana sigla: 48
Benché il suo nome fosse incluso nell’elenco di affiliati alla Loggia P2 sequestrato al Venerabile maestro dai magistrati milanesi, Manca, assistito dall'avvocato Previti, “fu scagionato dal Tribunale di Perugia dall'accusa di appartenenza alla Loggia; e, nel 1985, in una causa civile, ottenne la condanna di Ernesto Galli Della Loggia al risarcimento dei danni (50 milioni). L'anno dopo, la leggenda vuole che sia proprio Previti a suggerire a Berlusconi di fare a Bettino Craxi il nome di Manca quale presidente della Rai; é storia, invece, l'incontro Berlusconi-Manca-Biagio Agnes il 4 febbraio 1987 a casa Previti per trattare la pax televisiva fra Rai e Fininvest”; "L'Espresso", 20 maggio 1994. 49
“Gli anni Ottanta sono stati per Prevíti di grande successo, con il seguito di simboli vistosi: ai primi posti nella graduatoria dei contribuenti romani, una torre spagnola ristrutturata per le vacanze all’Argentario, uno yacht di 29 metri all’ancora. Sono anche gli anni in cui l'avvocato, il cui cuore ha sempre battuto per. la destra missina, ha cominciato a sentirsi anche in sintonia coi potente protettore politico di Berlusconi, Beffino Craxi. E tra i suoi migliori amici egli annovera altri uomini di legge che sono stati aperti estimatori craxiani, come il giudice Renato Squillante”; "L'Espresso", 22 aprile 1994. “Previti é un maestro nell'arte di tenere contatti. Amico di Filippo Verde, ex capo di gabinetto di Giuliano Vassalli alla Giustizia ed ex giudice del Tribunale civile di Roma (bocciò fra l'altro le pretese di Carlo De Benedetti sulla Sme), nonché di Renato Squillante, capo dei Gip di Roma. [Previti] ha assistito la Fininvest in molte vicende chiave”;”L’Espresso", 20 maggio 1994.
50
“Di Craxi sono amico, un'amicizia mutuata da Silvio Berlusconi il quale, come me, non l'ha mai rinnegata. Ci vedevamo a casa di Berlusconi, il presidente [Berlusconi] e io andavamo con la famiglia, Craxi portava anche i nipotini. Poi a Capodanno. Una volta fu lui a invitarmi a Capiago, vicino a Corno... Ci diamo del tu” ("Panorama", 9 luglio 1994). 51
E’ tuttavia noto come gli elenchi di affiliati alla P2 sequestrati dalla magistratura nella villa aretina di Gelli siano stati ritenuti dalla Commissione parlamentare di inchiesta parziali e incompleti.
IL GRANDE IMBROGLIO “0859/K/89/S.D.S./559”. A quanto sembra questo tipo di annotazioni veniva posto solo per quei visitatori per i quali si riteneva necessario compiere accertamenti che, come risulterebbe da uno dei numeri, sarebbero datati 1989. Perché furono fatti?” 52 . Nei primi giorni di maggio del 1994, durante la formazione del governo Fininvest, solo il veto del Presidente della Repubblica impedisce a Berlusconi di nominare l’avvocato Cesare Previti ministro dell’Interno, e in subordine ministro di Grazia e Giustizia (il neo-senatore Previti dovrà “accontentarsi” della poltrona di ministro della Difesa - dalla quale può comunque controllare il Servizio segreto militare, l’Arma dei Carabinieri, e le pingui commesse di armamenti) 53 . Sotto le luci della ribalta del potere, l’avvocato-entità della Fininvest, neo-ministro nel gabinetto del suo sodale affaristico assiso alla Presidenza del Consiglio, ha modo di dichiarare: “Si. Ero protutore della marchesa Casati. Lei aveva deciso di vendere la villa di Arcore a delle persone che a me non piacevano. Cosi ho detto a Silvio di non farsi scappare questa casa, che era molto bella e stava meglio in mano sua che in mano altrui” 54 . Intanto, un’anziana signora romana, Giovanna Ralli, denuncia di essere vittima di una disinvolta operazione che ha per protagonista Clelia Previti (sorella di Cesare, e figlia di Umberto) attraverso una strana società previtiana, e per oggetto un immobile della Ralli situato sulle scogliere dell’Argentario, a Punta Maddalena -una splendida torre spagnola, per il cui acquisto Clelia Previti ha rilasciato alla Ralli 700 milioni di cambiali parte delle quali finite in protesto 55 . La Ralli si rivolge al neo-ministro 52
"L'Europeo", 30 luglio 1994. Nel corso di un’intervista a "La Stampa" dell'11 maggio 1994 (cioè precedente la notizia dei suoi incontri con Gelli rivelati” dall’Europeo" alla domanda se avesse fatto parte della P2, l'avvocato-ministro Previti aveva dichiarato: “La risposta è no. Io da bambino ho imparato a detestare due parole: massoneria e mafia... Divento una belva, quando dicono che stavo nella P2”; è dunque probabile che l'avvocato calabro-romanesco si recasse ad Arezzo da Gelli onde manifestargli personalmente la sua atavica avversione per la parola "massoneria" e anche quella per la parola "mafia" (termine anch'esso non estraneo al Venerabile maestro)... 53
Secondo il piano "politico" della cupola berlusconiana, la presa dei potere attraverso il partito-setta “Forza Italia” avrebbe dovuto tradursi nell'insediamento di Berlusconi alla presidenza del Consiglio, di Marcello Dell'Utri al ministero dell'Interno, e di Cesare Previti al ministero di Grazia e Giustizia. 54
55
“La Stampa” 11 maggio 1994.
Il neo-ministro della Difesa Cesare Previti “ha ricevuto l'accorata lettera di una signora romana, Giovanna Ralli, che lo prega di intervenire perché Clelia Previti, sorella di Cesare, paghi i 700 milioni stabiliti dal contratto di acquisto di un'incantevole torre spagnola che troneggia sulle scogliere dell’Argentario(... ). La richiesta di aiuto [della venditrice Ralli) entra nei particolari: "Purtroppo, a partire dal mese di novembre, le cambiali ipotecarie che [Clelia Previti] ha firmato all'atto del rogito (in tutto ne restano 36 per un totale di circa 700 milioni) vengono regolarmente protestate e sono senza esito tutte le azioni intraprese dal mio avvocato"(…). La signora Clelia Previti ha acquistato la torre che domina Punta della Maddalena [ ... ]. Ma anche Cesare Previti è ospite fisso dell'Argentario: possiede un veliero di 29 metri, il Barbarossa, ormeggiato nel porto turistico di Cala Galera ( ... ). Clelia Previti decise di acquistare la splendida dimora di Punta della Maddalena nel 1992. Lo fece con due contratti stipulati a luglio e a settembre nello studio del notaio Franco Ventura Si decise che l’immobile sarebbe stato Intestato a una società di cui la Previti era amministratore unico, la Baguette srl, con sede in via Marianna Dionigi a Roma. Il prezzo fu fissato in poco più di 900 milioni, parte da pagare in contanti, parte in cambiali ipotecarie. La signora Ralli chiese ed ottenne che le cambiali emesse dalla Baguette, società con capitale di 20 milioni di lire, venissero avallate con la firma di Clelia Previti e del marito, l'avvocato (oggi cancellato dall'albo) Pasquale Michienzi [ ... ]” 1 due ottennero la cortesia che sull'immobile acquistato la signora Ralli iscrivesse solo un'ipoteca di secondo grado a garanzia del pagamento dei 600 milioni di cambiali. L'ipoteca di primo grado, Invece, fu iscritta dalla Milano centrale mutui spa, una finanziaria milanese; da questa società la Baguette di Clelia Previti aveva ottenuto un mutuo di 500 milioni a fronte di una ipoteca di soli 600 milioni. Gli
IL GRANDE IMBROGLIO Previti, e l’avvocato Romano Vaccarella - per conto del ministro-Fininvest - le risponde: “Le debbo, purtroppo, comunicare che pur immedesimandosi nel Suo problema, l’avv. Previti non è in grado di compiere alcun intervento sulla sorella Clelia [ ... ]. Pur manifestandoLe mio tramite la Sua comprensione, nulla può egli fare di concreto neanche per approfondire i termini della questione da Lei sottopostagli”. Le cronache giornalistiche registrano inoltre il coinvolgimento di Giuseppe Previti (fratello di Cesare e figlio di Umberto) nello scandalo massonico-affaristíco della Cassa di Risparmio di Firenze: “Oltre 100 miliardi di fidi non iscritti a bilancio e ormai inesigibili, affidamenti erogati senza garanzie a imprenditori di dubbia solidità Comune denominatore del comitato d’affari che dettava legge nella Carifi è l’appartenenza alla Massoneria. [Coinvolto nella vicenda] anche Giuseppe Previti, fratello maggiore di Cesare, ministro della Difesa” 56 . Giuseppe Previti risulta indagato dalla Procura della Repubblica di Firenze per associazione a delinquere finalizzata alla truffa e all’appropriazione indebita. Il 21 giugno 1994, la magistratura milanese dispone l’arresto del faccendiere romano Giancarlo Rossi. Rossi è l’intestatario occulto del conto corrente “cifrato” FF 2927, presso la Trade Development Bank di Ginevra, sul quale sono transitati 2 milioni e 200 mila dollari della maxi tangente Enimont destinati alla Dc 57 . Ma i magistrati ultimi ostacoli furono superati alla fine di novembre del 1992, quando scadde il termine entro il quale il ministero dei Beni Culturali poteva esercitare il diritto di prelazione. A questo punto Clelia Previti poté finalmente entrare nel suo mini castello di Punta della Maddalena. Giovanna Ralli, invece, passò solo pochi mesi di tranquillità. Poi, quando vide che le prime cambiali [finivano in protesto] decise di capire cosa fosse la Baguette srl e chi fossero realmente i suo debitori, Clelia Previti e suo marito. Scopri che la società aveva come amministratore unico la Previti dal gennaio 1992, mentre prima si erano alternati alla guida una certa Patrizia Tordi, Umberto Previti (il padre), Carlo Michienzi ; che la ragione sociale era "il commercio e lavorazione di minerali metallici e oggetti preziosi, l'acquisto, la vendita, la permuta, la detenzione di oreficeria e gioielleria, il commercio anche per conto terzi di mobili e soprammobili, le operazioni finanziarie". A leggere i bilanci non si cavava granché; l'unica proprietà registrata, per un valore di un milione e 300 mila lire, era un terreno e, comunque, la società risultava protestata da altre persone. La signora Ralli scopri anche altri curiosi aspetti della vita della coppia Michienzi Previti. Solo poche settimane dopo aver acquistato la torre i due tornarono dal notaio Ventura e costituirono un fondo patrimoniale, figura giuridica che permette di raccogliere tutte insieme le proprietà di una famiglia destinandole al sostentamento di essa stessa; nel fondo finirono un appartamento che si trova nel cuore di Roma, al numero 20 di via della Croce, e due cantine di uno stabile di via Marianna Dionigi. Nessun creditore può rivalersi contro un fondo, a meno di non riuscire a dimostrare che non serve affatto allo scopo per il quale é stato creato, ma è solo uno schermo anticreditori [ ... ], Anche a cercare di rivalersi sull'appartamento di via della Croce, [per la creditrice Ralli c'era poco da ricavare: la Banca Nazionale del Lavoro vantava una ipoteca di 2 miliardi e 100 milioni a fronte di un prestito di 700 milioni [...]”; "L'Espresso", 13 maggio 1,994. Il 29 luglio 1994, "L'Espresso" informa che la vicenda si è chiusa con una transazione tra la Ralli e il Michenzi 56
57
“Il Mondo”, 4 luglio 1994.
“Il conto FF 2927 era stato aperto nel 1985 presso la sede di Ginevra della Trade Development Bank. Ufficialmente intestato all'avvocato Kostenbaum, apparteneva in realtà a Giancarlo Rossi. L'agente di cambio di Roma utilizzava quel conto quasi sempre come punto di transito delle sue operazioni finanziarie o, come è avvenuto nel caso delle tangenti fino a qui accertate, lo prestava come parcheggio per operazioni effettuate da suoi amici e conoscenti. La struttura finanziaria svizzera di Rossi era però assai più articolata. Al conto FF 2927 si era affiancato nel 1992 anche il conto LL 417023, sempre presso la stessa banca di Ginevra. E su quest'ultimo operavano due conti deposito, il Seaford Holding Incorporated e il Telda Finance Sa, due società di diritto panamense, intestate a Maria Celeste Meschini e Lucio Rossi, rispettivamente madre e padre dell'agente di cambio. In relazione continua con questa struttura finanziaria, il cui beneficiario unico era Giancarlo Rossi, c'erano anche tutti i conti personali dei suoi clienti, i quali preferivano che i loro denari restassero su conti propri e che di volta in volta venissero utilizzati dall'agente di cambio per operazioni e investimenti” ("L'Espresso", 8 luglio 1994).
IL GRANDE IMBROGLIO hanno scoperto anche altro sull’oscuro faccendiere: “Sei banche sparse fra New York e Lugano. Due società off-shore domiciliate a Panama. Altrettanti conti cifrati su cui è passato un migliaio di miliardi. E tre magistrature che indagano: quella di Ginevra per riciclaggio, quella di Roma per concorso in corruzione e quella di Milano per violazione della legge sul finanziamento dei partiti. Brutta storia quella del signor Giancarlo Rossi, professione agente di cambio, finito a San Vittore lo scorso 21 giugno. Una storia in cui compaiono vecchie conoscenze di Tangentopoli. Per esempio il finanziere Sergio Cusani e l’ex responsabile delle relazioni esterne del gruppo Ferruzzi, Luigi Bisignani [ già affliato alla P2, N.d.A.], finiti nel mirino di Mani pulite per la tangente Enimont. E anche Francesco Pacini Battaglia, quello della Karfínco di Ginevra, da cui transitavano le mazzette pagate a Psi e Dc dalle società dell’ENI. Ma è una storia, quella di Rossi, in cui oltre a quattrini, tangenti e conti svizzeri forse c’è anche dell’altro. Quando l’agente di cambio è stato arrestato, nella ventiquattro ore aveva delle carte che Antonio Di Pietro non s’aspettava di trovare [ ... ]. Dalla valigetta di Rossi è spuntato uno strano fascicolo d’appunti “riguardanti il Sismi (il servizio segreto militare) e l’Organizzazione centrale della Difesa”. Cosa se ne faceva di quei nomi e di quegli organigrammi l’agente di cambio Rossi? “Al riguardo dichiaro che io ho ottimi rapporti con l’attuale ministro della Difesa Previti” ha detto a Di Pietro. “Mi sono documentato sull’organigramma della Difesa per parlarne con Cesare Previti, per scambiare con lui opinioni e dare le mie valutazioni”. Una spiegazione quantomeno singolare 58 . “L’arresto dell’agente di cambio romano Giancarlo Rossi [ ... ] sta creando più di un imbarazzo al governo Berlusconi. t stato lo stesso operatore di Borsa a rivelare i suoi rapporti con Cesare Previti, ministro della Difesa [ ... ] al sostituto procuratore Antonio Di Pietro. Previti ha replicato dicendo di avere visto Rossi occasionalmente e di non aver mai fatto affari con lui. La realtà è un po’ più complicata. Stefano Prevíti, figlio del ministro, avvocato come il padre, ha lavorato per il recupero crediti della Fincom, controllata fino al 1989 dalla famiglia Lefebvre d’Ovidio, e dallo stesso Rossi attraverso una quota minoritaria intestata alla sorella Stefania. C’è di più. In occasione delle ultime elezioni politiche Rossi ha svolto durante la campagna elettorale attività a favore di due candidati. Uno è il suo ex socio e agente di cambio Fabrizio Sacerdoti [già] segretario amministrativo della Dc romana quando Vittorio Sbardella ne era il leader incontrastato [Sacerdoti è stato eletto deputato nella lista “Forza Italia”]. L’altro candidato di Rossi era proprio Previti. Lo studio legale dell’attuale ministro della Difesa era uno dei recapiti ufficiali di Rossi a Roma [ ... ]. Le relazioni Rossi-Previti, per quanto inquadrate in un rapporto fra professionisti, non sembrano proprio occasionali. E’ stato Rossi per esempio a presentare Previti a Fabrizio Cerina, titolare dei gruppo bancario-finanziario in liquidazione Attel. E alla luce di alcune circostanze non sono casuali i rapporti fra società di Rossi e società appartenenti al gruppo Fininvest. Nel dicembre 1993 la Cofiniab di Rossi ha
58
“Panorama”, 9 luglio 1994.
IL GRANDE IMBROGLIO comprato appunto per 3,3 miliardi di lire un immobile dalla Edilnord di Paolo Berlusconi” 59 . Benché l’ineffabile ministro Previti “smentisca” e minacci querele (“E’ una montatura polilico-giornalistica!”), già i contatti telefonici di Rossi, nel periodo che precede il suo arresto, risultano illuminanti: “Previti viene chiamato [da Rossi] cinque volte: sul suo cellulare, nell’abitazione romana, e persino a Porto Santo Stefano, sull’Argentario. Con numeri diversi, Rossi chiama anche 11 volte il ministero della Difesa. Ma ministri e ministeri non finiscono qui. Rossi cerca Alfredo Biondi, responsabile della Giustizia (sia nella sua città, Genova, sia sul cellulare), Francesco D’Onofrio (ministro della Pubblica Istruzione), e più volte i ministeri dell’Interno, della Giustizia, oltre alla Banca d’Italia e al Vaticano. Nell’elenco nelle mani di Di Pietro compare anche una chiamata a un numero intestato a Silvio Berlusconi, via Santa Maria dell’Anima 31/A, l’abitazione romana del presidente del Consiglio. Con uomini legati a Berlusconi e al suo gruppo, Rossi ha avuto rapporti frequenti: compaiono infatti chiamate a Antonio Tajani, portavoce del premier, a Fininvest comunicazioni, Publitalia e alla Diakron, la società che sforna i sondaggi per “Forza Italia”” 60 . Nel settembre 1994, la cupola berlusconiana decide di dotare il partito-setta “Forza Italia” di un “segretario politico”. Il candidato naturale alla pseudo-carica al vertice dello pseudo-partito è il suo creatore Marcello Dell’Utri; ma il personaggio è ormai di quelli pubblicamente “bruciati” per via delle numerose vicende giudiziarie nelle quali è coinvolto, e per le sue notorie frequentazioni mafiose. Per cui, il “segretario” del partito-setta Fininvest non può che essere l’altra entità della Fininvest: l’avvocato-ministro Previti. Eletto all’alta carica da due soli “voti”: quello di Berlusconi, e quello di Dell’Utri 61 . Intanto, il contumace Bettino Craxi (supercorrotto ex segretario del Psi, e ex padrino politico della setta berlusconiana), dal suo dorato rifugio di Hammameth conferma al “New York Times” che anche la Fininvest è stata parte attiva della maxicorruttela politico affaristica della cosiddetta “Tangentopoli” 62 . Previti, che sul 59
“Il Mondo” 11 luglio 1994.
60
"Panorama", 6 agosto 1994. Nell'agenda del faccendiere “ci sono tutti i recapiti telefonici dell'ex squalo democristiano Vittorio Sbardella, accanto ai numeri -dodici in tutto tra abitazione, ufficio, telefonino, ministero, villa al mare - dei ministro della Difesa Cesare Previti. Vi si possono trovare i vecchi e nuovi telefoni dell'ex sottosegretario Dc alle Partecipazioni Statali Paolo Del Mese e qualche pagina più avanti i cinque numeri privati e pubblici del ministro del Tesoro Lamberto Dini e quelli dei sempreverde Gianni Letta, sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Ma non ci sono solo politici. Ci sono i numeri dell'ex procuratore capo di Roma Vittorio Mele e quelli, mai cancellati, di alcuni uomini di finanza caduti in rovina con Tangentopoli: l'ex vicepresidente della Comit Vincenzo Palladino e l'ex presidente della Consob Bruno Pazzi. E poi nomi di rango di militari e agenti dei servizi segreti: quello del latitante del Sisde Michele Finocchi e del suo ufficio di copertura intestato all'arabo Bey El Hady Salma, il capo di Stato maggiore dei Carabinieri e il comandante della Guardia di Finanza, i generali Alessandro Vannucchí e Carlo Berlenghi” ("L'Espresso, 8 luglio 1994). 61
Protesta solo, con debita moderazione, la candida Tiziana Parenti detta Tittí: “II segretario [di "Forza Italia"] non può essere imposto... Berlusconi non può decidere per tutti nominando Previti, il capo devono eleggerlo democraticamente gli iscritti... lo non ho capito questa storia di Previti: chi lo ha nominato?” ("La Stampa", 12 settembre 1994). 62
Indro Montanelli ha dichiarato in proposito: “Che Berlusconi sia stato un finanziatore di Craxi lo sanno tutti, [ma] i
IL GRANDE IMBROGLIO tema la sa lunga e non può certo smentire l’autorevolissimo sodale, ed è anche un tipo sottile, precisa: “Si, ma quello della Fininvest è stato un coinvolgimento minimale, non è stato un coinvolgimento strutturale”. La parlamentare di ‘Forza Italia" Cristina Matranga, da parte sua, trova il modo di dichiarare: “Dicono che Previti è l’avvocato degli affari illegali di Berlusconi ? È vero….” 63 .
magistrati non sono riusciti a trovare le impronte digitali, le prove... Evidentemente, Berlusconi è stato furbo”. 63
Cfr. "La Stampa", 29 settembre 1994.
GRANDE FRATELLO DEL POTERE OCCULTO Niente rose alla signora Intorno alla seconda metà degli anni Settanta, nella Roma dei Palazzi del Potere si muoveva il giornalista Carmine Pecorelli detto Mino. Avvalendosi di entrature nei servizi segreti e nel sottobosco politico, Pecorelli confezionava il settimanale “Op-Osservatore Politico” sul quale pubblicava “notizie riservate”. Benché ritenuto strumento di ricatto e pressione alimentato dalle fazioni dei servizi cosiddetti "deviati" e manovrato da settori della classe politica nelle faide di potere, “Op” pubblicava notizie perlopiù attendibili: scritte con linguaggio sibillino e “cifrato”, spesso velenosamente allusivo, le pagine del settimanale risultavano puntuali e circostanziate, e non di rado perfino “preveggenti” 1 . Del resto, Pecorelli non era solo finanziato e manovrato da settori del potere ufficiale: era anche interno alla Loggia massonica segreta Propaganda 2 del Venerabile maestro Licio Gelli (data affiliazione 1 gennaio 1977, tessera 1750). Nel dicembre 1978, Pecorelli si occupava per la prima volta del “fratello” piduista Silvio Berlusconi (affiliatosi alla Loggia gelliana il precedente 26 gennaio, tessera 1816); sotto il titolo Silvio Berlusconi morde e fugge, “Op” scriveva: “Silvio Berlusconi, il noto costruttore milanese, è uscito dalle difficoltà finanziarie che da tempo lo angustiavano. Per via dell’equo canone, nessuno voleva più saperne dei suoi appartamenti di lusso. I privati, temendo fisco e Brigate rosse, evitavano accuratamente di mettersi in mostra in superattici con piscine e tennis; gli enti pubblici, per via dell’equo canone, non investono più in appartamenti dai quali non possono ricavare un adeguato reddito. Per fortuna di Berlusconi, é intervenuto Carmelo Conte, un palermitano dalle mille maniglie, che gli ha fatto vendere all’Ordine dei medici appartamenti di Milano 2 per complessivi 33 miliardi. Ma concluso l’affare, Berlusconi si è eclissato col suo Rivera... senza nemmeno inviare un cesto di rose alla signora Conte, a titolo di ringraziamento” 2 . Secondo l’informatissimo Pecorelli, dunque, il costruttore della “città satellite” Milano 2, angustiato dalla crudeltà di un mercato immobiliare che non sembrava apprezzare il lussuoso prodotto edilizio, e dalla ritrosia degli enti pubblici, aveva potuto rimediare alle difficoltà solo grazie all’“aiuto” di un palermitano dalle mille maniglie: un “siciliano”, tale Carmelo Conte, aveva soccorso il costruttore piduista (finanziato da misteriosi capitali provenienti dalla Svizzera 3 ) mediante un provvidenziale quanto ingente acquisto di appartamenti da parte dell’Ordine dei medici. In effetti, “Op” rilevava quella che è stata una delle reali costanti dell’avventura 1
Esemplare, in questo senso, il ruolo di "Op" nell'ambito della vicenda relativa al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro. Cfr. S, Flanfigni, La tela del ragno, Kaos Edizioni, Milano 1993.
2
“Op”, 12 dicembre 1978. Particolarmente sibillina risulta la frase “senza nemmeno inviare un cesto di rose alla signora Conte, a titolo di ringraziamento”.
3
Cfr. capitolo, "Segreti italiani in terra elvetica pagg. 49-75.
GRANDE FRATELLO DEL POTERE OCCULTO edilizia berlusconiana. Contrariamente alla sua menzognera agiografia, le attività del Berlusconi “costruttore” si sono dimostrate infauste alla prova del mercato, e il palazzinaro milanese ha potuto evitare il naufragio solo grazie al sistematico e provvidenziale intervento di enti e istituti previdenziali pubblici e privati. Nel caso del quartiere residenziale di Brughiero, ad esempio, edificato dalla berlusconiana Edilnord a metà anni Sessanta, fu solo grazie al massiccio acquisto di appartamenti da parte dei Fondo previdenza dirigenti commerciali che l’iniziativa non si trasformò in un fallimento. Nel più recente caso di Milano 3, saranno le cronache di “Tangentopoli” a svelare le transazioni berlusconiane con alcuni enti pubblici, e la loro natura. Nel novembre 1992, si attiva la Procura di Roma: “Anche Paolo Berlusconi, fratello minore del fondatore di Canale 5, oggi alla guida dell’impero delle costruzioni che fa capo alla holding Cantieri riuniti milanesi, avrebbe finito per pagare tangenti miliardarie con l’obiettivo di favorire la vendita di una decina di edifici, destinati ad abitazioni e acquistati, nel corso degli anni Ottanta, da alcuni enti previdenziali pubblici nel capoluogo lombardo [ ... ]. Una parte delle operazioni all’esame dei magistrati ha certamente per teatro Basiglio, il comune della periferia sud di Milano nel cui territorio sorge la cittadella berlusconiana di Milano 3. È qui che sono avvenute almeno cinque delle compravendite che ora stanno attirando l’attenzione degli inquirenti: tre chiamano in causa l’Inadel, l’Istituto nazionale di assistenza dei dipendenti degli enti locali il cui ex commissario e un tempo deputato socialista, Nevol Querci, è stato arrestato nei giorni scorsi e scarcerato dopo aver ammesso di aver richiesto 600 milioni di tangenti per facilitare l’acquisto da parte dell’Istituto di alcuni immobili romani; due riguardano invece l’Inail, l’Istituto che assicura gli infortuni sul lavoro. Le prime tre operazioni, avvenute fra il 1986 e il 1988, hanno per oggetto la vendita di sei edifici con quasi 250 appartamenti e oltre 270 autorimesse, pari a un importo totale di quasi 67 miliardi. Le due vendite concluse invece con l’Inail nel 1984 e nel 1987 riguardano altri otto edifici con quasi 300 appartamenti venduti per oltre 42 miliardi. A tirare le somme, la Cantieri riuniti milanesi incassò in queste operazioni oltre 109 miliardi (ma, come lasciano intendere gli inquirenti romani, gli istituti previdenziali su cui si sta indagando sono anche altri)” 4 . I maneggi berlusconiani con il parastato romano gestito da esponenti del clan craxiano danno luogo a un’ulteriore inchiesta da parte della Procura di Brescia: “[Il 30 marzo 1994] Paolo Berlusconi è stato interrogato dal sostituto procuratore di Brescia Guglielmo Ascione e ha scoperto di essere sotto inchiesta per corruzione e violazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti. Al centro di tutto c’è un business immobiliare da 20 miliardi, concluso il 17 luglio 1991 dal gruppo Fininvest con l’Inadel, l’Istituto di assistenza dei dipendenti degli enti locali. Un affare denunciato [ ... ] alla Procura della Repubblica di Brescia dai consiglieri del Pds di Desenzano. [A Desenzano] si erge infatti la pietra dello scandalo: un grande centro commerciale acquistato nel 1989 dalla Standa e dai Cantieri riuniti per circa 11 miliardi. E rivenduto all’ente pubblico, meno di due anni dopo, a quasi il doppio. 4
“Il Mondo”, 23 novembre 1992.
GRANDE FRATELLO DEL POTERE OCCULTO “Una delle cose che ci aveva maggiormente insospettito era il fatto che la Standa, dopo la compravendita, fosse rimasta nel centro pagando un canone all’Inadel”, spiega Adriano Papa, segretario del partito della Quercia di Desenzano e primo firmatario della denuncia. “Quando a Roma è scoppiato il caso dei palazzi d’oro acquistati proprio dall’ex parlamentare socialista Nevol Querci, a quell’epoca commissario straordinario dell’ente assistenziale, abbiamo sottoposto il caso alla magistratura”. E cosi, tra gli atti in mano ad Ascione, è finito anche un interrogatorio di Querci davanti a Di Pietro. L’ex socialista, arrestato nell’ottobre del ‘92, il 14 dicembre aveva dichiarato: “L’Inadel ha effettuato una serie di compravendite immobiliari con un ristretto gruppo d’imprenditori, tra cui Paolo Berlusconi. Tali imprenditori, circa una ventina, venivano privilegiati nella ricerca del contraente da cui acquistare l’immobile in cambio di un contributo alla segreteria nazionale [del Psi]” 5 Nell’aprile 1994, anche la Procura di Milano, dopo averlo arrestato, dispone il rinvio a giudizio di Paolo Berlusconi per corruzione: secondo l’accusa, “avrebbe versato tangenti del 5 per cento all’ex funzionario Cariplo Giuseppe Clerici, a sua volta inquisito, per sbloccare la vendita di tre palazzi di Milano 3 al Fondo pensioni della banca. Un affare da 22 miliardi, con mazzette per 1.227 milioni, 60 dei quali pagati in nero attraverso fatture false” 6 . Del resto, Silvio Berlusconi aveva già manifestato la sua fatale attrazione per le banche e per i Fondi pensione, e esplicitato la sua cronica insofferenza per la Legge e i Codici (“Lacci e lacciuoli”), fin dagli anni Settanta, quando aveva bersagliato di iracondi strali la legge sull’equo canone citando ad esempio un suo business col Fondo pensioni della Banca d’Italia: “Costruiarno un villaggio per conto del Fondo pensioni della Banca d’Italia; il Fondo pensioni propone affitti sui cinque milioni l’anno Arriva l’equo canone: gli affitti, ope legis, sono dimezzati, e i pensionati della Banca d’Italia devono regalare due milioni e mezzo per ogni alloggio ... ” 7 . *** Pecorelli era consapevole dei pericoli insiti nella sua “attività giornalistica”: in una nota di “Op” del settembre 1976, intitolata Avviso a futura memoria, aveva accennato a minacce ricevute, e aveva indicato nel "Biscione, 8 colui che avrebbe potuto riservargli violenze di tipo fisico. D’altro canto, dopo le sue polemiche “dimissioni” dalla Loggia P2 9 , Pecorelli manteneva col Venerabile maestro un 5
“la Voce”, 2 aprile 1994.
6
"Corriere della Sera", 30 aprile 1994. Nel corso dell'interrogatorio del precedente 15 febbraio, Paolo Berlusconi aveva ammesso i versamenti illeciti, e le false fatturazioni. 7
8
In G. Bocca, No grazie “, La Repubblica", 17 maggio 1979.
Secondo Sergio Flamigni, é uno degli appellativi coi quali Pecorelli si riferiva a Giulio Andreotti; il "Biscione" è anche il 1ogo" dei gruppo Fininvest. 9 Pecorelli, in data 18 maggio 1977, inviò al Venerabile maestro la seguente lettera “Caro Licio, ho atteso invano una tua comunicazione riguardo Fratello Gigi. All'atto di sollecitare il Tuo autorevole intervento, ti avevo anche rappresentato la mia
GRANDE FRATELLO DEL POTERE OCCULTO rapporto pericolosamente conflittuale, non peritandosi di attaccare, attraverso le sue sibilline “note”, lo stesso Gelli e singoli affiliati alla Loggia segreta (come nel caso del “fratello” Berlusconi, “aiutato” da “un palermitano dalle mille maniglie”). Mino Pecorelli venne zittito per sempre la sera del 20 marzo 1979, a Roma, con quattro colpi di pistola sparatigli da un misterioso killer. Nel 1982, il Venerabile Gelli veniva indiziato quale mandante dell’omicidio. Interrogato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2, il 26 ottobre 1981, il piduista Berlusconi aveva dichiarato: “Nulla so dei rapporti di Gelli con Carmine Pecorelli”. Benché il Venerabile maestro sia stato poi prosciolto dall’accusa di essere stato il mandante dell’omicidio Pecorelli (dicembre 1991), la successiva domanda di autorizzazione a procedere nei confronti del senatore Giulio Andreotti per il medesimo reato conterrà precisi elementi e riscontri sul conflitto Gelli-Pecorelli e sui legami tra la Loggia P2 e Cosa Nostra: “Nel procedimento contro Licio Gelli e altri per l’omicidio Pecorelli si raccolsero notevoli elementi di prova circa: a) l’esistenza di un movente, b) la volontà di Gelli di risolvere la questione costituita dagli attacchi del giornalista. Un aspetto importante delle indagini, per le quali si chiede l’autorizzazione a procedere [nei confronti di Giulio Andreotti N.d.A.] , è costituito dalla verifica della compatibilità di quegli elementi con quanto in seguito emerso. Si osserva che tale indagine è indispensabile, giacché vi sono elementi [ ...] che indicano una stretta connessione tra due diversi ordini di moventi. Tra questi, di assoluto rilievo appaiono gli aspetti concernenti i legami tra Cosa Nostra e la Loggia massonica P2 10 , ampiamente sottolineati nella relazione sui rapporti tra mafia e politica presentata il 6 aprile 1993 dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari [ ... ]. In ogni caso, la conclusione del procedimento a carico di Gelli fu di proscioglimento proprio perché non fu possibile individuare quel collegamento tra mandanti e possibili esecutori materiali, che è invece prospettabile nel caso de quo” 11 . premura data l’imminenza del processo [probabilmente, una delle numerose querele per diffamazione a mezzo stampa, NdA].Se la risposta non è arrivata vuol dire che nella Famiglia è venuta meno, o forse non c’è mai stata, la solidale assistenza dei suoi componenti o che, nella migliore delle ipotesi, essa è indirizzata verso un’unica direzione. Esistono, per caso, Fratelli di seria A e Fratelli di serie B? Oppure “ quello che è in alto non è uguale a quello che è in basso”? Ho notizia che Fratello Gigi almeno in due occasioni ha evitato guai per merito proprio della Famiglia. Io, invece, potrei essere punito per avere esercitato un diritto sancito dalla “legge comune”. Nel constatare siffatta disparità. Ti rassegno la mia decisione di uscire definitivamente dall’organizzazione. Ho fatto una breve ma significativa esperienza che mi conforta nel credere che non ci sono Templi da edificare alle Virtù, bensì solo all’ingiustizia e all’arroganza. Per quanto riguarda i nostri personali rapporti mi auguro, se lo desideri, che essi possano rimanere immutati “Cfr. Atti Commissione parlamentare d’inchiesta P2, Vol. VII, pagg. 413-19). 10
“In Sicilia, tra il 1976 e il 1980, 1 mafiosi fanno a gara per entrare in massoneria. Cosa Nostra offre ai massoni l'efficacia della propria macchina militare, ma soprattutto una formidabile carta di pressione politica: il denaro. 1 massoni offrono ai bossi i canali legali per riciclare e investire i soldi, i contatti politici giusti per concludere grandi affari e i magistrati adatti per l’ aggiustamento" dei processi. Le logge, negli anni Ottanta, fioriscono. Solo a Palermo, dopo la Camea, la Armando Diaz, la Normanni di Sicilia e quella strana congrega che porta il nome di Cavalieri del Santo Sepolcro si contano più di 170 logge”; F. Forgione, P. Mondani, op. cit., pagg. 210-11. 11
Domanda di autorizzazione a procedere contro d senatore Giulio Andreotti “per omicidio volontario, aggravato dalla premeditazione, nei confronti di Carmine Pecorelli , in concorso con ignoti e con Gaetano Badalamenti, Giuseppe Calò, Stefano Bontate , Ignazio Salvo, Antonino Salvo”, Roma 8 giugno 1993, pagg. 82-3.
GRANDE FRATELLO DEL POTERE OCCULTO Le mani sulla Cassa Alla fine di gennaio 1979, il “fratello” Silvio Berlusconi era stato di nuovo oggetto delle attenzioni di “Op”. Secondo Pecorelli, in quel periodo il costruttore milanese stava brigando per insediarsi alla guida della più importante Cassa di risparmio del mondo, la Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde: “Stupore e incredulità nel inondo bancario per la candidatura del cavaliere del lavoro Silvio Berlusconi alla presidenza della Cariplo. Viviamo in tempi modesti e nonostante per le nomine si continui a promettere il primato della competenza, si finisce sempre per mandare alla Consob un Pazzi qualunque. Ma affidare al primo che capita anche lo scettro della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde, a Milano sarebbe considerato un affronto. Con tanti imprenditori, con tanti valenti manager su piazza, ci si chiede perché tanta smania di salire sul gradino più alto in un imprenditore che al suo attivo vanta una sola opera di spicco, il complesso immobiliare Milano 2. Dunque Berlusconi è un candidato senza speranza? Non è detto: controlla il 12,5 per cento delle azioni del “Giornale” di Montanelli e di recente ha dichiarato di voler accentuare la sua presenza nel settore giornalistico. A qualcuno potrebbe venire in mente di premiare il suo impegno politico 12 . Che anche in questo caso le “informazioni” di Pecorelli fossero attendibili, lo confermerà indirettamente, anni dopo, l’ex ministro del Tesoro Beniamino Andreatta: “Quando ero ministro del Tesoro [nel 1980, NdA], Silvio Berlusconi, più o meno nel periodo in cui aveva quasi concluso il ciclo edilizio e non aveva ancora iniziato quello televisivo, una mattina venne da me - in pantaloni grigi e neri e giacca nera, come i banchieri di Dallas - per autocandidarsi alla presidenza della Cariplo. Quando gli feci presente che forse c’era qualche incompatibilità per la possibilità della banca di concedere crediti edilizi, il futuro patron della Fininvest mi precisò prontamente che avrebbe lasciato tutti i suoi interessi nel settore al fratello Paolo, l’onnipresente secondo, già allora sempre pronto. A quel punto non potevo fare a meno di osservare che così si veniva a realizzare un interessante esempio di impresa domestica. Berlusconi non gradi molto e, per tutta risposta, cominciò a tessermi le lodi di Bettino Craxi” 13 . Uno dei capisaldi tattici per l’attuazione del corruttivo “Piano di rinascita” elaborato dalla P2 tra il 1975 e il 1976 14 prevedeva infatti l’infiltrazione della Loggia nel sistema bancario; ma a prescindere dai suoi obiettivi politico-strategici, il presente della Loggia piduista era essenzialmente caratterizzato sul versante affaristico 15 . Nel 12
“Op”, 30 gennaio 1979.
13
Cit. in "La Stampa", 26 marzo 1994.
14
Si trattava di un articolato progetto volto a modificare l'assetto politico nazionale in senso autoritario (Repubblica presidenziale), mediante la corruzione di partiti e organizzazioni sindacali, attraverso l'infiltrazione e il controllo dei mass media, e tramite l'istituzione di una catena televisiva privata con il contemporaneo smantellamento della RAI-TV.
15
“I campi di attività [della Loggia di Gelli] erano essenzialmente quattro: tangenti prelevate su affari conclusi da enti e
GRANDE FRATELLO DEL POTERE OCCULTO 1978, il Venerabile maestro aveva già acquisito alla sua Loggia segreta il controllo del Banco Ambrosiano (la più importante banca privata italiana), della Banca Nazionale del Lavoro (la più importante banca di interesse nazionale), e del potente Monte dei Paschi di Siena 16 . Per il tramite dell’affiliato Silvio Berlusconi (anche in rapporto al nascente gruppo Fininvest), la Loggia piduista intendeva assumere inoltre il controllo della Cariplo, la più importante cassa di risparmio del mondo 17 . Nel suo tentativo di insediarsi al vertice della Cariplo, il rampante Cavaliere tessera P2 1816, oltre ad avvalersi del suo già stretto sodalizio col segretario del Psi Bettino Craxi (a sua volta interessato al controllo del sistema bancario), oltre a cercare benemerenze in casa Dc (presso l’allora ministro del Tesoro Andreatta, ma soprattutto presso Andreotti e Fanfani), oltre a essersi munito di un proprio quotidiano ("Il Giornale" di Montanelli), utilizzava i mezzi di comunicazione di cui la Loggia P2 già disponeva. Come ad esempio il più diffuso e autorevole quotidiano nazionale, diretto dal piduista Franco Di Bella, gestito dai piduisti Angelo Rizzoli e Bruno Tassan Din, finanziato dal piduista Roberto Calvi del Banco Ambrosiano. Nell’edizione di venerdì 4 agosto 1978, il “Corriere della Sera” ospitava un inopinato articolo firmato "Silvio Berlusconi"18 ; sotto il titolo Chi guida la politica creditizia? Programmazione e sistemi bancari, “L’aspirante banchiere” dissertava di politica creditizia sulle ali della sua prosa da ragioniere commercialista, e concludeva enigmatico: “Ci si domanda attraverso quali canali potranno filtrare le istruzioni industrie pubbliche, controllo del credito bancario, illecite esportazioni di valuta, collocamento degli adepti al vertice delle rispettive carriere Il sistema delle tangenti sugli appalti, sui contratti di commesse, sulle licenze e sulle autorizzazioni, sui mutui accordati da Istituti di credito pubblici, sulle deliberazioni del governo in materia di prezzi, tariffe e crediti agevolati [ ... 1. 1 prelievi avvengono di fatto alla luce del sole, sulla base di percentuali prestabilire. E gli esattori li motivano con la finalità di finanziare partiti e correnti di partito”; cfr. E. Scalfari , Da Sindona a Gelli, in L'Italia della P2, Milano 198 1, pag. 18. 16
Secondo l'ex senatore Sergio Fiamigni, “i trattamenti di favore riservati a Berlusconi dai banchieri piduisti Cresti (dei Monte dei Paschi di Siena), Ferrari (della Bnl), Calvi (dei Banco Ambrosiano), trovano una logica solo nell'ambito della fratellanza massonica. Sono proprio i rapporti tra affiliati alla P2 - Berlusconi e Cresti - che determinano quella situazione che il Collegio dei sindaci del Monte dei Paschi di Siena ha definito l'esistenza di un comportamento preferenziale accentuato una situazione di estremo favore nei confronti dei Berlusconi"; nella relazione del Collegio sindacale dei Monte dei Paschi di Siena si parla anche di finanziamenti per Telemilano. Dei resto, Berlusconi ha avuto rapporti anche con Angelo Rizzoli e Bruno Tassan Din, affiliati anch'essi alla P2, e lo stesso Tassan Din ebbe a dichiarare alla Commissione P2 che Gelli sollecitò questi rapporti al fine di stabilire una collaborazione nel campo della Tv”.
17
Un esempio dei maneggi gelliani intorno ai vertici delle Casse di risparmio è in questa lettera inviata “AI carissimo Fratello Licio Gelli” dal massone Augusto De Megni in data 31 luglio 1979: “Caro Licio, la Banca d'Italia di Massa ha proposto quale Presidente della Cassa di Risparmio di Carrara il Dr. Giorgio Rocca (Commercialista esercente in Massa), e quale vicepresidente il nostro Fratello Avv. Angelo Ricci, Více-Pretore Onorario dal 1972, attualmente dimissionario (iscritto al Partito Liberale Italiano) ed esercente la professione di Legale come Civilista a Carrara. Occorrerebbe ottenere la inversione delle cariche, e cioè l'Avv. Ricci a Presidente e il Dr. Rocca a Vice-Presidente [..J. Ti ringrazio per quanto potrai fare e Ti abbraccio fraternamente”. Il Venerabile maestro, il 13 novembre 1979, scrive al De Megni quest'altra lettera: “Caro Augusto, in riferimento alla tua del 29 ottobre scorso, ti informo che il Comitato del Credito non si è ancora riunito per deliberare le nomine al vertice degli Istituti bancari: perciò, al momento, non posso dirti niente in merito alla Presidenza della Cassa di Risparmio di Loreto a cui aspira il Dott. Fanini. Come saprai, c'è un'infinità di Banche - tra cui ben 95 Casse di Risparmio - con Presidenze vacanti. Non resta, allo stato attuale delle cose, che aspettare che il Comitato si riunisca”. 18
E’ da notare come l'articolo non fosse preceduto o seguito da alcuna nota redazionale, né pubblicato quale “lettera" o "intervento", bensì come se il suo autore fosse un giornalista del "Corsera",
GRANDE FRATELLO DEL POTERE OCCULTO governative di politica industriale al sistema bancario, rimasto l’unico incontrollato gestore della politica creditizia. Che il canale sia stato trovato ancora una volta all’italiana, attraverso il controllo politico delle massime “poltrone”?”. All’inizio del 1979, dunque, l’ex piduista Mino Pecorelli “disturbava” una sotterranea manovra di potere rivelando che il palazzinaro Silvio Berlusconi (“il primo che capita”) era “smanioso” di insediarsi al vertice della Cariplo; e dopo avere sottolineato l’inadeguatezza del personaggio, l’editore-dírettore di “Op” concludeva, col suo tipico linguaggio allusivo: “A qualcuno potrebbe venire in mente di premiare il suo impegno politico”. Pecorelli era assai bene informato circa i retroscena del correttivo connubio politica-banche. La CARIPLO era il cardine dell’Iccri (Istituto centrale delle casse di risparmio italiane, più noto come Italcasse), e a fine gennaio 1978 “Op” si apprestava a pubblicare clamorose rivelazioni in merito allo scandalo 19 Sir-Andreotti-Caltagirone-Arcaini-Italcasse : “Op” n° 5 (in uscita il 6 febbraio 1979, poche settimane prima che Pecorelli venisse assassinato) avrebbe dovuto avere in copertina una foto di Andreotti e il cubitale titolo Gli assegni del Presidente 20 . Pecorelli era anche a conoscenza di come nella sporca vicenda che si apprestava a rivelare nei suoi più scabrosi dettagli, fossero direttamente e indirettamente coinvolti il faccendiere italo-svizzero Fiorenzo Ravello (alias Florence Ley Ravello) e i boss mafiosi Giuseppe “Pippo” Calò e Domenico Balducci, i quali erano in stretti rapporti col faccendiere Flavio Carboni, a sua volta in affari con Berlusconi attraverso il prestanome-Fininvest Romano Comincioli 21 . 19
L'anno prima, nel suo ancora misterioso "memoriale" dalla "prigione" brigatista, Aldo Moro aveva accennato alla vicenda nell’ambito di un suo veemente attacco a Andreotti: “l’avvilente canale dell'Italcasse, che si ha torto di ritenere meno importante o più inestricabile di altri, la singolare vicenda dei debitore Caltagirone che tratta sul mandato politico, la successione dei direttore generale [dell'Italcasse, NdA], lo scandalo delle banche scadute e non rinnovate dopo otto o nove anni, le ambiguità sul terreno dell'edilizia e dell’urbanistica, la piaga di appalti e forniture. E lo sconcio dell'Italcasse? E le banche lasciate per anni senza guida qualificata, con la possibilità anche di esposizioni indebite…. un intreccio inestricabile ... ”. 20
L'intervento del clan andreottiano indusse Pecorelli a non pubblicare la prevista copertina né il relativo articolo. Scriverà in proposito la magistratura romana: “[ ... ] Si può allo stato ritenere che nelle settimane antecedenti all'omicidio [di Pecorelli NdA) un gruppo di persone vicine al Senatore Andreotti (i magistrali Vitalone e Testi, l'on. Evangelisti) si sia attivato per scongiurare la pubblicazione di un articolo di pesanti accuse contro il primo. Il pagamento di una somma di denaro, per l'epoca non modesta, ebbe luogo il giorno antecedente all'ornicidio da parte dell'on. Evangelisti [ ... ]. Vi sono elementi che fanno ritenere che gli assegni indicati da Pecorelli [ ... ] e ai quali faceva riferimento la copertina soppressa siano stati negoziati personalmente dal Senatore Andreotti[…] Pecorelli era a conoscenza della ricezione degli assegni da parte del Senatore Andreotti [ ... ] e di questo intendeva scrivere. Badalamenti confidò a Buscetta che il Senatore Andreotti era molto preoccupato, perché avvertito da Pecorelli dell'intenzione di rendere pubbliche delle "porcherie" che lo avrebbero danneggiato politicamente. Degli assegni suddetti, per un importo totale di circa 1.400.000.000 del 1976, 6 (per lire 55.000.000) furono incassati dall'amministratore di una società nella quale aveva interesse di fatto Domenico Balducci, appartenente alla Banda della Magliana e legato a Giuseppe Calò. Detta società era interessata nel piano di salvataggio del Gruppo Caltagirone, anche attraverso Ley Ravello, a sua volta collegato - oltre che a Domenico Balducci -anche a Giuseppe Calò”; cfr. Domanda di autorizzazione a procedere contro.. Andreotti, cit., pagg. 89-90. 21
“II pieno e diretto coinvolgimento di Romano Comincioli, e dunque di Berlusconi, nelle iniziative di Flavio Carboni, è tutt'altro che episodico. Insieme, il prestanome di Berlusconi e il faccendiere sardo combinano affari con Ravello, con Calò, e con altri mafiosi (Sardegna, Siracusa), e anche con un altro protagonista delle cronache giudiziarie, Francesco Pazienza. Lo spregiudicato faccendiere sardo offre al rappresentante di Berlusconi gioielli ricettati, e il rappresentante di
GRANDE FRATELLO DEL POTERE OCCULTO Morto ammazzato Pecorelli nel marzo 1979, e soffocato lo scandalo Andreotti-Italcasse-Caltagirone, della vicenda si torna a parlare nell’estate dell’anno dopo, quando Berlusconi è alle prese con un ingente affare appunto legato all’Italcasse e al crac dei palazzinari andreottiani Caltagirone: “I Caltagirone e le loro società sono stati dichiarati falliti e tutto è in mano alla magistratura, ma le banche (con in testa l’Italcasse) sperano ancora di concludere un compromesso extragiudiziale dal quale ricavare qualcosa in più che dal fallimento. Il patrimonio immobiliare è di circa un milione di metri quadri, anche se molti immobili sono da ultimare. Chi se lo aggiudica può farci sopra un guadagno di molti miliardi, e Berlusconi oggi avrebbe particolarmente bisogno di sostanziosi guadagni [ ... ]. Fino a poco tempo fa, infatti, era convinto di potersi aggiudicare. “L’affare Caltagirone” senza difficoltà.. Grazie a vari legami, si era assicurato l’appoggio del presidente dell’Italcasse Remo Cacciafesta, molto vicino (anche se non solo) al presidente del Senato Animatore Fanfani, che in più circostanze ha dimostrato grande simpatia per Berlusconi. Cacciafesta è arrivato all’Italcasse dopo una sorta di compromesso tra Fanfani e Giulio Andreotti, interessato a vedere chiuso l’affare Caltagirone. Occupandosi di questa vicenda, Berlusconi, dunque, oltre che molti miliardi, potrebbe conquistare la riconoscenza dei due leader Dc. Ma quando era ormai in dirittura d’arrivo è arrivata alle banche l’offerta di un temibile concorrente: il gruppo svizzero Interprogramme, che fra l’altro gestisce il fondo d’investimento Europrogramme. Per Berlusconi l’Interprogramme è pericolosa soprattutto per un motivo: è in grado di disporre di decine di miliardi in contanti [ ... ], mentre lui è comunque obbligato a far ricorso al credito di altre banche per rimborsare quelle implicate nell’affare Caltagirone. Quando al consiglio Italcasse pochi giorni fa sembrava che il presidente Cacciafesta potesse avviare a soluzione il problema con l’offerta di Berlusconi, i consiglieri hanno richiesto invece un ulteriore approfondimento delle offerte, dando mandato al direttore generale dell’Italcasse, Luciano Maccari, di presentare alla seduta del 30 luglio le varie proposte più dettagliate” 22 . Benché nel 1978-79 la scalata della triade Gelli-Berlusconi-Craxi al vertice della Cariplo non raggiunga l’obiettivo, di li a qualche anno - nel 1986 - il presidente del Consiglio Craxi e il suo sodale politico-affaristico Berlusconi riescono comunque ad arrivare al vertice della potentissima Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde attraverso l’insediamento di un presidente di loro stretta fiducia: il vicesegretario della Dc Roberto Mazzotta. Il legame di Berlusconi con Mazzotta (esponente della destra democristiana) era di vecchia data. “In Lombardia e a Milano, un uomo di grande valore come Mazzotta ha Berlusconi firma assegni destinati a malavitosi, e intrattiene dunque rapporti con la malavita romana. Se la famigerata Banda della Magliana può 1avare" i proventi della droga, delle rapine e dei sequestri di persona, riciclandoli nell'acquisto di terreni, società, costruzioni, ciò é anche grazie alle "attività" di Flavio Carboni, alle quali il berlusconiano Comincioli fornisce un decisivo contributo. Le cambiali sottoscritte dalla Elbis con la "girata" del prestanome di Berlusconi, Comincioli, vengono consegnate nelle mani di Diotallevi, il quale provvede a recapitarle a Pippo Calò”; cfr. G Ruggeri, M. Guarino, op. cit., pag. 144. 22
“Il Mondo", 1 agosto 1980.
GRANDE FRATELLO DEL POTERE OCCULTO conquistato la federazione Dc, coagulando la sinistra anticomunista della Base e di Forze Nuove, della Coldiretti, di Comunione e Liberazione”, annunciava compiaciuto, nel 1977, l’allora palazzinaro milanese 23 ; e nel 1979, ormai effettivo nei ranghi della Loggia massonica segreta P2, e legato al neo-segretario Psi Bettino Craxi, confer mava: “Sono stato vicino a Mazzotta e ai suoi amici e a quanti cercavano di fare della Dc un partito moderno”. Fatto è che nel 1986 Roberto Mazzotta lascia la vicesegretaria Dc e si insedia al vertice della Cariplo. Nel febbraio del 1994, mentre la Cariplo risulta essere la banca più esposta (insieme alla Comit) verso l’indebitatissima Fininvest avendole accordato ingenti finanziamenti, il suo presidente Roberto Mazzotta finirà in carcere per corruzione, ricettazione e violazione della legge sul finanziamento ai partiti. Pochi giorni dopo, il 12 febbraio, verrà arrestato anche Paolo Berlusconi per una vicenda di ordinaria corruzione inerente la stessa Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde: “Paolo Berlusconi [ ... ] è accusato di aver corrisposto all’ex segretario del Fondo pensioni della Cariplo, Luigi Mosca, somme pari al 4 per cento del valore degli immobili costruiti a Milano 3 dalla sua Cantieri riuniti milanesi al fine di favorirne la vendita all’istituto: due volte 300 milioni per i complessi residenziali “Il Giunco 1 e 2” ceduti il 10 maggio 1983 e il 17 aprile 1984 per 7 miliardi e 300 milioni l’uno, ed altri 310 milioni per “I Faggi” venduti il 21 marzo 1986 per 7 miliardi e 550 milioni [ ... ]. All’epoca dei fatti, la Cantieri riuniti milanesi era interamente controllata dalla Fininvest di Silvio Berlusconi. I magistrati contestano la corruzione al fratello Paolo come “responsabile" della società nel cui consiglio d’amministrazione non sedeva, ed egli del resto ha spiegato ieri che trattava da “operativo” in quanto presidente della Edilnord, la cui struttura commerciale seguiva le compravendite. Altro nodo sciolto dai magistrati è quello della veste giuridica dei funzionari Cariplo che si sostiene corrotti: “Incaricati di pubblico servizio, e comunque pubblici ufficiali”, sul presupposto che il Fondo pensioni gestisce in maniera esclusiva ed alternativa all’Inps le prestazioni previdenziali dei dipendenti, tanto da rientrare sotto l’ala del ministero del Lavoro”. 24 Tra i rinviati a giudizio per gli “affari” detti “tangenti Cariplo”, oltre al presidente Mazzotta e a Berlusconi (Paolo), vi sarà anche Bettino Craxi.
23
Cfr. M. Pirani, Quel Berlusconi l'è minga un pirla, La Repubblica 15 luglio 1977. Nel corso della stessa intervista, Pirani gli domanda: “Come pensa di impegnarsi a favore di queste forze?”, e l'intervistato risponde: “Non certo pagando tangenti ... ”. 24
“Il Giorno", 12 febbraio 1994.
GRANDE FRATELLO DEL POTERE OCCULTO Leoni, Lupi e Cavalieri Cinque settimane prima di venire ucciso, Pecorelli era tornato a occuparsi della vicenda Berlusconi-Cariplo-Italcasse; col titolo Berlusconi lupo di mare per la Cariplo, “Op” del 13 febbraio 1979 scriveva: “Festa grande a Cap d’Antibes il 27 dicembre. Il costruttore milanese, creato cavaliere del lavoro nell’ultima infornata di Leone Giovanni, ha invitato nel suo yacht il fior fiore della stampa lombarda, rappresentata da Nutrizio, Di Bella e Montanelli. Tra caviale sorrisi e champagne, si sarebbe parlato della presidenza della Cariplo e del modo più acconcio per assicurarsi la successione a Giordano Dell’Amore, il cui prestigio è stato giudicato troppo scosso dalla vicenda Italcasse”. Il 2 giugno 1977, in occasione del trentunesimo anniversario della Repubblica, il Capo dello Stato Giovanni Leone - su proposta del ministro dell’Industria Carlo Donat Cattin di concerto col ministro dell’Agricoltura Giovanni Marcora - aveva conferito l’onorificenza di Cavaliere al merito del lavoro ad alcuni “cittadini distintisi per particolari benemerenze nei vari settori dell’economia nazionale”; tra gli insigniti dell’alta onorificenza, il palazzinaro andreottiano Gaetano Caltagirone, e il palazzinaro milanese Silvio Berlusconi. Un mese più tardi, il neo-Cavalier Berlusconi aveva reso pubblico il suo sostegno a due correnti della Democrazia cristiana: quella di Base, capeggiata dal ministro dell’Agricoltura Marcora, e quella di Forze Nuove, guidata dal ministro dell’Industria Donat Cattin, annunciando che avrebbe messo a loro disposizione i suoi mass media, “Telemilano” e “Il Giornale nuovo” 25 . Dichiarerà il piduista Bruno Tassan Din alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2: “Io e Rizzoli incontrammo Gelli nello studio di Donat Cattin, che era ministro dell’Industria. Ero stato accompagnato da un certo Giasoli [Ilio Giasoli], uomo di fiducia di Donat Cattin e grande amico di Gelli”. In una lettera inviata alla stessa Commissione, il generale massone Salvatore Scibetta (tessera P2 1773) scriverà tra l’altro: “Incrociai Gelli all’Hotel Excelsior durante un ricevimento offerto dai Cavalieri del Lavoro [ ... ] al quale partecipai in rappresentanza della Guardia di Finanza”. I rapporti tra il Venerabile maestro e il Presidente della Repubblica “Leone Giovanni" erano di vecchia data, come racconterà lo stesso Gelli: “L’avv. Venturi [che nel 1971 era] in società col sen. Giovanni Leone, mi rivolse un invito e una preghiera molto delicati [ ... ]: ero disposto ad appoggiare, nell’ambito dei numerosi confratelli iscritti alla Loggia P2 e dei loro amici e parenti, la elezione di Giovanni Leone a Presidente della Repubblica? L’interessato, a nome del quale l’avv. Venturi stava parlandomi, avrebbe ricordato in eterno il mio intervento e, da buon napoletano, non avrebbe 25
Cfr. "La Repubblica” 15 luglio 1977.
GRANDE FRATELLO DEL POTERE OCCULTO trascurato un’occasione per manifestarmi la sua riconoscenza. Risposi che poteva fare assegnamento su di me e che mi sarei messo subito in azione, iniziando una penetrante campagna presso quei gruppi di potere che avrebbero potuto orientare buona parte dell’elettorato a vantaggio di Giovanni Leone. Il giorno prima delle elezioni, nella mia qualità di segretario organizzativo della Loggia massonica P2, scrissi al senatore Leone per confermargli che avevo mantenuto pienamente l’impegno assunto con il collega Venturi [ ... ]. L’avv. Venturi mi espresse più di una volta i suoi personali ringraziamenti e quelli entusiastici del neo-presidente. In epoca successiva, il Gran Maestro Lino Salvini e io fummo ricevuti al Quirinale. L’accoglienza del Presidente Leone fu quanto mai cordiale, anzi calorosa. In quella occasione gli consegnammo, ritenendolo la sola autorità dello Stato competente a riceverlo, un progetto di riforma costituzionale che avevo denominato “Schema R”. Il Presidente ascoltò con interesse la mia esposizione, quindi ci assicurò che avrebbe preso visione del progetto [ ... ]. Mi espresse il suo compiacimento per lo spirito di collaborazione che mi animava e mi invitò a tenermi in contatto con il suo segretario particolare, dott. Nino Valentino, per ogni altra futura eventualità” 26 . Il Di Bella che, secondo Pecorelli, il 27 dicembre 1978 si trovava ospite dello yacht del piduista Berlusconi a Cap d’Antibes, era il direttore del “Corriere della Sera” Franco Di Bella, da poche settimane anche lui effettivo nei ranghi della Loggia P2 (tessera 1877, codice massonico E. 19.78, data affiliazione 10 ottobre 1978). Deponendo in veste di testimone nell’ambito del processo P2 presso la Corte d’Assise di Roma, il 3 novembre 1993, Berlusconi sosterrà di essersi affiliato alla setta gelliana ritenendola una “normale” Loggia massonica, anche perché “rassicurato” sul conto del Venerabile maestro dall’amico Franco Di Bella, il quale infatti “conosceva, stimava e apprezzava” Licio Gelli; ma soprattutto, il tycoon della Fininvest ribadirà la stravagante tesi di essere entrato nella P2 per compiacere il suo caro amico Roberto Gervaso: “II motivo principale [della mia affiliazione alla P2] è stato l’insistenza di Roberto Gervaso, che è un mio carissimo amico... Lui aveva bisogno di scrivere sul “Corriere della Sera”, e voleva rendersi utile [alla Loggia]27 ... Ci fu anche un altro motivo, diciamo così, pratico: Gervaso mi andava dicendo che Gelli era molto introdotto presso le autorità politiche argentine, e che in Argentina si doveva sviluppare una grande serie di lavori pubblici. lo allora ero presidente di un Consorzio per l’edilizia industrializzata ... ”. Il controllo da parte della P2 del più diffuso quotidiano italiano -controllo dapprima finanziario, e quindi editoriale - risaliva al 1977, e aveva visto protagonista della manovra, insieme al Venerabile Gelli e al banchiere Roberto Calvi, lo stesso Berlusconi. In un suo libro autobiografico, Di Bella scriverà: “Un giorno [settembre 26
L. Gelli, La Verità, Demetra, Lugano 1989, pagg. 271-74. Le "indiscrezioni" di Pecorelli prendevano costantemente di mira anche il presidente Leone; all'indomani dell'omicidio Pecorelli, emergerà come da ambienti del Quirinale fossero stati effettuati tentativi di "comperare" il silenzio di "Op% ma senza successo poiché -secondo la stampa - gli avversari di Leone "pagavano di più".
27
Gervaso risulta essersi affiliato alla Loggia P2 il 26 gennaio 1978 (tessera 1813), cioè lo stesso giorno che vi si affiliò Berlusconi. La versione fornita ai giudici dal tycoon della Fininvest è quindi implausibile.
GRANDE FRATELLO DEL POTERE OCCULTO 1977, NdA] venne a trovarmi a Bologna Silvio Berlusconi. Non mi legavano allora a Berlusconi vincoli di particolare familiarità [ ... ]. Silvio Berlusconi, cointeressato nell’editoriale del “Giornale nuovo” di Indro Montanelli, mi fece presente che, come coeditore, avrebbe dovuto sperare in un mio rifiuto [ad accettare la direzione del “Corriere della Sera”, NdA] perché il suo giornale avrebbe avuto sicuramente maggiore spazio di diffusione con un “Corriere” tutto a sinistra [quello diretto da Piero Ottone, NdA]. Ma un “Corriere” che fosse riportato su una via meno radicale gli premeva più dei suoi personali interessi” 28 . Il giornalista piduista Roberto Gervaso, da parte sua, scriveva al Venerabile maestro (padrino del “Corriere della Sera”) una lettera del seguente tenore: “Caro Licio, [ ... ] al "Corriere" stanno succedendo cose molto gravi. Il Barba [l’editore piduista Angelo Rizzoli, NdA], a dispetto di tanti discorsi [ ... ], ha imposto a Di Bella l’assunzione di quelli che sono, forse, i due radical-chc più rappresentativi della nostra cultura: Enzo Siciliano [ ... ] e Alberto Arbasino [ ... ]. Io, caro Licio, credimi, a questo punto non capisco più niente. Ho il timore che il Barba ci stia prendendo tutti per i fondelli. Dice una cosa, e fa l’opposto [ ... ]. Ho chiesto a Di Bella di farmi collaborare al “Corriere” [ ... ]. t bene che tutti capiscano che blandire i nemici non serve a niente. Restano nemici. Bisogna premiare gli amici. [ ... ]. Oggi Di Bella parlerà della mia collaborazione con Tassan Din e il Barba. Vedi di fare, se puoi, una telefonata a Tassan Din, affinché non mi metta i bastoni tra le ruote [ ... ]. T’abbraccio, tuo Roberto”. Stando alla nota di “Op”, oltre a Di Bella (direttore del più importante quotidiano nazionale) e a Nino Nutrizio (direttore del quotidiano lombardo “La Notte”) a Cap d’Antibes il piduista “aspirante banchiere” Berlusconi, intenzionato a scalare il vertice della Cariplo, ospitava anche Indro Montanelli, direttore-fondatore del quotidiano milanese “Il Giornale nuovo”. Del “Giornale nuovo”, Berlusconi nella primavera del 1977 era divenuto azionista col 12 per cento delle quote, primo passo verso la progressiva acquisizione del controllo del quotidiano. Un’acquisizione non imprenditoriale, bensì dichiaratamente politica 29 ; un’acquisizione di potere finanziariamente assai onerosa 30 ma connessa al “Piano” piduista di progressiva infiltrazione e conquista dei mass media, non a caso condotta in parallelo anche dal Venerabile maestro in persona: “Montanelli mi illustrò le difficoltà del suo “Giornale” e mi pregò di fargli avere un finanziamento da qualche istituto dì credito [ ... ]. Provvidi presentandolo al Banco Ambrosiano che gli 28
F. Di Bella, Corriere segreto, Rizzoli, Milano 1982, pag. 278. In pratica, il piduista Berlusconi si occupava della direzione del piduista "Corriere della Sera” pur essendo l'editore del concorrente '11 Giornale"... 29
In una lettera al "Corriere della Sera" (10 dicembre 1993), Berlusconi confermerà: “Nella seconda metà degli anni Settanta, quando il Pci di Berlinguer iniziava la sua lunga marcia nella consociazione politica con la Dc, forte anche adora di successi elettorali e di una quantità di applausi opportunisti, entrammo nell'editrice del "Giornale" di Montanelli”. 30
I bilanci del "Giornale nuovo" risulteranno sempre gravemente passivi, con un deficit esponenziale di anno in anno: il presunto "magico imprenditore" non riuscirà a compiere alcun miracolo...
GRANDE FRATELLO DEL POTERE OCCULTO accordò un’apertura di credito. In una successiva occasione, gli ottenni un incontro a colazione con il presidente, Roberto Calvi” 31 . Nell’estate dei 1980, la proverbiale riottosità di Montanelli entra in collisione con gli interessi piduisti rappresentati da Berlusconi (ormai azionista di controllo del “Giornale” col 37,5 per cento): “Berlusconi ha dovuto far rientrare una lettera di dimissioni presentata contro di lui da Montanelli: il più famoso giornalista d’Italia ha protestato contro l’interferenza di Berlusconi in una serie di articoli dedicati al banchiere [piduista] Roberto Calvi e che il giovane azionista del “Giornale” aveva cercato di bloccare” 32 . Montanelli verrà indotto a lasciare la direzione del “Giornale” nel gennaio del 1994, reo di non voler schierare il quotidiano a sostegno della candidatura politica del suo editore-padrone 33 ; nell’occasione, l’anziano direttore dichiarerà: “C’erano già stati [negli anni Ottanta, NdA] degli stridori, tra di noi, quando [Silvio Berlusconi] pretendeva che “Il Giornale” si schierasse con Craxi [ma io] non volevo legare le sorti del giornale a un partito” 34 .
31
"Panorama", 24 maggio 1992.
32
“Il Mondo” 1 agosto 1980. In un appunto datato 7 luglio 1980 e rinvenuto tra le carte sequestrate al Venerabile maestro a Castiglion Fibocchi, Gelli registrava il contrasto fra Montanelli e Berlusconi, e annotava: “Stiamo cercando di rimediare perché la cosa èassai grave in quanto sappiamo che Montanelli è legato all'Avvocato di Torino”. 33
Nel 1992, la proprietà dei "Giornale" è stata intestata da Berlusconi al fratello prestanome Paolo, allo scopo di aggirare il dispositivo anti-concentrazione della già compiacente legge Manuni. 34
“L’Unità”, 10 gennaio 1994.
GRANDE FRATELLO DEL POTERE OCCULTO Associati a delinquere Il formidabile imprenditore che secondo la truffaldina mitologia berlusconiana stava “facendosi da sé” senza “appoggi” né “aiuti”, lo straordinario self made man che stava edificando dal nulla un impero economico col solo ausilio della sua fantasmagorica genialità, a metà anni Settanta era in realtà un palazzinaro tanto ambizioso quanto spregiudicato, oscuramente finanziato, in procinto di scalare la vetta del potere politico-affaristico; la sua avventura edilizia era giunta infatti al capolinea, come rilevava Pecorelli. Nella sua scalata, Berlusconi si avvaleva di due strade parallele e convergenti: quella del potere occulto massonico-affaristico del Venerabile maestro Licio Gelli, e quella del potere politico-affaristico della destra Dc e dei Psi di Bettino Craxi. Licio Gelli diviene Gran maestro della Loggia massonica “coperta” Propaganda 2 il 9 maggio 1975; Bettino Craxi viene eletto alla segreteria del Psi il 15 luglio 1976 35 . Non a caso, è tra il 1975 e il 1980 che la Loggia gelliana dispiega la sua corruttiva opera di infiltrazione nei gangli vitali dello Stato e nell’ambito dei mass media; non a caso, è nella seconda metà degli anni Settanta che Bettino Craxi si consolida al vertice del Psi come nuovo “uomo forte” dei potere politico nazionale, mentre la destra democristiana, dopo la morte di Aldo Moro, assume la leadership della Dc. E non a caso, è tra il 1975 e il 1980 che si pongono le basi del gruppo politico-affaristico Fininvest, ed è in quello stesso periodo che Berlusconi esce allo scoperto, affacciandosi alla ribalta dell’imprenditoria nazionale in forza dei suoi legami di potere. Benché ufficialmente affiliato alla Loggia massonica segreta in data 26 gennaio 1978 (tessera 1816, codice E 19.78, gruppo 17, fascicolo 0625, versamento per quote ‘78 L. 100.000 con ricevuta no 104 del 5-5-78) 36 , i contatti di Berlusconi col Venerabile maestro e con gli ambienti piduisti erano antecedenti. Infatti, il segreto “Piano di rinascita” elaborato dalla P2 tra il 1975 e il 1976 conteneva un preciso riferimento all’attività di Berlusconi, là dove prevedeva la necessità di introdurre nell’ordinamento una “nuova legislazione urbanistica favorendo le città satellite” (e il primo e il solo costruttore italiano alle prese con 14città satellite" era per l’appunto Berlusconi con Milano 2). Inoltre, fin dal luglio 35
L'elezione di Craxi (esponente della corrente autonomista) a segretario dei Psi in sostituzione di Francesco De Martino è resa possibile dal voto della stessa corrente demartiniana guidata dal leader Enrico Manca. Il nome di Manca risulterà negli elenchi della Loggia P2 (tessera 2148, codice E.15.80); nel "Piano di rinascita" piduista il nome di Craxi era espressamente indicato quale possibile referente della Loggia gelliana e dei suoi disegni autoritari. Nella primavera del 1994, Craxi e Gelli verranno rinviati a giudizio e condannati in primo grado per concorso in bancarotta fraudolenta in relazione al crac del Banco Ambrosiano del piduista Roberto Calvi (il quale finanziava il Psi anche attraverso il conto svizzero "Protezione"). 36
Berlusconi verrà riconosciuto colpevole di falsa testimonianza (sentenza della Corte d'Appello di Venezia, maggio 1990) per avere posticipato al 1981 la data della sua affiliazione alla loggia gelliana, data che la Commissione parlamentare d'inchiesta aveva invece accertato essere quella dei 26 gennaio 1978, come indicato negli elenchi del Venerabile maestro.
GRANDE FRATELLO DEL POTERE OCCULTO 1977 Berlusconi aveva espresso tesi e concetti politici totalmente coincidenti con i “presupposti politici” indicati nel segretissimo “Piano” piduista, esplicitando l’utilizzo dei suoi mass media (“Il Giornale nuovo” e “Telemilano”) in chiave di strumento politico “anticomunista” esattamente come indicato nel “Piano” della Loggia segreta 37 . La stessa genesi del gruppo Fininvest si sviluppa all’ombra della Loggia massonica segreta. Il 21 marzo 1975 viene costituita a Roma la Fininvest srl (che il successivo 11 novembre viene trasformata in “spa” e trasferita a Milano): l’identità dei suoi promotori è occulta perché coperta dallo schermo di due fiduciarie - Servizio Italia spa e Società azionaria fiduciaria spa 38 - facenti capo alla Banca Nazionale del Lavoro, istituto di credito infiltrato e controllato dalla Loggia P2. L’8 giugno 1978, le due fiduciarie Bnl costituiscono la Fininvest Roma srl. Il 26 gennaio 1979, la Fininvest Roma srl delibera l’incorporazione per fusione della Fininvest spa di Milano; il successivo 28 giugno, la Fininvest Roma srl assume la nuova denominazione di Finanziaria di Investimento-Fininvest srl, e trasferisce la propria sede sociale a Milano. L’occulto divenire del gruppo Fininvest e le scorribande berlusconiane e gelliane nei segreti meandri del credito bancario si avvalgono di coperture e complicità ai massimi livelli. La Loggia P2 non controlla -soltanto il vertice della Banca Nazionale del Lavoro 39 e le due fiduciarie Bnl che danno origine alla 37
Il “Pìano” prevedeva infatti “l'immediata costituzione di una agenzia per il coordinamento della stampa locale e della Tv via cavo da impiantare a catena in modo da controllare la pubblica opinione media nel vivo dei Paese”, e la corruzione di giornalisti ai quali “affidare il compito di "simpatizzare" per gli esponenti politici” acquisiti ai disegni della Loggia. Berlusconi, nel '77, dichiarava la sua intenzione di “mettere a disposizione” degli esponenti della destra Dc i suoi mass media. 38
“Servizio Italia è presente in tutte le vicende dei bancarottiere mafioso e piduista Michele Sindona. Della Capitalfin di Nassau (esotico "paradiso fiscale” una delle “casseforti" sindoniane, presidente è Alberto Ferrari, ai tempi anche presidente della Bnl; segretario è Gianfranco Graziadei, che è anche direttore generale di Servizio Italia - Ferrari e Graziadeí risulteranno entrambi affiliati alla Loggia segreta P2. Gli editori piduisti Angelo Rizzoli e Bruno Tassan Din operano attraverso Servizio Italia. I maneggi piduisti con la casa editrice Rizzoli e il "Corriere della Sera" si avvalgono di Setvizio Italia. La miliardaria operazione speculativa con la Savoia Assicurazioni da parte della Loggia P2 è curata da Servizio Italia, così come i traffici di Gelli con 217 mila azioni Italimmobiliare. Il Venerabile maestro della Loggia P2 scrive all'affiliato Tassan Din indirizzando non già al suo domicilio privato o presso la Rizzoli, bensì presso la sede di Servizio Italia. Nel luglio 1982, pochi giorni prima dei suo arresto in relazione alla morte dei banchiere piduista Roberto Calvi, il faccendiere Flavio Carboni disporrà l'intestazione fiduciaria delle sue società a Servizio Italia... t dunque assodato che Servizio Italia, formalmente Bnl, èpienamente controllata dalla Loggia P2, e che dietro il suo schermo si celano anche società e interessi di ogni sorta. “Quanto alla Società azionaria fiduciaria, negli anni in cui essa concorre, con Servizio Italia, a creare le fondamenta del gruppo Fininvest, l'età media dei suoi dirigenti è prossima agli 80 anni [ ... ]. Risulta dunque del tutto implausibile l’attribuzione a un gruppo di funzionari ottuagenari degli ambiziosi e avveniristici progetti che sottendono la nascita del gruppo Fininvest: progettazione, costruzione, commercializzazione di "città satellite" e annessi servizi, ma anche trasporti aerei privati, attività parabancarie, televisione commerciale... t evidente che 1a mente", il "centro propulsore" dei grandioso programma "a tutto campo" è altrove, e precisamente nella Loggia massonica segreta Propaganda 2 e nel suo “Piano” per il controllo politico-economico del Paese”; G. Ruggeri, M. Guarino, op. cit., pagg. 107-08. 39 Tra i piduisti insediati ai vertici della Bnl e agli ordini del Venerabile maestro, sei controllavano tutta l'attività operativa della banca: Mario Diana (responsabile del Servizio titoli e Borsa, tessera P2 1644 col grado di "maestro"), Bruno Lipari (direttore centrale delle filiali, tessera P2 1919 col grado di "maestro"), Gustavo De Bac (direttore centrale per gli affari generali, tessera P2 1889 col grado di “apprendista” Gianfranco Graziadei (amministratore delegato, e direttore generale di Servizio Italia, tessera P2 1912 coi grado di “maestro” Alberto Ferrari (già direttore generale della Bnl, e infine responsabile del settore estero, tessera P2 1625 col grado di “maestro” e Raffaele Guido (responsabile relazioni esterne).
GRANDE FRATELLO DEL POTERE OCCULTO Fininvest: affiliato alla Loggia segreta è anche il ministro andreottiano Gaetano Stammati (tessera P2 1636), alle Finanze nel V governo Moro (1976) e ministro del Tesoro nel III governo Andreotti (1976-78); dopo il piduista Stammati, al ministero del Tesoro (responsabile della politica creditizia, e detentore del capitale Bnl) si insedierà il democristiano Filippo Maria Pandolfi (1978-80), del quale Berlusconi, fin dal 1977, era andato tessendo pubblici elogi 40 benché Pandolfi fosse un politico di assai modesta levatura nell’ambito della stessa Dc. Ma la banda gelliana controllava soprattutto la Guardia di Finanza: piduisti erano sia il corrotto comandante del Corpo, generale Raffaele Giudice (tessera P2 1634), sia il capo di Stato maggiore della Gdf generale Donato Lo Prete (tessera P2 1600). Nel 1980, il fratello piduista costruttore di “città satellite” (Milano 2) è alle prese con speculazioni edilizie in Sardegna, dove intende edificare Olbia 2. Suo rappresentante-prestanome è il funzionario Fininvest Romano Comincioli, il quale è in società - in nome e per conto di Berlusconi - col faccendiere Flavio Carboni (a sua volta in traffici col banchiere piduista Roberto Calvi). È per via della progettata speculazione a Olbia 2 che il nascente gruppo Fininvest allaccia rapporti col “fratello” Armando Corona, futuro Gran maestro della massoneria italiana (verrà eletto al vertice del Grande Oriente d’Italia nel marzo 1982). “Conobbi il Carboni nel gennaio 1981”, dichiara il Gran Maestro Corona al Tribunale di Milano nel 1982; “All’epoca io ero presidente dell’Assemblea regionale sarda [ ... ]. Il Carboni mi parlò appunto di questa sua attività e mi disse che intendeva presentarmi il signor Berlusconi Silvio, imprenditore milanese, che aveva interessi con lui e che era orientato a operare in Sardegna. In effetti successivamente il Carboni venne con il predetto Berlusconi ed entrambi mi dissero che avevano dei grossi progetti per la Sardegna. Preciso che dai termini con i quali si esprimevano traspariva chiaramente una comunanza di interessi, nel senso che apparivano soci nel progetto del quale parlavano. Dissero in particolare che avrebbero voluto costruire una seconda Olbia, Olbia 2”. Secondo Emilio Pellicani (segretario-factotum di Carboni), “il periodo in cui Corona inizia a prendere dei soldi da Carboni parte dal 1980, quando lui era ancora presidente della Regione sarda. In quella occasione credo che abbia avuto da parte di Carboni dei finanziamenti provenienti dal gruppo Berlusconi per l’operazione Olbia 2 [ ... ]. Carboni mi disse di aver già “bonificato” varie persone della Sardegna, tra cui l’onorevole Corona, per circa 300 milioni, 200 dati all’on. Corona, e altri ad altre persone... Lo so, perché ci furono addebitati 500 milioni che furono portati da Fedele Confalonieri tutti in contanti a Cagliari mentre Carboni, Berlusconi e Corona erano a Cagliari. Confalonieri [portò] 500 milioni in contanti [dentro una] valigetta ventiquattr’ore”. Secondo il braccio destro di Carboni, altri 150 milioni (prelevati il 14 maggio 1981) sono serviti a corrompere i politici sardi: in questo caso ne avrebbero beneficiato la segreteria del presidente della Regione Angelo Roich per “l’operazione Sardegna-Berlusconi”, e altri “politici sardi sempre in relazione alla 40
Cfr. Quel Berlusconi… “La Repubblica” 15 luglio 1977.
GRANDE FRATELLO DEL POTERE OCCULTO famosa operazione”; complessivamente, secondo Pellicani, “Carboni aveva stabilito con Berlusconi 7 miliardi di spese politiche. Era il costo politico dell’operazione [Olbia 2]” 41 . La Loggia massonica segreta Propaganda 2 (definita dal Presidente della Repubblica Pertini “una associazione a delinquere”) viene “scoperta” dalla magistratura di Milano il 17 marzo 1981. Lo scandalo porterà alla crisi dei governo Forlani 42 e all’istituzione di una apposita Commissione parlamentare d’inchiesta. Il 26 ottobre 1981, interrogato dalla Commissione parlamentare nella sua qualità di affiliato alla Loggia, Berlusconi tra l’altro dichiara: “Mi sono iscritto alla P2 nei primi mesi del 1978, su invito di Licio Gelli che conoscevo da circa sei mesi e che avevo visto solo due volte. Ero convinto che la Loggia fosse parte del Grande Oriente d’Italia. Non ho mai versato contributi [ ... ]. Gelli mi chiari che tramite la Massoneria, organizzazione internazionale, avrei potuto avere dei canali di lavoro, e contatti internazionali utili per la mia attività di presidente del Consorzio per l’edilizia industrializzata. Non vi fu cerimonia di iniziazione; non ho avuto alcun rapporto con altri affiliati Nulla so dei rapporti di Gelli con Carmine Pecorelli”. Ma l’ex senatore Sergio Flamigni, già componente della Commissione parlamentare d’inchiesta, preciserà: “La deposizione di Berlusconi davanti alla Commissione fu menzognera e reticente. Berlusconi menti quando affermò di non avere versato contributi: il 22 marzo 1982 la Guardia di Finanza verificò la piena corrispondenza tra la quota pagata di L. 100.000, la ricevuta trovata nell’ufficio di Gelli, e i versamenti sul conto “Primavera” presso la Banca dell’Etruria che Gelli utilizzava per i pagamenti delle quote degli affiliati. Menti quando negò la cerimonia di iniziazione: la Commissione acquisì un documento proveniente dall’archivio di Gelli in Uruguay nel quale, a fianco del nome “Berlusconi Silvio” vi era l’annotazione “Juramento Firmado”. Berlusconi menti anche e soprattutto quando affermò di non avere avuto alcun rapporto con altri affiliati: basti considerare tutti i rapporti avuti con i banchieri piduisti del Monte dei Paschi di Siena e della Bnl, e a quelli che intrattenne con giornalisti (Gervaso, Di Bella) e editori (Rizzoli e Tassan Din). Del resto, la stessa storia della P2 dimostra come la falsa testimonianza sia essa stessa prova di “appartenenza” alla Loggia segreta, proprio perché i “fratelli” piduisti erano vincolati alla segretezza da un giuramento e da regole che li vincolavano alla fedeltà alla Loggia”. Nel corso della deposizione resa alla Commissione parlamentare d’inchiesta, il piduista Bruno Tassan Din (amministratore delegato del gruppo Rizzoli-Corriere 41
Audizione di Pellicani presso la Commissione parlamentare P2, seduta dei 24 febbraio 1983 (Atti, tomo XXI, pag. 478). Roich smentirà ogni suo collegamento col progetto Olbia 2. 42
Nel gabinetto, gli stessi ministri Adolfo Sarti (Grazia e Giustizia) e Enrico Manca (Commercio Estero) risultavano coinvolti nello scandalo. Rassegnarono le dimissioni perché affiliati alla P2 il capo di Stato maggiore della Difesa Giovanni Torrisi, e i capi dei servizi segreti Giuseppe Santovito e Giulio Grassini.
GRANDE FRATELLO DEL POTERE OCCULTO della Sera) confermerà: “Gelli era molto amico di Berlusconi, e in diverse occasioni mi disse di fare degli accordi con lui sia nel settore della televisione che dell’editoria. lo conoscevo Berlusconi direttamente, e questi in verità mi fece riferimento alla opportunità di un accordo nel quadro anche dei contatti che lui aveva con Gelli”. Al termine dei suoi lavori, la Commissione parlamentare d’inchiesta stabilirà che la Loggia P2 “si è posta come motivo di inquinamento della vita nazionale mirando ad alterare in modo spesso determinante il corretto funzionamento delle istituzioni secondo un progetto che mirava allo snervamento della democrazia... Tale organizzazione, per le connivenze stabilite in ogni direzione e a ogni livello, e per le attività poste in essere, ha costituito motivi di pericolo per la compiuta realizzazione del sistema democratico”. La Loggia P2 verrà dichiarata sciolta a norma di legge. Il Venerabile maestro Licio Gelli (latitante dal marzo 1981, arrestato in Svizzera nel settembre 1982, evaso dal carcere ginevrino di Champ Dollon nel settembre 1983, costituitosi in terra elvetica nel settembre 1987 e subito estradato in Italia) verrà inquisito dalla magistratura per numerosi e gravissimi reati: omicidio Pecorelli; concorso in bancarotta per il crac del Banco Ambrosiano, e quale mandante dell’omicidio Calvi; costituzione di capitali all’estero; cospirazione politica; cospirazione militare; spionaggio; interesse privato in atti d’ufficio; rivelazione di segreti di Stato; finanziamento di gruppi armati a scopi eversivi; associazione sovversiva con finalità di strage; depistaggio di indagini; calunnia; millantato credito; associazione a delinquere; truffa aggravata... Nel dicembre 1988, il piduista Berlusconi - ormai potentissimo tycoon legato a doppio filo al potentissimo Bettino Craxi - dichiara polemico: “Sono sempre in attesa di conoscere quali fatti o misfatti siano effettivamente addebitati a Licio Gelli”43 . L’interessata "attesa" del tycoon piduista per le vicende giudiziarie del suo Venerabile maestro verrà parzialmente appagata poco tempo dopo: nel 1992, Gelli verrà condannato a 19 anni di carcere per concorso nella bancarotta del Banco Ambrosiano; nel 1994, verrà condannato a 10 anni nell’ambito del processo per la strage di Bologna del 2 agosto 1980 (“calunnia aggravata da finalità di terrorismo”); ancora nel 1994, verrà condannato a 17 anni di reclusione dalla Corte d’Assise di Roma per vari reati connessi alla vicenda della Loggia P2.
43
"Corriere della Sera", 15 dicembre 1988.
GRANDE FRATELLO DEL POTERE OCCULTO Il venerabile Berlusconi Nell’ambito della inchiesta sulla massoneria “deviata” condotta dalla Procura della Repubblica di Palmi, il 23 marzo 1994 (a quattro giorni dalle elezioni politiche) il sostituto procuratore Maria Grazia Omboni dispone l’acquisizione degli elenchi dei candidati nel partito-setta “Forza Italia”. Alcuni agenti della Digos eseguono l’ordine del magistrato presso la sede romana del partito-Fininvest, suscitando la furente reazione del suo messianico leader: “È una provocazione contro la libertà degli italiani... Queste cose avvengono solo nei Paesi totalitari... La situazione in Italia sta degenerando e trasformando una democrazia in uno Stato giustizialista e poliziesco” 44 . Ventiquattro ore dopo, il Pm Omboni viene convocata al cospetto della prima commissione del Consiglio superiore della magistratura per "giustificare" il proprio operato. “Per quattro ore la Omboni ha raccontato dei voti che alcune Logge coperte della massoneria avrebbero dirottato su candidati di Forza Italia Ha rivelato l’esistenza di una Loggia coperta che già sta lavorando per garantirsi appalti e commesse per l’Anno Santo del Duemila. Ha accennato a un contributo di 100 milioni versato da Berlusconi all’ex ministro degli Esteri, il socialista Gianni De Michelis”, scrive il settimanale “L’Europeo”. “La Omboni sostiene di avere deciso il blitz a Forza Italia dopo avere ricevuto due rapporti dalla Digos, di Cagliari e di Roma. E primo, datato 23 marzo, proverebbe gli stretti legami tra massoneria e partito di Berlusconi. “La Digos di Cagliari”, ha detto la Omboni, "ci ha comunicato che il potente gruppo massonico, che fa capo all’ex gran maestro del Grande Oriente d’Italia Armando Corona, appoggia il partito ‘Forza Italia’. Lo provano alcune intercettazioni telefoniche. In una, un certo Locatelli rassicura cosi Corona: ‘Tutti i fratelli sono coinvolti, un mucchio di loro amici stanno organizzando club di Forza Italia’. li rapporto della Digos riferisce poi di una conversazione tra un medico (rimasto senza nome) e Ketty Corona, figlia dell’ex Gran maestro. Forza Italia, spiega il medico, incontra qualche difficoltà nella raccolta delle firme per la presentazione delle liste a Carbonia. ‘Avvisa tuo padre’, dice il misterioso dottore a Ketty, ‘e digli di chiamare tutti i fratelli della zona, di mobilitarli, di muoverli, altrimenti non ce la facciamo’”. La Omboni commenta: “Questi sono i dati dai quali già emergevano buone ragioni per pensare che la massoneria, al di là della sua sbandierata apoliticità, fosse impegnata nel sostenere alcune forze politiche in maniera del tutto occulta. Apparentemente i massoni non vogliono occuparsi di politica, né interferire nelle scelte elettorali dei fratelli. In realtà, e ciò emerge da molti atti processuali, vi sono inviti a votare questo o quel candidato, non tanto perché appartenente ad un certo partito bensì perché massone”. E l’ipotesi di lavoro su cui si basa la maxi-indagine avviata dall’ex procuratore di Palmi Agostino Cordova, che vede indagate oltre 400 persone in tutta Italia, viene sintetizzata dalla Omboni con queste parole: “Secondo la 44
Nel coro delle vibrate proteste del partito-Fininvest per il puntuale operato del Prn Omboni, si distingue l'aspirante onorevole berlusconata Tiziana Maiolo. Ottenuta l'agognata poltrona con l'elezione alla Camera, la Maiolo conferirà adeguato spessore alla sua missione politica proclamando: “Bisognerebbe circoscrivere la prostituzione in zone lontane dal centro cittadino, in aree apposite”.
GRANDE FRATELLO DEL POTERE OCCULTO nostra ipotesi, la massoneria costituirebbe un partito trasversale che intende mettere nei vertici di potere i suoi uomini di potere, fratelli e affiliati, palesi e no, per essere poi in condizione di governare” [ ... ]. In gennaio la Procura di Palmi, sulla scia delle stesse indagini, ha scoperto l’esistenza di una Loggia segreta, coperta dalle insegne di una “società di servizi” che sarebbe servita per la trattazione di affari in vista dell’Anno Santo previsto per il Duemila. “Il gruppo di affari”, ha spiegato la Omboni, “mirava ad accaparrare commesse e appalti”. In Sardegna, poi, è venuta fuori la storia del finanziamento di Silvio Berlusconi a Gianni De Michelis. “La Digos di Cagliari”, ha spiegato la Omboni al Csm, “ha intercettato una conversazione in cui emerge un incontro interessante. Una delle ex segretarie dell’onorevole De Michelis va a trovare l’avvocato Frongia, massone, molto legato al Gran maestro Corona, e curatore di molti dei suoi affari. La donna chiede a Frongia notizie sull’andamento dei club di Forza Italia a Cagliari. Poi, tra le altre cose, racconta anche che nel giro di De Michelis c’è inquietudine. Si teme che un’altra segretaria dell’ex ministro riveli ai giudici che De Michelis avrebbe ricevuto da Berlusconi 100 milioni”. Così la Omboni ha deciso, nonostante la vicinanza delle elezioni, di spedire la Digos a Forza Italia. “Ma perché non ha aspettato le elezioni? Perché tanta fretta?”, chiede un consigliere del Csm. E Omboni ribatte: “Per verificare se era in atto un’interferenza nella propaganda elettorale, dovevamo capire cosa stava succedendo prima delle elezioni” [ ... ]” 45 . Dopo l’audizione, il Csm non adotterà alcun provvedimento disciplinare nei confronti del Pm Omboni, né esprimerà censure verso il suo operato, la cui puntualità troverà anzi una indiretta conferma il successivo 11 maggio, con l’arresto di quattro “fratelli” della massoneria “deviata”: “Sono: il principe Giovanni Alliata di Montereale, 73 anni, già coinvolto nel golpe Borghese, Sovrano dell’associazione segreta Obbedienza; il colonnello Benedetto Miseria, Gran Maestro dell’Obbedienza di Alliata; Cosmo Sallustio Salvemini, massone di una Loggia coperta e fondatore del Movimento Salvemini intitolato al grande storico Gaetano di cui è nipote; e Alfredo Rasoli, segretario del Movimento Salvemini. L’accusa: il principe Alliata aveva promesso al gruppo Solidarietà, la lista anti-Rutelli del colonnello Pappalardo, e in particolare ai candidati Salvemini e Rasoli, un finanziamento di 500 milioni e 2500 voti a patto della loro affiliazione alla sua Loggia segreta. Le prove: 45 intercettazioni telefoniche fatte tra il giugno ‘93 e l’aprile di quest’anno. Scrivono i giudici del pool di Palmi che ha condotto l’inchiesta: “Ernergono in maniera inequivocabile le finalità illecite che la Loggia persegue come centro di affari attraverso non ben definibili collegamenti con il Vaticano, con la famigerata Banda della Magliana, con l’Fbi e i servizi segreti americani [ ... ]. Risulta che Alfredo Rasoli, vero braccio destro di Salvemini, si è presentato alle recenti consultazioni politiche in qualità di presidente di un club di Forza Italia, mentre Antonio Pappalardo, già candidato per la lista Solidarietà democratica facente capo al Salvemini, parteciperà come testimonial a un incontro elettorale organizzato dal club di Forza Italia”. I giudici scrivono anche che “tale Gustavo Selva [il cui nome era negli elenchi di affiliati alla Loggia P2, NdA], 45
“L'Europeo”, 6 aprile 1994.
GRANDE FRATELLO DEL POTERE OCCULTO già appartenente al Movimento Salvemini, ha avanzato la sua candidatura nelle liste di Forza Italia su sollecitazione dello stesso Salvemini che a tale scopo aveva convocato una riunione”” 46 . A distanza di tredici anni dalla “scoperta” della Loggia segreta del Venerabile Gelli, il 16 aprile 1994 la seconda sezione della Corte d’Assise di Roma emette la prima sentenza giudiziaria sul conto di alcuni esponenti della banda massonica P2. Nell’ambito del procedimento, a Gelli non viene addebitata la principale accusa – “cospirazione politica mediante associazione” - perché estradato dalla Svizzera con esclusione di tale imputazione: ma il Venerabile viene comunque condannato a 17 anni di reclusione perché riconosciuto colpevole di millantato credito, di calunnia e procacciamento di notizie segrete 47 . Con una sentenza che ribalta le conclusioni cui era pervenuta la Commissione parlamentare d’inchiesta, e che disattende la stessa requisitoria dei Pm Elisabetta Cesqui (“La P2 è stata un’associazione delittuosa volta a commettere molteplici atti di spionaggio, di violazione di segreti rilevanti per la sicurezza nazionale. Un’associazione tesa a modificare la Costituzione dello Stato con mezzi non consentiti e diretta a turbare l’esercizio e le prerogative del governo e del Parlamento”), la Corte d’Assise assolve gli imputati dall’accusa di cospirazione politica. Mentre il Pm Cesqui annuncia il ricorso in Appello, la sentenza “assolutoria” desta sensazione nel mondo politico 48 . L’ex magistrato Ferdinando Imposimato commenta: “Che brutto segnale. La massoneria e la P2 stanno recuperando su tutti i fronti. Purtroppo anche in magistratura”. Il più illustre degli affiliati alla Loggia segreta, il presidente del Consiglio incaricato Berlusconi, dichiara: “Significa che non c’erano gli estremi per una sentenza diversa... Saranno gli storici a giudicare se quella cosa [la Loggia P2, Nd4] è stata uno scoop giornalistico prolungato o qualcosa di più sostanzioso”. Commenta Alessandro Galante Garrone: “ [A Berlusconi] si deve rispondere che, allo stato degli atti, non abbiamo alcun diritto di affermare o escludere la sussistenza di quegli “estremi”. E mi pare, inoltre, piuttosto ingenuo rimettersi, come egli fa, agli "storici" del futuro. Prima degli storici, altri giudici dovranno pronunciarsi in questa causa. Detto questo, non possiamo tacere una certa inquietudine che questa decisione ha suscitato in noi. Da anni ormai abbiamo avuto la possibilità di conoscere tutti gli elementi raccolti da una famosa Commissione parlamentare, e la precisa e documentata relazione di maggioranza, redatta dalla sua presidente Tina Anselmi, una delle persone più serie, oneste, coraggiose della nostra vita parlamentare. Siamo veramente ansiosi di sapere quali documenti e argomenti siano stati portati, dall’odierna sentenza, per infirmare o distruggere quella relazione” 49 . 46
"L'Espresso", 27 maggio 1994. Di questa specifica vicenda connessa alla sua indagine e ai candidati di “Forza Italia”, il Pm Omboni aveva esplicitamente parlato nel corso della sua audizione davanti al Csm. 47
Viene condannato anche il generale Gianadelio Maletti, ex ufficiale del Sid, per sottrazione di documenti segreti poi rinvenuti nell'abitazione del direttore di "Op" Carmine Pecorelli. 48
Esulta il Venerabile maestro: “P la conferma che la storia della Loggia P2 è una delle tante tristi favole all'italiana”.
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“La Stampa”, 17 aprile 1994.
GRANDE FRATELLO DEL POTERE OCCULTO
Nel governo di destra scaturito dalle elezioni politiche del 27-28 marzo 1994 e guidato dal piduista Berlusconi, trova posto, quale ministro dei Trasporti, l’ex democristiano e neo-neofascista Publio Fiori, il cui nominativo era presente negli elenchi P2 (tessera 1878, codice E. 19.78, data affiliazione 10 ottobre 1978). Alla presidenza della Commissione Affari costituzionali della Camera, la maggioranza governativa (formata dal partito-Fininvest con neofascisti e leghisti) insedia Gustavo Selva, indicato negli elenchi piduisti con tessera 1814, codice E. 19.78, data di affiliazione 26 gennaio 1978 (cioè lo stesso giorno nel quale si era affiliato il “fratello” Berlusconi). All’importante dicastero degli Esteri, il presidente del Consiglio piduista nomina l’ex “aspirante piduista” Antonio Martino, a proposito del quale Sergio Flamigni conferma: “Tra i documenti sequestrati al Venerabile maestro vi era la domanda di affiliazione alla Loggia segreta firmata da Antonio Martino e inoltrata a Gelli poco prima che scoppiasse lo scandalo. Le aspirazioni piduiste del berlusconiano professor Martino forse rientrano nella tradizione della sua famiglia: il nome di suo padre – l’on. Gaetano Martino - era infatti compreso nell’elenco dei massoni iscritti alla P2 e restituiti al Grande Oriente nel 1975, elenco consegnato da Salvini e Gelli ai giudici di Firenze che indagavano sul delitto del magistrato romano Vittorio Occorsio”. Nella disputa che si accenderà per la carica di presidente dei deputati di “Forza Italia”, si fronteggeranno le candidature degli onorevoli Alessandro Meluzzi e Umberto Cecchi, entrambi affiliati alla massoneria. Il 17 luglio 1994, il presidente del Consiglio Berlusconi ha un “incontro riservato” con l’ex presidente Ciriaco De Mita. L’incontro tra i due avviene a Roma, in via Nicotera 8, presso lo studio del consulente Fininvest avvocato Elio Siggia. Siggia, già giudice tutelare della Corte d’Appello di Roma, era stato allontanato dalla magistratura perché effettivo nei ranghi della Loggia P2 (tessera 1888, data affiliazione 10 ottobre 1978). Nel 1993, Siggia era stato eletto segretario della “Lega meridionale” il nuovo “partito politico” fondato nel 1989 dal Gran maestro della massoneria di rito scozzese Giorgio Paternò con segretario il Gran maestro della Loggia Giustizia e Libertà Egidio Lunari. “Nel novembre del 1990, in un [affollato] albergo romano, la “Lega meridionale” [aveva fatto] la sua prima uscita. Unica personalità presente: don Vito Ciancimino” 50 .
50
F. Forgione, P. Mondani, op. cit., pag. 131.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI Belzebù (o lo Spirito Santo) Nella cupola dell’impero Fininvest, Marcello Dell’Utri non è, come scrive la stampa, “il numero 3”, né “uno dei dirigenti”: è il numero Uno bis. Là dove Berlusconi è il Padreterno, Dell’Utri è lo Spirito Santo - un potentissimo Belzebù nell’ombra, la cui ombra è speculare alla 1uce" berlusconiana. Non a caso, Dell’Utri è stato il primo amministratore della prima pietra societaria del futuro gruppo Fininvest (Immobiliare San Martino, 1974); non a caso, rimarranno sempre nelle sue mani le chiavi della cassa dell’impero (Publitalia ‘80, l’aorta finanziaria della Fininvest); e non a caso, Dell’Utri sarà l’ideatore-regista-organizzatore del partito-setta “Forza Italia”. Nell’artistica tomba-mausoleo fatta erigere da Berlusconi nei giardini della villa di Arcore, infatti, è stato previsto anche il sacro loculo che ospiterà le spoglie del Belzebù della Fininvest quando egli passerà a miglior vita. Marcello Dell’Utri è stato - insieme all’altra entità della cupola Fininvest, Cesare Previti - uno dei crocevia nell’oscuro divenire del gruppo politico-affaristico che ha in Berlusconi il rappresentante ufficiale, ed è soprattutto attraverso l’ambigua figura di Dell’Utri e il suo enigmatico ruolo che sull’impero Fininvest si staglia l’ombra di Cosa Nostra. *** Sul conto di Dell’Utri fino ai primi anni Settanta si hanno notizie lapidarie: nato a Palermo l’11 settembre 1941 (come il fratello gemello Alberto), laureato in legge, ha lavorato per un breve periodo in una banca siciliana. Non è dato sapere quando e perché Dell’Utri abbia lasciato Palermo per Milano, né quando abbia avuto luogo il suo incontro con Berlusconi e in quali circostanze lo stesso Berlusconi, a domanda di un magistrato, avrà modo di non rispondere dichiarando reticente: “Conosco Dell’Utri fin da quando eravamo ragazzi” 1 . Stando a una testimonianza priva di riferimenti temporali, Dell’Utri avrebbe svolto un’opera di mediazione tra Cosa Nostra e Berlusconi avendo la mafia appuntato la sua criminosa attenzione sul giovane costruttore milanese con minacce estorsive 2 . Secondo altre voci (allo stato prive di riscontri), intorno a metà degli anni Sessanta le prime cosche mafiose radicate a Milano e in Lombardia e attive nel settore edilizio-immobiliare avrebbero progettato un sequestro di persona ai danni di Berlusconi: la vicenda avrebbe poi avuto una qualche soluzione proprio grazie a Dell’Utri 3 . 1
Deposizione resa al G.I. Giorgio Della Lucia in data 26 giugno 1987.
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Nel corso di una deposizione resa al Tribunale di Milano in data 5 maggio 1978, il finanziere in odore di mafia Filippo Alberto Rapisarda dichiara: “Marcello Dell'Utri mi disse che [la sua conoscenza di noti boss mafiosi era dovuta al fatto che aveva funto da mediatore] tra coloro che avevano fatto estorsioni e minacce al Berlusconi e il Berlusconi stesso [..J. Il Dell'Utri mi disse anche che la sua attività di mediazione era servita a ridurre le pretese di denaro dei mafiosi”.
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L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI
È certo che il 16 settembre 1974, il palermitano Marcello Dell’Utri, già residente a Milano 4 , si reca a Roma, al no 1/b di Salita San Nicola da Tolentino (una via attigua alla sede centrale della Banca Nazionale del Lavoro), e presenzia alla costituzione della società Immobiliare San Martino spa, della quale viene nominato amministratore unico. 1 promotori della società sono coperti dall’anonimato e rappresentati da Servizio Italia spa e Società azionaria fiduciaria spa (due fiduciarie della Bnl Holding) 5 . L’enigmatica Immobiliare San Martino (“prima pietra” del futuro gruppo Fininvest, l’identità dei cui promotori, celati dalle due fiduciarie Bnl, ovviamente Dell’Utri conosce) è una società ulteriormente strana, poiché rimane del tutto inattiva e “in sonno” fino all’estate del 1977, quando all’improvviso aumenta il capitale sociale da 1 a 500 milioni, trasferisce la sede sociale da Roma a Milano, e muta la propria ragione sociale in Milano 2 spa. Il 13 settembre 1977, Dell’Utri lascia la carica di amministratore unico, e quale amministratore della Milano 2 spa ex Immobiliare San Martino spa gli subentra il prestanome Giovanni Dal Santo (commercialista milanese originario di Caltanissetta). Due giorni dopo, il 15 settembre, la Milano 2 spa acquista dalla “società svizzera” Edilnord alcuni terreni di Segrate (Milano) relativi alla cittadella segratese Milano 2: è l’inizio della progressiva acquisizione della “città satellite” da parte della Fininvest (costituita anch’essa a Roma, il 21 marzo 1975, da anonimi coperti dalle due fiduciarie della Bnl 6 ) la quale Fininvest assumerà infatti il controllo della Milano 2 spa e della Italcantieri, mentre l’imbarazzante Edilnord viene posta in liquidazione a fine ‘77 dal commercialista romano Umberto Previti. La nascita della Immobiliare San Martino, che dà il via all’intricato gioco “incestuoso” di scatole cinesi originatosi nella romana Salita San Nicola da Tolentino (presso la sede delle due fiduciarie Bnl), sembra avere lo scopo di portare nel misterioso alveo Fininvest tutto il costruito e il costruendo della “città satellite” di Segrate, comprese le aree ancora da edificare. In pratica, tutti i beni e i mezzi acquisiti attraverso le società “svizzere” Edilnord e Italcantieri grazie ai capitali della Finanzierungesellschaft fúr Residenzen, della Aktiengesellschaft für Immobilienlagen in Resindenzzentren, della Cofigen e della Eti Holding, divengono proprietà degli anonimi soci della Fininvest romana, celati dalle due fiduciarie Bnl. Gli ingenti capitali “svizzeri” trasformati da Edilnord e Italcantieri in beni immobiliari, divengono dunque proprietà degli occulti soci fondatori della Fininvest. In data 2 dicembre 1974, due mesi dopo avere assunto la carica di amministratore 4
Al momento, la sua residenza ufficiale è nella milanese via Arcimboldi 2; ma, come si vedrà più avanti, Dell'Utri di fatto abita ad Arcore, nella villa dei marchesi Casati Stampa occupata da Berlusconi.
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Si è già visto come le due fiduciarie, e la stessa Banca Nazionale del Lavoro, risulteranno controllate da affiliati alla Loggia massonica segreta P2. 6 “Due mesi dopo la sua costituzione presso il solito recapito romano di Salita San Nicola da Tolentino, la Fininvest sri aumenta il proprio capitale sociale dagli originari 200 milioni a 2 miliardi, dopodiché, l'11 novembre 1975, si trasforma da “srl” in "spa" e trasferisce la sua sede sociale a Milano”; cfr. G. Ruggeri, M. Guarino, op. cit., pag. 101.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI della romana Immobiliare San Martino, Marcello Dell’Utri risulta essere anche l’amministratore unico della Immobiliare Romano Paltano spa (società proprietaria delle tenute agricole Muggiano e Romano Paltano situate nel comune di Basiglio, a sud di Milano, sulle quali sorgerà poi la berlusconiana Milano 3). Benché fondata a Milano nel 1949, la Immobiliare Romano Paltano spa aveva sede a Ciriè (Torino) fin dal 1952; è con l’assunzione da parte di Dell’Utri della carica di amministratore che la sede sociale viene riportata a Milano, presso lo studio del commercialista Walter Donati, in via Sacchi 3 (mentre a Torino, in via Donati 12, rimane attiva ancora per qualche tempo una sede secondaria). Questo singolare andirivieni di sedi, e la loro stessa ubicazione, richiama assai da vicino prassi analogamente strane proprie di varie società appartenenti al boss mafioso Vito Ciancimino, le quali fanno la spola tra Milano, Torino e altre località piemontesi minori - ben altro che una semplice coincidenza, come si vedrà. A Ciriè, la Immobiliare Paltano risultava essere inattiva; evidenziava nei suoi bilanci 25 milioni in immobili (terreni e cascine), che dati in affitto le rendevano 5 milioni l’anno. Dopo la nomina di Dell’Utri, all’inizio del 1975 la sede viene riportata a Milano, e mutato lo scopo sociale: “La società ha per oggetto l’acquisto, la costruzione, la vendita, l’amministrazione di beni immobili” (il trasparente riferimento è al nuovo centro residenziale berlusconiano che sorgerà col nome di Milano 3). L’anno successivo, il capitale sociale verrà elevato da 12 a 500 milioni, e il Monte dei Paschi di Siena (ormai infiltrato dalla Loggia massonica P2) rilascerà una fideiussione di 3 miliardi in favore del Comune di Basiglio per garantire le opere di urbanizzazione promesse dalla società. Il 25 maggio 1977 si registrerà un nuovo aumento di capitale: un miliardo di lire. L’anno dopo, il 12 maggio 1978, la società muterà nuovamente: si trasformerà in Cantieri riuniti milanesi, con la sede trasferita in via Rovani 2, quartier generale della Fininvest: a quel punto, di nuovo, Marcello Dell’Utri uscirà di scena, per comparire subito dopo nell’ambito di alcune società del giro mafioso di Vito Ciancimino e dei suoi "amici" palermitani. Perlomeno a partire dal 1974, dunque, Marcello Dell’Utri è certamente e ufficialmente sulla scena imprenditoriale a fianco di Berlusconi, col quale condivide iniziative e interessi affaristici al punto da assumere in prima persona le cariche di amministratore unico delle enigmatiche e strategiche società Immobiliare San Martino e Immobiliare Romano Paltano. Tuttavia, Berlusconi - e lo stesso Dell’Utri - nasconderanno accuratamente tali circostanze al Tribunale di Milano. Nel giugno 1987, nel corso di una reticente deposizione 7 , Berlusconi dichiarerà infatti che a metà anni Settanta “Dell’Utri [svolgeva per me] esclusivamente attività di segretariato personale e di assistente a tutto quello che atteneva [la mia villa] di Arcore” - secondo Berlusconi, il laureato Dell’Utri era insomma una specie di sua personale colf-tuttofare, anche perché “non mi risulta che Dell’Utri avesse esperienze e capacità [di amministratore]”; lo stesso Dell’Utri, nel 1982, aveva avuto modo di rendere un’omissoria deposizione in 7
Deposizione resa al G.I. Della Lucia in data 26 giugno 1987.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI Tribunale 8 dichiarando di essere stato, a metà anni Settanta, “l’assistente” di Berlusconi. Si tratta di evidenti falsità e reticenze tese a mantenere nell’ombra la scabrosa figura di Dell’Utri e il fondamentale ruolo da lui avuto nel divenire del gruppo Fininvest.
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Deposizione resa al G.I. Renato Massobrio in data 3 agosto 1982.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI Cosa Nostra ad Arcore Nell’estate del 1974 (poche settimane prima che Dell’Utri divenga amministratore dell’Immobiliare San Martino, e pochi mesi prima che assuma la carica di amministratore della Immobiliare Romano Paltano), un pericoloso pregiudicato proveniente da Palermo si insedia nella residenza di Berlusconi, la villa ex Casati Stampa di Arcore: si tratta del boss Vittorio Mangano, che sei anni dopo un rapporto della Criminalpol di Milano definirà “pericolosissimo pregiudicato, schedato mafioso, dalla spiccata personalità criminale” 9 . La presenza di Mangano nella berlusconiana villa di Arcore a partire dall’estate 1974, è una vicenda oscura e nebulosa (sono incerte perfino le date che scandiscono i fatti) con la quale ha stretta attinenza Marcello Dell’Utri. Il quale Dell’Utri in quel periodo è in “rapporti non solo di dipendenza ma anche di amicizia con il Berlusconi”, essendone “il suo assistente ed abitando addirittura nella villa [di Arcore] di sua proprietà” 10 . Dunque, nell’estate del 1974, nella villa di Arcore ex Casati Stampa risiedono Berlusconi, il suo sodale e presunto “assistente” Dell’Utri, e il boss mafioso Vittorio Mangano. Secondo una deposizione di Berlusconi al Tribunale di Milano, il merito della vicenda sarebbe stato il seguente: “[Avevo] bisogno, ad Arcore, di un fattore, più precisamente di un responsabile della manutenzione dei terreni e della cura degli animali, cioè cavalli avendo in animo di impostare una attività di allevamento di cavalli [ ... ]. Avendo bisogno di un responsabile per la cura della suddetta attività, chiesi a Dell’Utri Marcello di interessarsi anch’egli di trovare una persona adatta, ed egli mi aveva appunto presentato il Mangano Vittorio come persona a lui conosciuta, più precisamente conosciuta da un suo amico [di Palermo]. Il Mangano si era sistemato con la sua famiglia ad Arcore e cioè nella mia villa, ex villa Casati, e ricordo che poco tempo dopo, dopo un pranzo avvenuto nella villa, uno dei convitati, il signor Luigi D’Angerio, era stato vittima di un sequestro di persona casualmente sventato dall’arrivo [dei Carabinieri]. Nell’ambito delle indagini seguite a questo sequestro emerse che il Mangano Vittorio era un pregiudicato. Non ricordo come il rapporto lavorativo del Mangano cessò, se cioè per prelevamento da parte delle Forze dell’ordine o per suo spontaneo allontanamento; ricordo comunque che qualche tempo dopo fu tradotto in carcere. Non conoscevo il Mangano prima che me lo presentasse il Dell’Utri Marcello. Tengo a precisare che non è che Dell’Utri mi abbia 9
Rapporto "0500/C.A.S./Criminalpol" della Questura di Milano datato 13 aprile 1981, dove tra l'altro è scritto: “Dalle indagini [ ... ] è emersa una vasta ed agguerrita associazione per delinquere di stampo mafioso che è riuscita negli anni a conquistarsi una riconosciuta egemonia nell'ambiente criminale. Gli associati, gente senza scrupoli e remore, sempre pronta e capace, qualora la necessità dei momento lo richieda, alla consumazione dei delitti più efferati, sono riusciti a penetrare, servendosi spesso di prestanome e teste di legno, nei centri motori dei potere economico e finanziario della città [ ... ]. I settori che si sono dimostrati maggiormente influenzati dagli interessi mafiosi [a Milano] sono [ ... ] l'edilizia, le società commerciali in genere, quelle immobiliari e finanziarie in particolare La gamma dei delitti di natura mafiosa preferibilmente consumati sono [ ... 1 traffico di droga, traffico d'armi, riciclaggio di denaro sporco, esportazione di valuta [ ... ]”.
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Deposizione resa da Marcello Dell'Utri al G.I. Massobrio in data 3 agosto 1982.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI direttamente proposto il Mangano Vittorio, ma fu una mia scelta su una rosa di nomi che mi si prospettavano. Non feci preventivamente indagini su Mangano Vittorio, e la mia scelta cadde su di lui in quanto mi diede l’impressione di una persona a posto e competente” 11 . Secondo il settimanale “L’Espresso”, Mangano “venne arrestato il 27 dicembre 1974 e trasferito da Arcore in un carcere siciliano: ma in cella restò meno di un mese perché il 22 gennaio del 1975 tornò libero. Il suo peregrinare tra denunce, condanne, processi, arresti e scarcerazioni continuò senza soste [ ... ]. Nella stagione milanese, forse quando ancora lavorava [per Berlusconi] ad Arco re, accadde qualcosa che solo anni dopo finì in un rapporto della polizia con tanti interrogativi: una lettera di minacce a Berlusconi, il cui contenuto è sconosciuto e, subito dopo (26 giugno 1975), una bomba a via Rovani, negli uffici-residenza di Milano della Fininvest. Si legge in un rapporto della Direzione centrale della polizia criminale nella parte dedicata ai rapporti tra Mangano, Dell’Utri e Berlusconi: “All’epoca le indagini non portarono ad alcun esito, anche perché nessuno informò gli inquirenti che lo stabile era di Berlusconi, ma lo dichiararono di proprietà della Società generale attrezzature sas”” 12 . Secondo il settimanale “Avvenimenti”, “a Milano (dove soggiornava al lussuoso Hotel Duca di York) Mangano rischiava il foglio di via dalla Questura a causa dei suoi precedenti penali e della mancanza di un lavoro che ne giustificasse la presenza in Lombardia”: dunque, il lavoro ad Arcore, alle dipendenze di Berlusconi con mansioni di “stalliere”, sarebbe stato il provvidenziale espediente volto a garantire al boss mafioso la presenza a Milano e la copertura alla sua criminosa attività - infatti, “il licenziamento [di Mangano da parte di Berlusconi] arrivò solo nel 1980, pochi giorni prima del suo arresto per traffico di stupefacenti e altri reati” 13 . “Interrogato dal G.I. di Palermo, in data 10 luglio 1980, il Mangano dichiarava che: in Arcore si serviva della scuderia “Garcia Pepito” per custodire i cavalli da lui acquistati e che faceva poi trasportare a Boccadifalco (Palermo), dove li vendeva. [Ma] non sapeva indicare alcun nominativo di acquirenti, né l’esatto luogo, in Boccadifalco, dove erano custoditi... [Il Mangano dichiarava inoltre] di essere sorvegliato speciale da tre anni, con divieto di soggiorno a Milano” 14 . Secondo il boss Giovanni Ingrassia, “il Mangano si occupava del settore dei cavalli in Milano, dove ne aveva fatto comprare a Berlusconi e li aveva anche allevati durante la sua residenza ad Arcore... [E quando Ingrassia aveva manifestato l’intenzione di svolgere un’attività nel settore televisivo] il Mangano aveva detto di 11
Deposizione resa da Berlusconi al G.I. Giorgio Della Lucia il 26 giugno 1987. La deposizione berlusconiana è priva della collocazione temporale dei fatti, coinvolge Dell'Utri ma non troppo, e si conclude con un “non ricordo” che ha del grottesco: H teste “non ricorda” se un suo collaboratore, residente nella sua villa, sia stato "prelevato" dalle Forze dell'ordine nella villa stessa, o se l'arresto del Mangano sia avvenuto altrove dopo un suo spontaneo allontanamento. Sette anni dopo, nel 1994, Berlusconi "ricorderà" di avere "licenziato" il Mangano... 12
"L'Espresso", 8 aprile 1994.
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"Avvenimenti", 23 marzo 1994.
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Cit. in sentenza-ordinanza di rinvio a giudizio del G.I. Felice Isnardi, 25 marzo 1985.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI poter spendere una parola in suo favore col Berlusconi” 15 . Certo è che il singolare “stalliere” berlusconiano Vittorio Mangano, noto mafioso e pluripregiudicato, amante dei cavalli ma “commerciante” di “cavalli” intesi nel lessico di Cosa Nostra come partite di droga, tra il 1975 e il 1980, fra arresti e scarcerazioni, continua a muoversi lungo la direttrice Arcore-Milano-Palermo; ormai quotato boss di Cosa Nostra dedito alla criminalità finanziaria sulla piazza milanese, continua anche a mantenere stretti contatti con Marcello Dell’Utri. Nel rapporto della Criminalpol datato 13 aprile 1981 e dedicato alle propaggini di Cosa Nostra radicate a Milano e infiltrate nei settori “dell’edilizia, delle società commerciali in genere, quelle immobiliari e finanziarie in particolare” 16 , è scritto: “Uno dei personaggi-chiave che ha consentito di penetrare nell’ambiente della malavita organizzata [radicatasi a Milano] è indubbiamente Mangano Vittorio, nato a Palermo il 18-8-1940 [ ... ]. Con costui siamo di fronte a un pericolosissimo pregiudicato, schedato mafioso, più volte denunziato per gravi reati e soprattutto per estorsioni, sottoposto alla misura della sorveglianza speciale della Pubblica sicurezza con l’obbligo di soggiorno a Palermo, arrestato per ultimo in data 6 maggio 1980 dalla Squadra mobile di Palermo e denunziato unitamente ad altri 54 individui per associazione per delinquere di tipo mafioso finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti” 17 . Sottoposto a intercettazioni telefoniche nel periodo 5-15 febbraio 1980, il Mangano (“restio a parlare dal suo telefono di casa [perché] ha sempre la preoccupazione che sia tenuto sotto controllo”, precisa il rapporto) risulta “coinvolto, interessato o cointeressato in imprese commerciali e finanziarie con vorticosi volumi di affari su scala nazionale e internazionale. Sono le imprese di cui i mafiosi si servono sia per riciclare il denaro sporco provento delle molteplici attività illecite di cui quotidianamente si occupano, e sia per dare una facciata ufficiale di legalità e di copertura alle loro azioni criminali. Spesso [intestatari di tali società] compaiono uomini di paglia o teste di legno ... ”. Nel suo rapporto, la Criminalpol registra numerose connessioni tra il Mangano e Arcore nel corso del 1980: in una conversazione telefonica tra due boss, uno dice all’altro “che attende la chiamata di Vittorio e che ad una certa ora dovrà accompagnarlo ad Arcore. Il Vittorio è senza alcun dubbio il Mangano Vittorio, che ad Arcore possiede o sarebbe interessato a una scuderia di cavalli”. Secondo altre intercettazioni telefoniche, ad, Arcore si tiene un summit mafioso alla presenza del 15
Deposizione resa al G.I. di Palermo in data 1 giugno 1982; cit. in ibidem.
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Il rapporto, enumerata una sequela di "società a responsabilità limitata" intestate a prestanome, elenca i principali boss che sono coinvolti nella ragnatela mafiosa operante a Milano: “Monti Luigi, Virgilio Antonio, Alberti Gerlando, Turatello Francesco, Epaminonda Angelo, Conte Romano, Enea Salvatore, Bono Giuseppe, Bono Alfredo, D'Agata Federico, Fidanzati Gaetano, Carollo Gaetano, Buscetta To-aso”, oltre a Mangano Vittorio del quale la Criminalpol sottolinea ripetutamente, nel corso dei rapporto, la “particolare pericolosità criminale” e il suo preminente ruolo nel crimine mafioso di tipo finanziario in Lombardia. Costoro, ~rido la Criminalpol, sono “tutti legati da stretti vincoli di solidarietà, colleganza o dipendenza ai vertici nazionali e internazionali della malavita organizzata”. 17
Tra gli imputati nel primo maxi processo palermitano alla mafia (1988), Mangano verrà condannato a 13 anni e 4 mesi di carcere.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI Mangano; ancora: “Giovanni Ingrassia chiama l’utenza 039/617051 e parla con Mangano Vittorio [ ... ]. L’utenza risulta intestata a Legalupi Edilio Trattoria-Pensione di Arcore” - conclude la Criminalpol: “Mangano Vittorio, ad Arcore, per conto proprio o per conto terzi, curerebbe un allevamento di cavalli”. Dunque, cinque anni dopo essere stato lo strano "stalliere" dei supposti progetti equestri di Berlusconi, il Mangano, amico palermitano del palermitano Dell’Utri, ormai potente boss mafioso dedito al riciclaggio e alla criminalità finanziaria radicata a Milano, eserciterebbe ancora la professione di “stalliere” ad Arcore. Nel citato rapporto, è anche riportata una prima conversazione telefonica tra due boss, ancora risalente al 5- 15 febbraio 1980, nel corso della quale viene esplicitamente evocato il nome di Berlusconi: “Conversazione tra Giliberti Claudio e Ingrassia Giovanni. Giliberti chiede al suo interlocutore se ha letto l’articolo su Berlusconi. L’Ingrassia risponde negativamente e poi aggiunge: “Porca puttana, ragazzi... è il massimo, no? Ma di fatti è la nostra prossima pedina... Perché, ti vergogni a dirlo?”. Giliberti risponde di no”. Giliberti e Ingrassia risultano essere alle dipendenze di Vittorio Mangano: sono infatti gli amministratori-prestanome della sua società Promotion Team 2 srl. La prova provata dei perduranti rapporti e degli incontri a tutto il 1980 tra Marcello Dell’Utri e lo “stalliere” esponente di Cosa Nostra, è in una conversazione telefonica riportata a pag. 37 del rapporto Criminalpol, nel corso della quale viene nuovamente evocato Berlusconi: “Mangano parla con tale Dell’Utri e, dopo averlo salutato cordialmente, gli chiede se ha telefonato “Tony Tarantino”. L’interlocutore risponde affermativamente e aggiunge che “Tony Tarantino” ha lasciato detto che avrebbe chiamato il Mangano in albergo alle ore 16. Il Mangano riferisce allora a Dell’Utri che ha un affare da proporgli e che ha anche il “cavallo” che fa per lui 18 . Dell’Utri sorride e risponde che per il cavallo occorrono “piccioli” e lui non ne ha. Mangano non ci crede, [ ... ] e con tono scherzoso gli dice di farseli dare dal suo amico “Silvio”. [Dopo aver parlato di Alberto Dell’Utri, fratello di Marcello, detenuto nel carcere di Torino in seguito al fallimento della Venchi Unica], Mangano chiede notizie dell’ufficio. Dell’Utri risponde che quello dove era stato anche il Mangano ha chiuso perché la società è fallita [ ... ]. Mangano chiede quindi se ha sentito “Tonino”. Dell’Utri risponde negativamente. La conversazione poi si chiude e i due interlocutori fissano un appuntamento cui parteciperà anche “Tonino”, in albergo da Mangano, e cercheranno di "sbrogliare" una situazione ... ”. Dunque, a tutto il 1980 Marcello Dell’Utri continua a mantenere stretti rapporti col potente boss di Cosa Nostra Vittorio Mangano, esponente di primo piano della ragnatela mafiosa di tipo finanziario che è “il vero cervello e il centro motore del crimine organizzato in Lombardia”, della quale sono parte anche alcune società 18
“Ai magistrati milanesi che indagavano sui grandi traffici della mafia al nord, quel dialogo [sui "cavalli"] apparve sospetto. Dalla sua stanza all'Hotel Duca di York, a Milano, Mangano aveva telefonato anche a casa di Totuccio Inzerillo, H capomafia tra i primi a cadere nella guerra tra i clan di Palermo. Da un'altra intercettazione di polizia, Mangano dice a Inzerillo: "Allora dimmi, per quei cavalli che cosa faccio?”. "Come sono, arabi?”. “Purosangue. Costano 170 milioni. L'hai capito il discorso?”. Questo gergo, secondo polizia e magistratura, in realtà mascherava un grosso traffico d'eroina”; cfr. "Panorama", 22 ottobre 1984.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI appartenenti “ai fratelli Fidanzati [Gaetano, Antonio, Giuseppe, Carlo], pericolosissimi pregiudicati mafiosi palermitani”, e le cui propaggini arrivano alle banche svizzere 19 . Del resto, secondo un’attendibile testimonianza, Dell’Utri fin dal 1975 è di casa al ristorante milanese “Il Viceré”, gestito da mafiosi e frequentato da mafiosi: “Dell’Utri frequentava e aveva stretti contatti con quel giro di siciliani e palermitani” 20 . Del boss Vittorio Mangano, amico di Dell’Utri e “stalliere” alla corte di Berlusconi, accertato “uomo d’onore” dedito alla criminalità finanziaria sulla piazza milanese quale nevralgico crocevia del traffico di droga e del riciclaggio, ha modo di parlare il magistrato Paolo Borsellino nel corso di un’intervista risalente al maggio 1992 (due mesi prima di morire per mano di Cosa Nostra) 21 . Dichiara Borsellino: “Vittorio Mangano l’ho conosciuto negli anni fra il ‘75 e l’80. Ricordo di avere istruito un procedimento che riguardava delle estorsioni fatte a carico di talune cliniche private palermitane e che presentavano una caratteristica particolare: ai titolari di queste cliniche venivano inviati dei cartoni con [dentro] una testa di cane mozzata [ ... ]. Attraverso un’ispezione fatta in un giardino di una salumeria che risultava aver acquistato questi cartoni, in giardino ci scoprimmo sepolti i cani con la testa mozzata. Mangano restò coinvolto in questa vicenda perché venne accertata la sua presenza in quel periodo come ospite di questa famiglia che era stata l’autrice dell’estorsione [ ... ]. Poi l’ho ritrovato nel maxiprocesso [di Palermo] perché il Mangano fu indicato sia da Buscetta che da Contorno come uomo d’onore appartenente a Cosa Nostra, della famiglia di Pippo Calò 22 [ ... ]. Si accertò che Mangano risiedeva abitualmente a Milano, città dove, come risultò da numerose intercettazioni telefoniche, costituiva un terminale dei traffici di droga che conducevano alle famiglie palermitane [ ... ]. Il Mangano è stato poi condannato per questo traffico di droga... in primo grado a una pena di 13 anni e 4 mesi di reclusione (pena confermata dalla Corte d’Appello) [ ... ]. Mangano era una delle "teste di ponte" dell’organizzazione mafiosa nel Nord d’Italia... un personaggio che suscitò [negli inquirenti] parecchio interesse anche per questo suo ruolo un po’diverso da quello attinente alla mafia militare [anche se comunque] non disdegnava il ruolo militare all’interno dell’organizzazione mafiosa [ ... ]. Marcello Dell’Utri non è stato 19
Nella sentenza-ordinanza di rinvio a giudizio firmata dal G.I. Isnardi il 25 marzo 1985, è scritto di accertati contatti della ragnatela mafiosa “con ambienti bancari e finanziari svizzeri”. Vi si citano tra le altre: la Banca della Svizzera Italiana (Mendrisio, Lugano, Zurigo); il Credito Svizzero (Bellinzona, Chiasso e Zurigo); la Bankverein Schweizerischer (Chiasso); la Banque Société Alsacienne (Zurigo); la Handless Bank (Zurigo); la Banca Hutton (Lugano); la Banca Rolmer (Chiasso); l'Unione Banche Svizzere. Tra le società finanziarie: la Finagest Sa (Lugano), la Copfinanz Breganzona), la Traex Co. (Lugano), la Sogenal (Zurigo).
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Deposizione di Filippo Alberto Rapisarda (amico e socio di Marcello Dell'Utri), resa al giudice istruttore Della Lucia in data 13 novembre 1987.
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Rilasciata al giornalista francese Fabrizio Calvi e al cineasta Jean Pierre Moscardo il 21 maggio 1992, il testo dell'intervista a Borsellino verrà pubblicata da 'T'Espresso" (8 aprile 1994). 22
Si noti come il nome dei Superboss Pippo Calò emerga sullo sfondo della società Immobiliare Idra (dal 1994 proprietà personale di Silvio Berlusconi) "acquirente" della villa di Arcore dei Casati Stampa, cfr. pagg. 99-100.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI imputato nel maxiprocesso [di Palermo], ma so che esistono indagini che lo riguardano, e che riguardano insieme Mangano [ ... ]”. Nel corso della intervista, il giudice Borsellino ricostruisce così l’infiltrazione mafiosa nel Nord d’Italia: “All’inizio degli anni Settanta Cosa Nostra cominciò a diventare un’impresa anch’essa. Un’impresa nel senso che attraverso l’inserimento sempre più notevole, che a un certo punto diventò addirittura monopolistico, nel traffico di sostanze stupefacenti, Cosa Nostra cominciò a gestire una massa enorme di capitali. Una massa enorme di capitali dei quali, naturalmente, cercò lo sbocco. Cercò lo sbocco perché questi capitali in parte venivano esportati o depositati all’estero e allora così si spiega la vicinanza fra elementi di Cosa Nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitali, contestualmente Cosa Nostra cominciò a porsi il problema di effettuare investimenti. Naturalmente, per questa ragione, cominciò a seguire una via parallela e talvolta tangenziale all’industria operante anche nel Nord o a inserirsi in modo di poter utilizzare le capacità, quelle capacità imprenditoriali, al fine di far fruttificare questi capitali dei quali si erano trovati in possesso”. Gli intervistatori a quel punto domandano al magistrato antimafia: “Dunque, lei dice che è normale che Cosa Nostra si interessi a Berlusconi?”, e Borsellino risponde: “t normale il fatto che chi [come Cosa Nostra] è titolare di grosse quantità di denaro cerchi gli strumenti per potere questo denaro impiegare. Sia dal punto di vista del riciclaggio, sia dal punto di vista di far fruttare questo denaro. Naturalmente questa esigenza, questa necessità per la quale l’organizzazione criminale a un certo punto della sua storia si è trovata di fronte, è stata portata a una naturale ricerca degli strumenti industriali e degli strumenti commerciali per trovare uno sbocco a questi capitali e quindi non meraviglia affatto che, a un certo punto della sua storia, Cosa Nostra si è trovata in contatto con questi ambienti industriali [ ... ]. Mangano era una persona che già in epoca oramai diciamo databile abbondantemente da due decadi, era una persona che già operava a Milano, era inserita in qualche modo in un’attività commerciale. È chiaro che era una delle poche persone di Cosa Nostra in grado di gestire questi rapporti [ ... ]. Ma tutti questi mafiosi che in quegli anni - siamo probabilmente alla fine degli anni Sessanta e agli inizi degli anni Settanta - appaiono a Milano, e fra questi non dimentichiamo c’è pure Luciano Liggio, cercarono di procurarsi quei capitali, che poi investirono negli stupefacenti, anche con il sequestro di persona”. Al rapporto Criminalpol datato 13-4-1981, la magistratura farà seguire una raffica di arresti a Milano e in altre città (il blitz, effettuato dalle forze dell’ordine il 14 febbraio 1983, verrà ribattezzato “Operazione San Valentino”). Tra la selva di arrestati appartenenti alla galassia mafiosa dedita alla criminalità finanzia ria, anche i boss Antonio Virgilio e Luigi Monti, poi rinviati a giudizio - come scritto dalla Criminalpol - perché “a capo di un complesso di società immobiliari, perlopiù costituite in forma di srl, [società da ritenersi probabili] canali di immissione e
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI “riciclaggio” di masse di denaro di dubbia provenienza” 23 . Al momento dell’arresto, Virgilio e Monti (così come altri boss, ad esempio Salvatore Enea) risultavano avvalersi, per i loro sporchi traffici finanziari, della Banca Rasini (un piccolo istituto di credito milanese, con un solo sportello) 24 . Della stessa Banca Rasini, Luigi Berlusconi (padre di Silvio) era stato un funzionario fino alla fine degli anni Settanta; la Banca Rasini, negli anni Sessanta, aveva sostenuto le prime speculazioni edilizie di Silvio Berlusconi 25 ; presso la Banca Rasini erano affluiti parte dei capitali “svizzeri” delle anonime Finanzierungesellschaft fúr Residenzen (Lugano), Aktiengesellschaft fúr Immobilienlagen in Residenzzentren (Lugano), Cofigen (Lugano) e Eti Holding (Chiasso), utilizzati da Berlusconi per finanziare l’attività della Edilnord srl e della Italcantieri srl. “La flagrante connivenza della Rasini con Monti e Virgilio rientra nel novero dei più vasti rapporti che la banca intrattiene con esponenti della “mafia dei colletti bianchi” e con personaggi a essa mafia attigui, come il costruttore Silvio Bonetti. Il comune tornaconto è tale che a un certo punto il malavitoso “giro” mafioso manifesta alla Rasini la “disponibilità a trattare l’acquisto del pacchetto azionario di controllo della banca sulla base di una valutazione dell’intero pacchetto di lire 40 miliardi”” 26 . Stando alle ammissioni del boss mafioso “pentito” Salvatore Caricemi (già fedelissimo di Totò Riina) 27 , la Fininvest, negli anni Ottanta, pagava il “pizzo” a Cosa Nostra - 200 milioni l’anno (forse per proteggere gli impianti televisivi dei networks installati in Sicilia). Secondo Cancemi, il pizzo della Fininvest perveniva a Cosa Nostra in una valigetta per il tramite di un misterioso “ragioniere" che fungeva da ufficiale pagatore a nome di Marcello Dell’Utri, e veniva riscosso da Vittorio Mangano. Nel 1987, il Superboss Totò Riina aveva avocato a sé il rapporto col misterioso emissario di Dell’Utri: il Mangano - sempre secondo Cancemi -ne era rimasto molto contrariato, ma infine aveva dovuto prendere atto dell’esautoramento. “II nome di Dell’Utri e della Fininvest è stato fatto da Cancemi anche a proposito di altri due episodi, raccontati con meno particolari. Il primo, a proposito di 23
Dal rinvio a giudizio firmato dal G.I. Felice Isnardi.
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“Sul conto corrente no 6861 acceso da Antonio Virgilio presso la Banca Rasini, transitano fra il 28 febbraio 1980 e il 31 maggio 1982 operazioni per circa 50 miliardi di lire. Inoltre, nel periodo febbraio 198 1-novembre 1982, la Rasini sconta a Virgilio 135 effetti per oltre un miliardo di lire; parte degli effetti (esattamente 360 milioni) proveniva da una gioielleria di piazza di Spagna a Roma, "riconosciuta" (secondo la requisitoria del pubblico ministero nel troncone romano del procedimento contro la "mafia dei colletti bianchi") "essere strumento di riciclaggio in favore di Giuseppe Bono [noto boss mafioso, NdA] ". Anche sul conto corrente no 64 10 presso la Banca Rasini transitano notevoli e "ingiustificati" importi: il conto è intestato a Luigi Monti, socio di Virgilio in tutta una serie di società, ma anche in operazioni che portano alla loro incriminazione”; cfr. G. Ruggeri, M. Guarino, op. cit., pag. 50.
25
La Rasini, nei primi anni Sessanta, aveva garantito a Berlusconi una sostanziosa fideiussione per l'acquisto di un terreno in via Alciati, a Milano. 26
Cfr. G. Ruggeri, M. Guarino, op. cit., pag. 51. L'operazione di compravendita della banca non andrà in porto, ma è un fatto che la Rasini risulterà essere stata compiacente, rispetto ai correntisti mafiosi: il suo direttore generale, Antonio Vecchione, verrà rinviato a giudizio per “violazione dei doveri inerenti al pubblico esercizio del credito”.
27
Cancemi, all'epoca, era a capo del mandamento di Porta Nuova (in sostituzione di Pippo Calò, detenuto), e faceva parte della Cupola palermitana.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI un interesse della Fininvest nel campo immobiliare a Palermo, senza però citare uomini o società impegnate. Il secondo, sempre con [Marcello Dell’Utri] a far da protagonista, a proposito di ospitalità e riunioni offerte da Dell’Utri in una sua villa in Lombardia. Forse, ha aggiunto Cancemi, a casa Dell’Utri potrebbero essere stati ospitati anche dei latitanti. E per questo il primo obiettivo [degli inquirenti] è stato quello di ordinare i riscontri delle cose dette da Cancemi, dunque verificare l’esistenza di una villa e sondare i mafiosi indicati dal pentito come ospiti di casa Dell’Utri” 28 . *** In merito alla misteriosissima vicenda del boss mafioso Vittorio Mangano insediato nella sua villa di Arcore, Berlusconi nel marzo 1994 troverà modo di fornire una nuova versione in aperto contrasto con quanto aveva affermato al Tribunale di Milano sette anni prima (quando aveva dichiarato di “non ricordare” come fosse finito il suo rapporto con lo “stalliere” mafioso insediato nella sua villa di Arcore): “ [Mangano] lo licenziammo non appena scoprimmo che si stava adoperando per organizzare il rapimento di un mio ospite” 29 ; ma ciò che il disinvolto presidente del Consiglio in pectore evita comunque e accuratamente di chiarire, è il perdurare perlomeno a tutto il 1980 dei rapporti e degli incontri tra il suo sodale Marcello Dell’Utri e il potente boss mafioso presuntamente “licenziato” anni prima. Nello stesso marzo 1994, anche Dell’Utri offre una sua nuova versione 30 della scottante vicenda: “Ho conosciuto Mangano nella Palermo anni Sessanta: ero allenatore della Bacigalupo, squadra di calcio giovanile. Era una specie di tifoso. Commerciava cavalli. Me ne ricordai nel 1975. Mi ero trasferito a Milano (1961), ero diventato assistente di Berlusconi (1973). Mi incaricò di cercare una persona esperta di conduzione agricola. Così chiamai Mangano. Rimase ad Arcore due anni. E si comportò benissimo. Trattava con i contadini, si occupava dei cavalli. Ma la notte di Sant’Ambrogio del 1975, dopo aver cenato con noi, il principe di Santagata fu sequestrato vicino ad Arcore. C’era una nebbia terribile. L’auto dei rapitori andò a sbattere. E il principe riuscì a fuggire. Le indagini lanciarono sospetti su Mangano, svelarono che non aveva un passato immacolato. Fu allontanato. Poi finì in carcere. Mi telefonò anni dopo: voleva vendere un cavallo a Berlusconi [ ... ]. Poco dopo arrivò la polizia. Intercettavano le telefonate, pensavano a linguaggi cifrati: giri di droga”.
28
"L'Espresso", 25 marzo 1994. “Corriere della Sera” 20 marzo 1994. Della nuova versione berlusconiana, è da rilevare il plurale (“lo licenziammo”, “scoprimmo”), e colpisce la mancanza di qualsiasi riferimento al notorio fatto che il Mangano - a prescindere dal ventilato “rapimento di un ospite” - fosse un pericoloso esponente di Cosa Nostra, buon amico dei suo cosiddetto "assistente" Dell'Utri. 29
30
Intervista al "Corriere della Sera", 21 marzo 1994.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI Nel ventre della “mafia bianca” Il rapporto Criminalpol del 13 aprile 1981 appuntava l’attenzione su Marcello Dell’Utri (e sul suo gemello Alberto) alle pagine 175-76, dove rilevava: “Si è accertato che il Dell’Utri con cui il Mangano Vittorio conversa amichevolmente nel corso della intercettazione è Dell’Utri Marcello, domiciliato in via Chiaraválle 7, fratello di quel Dell’Utri Alberto nato a Palermo l’11 settembre 1941, domiciliato anche lui a Milano in via Chiaravalle 7, nei cui confronti in data 2 aprile 1979 fu emesso [ ... ] mandato di cattura per concorso in bancarotta fraudolenta. Tale provvedimento di cattura fu emesso anche nei confronti di Rapisarda Filippo Alberto, nato a Sommatino (Caltanissetta), nei confronti di Alamia Francesco Paolo, nato a Villabate (Palermo), e nei confronti di Breffani Giorgio [ ... ]. 1 predetti, legati al noto Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo [ ... ] originario di Corleone, indiziato da tempo di collusione con la mafia, erano e sono tuttora interessati, insieme al medesimo Vito Ciancimino, alla Inim-Internazionale Immobiliare spa, con sede in Palermo in via Rapisardi 9, e a Milano in via Chiaravalle 7”. “La Inim”, proseguiva la Criminalpol, “risulta iscritta alla Camera di Commercio [di Milano] in data 10 luglio 1978 ed ha come oggetto d’esercizio la mediazione e l’intermediazione di immobili. Soci risultano Caristi Angelo (nato a Messina), Silvestri Felice (nato a Palermo), e il citato Alamia Francesco. Nel novembre 1978 viene registrato il trasferimento della sede e della direzione generale sempre in Milano [ ... ]. In via Chiaravalle 7/9 risulta avere sede anche la Raca spa avente per oggetto d’esercizio l’esecuzione di lavori di costruzioni edili, civili, industriali [e] compravendite di immobili. Soci risultano, oltre ai citati Caristi Angelo e Rapisarda Filippo Alberto, anche Della Puppa Gaetano [ ... ]”. “L’aver accertato”, concludeva il rapporto della Criminalpol, “attraverso la citata intercettazione telefonica il "contatto" tra il Mangano Vittorio, di cui è bene ricordare sempre la sua particolare pericolosità criminale, e il Dell’Utri Marcello, ne consegue necessariamente che anche la Inim spa e la Raca spa, operanti in Milano, sono società commerciali gestite anch’esse dalla Mafia e di cui la Mafia si serve per riciclare il denaro sporco provento di illeciti”. Ciò di cui la Criminalpol non si avvedeva in merito alla Inim-ferma restando la peculiarità di “società commerciale gestita dalla mafia e di cui la mafia si serve per riciclare denaro sporco” - è che di società chiamate Inim ve ne erano ben tre, tutte e tre interne allo stesso giro palermitano-milanese e legate tra loro da un intricato assetto “incestuoso” 31 . 31
La prima Inim-Internazionale Immobiliare spa era stata costituita a Milano il 14 dicembre 1973 come System Press spa da due prestanome (Silvana Tomba e Carlo Marucchi); il 23 aprile 1974, la società aveva assunto la denominazione di Inim spa, e l'anno dopo aveva elevato il proprio capitale sociale da 20 milioni a mezzo miliardo, aumento sottoscritto dalla romana Figeroma-Fiduciaria di gestione spa per conto dei boss mafioso Vito Ciancimino. Amministratore unico era il messinese Angelo Caristi, direttore generale Filippo Alberto Rapisarda: con l'avvento della Figeroma spa, l'Inim aveva costituito un consiglio d'amministrazione formato da Caristi, Rapisarda, e dal costruttore siciliano, legato al clan Ciancimino, Francesco Paolo Alamia.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI Ma l’intrico societario dei cianciminiani a Milano non si limitava alle Inim. In via Chiaravalle 7/9 avevano sede molte altre società: ad esempio la Cofire (intestata a quattro commercialisti, 100 milioni di capitale), la Raca (impresa edile, 100 milioni di capita le), la Sofin (finanziaria immobiliare che nel 1977 aveva deliberato un aumento di capitale da 100 milioni a 20 miliardi), e una selva di altre società immobiliari tra loro legate da intricatissimi assetti azionari. Si trattava di un gruppo finanziario-immobiliare caratterizzato dalla ingente liquidità: benché dalle oscure e repentine origini e dagli incerti e intricati contorni, il gruppo Inim-Sofin nel biennio ‘76-77 sulla piazza milanese era ritenuto un colosso immobiliare nazionale secondo solo alla Beni Immobili Italia di Anna Bonomi. Proprio grazie all’ingente disponibilità di capitali, il gruppo cianciminiano si era subito specializzato nel rilevare aziende in crisi: come nel caso della gloriosa immobiliare milanese Facchin & Gianni (per la quale nel 1976 la Inim-Sofin aveva sborsato 6 miliardi in contanti, impegnandosi a pagarne altri 22, e rilevando così vaste proprietà terriere e immobiliari) 32 , dell’impresa edile di Mondovì Bresciano sas 33 , e della nota azienda dolciaria torinese Venchi Unica 34 . La seconda Inim era una spa costituita a Palermo l'8 novembre 1976,200 milioni di capitale sociale (effettivamente sottoscritto solo per un milione), presidente Francesco Alamia, consiglieri Angelo Caristi e Felice Silvestri; Alamia e Caristi erano al tempo stesso presidente e amministratore delegato della Inini "milanese", e presidente e segretario della filiale palermitana della Inim no 3. La terza Inim era una "sas" costituita il 26 ottobre 1977 dal Rapisarda, dal catanese Francesco La Rosa, e dalla tedesca Yvette Grut, capitale sociale 10 milioni (sottoscritti dal socio accomandante Rapisarda). La sede della Inini sas era a Mondovi (Cuneo). Il successivo 12 giugno 1978, la società aveva deliberato un aumento di capitale a 20 miliardi (di cui sottoscritti solo 20 milioni), quindi aveva deliberato l'apertura di una "sede secondaria" a Milano (in via Chiaravalle 9), e l'istituzione di filiali in 70 città italiane. Lungo la direttrice Palermo-Milano, l'intrico incestuoso delle mafiose Inim aveva H suo nodale epicentro a Milano, al no 7/9 di via Chiaravalle, dove "coabitavano" l'Inim spa e la "sede secondaria" dell'Inim sas; a Torino, in corso Turati 15, avevano sede le filiali della Inim sas e Inim spa, così come a Palermo (via Mariano Stabile), e via via le altre “filiali” disseminate per l'Italia (ne verranno attivate solo 47 delle previste 70, e verranno precipitosamente smantellate a partire dal maggio 1978). 32
Tra il 1975 e il '76, l'Inim aveva rilevato i beni mobili e immobili della Facchin & Gianni, regista dell'operazione il boss Vito Ciancimino; l'acquisizione era stata indicata a bilancio Inim per 11 miliardi. Tra gli immobili rilevati, lo splendido palazzo sito in via Chiaravalle 7/9, nel centro di Milano, dove avrà sede il gruppo Inim e dove avranno la loro residenza privata il Rapisarda e i fratelli Dell'Utri. La Facchin & Gianni, attraverso le società controllate Milano Parco Est spa Prima, Seconda, Terza e Quarta, deteneva la proprietà di un'area edificabile, situata a Peschiera Borromeo (attigua a Segrate e a Milano 2) di quasi 2 milioni di mq. Prima della crisi, su quella vasta area la Facchin & Gianni aveva progettato di edificarvi una "cittadella satellite"; ma il progetto non aveva avuto seguito anche per l'ostilità manifestata dalla berlusconiana Edilnord, impegnata a edificare Milano 2, nei pressi di Segrate. Si vociferava che la Editriord mirasse a impossessarsi delle aree di Peschiera Borromeo delle società Parco Est, per procedere poi alla gigantesca speculazione immobiliare progettata dalla Facchin & Gianni; in effetti, come si vedrà, vi fu un interesse di Berlusconi per quei terreni.
33
La Bresciano era una solida azienda edile (costruzioni stradali) con 400 dipendenti, in crisi di liquidità ed esposta con la Cassa di Risparmio di Asti per quasi 10 miliardi, ma con all'attivo cospicui crediti verso enti statali, una notevole capacità produttiva, e un consistente patrimonio immobiliare. Nel luglio 1977, la Cassa di Asti aveva siglato un accordo col Rapisarda: il gruppo Inim rilevava la Bresciano, e la Cassa si impegnava a erogare nuovi crediti, a fronte dei quali Rapisarda garantiva il rilancio dell'azienda di Mondovì. 34
La Venchi Unica, già parte dell'impero societario dei bancarottiere mafioso Michele Sindona, era stata dichiarata fallita dal Tribunale di Torino. Nel febbraio 1978, una nuova società del gruppo Inim - Venchi Unica Duemila - aveva rilevato l'azienda dolciaria dalla curatela, impegnandosi a garantire gli oltre mille posti di lavoro e il rilancio dell'attività.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI Alla guida del gruppo Inim-Sofin erano stati posti Francesco Paolo Alamia e Filippo Alberto Rapisarda 35 , con la regia occulta (ma non troppo) del boss mafioso Vito Ciancimino. “Alamia e Ciancimino dispongono di centinaia di miliardi [che utilizzano per rilevare attività fallimentari]. Sulla provenienza [degli ingenti capitali] si fanno molte ipotesi. Una di queste ipotesi è che i miliardi arrivino dall’estero [provenienti] dai boss che fanno traffici internazionali e che hanno bisogno di riciclare i loro guadagni [ ... ]. I mafiosi pagherebbero il denaro, pulito in Svizzera, al 30 per cento del suo valore” 36 . Era convinzione diffusa che l’Inim fosse un gruppo originato dal clan dei siciliani capeggiato da Vito Ciancimino e appoggiato da potenti esponenti politici Dc della corrente andreottiana: “Non un solo “cervello”, ma più di uno: a Palermo, a Roma, a Milano, e anche all’estero. Nomi grossi, gente importante”, ammetterà, nel 1979, il latitante Filippo Rapisarda. Nell’intrico mafioso del gruppo Inim-Sofin formato dal clan dei cianciminiani, Marcello Dell’Utri vi era entrato ufficialmente nel marzo 1978, con la carica di consigliere di amministrazione della Inim sas. Stabilendo la sua residenza privata nel palazzo di via Chiaravalle dove il gruppo aveva sede, Dell’Utri aveva poi assunto altre cariche di primo piano nello scabroso arcipelago societario del giro finanziario-immobiliare gestito dal duo Alamia-Rapisarda: presidente del consiglio di amministrazione della Cofire, rappresentante legale delle "controllate" Immobilnord spa e Immobiliare Concordia srl, e consigliere e amministratore delegato della Bresciano spa 37 ; suo fratello, Alberto Dell’Utri, aveva assunto la carica di amministratore delegato della Venchi Unica Duemila. Nel 1979, l’improvvisa interruzione dei flussi finanziari aveva determinato il fallimento a catena di molte società del gruppo, e aveva poi fatto emergere la natura malavitosa del gruppo Inim-Sofin e la dedizione alla criminalità finanziaria dei suoi gestori. Il fallimento con bancarotta della Venchi Unica Duemila 38 , e della Bresciano 39 , avevano inoltre 35
"Nativo di Villabate (Palermo), laureato in ingegneria, democristiano, già consigliere del Comune di Palermo retto dal sindaco Ciancimino, impegnato in attività edilizie, Francesco Paolo Alamia viene nominato presidente dei gruppo il 18 febbraio 1976, e coi suo avvento H gruppo Inini sborsa “70 miliardi per acquistare società di Milano e Torino e aumentarne il capitale... Investe circa 120 miliardi per costruire palazzi in ogni parte d'Italia... Eppure, l'ing. Alamia dichiara di non avere una lira [ ... ]. Ciancimino ha confermato di essere il "cervello" delle operazioni condotte da Alamia. Dunque, dietro il giovane ingegnere di Villabate c'è Vito Ciancimino e H suo gruppo politico-speculativo” (“L’Espresso”, 19 marzo 1978). Filippo Alberto Rapisarda (di Sommatino, Caltanissetta), nel 1975, quando è nel gruppo Inim, ha un certificato penale lungo una decina di pagine, con una permanenza in carcere di oltre cinque anni: decine di processi (e molte condanne) per assegni a vuoto, concorso in truffa, bancarotta fraudolenta, atti osceni, sottrazione di minorenne, porto abusivo d'armi, appropriazione indebita, truffa continuata. 36
“L’Espresso”, 19 marzo 1978.
37
Nella Bresciano, Marcello Dell'Utri dal 2 febbraio 1978 è consigliere, dal successivo 8 marzo amministratore delegato, e dal 29 maggio anche presidente del consiglio d'amministrazione. 38
Il fallimento della Venchi Unica Duemila porterà a un processo per bancarotta fraudolenta a carico di Alamia, Rapisarda, Alberto Dell'Utri e Giorgio Breffani. “Secondo gli ultimi conteggi fatti dal curatore, la bancarotta fraudolenta sarebbe di oltre un miliardo, tutti soldi usciti dalle casse della Venchi Unica prelevati materialmente da Alberto Dell'Utri, passati nelle mani di Rapisarda, e poi finiti chissà dove” (“La Stampa”, 20 ottobre 1981). 39
Al fallimento della Bresciano (3 gennaio 1980), segue una vicenda giudiziaria intricatissima. 11 conflitto che nell'ambito della bancarotta oppone Rapisarda e la Cassa di Risparmio di Asti approda al Tribunale di Milano, e viene
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI reso evidente la strumentalità del loro “salvataggio” da parte del gruppo finanziario mafioso. Perché il berlusconiano Marcello Dell’Utri (insieme al gemello Alberto) era entrato nel gruppo finanziario-immobiliare dei cianciminiani, gruppo "in concorrenza" col gruppo Berlusconi? E attraverso quali passaggi questa misteriosa operazione era stata possibile? Perché Dell’Utri, nella primavera del 1978, era al tempo stesso amministratore della berlusconiana Immobiliare Romano Paltano e contemporaneamente amministratore di una società (la Bresciano) del gruppo Inim-Sofin? C’erano forse convergenze affaristico-finanziarie tra il gruppo Berlusconi in crisi di liquidità e il gruppo Ciancimino ricco di ingenti capitali? Vi era un qualche nesso tra “L’operazione Dell’Utri-Inim” e la concomitante affiliazione di Berlusconi (gennaio 1978) alla Loggia P2? Al Tribunale, Dell’Utri fornirà una versione dei fatti elusiva, menzognera e contraddittoria, fin dall’inizio: “Conobbi il Rapisarda la prima volta all’incirca nel 1975; egli mi propose degli affari che non andarono in porto, e tutto per il momento finì lì” 40 . Ben diverso, e ben altrimenti circostanziato, il racconto del Rapisarda in merito al suo incontro con Marcello Dell’Utri: “Ebbi a conoscere Dell’Utri Alberto e Caronna Marcello, nel 1976, in quanto vennero da me negli uffici di via Chiaravalle per propormi la costituzione di una società [ ... ]; i predetti mi erano stati raccomandati da Cinà Gaetano di Palermo, che io conoscevo da tanti anni. Dopo qualche mese si presentò da me Dell’Utri Marcello accompagnato da Cinà Gaetano, e in quella occasione il Cinà mi pregò di far lavorare da me i fratelli Dell’Utri Alberto e Marcello. Il Dell’Utri Marcello già lavorava per il gruppo Berlusconi, senonché il Dell’Utri Marcello e il Cinà mi dissero che il Berlusconi in quel momento era in cattive acque, non aveva soldi e pagava poco il Dell’Utri [ ... ]. Conoscevo Cinà Gaetano da anni, fin dagli anni Cinquanta, avendolo conosciuto insieme a Mimmo Teresi e Stefano Bontate [boss mafiosi, NdA]. Effettivamente ho assunto Marcello Dell’Utri nel mio gruppo societario perché era "difficilissimo" poter dire no al Cinà Gaetano dal momento che il Cinà rappresentava il gruppo in odore di mafia facente capo a Bontate-Teresi-Marchese Filippo. Marcello Dell’Utri poi mi disse che la sua conoscenza con tutti questi personaggi mafiosi era dovuta al fatto che si era dovuto interessare per mediare tra coloro che avevano fatto estorsioni e minacce a Berlusconi e il Berlusconi stesso. Mi precisò Dell’Utri Marcello che a seguito di tali minacce estorsive il Berlusconi aveva fatto andare all’estero provvisoriamente la moglie e i figli. Il Dell’Utri mi disse anche che la sua attività di mediazione era servita a ridurre le pretese di denaro dei mafiosi” 41 . affidato al G.I. Giorgio Della Lucia, il quale adotta una serie di inopinati provvedimenti favorevoli al Rapisarda e avversi alla Cassa di Asti: tra l'altro, il magistrato milanese dispone il sequestro dei terreni di Peschiera Borromeo delle società Milano Parco Est (terreni ceduti dal Rapisarda alla Cassa di Asti a parziale copertura degli ingenti finanziamenti avuti attraverso la Bresciano - fino a 34 miliardi) e li affida in custodia giudiziale a parenti e amici dello stesso Rapisarda. Nella vicenda, è parte anche il corrotto giudice Diego Curtò per una perizia “d’oro” legata al fallimento. 40
Deposizione resa al G.I. Massobrio in data 3 agosto 1982.
41
Deposizione resa al G.I. Della Lucia in data 5 maggio 1987.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI La versione di Dell’Utri in merito al suo ingresso nel gruppo Inim dei cianciminiani di Palermo sarà costellata di inverosimiglianze: “[Nel 1977] ebbi nuovamente un contatto col Rapisarda [che] aveva ormai assunto il concordato Facchin & Gianni, che era la più prestigiosa impresa immobiliare di Milano. Il Rapisarda [ ... ] mi parlò di sue proprietà in quel di Peschiera Borromeo, mi portò a visitarle, e poi mi propose di collaborare con lui nella Bresciano (società di costruzione che aveva da poco rilevato); mi disse che se avessi accettato mi avrebbe dato il 5 per cento delle azioni della società [ ... ]; disse anche che la Bresciano aveva lavori in Siria [ ... ], io [andai in Siria] e constatai che in effetti l’impresa Bresciano stava lavorando in Siria. Man mano che il Rapisarda mi faceva le sue proposte io ne parlavo con il dottor Berluscon4 col quale ero quotidianamente in contatto. Faccio notare che il Rapisarda mi aveva proposto uno stipendio all’incirca doppio di quello che mi dava il Berlusconi. Debbo dire che il Berlusconi, persona molto esperta, manifestò subito grande perplessità [per la proposta di Rapisarda, ma alla fine] mi suggerì lui stesso di provare ad accettare, promettendomi che, se la cosa non fosse andata bene, mi avrebbe ripreso con sé: cosa che in effetti è poi avvenuta. Fu così che entrai alle dipendenze del Rapisarda” 42 . E ancora: “Fu alla fine del 1977 che io entrai alle dipendenze del Rapisarda. Nel 1978 divenni amministratore delegato della Bresciano. Faccio ancora notare che per consiglio del dottor Berlusconi, a un certo punto, vedendo che le cose non erano chiare, consigliai al Rapisarda di assumere come consulente tal ing. Garofalo Giuseppe affinché egli compisse una sorta di “radiografia” dell’impresa [ ... ]. Di fatto, chi amministrava la Bresciano era il Rapisarda: io ero amministratore solo di nome; egli mi lasciava autonomia soltanto per le piccole cose di routine [ ... ]. Mi resi conto immediatamente che [alla Bresciano] non vi erano dirigenti all’altezza della situazione; i lavori erano in corso ma a rilento; la società aveva continue necessità di sovvenzioni, che provenivano da banche e dallo stesso Rapisarda, che non so dove attingesse ai fondi [ ... ]. Il Rapisarda avrebbe voluto che io gli conferissi procura generale anche con riferimento alla Bresciano, ma io non volli dargliela e ciò incrinò i nostri rapporti [ ... ]. Quando la Bresciano venne dichiarata fallita, nel gennaio 1979 [in realtà, nel gennaio 1980, NdA], ovviamente cessai dalla mia carica [di amministratore] e ritornai - non subito, peraltro - da Berlusconi” 43 . “Faccio presente che io ero il firmatario quale amministratore della domanda di amministrazione controllata [per la Bresciano], ma in realtà tutto era già stato deciso dal Rapisarda [ ... ]. lo al momento non mi rendevo conto, non essendo esperto in materia [ ... ]. Preciso che il Rapisarda era un “incantatore”, nel senso che riusciva a imporre la sua visione a tutti” 44 . L’equivoco intreccio Dell’Utri-Rapisarda-Bresciano-Berlusconi assume tratti grotteschi nella versione che ne darà lo stesso Berlusconi al Tribunale di Milano - una mera “questione salariale” e “carrieristica” riguardante il suo improvvido e maldestro “segretario personale”: “Marcello Dell’Utri lo conosco fin da quando eravamo 42
Deposizione resa al G.I. Massobrio in data 3 agosto 1982.
43
Ibidem.
44
Deposizione resa al G.I. Della Lucia in data 3 giugno 1987.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI ragazzi, e ricordo che dopo che era venuto a lavorare con me mal sopportava di svolgere esclusivamente attività di segretariato personale e di assistente a tutto quello che atteneva casa di Arcore, mentre avrebbe desiderato fare una esperienza dirigenziale e comunque attivarsi avendo una certa sfera di iniziative nel campo tecnico-professionale. Fu per questo, come egli ebbe a dirmi, che quando gli fu offerto dal Rapisarda di andare a lavorare da lui con un ruolo di dirigente egli accettò di buon grado, e non soltanto perché avrebbe percepito il doppio di ciò che prendeva lavorando da me. Tuttavia, dopo l’andamento negativo della sua esperienza nel gruppo societario del Rapisarda fui io stesso a dirgli di ritornare da me. Non so se subito o successivamente venne determinato il settore in cui egli avrebbe nuovamente operato, sta di fatto che lo ritrovai più maturo, tant’è che io gli affidai un incarico all’interno di Publitalia ‘80, che è la concessionaria di pubblicità del nostro gruppo 45 . Mi si chiede se Dell’Utri Marcello, prima e dopo l’esperienza lavorativa presso il gruppo Rapisarda, avesse una esperienza di amministratore nel senso di una capacità di amministrare autonomamente un’impresa, e rispondo che né prima, né dopo l’esperienza lavorativa presso il gruppo Rapisarda il Dell’Utri mi risulta avesse una simile esperienza e capacità 46 . Non ricordo quanto effettivamente percepisse il Dell’Utri all’epoca in cui smise di lavorare presso di me, ma mi riservo di consultare la documentazione eventualmente in mio possesso e comunicarlo [ ... ]. Posso precisare che le entrate del Dell’Utri, a quanto mi consta provenienti dall’attività lavorativa, erano esclusivamente quelle derivantigli dallo stipendio che gli davo, e ribadisco comunque che dal Rapisarda avrebbe preso più del doppio di quello che prendeva da me” 47 . Diversamente dalle fuorvianti amenità berlusconiane, l’ingresso di Dell’Utri nel gruppo mafioso Inim con funzioni dirigenziali è una vicenda oscura e densa di sospetti. Sospetti che si appuntano ad esempio sulla questione dei terreni di Peschiera Borromeo della Facchin & Gianni acquisiti dal gruppo Inim e finiti, nel bel mezzo della vicenda Bresciano, alla Cassa di Risparmio di Asti. Dichiarerà Rapisarda al magistrato: “[Quando il boss Cirtà mi invitò ad assumere i fratelli Dell’Utri] sapevo che il Berlusconi aveva chiesto di rilevare la Facchin & Gianni [ma occorrevano] 12 miliardi e non se n’era fatto niente perché il Berlusconi offriva soltanto 6/7 miliardi con un acconto solo di 300 milioni in quanto non aveva mezzi” 48 ; ma di tutto questo, il supposto “ex segretario personale” di Berlusconi, Dell’Utri, nulla avrebbe saputo: “Io dei terreni di Peschiera Borromeo della Milano Parco Est sapevo che c’erano 45
Dopo il biennio nel gruppo Inim, Dell'Utri ritorna infatti nel gruppo Fininvest, dapprima in posizione defilata, quindi, dal 3 ottobre 1983, come consigliere delegato della più importante società Fininvest, Publitalia '80. t evidente il tentativo di Berlusconi di "minimizzare" il ritorno di Dell'Utri, e di "giustificare" (“lo ritrovai più maturo”) l'importante ruolo che assume.
46
Berlusconi tace al magistrato che Dell'Utri era già stato amministratore di due società (Immobiliare San Martino e Immobiliare Romano Paltano), e cerca di accreditare la tesi di un Dell'Utri "incapace" e sprovveduto.
47
Deposizione resa al G.I. Della Lucia in data 26 giugno 1987.
48
Deposizione resa al G.I. Della Lucia in data 5 maggio 1987
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI [solo perché] mi ci portava H Rapisarda a fare equitazione” 49 . L’attenzione dei magistrati, tuttavia, si focalizza proprio sulla faccenda dei terreni di Peschiera Borromeo: finiti alla Cassa di Risparmio di Asti a fronte dell’ingentissima esposizione della Bresciano, Berlusconi aveva allacciato una trattativa con la Cassa per entrarne in possesso. Ma Dell’Utri dichiara al magistrato di non esserne a conoscenza, anzi nega risolutamente qualunque trattativa, ammettendo solo un vago “contatto” del seguente tenore: “Il Marrandino [funzionario della Cassa di Risparmio di Asti, NdA] una volta mi chiese, nel ‘78-79, non ricordo, di interessarmi presso Berlusconi alla Edilnord se voleva acquistare i terreni di Peschiera Borromeo intestati alle Milano Parco Est [ ... ], cosa che in effetti feci, ma non parlando direttamente con Berlusconi, in quanto sapevo che non avrebbe aderito [poiché] la situazione edilizia anche di Milano 3 era in crisi; parlai invece, della proposta della Cassa di Asti, alla Edilnord, a persona che ora non ricordo, o a un architetto dell’ufficio progettazione della Edilnord [ ... ]. Non si trattò in realtà di trattative [ma solo del fatto che il funzionario della Cassa di Asti] mi disse una frase di questo genere: “Veda un po’, lei che conosce Berlusconi, se è interessato all’acquisto di questi terreni che la Banca intende vendere” [ ... ]. Si trattò solo di una richiesta di presa di contatti con Berlusconi, ma si trattava di una proposta generica che finì lì, nel senso che io risposi, pressoché subito, che l’acquisto non interessava l’Edilnord. Ripeto che non si fecero mai trattative in merito all’acquisto dei suddetti terreni da parte di Berlusconi o di società del suo gruppo. Escludo che vi siano state delle trattative con la Cassa di Asti in merito all’acquisto dei terreni di Peschiera Borromeo da parte di Berlusconi o di società facenti parte del suo gruppo [ ... ]. Ribadisco che trattative concrete per l’acquisto dei terreni suddetti da parte del gruppo Berlusconi non vi sono mai state, e ribadisco che non vi fu mai interesse da parte della Edilnord o di Silvio Berlusconi o di società del suo gruppo all’acquisto di detti terreni [ ... ]. Prendo atto che dalla documentazione acquisita agli atti risulta che la Cassa di Risparmio di Asti faceva presente nel 1978 alla Banca d’Italia che la situazione inerente la Inim della esposizione Bresciano era in fase di definizione [poiché] l’imprenditore Silvio Berlusconi era pronto ad acquistare i terreni siti in Peschiera Borromeo delle Milano Parco Est a ben precise modalità e prezzi, e rispondo che assolutamente non mi risulta questa situazione” 50 . La versione resa al Tribunale di Milano da Berlusconi circa le sue trattative con la Cassa di Asti aventi per oggetto i terreni di Peschiera Borromeo, nell’ambito della vicenda Bresciano-Inim, è l’apoteosi della vaghezza, dell’elusività, dell’ambiguità: “Escludo che nel 1975, a quanto mi posso ricordare, vi sia stato un interessamento e comunque trattativa, anzi trattative mi sento proprio di escluderle, per l’acquisto dei terreni di Peschiera Borromeo della Facchin & Gianni, anche perché all’epoca la Edilnord era impegnata nelle attività edilizie di Milano 2 e Milano 3. Fu soltanto 49
Deposizione resa al G.I. Della Lucia in data 3 giugno 1987. Le parole di Dell'Utri contrastano con quanto lui stesso aveva dichiarato al G.I. Massobrio in data 3 agosto 1982. 50 Deposizione resa al G.I. Della Lucia in data 3 giugno 1987. t assai significativa l'ostinazione di Dell'Utri nel negare le trattative tra la Cassa di Asti e Berlusconi per i terreni di Peschiera Borromeo: è il tentativo di negare le evidenti attinenze tra il suo momentaneo e sospetto ingresso nel gruppo Inim, e gli interessi affaristici dei gruppo Berlusconi.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI nell’agosto di circa dieci anni fa [circa 1977] che fui contattato personalmente da un funzionario della Cassa di Risparmio di Asti, che venne ad Arcore proponendomi l’acquisto di proprietà terriere in Peschiera Borromeo. Ricordo di essermi [poi] recato ad Asti, nella sede della Cassa di Asti, nell’agosto di una decina di anni fa, [dopodiché] dieci-quindici giorni dopo, anzi non posso precisare dopo quale tempo, risposi definitivamente che non ero interessato all’acquisto dei terreni. Tengo a precisare che in realtà non ci fu mai un mio interesse reale all’acquisto di quei terreni: mi sembrava infatti che l’iter di approvazione degli strumenti urbanistici fosse ancora di lunga durata 51 , così almeno mi sembra di ricordare; tuttavia ricordo che per motivi diplomatici e cioè per evitare di deludere funzionari di istituti bancari e chi me li aveva presentati di cui non ricordo il nome, atteggiai il mio comportamento nel senso di dare l’impressione di un mio possibile interessamento futuro” 52 ; ma i troppo labili e sfuggenti “ricordi” di Berlusconi non persuadono il magistrato, che, spazientito, verbalizza: “L’Ufficio fa presente [al teste Berlusconi] l’importanza processuale in ordine alla circostanza delle trattative svoltesi o meno con la Cassa di Asti per l’acquisto dei terreni siti in Peschiera Borromeo [ ... ] e invita il teste a essere preciso sul punto, posto che pur non emergendo allo stato degli atti un suo concreto interesse quale parte privata nel procedimento penale [a carico di Rapisarda-Dell’Utri], tant’è che viene sentito come testimone, la risposta in ordine alla questione dell’esistenza o meno di trattative circa l’acquisto di terreni di Peschiera Borromeo appare essenziale nel presente procedimento ed eventuali reticenze o imprecisioni sul punto da parte del teste potrebbero fare scattare la necessità di indagini anche nella direzione del gruppo societario facente capo a detto teste, posto che un’operazione di acquisizione da parte della Cassa di Asti dei terreni è configurato allo stato degli atti come attività di bancarotta fraudolenta e tale operazione si è svolta in corrispondenza cronologica col distacco di Marcello Dell’Utri dalla dipendenza del gruppo societario di Berlusconi e ad operazione compiuta il rientro dello stesso Dell’Utri alle dipendenze del gruppo Berlusconi medesimo[…]. Si invita pertanto il teste a rispondere con la massima precisione e chiarezza” - e il teste Berlusconi dichiara: “Il tempo passato è notevole [ ... ], non essendo in grado di fornire attualmente risposte precise alle domande rivoltemi, mi sembra corretto esperire sulle agende che riguardano quel periodo un’indagine rapida 51
L'indice di edificabilità dei terreni di Peschiera Borromeo, in rapporto al Piano regolatore del Comune, era stato oggetto di strane manovre. Ad esempio, il 12 dicembre 1977 la Cassa di Risparmio di Asti aveva inviato a Rapisarda una lettera di valutazione subordinata alla postilla “se il Piano Regolatore Comunale preserverà la volumetria attualmente prevista”; l'indomani, 13 dicembre, il sindaco di Peschiera Borromeo, in una lettera indirizzata al Rapisarda, confermava la volumetria... 52
La elusiva deposizione berlusconiana è smentita anche da un rapporto interno alla Cassa di Risparmio di Asti datato 19 ottobre 1978: “Il dottor Berlusconi ha in questi giorni formulato le seguenti offerte per l'acquisto [dei terreni di Peschiera Borromeo]: 1) stipula di un contratto condizionato all'approvazione da parte della Regione dei piani convenzionati con indice volumetrico di almeno 350 milioni di metri cubi; 2) stipula del contratto definitivo, dopo l'approvazione di cui sopra, alle seguenti condizioni: a) prezzo L. 10 miliardi pagabili con mutui 10-15 anni al tasso del 12 per cento; b) in alternativa, prezzo L. 14 miliardi pagabili con mutui durata anni 20 al tasso dei 7 per cento [ ... I. Si ritiene inoltre di segnalare che da parte di altre imprese sono pervenute offerte a condizioni di prezzo più vantaggiose di quelle esposte [ma] la trattativa più reale resta quella col dottor Berlusconi”.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI [ ... ]. A memoria d’uomo, per quello che posso ricordare, la nostra società non mi sembra, al riguardo, abbia fatto offerte precise di prezzo d’acquisto dei terreni di Peschiera Borromeo [ ... ]. Escludo che Marcello Dell’Utri si sia interessato presso di me per caldeggiare o per farmi offerte o in ogni caso per fare da tramite per la vendita dei terreni di Peschiera Borromeo a me o al mio gruppo [ ... ]. Durante la fuoriuscita del Dell’Utri dal mio gruppo societario, i rapporti tra me e il Dell’Utri non furono continuativi e posso immaginare per una specie di pudore derivante dal fatto che io lo avevo sconsigliato di intraprendere quella attività, cioè quella del Rapisarda; il Dell’Utri non mi tenne al corrente di cose che riguardavano la sua attività lavorativa con il Rapisarda” 53 . In data 18 febbraio 1987, Filippo Alberto Rapisarda inoltra una denuncia contro ignoti per minacce che avrebbe ricevute: “Sospetto che [tali] minacce possano provenire [tra gli altri] dai fratelli Bono, o da Virgilio Antonio ultima direzione da cui proviene la ,minaccia di cui alla mia denuncia è dal gruppo Berlusconi per le denunce da me fatte nei confronti di Dell’Utri Marcello e Alberto” 54 . Dopo il crac della Bresciano e della Venchi Unica Duemila, infatti, i Dell’Utri e Rapisarda si palleggiano le responsabilità penali in un ambiguo gioco delle parti. Il successivo 13 novembre, Rapisarda ha modo di fornire al magistrato la seguente deposizione sul conto di Marcello Dell’Utri: “Al ristorante “Il Viceré” [di Milano] andavano a mangiare una quantità di palermitani e siciliani, e tra questi vi era anche Marcello Dell’Utri, e il Dell’Utri era già frequentatore e amico del Brucia Domenico [e aveva] stretti contatti con quel giro di siciliani, tant’è vero che veniva spesso nei suoi uffici della Bresciano in via Chiaravalle un suo amico, che il Dell’Utri ebbe modo di presentarmi, e che poi seppi dai giornali che era Ugo Martello. Ricordo che quando costui si recava negli uffici di Dell’Utri, si chiudeva negli uffici stessi del Dell’Utri a confabulare, e mi ricordo che quando il Dell’Utri mi presentò come suo amico quell’uomo che poi seppi essere il ricercato Ugo Martello, mi disse che si trattava di un suo carissimo amico, che la sua società era rimasta creditrice della Venchi Unica Duemila, che si trattava di una persona di tutto rispetto, e che quindi quel debito della Venchi Unica Duemila verso la società del suo amico "o fallimento o non fallimento, andava pagato, se non si voleva incorrere in dispiaceri". lo risposi a Dell’Utri che non era possibile pagare un creditore a preferenza di altri, e gli dissi che se lo voleva fare, poiché l’amministratore ra suo fratello Alberto, dicesse a lui di pagare, io non ne volevo sapere. A proposito 53
Deposizione resa al G.I. Della Lucia in data 26 giugno 1987. Il successivo 6 luglio, dopo avere "consultato le agende” Berlusconi scrive una lettera al “Dottor Della Lucia”, e tra i vari “se ben ricordo”, “eventuale interesse”, “fortunosamente reperito”, argomenta: “Devo far presente che, a nove anni di distanza, non sono in grado di ricordare se gli appuntamenti e i colloqui telefonici [con i funzionari della Cassa di Risparmio di Asti] annotati nell'agenda si siano effettivamente tenuti [o se se ne siano tenuti solo alcuni]; né, a fortiori, posso ricordarne il contenuto. Mi sento comunque di escludere - in ciò confortato anche dalla circostanza che non risultano agli atti dei mio Gruppo né studi, né progetti, né rilievi riguardanti il terreno in questione - che sia stata da me avanzata un'offerta di acquisto dell'area di Peschiera Borromeo, vuoi alla Cassa di Risparmio di Asti vuoi ad altri”. 54
Deposizione resa al G.I. Della Lucia in data 5 maggio 1987.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI di quell’uomo che anni dopo, a seguito del suo arresto, seppi dai giornali essere Ugo Martello, ricordo che dopo la presentazione fattami dal Dell’Utri, lo vidi frequentare assiduamente gli uffici di Dell’Utri [quando era] amministratore della Bresciano [ ... ]. Tra i frequentatori abituali del ristorante "Il Viceré" di Brucia Domenico, vi era una persona da me conosciuta da oltre venticinque anni, di nome Bosco Emanuele, e costui spesso lo avevo visto insieme a pranzo insieme con Ugo Martello, Mingiardi Salvatore detto Turi, con Bono Alfredo e con tutta la malavita siciliana che frequentava il ristorante di Brucia Domenico. Nel ristorante del Brucia ci andavano spesso Marcello Dell’Utri e Ugo Martello, che erano intimi amici tra loro e amici del Brucia. Il Dell’Utri si vantava anche di essere amico di Marchese Filippo di Palermo, e offrì a Caristi di dare la copertura dei Marchese per le filiali di Palermo e di Catania della Inim, nel senso di avere una protezione da parte di quei personaggi. Seppi poi, quando ero all’estero, che in appartamenti del palazzo di piazza Concordia 1, in Milano, all’epoca in cui a Milano era rimasto Dell’Utri Marcello a gestire quello che era rimasto del gruppo Inim, erano andati ad abitare Bono Alfredo, Emanuele Bosco e Mongiovi Angelo, e un ragioniere della famiglia mafiosa di Raffadali” 55 . “Quando Dell’Utri Marcello lavorava negli uffici di via Chiaravalle”, dirà ancora Rapisarda, “venivano frequentemente e abitualmente a trovarlo Ugo Martello, Stefano Bontate, Teresi Domenico e Cinà Gaetano che, praticamente, era di casa nell’ufficio di Marcello Dell’Utri [ ... ]. Negli ultimi mesi del 1978 incontrai in piazza Castello Mimmo Teresi e Stefano Bontate che mi invitarono a prendere un caffè insieme a loro, e il Teresi nella circostanza mi disse che stava per diventare socio di Berlusconi Silvio in una società televisiva privata dicendomi che ci volevano 10 miliardi e mi chiese un parere, tra il serio e lo scherzoso, se era un buon affare. Ritengo che Caristi Angelo sappia qualcosa in merito alla società tra il Berlusconi Silvio e Mimmo Teresi. Mi risulta che il Teresi e lo Stefano Bontate operassero insieme nelle imprese immobiliari e negli affari in genere. Successivamente ricordo che Caristi Angelo, responsabile amministrativo della Inim, reparto filiali, mi disse che Dell’Utri Marcello gli aveva offerto la protezione di Filippo Marchese al fine di fargli acquisire immobili sulla piazza di Palermo. lo dissi al Caristi di tenersi però lontano da quella gente trattandosi di mafiosi molto pericolosi” 56 . Rapisarda, ai tempi, era proprietario dell’emittente Milano Telenord, e intratteneva stretti rapporti col boss Vittorio Mangano, a sua volta interessato all’emittenza televisiva. Rapisarda aveva costituito la Milano Telenord srl il 14 gennaio 1977, e secondo alcune voci avrebbe a lungo cercato di associare Berlusconi al suo progetto televisivo. Un rapporto del Nucleo operativo dei Carabinieri di Pistoia datato 25 aprile 1983 accertava che “Francesco Paolo Alamia faceva parte, con compiti dirigenziali e organizzativi, di un illecito sodalizio che traeva profitto da attività edilizie ed immobiliari ove confluivano ingenti somme di dubbia provenienza [ ... ]. Da qui il sospetto che le stesse attività imprenditoriali servissero da copertura per riciclare il 55
Deposizione resa al G.I. Della Lucia in data 13 novembre 1987.
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Deposizione resa al G.I. Della Lucia in data 5 maggio 1987.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI denaro sporco investendolo in attività lecite”. In un’ordinanza di rinvio a giudizio del gennaio 1989, il sostituto procuratore del Tribunale di Palermo Alberto Di Pisa scriverà: “[Dalle indagini] si rilevava che il direttore generale Rapisarda e la Inim erano stati in contatto, apparentemente per questioni attinenti alla dichiarata attività commerciale della Inim, con le famiglie di alcune vittime di sequestri di persona [ ... ]. Le indagini [condotte dal Nucleo dei Carabinieri di Torino] inducono fondatamente a ritenere che la Inim altro non fosse che il paravento per riciclare denaro proveniente da attività illecite”. Tra i 101 esponenti della criminalità organizzata “imperante in Milano e Lombardia” elencati dal rapporto Criminalpol del 13 aprile 1981, vi era anche il nome di Francesco Turatello, la cui madre veniva indicata residente in un appartamento di Milano 2 sotto il falso nome di “Giovenco Luigia” 57 . Nel marzo 1985, lo screditato camorrista “pentito” Gianni Melkuso rivolgerà accuse a un “potentissimo personaggio di Milano... E uno che ha costruito mezza Milano, che nel 1977-78 era stramiliardario e legatissimo a Turatello. Era lui a prendere i soldi dei sequestri di Turatello. Per esempio, Turatello gli dava un miliardo sporco e lui gli passava trecento milioni puliti. E il miliardo finiva al sicuro nelle banche. Tra l’altro, Turatello ebbe in regalo un appartamento grandissimo... Il guaio è che è un personaggio intoccabile, amico di potenti politici italiani. Un magistrato mi ha detto: “Gianni, qui passiamo brutti guai”. E sono sicuro che, quando farò il suo nome, lui mi attaccherà, perché ha le possibilità di farlo a livello nazionale. Ma quando le cose si mettono male, conviene dire tutto. D’altra parte, Epaminonda il suo nome l’ha già fatto. E lui deve avere paura più di Epaminonda che di me, perché Epaminonda è rimasto in libertà fino a poco tempo fa e sa tante cose che io non so. Sia chiaro che il mio non è un ricatto, io non ho bisogno dei suoi soldi” 58 .
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“112 ottobre 1976, in Milano, nella via Correggio, personale di questo ufficio ha tratto in arresto per detenzione di armi ed altro tale Vio Walter, nato a Venezia il 17 gennaio 1955. Nella circostanza si accertava che l'appartamento era stato locato al Vio da Gioveneo Giovanni, il quale risultava locatario di altri due appartamenti, uno in via Saldini 30, ove abitava, l'altro in "Milano 2" occupato dalla madre di Turatello Francesco a nome Luigia, che si faceva chiamare Giovenco Luigia”. 58
“La Repubblica” 13 marzo 1985.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI Uomini d’onore e di rispetto Il fallimento della Venchi Unica Duemila spa amministrata da Alberto Dell’Utri (dichiarato dal Tribunale di Torino nel luglio 1978) determina il crollo a catena del gruppo Inim-Sofin, crollo che culmina col fallimento (gennaio 1980) della Bresciano spa amministrata da Marcello Dell’Utri. Emerge così una selva di irregolarità, malversazioni e ammanchi che porta ad arresti per bancarotta fraudolenta (tra gli altri, di Alberto Dell’Utri), mandati di cattura (Rapisarda), e imputazioni per reati di criminalità finanziaria (tra gli altri, a carico di Marcello Dell’Utri) 59 . Risulteranno così evidenti la natura malavitosa del gruppo Inim, la sua connotazione di propaggine “imprenditoriale” della malavita organizzata, e la sua funzione di struttura dedita al riciclaggio di capitali sporchi. E risulterà vieppiù evidente come l’acquisizione da parte del gruppo finanziario-immobiliare siculo-milanese delle società Bresciano e Venchi Unica avesse avuto quale reale obiettivo l’accesso a ingenti crediti bancari, e come i terreni di Peschiera Borromeo rilevati dal fallimento Facchin & Gianni avessero avuto grande parte nella losca vicenda. Ma non verrà mai appurato quale esatto ruolo vi abbiano avuto i "berlusconiani" Marcello e Alberto Dell’Utri, subito posti al vertice delle due società fallite, né quale disegno fosse sotteso alla loro repentina presenza nel mafioso gruppo finanziario-immobiliare dei cianciminiani. Vero è che l’ingresso dei “berlusconiani” Dell’Utri nel gruppo-cianciminiano è contestuale all’ingresso di Berlusconi nella Loggia massonica P2, e alle due operazioni seguirà il superamento della crisi finanziaria delle attività berlusconiane e il tumultuoso sviluppo del gruppo Fininvest (con il varo delle "operazioni televisive") grazie alla disponibilità di nuovi e ingentissimi capitali. Del resto, il Venerabile piduista Licio Gelli, oltre a controllare numerose banche e a manovrare cospicui capitali esteri, avrebbe intrattenuto rapporti finanziari anche con Cosa Nostra: “Marino Mannoia ha riferito di avere appreso da Stefano Bontate e da altri uomini d’onore della sua famiglia che Calò Giuseppe, Riina Salvatore, Madonia Francesco e altri dello stesso gruppo (“corleonese”) si avvalevano di Licio Gelli per i loro investimenti a Roma. Gelli era il “banchiere” di questo gruppo come Sindona lo era stato per quello di Bontate Francesco e di Inzerillo Salvatore” 60 . 59
Al crac del gruppo Inim seguirà un'intricata sequela di rinvii a giudizio, denunce, azioni giudiziarie, processi, sentenze, ricorsi, appelli (molti dei quali ancora pendenti a tutta l'estate 1994), che vedranno coinvolti Rapisarda, i Dell'Utri, la Cassa di Risparmio di Asti, e alcuni magistrati (come il G.I. dei Tribunale di Milano Giorgio Della Lucia, sottoposto a procedimento disciplinare da parte del Consiglio Superiore della Magistratura nell'ottobre 1993). 60
Cfr. Richiesta di autorizzazione a procedere per associazione di stampo mafioso a carico di Giulio Andreotti, avanzata dalla Procura della Repubblica di Palermo in data 27 marzo 1993. I legami tra Cosa Nostra e Logge massoniche coperte, documentati da numerose inchieste giudiziarie, hanno portato molti boss mafiosi ad affiliarsi alla massoneria in un criminoso sodalizio, perlopiù di tipo finanziario. Ancora nel 1991, ad esempio, nelle banche di Arezzo infiltrate dai massoni, il Venerabile maestro Licio Geni ha potuto negoziare assegni per centinaia di milioni senza che le operazioni, presso la Banca Toscana, venissero segnalate all'autorità di Polizia come stabilito dalle norme antiriciclaggio, e “pochi giorni dopo il sequestro dei conti di Gelli, sulla credibilità del sistema bancario aretino è arrivata la seconda mazzata. L'operazione Unigold ha portato in carcere Gustavo Delgado Upegui, cassiere di Pablo Escobar Gaviria, boss di Medellin ucciso l'anno scorso, e un gruppo di imprenditori orafi aretini e vicentini che aiutavano i colombiani a ripulire il denaro della droga” ("Il Mondo", 7 febbraio 1994).
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI
Tra il settembre 1979 e il febbraio 1980, il latitante Filippo Alberto Rapisarda, rifugiatosi dapprima in Svizzera e quindi in Venezuela per sfuggire al mandato di cattura, divulga un sibillino “memoriale” (attraverso una strana agenzia giornalistica, “Anipe-Agenzia nazionale informazioni politiche economiche”) 61 , nel quale il pluripregiudicato finanziere indiziato di associazione a delinquere di stampo mafioso si difende dalle imputazioni e lancia avvertimenti. Il gruppo Inim, scrive Rapisarda, “avrebbe potuto dare lavoro a migliaia di impiegati e operai, ma gli appetiti e l’invidia di alcuni gruppi finanziari e politici hanno fatto si che succedesse tutto questo, forse perché non mi sono piegato fino in fondo alle molteplici pressioni ricevute, vedasi il caso delle licenze edilizie la cui mancata concessione non mi ha permesso di realizzare niente”; il finanziere latitante dichiara di essere in pericolo di vita e costretto a tacere molte cose, ma precisa di avere “messo per iscritto” retroscena, colpe e responsabilità di “tutto quanto è successo in questi anni”, e di avere affidato il tutto “nelle mani di un notaio che ha l’ordine di [rendere pubblico lo scritto] qualora fisicamente mi succedesse qualcosa... Chi deve avere da me quella grossa cifra, se eliminerà me, eliminerà domani anche voi”. Nel merito della vicenda Venchi Unica, Rapisarda afferma che il gruppo Inirn avrebbe rilevato l’azienda dolciaria torinese su pressione del clan politico Andreotti-Scotti, e che il successivo, repentino fallimento sarebbe stato propiziato dal clan torinese del ministro Carlo Donat Cattin in guerra con Andreotti nell’ambito delle faide interne alla Dc. L’agenzia “Anipe” che riporta il “memoriale” di Rapisarda dalla latitanza risulta diretta da tale Tito Livio Ricci, vero cognome D’Arcangelo, fratello di Michele D’Arcangelo: i due hanno lavorato alle dipendenze del Rapisarda curando le pubbliche relazioni del gruppo Inim. Secondo Michele D’Arcangelo, nel 1983 Marcello Dell’Utri lo invitò in una villa in Brianza per metterlo in contatto con personaggi che avrebbero potuto affidargli le pubbliche relazioni per il Casinò di Campione; ma a tarda sera, la polizia fece irruzione nella villa e portò tutti al commissariato (l’operazione di polizia era legata all’inchiesta sulla “mafia dei colletti bianchi”): D’Arcangelo e Dell’Utri vennero interrogati, e l’indomani tornarono in libertà. Durante il periodo di latitanza trascorso in Venezuela, a Caracas, Rapisarda incontra molti “uomini d’onore”: anzitutto Giuseppe Bono, fratello di Alfredo 62 , quindi il boss Paolo Cuntrera (esponente dell’omonima famiglia ritenuta uno dei crocevia del traffico internazionale di stupefacenti), e i boss Romano Conte e Antonio Virgilio (anch’essi, come i fratelli Bono, indicati nel citato rapporto Criminalpol del 1981 tra i principali esponenti delle cosche della "mafia finanziaria" radicata a 61
62
"Anipe" n° 32, 8 settembre 1979; "Anipe" n° 7, 23 febbraio 1980.
Il boss Alfredo Bono (esponente della "mafia finanziaria" milanese), presso l'ufficio di via Chiaravalle 7/9, a Milano (dove aveva sede il gruppo Inim e dove avevano la residenza privata il Rapisarda e i fratelli Dell'Utri), disponeva di un recapito telefonico "segreto": 6070351, ufficialmente intestato alla società Beni immobili briantei srl amministrata dai prestanome Yvette Grut, Francesco La Rosa e Filippo Rapisarda.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI Milano). Da Caracas, il giro mafioso si attiva tra l’altro per tentare di salvare il salvabile dell’ex gruppo Inim, con particolare interesse per la parte dei terreni di Peschiera Borromeo ex Facchin & Gianni intestati alla Milano Santa Maria al Bosco spa (altra società del gruppo); ma i maneggi intorno alle spoglie dell’ex impero finanziario-immobiliare, con andirivieni di commercialisti e boss da Milano a Caracas, non sortiscono alcun esito: tutto è ormai nelle mani dei Tribunali di Torino e Milano. Dalla latitanza, Rapisarda dichiara all’“Espresso”: “Quello della Inim era un progetto ambizioso fallito soprattutto per colpa di feroci contrasti tra fazioni politiche. Ciancimino non era il cervello dell’Inim, era qualcosa di più... Di cervelli non ce n’era uno solo, ma più d’uno: erano a Palermo, a Roma, a Milano, e anche all’estero. Nomi grossi, gente importante... Il gruppo doveva essere costituito da molte aziende, l’obiettivo era di dare vita a un gruppo molto forte in alternativa ad altri gruppi del Sud e del Nord... Chi erano i finanziatori dell’Inim. [non lo posso dire]: io tengo alla mia vita, quelli là mi troverebbero anche in capo al mondo”. Un nuovo rapporto redatto dalla Criminalpol in data 28 marzo 1985, intitolato “Indagini su esponenti del crimine organizzato facenti capo al gruppo mafioso Cuntrera-Caruana ed a Rapisarda Filippo Alberto” scriverà: “In relazione ad una serie di reati fallimentari [riguardanti la Venchi Unica Duemila e la Bresciano spa, NdA] venne colpito da ordine di cattura, assieme al Rapisarda, anche il suo autista Dell’Utri Alberto. Costui è il fratello gemello di Dell’Utri Marcello, collegato al boss mafioso Mangano Vittorio e uomo di fiducia di Berlusconi Silvio e di Rapisarda Alberto”; attribuendo al Rapisarda un ruolo dirigenziale e di primo piano nell’ambito della criminalità organizzata nazionale e internazionale e un ruolo cardine nella mafia “imprenditoriale” il nuovo rapporto Criminalpol imputerà al pluripregiudicato faccendiere siciliano di avere fornito falsi passaporti ad alcuni responsabili di sequestri di persona a scopo estorsivo, favorendone l’espatrio in Venezuela dove essi avevano riciclato parte delle somme dei riscatti nell’acquisto di immobili. Il crac del gruppo Inim. è di ingenti dimensioni. La sola Bresciano risulta debitrice verso la Cassa di Risparmio di Asti per un’esposizione di 33 miliardi, e nei suoi conti vi è un ulteriore passivo di circa 10 miliardi. Nell’aggrovigliata contabilità della Venchi Unica Duemila, viene accertato un ammanco di L. 807.050.837. Tra l’altro, assegni di clienti della Venchi Unica Duemila (amministrata da Alberto Dell’Utri) risultano finiti su un conto personale di Alberto Dell’Utri 63 , mentre un assegno della Venchi Unica Duemila risulta incassato da Marcello Dell’Utri. Un assegno di L. 10 milioni, tratto da uno dei conti bancari della Bresciano, datato 10 luglio 1978, risulta incassato dal boss mafioso Gaetano 63
La perizia dei Tribunale appurerà che assegni di clienti della Venchi Unica Duemila per L. 38.778.961 erano finiti sul conto corrente 35815, presso l'Ibi di Roma, intestato ad Alberto Dell'Utri. Dopo avere ripetutamente negato il fatto, Dell'Utri dichiarerà al Tribunale: “Ammetto di avere prelevato somme di cui agli assegni e ai documenti bancari mostratimi e di cui alla elencazione analitica del perito... [Al Tribunale di Torino mentii] in quanto in quel clima di terrorismo [negavo] qualsiasi accusa mi venisse mossa. Era un clima tale per cui mi sembrava di dover andare incontro all'ergastolo”.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI Cinà. Quando il Tribunale revoca il mandato di cattura a carico di Rapisarda, il finanziere torna in Italia e inoltra al Tribunale di Milano una raffica di esposti e denunce (in particolare contro la Cassa di Risparmio di Asti), una delle quali a carico dei fratelli Dell’Utri. “[Nella denuncia di Rapisarda, tra l’altro] è descritto un movimento di denaro di L. 29 milioni tra la Venchi Unica Duemila (amministrata da Alberto Dell’Utri) e la Bresciano (amministrata da Marcello Dell’Utri) attraverso cui vennero distratti L. 8 milioni personalmente dall’Alberto Dell’Utri. Dai documenti indicati e allegati [alla denuncia] emerge in modo evidente che Marcello Dell’Utri si prestò e cooperò all’occultamento ed alla distrazione della somma, facendo risultare entrati alla Bresciano solamente 21 milioni, avendone però ricevuti 29 [ ... ]” 64 . I termini della contesa sono evidenti: i due Dell’Utri affermano che la loro carica societaria di amministratori delle due società fallite era una canca puramente formale, e che essi erano in sostanza dei prestanome-paravento del Rapisarda 65 ; il Rapisarda sostiene l’esatto contrario lamentando di essere stato perfino "licenziato" dai due Dell’Utri, e arriva a denunciare di essere fatto oggetto di anonime “minacce” dietro le quali sospetta esservi “il gruppo Berlusconi per le denunce da me fatte nei confronti di Dell’Utri Marcello e Alberto” 66 . A sua volta, Marcello Dell’Utri denuncia Rapisarda per truffa. Il conflitto Rapisarda-Dell’Utri nelle aule di Giustizia si protrae - non troppo cruento - parallelo al lentissimo e complicatissimo iter dei vari fascicoli giudiziari. “I due fratelli gemelli Alberto e Marcello Dell’Utri, amministratore delegato il primo della Venchi Unica Duemila spa ed il secondo della Bresciano spa, agivano in modo del tutto autonomo e indipendente dal Rapisarda: per essere esatti bisogna dire che erano del tutto incontrollabili e si erano apertamente ribellati, insieme ad Alamia e Caristi. Il Rapisarda non aveva più, nel 1978, alcun potere di interferire nel loro operato, tanto che proprio in quel periodo costoro provvidero addirittura ad estromettere [il Rapisarda] dal gruppo Inim, giungendo persino a "licenziarlo" quale direttore generale, revocandogli tutte le procure nelle varie società. Essi posero in atto una serie di comportamenti lesivi per le società e lesivi per il Rapisarda, dei quali, forse, ebbero successivamente a pentirsi [ ... ]” 67 . In effetti, il gioco delle parti sembra avere registrato - come sostiene Rapisarda - un qualche successivo "pentimento" dei suoi ex soci fratelli Dell’Utri, ristabilendo tra gli antagonisti un saldo rapporto di rispetto. Il 14 ottobre 1989, infatti, la moglie di Marcello Dell’Utri, Miranda Ratti. ha tenuto a battesimo Cristina Elisabetta 64
Memoria difensiva, nell'interesse di Rapisarda, presentata dall'avv. Paola Mora al Tribunale di Milano in data 27 novembre 1992.
65
Cfr. la deposizione di Marcello Dell'Utri al G.I. Massobrio, 3 agosto 1982.
66
Cfr. la deposizione di Rapisarda al G.I. Della Lucia, 5 maggio 1987.
67
Memoria difensiva presentata dall'avv. Paola Mora, legale di Rapisarda, al Tribunale di Milano in data 27 novembre 1992.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI Rapisarda, figlia di Filippo Alberto. Uno dei club milanesi di “Forza Italia” (il partito-setta creato dai gemelli Dell’Utri) avrà sede nel covo dell’ex gruppo Inim e ex abitazione dei Dell’Utri, in via Chiaravalle 7/9. Secondo "Il Mondo", invia Chiaravalle 7/9, nel 1993 Rapisarda e i Dell’Utri discutono “dell’opportunità di creare un network televisivo in Argentina” 68 ; inoltre, il “delinquente abituale” Rapisarda, forte di un certificato penale ormai lungo 12 pagine, nel 1993-94 è un assiduo frequentatore della “casa romana di Alberto Dell’Utri, in via Guido d’Arezzo, ai Parioli. Il gemello di Marcello [ ... ] usa presentare ai suoi ospiti il Rapisarda come finanziere e imprenditore attivo nel campo del trasporto aereo [ ... ]. Il salotto romano di Alberto Dell’Utri, responsabile di “Forza Italia” per la Capitale, svolge una funzione importante nei rapporti diplomatici del gruppo Fininvest” 69 . Da parte sua, Silvio Berlusconi, tra il 1989 e il 1991, ha spostato dalle sue tasche a quelle di Marcello Dell’Utri la somma di L. 3 miliardi e 441 milioni, sottoforma di magnanime “donazioni” (in quanto tali sottratte alla tassazione Irpef). E nel settembre 1991, intervistato sul tema “La mafia a Milano” 70 Berlusconi dichiara: “Io il fiato della mafia non lo avverto”; benché la criminalità organizzata radicata in Lombardia abbia ormai fatto di Milano la vera capitale "imprenditoriale" di Cosa Nostra 71 , Berlusconi dichiara: “[Non sono] in grado di sapere se H negoziante [milanese] è attanagliato dalla mafia [ ... ]. Non credo che il vero problema [di Milano] sia la pressione mafiosa”. Nel marzo 1994, le cronache registrano nuovi sviluppi nell’intrico giudiziario seguito al crac della Bresciano spa amministrata da Marcello Dell’Utri: “Dopo quasi due anni di udienze, si è concluso con un’assoluzione generale il processo che ha visto di fronte il finanziere Filippo Alberto Rapisarda e la Cassa di Risparmio di Asti. Ieri 46 amministratori e dirigenti della banca, avvocati, commercialisti, imprenditori e funzionari della Banca d’Italia sono stati assolti da reati come falso in bilancio, estorsione e bancarotta perché i fatti ad essi attribuiti non sussistono. Il Tribunale di 68
"Il Mondo", 2 aprile 1994.
69
Ibidem.
70
“La Repubblica” 24 settembre 1991.
71
L'avvenuto insediamento di Cosa Nostra a Milano e nell'hinterland alla fine degi anni Ottanta risulta quotidianamente evidente da innumerevoli episodi di macro e micro delitti legati a estorsioni, racket, spaccio di stupefacenti, regolamenti di conti, attentati, rapine, omicidi; l'infiltrazione mafiosa arriverà a provocare la caduta della giunta comunale craxiana in seguito allo scandalo detto Duomo Connection mentre lo stesso ministro dell'Interno denuncia ufficialmente che la metropoli lombarda è assediata da Cosa Nostra e dalle cosche affaristico-criminali. Il "Corriere della Sera" del 7 luglio 1990, sotto il titolo Finanzieti alleati della mafia - L'allanne lanciato dal presidente della Camera di commercio milanese, ha scritto: “La necessita di un controllo sui movimenti di denaro era stata fatta presente già da qualche anno al mondo politico, con un pressante allarme, dal giudice palermitano Giovanni Falcone, il quale aveva segnalato come nei "computer delle banche e delle organizzazioni finanziarie [milanesi] viaggiassero liberamente i narcodollari della mafia' Gerardo D'Ambrosio, coordinatore del pool antimafia milanese, ammette che "è mancata e sta mancando una grande mobilitazione delle forze di polizia che dovrebbe essere pari a quella spiegata per combattere e vincere il terrorismo tenendo anche conto che Milano è vicina alle frontiere e crocevia dei riciclaggio internazionale" Come fermare la lunga mano della mafia sulla città? La pista degli appalti truccati, tangenti, affari sporchi con enti pubblici, non porta lontano. ..”.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI Milano ha anche disposto la restituzione dei beni sequestrati nell’ambito della causa: un milione e 300 mila metri quadrati di terreni nel comune di Peschiera Borromeo, in provincia di Milano, e 30 miliardi in contanti bloccati all’istituto di credito piemontese. La conseguenza dell’assoluzione dei dirigenti della banca piemontese e dei loro consulenti è la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Rapisarda e del suo collaboratore più stretto: Marcello Dell’Utri, attualmente al vertice del gruppo Fininvest e in passato amministratore delegato della società di costruzioni Bresciano spa prima del fallimento, avvenuto nel gennaio 1980. 1 due sono accusati di un crac per circa una decina di miliardi dell’epoca. Il collegio della Prima sezione penale del Tribunale di Milano ha disposto di procedere nei confronti di Rapisarda e Dell’Utri. Lo stesso Pm, al termine della requisitoria, aveva chiesto l’assoluzione generale del vertice della Cassa di Asti [ ... ]. Tra gli attori del processo vi è Diego Curtò: nel luglio 1992 Curtò concesse il sequestro di beni della banca richiesto da Rapisarda” 72 . Si apprende inoltre che Rapisarda e sua moglie sono indagati dalla Procura di Brescia per corruzione dei giudici Della Lucia e Curtò. Intanto Marcello Dell’Utri dichiara: “Rapisarda lo conosco bene. Molti dicevano che fosse un mafioso, ma io non l’ho mai creduto. Le voci nascevano dal fatto che il suo socio Francesco Alamia era consigliere comunale della corrente di Ciancimino. Ma io sono certo che lui non ha frequentato Ciancimino, e neppure l’ha mai visto ... ”; quanto alle accuse rivoltegli dal Rapisarda di essere stato un assiduo frequentatore di boss mafiosi, Dell’Utri dichiara: “Tutte falsità totali... Rapisarda mi ha confessato di essersi inventato tutto” 73 . L’8 aprile 1994, H nome di Marcello Dell’Utri risulta iscritto nel registro degli indagati della Procura milanese, insieme a quello di Rapisarda e Francesco Paolo Alamia. “Concorso in bancarotta fraudolenta aggravata, l’ipotesi di reato contro Dell’Utri e gli altri. La vicenda su cui sta indagando il magistrato Francesco Prete prende il via dal fallimento della Bresciano sas di Mondovi e fa riferimento alla sentenza con cui il Tribunale, il 17 marzo scorso, ha assolto i vertici della Cassa di Risparmio di Asti, in un primo tempo indicati come i responsabili del crac. Il vorticoso giro di miliardi della società inizia nel 1976. La Bresciano sas non riesce a rientrare nel debito di oltre 10 miliardi accumulato nei confronti della Cassa di Risparmio di Asti. Il fallimento è alle porte, ma il finanziere Rapisarda si offre di salvare la situazione. In cambio, però, vuole nuove aperture di credito dalla banca. Esautorati i Bresciano, al vertice della società c’è adesso Marcello Dell’Utri. Ma la situazione, 3 anni dopo, peggiora. Il buco iniziale di 10 miliardi non solo non è ripianato, ma i debiti, nel’79, ammontano a ben 33 miliardi. Rapisarda fugge all’estero. Latitante in Venezuela, ospite della famiglia Cuntrera, indicata ai vertici del traffico internazionale di droga, Rapisarda comincia a preparare il terreno per rientrare in Europa. Quando lo fa ha un solo obiettivo: dare l’assalto alla Cassa di 72
“1a Repubblica", 18 marzo 1994. Lo stesso Dell'Utri nel processo si era costituito parte civile, chiedendo alla Cassa di Risparmio di Asti un risarcimento danni di 6 miliardi. Il tentativo del duo Rapisarda-Dell'Utri era stato quello di addossare le responsabilità del crac Bresciano alla Cassa di Asti e ai suoi dirigenti.
73
Intervista al "Corriere della Sera", 21 marzo 1994.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI Risparmio di Asti. Ma dopo la sentenza del 17 marzo la “patata bollente” torna nelle mani dei manager della Bresciano sas. Prima di tutto Filippo Rapisarda, indicato come amministratore di fatto, poi Marcello Dell’Utri, amministratore effettivo dell’azienda” 74 . Anche la sede del club “Forza Italia” situata nel famigerato palazzo di via Chiaravalle 7/9, a Milano, trova spazio nelle cronache giornalistiche del marzo 1994: “Quindici giorni fa Rapisarda ha messo a disposizione di Forza Italia i locali dove proprio Dell’Utri tiene vibranti prolusioni [è in corso la campagna elettorale, NdA]”, scrive La Repubblica”. “Ma i locali di Rapisarda non appartengono affatto a Rapisarda. Secondo una sentenza della Cassazione di tre anni fa, lo ~tabiIe di via Chiaravalle deve essere restituito al curatore del fallimento [di una delle società del crac del gruppo Inim] dal cui patrimonio venne fatto sparire poco prima dei fallimento. Nonostante la Cassazione, H curatore non èancora riuscito a farsi ridare lo stabile. La sede di via Chiaravalle, insomma, è stata offerta a Forza Italia da un signore [Rapisarda] che non risulta avere alcun titolo su di essa” 75 ; e ai cronisti che gliene chiedono conto, Marcello Dell’Utri risponde: “La sede? Che cazzo ne so! Chiedetelo a Rapisarda”.
74
“La Stampa”, 9 aprile 1994. li successivo 19 aprile, il "Corriere della Sera" informa: “La Procura di Brescia, che è competente a indagare sui magistrati milanesi, ha spedito un avviso di garanzia a Giorgio Della Lucia, ex giudice istruttore e oggi consigliere di Corte d'Appello. Tre i reati ipotizzati: abuso d'ufficio, falsificazione di perizia e corruzione per atti giudiziari. L'inchiesta riguarda la stessa vicenda che ègià costata al magistrato una punizione disciplinare: l'anomala conduzione delle indagini sulle società Venchi Unica e Bresciano, fallite alla fine degli anni '70, quando erano controllate dal finanziere Filippo Alberto Rapisarda e dagli attuali dirigenti di Publitalia Alberto e Marcello Dell'Utri. In concorso con Della Lucia sono inquisiti anche Curtò e Rapisarda: il Pin Ascione indaga su un sequestro di beni da 100 miliardi concesso dal giudice al finanziere. E su una perizia 'Voro" ordinata da Della Lucia a Paolo Brecciaroli: 750 milioni per valutare le cause del crac”. 75
“la Repubblica”, 26 marzo 1994.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI Mani sporche contro Mani pulite Tra la fine del 1993 e i primi mesi del 1994, Marcello Dell’Utri esce suo malgrado dal discreto cono d’ombra rappresentato dalla carica di amministratore delegato di Publitalia (la "cassaforte" della Fininvest), e la sua figura e il suo ruolo cominciano a rivelare più precisi contorni. Del resto, la contingenza lo richiede: il crollo del craxismo e del regime Dc-Psi priva la Fininvest dell’indispensabile “copertura” politica, protezione ancor più indispensabile in rapporto alla grave situazione finanziaria del gruppo berlusconiano oppresso da qualche migliaio di miliardi di debiti. Attivando in forma semi-clandestina la capillare struttura di Publitalia (nel cui ambito il gemello Alberto è direttore della nevralgica sede romana), Marcello Dell’Utri organizza nel volgere di poche settimane lo pseudo-partito “Forza Italia” (cioè lo strumento attraverso il quale, anche grazie ai suoi networks televisivi, la Fininvest arriverà a conquistare il potere politico nazionale). L’obiettivo dell’avventura politica è palese e articolato: salvare dal crac il gruppo Fininvest, salvaguardandone così anche gli innumerevoli segreti finanziario-azionari e gli occulti interessi che vi sono sottesi; occupare direttamente il vuoto di potere lasciato dal crollo del regime Dc-Psi (all’ombra del quale e solo grazie al quale il gruppo Fininvest ha potuto costituirsi e prosperare); stroncare l’inchiesta della Procura della Repubblica di Milano (“Mani pulite") che ha determinato il crollo del regime Craxi-Andreotti-Forlani e che ormai rischia di smascherare molte delle corruttive pratiche dello stesso gruppo Fininvest e i suoi intrichi societari e finanziari nazionali e internazionali 76 . 76
In una sua inchiesta ("La rete estera dei Biscione') pubblicata dal "Corriere della Sera" dei 5 agosto 1994, Ivo Caizzi scrive: “La Silvio Berlusconi Finanziaria S.A. (Sbf), una holding domiciliata nel paradiso fiscale di Lussemburgo, spunta a sorpresa come la "cassaforte" all'estero dove la Fininvest custodisce un patrimonio di società finora sconosciuto alle cronache [ ... ]. Le holding di Lussemburgo consentono anche di tutelare eventuali azionisti anonimi. [...] Berlusconi fin dall'inizio si è servito di società estere, come le regole del business internazionale gli consentono. Al pari di tanti suoi colleghi lombardi di quegli anni è partito dalla Svizzera... Ma, alla fine degli anni Ottanta, con l'affievolirsi del segreto bancario nella Confederazione, ha seguito l'esempio di vari grandi gruppi ed è ricorso alle holding in Lussemburgo. Nella vicenda Telepiù, la pay tv di cui la Fininvest ha una quota, è apparsa la lussemburghese Cit, che vari giornali hanno sospettato sia stata creata per celare la proprietà dei 25 per cento di Telepiù (poi ceduta al finanziere Johann Rupert), che la legge italiana vietava a Berlusconi di possedere. Inoltre la Cit è nata nell'orbita della Banque Internationale Luxembourg (Bil), dove sono di casa tanti italiani amanti dell'anonimato [ ... I. U Sbf nasce il 23 dicembre '87 come Finanziaria d'Investimento International (capitale 40 mila dollari). Ha sede al 26 boulevard Royal, dove c'è la Banca di Roma International, diramazione lussemburghese dell'istituto... che è tra i finanziatori dei gruppo Fininvest [ ... ]. La Finanziaria d'investimento l' l. settembre '89 viene ridenominata Silvio Berlusconi Finanziaria. Il capitale sale a 50 milioni di dollari e nasce una rete di controllate con sede anche in altri paradisi fiscali. Viene sottoscritto il 100 per cento della Principal Network, domiciliata a Tortola nelle Isole Vergini Britanniche, e di Rete Europa International di Londra, più il 33,3 per cento della Tricom di Parigi. Viene acquistata la società panamense Omc Corporation che, secondo il bilancio Sbf, a Panama non è tenuta a ufficializzare i rendiconti della sua attività [ ... ]. E entra nell'orbita della Sbf la Rete Europa International N.V., domiciliata nel paradiso fiscale delle Antille Olandesi, a Curagao. Già tutte queste società, che sembrano un po' delle “scatole cinesi” rendono arduo seguire nei dettagli leggendo il bilancio della Sbf - i movimenti di denaro all'interno delle controllate, o i rapporti con gli eventuali partner d'affari. Ma l'espansione continua. Nel'90 la Sbf si allarga a Tortola nelle Isole Vergini Britanniche, con la Principal Television e la Principal Communications. Rileva il 54 per cento della Euroloterie di Lussemburgo, il 20 per cento di Ediciones Musicales Cinco di Madrid, e il 100 per cento delle londinesi Sport Image International, Libra Communications, News & Sport Television, Leopard Communications e Rete Italia U.K. La crescita nei centri protetti da un rigido segreto bancario tocca anche Malta, che negli ultimi anni è stata scoperta dagli italiani come paradiso fiscale. News & Sport Time, Scarmiore e Lion Communicatíons hanno sede a La Valletta. Nel '91 il capitale della Sbf viene
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI
Di tutta l’operazione “politica”, che porterà alla formazione del governo-Fininvest, Berlusconi è il primattore, ma il regista è Marcello Dell’Utri. Non a caso, Dell’Utri presenzierà (senza averne alcun titolo ufficiale) perfino alle trattative del presidente incaricato Berlusconi per la formazione del governo: ad esempio, sarà presente al vertice romano del 4 maggio 1994 (presente anche il gemello Alberto), e a una riunione dedicata alla lista dei ministri tenutasi ad Arcore il successivo 8 maggio 77 . Non a caso, secondo attendibili indiscrezioni, Dell’Utri è il primo candidato ministro degli Interni nel governo Berlusconi. Intanto, all’interno del gruppo Fininvest, Marcello Dell’Utri - ufficialmente semplice manager di una società controllata - può liberamente e pubblicamente attaccare l’amministratore delegato della holding Fininvest Franco Tatò (imposto dalle banche ai vertici del gruppo nell’estate 1993 col compito di risanarne la grave situazione finanziaria): “Tatò non ha ancora compreso in pieno lo sviluppo del gruppo” polemizza Dell’Utri, e aggiunge sprezzante: “Qui per la gestione non basta la filosofia numeraria [ ... ]. Serve un’anima più larga rispetto a quella di chi [Franco Tatò, NdA] si fissa sui conti. Serve più umanità, più capacità di vedere le cose in grande ... ”, e conclude sibillino: “Credo che Tatò sappia prontamente assorbire le nostre osservazioni ... ” 78 . Dunque, “il manager" dice che l’amministratore delegato non ha capito niente, e si augura che sappia prontamente capire... Può farlo, poiché Dell’Utri non parla da subalterno: la sua, è la voce del padrone. *** Nel marzo 1994, l’inchiesta giudiziaria “Mani pulite” si imbatte in un torrente di “fondi neri” Fininvest, ottenuti mediante fatturazioni fasulle, artifici contabili e strane società. Al centro di tutto, Publitalia’80 e il suo vate Marcello Dell’Utri, e cinque pittoreschi personaggi (tra essi, il pornoregista romano Lorenzo Onorati, l’ex maestro di tennis di Berlusconi Romano Luzi, e l’ex dirigente di Publitalia Valerio Ghirardelli). Una tempestiva ‘Tuga di notizie", attraverso il telegiornale Fininvest elevato a 100 miliardi di lire e tanti soldi scorrono nei vari pianeti di questa galassia. Emerge una notevole attività finanziaria infragruppo per la gestione delle varie partecipazioni azionarie. I finanziamenti alle società controllate toccano 3 10 miliardi di lire Berlusconi potenzia ulteriormente la presenza lussemburghese fondando la Rete Invest Holding S.A., che ha un capitale di 25 milioni di marchi (circa 25 miliardi di lire) ed è amministrata dal dirigente Fininvest Alfredo Messina. Poi muove una parte rilevante dei flussi finanziari dal Granducato alle Isole Vergini Britanniche: ampliando 9 ruolo della Principal Finance di Tortola, che rileva la Principal Communications e la Sport Image International, diventando un po' una sub-holdíng. Principal Finance aumenta il capitale a 10 milioni di dollari e sforna profitti per 136 miliardi di lire, che sono anticipati agli azionisti, evidentemente~ bisognosi di liquidità urgente. Gli atti societari consultabili non consentono di sapere se la Fininvest negli ultimi tempi abbia modificato la struttura della SbL Perché, nella stanza al pian terreno dei Palace de Justice dei Granducato, dove sono custoditi gli atti delle società lussemburghesi, il fascicolo numero B 27172, relativo alla Silvio Berlusconi Finanziaria, fino ai giorni scorsi non conteneva ancora i bilanci degli ultimi due esercizi 1992 e 1993”. 77
78
Cfr. "La Stampa", 9 maggio 1994.
Cfr. intervista al "Corriere della Sera" del 15 aprile 1994, pubblicata col significativo titolo Dell'Utri a Tatò: Non hai capito. Ora adeguati". Il successivo 6 maggio, lo stesso "Corriere della Sera" scriverà di possibili dimissioni minacciate da Tatò, fatto oggetto “di veleni, messaggi trasversali, manovre sotterranee” provenienti dall'interno del gruppo.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI “Tg5”, vanifica di fatto le richieste che i magistrati hanno inoltrato al Gip per l’arresto di Dell’Utri e dei cinque coinvolti nella vicenda. Nel rapporto della Guardia di Finanza che ha attivato i magistrati è scritto tra l’altro: “Gli elementi acquisiti inducono a ritenere fittizie le prestazioni di cui alle fatture n. 74 e n. 88 emesse dalla società Panam srl [di Lorenzo Onorati] nei confronti di Publitalia ‘80 spa... E’ evidente come la società Panam è stata utilizzata nell’operazione come soggetto di comodo al quale intestare le fatture. Le indagini svolte nei confronti di tale società hanno messo in luce come la stessa manchi di concreta organizzazione produttiva, risulti priva di personale dipendente o di collaboratori. Non ha alcuna sede effettiva, ha radicalmente disatteso gli obblighi fiscali, è stata utilizzata per la produzione di filmati pornografici e per l’emissione di fatture fittizie nel settore pubblicitario”. Nel giro di pochi giorni, gli inquirenti hanno individuato ‘Tondi neri" Fininvest per circa 20 miliardi. La magistratura milanese indaga sulla “contabilità segreta della Valcat, una piccola società di cui Valerio Ghirardelli [ex manager di Publitalia, e attuale direttore generale di Telepiù] è titolare. Un gruppo di esperti è al lavoro per rendere leggibili le memorie dei computer e i dischetti sequestrati nella sede della Valcat. Una parte del materiale, superprotetto elettronicamente, è stata inviata per la traduzione negli Stati Uniti, al produttore del computer. Ma già da quello che è stato esaminato dai tecnici italiani appare chiaro che la Valcat funzionava da “cartiera” per conto della Fininvest. Produceva cioè “carte”, fatture, per giustificare movimenti di denaro altrimenti non spiegabili e far quadrare bilanci zoppicanti. Ghirardelli è accusato di falso in bilancio e frode fiscale, in compagnia di altri gestori di “cartiere” (come Romano Luzi, l’ex maestro di tennis di Silvio Berlusconi, poi diventato titolare della Conaia srl) e dell’amministratore delegato di Publitalia, Marcello Dell’Utri. Ora gli esperti incaricati dalla Procura di Milano hanno estratto dai computer della Valcat una contabilità a dir poco confusa: fatture emesse per cifre diverse da quelle indicate ufficialmente, oppure intestate a società diverse del gruppo Fininvest (per esempio Rti invece che Publitalia). Esistono anche fatture doppie (ossia due documenti diversi registrati con lo stesso numero). Secondo quanto i giudici stanno accertando, la contabilità miliardaria della Valcat e delle altre “cartiere” Fininvest serviva, fra l’altro, a occultare pagamenti fuori bilancio a Dell’Utri e ad altri dirigenti di Publitalia, oppure nascondeva regalie, sempre in nero, ai manager di aziende (per esempio Swatch, Seat, De Cecco) che decidevano grossi investimenti pubblicitari sulle reti Fininvest” 79 . Mentre il candidato-premier Berlusconi attacca con violenza i magistrati di “Mani pulite” 80 che hanno osato avvicinarsi al “nervo scoperto” Dell’Utri, l’amministratore 79
80
“L’Europeo”, 31 agosto 1994.
I furibondi strali berlusconiani si rivolgono in particolare verso il Pm Gherardo Colombo, definito “un comunista”. L'avversione di Berlusconi per il valente magistrato è del tutto comprensibile: fu per iniziativa di Colombo (e di altri magistrati milanesi) che nel 1981 venne scoperchiata la Loggia P2, la banda gelliana alla quale Berlusconi era segretamente affiliato.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI delegato di Publitalia si reca “spontaneamente” a Palazzo di giustizia, e alle prime contestazioni dichiara: “Non ricordo... Mi riservo di rispondere dopo essermi documentato ... ”. Ma negli atti giudiziari risulterà scritto tra l’altro: “Generiche e apodittiche negazioni dei fatti [da parte di Dell’Utri] ... Amnesie che trovano giustificazione solo in un’ottica difensiva ... [Dell’Utri e soci hanno] fraudolentemente esposto nei bilanci e nelle altre comunicazioni sociali fatti non rispondenti al vero, simulando l’esistenza di rapporti economici in effetti inesistenti, nonché utilizzando molteplici artifici contabili, al fine di distrarre rilevanti risorse societarie, con ciò occultando le effettive condizioni economiche delle rispettive società... Il sistema utilizzato da Publitalia si basa sulla simulazione di costi, attraverso l’annotazione di fatture per operazioni inesistenti, finalizzata a giustificare uscite finanziarie al fine di appropriarsene indebitamente”. L’inchiesta dei magistrati porta a galla intrecci rivelatori, come ad esempio quelli che intercorrono fra Dell’Utri e l’ex “maestro di tennis” berlusconiano Romano Luzi: “A Marcello Dell’Utri, la Conaia di Luzi ha riservato favori vari, definiti dagli inquirenti “elargizioni”: ha pagato alla famiglia del ricco e potente manager Fininvest le vacanze natalizie ‘92 e ‘93 a Madonna di Campiglio e gli ha concesso l’uso del motoscafo Biba. Eppure, anche se il natante è di proprietà della Conaia, è successo che sia stato lo stesso Dell’Utri a liquidare le spese di rimessaggio. Perché? Risponde Luzi: “Perché io gli ho prestato la barca... Penso che l’intestazione degli estratti conto relativi al rimessaggio dipenda da un errore del cantiere. La fattura l’ho pagata infatti io”. Luzi ha anche prestato soldi a Dell’Utri (“Siamo amici da vent’anni”): 60 milioni con un assegno del 16 febbraio ‘93. Con quale giustificazione? Ecco la sua versione: “Dell’Utri mi ha chiesto un prestito. Non so se aveva qualcosa in scadenza, un mutuo quasi sicuramente. Mi ha chiesto del denaro per farvi fronte e io gliel’ho dato. Dell’Utri non mi ha ancora restituito il denaro. Non c’era alcuna data di scadenza”. E Dell’Utri, interrogato il 9 marzo, ha detto: “È stato un prestito che ho chiesto a Luzi per pagare un mutuo o parte di esso. t un mutuo per la casa di Milano 2”. Spiegazione poco convincente. Ma tant’è. Forse che la casa madre, la Fininvest, non è stata a sua volta generosa con la Conaia di Luzi? Puntuale quindi la domanda dei magistrati a Dell’Utri: “Il Luzi ha un’esposizione superiore al miliardo presso il Monte dei Paschi di Siena, garantita da una fideiussione Fininvest. Conosceva questa circostanza?”. Risposta di Dell’Utri: “Sapevo che Luzi aveva chiesto un prestito alla cassa centrale, alla Fininvest, ma non ne conoscevo l’entità... Non mi sembra una cosa strana. Essendo il Luzi un intermediario che aveva un flusso continuo, il gruppo ha ritenuto di concedere la fideiussione”” 81 . Il 2 maggio 1994, il Tribunale della Libertà conferma le richieste di arresto avanzate dai magistrati di “Mani pulite” a carico di Dell’Utri e soci. Nella loro ordinanza, i giudici scrivono: “Si evidenzia il ruolo decisamente primario, rispetto agli altri indagati, del Dell’Utri. È certamente all’interno di Publitalia che nasce la necessità di servirsi delle due società affiliate (la Conaia e la Panam) per movimentazioni 81
“L’Espresso”, 15 aprile 1994.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI economiche non compatibili con regolari prestazioni”; i giudici scrivono anche di “evidente capacità [della Fininvest] nel controllare le attività investigative e ispettive”: il riferimento è al rapporto dei finanzieri del Secit che ha originato l’inchiesta, copia del quale è stata sequestrata al responsabile fiscale della Fininvest Salvatore Sciascia che ne è risultato misteriosamente in possesso. “E da quel documento si arriva ad un’altra vicenda su cui sta indagando la Procura. Di cosa si tratta? Ludovico Verzellesi (allora direttore generale delle imposte indirette) venne contattato da Salvatore Sciascia per far ottenere alla Fininvest una aliquota più bassa per gli abbonamenti per le pay-tv, cosa che poi avvenne, in cambio di un avanzamento di carriera. Svela il Tribunale della Libertà: “Lo Sciascia si interessò dell’incarico desiderato da Verzellesi, inviando anche una lettera al dottor Silvio Berlusconi in data 24 gennaio ‘92. Proposto come consigliere della Corte dei conti [dall’allora ministro delle Finanze craxiano Rino Formica, NdA], Verzellesi non ottenne l’incarico per la caduta del governo Andreotti, a cui subentrò Giuliano Amato”. E intanto si indaga sulle fatture false. Al centro della vicenda ci sono le società Panam International, Conaia e Valcat che “emettevano fatture per operazioni in tutto o in parte inesistenti a carico di Publitalia ‘80”. A cosa servivano questi fondi neri? Scrivono i giudici: “Al pagamento di compensi occulti e all’acquisto di beni di lusso non pertinenti all’oggetto sociale dell’impresa”. Tra i “beni di lusso” individuati dalla procura ci sono una serie di auto sportive (Porsche e Aston Martiri), oggetti d’antiquariato e preziosi, barche. E pure tre fatture per un ammontare di oltre 34 milioni per “spese di abbigliamento per acquisti effettuati dal dottor Silvio Berlusconi e dalla signora Berlusconi”” 82 . Mentre il presidente del Consiglio incaricato soccorre nuovamente il suo sodale Dell’Utri e il loro impero dichiarando che “il Tribunale della Libertà ha preso un granchio colossale... Sono sicuro che la Cassazione metterà le cose a posto”, Dell’Utri ricorre appunto in Cassazione dichiarando: “Questa non è indagine, è inquisizione”. L’obiettivo è chiaro: prendere tempo, per poter varare il governo Berlusconi che provvederà subito a fermare i magistrati di "Mani pulite" prima che si addentrino nelle "segrete stanze" dei meandri Fininvest. Del resto, il gruppo è nel mirino della magistratura per numerose altre vicende - le inchieste in corso sono innumerevoli e riguardano un po’ tutti i settori delle attività berlusconiane: calcio, Tv, edilizia, finanza, grande distribuzione, con ipotesi di reato che vanno dalla corruzione al falso in bilancio, dalla frode fiscale al finanziamento illecito dei partiti. Nel delicato frangente che vede Marcello Dell’Utri alla ribalta della cronaca giudiziaria, non manca di attivarsi anche suo fratello Alberto, il quale rivolge minacce telefoniche in puro stile mafioso a un giornalista della "Stampa", Alberto Statera, reo di aver informato i lettori del quotidiano torinese circa gli scabrosi trascorsi di Marcello: “Guardi che queste cose non si fanno... Guardi che lei potrebbe avere anche dei grossi dispiaceri”, dice Dell’Utri al giornalista - e Statera gli
82
“La Stampa”, 3 maggio 1994.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI risponde: “Guardi che se lei continua con questo tono, io sono costretto a chiamare i carabinieri” 83 . Il primo tentativo di scardinare il pool dei magistrati milanesi avviene, nel puro stile berlusconiano, attraverso la lusinga: il presidente del Consiglio incaricato, il 7 maggio 1994, offre al magistrato-simbolo di “Mani pulite” Antonio Di Pietro, una poltrona di ministro nel costituendo governo 84 . E poiché il magistrato declina l’invito, il governo Fininvest procederà altrimenti, a norma di decreto-legge. Il 13 luglio, un decreto-legge del governo Berlusconi (detto per l’appunto “Decreto salva-ladri”) vieta l’arresto cautelativo per i reati di corruzione, concussione, peculato e ricettazione, e soprattutto per quelli di bancarotta fraudolenta, falso in bilancio, frode fiscale, e limita inoltre la libertà di stampa in merito agli “avvisi di garanzia”. È il primo passo del governo-Fininvest per stroncare le inchieste di "Mani pulite" che stringono d’assedio il gruppo Fininvest, e per ledere l’autonomia della magistratura. Scriverà il giurista Guido Neppi Modona: “La “Disciplina della custodia cautelare” (art. 2) è la parte del decreto in cui l’impudenza e la protervia del governo nel privilegiare la nuova categoria degli imputati eccellenti emergono con maggiore evidenza. La possibilità di ricorrere alla custodia in carcere è in primo luogo esclusa per tutti i delitti contro la pubblica amministrazione (peculato, concussione, corruzione, abuso d’ufficio, ecc.), nonché per quelli tipici della criminalità economica e dei “colletti bianchi” (bancarotta fraudolenta, falso in bilancio, frode fiscale, ricettazione, truffa in danno dello Stato, di enti pubblici, o per ottenere contributi, agevolazioni e finanziamenti pubblici). Questi reati possono evidentemente essere commessi solo da persone inserite nei circuiti del potere economico e politico: l’ombrello protettivo non copre quindi solo gli attuali imputati di Tangentopoli, ma tutti coloro che sono stati o saranno in grado di sfruttare la loro posizione e le loro entrature sociali per trarne illeciti profitti in danno della collettività [ ... ]. Addirittura oltraggiosa è la macroscopica disparità di trattamento tra un bancarottiere che ha distratto centinaia di miliardi ed il ladruncolo di strada che si è impossessato di poche migliaia di lire: il primo esente dalla custodia in carcere anche se ha già in tasca il biglietto aereo per le Baliamas, il secondo destinato a finire in galera se, come assai probabile, vi è il pericolo concreto che continuerà a scippare” 85 . Il proditorio decreto-Fininvest darà origine a uno scandalo dall’eco 83
Episodio riferito da “Prima comunicazione”, maggio 1994.
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La pelosa manovra verrà così commentata dal costituzionalista Gustavo Zagrebelsky: “Ma i giudici non possono stare sullo stesso piano dei politici e stabilire con loro patti, da potenza a potenza. Questi sarebbero patti di collusione o di compromissione. t quel che stava per accadere con l'offerta da parte dei presidente dei Consiglio incaricato al magistrato Di Pietro. Se fosse stata accolta, in primo luogo, si sarebbero portati in dote al nuovo governo H credito e i meriti acquisiti per mezzo di un'azione giudiziaria, strumentalizzandoli fuori della magistratura. Il governo avrebbe indebitamente acquisito un plusvalore capace di alterare a suo favore l'equilibrio con la magistratura stessa. In secondo luogo si sarebbe posto un precedente nel senso dell'omologazione dei magistrati più in vista all'indirizzo governativo, nella speranza di un incarico ministeriale: una violazione dell'indipendenza non con minacce, ma con lusinghe” (“La Stampa” 10 maggio 1994).
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“1a Repubblica", 16 luglio 1994.
Lâ&#x20AC;&#x2122;AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI internazionale, tale da rischiare la repentina caduta del neocostituito governo Berlusconi, e verrĂ subito ritirato. Ma la lotta di Mani sporche contro Mani pulite prosegue...
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI Sotto le volte della Cupola I quotidiani di domenica 20 marzo 1994 informano che in seguito alle confessioni dei mafiosi pentiti Totò Cancemi e Gioacchino La Barbera, le Procure distrettuali antimafia di Caltanissetta, Palermo, Catania e Firenze stanno svolgendo indagini sul conto di Silvio Berlusconi e dei fratelli Marcello e Alberto Dell’Utri. “L’inchiesta incrociata sui vertici della Fininvest ha il suo epicentro in Sicilia, laddove Totò Cancemi ha compiuto una lunga carriera criminale da semplice soldato della "famiglia" di Porta Nuova a rappresentante della Commissione provinciale di Palermo. Il mafioso ha confessato ai giudici e ai carabinieri del Raggruppamento operativo speciale (Ros) i legami che stringono Marcello Dell’Utri e alcuni esponenti di Cosa Nostra. Un elenco lunghissimo, composto non da uomini d’onore qualunque ma dai capi, dai sottocapi e dai consiglieri di due delle più importanti “famiglie” di Palermo: quella di Porta Nuova e quella di Santa Maria dei Gesù. Girolamo “Mimmo” Teresi è il primo personaggio della lista fatta dal pentito Totò Cancemi. Mimmo Teresi era il più fidato amico di Stefano Bontate e suo consigliori. Furono uccisi entrambi, nel 1981, a distanza di un mese. Gli altri due nomi citati da Cancemi sono quelli di Pietro Lo Jacono e di Ignazio Pullarà, una volta capidecina di Bontate e poi passati nelle fila dei Corleonesi di Riina. Ma Totò Cancemi parla anche della sua “famiglia” e, soprattutto, del "punto di riferimento" che aveva in Lombardia: Vittorio Mangano [ ... ]. Mangano è stato stalliere ad Arcore (nella tenuta di Berlusconi) nella seconda metà degli anni Settanta. [Secondo Cancemi] nella "tenuta" tra Monza e Milano trovarono rifugio Ciccio Mafara (un boss ucciso nei primi anni Ottanta nella guerra di mafia) e, durante la latitanza, i fratelli Grado e Contorno, anche loro uomini d’onore di Santa Maria del Gesù. Gli investigatori hanno ritenuto che si trattasse di Totuccio Contorno. Ma il pentito ha spiegato: “No, non sono io. Credo che sia Giuseppe Contorno... In quegli anni lui aveva interessi a Milano con i Pullarà, Ignazio e Giovambattista”. Le rivelazioni di Totò Cancemi non si fermano però alle amicizie e alle frequentazioni mafiose di Marcello Dell’Utri. Il boss svela i retroscena del grande affare del centro storico [di Palermo]. Parla degli investimenti che Silvio Berlusconi avrebbe fatto in attesa del secondo “grande sacco” della città, quello che la mafia stava preparando dai tempi di Lima e Ciancimino, Calò e Buscetta. Totò Cancemi indica espressamente l’acquisto di immobili da parte del Cavaliere. E poi fa entrare in scena un misteriosissimo personaggio che avrebbe fatto da intermediario, a Palermo, nell’affare centro storico”. Il pentito lo chiama “il ragioniere”. Sarebbe stato “il ragioniere”, in nome e per conto di Berlusconi, a trattare direttamente l’operazione. Sarebbe stata, dunque, la mafia a favorire l’ingresso in Sicilia del Cavaliere per spartire la "torta" del grande risanamento di uno dei centri storici più belli d’Europa? Su tutte queste dichiarazioni del pentito di Porta Nuova sono in corso investigazioni in tutta la Sicilia occidentale. Indaga la Procura antimafia di Palermo, ma anche quella di Caltanissetta dove Cancemi - per la prima volta - ha deciso di vuotare il sacco sulle stragi mafiose dell’estate 1992. Sono investigazioni partite alla fine dello scorso febbraio e concentrate soprattutto nella città di Palermo. Si cercano anche società in qualche modo legate a Marcello Dell’Utri e a suo fratello Alberto,
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI società costituite negli ultimi anni a Palermo. Più complessa e articolata l’inchiesta dei magistrati della Procura antimafia di Catania. Anche lì s’indaga sullo staff del Cavaliere, seguendo le tracce di un fiume di soldi. L’inchiesta era cominciata indagando sul "tesoro" di Benedetto “Nitto” Santapaola e dei suoi fedelissimi prestanome. 1 giudici hanno trovato collegamenti con alcune società di Alberto Dell’Utri, il fratello di Marcello. Collegamenti che hanno lasciato una traccia: intercettazioni telefoniche. Questa di Catania è una investigazione difficilissima, gli esperti partono da centinaia di migliaia di dollari, i proventi del riciclaggio della “Santapaola spa”” 86 . “Secondo alcune indiscrezioni, confermate in ambienti giudiziari, la Direzione distrettuale antimafia di Palermo (Dda) indaga su Dell’Utri in relazione ad una vicenda di riciclaggio di denaro proveniente dal traffico internazionale di stupefacenti affidato da Cosa Nostra direttamente o indirettamente all’amministratore delegato di Publitalia [ ... ]. Il quadro che fa Cancemi ritrae un Marcello Dell’Utri abbastanza in confidenza con alcune ‘1amiglie" di Cosa Nostra, e precisamente quelle di Santa Maria del Gesù e quella di Porta Nuova. Il pentito parla di "gite" milanesi (nella villa di Dell’Utri) di uomini come Stefano Bontate, Mimmo Teresi, Pietro Lo Jacono, i fratelli Pullarà e i cugini Grado. L’altro collaboratore, La Barbera, sembra sia stato un po’ più generico. Ha detto di [ ... ] poter affermare che nell’ambito di Cosa Nostra Berlusconi veniva considerato amico [ ... ]. Pietro Marchese ha raccontato che la mafia, a suo tempo, intervenne per salvare dal sequestro il figlio di Silvio Berlusconi che fu portato fuori dall’Italia [ ... ]. Cancemi parla dei rapporti tra Fininvest e Cosa Nostra, ipotizzando una sorta di "patto" insorto dopo che la mafia aveva avviato una campagna di taglieggiamento nel settore della grande distribuzione in Sicilia. Il boss racconta di un’estorsione che, nel tempo, sarebbe divenuta un tacito accordo (con pagamento di circa 600 milioni all’anno) per avere una specie di esclusiva. La storia dell’inchiesta sugli attentati alla Standa di Catania non è nuova e la Procura di Catania avrebbe accertato molte circostanze che proverebbero l’esistenza di una vera e propria “guerra di mafia” per accaparrarsi la piazza della grande distribuzione nell’Isola [ ... ]” 87 . “I magistrati sembrano intenzionati a ricostruire l’intera carriera dei due Dell’Utri: da quando hanno lasciato la Sicilia per insediarsi a Milano, fino all’ascesa ai massimi vertici dell’impero del Cavaliere. Ci sono già testimonianze che inquadrano le pericolose amicizie di Marcello Dell’Utri e la frenetica attività di Alberto, suo fratello gemello. Di Alberto si sta occupando soprattutto, ma non solo, la Procura antimafia di Catania. I magistrati vogliono capire le ragioni del vorticoso nascere e morire di società che ad Alberto Dell’Utri farebbero riferimento. Società che, in alcuni casi, si intersecherebbero con i canali di riciclaggio predisposti da un 86
“La Repubblica”, 20 marzo 1994. Il boss pentito Gioacchino La Barbera, da parte sua, ha tra l'altro dichiarato agli inquirenti: “Sono stato contattato da alcuni uomini della Fininvest, tra la fine del '92 e l'inizio del '93, quando avevano necessità di installare nella zona di Palermo dei ripetitori Tv. Dovevo occuparmi del movimento terra. Non avevo le macchine adatte. E quel lavoro non lo feci io”.
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“La Stampa”, 20 marzo 1994.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI prestanome del boss catanese Nitto Santapaola” 88 . Il vertice della Fininvest reagisce alle indiscrezioni pubblicate con risalto dalla stampa: parla di “una manovra” calunniosa, e cavalcando la campagna elettorale in corso, grida al complotto. L’aspirante premier Berlusconi dichiara: “Comincio a pensare che in fondo a questa manovra potrebbe esserci un rischio enorme, quello della perdita della libertà nel nostro Paese”. E Dell’Utri, “motore” del partito-setta “Forza Italia”: “Pazzesco. Tutto assurdo: il mio è come il caso Tortora... t tutto falso... Ignobili calunnie... Ci avevano avvertito: chi tocca i fili [della politica] muore”. Il 22 marzo 1994, il quotidiano “La Stampa” attribuisce al presidente della Commissione parlamentare Antimafia Luciano Violante una dichiarazione che indurrà Violante a rassegnare le dimissioni dalla Commissione in seguito alle violente polemiche suscitate: “La verità è che Dell’Utri è iscritto sul registro degli indagati della Procura di Catania, non di quella di Caltanissetta. E non si tratta di pentiti questa volta. C’è un Pm di lì, si chiama Marino, che sta conducendo un’indagine di mafia su un traffico di armi e di stupefacenti. L’inchiesta non si basa su dichiarazioni di pentiti ma, a quanto pare, su intercettazioni ambientali”. La reazione del partito-Fininvest è furibonda: Berlusconi denuncia un “complotto comunista” capeggiato dal “comunista Violante” con la complicità di “certa magistratura”. Ma le "indiscrezioni" attribuite a Violante trovano una qualche conferma a Catania: “Centinaia di migliaia di dollari, un traffico d’armi, aziende alimentate dal denaro dell’eroina e della coca. E poi una miriade di prestanome, di sigle, di coperture, società che aprono e chiudono, movimenti finanziari con la Svizzera. Nell’inchiesta giudiziaria sul "tesoro" di Cosa Nostra catanese, c’è una traccia che porta anche ad Alberto Dell’Utri, il fratello gemello di Marcello, il presidente di Publitalia. E’ un’indagine cominciata con l’“ascolto” di alcuni personaggi e continuata poi con la decifrazione di carte e documenti. Se alla Procura antimafia di Palermo dentro un’indagine sul riciclaggio c’è Marcello Dell’Utri, alla Procura antimafia di Catania si indaga su suo fratello Alberto. L’inchiesta palermitana è nella fase preliminare, un pò più avanti sono le indagini catanesi del sostituto procuratore della Repubblica Nicolò Marino” 89 . Il 12 aprile 1994, l’ex magistrato Tiziana Parenti, detta Titti la Rossa (neo-onorevole eletta nelle liste del partito creato dai Dell’Utri), preda di un estemporaneo sussulto di arguzia dichiara: ““Forza Italia” è a rischio mafia... La rapidità con cui è cresciuto questo movimento può farci temere un pericolo concreto di infiltrazioni mafiose... In “Forza Italia” ci sono nomi che suonano come campanelli d’allarme ... ” 90 . Le 88
“la Repubblica”, 21 marzo 1994.
89
“1a Repubblica” 23 marzo 1994.
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"La Stampa", 13 aprile 1994. Nel corso della campagna elettorale, il leader della Rete e sindaco di Palermo Leoluca Orlando aveva dichiarato: “I mafiosi stanno aprendo e sponsorizzando, in Sicilia, club ““Forza Italia””. La candidata di ““Forza Italia” Tiziana Parenti era stata fotografata in compagnia del figlio del boss Antonio Fameli (agente immobiliare condannato per un omicidio mafioso).
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI risponde uno dei massimi conoscitori di Cosa Nostra, Pino Arlacchi: “Per cogliere un certo tipo di inquinamento in “Forza Italia” basterebbe guardare all’entourage di Silvio Berlusconi, agli uomini forti della sua "azienda". I nomi allarmanti che l’onorevole Parenti non ha pronunciato mi sembrano quelli dei fratelli Dell’Utri... Ho trovato i nomi dei Dell’Utri in un rapporto di polizia [dove] non si parlava di leasing o Tv. Si parlava di riciclaggio, riciclaggio di denaro sporco... La polizia stava indagando su un reticolo di “riciclatori” che operavano a Milano nella seconda metà degli anni Settanta e avevano collegamenti, da una parte con Vito Ciancimino in Sicilia, dall’altro con i Cuntrera-Caruana in America Latina... Non è un mistero che in tanti Paesi del Sud, in zone ad alto tasso di inquinamento mafioso, sono sorti numerosi club di “Forza Italia” sospetti, e che durante la campagna elettorale esponenti mafiosi hanno appoggiato in maniera più o meno occulta candidati di “Forza Italia””. Il 17 aprile 1994, la stampa informa: “È il primo indagato della Seconda Repubblica. Ilario Floresta, 53 anni, imprenditore, eletto alla Camera dei Deputati per il movimento ““Forza Italia”: il suo nome è iscritto nel registro degli indagati di Catania. Ad avviare l’indagine su Floresta sono stati i magistrati della Direzione Antimafia di Catania, che nei giorni scorsi hanno arrestato un cugino e collaboratore dell’esponente di ““Forza Italia” [ ... ] ” 91 . Nell’ambito dell’inchiesta dei magistrati milanesi di “Mani pulite" per le mazzette pagate dalla Fininvest ad alcuni ufficiali e sottufficiali della Guardia di Finanza (primavera-estate del 1994), emerge la testimonianza del maresciallo Giuseppe Capone, il quale ha dichiarato agli inquirenti che il collega maresciallo Francesco Nanocchio (coinvolto, come Capone, nello scandalo) avrebbe affermato in due occasioni: “Se Nitto Santapaola e la mafia lo abbandonassero, Silvio Berlusconi sarebbe spacciato” 92 . Intanto, si apprende che la Dia (Direzione investigativa antimafia) ha da tempo avviato “indagini accurate a Milano, in Sicilia e a Montecarlo su eventuali, presunti rapporti tra uomini del gruppo Fininvest (primo fra tutti Marcello Dell’Utri) e società o personaggi legati a Cosa Nostra. E alcuni inquirenti non avrebbero escluso la possibilità che gli ufficiali [della Guardia di Finanza] già "ammorbiditi" dalla Fininvest durante le verifiche fiscali potessero ricevere richieste e pressioni, una volta passati alla Dia [come nel caso del colonnelloAngelo Tanca, passato dalla GdFalla Dia, NdA], anche a proposito di altre, più delicate indagini” 93 . Il successo elettorale del partito di Dell’Utri alle elezioni politiche dei marzo 1994 (in Sicilia, ““Forza Italia” si afferma quale primo partito, col 33 per cento dei voti) e la formazione del governo Berlusconi, pongono la setta politico-affaristica Fininvest 91
"Corriere della Sera", 17 aprile 1994.
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"Panorama", 6 agosto 1994.
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“L’Europeo”, 31 agosto 1994.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI nelle condizioni di poter correre ai ripari rispetto a una questione - quella dei pentiti di mafia e delle indagini antimafia - che potrebbe risultarle esiziale. Del resto, già prima del voto, quando la stampa aveva informato delle prime ammissioni del boss Totò Cancemi e delle indagini delle Procure siciliane, Berlusconi aveva dichiarato guerra ai pentiti di mafia e alla legge che li tutela (“Basta coi pentiti... La legge è da rifare”). Nei primi giorni di aprile 1994, la strategia Fininvest viene espressa, al suo massimo grado di autorevolezza, dal neo-senatore avvocato Cesare Previti, candidato alla poltrona di ministro della Giustizia. Previti tuona contro “l’uso distorto dei pentiti”, e dichiara: “Non mi meraviglierei se in qualche Procura, da Palermo a Milano, si inducesse qualche mafioso pentito di dubbia affidabilità a coinvolgere esponenti Fininvest o di Forza Italia...” 94 ; quindi enuncia un progetto di "riforma" che finirebbe per assoggettare la magistratura al controllo del potere politico. E’ l’avvio ufficiale della campagna berlusconiana volta a delegittimare la legislazione antimafia, a smantellare gli apparati statali che combattono Cosa Nostra, e a imbrigliare la magistratura. Mentre la campagna berlusconiana si dispiega, l’esperto antimafia Pino Arlacchi dichiara: “Vedo in Forza Italia massoni riciclati e strani personaggi del vecchio sistema. Leggo che si vuole buttare all’aria la legislazione sui pentiti. Raccolgo voci di un azzeramento indiscriminato dei vertici di tutta la struttura antimafia [ ... ]. Temo che si voglia passare un colpo di spugna su dieci anni di lotta alla criminalità organizzata... Vedo che è incominciata, da un giorno all’altro, una violentissima campagna d’opinione contro i pentiti. Inspiegabile, se si pensa ai successi che questa strategia, ricalcata sull’esempio degli Stati Uniti, ha consentito: sostengo che un pentito di un certo peso può far risparmiare cinque-dieci anni di indagini; aggiungo che senza Tommaso Buscetta staremmo ancora qui a domandarci che cos’è la mafia e se esiste davvero. E mi chiedo anche: possibile che si usi una tale potenza di fuoco contro l’anello più debole della catena, contro l’ex criminale che ha deciso di collaborare con la giustizia?... Tutto questo gran vociare mira in realtà a intimidire e delegittimare non solo l’ex mafioso, ma soprattutto chi lavora con lui: poliziotti, investigatori, magistrati... Penso che si tratti di una “manovra di prevenzione”. Ci sono decine di processi aperti, di dibattimenti avviati che devono concludersi presto con condanne e conferme di accusa gravissime. E poi ci sono indagini partite in tutt’Italia proprio sulla scorta delle rivelazioni di pentiti che vanno tutte in una sola direzione: il rapporto tra la mafia e la criminalità del Nord” 95 . Poco tempo dopo, Arlacchi avrà modo di ribadire: “Questa campagna di intimidazione ha due obiettivi precisi: impedire che vengano toccati i meccanismi di 94
L'onorevole Tiziana Parenti (prossima presidente della Commissione Antimafia) conferma solerte: “Non possiamo lasciare l'amministrazione della giustizia nelle mani dei pentiti”. Anche il ministro della Giustizia uscente, Giovanni Conso, dichiara che “la legge sui pentiti deve essere rivista”, e anche questo è comprensibile: il ministro Conso è il responsabile del primo "Decreto salva-ladri" (governo Amato), e secondo Marceno Dell'Utri e Filippo Rapisarda, Conso, nel 1976-78, era un assiduo frequentatore della sede del gruppo Inim, in via Chiaravalle 7/9. 95
Intervista a "L'Espresso", 22 aprile 1994.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI riciclaggio del denaro sporco, i rapporti tra Cosa Nostra e pezzi importanti dell’economia e della finanza nazionale e internazionale; evitare che si accendano i riflettori sui collegamenti tra mafia e centri di potere occulto come la massoneria deviata”; ma Arlacchi ribadirà anche: “Dietro questa polemica sui pentiti c’è un aspetto ancora più grave: si vogliono colpire i singoli magistrati, i singoli investigatori [ ... ]. Si vuole evitare che si celebrino i processi, che i mafiosi vengano condannati. Attualmente, grazie alle dichiarazioni dei collaboratori e ai riscontri effettuati da giudici inquirenti e polizia giudiziaria, abbiamo un tasso di condanne che supera l’80 per cento. C’è un’intera lobby mafiosa ma anche politico-giudiziaria in allarme. E così si tenta di far celebrare i processi in un clima generale di discredito (lei pentiti... La strategia vincente da parte dello Stato in questi ultimi due anni aveva tre punti cardine: la legislazione premiale, la creazione di strutture investigative specializzate, l’appoggio incondizionato e totale dell’opinione pubblica. Tutti questi punti sono stati colpiti nelle ultime settimane” 96 . Il 25 maggio 1994, a Reggio Calabria, dove si svolge il processo per l’omicidio del giudice Antonio Scopelliti, l’imputato Totò Riina (il "Boss dei boss" catturato grazie ad alcuni pentiti, dopo 19 anni di latitanza) rilascia dichiarazioni che suscitano grande clamore: “La legge sui pentiti deve essere abolita [perché] i pentiti si inventano tutto... lo sono un po’ come il "caso Tortora"”; e dopo essersi scagliato contro l’isolamento carcerario cui è sottoposto a norma dell’articolo 41 bis del regolamento penitenziario per i mafiosi (“Vivo isolato in carcere da sedici mesi... Mi trattano come un cane, ma nemmeno i cani vivono come vivo io: sono isolato”), il proclama del superboss corleonese diviene più “politico”: “Sono i comunisti che portano avanti un particolare disegno... Ci sono i Caselli 97 , i Violante 98 , e questo Arlacchi 99 che scrive libri... Ecco, secondo me il nuovo governo [Berlusconi] si deve guardare dagli attacchi dei comunisti” 100 . 96
Intervista al “Corriere della Sera” il giugno 1994. Perfino il settimanale filogovernativo "Panorama" arriva a scrivere: “Si può continuare ad attaccare, senza dati di fatto ma solo sulla base di pregiudizi, magistrati come quelli della direzione antimafia che al 31 marzo scorso avevano istruito ben 153 procedimenti penali con oltre 2.127 imputati? Si può continuamente parlare di revisione della legge sui pentiti senza specificare né come né perché deve essere fatta e soprattutto senza chiedere lumi proprio a coloro che da anni la applicano con successo? [ ... I. Tutto questo non può che allarmare chi crede davvero nella guerra senza quartiere alla Piovra” (28 maggio 1994).
97
Gian Carlo Caselli, Procuratore della Repubblica di Palermo.
98
Luciano Violante, parlamentare Pds e ex presidente della Commissione Antimafia.
99
Pino Arlacchi, sociologo' studioso del fenomeno Cosa Nostra, neo-deputato del Pds, e "padre" della Dia (Direzione investigativa antimafia). 100
Si noti come le parole di Riina coincidano con le dichiarazioni rilasciate da Berlusconi nel precedente marzo (inattendibilità dei pentiti di mafia, e sconfessione della legge che li tutela; il "complotto comunista" guidato dal "comunista" Violante per le indagini antimafia sul conto del vertice Fininvest); anche Marcello Dell'Utri, come Riina, si è dichiarato vittima di un nuovo "caso Tortora" per le indagini antimafia che lo riguardano. Si vedrà poi come anche la questione dell'abolizione dell'articolo 41 bis chiesta da Riina verrà sollevata dall'interno dei partito-Fininvest "Forza Italia".
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI “E la prima volta che un mafioso di alto livello si permette una audacia come questa”, commenta Pino Arlacchi. “Perché lo fa adesso? Si vede che si sente più sicuro... Ora poi è entrato direttamente in una tematica politica... Sono segnali lanciati alle forze di governo, come per indicare che mafiosi e governo hanno gli stessi nemici ... ”. Scrive Paolo Franchi sul “Corriere della Sera”: “Primo: abolire la legge sui pentiti. Secondo: mettere in scacco il complotto “comunista" che la sottende, e che avrebbe per protagonisti Gian Carlo Caselli, Luciano Violante, Pino Arlacchi, additati pubblicamente come bersagli. Questo è il messaggio che il governo e decine di milioni di italiani si sono incredibilmente visti recapitare da un’aula di giustizia, a mezzo Tv, da Totò Riina. Se qualcuno nutriva ancora dei dubbi, adesso può esserne certo: il sensorio politico di Cosa Nostra è quanto mai vigile. Per anni, in particolare dal luglio del ‘92, quando all’indomani delle stragi di Capaci e via D’Amelio fu varato il superdecreto antimafia, Cosa Nostra ha subito colpi durissimi. Adesso avverte che qualcosa può cambiare a suo vantaggio, che la macchina da guerra apprestata per combatterla può andare in panne. E si muove di conseguenza. Da cosa abbia tratto la convinzione che sia giunta l’ora di tornare all’attacco è presto detto. Sono settimane che la legislazione sui pentiti è oggetto di polemiche politiche assai più che giuridiche. E in queste polemiche uomini [dei governo Berlusconi] ed esponenti della maggioranza [cioè di “Forza Italia”, NdA] si sono addentrati in forme per nulla rassicuranti. Ora presentando la legislazione in questione come un mostro giuridico da abbattere in nome di elementari principi garantisti, ora asserendo viceversa che si tratta di ritoccarne solo questo o quell’aspetto. Ora dando ad intendere di considerare i magistrati più impegnati nella lotta alla mafia come degli avversari, ora cercando invece di assumerli come interlocutori[ ... ]” 101 . Nella notte di sabato 2 luglio 1994, una catena di attentati incendiari colpisce le filiali standa ubicate a Roma , Firenze, Modena, Milano, Brescia, Trento; il precedente 24 maggio, analoghi attentati avevano raggiunto i supermercati Standa di Aosta e Ivrea. La sequela di attentati, dunque, colpisce la catena di grandi magazzini della Fininvest da Roma fino a tutto il Nord Italia, escludendo quelli situati nelle regioni del Sud. La stampa ipotizza una “azione terroristica” di matrice politica; ma altri avanzano il sospetto di possibili “avvertimenti” e “solleciti” rivolti da Cosa Nostra al governo Berlusconi. Quattro anni prima, tra il 19 gennaio e il 16 febbraio 1990, alcuni attentati incendiari avevano colpito i magazzini Standa di Catania e Paternò (il pentito Claudio Saverio Samperi, ex affiliato al clan mafioso di Nitto Santapaola, si autoaccuserà per l’attentato del 19 gennaio alla sede centrale della Standa a Catania). Da allora, le filiali dei grandi magazzini Fininvest situate nelle province siciliane non avevano più registrato azioni delittuose; il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, nel marzo 1994, aveva dichiarato: “Anche i bambini sanno che in Sicilia la Standa è cogestita [dalla Fininvest] a Catania con Santapaola, e a Palermo con Riina”. 101
“Corriere della Sera”, 26 maggio 1994.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI Ma proprio la “questione Standa”, in Sicilia, è oggetto di rivelazioni dei mafiosi pentiti e di indagini antimafia. “Un rapporto dei carabinieri di Corleone del dicembre 1990 sul quale Falcone puntava molto. Intercettazioni telefoniche di personaggi sospettati di essere vicini a Totò Riina. Ma con loro anche la responsabilità di un’affiliata Standa di Palermo. L’argomento è l’acquisto di supermercati in fallimento. E, in particolare, scrivono i carabinieri, la vicenda del fallimento della Comega, "voluto ed in qualche modo pilotato da chi ha interesse a monopolizzare il controllo di affiliati Standa". Ma si parla anche di un complesso alberghiero in fallimento al quale sarebbe interessato Silvio Berlusconi. Insomma, proprio i settori dei quali si starebbero occupando alcune Procure siciliane. Tra i personaggi intercettati Pino Mandalari, sospettato di essere il commercialista di Totò Riina, condannato per riciclaggio di denaro sporco, massone appartenente alla Loggia di Trapani Iside 2, i cui responsabili sono stati recentemente condannati per costituzione di società segreta. E’ lui al centro delle operazioni “commerciali” su cui indagavano i carabinieri. Un rapporto delicatissimo in cui si parla dei rapporti tra mafia e massoneria e degli interessi economici di Cosa Nostra. Eppure rimasto a lungo nei cassetti della Procura di Palermo malgrado Falcone lo considerasse molto importante. Ma erano gli ultimi mesi della permanenza nell’Isola e i rapporti col suo "capo" Pietro Giammanco erano diventati pessimi. E quel rapporto non ebbe seguito. Fino a quando, recentemente, è stato “riesumato” ed è finito nella megainchiesta su mafia e massoneria in corso a Palermo. La prima telefonata citata nel rapporto è del 15 ottobre ‘90. Pino Mandalari telefona all’avvocato Antonino Messineo 102 [ ... ]. Ed ecco la prima citazione importante. Ignazio Momino è l’avvocato di Totò Riina. E secondo le cronache dei giornali di ieri - era presente alla manifestazione del candidato a Bagheria di Alleanza nazionale Forza Italia, Antonio Battaglia, avvocato di Leoluca Bagarella, cognato di Riina, latitante e, probabilmente, attualmente alla guida della "cupola". Ma qual è l’argomento del colloquio tra Mandalari e Messineo? L’acquisto di supermercati. E qui compare, per la prima volta, la Standa. Ed è proprio Mandalari a dirlo a Messineo. “Io sono diventato il supervisore... perché abbiamo trattative con la Standa e tanti altri problemi da sistemare”. La conferma arriva il giorno dopo. Mandalari telefona al numero intestato all’Affiliato Standa, in via Croce Rossa a Palermo, e parla con una certa Nicoletta Palumbo, responsabile del supermercato 103 [ ... ]. Chi è quel Totò? I carabinieri non lo dicono, ma la citazione dei brano non sembra casuale. E non è comunque l’unica conversazione tra i due. Il 5 novembre è la Palumbo a telefonare al Mandalari. Questi, si legge nel documento, 102
Testo dell'intercettazione telefonica - Pino: “So che tu sei impegnato in una questione che riguarda "amici miei"”. Messineo: “'Na questione pesante ... ”. Pino. “Eh, pesante... ma hai avuto incarico dal Tribunale?”. Messineo: “No... ancora no, io c'ho per ora invece un incarico di parte... che... sono lì per non accettare eventualmente, perché ... ”. Pino: “Ninì ... ”. Messineo: “Ignazio Mornino vuole... fare... farmi nominare come perito giudiziario”. 103
Testo dell'intercettazione telefonica - Pino: “Domani mattina ci vediamo qua, Nicoletta”. Nicoletta: “Domani mattina?”. Pino: “Domani verso mezzogiorno”. Nicoletta: “Verso mezzogiorno? Eh, va bene! Sarò da lei. Anche perché ... ”. Pino: “Sì”. Nicoletta: “Una... una cosa strettamente... quella persona con la quale ci siamo incontrati ... ”. Pino: “Sì, Totò (detto in tono sommesso)”. Nicoletta: “Quando eravamo da lei con Nicola”. Pino: “Sì”. Nicoletta: “Eh... ha già detto che praticamente siamo lì lì per fallire”.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI “asserisce che il negozio lo potranno rilevare per quattro soldi da un eventuale fallimento, mentre la Palumbo sostiene che non è proprio possibile fallire in quanto lo sa tutta Palermo”. Un rapporto stretto quello tra i due. Il precedente 12 ottobre, infatti, con un’altra telefonata la Palumbo viene “inviata a Milano dal Mandalari per condurre una non meglio precisata trattativa per svariati miliardi di lire”. Ma nelle intercettazioni telefoniche non si parla solo di supermercati. Il 6 novembre sempre Mandalari telefona a Roma all’avvocato Antonio Juvara, anche lui massone. L’argomento è l’acquisizione di un albergo in fallimento a Punta Favaro di Favignana. Si parla del prezzo e a un certo punto Mandalari, si legge nel rapporto, “raccomanda l’urgenza spiegando che, se si arriva all’asta, si infila Berlusconi". Un evidente interesse del Cavaliere ad acquistare immobili sotto fallimento in Sicilia [smentito dalla Fininvest]” 104 . Il testo del decreto legge sulla custodia cautelare frettolosamente predisposto (prima varato, e poi ritirato) dal governo Berlusconi il 14 luglio 1994 col primario scopo di contrastare l’azione dei magistrati di “Mani pulite”, contiene una norma (art. 9) ritagliata su misura per Cosa Nostra - un quotidiano titola infatti: Nel decreto salva-ladri un regalo anche alle cosche 105 . Nel decreto legge, dello stesso luglio, che contempla il condono edilizio, l’art. 6 stabilisce la soppressione delle vigenti norme di legge che prevedono la sospensione e la cancellazione dall’Albo costruttori delle imprese edili colluse con la mafia; ma l’intero dispositivo - come verrà documentato e denunciato dalla Lega ambiente - “è un regalo alla mafia” 106 . Intanto, alcuni parlamentari di “Forza Italia” si dichiarano favorevoli all’abolizione dell’articolo 41 bis del regolamento carcerario che prevede l’isolamento dei boss mafiosi detenuti, dando inizio a una campagna contro il dispositivo antimafia. Il 5 agosto 1994, la rappresentante di “Forza Italia” Tiziana Parenti (non più turbata dalle possibili infiltrazioni mafiose nel suo “partito”) assume la presidenza della Commissione parlamentare Antimafia già presieduta da Luciano Violante. Il 21 agosto, il responsabile dell’amministrazione penitenziaria, Francesco Di Maggio, viene indotto dal governo a lasciare il suo incarico, forse perché contrario 104
"Avvenire", 23 marzo 1994.
105
“1a Repubblica”, 16 luglio 1994. Scrive H quotidiano: “Mentre i giornalisti dovranno tacere, all'indagato è invece ora assicurato il diritto, ove ne faccia richiesta, di essere avvisato entro tre mesi dall'inizio dell'inchiesta che il pubblico ministero sta svolgendo indagini nei suoi confronti e per quali reati. Soprattutto nei confronti della criminalità organizzata, uno dei punti forza del Codice era la possibilità di svolgere indagini in segreto, per evitare che gli indagati potessero inquinare le prove, intimidire o far scomparire i testimoni. Sotto questo punto di vista, gli effetti della nuova disciplina saranno devastanti: decorsi tre mesi dall'inizio delle indagini, l'indagato potrà sempre sapere, non importa se sono in corso delicatissime intercettazioni telefoniche o ambientali, ovvero il pubblico ministero sta per disporre una perquisizione domiciliare o l'esame di un testimone d'accusa di importanza fondamentale [ ... ]. Neppure i più pericolosi boss mafiosi o i politici più corrotti avrebbero mai osato sperare che sarebbe stato lo stesso governo a dare loro via libera per inquinare o eliminare le prove d'accusa”. 106
Secondo Enrico Fontana (autore dei libro bianco La mafia del cemento), “oltre il 75 per cento di tutte le case abusive costruite nell'ultimo decennio, si è concentrato al Sud. E proprio nelle regioni meridionali l'abusivismo edilizio è stato e continua a essere uno dei mezzi preferiti dalla criminalità organizzata per riciclare il denaro guadagnato con la droga e con i sequestri. Tanto più che con il condono tutto il patrimonio abusivo entra a pieno titolo nel mercato legale, e il suo valore è destinato a raddoppiare”; cfr. "La Stampa", 23 settembre 1994.
L’AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI all’abolizione dell’articolo 41 bis. Il 26 agosto, Gianni De Gennaro, valente capo della Dia (Dipartimento investigativo antimafia), viene rimosso dall’incarico e “promosso” a capo della Criminalpol; De Gennaro viene allontanato dalla Dia perché “ha dei nemici in "Forza Italia" [che lo vogliono lontano dalla Dia] per le indagini sui rapporti tra mafia e politica” 107 . “La promozione di De Gennaro alla Criminalpol, in un posto formalmente più elevato, appare come una retrocessione sostanziale, dal punto di vista dell’operatività anticrimine. La verità è che gliel’avevano giurata, a De Gennaro [ ... ]. Non è un mistero che De Gennaro sia considerato da Previti e da Berlusconi, ma più in generale dalla maggioranza di governo, il braccio operativo di un’antimafia da dimenticare. L’antimafia che ha saputo ottenere successi fino a ieri impensabili contro Cosa Nostra, anche grazie all’utilizzo dei collaboratori di giustizia e dell’articolo 41 bis del regolamento penitenziario [ ... ]. Anche Di Maggio, come De Gennaro, come Violante, come Arlacchi, come Caselli, è stato tra i protagonisti di quella stagione straordinaria della lotta alla criminalità che, dalla metà del 1991 all’inizio del 1994, ha visto Cosa Nostra finalmente attaccata e messa alle corde, la Cupola disarticolata, alcuni dei maggiori latitanti, da Totò Riina a Nitto Santapaola, arrestati e costretti all’isolamento in carcere [ ... ]. Di quella stagione, De Gennaro con la Dia è stato forse la più lucida delle menti d’intelligence e il più abile dei bracci operativi. Eppure non piace a molti della nuova maggioranza [ ... ]. Troppo indipendente, De Gennaro, dal nuovo potere politico. Troppo incontrollabile. E troppo pericoloso: tanto da avere avviato indagini a Catania, a Milano e a Montecarlo su presunti contatti tra uomini Fininvest e uomini di Cosa Nostra” 108 . Il 30 agosto, si apprende che il ministro Guardasigilli del governo berlusconiano, il super-riciclato onorevole avvocato Alfredo Biondi, ha predisposto, col partecipe assenso di Berlusconi, un nuovo testo di legge volto a “sfoltire” le carceri; il “Corriere della Sera" scrive che nel testo vi è un “rischio di benefici anche ai mafiosi”. *** L’estate 1994 è cruciale anche per il redivivo “finanziere” in odore di mafia Filippo Alberto Rapisarda, il quale accarezza un ambizioso progetto “siciliano”: la costruzione di un aeroporto nell’isola più esclusiva dell’arcipelago delle Eolie, Panarea. Nell’attesa di attuare il suo progetto, il pluripregiudicato “delinquente abituale” amico e sodale dei Dell’Utri si è scoperto una vocazione politica -naturalmente, nel partito-setta “Forza Italia”; e ospita nella sua villa di Panarea (planatovi con un elicottero privato) il vertice Fininvest nella persona del ministro della Difesa Cesare Previti. 107
108
“Panorama” 9 settembre 1994.
“L’Europeo", 7 settembre 1994. Conferma Pino Arlacchi: “La Dia è stata ridimensionata: Gianni De Gennaro è stato tolto da un'operatività diretta, immediata e molto incisiva contro la mafia e contro la grande criminalità. Va in un posto formalmente più elevato ma che è un sostanziale suo ridimensionamento come investigatore di punta” ("Corriere della Sera", 27 agosto 1994).
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE Prestanome di famiglia Paolo Berlusconi ha accompagnato e accompagna la rutilante avventura del grande fratello Silvio nel ruolo di suo prestanome parafulmine; la carriera del minore Paolo all'ombra del maggiore Silvio è una sostanziale collezione di cariche formali all'interno del gruppo Fininvest (tra le altre, presidente della Mediolanum Assicurazioni e vicepresidente della Standa) e attiguamente a esso (le attività immobiliari). Al piccolo Paolo, per gli amici Berluschino, sono attribuiti il motto esistenziale “Quando sono solo, Berlusconi sono io”, e il tratto autobiografico “Se devo decidere qualcosa, mi fermo a chiedermi cosa farebbe Silvio al posto mio”; ma tra Paolo e Silvio, oltre agli affari familiari, c'è la comune passione per il Milan calcio e per il gentil sesso. Nel 1992, allo scopo di aggirare il dispositivo della Legge Mammì che vieta di detenere la proprietà di networks televisivi e di giornali quotidiani, il fratello maggiore Silvio infila la maggioranza azionaria del "Giornale" di Montanelli nella tasca del fratello minore Paolo (con un guizzo di preveggente accortezza, sposta nelle mani del fratello-ombra anche tutte le attività immobiliari). Ma l'estemporaneo neo-editore Paolo si rivela subito piuttosto maldestro: “Ancora non è diventato il padrone del "Giornale" (Silvio se lo tiene stretto fino agli ultimi giorni consentitigli dalla legge) e già Paolo calpesta una chiazza di guano: nella primavera del '92 si palesa in redazione, in via Gaetano Negri 4, sotto braccio all'allora potente ras socialista [craxiano] Ugo Finetti (poi finito a San Vittore per tangenti), che si lamenta per l’ostilità di un paio di cronisti nei confronti del Psi. Montanelli fa sapere che avrebbe “cacciato a calci nel sedere” i politici intenzionati a fare pressioni sui. suoi giornalisti utilizzando i rapporti con la proprietà. Nel luglio del ‘92 Paolo s'impossessa infine del "Giornale". Subito dopo il primo incontro con il comitato di redazione, i giornalisti entrano in sciopero per otto giorni filati, un record assoluto nella storia della testata. Un successone, insomma. Poi le acque si chetano, ma Berluschino si fa vedere al "Giornale" il meno possibile. Ai giornalisti non garbano troppo i suoi modi guasconi, i suoi commenti salaci sulle giornaliste e sulle impiegate” 1 . Nel 1993, il piccolo Berlusconi si ritrova tra le mani anche la proprietà del quotidiano milanese “La Notte”. “Un affare? No, “La Notte” perde 2 miliardi l'anno. Ma ai Berlusconi serve, soprattutto a Silvio, che vuole un quotidiano locale su Milano per mantenere buoni rapporti col sindaco leghista Marco Formentini e perché lo strumento può rivelarsi utile ai candidati di Forza Italia alle prossime elezioni” 2 . Il piccolo Berlusconi a tutta prima conferma il direttore de “La Notte” Giuseppe Botteri, ereditato dalla vecchia proprietà del quotidiano; ma “qualcuno in famiglia non è d’accordo, perché nel giro di qualche settimana Botteri deve lasciare il posto a un giornalista proveniente dal gruppo Fininvest, Massimo Donelli, già condirettore di “Epoca”” 3 - solidarietà massonica: Massimo Donelli era “fratello” del piduista Silvio 1
"L'Europeo", 26 gennaio 1994 Ibidem 3 Ibidem 2
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE Berlusconi nella Loggia gelliana (tessera P2 2.207, codice massonico E. 19.80). Anche la clamorosa vicenda che nel gennaio 1994 porta all'allontanamento di Indro Montanelli dalla direzione del “Giornale” vede il Paolo fungere da goffa comparsa, mentre il vero padrone del quotidiano, Silvio, ne è il plateale protagonista. Nella bagarre scatenata contro Montanelli (reo di non voler allineare “Il Giornale” a sostegno del partito-Fininvest e del suo messianico leader aspirante alla poltrona di Primo ministro della Repubblica), il piccolo Paolo si segnala solo per il racconto di una elegante barzelletta allusiva: “AI mio paese c'è un signore molto vecchio che cade dal decimo piano e non si fa niente. Poi finisce sotto una macchina e non si fa niente. Poi cade in un tombino e non si fa niente. Alla fine abbiamo dovuto abbatterlo” 4 . Ma Paolo Berlusconi intestatario di imprese edili già di proprietà del fratello Silvio, il Paolo Berluschino che insieme al fratello Silvio coltivava “stretti rapporti col potere politico dei Craxi, degli Andreotti e dei Forlani” 5 , a partire dal 1992 riesce finalmente a diventare primattore: alla ribalta della cronaca giudiziaria, quale espiatorio mattatore della Tangentopoli berlusconiana. Il fratello minore di Silvio Berlusconi, nel novembre 1992, risulta indagato dalla Procura di Roma per il reato di corruzione in relazione alla vendita di immobili berlusconiani - mediante tangente miliardaria - agli enti previdenziali Inadel e Inail (“ma, come lasciano intendere gli inquirenti romani, gli istituti previdenziali su cui si sta indagando sono anche altri” 6 ). Nella primavera dei 1994, Paolo Berlusconi è rinviato a giudizio per violazione della legge sul finanziamento ai partiti. “Nell'ultima campagna elettorale del 1992 io ho avuto effettivamente modo di versare la somma di L. 150 milioni [al segretario della Dc lombarda Gianstefano Frigerio] per il tramite di un dirigente della Fininvest, Sergio Roncucci”, ha ammesso al magistrato inquirente il fratello del grande self made man Silvio. “[L'ho fatto] perché [Frigerio] me li ha chiesti, e perché sono un simpatizzante della Dc”. In realtà, il “contributo” clandestino era legato a una vicenda di discariche lombarde: “Per autorizzare la maxi-discarica di Cerro Maggiore, secondo il Pm, la Dc lombarda potrebbe aver ottenuto [da Paolo Berlusconi] non solo i 150 milioni usciti nel '92 dalle casse “della Fininvest”, come si legge nella citazione a giudizio, ma anche "bustarelle" via etere: spot elettorali [sulle reti Fininvest]” 7 . Nel febbraio 1994, il fratello-prestanome di Silvio, tratto in arresto e rinviato a giudizio per corruzione, ammette di avere pagato tangenti miliardarie (con contorno di false fatture) destinate ai vertici della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde e a esponenti politici, nell'ambito della vendita di immobili berlusconiani al Fondo pensioni della banca; tra i beneficiari, il presidente democristiano della 4
La "barzelletta", riportata da “L’Europeo” (26 gennaio 1994), allude all'età dell'ultraottantenne Montanelli. Di Paolo Berlusconi, Montanelli dirà che “non esiste”, e che “da solo non decide neppure quando starnutire”.
5
Cfr. “L’Europeo”, 26 gennaio 1994.
6
““Il Mondo”, 30 novembre 1992.
7
“Corriere della Sera”, 31 maggio 1994.
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE Cariplo Roberto Mazzotta, e Bettino Craxi (entrambi amici e sodali di vecchia data del fratello Silvio). “Il fratello minore Paolo Berlusconi ammette di avere attinto, per pagare le tangenti, nel pozzo dei fondi neri dell'Edilnord, società edile che fino al 1992 faceva parte a pieno titolo della Fininvest controllata da Silvio Berlusconi che fu poi passata, per ragioni di opportunità, sotto il controllo di Paolo” 8 . Il 6 marzo 1994, l'attività intestata al fratello di Silvio riguadagna le cronache giudiziarie, ancora una volta per tangenti e corruzione: “Manette per Sergio Roncucci, ex dirigente della Fininvest e capo delle relazioni esterne della Edilnord di Paolo Berlusconi. Il manager è stato arrestato l'altra sera attorno alle 22 dalla Guardia di Finanza, che l'ha portato nel carcere di Monza su ordine del pool di magistrati che da quattro anni indagano sull'edilizia nera di Milano e provincia. Il reato ipotizzato è la corruzione. Roncucci, secondo l'accusa, avrebbe versato tangenti per circa un miliardo, concordate tra l'88 e il '90, per sbloccare un piano di lottizzazione presentato dalla società Europea Golf del gruppo Edilnord. Obiettivo: convincere gli amministratori e i tecnici comunali di Pieve Emanuele (un centro al confine con Basiglio, dove ha sede “Milano 3”) a dare via libera al progetto di ristrutturazione del castello medievale di Tolcinasco, con cascinali e impianti sportivi tra cui un green con 36 buche” 9 ; all’arresto di Roncucci, il fratello di Silvio Berlusconi ammette subito il versamento delle tangenti 10 . Alla fine di marzo 1994, la Procura di Brescia inquisisce il fratello di Silvio Berlusconi per corruzione e violazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti, in relazione a un sospetto business immobiliare, avvenuto a Desenzano del Garda nel 1991, tra la berlusconiana Cantieri riuniti milanesi (gruppo Fininvest) e l’Inadel (Istituto assistenza dipendenti enti locali) guidato dal craxiano Nevol Querci 11 . 8
“L’Unità”, 30 aprile 1994.
9
“Corriere della Sera”, 6 marzo 1994.
10
“Il gruppo Fininvest è totalmente estraneo al sistema delle tangenti”, aveva pubblicamente dichiarato il fratello Silvio nel dicembre 1993; dopo l'arresto e le ammissioni dei Paolo, il Silvio dichiarerà: “Fu costretto [Paolo, a pagare tangenti] da una situazione di necessità. Era impossibile sottrarsi a questa richiesta, avrebbe danneggiato irreparabilmente l'azienda”. 11
“Paolo Berlusconi [è] indagato dal magistrato di Brescia insieme all'ex parlamentare Psi Nevol Querci. Precise le ipotesi di reato contestate ai due: corruzione e finanziamento illecito dei partiti. [ ... ] Tangenti dietro la compravendita di un centro commerciale Standa di Desenzano, in provincia di Brescia? Certo, ai giudici non è sfuggita la differenza qualcosa come nove miliardi - tra l'acquisto e la successiva vendita del centro commerciale. Riassumendo: l'acquisto dell'immobile da parte della Cantieri riuniti milanesi di Berlusconi junior dalla società costruttrice (la Garfin spa) avviene nel marzo'89 per 11 miliardi tondi. Due anni dopo, nel luglio del '91, lo stesso immobile della Standa viene ceduto dall'ancora società del gruppo Fininvest per 20 miliardi all'Inadel, l'Istituto di assistenza ai dipendenti degli enti locali, che a quel tempo era guidato dal parlamentare socialista Nevol Querci. Cosa nascondono quei 9 miliardi di differenza: qualche tangente a Dc e Psi? Mario Casaccia, uno degli ispettori del Secit, 007 del fisco, stende un rapporto e conclude che l'aumento non sarebbe giustificato dal valore dell'immobile. Quanto basta [al magistrato] per vederci chiaro. Tanto più che almeno in un paio di occasioni l'ex commissario dell'Inadel, Querci, arrestato nell'ottobre del 1992 a Roma, ha raccontato ai giudici romani ma anche milanesi che nel periodo in cui lui fu alla guida dell'Istituto, tra il 1988 e il 199 1, furono effettuati investimenti immobiliari per quasi 4.000 miliardi e che gli imprenditori che vendettero gli immobili all'Inadel versarono contributi a Dc e Psi”; “La Stampa”, 2 aprile 1994.
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE Nel maggio 1994, la Procura di Milano muove una nuova accusa di corruzione aggravata a carico di Paolo Berlusconi per una tangente di 800 milioni pagata agli amministratori del Comune di Pioltello (nei pressi di Milano) nel 1988, e grazie alla quale la Edilnord aveva ottenuto l’edificabilità di alcuni terreni agricoli di sua proprietà 12 . Il fratello minore di Silvio ammette i fatti addebitatigli dai magistrati. La vicenda - esemplare per scenari e metodi - vede naturalmente coinvolto anche il Psi e il suo segretario Bettino Craxi 13 . Nel luglio 1994, il fratello del presidente del Consiglio viene arrestato 14 con l'accusa di avere ripetutamente corrotto la Guardia di Finanza: centinaia di milioni di mazzette per eludere e addomesticare i controlli dei finanzieri presso tre società del gruppo Fininvest (Mondadori, Videotime e Mediolanum). Paolo Berlusconi non - può non ammettere le bustarelle (già confessate dai militari corrotti), ma ai magistrati parla di presunte “imposizioni” dei finanzieri, e si dichiara vittima di “altrui pretese concussive”. Le ulteriori ammissioni di Paolo ai magistrati sono un capolavoro di inverosimiglianza degno della migliore verve del fratello Silvio (i magistrati le definiranno “molto poco convincenti”), ma offrono comunque un sintomatico scorcio degli imbrogli che hanno accompagnato il divenire del gruppo Fininvest negli anni Ottanta: “La Edilnord”, dichiara infatti Paolo Berlusconi, “si è occupata di vendere immobili nei primi anni Ottanta anche a privati con i quali si raggiungeva un accordo: nel prezzo veniva indicato un corrispettivo 12
“La vicenda riguarda l'area Bica, un terreno vincolato a verde agricolo sul quale, nel 1980, la Montedison voleva trasferire i suoi impianti chimici. La popolazione si ribellò. E nel 1981 il terreno passò nelle mani della Fininvest, che presentò uno studio di fattibilità per portarvi una parte degli studi televisivi di Canale 5 e di Retequattro. Il Comune accolse il progetto e scattò la variante al Piano regolatore da verde agricolo a terziario. A quel punto, afferma Roncucci, il sindaco Michele Rossetti (Psi) e il capo dell'ufficio tecnico Antonio Soravia chiedono un miliardo per non ostacolare l'iter della pratica [ ... ]. A fine 1987 il Comune approva il piano, a marzo 1988 Roncucci, su indicazione di Berlusconi jr, consegna 200 milioni a testa al sindaco Rossetti e al funzionario: al primo per strada, al secondo nel quartier generale del Biscione in via Paleocapa. Ma interviene la Regione e blocca tutto con un vincolo paesistico. là il Comune a presentare ricorso, su pressioni di Roncucci, e a vincerlo. A Rossetti e Soravia arrivano altri 200 milioni a testa. 1 soldi, spiega il factotum del Biscione, me li dava un dirigente Edflnord, Angelo Pellegrini, che li prelevava dalle risorse extra-contabili del gruppo”; 9a Repubblica", 19 maggio 1994.
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“"Ho ricevuto i 200 milioni - racconta Rossetti - nella sede della Fininvest in via Paleocapa a Milano. Entrando, Roncucci mi ha presentato Fedele Confalonieri e Aldo Brancher. Poi, nel suo ufficio, mi ha dato la busta. La tangente era stata concordata a mia insaputa da Antonio Natali. Fu lui a dirmi di portarla a Brescia da Balzamo, che poi invece mi convocò a Roma. In febbraio o marzo dell'88 sono partito da Linate con i soldi, che ho consegnato a Balzamo in via del Corso. Alle 20.30 avevo consiglio comunale a Pioltello, ma Roncucci mi aveva già offerto il passaggio in aereo". L'ex sindaco propone anche "un riscontro": "Mi ha portato a Ciampino nel pomeriggio un giornalista della Rai, Paolo o Carlo Musumeci. Sull'aereo, un Gulfstream mi pare, c'erano Fedele Confalonieri, il manager Bernasconi e Silvio Berlusconi. All'arrivo, il Cavaliere ha chiesto a Bernasconi di accompagnarmi in auto a Pioltello. In seguito Natali, complimentandosi, mi ha promesso di portare Craxi e le TV Fininvest a Pioltello per la mia campagna elettorale. li comizio c'è stato: era il 6 o 7 maggio". Tre settimane dopo il Psi conquista Pioltello con il 34,7 per cento. Roncucci nel confronto ha confermato anche "regalie" minori: inviti al Teatro Manzoni con Paolo Berlusconi e consorte, biglietti per San Siro, magliette del Milan e un forno a microonde per tutti i consiglieri "tranne uno dell'opposizione"”; "Corriere della Sera", 25 maggio 1994. 14
L'arresto di Paolo Berlusconi è preceduto dal mandato di cattura (27 luglio) e da alcuni giorni di latitanza. La sera dei precedente 24 luglio, nella villa di Arcore, aveva avuto luogo il noto "vertice" tra il capo del governo Silvio Berlusconi, i ministri-Fininvest Cesare Previti e Gianni Letta, il presidente della Fininvest Fedele Confalonieri, Paolo Berlusconi e il suo avvocato Oreste Dominioni, e l'avvocato Guido Viola (difensore del direttore finanziario della Fininvest Salvatore Sciascia, le cui confessioni porteranno appunto all’incriminazione di Berlusconi junior); secondo il magistrato Antonio Di Pietro, la "riunione" era stata un tentativo di inquinare le prove concordando una versione da riferire all'autorità giudiziaria.
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE inferiore a quello reale in modo da risparmiare sulle tasse. In questo modo abbiamo avuto la possibilità di creare un fondo extra contabile di alcuni miliardi, circa tre, che abbiamo potuto utilizzare per pagare anche quelle dazioni di denaro che non potevano essere iscritte in bilancio... La parte in nero da parte degli acquirenti veniva consegnata esclusivamente in contanti [e] veniva depositata presso la cassaforte dell'ufficio della Edilnord 15 ... All'interno del gruppo Fininvest io, oltre che essere direttore generale e consigliere delegato, avevo anche cariche in diverse società operative. In pratica, sopra di me nella scala delle decisioni vi era solo Silvio Berlusconi mentre i top manager avevano ampia autonomia e riferivano contestualmente sia a me che a Silvio Berlusconi. Naturalmente con Silvio Berlusconi trattavano più propriamente le questioni strategiche del gruppo, mentre per tutto ciò che riguardava i problemi di gestione che essi potevano avere, rapportavano a me... Solo io potevo gestire questi fondi neri, e nessun dirigente delle varie società ne era a conoscenza... Ero io che autonomamente ho deciso di costituire questo fondo nero”. E a precisa domanda del magistrato, Paolo Berlusconi risponde: “Non posso escludere che siano state pagate [dal gruppo Fininvest] altre tangenti [alla Guardia di Finanza] per altre verifiche”. A sua volta, il capo del gruppo Fininvest e presidente del Consiglio in carica, soccorre il fratello Paolo e sé medesimo mediante un'intervista pubblicata dal prestigioso quotidiano inglese “Herald Tribune”: bontà sua, ammette le bustarelle Fininvest pagate ai finanzieri per addomesticare i controlli fiscali, ma a suo dire si sarebbe trattato di somme “estorte” al fratello Paolo dai voraci finanzieri, e comunque di somme “ridicolmente piccole” 16 , e in ogni caso lui, Silvio, non ne ha mai saputo assolutamente nulla - le bustarelle da centinaia di milioni sarebbero state pagate ai finanzieri talmente in segreto da essere versate a sua insaputa, e senza che lui ne fosse nemmeno informato né prima né dopo 17 . Paolo Berlusconi è uno degli eccellenti parafulmine del grande Berlusconi, ed esprime mirabilmente una delle ferree regole della setta-Fininvest: “Pur di salvare Silvio Berlusconi, tutti i gregari sono tenuti al sacrificio di sé; e dunque, se proprio non possono negare la mazzetta, devono caricare su di sé l'intero peso della responsabilità dei misfatto [ ... ]. Ogni volta che salta fuori una tangente Fininvest, Silvio Berlusconi si affretta a precisare che non ne sapeva niente [ ... ]. Emblema di questa strana vocazione aziendale al martirio in nome del capo, nonché figura sommamente patetica dell'universo berlusconiano, è il giovane Paolo [che] viene mandato allo sbaraglio. Nonostante che le società coinvolte nei giri di mazzette 15
Come ricostruzione dei fatti suona alquanto inverosimile: non solo quanto a miliardi in contanti collocati per anni in un ufficio, ma anche alla loro entità (“circa 3 miliardi”) non a caso equivalente all'ammontare delle bustarelle per le quali Paolo Berlusconi risulta al momento indagato o rinviato a giudizio.
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Per il presidente del Consiglio, dunque, il reato di corruzione (o anche solo di concussione) mediante mazzette da centinaia di milioni pagate alla Guardia di Finanza per garantirsi l'impunità e l'illegalità, è risibile poiché la Fininvest “ha 50 miliardi di entrate al giorno e paga 1 miliardo di tasse ogni 24 ore”... 17
"Herald Tribune", 12 agosto 1994.
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE fossero tutte, all'epoca dei fatti, di proprietà di Silvio” 18 . Ma è notorio il culto di Silvio Berlusconi per la Famiglia, tanto quanto sono risapute la sua munificenza e la sua prodigalità. Così, il Superimprenditore di Arcore non ha mai mancato di manifestare il suo familistico affetto e la sua affaristica gratitudine allo stoico fratello Paolo: nel 1989, ad esempio, il grande Silvio ha elargito al piccolo Paolo, sotto forma di “donazione”, la somma di L. 9 miliardi e 800 milioni, mentre nel 1990 la "donazione" è stata di soli 6 miliardi 19 .
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“L’Espresso”, 25 marzo 1994.
La notizia delle donazioni berlusconiane è riportata da “Il Mondo” (21 febbraio 1994), che commenta: “I più famosi fiscalisti sono concordi: la donazione presenta indubbi vantaggi fiscali. Soprattutto se si tratta di titoli di Stato. Ma attenzione, avvertono: la donazione è evasione quando c'è un rapporto di lavoro”.
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE Scandali nell'etere Il 29 settembre 1994, il sostituto procuratore di Torino Enrica Gambetta dispone l'arresto per abuso d'ufficio di Giuseppe Mazzocchi, funzionario del ministero delle Poste; all'arresto dei Mazzocchi segue, a Milano, l'irruzione di tre magistrati e diciotto uomini della Polizia giudiziaria in tre sedi della fininvestiana Rti (Canale 5, Italia 1, Rete 4). Mazzocchi (uno dei cinque ispettori dell'etere in Piemonte: coi suoi colleghi del Cctt-Circolo costruzioni telegrafiche e telefoniche, organo regionale del ministero delle Poste e Telecomunicazioni, ha il compito di vigilare che le emittenti pubbliche e private non violino la legge Mammì) è accusato di avere illecitamente informato i tecnici della Fininvest di un imminente controllo che il Cctt si apprestava a effettuare sulle frequenze di Italia 1; “soffiata” o meno, Mazzocchi ha poi partecipato alla “Ruota della Fortuna” (la trasmissione a premi di Canale 5 con Mike Bongiorno) vincendo 30 milioni, e i magistrati sospettano possa trattarsi di una "bustarella" truccata da vincita al telequiz. L'intervento della magistratura nell'accidentato terreno delle frequenze radiotelevisive era cominciato nel maggio 1993, con l'arresto per corruzione del direttore generale dei telefoni di Stato Giuseppe Parrella, il quale aveva ammesso di avere consegnato a Davide Giacalone (segretario del ministro delle Poste repubblicano Oscar Mammì) 10 miliardi di finanziamenti occulti destinati al Pri e provenienti da tangenti pagate dalla Federal Trade Misure, minuscola società privata con sede a Milano 2, alla quale il ministero delle Poste aveva appaltato per 30 miliardi l'elaborazione del Piano frequenze connesso alla legge Mammì. Parrella, oltre a Giacalone, aveva coinvolto anche Adriano Galliani (l'amministratore delegato della Rti), Gianni Letta (allora vicepresidente della Fininvest), e un ingegnere della Fininvest rimasto anonimo (il quale prendeva parte alle riunioni sulle frequenze che si svolgevano al ministero delle Poste). Come aveva sintetizzato un quotidiano, la legge sull'emittenza “Giacalone l'aveva preparata e scritta, Mammì l'aveva firmata, la Fininvest ne era stata la beneficiata” 20 ; Giacalone ne aveva anche guadagnato un contratto di consulenza con la Fininvest per 460 milioni. Il sostituto procuratore della Repubblica Maria Cordova, cui era affidata l'inchiesta romana, il 4 novembre 1993 aveva chiesto l'arresto di Galliani e Letta (richiesta non convalidata dal Gip) per concorso in corruzione; il Tribunale della Libertà (cui Cordova si era appellata) il 9 dicembre successivo aveva sentenziato arresti domiciliari per Giacalone e per Letta (ma per il vicepresidente Fininvest col divieto di comunicare con l'esterno). Il provvedimento, non esecutivo per il ricorso in Cassazione di Letta, verrà poi cassato dalla Suprema corte. Le varie inchieste di “Mani pulite” stanno lentamente scoperchiando i corruttivi intrecci che sono sorti intorno alle vicende dell'etere e del sistema 20
“La Repubblica”, 27 maggio 1993.
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE radiotelevisivo nazionale. Quella delle frequenze è da anni una battaglia campale, una lotta silenziosa che travalica la stessa questione strettamente televisiva, data l'enormità e la molteplicità degli interessi in gioco - una contesa nell'ambito della quale la Fininvest ha mosso e muove i suoi egemonici tentacoli senza esclusione di colpi. A Chiampore, su una collina che sovrasta Muggia (in provincia di Trieste), la Elettronica Industriale, nel 1991, ha cominciato a costruire una gigantesca antenna per consentire ai tre networks Fininvest di raggiungere parte dell'Europa centrale e orientale battendo la Rai. Dichiara il consigliere comunale Renzo Nicolini: “Io, questo megaimpianto ce l'ho proprio sulla testa, come centinaia di altri abitanti di Chiampore. Le vicende relative alla sua costruzione sono doppiamente sospette sia a livello locale, sia a livello nazionale”. Le emittenti berlusconiane disponevano già di una postazione Tv a Chiampore, ma nel luglio 1990 la Fininvest ha deciso di costruirne una seconda più potente, in grado di raggiungere bacini di utenza ben più vasti, oltre il vicino confine con la Slovenia. Il Comune di Muggia, il 17 settembre 1991, rilascia la relativa concessione edilizia, ma da più parti si grida allo scandalo, e la nuova postazione sorge tra violente polemiche. L'amministrazione locale è accusata di favoritismo, poiché si è affrettata a concedere alla Fininvest il benestare senza attendere - come vuole la legge -“ il Piano di assegnazione delle frequenze 21 . La nuova antenna, inoltre, è destinata ad aumentare il già alto inquinamento elettromagnetico sull'abitato di Chiampore; fin dal 1985, il dipartimento di Elettronica dell'Università di Trieste aveva segnalato al Comune di Muggia che a Chiampore era già stato raggiunto un tasso di 30-35 V/rn contro i 20 V/m tollerati. Nel febbraio 1992, la popolazione locale, allarmata, si costituisce in "Comitato dei cittadini contro le antenne di Chiampore". Infatti, nella zona accadono fenomeni "inspiegabili": oggetti di plastica che prendono fuoco, pecore che partoriscono agnelli morti; tra la popolazione si accusano emicranie, pressione alta e disturbi intestinali. “Abbiamo interpellato medici e specialisti di varie discipline”, dice il presidente del Comitato dei cittadini Marco Marinaz. Tra gli altri, il dottor Nerio Nesladek, il quale ha firmato un ampio studio sugli aspetti medico-scientifici dell'esposizione a campi elettromagnetici: “Nell'area dei ripetitori radio-tv a grande potenza di uscita come a Chiampore vi è una forte concentrazione di energia che, pur non essendo mai ionizzante, può comunque arrecare seri disturbi fisiologici se presa per lunghi periodi. Se vi capita di sentire la radio dentro il telefono, questo non è altro che l'azione induttiva delle onde elettromagnetiche sui cavi telefonici... Ancora più semplice è la spiegazione di possibili disfunzioni neurovegetative. Quando un'onda molto potente attraversa il nostro corpo, può facilmente indurre delle microcorrenti che per il cervello rappresentano dei messaggi. Questi stimoli imposti dall'esterno, e perciò innaturali, non possono che arrecare gravi danni a tutto il nostro sistema nervoso”. 21
In particolare, al centro delle polemiche è Willer Bordon, per molti anni sindaco di Muggia e poi portavoce nazionale di Alleanza democratica. Bordon è accusato di avere sistematicamente approvato tutte le procedure per il rilascio delle concessioni, e di avere ingannato i concittadini tacendo i veri scopi della Fininvest, a lui ben noti in quanto componente della Commissione parlamentare per le telecomunicazioni.
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE Secondo il professor Giuseppe Sgorbati, del Laboratorio di misure nucleari presso la facoltà di Fisica dell'Università di Milano e membro della commissione incaricata di redigere una proposta di legge sui rischi delle radiofrequenze e delle microonde, “quantità elevate di radiazioni non ionizzanti sono nocive. Surriscaldano i tessuti. Il cristallino dell'occhio, i testicoli, le ovaie, e il cervello sono gli organi più sensibili al colpo di calore. Cosa succede? L'occhio può ammalarsi di cataratta. Il riscaldamento delle ghiandole sessuali può essere causa di sterilità e, nella donna, provocare disturbi del ciclo mestruale. Sono stati segnalati anche danni al feto, con aborti e malformazioni. Poi ci sono gli effetti sul sistema nervoso. Le frequenze-radio provocano insonnia, irritabilità, perdita dell'appetito, malessere generale. Questi effetti sono certi. Su altri c'è discussione”. Osserva Renzo Nicolini: “Alla fine, perfino lo stesso Comune di Muggiasi è pentito di avere consentito l'ingombrante presenza della nuova antenna Fininvest: infatti, il 27 aprile 1993 ha scritto al ministero delle Poste che la localizzazione dell'antenna "all'interno del centro abitato di Chiampore rappresenta sicuramente una scelta inopportuna sia dal punto di vista ambientale che di salute pubblica". Ma ormai la frittata è fatta... Fin qui, la parte 1ocale" della storia. Di ben altra natura e gravità appare invece la parte relativa ai permessi ministeriali accordati alla Fininvest. Quello che ne viene fuori è assolutamente sconcertante. Costruendo l'antenna a Chiampore prima ancora che fosse varato il Piano frequenze nazionali, la Fininvest dava per scontato che le relative autorizzazioni le sarebbero comunque state concesse. Del resto, eravamo nella “prima Repubblica”, comandava Craxi, e Berlusconi era il portavoce ufficiale del “Caf”... Adesso, nella cosiddetta “seconda Repubblica” comanda direttamente Berlusconi, ed è anche peggio, a giudicare dagli ulteriori sviluppi di questa brutta storia”. La partita che la Fininvest gioca nell'etere ha assunto ormai aspetti grotteschi. Dopo avere addomesticato una legge, quella detta Mammì, e un Piano frequenze, a proprio uso e consumo e secondo i propri interessi (è su questo che indagano le Procure di Roma e di Milano), la Fininvest si è impegnata nel tentativo di scardinare la Mammì là dove le norme di legge risultano non conformi ai suoi piani egemonici. E’ il caso di Chiampore. Infatti, il Cctt di Trieste (con l'inizio del 1994 il controllo delle telecomunicazioni è passato dal ministero delle Poste ai Circoli costruzioni regionali) ha ripetutamente ricordato alla Fininvest che sul nuovo traliccio di Chiampore non avrebbero potuto “in nessun caso essere consentite l'installazione delle antenne né tanto meno la trasmissione dei programmi... senza l'autorizzazione di questo Circolo costruzioni. Si specifica inoltre che il punto di irradiazione previsto dal piano di assegnazione delle frequenze coincide con le coordinate geografiche della (vecchia) postazione attualmente utilizzata dalla Fininvest”; in parole povere, poiché il Piano frequenze ha assegnato alla Fininvest il punto sul quale sorge la vecchia antenna, la società non può trasferire gli impianti sul nuovo traliccio e tanto meno trasmettere senza l'autorizzazione del Cctt che per legge è costretto a negargliela. Antonio Farinelli, funzionario della direzione compartimentale Poste e Telecomunicazioni di Trieste, ed ex segretario del sindacato di categoria, precisa: “Il
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE tentativo della Fininvest di spostare i ripetitori dalla vecchia antenna alla nuova è palesemente fuori legge. Il secondo comma dell'articolo uno della legge 422 del 27 ottobre 1993 recita: “L’atto di concessione consente esclusivamente l'esercizio degli impianti e dei connessi collegamenti censiti in base alla Mammì”. Il censimento in questione ha individuato la vecchia antenna Fininvest. Poi è entrata in vigore un'altra legge specifica, e anche in base a questa il punto di irradiazione delle reti Fininvest coincide con la vecchia antenna. Di fronte a questi dati inequivocabili, se le emittenti Rti-Fininvest dovessero trasmettere dalla nuova antenna, l’Escopost compartimentale sarebbe obbligata a disattivarla, come è già accaduto di recente all'antenna di un'emittente privata sul monte Lussari (Tarvisio), oscurata d'autorità: il titolare aveva commesso un abuso spostandola di alcuni metri perché nel vecchio sito era disturbata dai canali Fininvest e Rai. Un fatto analogo è accaduto anche a Piancavallo, nei pressi di Aviano in Friuli: Carabinieri e agenti Escopost sono intervenuti mettendo i sigilli a una stazione privata. Quando accadono simili abusi, si alterano tutti gli equilibri a livello regionale e perfino nazionale. Il groviglio di interessi, per cifre miliardarie, è incredibile. Nell'estate del 1994, la Procura torinese ha disposto l'arresto di un ispettore del Cctt, Biagio Del Monaco, per piccoli "favori" di questo genere a emittenti radiofoniche locali; anzi, proprio da questo episodio trae origine il ciclone che si è abbattuto sul Circolo costruzioni del Piemonte con l'incarcerazione di Giuseppe Mazzocchi. Posso dire che il sostituto Enrica Gambetta di Torino si avvale nelle indagini della collaborazione del nostro Ezio Babuder, capo ispettore della direzione compartimentale di Trieste... IL certo: se la Fininvest manderà in onda i programmi dalla nuova antenna di Chiampore, verrà oscurata”. Ma le certezze di Farinelli “in nome della Legge” non considerano che la Fininvest sa porsi al disopra della Legge, ovvero è in grado di mutarne i dispositivi a proprio piacimento - come e più di sempre oggi che Berlusconi è alla guida del governo. Così, a metà settembre 1994, l'ing. R. Gigantino, capo della IV divisione del ministero delle Poste, dispone che “le emittenti che hanno concessioni regionali [e cioè soltanto Fininvest e Rai NdA] possono effettuare eventuali spostamenti di antenna che ritenessero necessari purché non creino disturbi alle altre emittenti” - la disposizione non è neppure firmata dal ministro, ma da un qualunque e zelante dirigente centrale del ministero... Esemplare delle scorribande Fininvest nell'etere pubblico, e degli stessi metodi berlusconiani, è anche la grave e intricata vicenda di Telepiù. Nell'autunno del 1990, subito dopo il travagliato varo della legge Mammì e mentre erano ancora in corso i complessi adempimenti per la sua attuazione, con un proditorio colpo di mano la Fininvest occupava l'etere con tre nuovi networks (Telepiù 1-2-3), riuscendo poi a ottenere, grazie a Craxi e al sodale ministro Mammì, le relative concessioni governative 22 . Ma poiché le pur blandissime norme antitrust previste dalla legge Mammì non le consentivano di detenere la proprietà di ben sei 22
Le tre Telepiù non disponevano dei requisiti di legge, e benché le reti cui accordare le concessioni statali fossero state stabilite in 9, nel 1992, con un colpo di mano ministeriale, sono state elevate a 12 proprio per includervi le tre Telepiù.
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE networks sui dodici previsti, la Fininvest manteneva di Telepiù il solo dieci per cento (quota massima prevista dalla legge) e intestava formalmente le rimanenti azioni a un gruppo di “amici” 23 . Nell’ottobre 1994, mentre secondo insistenti voci i magistrati di “Mani pulite” avrebbero ormai acquisito le prove del truffaldino raggiro della Fininvest in violazione della Mammì, Berlusconi (divenuto presidente dei Consiglio proprio grazie alla sua proditoria occupazione dell'etere) dichiara: “Non capisco quale fatto possa trovarsi che sia condannabile da un punto di vista morale e penale... Quella legge Mammì ci ha fatto una violenza imponendoci di vendere il 90 per cento delle quote di Telepiù. [Ecco perché] mi sono rivolto ad amici cui ho chiesto la cortesia di sottoscrivere [le restanti azioni], amici cui abbiamo dovuto frettolosamente intestarle... Non riesco a capire perché dei giudici possano impegnarsi in questa direzione, e mi sono venuti dei dubbi molto gravi, sui quali lavorerò nei prossimi giorni”. Ma intanto, sottobanco, il disinvolto “signor Tv” ha già provveduto a modificare la legge a suo uso e consumo 24 . I magistrati di “Mani pulite” sono arrivati a indagare sulla vicenda di Telepiù in seguito alle inchieste per la corruzione all'interno della Guardia di Finanza milanese; secondo un sottufficiale della GdF, reo confesso, vi sarebbe stato un 23
“La storia ufficiale recita che Telepiù viene costituita a Milano come società a responsabilità limitata il 20 ottobre '90 e acquista dalla Fininvest le società che in precedenza avevano occupato nell'etere le frequenze ancora libere. Il capitale iniziale di 10 miliardi viene suddiviso tra la società Rti dei gruppo Fininvest e altri nove soci, tutti amici di Berlusconi: i produttori cinematografici Mario e Vittorio Cecchi Gori, gli editori Leonardo Mondadori, Luca e Pietro Formenton, e Pietro Boroli, il re delle acque minerali Bruno Mentasti, il petroliere Massimo Moratti, l'immobiliarista Renato Della Valle, il finanziere Mario Rasini, e Luigi Koelliker”; "L'Espresso", 7 ottobre 1994. 24
“E’ una storia molto indicativa della disinvoltura con cui il presidente dei Consiglio tratta in prima persona le questioni in cui ha un diretto interesse. Tutto comincia, il 23 febbraio 1994, quando l'allora presidente dei Consiglio Carlo Azeglio Ciampi, accogliendo una sollecitazione del Garante per l'editoria, stila un decreto che precisa alcuni obblighi dei gestori di imprese editoriali e di radio e tele diffusione, abrogando alcune norme, ritenute troppo macchinose o superflue. Il decreto decade perché il Parlamento, sciolto per le elezioni, non ha il tempo per convertirlo in legge. Ciampi lo reitera il 28 aprile, ma anche stavolta H decreto non viene convertito. Intanto Berlusconi diviene capo del governo e il 10 luglio, di concerto con il ministro delle Poste e vicepresidente dei Consiglio Giuseppe Tatarella, ripropone il decreto per una terza volta. Vengono le vacanze e, ancora una volta, il decreto decade. Ma inopinatamente, subito dopo lo ritirano e lo trasferiscono alla Camera dei deputati il 6 settembre 1994. Il fatto è che il testo del decreto non è più uguale al precedente. Ne differisce in un punto decisivo: là dove Berlusconi brillantemente cancella le conseguenze di ogni irregolarità che possa aver commesso a proposito di false dichiarazioni sulla proprietà delle sue reti, sui suoi eventuali soci e sui bilanci delle sue aziende televisive. La chiave dell'inghippo è in quattro righe aggiunte all'articolo 6, quello in cui Ciampi elencava le norme da abrogare a proposito di bilanci. Nel testo Ciampi l'articolo aveva due commi. Nell'ultimo testo Berlusconi-Tatarella ne ha un terzo che recita: "Per il mancato o irregolare adempimento, nel periodo anteriore alla data di entrata in vigore del presente decreto, degli obblighi previsti dalle disposizioni abrogate non si fa luogo all'applicazione delle relative sanzioni". Ora, se si pone mente al fatto che il Garante dell'editoria, di fronte a dichiarazioni false in materia di bilanci, di composizione societaria e quant'altro può comminare sanzioni anche gravi, fino a revocare o sospendere le concessioni alle aziende o ai singoli operatori scoperti a dichiarare il falso, ecco che questa forma di amnistia sui generis decretata da Berlusconi può avere un'incidenza forte sulle indagini giudiziarie o amministrative in materia. E non occorre una particolare malizia per ricordare che su Berlusconi pende sempre la spada di Damocle degli accertamenti su Telepiù, dove da anni egli è sospettato di aver posseduto sottobanco - in aperta violazione della legge Mammì -una quota superiore al 10 per cento consentitogli. Sempre nell'articolo 6, il nuovo decreto Berlusconi reca un'altra aggiunta rispetto al testo di Ciampi: abroga l'articolo 30, comma 6 della Mammì, quello che regolava le sanzioni a carico dei trasgressori della legge. Anche qui, niente male: non si era ancora visto un presidente dei Consiglio che emana con la propria firma decreti miranti non solo a disciplinare il settore dove egli stesso opera da imprenditore, ma addirittura a escludere ogni punizione per gli illeciti del passato”; "L'Espresso", 7 ottobre 1994.
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE episodio di corruzione da parte della Fininvest 25 per “addomesticare” le verifiche sul reale assetto azionario di Telepiù disposte dal sostituto procuratore Maria Cordova e dal garante per l'editoria Giuseppe Santaniello.
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Per la vicenda, cfr. pagg. 233-236.
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE Guardie e ladri Preda di uno dei suoi periodici raptus di munifica prodigalità, nel maggio del 1989 Silvio Berlusconi regala, sotto forma di “donazione””, la somma di mezzo miliardo: non all’Opera Pia Bartocci, bensì a un ancora anonimo manager della Fininvest (già regolarmente, e si presume lautamente, stipendiato) di nome Salvatore Sciascia. Il fortunato beneficiario si impegnerà subito a fondo per corrispondere alla generosa regalia padronale, come le cronache di “Mani pulite” provvederanno a dimostrare. Inseguito da un mandato di cattura per corruzione spiccato dai magistrati milanesi, il 25 luglio 1994 (dopo alcuni giorni di latitanza) Salvatore Sciascia si costituisce. Nella sua veste di responsabile dei servizi tributari della Fininvest, Sciascia è accusato di avere corrotto alcuni sottufficiali della Guardia di Finanza per "addomesticare" i controlli fiscali presso tre società del gruppo berlusconiano (Mondadori, Mediolanum e Videotime). “Il primo caso risale al 1991, quando Sciascia ha pagato cento milioni, consegnati dal suo dipendente Gianmarco Rizzi (un ex sottufficiale della Guardia di Finanza) al maresciallo Marco Spazzoli. Il secondo caso riguarda la [Mondadori]: 130 milioni elargiti a fine ‘91 al colonnello Angelo Tanca, che era già stato arrestato il 4 luglio per 400 milioni di mazzette raccolte da lui presso varie imprese. Il terzo caso riguarda Videotime e si riferisce a fatti del 1989. Allora era presidente e amministratore delegato della società Paolo Berlusconi 26 . Ed è proprio in questa sua funzione che, nell'ordine di custodia di Sciascia, il fratello di Silvio Berlusconi viene indicato come concorrente nel reato di corruzione. Epoca della vicenda, il 1989, durante un'ispezione fiscale alla Videotime [ ... ]. Tre sono gli uomini della pattuglia della Guardia di Finanza: il maresciallo Giuseppe Licheri (capo) e altri due suoi collaboratori: i marescialli Gaetano De Gennaro e Giuseppe Sicuro [ ... ]. Che cosa succederà in seguito lo dice il Gip Padalino con queste parole: "Al termine della verifica, fu lo stesso Sciascia a consegnare direttamente al maresciallo Licheri un pacco contenente l'importo di lire 50 milioni in contanti, facendo presente che si trattava di un segno di riconoscimento per la professionalità dimostrata nel corso delle operazioni di verifica". Finisce qui la storia di ordinaria corruzione? No, il dottor Sciascia vuol essere sicuro di lasciare un altro segno tangibile del Biscione nelle tasche dei tre marescialli: “Trascorsi alcuni mesi”, si legge ancora nell'ordine di custodia, “Sciascia contattava nuovamente Licheri chiedendogli un incontro e dandogli appuntamento in un ristorante di Milano”. Tutti insieme, Sciascia, Licheri, De Gennaro e Sicuro si danno dunque appuntamento [e] alla fine del pranzo, la scena cambia: Sciascia si appartava con il Licheri consegnandogli nuovamente un pacco che, anche questa volta, conteneva 50 milioni di lire in contanti, specificando peraltro 26
Dichiara Sciascia ai magistrati: “Tutte le volte che avevo bisogno di pagare tangenti ci pensava Paolo Berlusconi a formare la provvista in nero. Io dovevo soltanto fargli sapere quale era la cifra che mi serviva per le mie necessità. La sera prima, lui provvedeva a preparare due buste sigillate con l'occorrente e le metteva nella cassaforte della Istifi, che ha sede in via Paleocapa a Milano e che funge da banca interna del gruppo. Quando io arrivavo in ufficio il mattino dopo, aprivo la cassaforte e ritiravo le buste. Poi consegnavo i soldi agli uomini della Finanza”.
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE che si trattava del saldo dell'importo in precedenza consegnato” 27 . Sciascia, che ammette i fatti addebitatigli per le mazzette Fininvest ai finanzieri rei-confessi, risulta coinvolto anche in un'ulteriore verifica della Finanza con annessa corruttela - una verifica particolarmente scabrosa e rispetto alla quale il manager berlusconiano nega con tenacia ogni addebito. “Pronto a ricordare ogni dettaglio dei regali alla Guardia di Finanza per Mediolanum, Videotime e Mondadori, Salvatore Sciascia nulla [dice di sapere] di Telepiù, la pay-tv entrata nel mirino degli inquirenti, di cui la Fininvest detiene il 10 per cento (primo azionista è oggi il magnate della televisione tedesca Leo Kirch con più del 30 per cento, secondo è il sudafricano Johann Rupert, e terzo l'immobiliarista Renato Della Valle, amico di Silvio Berlusconi). 0 meglio, rifiuta l'accusa mossagli dal maresciallo Francesco Nanocchio (il primo arrestato che ha dato il via all'inchiesta sul marcio nelle Fiamme Gialle) di aver regalato 25 milioni a lui e al maresciallo Giuseppe Capone, anch'egli arrestato: un contributo per chiudere un occhio e non essere troppo cunosì sugli assetti azionari della società [di Renato Della Valle] oggetto di una richiesta di indagini da parte del sostituto procuratore di Roma, Maria Cordova, e dal garante per l'editoria, Giuseppe Santaniello” 28 . Secondo il maresciallo Nanocchio, nel corso della verifica fiscale da lui effettuata insieme al collega maresciallo Capone alla fine del dicembre 1993 presso la società Fintele di Renato Della Valle, i finanzieri avevano scoperto che gli ingenti capitali utilizzati per l'acquisto delle quote di Telepiù avevano una strana provenienza: “Nel controllare Della Valle ho rovistato tra le carte dell'ufficio e ho trovato documentazione secondo la quale il denaro utilizzato dallo stesso per acquistare le quote di Telepiù proveniva da una banca straniera. Preciso che l'operazione di acquisto delle quote è stata effettuata a nome di una società del gruppo Della Valle di cui Della Valle aveva N per cento. La provvista per acquistare le quote era stata creata tramite un finanziamento soci che proveniva, per quel che riguarda Della Valle, da Montecarlo, e per quanto riguarda gli altri soci da un versamento in conto capitale, materialmente erogato dalla banca straniera, con ipoteca a favore della banca straniera medesima sulle quote di Telepiù. La scoperta ha disturbato Della Valle [che si è lamentato del fatto che io avessi trovato e riportato agli atti la documentazione]. Capone ha litigato con me e io mi sono allontanato dalle indagini. Alla fine delle indagini Capone mi ha portato i 25 milioni, che ho pensato gli avesse consegnato Salvatore Sciascia della Fininvest perché già precedentemente Sciascia aveva detto a Capone che alla fine ci avrebbe fatto un regalo. Sciascia seguiva le indagini di Telepiù perché all'inizio noi siamo andati alla Fininvest, in quanto proprietario, originario di Telepiù era il gruppo Fininvest, che ha poi mantenuto una partecipazione limitata al solo 10 per cento. Sciascia ha comunicato a Capone che ci avrebbe fatto “un regalo” quando ancora io lavoravo con Capone e stavamo controllando Telepiù”. 27
“L’Espresso”, 5 agosto 1994.
28
Ibidem
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE Sciascia nega tutto, e si capisce: se emergesse la prova di quanto da tempo si sospetta, e cioè che la Fininvest, attraverso prestanome, detiene il controllo di Telepiù, a norma della legge Mammì i tre networks berlusconiani (Canale 5, Italia 1 e Rete 4) si vedrebbero revocate le concessioni statali e verrebbero oscurati 29 . In verità, il fido Sciascia si era già attivato, in passato, per favorire l'operazione Telepiù, e l'aveva fatto alla sua spregiudicata maniera, spronato dalle regalie padronali e confortato dalla fattiva complicità del solito ministro delle Finanze craxiano: “Comincia nel 1991 la lunga lotta di Salvatore Sciascia per ottenere, da una parte, l'applicazione di un’aliquota Iva del 4 per cento sugli abbonamenti a Telepiù e, dall'altra, la promozione di Ludovico Verzellesi, il direttore generale per le imposte indirette e le tasse che aspirava a una poltrona di consigliere della Corte dei Conti grazie a una raccomandazione di Silvio Berlusconi. L'avventura, stando al rapporto della Guardia di Finanza, parte con un no di Verzellesi che esprime “ovvie” perplessità sulla possibilità di applicare un'aliquota così bassa. Sciascia scrive allora al suo superconsulente Viganò 30 “rammaricandosi dei parere negativo espresso dall'organo centrale finanziario soprattutto perché non preannunciato da... un avviso telefonico”. I rapporti di Sciascia con gli uffici finanziari dello Stato sono infatti solitamente ottimi. Tanto che spesso i dirigenti pubblici concordano con lui in anteprima le risposte da dare alle istanze del gruppo Fininvest. E infatti anche Verzellesi su Telepiù finisce per cambiare idea. Il 30 dicembre '91 comunica di essere riuscito a far firmare dal ministro delle Finanze Rino Formica una circolare con cui l'aliquota Iva del 4 per cento viene approvata. Ventiquattro giorni dopo, Sciascia 29
“Il sospetto che Berlusconi controlli sottobanco altre quote di Telepiù oltre il 10 per cento ufficiale è sempre esistito, fin da quando fra gli azionisti comparve una schiera di amici suoi non particolarmente danarosi. Coi tempo, particolari dubbi si appuntarono sull'immobiliarista Renato Della Valle, legatissimo al Cavaliere: nel mondo degli affari, costui risultava sempre meno liquido, eppure la sua quota in Telepiù arrivava addirittura oltre il 25 per cento, e gli costava un sacco di soldi visto che H pessimo andamento economico della pay-tv costringeva i soci a continui interventi per ripianare le perdite. Nel frattempo Telepiù era gestita da uomini Fininvest in perfetto accordo con la Fininvest Ma a far diventare la situazione molto più pesante, e ad attivare le indagini per le quali il garante dell'editoria Giuseppe Santaniello si è rivolto alla Guardia di Finanza, è stata la scoperta, fatta dall Espresso" all'inizio dei 1994, del giallo "Cit". Fin dall'inizio dell'avventura di Telepiù il 25 per cento delle azioni è intestato a questa Compagnie Internationale de Télécommunications, creata ad hoc nell'ambito della Banque Internationale à Luxembourg. Ebbene, le ricerche dell ... Espresso" hanno reso evidente che questa Cit altro non era se non uno scherzo fabbricato per nascondere qualcuno che non poteva mostrare la sua vera faccia. La Cit era stata costituita al solo scopo di acquisire il 20 per cento di Telepiù. Non aveva nessun'altra attività. Era stata quotata alla Borsa del Lussemburgo, ma in due anni non era mai stato scambiato un solo titolo. Gli azionisti non erano nominati, ma 'T'Espresso" ha accertato che si trattava di alcune decine di dipendenti della banca-madre, la Bil (lo stesso istituto di cui si servivano galantuomini come Sergio Cusani e Mauro Giallombardo). La Cit aveva come amministratori esclusivamente dei funzionari della medesima Bil. Questa combriccola senza volto continuava imperterrita a pagare, dal lontano granducato, la sua parte delle perdite di Telepiù. Neanche un bambino poteva credere che in Lussemburgo esistessero cittadini in carne e ossa disposti a svenarsi per una periclitante pay-tv italiana, senza che nell'arco di due anni almeno uno decidesse di cedere una sola azione in Borsa! La Cit era solo un prestanome allestito con una certa raffinatezza. Ben lo capiva anche Johann Rupert, il magnate sudafricano che voleva entrare in Telepiù proprio comprando la Cit che ne possedeva il 25 per cento: ci ha pensato a lungo in primavera, poi ha soprasseduto per paura di infilarsi in grane giudiziarie; ha concluso l'affare solo dopo che Berlusconi è diventato presidente del Consiglio. Se fosse confermato che la Fininvest ha corrotto i finanzieri che indagavano sull'assetto proprietario di Telepiù, ciò fornirebbe la prova che dietro la Cit o dietro Della Valle c'era proprio Berlusconi. Per questo la presunta mazzetta sganciata al maresciallo Nanocchio verrà negata dalla Fininvest ora e sempre nei secoli dei secoli”; "L’Espresso", 5 agosto 1994. 30
Si tratta di Enzo Viganò, ex funzionario dei ministero delle Finanze, dal 1988 "consulente" della Fininvest, arrestato il 30 marzo 1994 per tentata truffa.
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE chiede a Berlusconi di interessarsi per la promozione di Verzellesi. In giugno Formica propone Verzellesi come consigliere della Corte dei conti” 31 . La magistrale pertinenza della regalia berlusconiana al fedele adepto Salvatore Sciascia viene celebrata quando tra le carte sequestrate nell'abitazione privata del manager Fininvest i magistrati trovano copia dei verbali “supersegreti” stilati dalla Guardia di Finanza sul conto di alcune delle società berlusconiane. Ma il "direttore dei servizi tributari" Fininvest Salvatore Sciascia è ben più di un semplice "manager" votato al sacrificio. Oltre a ricoprire cariche di vertice in 15 società del gruppo berlusconiano 32 , risulta essere l'amministratore delegato di tre nevralgiche società dell'oscura galassia Fininvest: Videt, Nodit e Sodif. “[Tre società un pò speciali]: nei portafogli di Videt, Nodit e Sodif è custodita una quota di minoranza della Fininvest. Esattamente il 5,7 per cento. Sodif e Videt controllano infatti la Holding Italiana Sesta [ ... ] titolare del 3,8 per cento della capogruppo. Mentre Nodit e Videt detengono il 50 per cento della Holding Italiana Settima, che ha in mano un altro 3,8 per cento della Fininvest”33 . Interpellato dal settimanale “Il Mondo” nel gennaio 1994 in merito alle tre società delle quali riveste la carica di amministratore delegato, Sciascia dichiara: “Non sono in grado di dare chiarimenti perché non mi occupo di queste società. Non ne so proprio nulla”. Il presidente di Videt, Nodit e Sodif risulta essere Livio Gironi; come Sciascia, anche Gironi, nel 1989, ha ricevuto dall'equanime Berlusconi una “donazione” presidenziale di mezzo miliardo.
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“la Voce” 15 maggio 1994. Le "entrature" e i metodi di Sciascia risultano vieppiù adeguati alle regalie padronali con l'emergere del suo operato: “t uno spaccato sulle attività della Fininvest, ricostruito dalle Fiamme Gialle attraverso i documenti sequestrati nell'ufficio di Salvatore Sciascia, responsabile dei servizi fiscali del gruppo [ ... ]. La vicenda più importante è quella della fusione tra Ame e Amef e dei costi fiscali dell'operazione. Una nota di Sciascia a Giancarlo Foscale, all'epoca amministratore delegato del gruppo, parla dello studio sull'argomento dei superispettori del Secit. E recita: "Per scongiurare una eventuale approvazione da parte del ministro, occorre un intervento deciso". Cinque giorni dopo, un promemoria viene consegnato da Sciascia all'onorevole Psi [craxiano] Franco Piro, della Commissione Finanze. Interviene anche lo studio Tremonti, che prepara alcuni emendamenti sottoposti a Piro. "Il 13 settembre '91 Sciascia ha trasmesso via fax a Gianni Letta una comunicazione "riservata" con la quale confermava l'opportunità "che vengano riproposti al Senato gli emendamenti... Le unisco il testo degli emendamenti concordato con il prof. Tremonti---. Per i rimborsi Iva della società Sodif [del gruppo Fininvest] vengono mossi funzionari di tutti i livelli. Infatti la richiesta era stata bloccata a Roma perché risultava un debito della società di oltre nove miliardi. Dopo una raffica di contatti, tutto si sblocca ... ”; “Corriere della Sera” 15 maggio 1994. Secondo i magistrati milanesi, alcuni manager del gruppo Fininvest sono riusciti a “penetrare in modo fortemente illecito” nel cuore dell'amministrazione finanziaria dello Stato. 32
Tra l'altro: presidente della Gestioni Radio Televisive, consigliere della Mondadori, procuratore della Edilnord Progetti, consigliere della Standa, della Mediolanum Factor, della Mondadori Leasing, e della Istifi. 33
“Il Mondo”, 1 agosto 1994. Per la misteriosissima faccenda delle 38 "Holding Italiana" che detengono e occultano la proprietà del gruppo Fininvest, cfr. G. Ruggeri, M. Guarino, op. cit.
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE Chiasso-Torino-Mì1ano-Agrigento Adriano Galliani è uno degli storici colonnelli dello stato maggiore berlusconiano. Da sempre responsabile del versante “tecnico” dei networks Fininvest, dei quali è stato “l’architetto”, il ruolo di Galliani è quello di abile e potente yesman fiduciario di Berlusconi, al quale è legato a doppio filo. Già inquisito dalla magistratura romana per lo scandalo del “piano frequenze” connesso alla Legge Mammì e a un passo dal finire in carcere per concussione 34 , nella sua veste di amministratore delegato del Milan Calcio Galliani risulta coinvolto da protagonista nello scandalo relativo al passaggio del calciatore Gianluigi Lentini dal Torino al Milan-Fininvest (primavera 1992): si parla di miliardi “in nero" e “sporchi” provenienti dalla Svizzera, di falso in bilancio e evasione fiscale; l'inchiesta nasce dalle deposizioni dell’ex parlamentare craxiano Mauro Borsano (all'epoca dei fatti presidente del Torino Calcio, beneficiario del denaro sporco, a sua volta inquisito dalla magistratura), e si incrocia con vicende di narcodollari e riciclaggio in terra elvetica. “Il 23 febbraio [1994], davanti al magistrato milanese, è comparso Mauro Borsano, l’ex presidente del Torino. Dettagliato, e con alcuni retroscena inquietanti, il suo racconto. Borsano dice di aver trattato l'affare solo con Galliani in persona. Il primo accordo prevedeva il pagamento di 14 miliardi e 500 milioni di cui 4 miliardi anticipati in “nero”, senza regolare registrazione contabile. Le trattative vanno per le lunghe, sorgono problemi. Borsano chiede un aumento. L’accordo è per 18 miliardi e mezzo più un “nero” tra i 6 miliardi e 500 milioni e gli 8 miliardi e mezzo. Borsano chiede, e ottiene, che il pagamento avvenga estero su estero. Ed è a questo punto che salta fuori la Albis di Chiasso, banca d'affari legata alla finanziaria Fimo, già al centro di altri scandali. Uno degli uomini della Fimo è Giuseppe Lottusi, mente finanziaria del clan dei Madonia, l'uomo che teneva i contatti con il cartello della droga di Medellin. Lottusi, condannato a 20 anni di carcere per riciclaggio a Palermo, è detenuto a Pianosa, l'isola dei boss. I soldi, provenienti dalla Unione Banche Svizzere di Lugano, arrivano alla Albis, li vengono trasformati in Cct e poi monetizzati dallo studio Cambio Corso di Torino, controllato da Emilio Aloisio, il proprietario della banca Albis” 35 . Interrogato dai magistrati nel merito delle ammissioni del Borsano, Galliani si è avvalso della facoltà di non rispondere - ma non ha certo mancato di precisare a verbale: “La trattativa col Torino per Lentini è stata condotta tutta da me, solo da me... Mi sono occupato solo io della vicenda ... ” - una tesi smentita dallo stesso calciatore oggetto della vicenda 36 . Da parte sua, il Berlusconi Silvio presidente del Milan-Fininvest, notoriamente a conoscenza perfino delle pratiche sessuali dei 34
Cfr. G. Ruggeri, M. Guarino, op. cit., pagg. 243-46.
35
"La Stampa", 6 marzo 1994.
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Gianluigi Lentini, interrogato dai magistrati, dichiara tra l'altro: “Berlusconi voleva sapere perché non volessi andare al Milan: io gli spiegai il mio punto di vista, e lui mi disse che esisteva un accordo ... ”.
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE calciatori rossoneri, a tutta prima ha dichiarato: “Cado dalle nuvole... Nego qualunque coinvolgimento in questa storia”; e successivamente, ripresosi dalla caduta dalle nuvole, alla notizia che l'inchiesta giudiziaria prosegue il suo corso ha proclamato indignato: “Ho la netta sensazione di vivere in uno Stato di polizia... Mi sento oggetto di una caccia alle streghe”. *** Alle trattative per il passaggio del calciatore Lentini al Milan, ha preso parte attiva, per conto della Fininvest, anche un avvocato il cui nome figura nel collegio sindacale della società Milan Calcio: si tratta di Massimo Maria Berruti, un personaggio la cui biografia e il cui operato risultano illuminanti. Nato in provincia di Potenza nel 1947, già ufficiale della Guardia di Finanza, Massimo Berruti a metà degli anni Ottanta era finito in carcere a Milano in seguito al suo coinvolgimento per concussione nello scandalo Icomec-Metropolitana milanese 37 . Lasciata la Guardia di Finanza, Berruti si era dato all'avvocatura, e aveva aperto uno studio a Milano, nella centralissima Galleria del Corso 2, attiguo allo studio di commercialista tenuto da suo fratello Diego Maria Berruti. Fatto è che i due Berruti - l'avvocato Massimo Maria, e il commercialista Diego Maria - risultano essere soci di esponenti di .Cosa Nostra in alcune società da tempo nel mirino dell’Antimafia. Nella società Xacplast srl (produzione e lavorazione di materie plastiche) di Ribera (Agrigento), Massimo Berruti è socio al 40 per cento, mentre il 50 per cento è intestato a Laura Marino, cognata del boss Salvatore Di Ganci il quale è legato ai corleonesi di Totò Riina 38 ; il restante 10 per cento della società è intestato al “gorilla” Accursio Di Mino. Secondo alcuni rapporti del Gruppo Carabinieri di Agrigento, l'avvocato Massimo Berruti farebbe parte di una società intestata a parenti del capomafia di Sciacca o a suoi affiliati. Quando la Xacplast srl si trasforma in Miratur srl con scopo sociale “agenzia di viaggi”, il profilo mafioso della società si precisa ulteriormente: il 95 per cento della società è intestato a Vincenza Bono, moglie del Di Ganci, e il 5 per cento al guardaspalle Vincenzo Leggio. Ma Massimo e Diego Berruti sono tra i soci fondatori di una seconda società la Co.fi.l. spa - che nelle sue propaggini siciliane riconduce da un lato ancora al boss 37
“Secondo la pubblica accusa, abusando della sua qualità di pubblico ufficiale (ossia di tenente della Finanza di stanza a Milano), dopo aver scoperto che l'Icomec aveva emesso fatture fasulle avrebbe minacciato Roberto Bisconcini, presidente della società, di denunciarlo se non gli versava una mazzetta di 150 milioni. Quando fu arrestato, Berruti aveva già iniziato la carriera di avvocato. In primo grado il Tribunale condannò Berruti. Era il 22 dicembre '89. Ma in appello l'avvocato venne assolto. Nuovo colpo di scena in Cassazione: la Corte ha annullato la sentenza rinviando gli atti per i soli effetti civili alla Corte d'Appello di Milano dove il processo deve ancora essere celebrato”; "L'Espresso", 15 aprile 1994.
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Un rapporto del Gruppo Carabinieri di Agrigento datato 8 gennaio 1990 (seguito da altri dossier più recenti), segnalava: “A capo dell'organizzazione criminale filo-corleonese c'è Salvatore Filippo Giacomo Di Gangi, elemento molto pericoloso, già diffidato, sottoposto dal 2 febbraio 1990 alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, tratto in arresto per associazione mafiosa il 28 ottobre 1993 insieme col suo guardaspalle Accursio Di Mino e Vincenzo Leggio. Le attività illecite della cosca Di Gangi si sviluppano attraverso società controllate direttamente dal medesimo ed intestate a parenti o affiliati dell'organizzazione mafiosa”.
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE Salvatore Di Ganci, e dall'altro alla cosca Infranco legata a Giuseppe Madonia (il numero 2 di Cosa Nostra arrestato nel 1992 per omicidio, traffico di stupefacenti, e riciclaggio di denaro sporco). Responsabile della filiale della Co.fi.l. a Sciacca è il commercialista Giovanni Lupo; secondo i Carabinieri di Agrigento, Lupo ha legami di parentela coi boss Di Ganci, e insieme al ragionier Eugenio Trafficante (che opera nel suo stesso studio) “risulta vicino ad ambienti mafiosi già nel 1981 in quanto entrambi sindaci in una società di Leonardo Infranco, noto capocosca della zona, condannato nel 1985 dalla Corte d’Assise di Palermo per associazione a delinquere”. La storia della Co.fi.l. spa ha un antefatto. Il 10 febbraio 1983, a Milano, era stata costituita la Fincreber srl - dal cognome dei fondatori: il commercialista Aurelio Cresta (ex tenente colonnello della Guardia di Finanza), e i due fratelli Berruti; la finanziaria disponeva di un capitale sociale di 21 milioni sottoscritto in parti uguali dai tre soci; l’8 giugno successivo, Cresta e i Berruti avevano sottoscritto paritariamente l’aumento di capitale a 210 milioni, e l'operazione aveva coinciso con la trasformazione della società in Co.fi.l. (Compagnia finanziaria e di leasing) spa. Il 30 aprile 1984, Aurelio Cresta lascia il consiglio di amministrazione della finanziaria, e i due fratelli Berruti adeguano lo statuto a due soli soci, e concorrono a un nuovo aumento di capitale a 300 milioni: per 88 milioni Massimo, per 3 milioni Diego. Tra l'83 e l'84, la Co.fi.l. apre quattro sedi secondarie: a Pavia, a Brugherio 39 , a Benevento e a Sciacca - il fatto è perlomeno singolare, poiché il volume d'affari della finanziaria risulta nei primi anni alquanto modesto (nell'ordine di alcune centinaia di milioni, costituiti essenzialmente da beni in leasing), con bilanci deficitari. La svolta, per la Co.fi.l., si registra nel 1989, ed è nel segno della Fininvest (invero, già nel 1984 la strana finanziaria berrutiana aveva evidenziato a bilancio crediti a breve verso la Videotime spa del gruppo Fininvest). Il 30 maggio 1989, infatti, viene insediato un nuovo consiglio d'amministrazione della Co.fi.l.: nuovo consigliere delegato, con tutti i poteri di firma libera, è Vito Saponaro (consigliere di amministrazione di Publitalia-Fininvest, al fianco di Marcello Dell’Utri); nel collegio sindacale si insediano ben tre commercialisti del giro Fininvest: Luigi Palleroni, Salvatore Sciascia, Gianfranco Polerani. Ma il 30 maggio 1989, la Co.fi.l. ha anche un nuovo azionista, detentore dell'intero capitale sociale della finanziaria: la Summit finanziaria spa. Fondata solo un anno prima, la Summit risulta parcheggiata presso lo studio del commercialista berlusconiano Sergio Brambilla Pisoni, che ne è anche l'amministratore unico. Benché nell'orbita del colosso Fininvest, i bilanci della Co.fi.l. spa continuano a registrare consistenti deficit di bilancio: l'esercizio 1989 si chiude con perdite per L. 525 milioni. E nonostante il nuovo consiglio d'amministrazione deliberi nello stesso 1989 la chiusura delle strane "sedi secondarie" della finanziaria, le sedi di Benevento (il cui procuratore è Giuliana Giuliano) e di Sciacca (gestita dal citato Giovanni Lupo) rimangono attive. La Co.fi.l., ormai parte dell'impero Fininvest, nel maggio 1993 verrà assorbita 39
A Brugherio il giovane Palazzinaro Berlusconi nel 1963 aveva attuato la sua prima speculazione edilizia grazie ai capitali fornitigli dalla finanziaria svizzera Finanzierungesellschaft für Residenzen Ag.
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE per incorporazione dalla Mondadori leasing spa. Anche i valorosi fratelli Berruti verranno inglobati nell'impero berlusconiano: l'avvocato Massimo Maria nello staff dei legali Fininvest; il commercialista Diego Maria nei collegi sindacali della Isim (Italiana sviluppo e investimenti mobiliari), della Grt (Gestioni radio televisive, guidata da Adriano Galliani), della Silvio Berlusconi Editore spa, e della Sodif spa (detentrice di quote delle misteriose holding-casseforti dell'impero berlusconiano). Nell'ambito dell'inchiesta che a Milano vede coinvolti alcuni ufficiali e sottufficiali della Guardia di Finanza, rei confessi di avere intascato mazzette pagate da aziende (tra le altre, da alcune società del gruppo Fininvest) sottoposte a verifiche fiscali, l'l 1 agosto 1994 Massimo Berruti finisce in carcere con l'accusa di favoreggiamento. Uno dei finanzieri corrotti dalla Fininvest (130 milioni pagati tra il '91 e il '92 per addomesticare una verifica alla Mondadori), il tenente colonnello Angelo Tanca (da poco responsabile della Dia-Direzione Antimafia di Milano), ha rivelato ai magistrati di avere ricevuto da Berruti, per il tramite del maresciallo Alberto Corrado (ex finanziere, poi collaboratore della Fininvest), pressioni per tacere ai magistrati la mazzetta intascata durante la "verifica" alla Mondadori. L’ex maresciallo Alberto Corrado conferma le ammissioni del colonnello Tanca, e dichiara ai magistrati: “Due giorni prima del mio incontro con il Tanca, avevo visto l’avv. Berruti [il quale] mi disse: “Sei in grado di parlare con Tanca per dirgli, nel caso venisse coinvolto nell'inchiesta, di tacere assolutamente su un accertamento fatto alla Mondadori?”. Alla mia risposta affermativa, il Berruti aggiunse: “Riferiscigli anche che [se tacerà] otterrà un adeguato riconoscimento da parte della Mondadori”. Uno o due giorni dopo telefonai al col. Tanca dicendogli che volevo vederlo; lui rispose che non vi erano problemi e di andarlo a trovare negli uffici della Dia [ ... ]. Gli dissi che venivo per conto di Berruti, il quale non voleva farsi vedere negli uffici della Dia o comunque della Guardia di Finanza [ ... ]. Subito dopo l'incontro telefonai al Berruti sul cellulare ma mi rispose l'autista dicendomi che Berruti era impegnato in un comizio (mi sembra che fosse l'ultimo giorno della campagna elettorale per le elezioni europee). Qualche giorno dopo il Berruti mi richiamò e io, nel riferirgli dell'esito dell'incontro, ebbi anche a dirgli che Tanca mi aveva assicurato di non aver ricevuto alcuna informazione di garanzia [verrà arrestato un mese dopo, NdA] [ ... ]. Il Berruti giustificò la richiesta [di tacere ai magistrati la bustarella Mondador4 NdA] dicendomi che se fosse emerso un coinvolgimento della Mondadori nell'inchiesta sulla Guardia di Finanza ciò avrebbe sicuramente danneggiato la politica di Berlusconi. D'altra parte io sapevo che il Berruti era un legale di Berlusconi”. Pochi giorni dopo il suo arresto per favoreggiamento, Massimo Berruti viene raggiunto da un secondo ordine di custodia cautelare, per "concorso in concussione": secondo i magistrati, avrebbe aiutato un sottufficiale della Finanza a intascare una mazzetta di 350 milioni pagata da un imprenditore (Aurelio Farina) per eludere un controllo fiscale. Della vicenda è parte la commercialista Maria Luisa Paxi 40 , alla 40
“La donna, socia in affari di Diego Maria Berruti (fratello di Massimo Berruti), ha [dichiarato ai magistrati che nel 1985 ricevette la prima telefonata di Massimo Berruti, il quale] le racconta che Aurelio Farina si trova nei guai con le
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE quale il corrotto giudice Diego Curtò 41 nel 1989 aveva posto sotto sequestro due appartamenti.
Biscioni ruggenti
Fiamme gialle, ma che tutto può essere messo a posto. Basta sborsare 350 milioni. C'è di più, con un artificio burocratico l'imprenditore sarebbe entrato in possesso di una sorta di ricevuta, tale da giustificare il buco in bilancio. L'imprenditore paga. Solo qualche mese dopo, quando arriva una seconda telefonata alla commercialista, si scopre che la vicenda è infinita. L’avv. Berruti segnala un altro imprenditore nei guai, e chiede lo stesso trattamento (350 milioni) per l'aiuto. La donna si rivolge allora ad Aurelio Farina e insieme prospettano l'ipotesi di far partire una denuncia. Blocca tutto Diego Maria Berruti: che prima offre 100 milioni per farli tacere e poi intercede col fratello per far ritornare all'imprenditore 350 milioni. “La Stampa”, 23 agosto 1994. 41
Per le numerose connessioni tra la Fininvest e il corrotto giudice Curtò, cfr. G. Ruggeri, M. Guarino, op. cit., pagg. 221-22.
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE Il “Wall Street Journal” del 2 agosto 1994 informa che la Securities and Exchange Commission (l'ente federale americano che controlla le società quotate in Borsa) ha in corso un'inchiesta sull'affaire Metro Goldwin Mayer e sull'ambiguo ruolo che vi ha avuto la Fininvest. “La vicenda che ha portato il presidente del Consiglio italiano e la sua holding Fininvest nel mirino della Securities and Exchange Commission (Sec), la Consob americana, è la scalata alla Mgm/United Artists da parte di due italiani, Giancarlo Parretti e Florio Fiorini. Una vera e propria soap opera finanziaria, cominciata nel 1990 e finita dopo pochi mesi con la cacciata di Parretti dalla poltrona di boss della casa di produzione cinematografica, poltrona costata oltre un miliardo di dollari alla banca francese Crédit Lyonnais e agli altri finanziatori dell'operazione. Berlusconi, racconta il “Wall Street Journal”, intervenne per aiutare gli scalatori in un momento cruciale, con un prestito di 100 milioni di dollari e un “impegno irrevocabile” a versare altri 50 milioni di dollari in cambio di una partecipazione dell'8,33 per cento nella Mgm/Ua. Il problema, e la causa dell'inchiesta aperta dalla Sec, è che nella documentazione presentata all'ente di sorveglianza borsistica americana i 100 milioni di dollari non figuravano come prestito, ma come pagamento per l'acquisto da parte di una società del gruppo Fininvest dei diritti sulle edizioni in lingua italiana e spagnola di film MgIn/Ua. I documenti presentati da Parretti, compresi quelli della affiliata Fininvest, avrebbero quindi nascosto alla Sec l’esistenza di un accordo privato fra Berlusconi e Parretti, poi venuto alla luce, che garantiva al primo la restituzione dei 100 milioni di dollari, con gli interessi, qualora avesse rinunciato ai diritti sui film. Ed è proprio quello che Berlusconi ha fatto, subito dopo il fallimento della scalata di Parretti e Fiorini, ottenendo dalla Mgm/Ua il rimborso, a rate, della somma prestata. Per far luce su questo episodio, riferisce il quotidiano americano, e chiarire se siano stati commessi illeciti, la Sec ha convocato a Washington, nel 1992, Carlo Bernasconi, responsabile delle attività Fininvest nel campo dello spettacolo. E la promessa di acquistare una partecipazione nell'Mgm/Ua per 50 milioni di dollari? Chiamata a rispettare l’impegno irrevocabile” dal Crédit Lyormais, la Fininvest, secondo il quotidiano finanziario, aveva preso tempo. Successivi solleciti non avevano avuto alcun esito, e alla fine il Crédit Lyormais aveva chiesto un incontro con i responsabili della Fininvest per risolvere la questione. In un meeting organizzato nel gennaio 1991, riferisce il “Wall Street Journal”, Berlusconi aveva fatto rilevare che la data del 23 novembre 1990 menzionata nella lettera era passata e che, dato che la Mgni/Ua non aveva sollecitato il pagamento in tempo utile, la Fininvest non era più obbligata a rispettare l’impegno irrevocabile”. Nel corso dell'incontro, ha detto al “Wall Street Journal” un legale che era presente, “Silvio Berlusconi aveva spiegato di avere fatto un favore al suo amico Parretti”. Il quotidiano americano sostiene che, oltre al prestito di 100 milioni di dollari e alla promessa di altri 50 milioni, Berlusconi aveva aiutato il “suo amico” Parretti e Fiorini presentandoli a diverse banche americane, francesi e olandesi che avrebbero potuto concedere crediti per la scalata alla Mgm/Ua. Le referenze di Berlusconi, in
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE particolare, avrebbero convinto il Crédit Lyonnais a finanziare i due scalatori” 42 . Mentre la Fininvest “smentisce” le notizie riportate dall'autorevolissimo quotidiano americano, uno dei protagonisti della vicenda, il faccendiere Giancarlo Parretti, conferma “punto per punto” le parole del “Wall Street Journal”, e ricostruisce le varie tappe della scalata "italiana" alla gloriosa Mgm: “Berlusconi da tempo segue il nostro tentativo di rilevare la grande major americana. A lui interessa il catalogo dei film per poterli trasmettere con le sue reti televisive: ci offre allora di comprare per 208 milioni di dollari i diritti di trasmissione in Italia e in Spagna di mille film di proprietà della Mgm. La proposta ci piace e la Fininvest versa puntualmente la somma. Ma - e di questo io non sono al corrente - contemporaneamente Fiorini firma una lettera che consente a Berlusconi di recedere quando vuole dall'accordo e di recuperare i 208 milioni di dollari più gli interessi maturati nel frattempo [ ... ]. Questa lettera andava resa nota subito. La Mgm è una public company, una società quotata, e pertanto secondo la legge americana non devono esistere accordi segreti che privilegino azionisti importanti e altri gruppi a scapito degli azionisti di minoranza. Quando Berlusconi, forte della lettera, compra solo una parte dei diritti e bussa a quattrini, la Mgm, che nel frattempo ha già investito la somma, si trova in difficoltà. Di qui il calo del titolo in Borsa e i danni per i piccoli azionisti. Ecco perché la Sec indaga... A ottobre [1990] sono io a bussare alle porte del Cavaliere. Mi mancano 50 milioni di dollari per arrivare al miliardo e 350 milioni chiesti da Kerkorian [Kirk Kerkorian, patron della Mgm, NdA]. Berlusconi si mostra disponibile e si impegna ad acquistare il 21 novembre l'8,33 per cento della Mgm, appunto per 50 milioni di dollari. E qui c'è sotto un fatto abbastanza insolito. La Fininvest ottiene dal Crédit Lyonnais Nederland un prestito di 50 milioni di dollari per perfezionare la manovra. Scopro poi che il 21 novembre il Lyonnais, che oltre a finanziare agisce anche da banca intermediaria, concede una proroga fino alla fine del mese. Berlusconi ha quindi tempo fino al 30 per pagare e ritirare le azioni. Ma il 23 si ritira accampando questa scusa: “Poiché il giorno 21, data originaria per la scadenza dell'accordo, non mi sono state consegnate le azioni Mgm, non mi ritengo più vincolato. Pertanto non le compro”. Ma il Lyonnais nel frattempo ha già dichiarato alla Sec che la Fininvest è subentrata come azionista. Una dichiarazione falsa, nella sostanza, quella della banca, che autorizza la Sec a intervenire”” 43 . Il duo Parretti-Fiorini aveva concluso un primo affare con la Fininvest nel 1988, cedendole per 70 miliardi le sale cinematografiche della Cannon Italia. Del resto, in precedenza tra Parretti-Fiorini e Berlusconi vi erano già state altre sintonie: tutti e tre gli affaristi erano legatissimi a Bettino Craxi; nel 198 1, l'allora direttore finanziario dell’Eni, Florio Fiorini, era stato tra i protagonisti, insieme al piduista craxiano Leonardo Di Donna e al banchiere piduista Roberto Calvi, delle ruberie craxiane approdate sul conto svizzero “Protezione” - un'operazione concepita all'interno della Loggia P2 alla quale Berlusconi era affiliato. 42
“1a Voce”, 3 agosto 1994.
43
“la Repubblica”, 3 agosto 1994.
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE “L'interlocutore di Berlusconi nell'operazione Mgm/Ua, secondo la ricostruzione del "Wall Street Journal", era stato Giancarlo Parretti, mentre Florio Fiorini, l'ex dirigente dell’Eni, considerato la mente finanziaria dell'accoppiata responsabile della scalata alla casa di produzione hollywoodiana, era rimasto defilato. Il quotidiano americano, però, mette in luce i collegamenti tra la Fininvest e Fiorini emersi dalle carte del fallimento della Sasea Holding Sa, la finanziaria di Fiorini, che ora sono all'esame dei giudici svizzeri. il primo collegamento riguarda la Scotti Finanziaria, una società che aveva in portafoglio importanti beni immobili. Dopo averne acquisito il controllo, scrive il quotidiano americano, Fiorini aveva liquidato il patrimonio immobiliare, acquistando con il ricavato partecipazioni in imprese industriali, dal “Wall Street Journal” definite “praticamente senza valore” prelevate dal portafoglio titoli della Sasea. “In questo modo” ha detto al giornale un avvocato che si è occupato del caso, "in due anni sono scomparsi 500 miliardi di lire". Alcuni immobili della Scotti erano stati venduti, nel 1989, alla Fininvest, che li aveva pagati 52 miliardi. Un'altra operazione che ha avuto per protagonisti Berlusconi e la Sasea, ricostruita dal “Wall Street Journal”, risale al 1990 ed è collegata alla scalata alla Mgm/Ua. Documenti in possesso degli investigatori svizzeri indicano che Berlusconi aveva garantito alla Banca Popolare di Novara un prestito di 50 milioni di dollari alla Mgm, che a sua volta aveva prestato la somma alla Sasea. La holding di Fiorini, quindi, aveva girato i 50 milioni di dollari al Crédit Lyonnais, come pagamento parziale degli 1,3 miliardi di dollari che Parretti si era impegnato a pagare per il 100 per cento delle azioni Mgm/Ua. In sostanza, oltre ai 100 milioni di dollari del prestito alla Mgm/Ua contestato dalla Sec e ai 50 milioni di dollari promessi dalla Fininvest per l’8,33 per cento della casa cinematografica, Berlusconi era impegnato nella scalata con altri 50 milioni di dollari di garanzie prestate a Fiorini” 44 . Nell'intrico Fiorini-Berlusconi-Crédit Lyormais è stato parte attiva anche il manager Fininvest Livio Gironi, il quale Gironi, nel maggio 1989, ha ricevuto da Berlusconi una personale “donazione” di mezzo miliardo. Ma i sodali craxiani di Berlusconi, Parretti & Fiorini, nello stesso periodo 1989-90 intrattenevano rapporti, oltre che con la Fininvest, anche con Cosa Nostra, nella persona del boss mafioso Michele Amandini: “Chiacchierati lo sono da tempo. Ma ora, per la prima volta, emergono collegamenti precisi e documentati tra la coppia Florio Fiorini-Giancarlo Parretti e la criminalità organizzata [ ... ]. Tra il novembre 1989 e il settembre 1990 alla Halldomus e alla Finlocat [losche società finanziarie dichiarate fallite, NdA] si avvicinarono strani personaggi per tentare impossibili salvataggi. Il più attivo fu Michele Amandini, domicilio a Lugano, rappresentante della Blax Corporation di Vaduz, in Liechtenstein. Oggi i giudici sanno che la Blax è una scatola finanziaria fondata nell'ottobre 1989 con un capitale sociale di soli 50 mila franchi svizzeri (all'epoca poco più di 45 milioni di lire italiane). Ma soprattutto sanno che Amandini è un boss di rango. Nella recente maxi-inchiesta antimafia 44
“1a Voce”, 3 agosto 1994. Fiorini, in un libello scritto in carcere, rievocherà un suo incontro con Berlusconi, nella villa di Arcore, insieme a Parretti - cfr. G. Ruggeri, M. Guarino, op. cit., pagg. 207-09.
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE chiamata Nord-Sud hanno scoperto che è affiliato a un'organizzazione mafiosa che fa capo alle famiglie calabresi impiantate a Milano, le famiglie Morabito, Sergi, Papalia. E che è personalmente coinvolto nel traffico d'eroina e in alcuni sequestri di persona (Cattaneo, Jacorossi, Rancilio). Amandini, come rappresentante della Blax, si installò negli uffici della Halldomus già sull'orlo della bancarotta e la rilevò, impegnandosi a ricapitalizzare la società [ ... ]. Ma chi c'era dietro la Blax Corporation? La coppia Fiorini-Parretti [ ... ]. Un altro personaggio che in quell'estate del 1990 entrò nella partita è Vittore Pascucci, avvocato e faccendiere [ ... ]. Ma Pascucci, scoprirono poi i magistrati, è anche l'avvocato che i pentiti della "Duomo connection" indicano come un tramite tra le cosche e i giudici, un intermediario che trattava con le toghe compiacenti per cercare di "aggiustare i processi". La vicenda giunse al culmine con la fine dell'estate, quando la proprietà Halldomus, dietro cui si muoveva la compagnia Fiorini-Parretti-Amandini, decise di portare i libri in Tribunale. La loro strategia, molto probabilmente, era quella di abbandonare la Halldomus, carica di debiti, tenendosi invece, per spolparle fino all'osso, le altre società del gruppo, tra cui Finlocat, Finlocat Factoring, Finlocat Sud e alcune immobiliari, perlopiù debitrici della Halldomus, che faceva da banca del sistema. A giudizio dei magistrati milanesi, un fallimento giudiziario non suscitava allora eccessiva preoccupazione nei nuovi padroni della Halldomus, anche perché nel Palazzo di giustizia di Milano correvano i tempi d'oro di Diego Curtò, il presidente del Tribunale che nel settembre 1993 sarebbe stato arrestato per corruzione nell'ambito del caso Enimont” 45 . Intanto, mentre il plurinquisito Parretti (arrestato nel 1991 per evasione fiscale) si dichiara entusiasta del governo Berlusconi, dal carcere ginevrino di Champ Dollon dove è detenuto per la bancarotta della sua finanziaria svizzera Sasea (ottobre 1992) Florio Fiorini invia alla magistratura milanese periodici “memoriali” nei quali ricorre spesso il nome di Silvio Berlusconi.
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“Il Mondo”, 18 aprile 1994.
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE Vassalli, valvassori, valvassini Il 4 marzo 1994, la Procura di Milano dispone l’arresto, per corruzione, di Sergio Roncucci, già dirigente Fininvest e al momento “capo delle relazioni esterne” della berlusconiana Edilnord. Roncucci ammette di aver versato tangenti per circa un miliardo, tra il 1988 e il 1990, a funzionari e amministratori comunali, per sbloccare un piano di lottizzazione della Edilnord presso il Comune di Pieve Emanuele 46 . Roncucci, vero esperto di “relazioni esterne” di tipo corruttivo per conto del gruppo Berlusconi, risulta già tra gli imputati, insieme a Paolo Berlusconi, nel processo per le discariche lombarde accusato di aver versato 150 milioni “neri” alla Dc lombarda. Durante la detenzione, l'indefesso Roncucci ammetterà di avere corrotto con mazzette (800 milioni) il sindaco craxiano di Pioltello, Michele Rossetti, e altri amministratori dei comune, nel 1988, in cambio di licenze edilizie a favore della Edilnord. Ma il nome di Roncucci “era spuntato anche nell'inchiesta sulla "Duomo connection". Nell'ottobre'90 l'assessore [craxiano] Attilio Schemmari era finito nei guai per un'intercettazione nella quale si parlava di una tangente per “il Ronchetto”: secondo la Procura, era un’area da lottizzare; secondo l'indagato, poteva essere “anche un cognome”. E si pensò all'uomo della Edilnord” 47 . Indagando sui bilanci e sulle fatture di Publitalia-Fininvest, nel marzo 1994 i magistrati della Procura milanese chiedono l'arresto, tra gli altri, di Romano Luzi. Fx maestro di tennis di Berlusconi e al momento venditore di pubblicità per il gruppo Fininvest, Luzi è titolare di una strana società con sede a Monza, la Conaia srl, i cui bilanci sono palesemente fasulli. In un rapporto della Guardia di Finanza ai magistrati, è riportato un elenco di fatture pagate dalla Conaia per capi di abbigliamento consegnati a Silvio Berlusconi & Signora nella villa di Arcore (35 milioni); ma sul conto della società dell'ex maestro di tennis c'è ben altro: “Acquisto di barche a vela dal valore miliardario e auto superlusso (Porsche, Rolls Royce, Bentley, Jaguar, Aston Martin) che non si giustificano se si guarda all'oggetto sociale della Conaia (pubblicità), nonché fatture emesse dalla Conaia a carico di Publitalia-Fininvest per operazioni inesistenti, con due scopi: creare spese fittizie per la Publitalia stessa e per i suoi bilanci, creare risorse o fondi neri” 48 . Interrogato dai magistrati, a Luzi viene chiesto: “In ordine alle provvigioni e altro ricevute da Publitalia tra il 1990 e il 1994, ammontanti a L. 9.256.275.000, può indicare dove si trovano i contratti citati nelle rispettive fatture, contratti che la Guardia di Finanza dice di non aver trovato nella sede della Conaia?”, e l'ex termista berlusconiano risponde: “Non so dove si trovano i contratti citati nelle fatture. Potrebbe darsi che si trovino in Publitalia ovvero che non siano stati stipulati in 46
Il precedente gennaio, erano finiti in carcere il sindaco craxiano di Pieve Emanuele Antonio Maresca, e l'architetto Epifanio Li Calzi (progettista del Piano regolatore di Pieve, e ex assessore Pci all'edilizia dei Comune di Milano). 47 48
"Corriere della Sera", 6 marzo 1994. “L’Espresso”, 15 aprile 1994.
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE quanto c'era con Publitalia un rapporto fiduciario. Prendo atto della singolarità delle mie affermazioni, ma ribadisco che il rapporto con Publitalia non aveva bisogno di assumere un carattere formale”. I magistrati sospettano che “la Conaia di Luzi, anche se non controllata da Publitalia, ne sia in realtà un'emanazione di fatto, buona per tutti gli usi, per accontentare inserzionisti di rispetto della Fininvest (ad esempio, assegni per 70 milioni sono finiti a Franco Bosisio, rappresentante legale della società che vende gli orologi Swatch) o per pagare le ferie e prestar soldi a Marcello Dell'Utri. Si prenda il caso delle sponsorizzazioni di regate veliche: nel mirino è finita la Bepi, una barca a vela di 16 metri di Luzi, che doveva sponsorizzare il marchio Publitalia per 850 milioni, tra il 1989 e il 1990 [ ... ]. Nel luglio 1991 la Bepi viene venduta a Stefano Cagliari, figlio dell'ex presidente [craxiano] dell’Eni morto suicida a San Vittore. Una cessione molto dubbia, data la differenza del prezzo pagato a Luzi (200 milioni) e il valore risultante dalla polizza assicurativa stipulata per la Bepi (750 milioni). Infatti, secondo la Finanza, “L’operazione potrebbe integrare un partico lare meccanismo idoneo a far pervenire al Cagliari Stefano utilità, per motivi allo stato non noti, ma che potrebbero ricollegarsi, per ovvie ragioni, a rapporti tra Publitalia e società dell’Eni”. Utilità, si aggiunge, valutabili intorno al miliardo di lire” 49 . I traffici di Romano Luzi non cessano di sorprendere: la sua Conaia ha pagato alla famiglia di Marcello Dell’Utri le vacanze natalizie a Madonna di Campiglio (1992-93); lo stesso Dell’Utri, il 16 febbraio 1993, ha incassato un assegno del Luzi di 60 milioni (“Dell’Utri mi ha chiesto un prestito ”, dichiara Luzi ai magistra-ti sfidando il ridicolo). Ma l’ex maestro di tennis berlusconiano risulta anche debitore verso il Monte dei Paschi di Siena per oltre un miliardo: prestito garantito da una fideiussione della Fininvest. Le indagini dei magistrati milanesi intorno ai maneggi e alle truffe contabili di Publitalia-Fininvest portano alla ribalta della cronaca giudiziaria perfino un pornoregista, Lorenzo Onorati (in pornoarte, Lawrence Weber). “Tra i tanti documenti raccolti dai Superispettori [del Fisco] c’è una lettera autografa di Dell’Utri che incarica Onorati di trovare nuovi clienti in cambio del 10 per cento del fatturato annuo procacciato. E due fatture della società di Onorati, la Panam International cinematografica [a carico di Publitalia] - causale: “acquisizione ‘Clienti Nuovi’ per investimenti sui networks Publitalia” - per complessivi 448 milioni più Iva, pari addirittura al 66 per cento dell’investimento procurato dall’in termediario: una sponsorizzazione di 680 milioni della pasta De Cecco alla trasmissione “Buon Compleanno”, in onda su Canale 5 dall’ottobre ‘90 al gennaio ‘91, per celebrare il decennale della Tv di Berlusconi. Ma non solo. Il Secit ha anche scoperto e segnalato ai magistrati il ritorno nelle casse del gruppo Fininvest di qua si la metà dei soldi pagati da Publitalia a Onorati. Dei 448 milioni accreditati al pornoattore dalla Istifi spa, la tesoreria del gruppo Fininvest, ben 206 milioni sono poi finiti alla Mediolanum Vita, la società d’assicurazione del Biscione. A pagamento di premi per 49
Ibidem
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE le polizze vita di quattro discendenti della numerosa dinastia De Cecco - Giuseppe Aristide, Filippo Antonio, Maria, Giuseppe” 50 . Nel governo che si insedia nel giugno 1994, il presidente del Consiglio Berlusconi nomina sottosegretario alla presidenza del Consiglio il vicepresidente della Fininvest Gianni Letta, determinando così una epocale innovazione: per la prima volta nella storia repubblicana, a Palazzo Chigi si installa un vice-ministro mentre è sotto inchiesta per corruzione e concussione e per il quale la magistratura romana ha chiesto l'arresto. L’untuoso Letta, già ciambellano di Andreotti, risulta infatti coinvolto nello scandalo del “Piano frequenze” relativo alla Legge Mammì - ma è poi stato generosamente compensato: con una "donazione" berlusconiana di lire 3 miliardi. Il 27 maggio 1994, l'amministratore delegato di Mondadori Pubblicità (gruppo Fininvest) Umberto Cairo viene interrogato dai magistrati milanesi di “Mani pulite”: è indagato per falso in bilancio e frode fiscale. “L'istruttoria non riguarda [direttamente] i conti del gruppo [Fininvest] ma una piccola società monzese, la Publivis 85 sas, che si occupa di produzioni pubblicitarie. La maggioranza delle quote della Publivis appartiene a Cairo e a un suo familiare. Secondo i magistrati questa piccola società avrebbe emesso fatture false in favore di Publitalia, il colosso pubblicitario Fininvest amministrato da Marcello Dell'Utri. Dagli accertamenti della Guardia di Finanza è stata individuata documentazione, ritenuta fittizia, per un importo vicino ai quattro miliardi [ ... ]. Lo schema dei rapporti tra la Publivis e Publitalia sarebbe simile a quello già individuato dalle Fiamme Gialle per altre società "sponda". Secondo la Procura, il gruppo Fininvest si servirebbe di piccole sigle, amministrate da dipendenti della Fininvest, senza attività reale. Lo scopo di questi "satelliti" sarebbe quello di fornire fatture e certificazioni per scaricare miliardi dai bilanci della holding Fininvest. Soldi impiegati poi per pagamenti in nero ai manager che affidano contratti a Publitalia, per l'acquisto di beni di lusso, e per fondi paralleli agli stessi dirigenti Fininvest” 51 . Nell'ambito dell'inchiesta milanese sulla corruzione all'interno della Guardia di Finanza, l’11 luglio 1994 finisce in carcere l’avvocato d'affari craxiano Calogero Cari. Già tra gli imputati per la colossale corruttela partitica della maxitangente Enimont, Cari viene arrestato perché accusato di avere corrotto con una bustarella da 50 milioni il maresciallo della Finanza Livio Ballerini (reo confesso) durante un controllo fiscale presso il suo studio milanese. La mazzetta della corruttela sarebbe stata versata da Calì anche per conto di Renato Della Valle (amico e socio di Silvio Berlusconi) per “coprire” un affare sospetto: “Si tratta della vendita di un immobile da parte della Banca Nazionale del Lavoro al prezzo di 160 miliardi. Il complesso era poi passato a un mediatore, la 50 51
“L’espresso”, 25 marzo 1994. "Corriere della Sera", 28 maggio 1994.
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE Finprogetti di Carlo Patrucco, che l'aveva ceduto a Della Valle con un guadagno enorme. Nel novembre del 1990 le Fiamme Gialle si interessano alle fatture emesse per questa operazione, alcune delle quali intestate a Calì” 52 . L'avvocato Calì, già effettivo nei ranghi del clan affaristico di Bettino Craxi, era stato il legale della Fininvest nel corso dell'assalto berlusconiano alla Mondadori (1989-90). L' 11 luglio 1994, nel carcere napoletano dove è detenuto, vengono notificati all'ex ministro della Sanità Francesco De Lorenzo 17 nuovi capi d'imputazione; riguardano anche una tangente di 300 milioni versatagli dal consulente Fininvest Aldo Brancher in relazione alla campagna pubblicitaria televisiva anti-aids effettuata dal ministero. Giovanni Marone, ex segretario “pentito” del supercorrotto ministro De Lorenzo, ha dichiarato ai magistrati: “Vi era un buon rapporto di conoscenza tra i vertici Fininvest e De Lorenzo. Aldo Brancher e Valeria Licastro, entrambi della Fininvest, nell’approssimarsi delle decisioni relative alle ripartizioni del “piano mezzi” mi ricordavano di tenere presente la Fininvest al fine di riservargli una maggiore fetta di pubblicità. A tangibile dimostrazione dei risultati ottenuti, la Fininvest versò in due occasioni 150 milioni in contanti. Fu Brancher in persona a consegnarmi quei soldi nell'ufficio della mia società: la Marone assicurazioni. Brancher mi disse che si trattava di un riconoscimento a De Lorenzo per l’attenzione dimostrata. Posso inoltre dire che la Fininvest omaggiava il Pii degli spot pubblicitari realizzati in occasione delle varie campagne elettorali [ ... ]. I pagamenti avvennero in concomitanza con l’approvazione e l’attuazione del “piano mezzi” della campagna ministeriale anti-aids di cui ha beneficiato la Fininvest con i cui vertici, in particolare con Silvio e Paolo Berlusconi e con Fedele Confalonieri, il ministro De Lorenzo era in ottimi rapporti. [Infatti] il problema degli organi di comunicazione pubblici e privati e quindi anche della Fininvest era di avere una presenza significativa nel “piano mezzi”, ovvero nella ripartizione delle risorse finanziarie che il ministro aveva globalmente stanziato per la campagna pubblicitaria. Le risorse erano nell’ordine dei 30-40 miliardi all'anno”. Il consulente-Fininvest Aldo Brancher (arrestato nel giugno 1993) ha ammesso il pagamento di 300 milioni, ma ha negato che si trattasse di una tangente. Come e più di De Lorenzo, il mattatore del colossale scandalo detto “Malasanità” è stato individuato nel direttore del ministero Duilio Poggiolini, già “fratello” di Silvio Berlusconi nella Loggia P2 alla quale entrambi erano affiliati. li 14 luglio 1994, presso la Procura della Repubblica di Torino, viene interrogato Giampaolo Prandelli, direttore generale di Publitalia-Fininvest; il manager berlusconiano è indagato dalla magistratura torinese per una vicenda di false fatture emesse a carico di Publitalia dalla Mgp e dalla Gpa, due società pubblicitarie che fanno capo a Vittorio Missoni (figlio del noto stilista Ottavio) e al latitante Giovanni Arnaboldi (ex pilota di off-shore, colpito da ordine di arresto per aver occultato i 52
“Corriere della Sera”, 12 luglio 1994.
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE documenti contabili della Mgp). “L'indagine torinese su Publitalia ha molti punti in comune con quella milanese di “Mani pulite”: il più evidente è che entrambe sono partite dai conti di società di pubblicità accusate di “sovrafatturare” i compensi ricevuti dall'azienda Fininvest. A Torino i Pin Cristina Bianconi e Luigi Marini hanno raccolto il lavoro della Guardia di Finanza che ha rovistato nelle carte di Mgp e Gpa, le due società che procuravano gli sponsor ai team di off-shore. Ma non solo: con Publitalia, Arnaboldi e il socio Missoni avevano rapporti d'affari che andavano al di là dell'ambiente della motonautica. In tre anni - dal 1991 al '93, ma per il figlio dello stilista le responsabilità di amministratore sono più limitate nel tempo - le loro Mgp e Gpa hanno fatturato 12 miliardi all'azienda Fininvest; senza questa indagine, i miliardi sarebbero saliti a otto nel solo'94. Fiamme Gialle e magistrati sospettano che proprio le fatture fossero funzionali alla creazione di fondi neri in casa Publitalia. Così come il pool milanese di "Mani pulite" ha individuato nella Conaia dell'ex maestro di tennis Romano Luzi (altra piccola società per la “promozione pubblicitaria”) un analogo referente, per le fatture false, dell'azienda Fininvest [ ... ]. A Torino l'inchiesta naviga ancora nel riserbo quasi assoluto della magistratura. Il quasi sta per le ammissioni strappate dall’evidenza dei fatti, come la presenza degli indagati negli uffici dei Pm. Ieri quella di Prandelli, nei giorni scorsi di Missoni junior e di un terzo personaggio, che doveva essere sentito come testimone e che si è presentato invece con il suo avvocato: “Ciò che devo dire può essere penalmente rilevante per me”, ha esordito Mariano Giglio, direttore commerciale della Zambeletti e candidato di “Forza Italia” alle regionali in Sardegna. A Giglio erano finiti assegni di Arnaboldi per Prandelli. “Denaro in nero corrispostomi per le intermediazioni con Publitalia: procuravo clienti". Denaro poi investito in immobili e finanziarie” 53 . Celebre e magnificato anche per la sua prodigalità, Silvio Berlusconi è infatti solito dispensare “donazioni” a parenti, “amici” e servitori vari (principesche elargizioni prosaicamente escluse dalla tassazione Irpef); tra i fortunati beneficiari - come risulta dall'Anagrafe tributaria - non solo la sua mamma, le sue mogli, i suoi figli e suo fratello, non solo i vari Dell'Utri, Confalonieri, Letta, Sciascia e compagnia, ma anche persone ignote alle cronache: “Un bel pacco di milioni, tra il 1989 e il'92, sono stati donati dal Cavaliere a persone che certo gli hanno reso preziosi servigi: 293 milioni a Candia Camaggi, 300 a Mariella Bocciardo, 500 ad Antonia Rosa Costanzo, e 730 milioni a Emanuele Mussida” 54 .
53
“La Stampa”, 15 luglio 1994.
54
“L’Espresso”, 2 settembre 1994.
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE Calze, false fatture, truffe e elicotteri L’ 11 luglio 1989, la società di pulizie Milan Nova srl (costituita nel 1977, sede a Milano) viene posta in liquidazione volontaria. In data 19 ottobre 1990 la liquidazione viene revocata, e la riesumata società muta denominazione, oggetto sociale, amministratore e sede: diviene European Group Service srl, sede in località Valle Ambrosia di Rozzano (Milano), via Monviso 90, con amministratore unico dapprima tale Adele Messina, e dal 28 giugno 1991 tale Adriano Pradal (l’inizio ufficiale dell'attività è del 22 novembre successivo); l’oggetto sociale della ex impresa di pulizie è di quelli all'apparenza stravaganti: “La produzione di calze, di cinture in pelle ed altri materiali; l’attività nel settore della pubblicità, dell'incremento e della promozione delle vendite e delle produttività, dell'addestramento professionale e delle pubbliche relazioni; l'attività grafica applicata allo studio di confezioni, imballaggi e materiale pubblicitario in genere per i punti vendita. Può inoltre svolgere attività di organizzazione di campagne e di corsi istruttivi per l'incremento e la promozione delle vendite e della produttività, la produzione di opuscoli sulle tecniche di vendita, di audiovisivi didattici e informativi; l'acquisto e la gestione in proprio dei necessari mezzi di comunicazione; l'organizzazione di viaggi, convegni, riunioni e congressi anche a scopo di incentivazione didattica ... ”. Adriano Pradal, il nuovo amministratore della neonata European ex Milan Nova, è titolare di un piccolo laboratorio di calze ("Prema"), a conduzione familiare e con due operai, situato nel medesimo edificio di via Monviso 90, ma con ingresso nella parallela via Monte Rosa 115. L'attività della "Prema" viene dunque inglobata nella European Group Service, della quale - oltre che amministratore-prestanome - il Pradal risulta essere intestatario del 10 per cento delle quote sociali, mentre le restanti quote sono intestate per il 45 per cento a tale Piero Accardi (nativo di Marsala), e per il restante 45 per cento a Adele Messina (nativa di Marsala). Accardi e Messina sono i prestanome dei due effettivi gestori della European Group Service: Guglielmo Parrinello (detto “Uccio”), e Guglielmo Tobia 55 (pure lui detto “Uccio”), cugini per via materna, entrambi nativi di Marsala, entrambi pluriprotestati per assegni a vuoto e cambiali non onorate (la prestanome Adele Messina è nipote del Parrinello). Il bizzarro scopo sociale della magniloquente European Group Service produzione di calze e cinture, e le più disparate attività nel settore della pubblicità risulta comprensibile alla luce di due fatti: la neo-costituita società diviene subito fornitrice della Standa (la catena di grandi magazzini della Fininvest ha la sua direzione generale a circa 300 metri dalla sede della European Group Service), dalla quale riceve commesse di calze e cinture; Guglielmo Parrinello è da tempo e a vario titolo legato allo storico prestanome di Berlusconi, Romano Comincioli, il quale Comincioli è un dirigente di Publitalia'80, la concessionaria di pubblicità Fininvest presso la cui sede, a Milano 2, il Parrinello è infatti di casa e dove prende parte a 55
Il Tobia, accanito giocatore d'azzardo, è titolare della società La Cintura srl, a Opera (produzione di cinture, con due operai, e una lunga sequela di protesti cambiari, alcuni dei quali a firma del Parrinello); la European Group Service ingio ba dunque anche l'attività della Cintura srl e i suoi due operai, e ne acquisisce i macchinari (che infatti vengono traslocati da Opera a Valle Ambrosia di Rozzano); nel giugno 1993, La Cintura srl verrà dichiarata fallita da Tribunale.
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE frequenti e non meglio precisate “riunioni” 56 . Il rapporto European-Fininvest è così congegnato: la Standa sottoscrive “impegni d'ordine” (quantitativamente molto superiori a quello che sarà poi l'ordine effettivo) di calze e cinture; la European, nella persona del Parrinello, ottiene subito dalla Mediolanum (Fininvest), con operazione di factoring, l’anticipo della somma equivalente all'impegno d’ordine, al tasso del 17 per cento57 - l'operazione è “garantita” da fideiussioni personali, per l'importo di svariate centinaia di milioni, dei pluriprotestati e “nullatenenti” Parrinello58 e Pradal, con la regia di Comincioli. Gli ordini della Standa rappresentano la totalità del fatturato della European, e attraverso la Mediolanum ne finanziano l'attività - è cioè la Fininvest che determina l'attività della European, commissionando calze e cinture (Standa) e anticipandone il fatturato (Mediolanum); ma a partire dal settembre del 1992, quando i quattro operai della ex “Prema” e “La Cintura” sono costretti a dimettersi perché da mesi senza stipendio, gli impegni d'ordine della Standa servono anche quale “garanzia” per ottenere stock di calze e cinture da fornitori esterni e “contoterzisti”, forniture che la European consegna poi al grande magazzino Fininvest 59 . Il Parrinello alterna la sua “clandestina” presenza negli uffici della European Group Service (dove è sempre presente il prestanome-amministratore Adriano Pradal) con incontri e riunioni nella sede di Publitalia ‘80, a Milano 2. Del resto, il suo legame con Comincioli non è solo di tipo affaristico: d'estate, il Parrinello, con moglie e figli, viene ospitato dallo storico prestanome berlusconiano in terra di Sardegna, a poca distanza da Cala Ginepro, unitamente alla famiglia Messina. La European Group Service opera con un conto corrente acceso presso la sola agenzia milanese di cui dispone la Banca Sella (piccolo istituto di credito con sede a Biella). Un funzionario dell'agenzia è in stretti rapporti col Parrinello, e la banca riserva infatti alla European un trattamento di favore. Anche l'altro socio occulto della European, Guglielmo Tobia - grazie al Parrinello – è in rapporti con la compiacente agenzia milanese della Banca Sella. Fatto è che nel giro di poco tempo, l'esposizione della European con la banca biellese diviene così cospicua da risultare insostenibile, e per porvi rimedio i pluriprotestati e “nullatenenti” Parrinello e Tobia (unitamente alle rispettive consorti, anch'esse pluriprotestate) sottoscrivono pile di cambiali. 56
Il Parrinello è assiduo frequentatore anche dello Stadio Meazza in occasione degli incontri calcistici dei Milan, per i quali dispone di biglietti-omaggio in tribuna; è inoltre in stretti rapporti col dirigente Fininvest Vincenzo Calò (il vice di Comincioli nella fininvestiana Promo Service srl). 57
In pratica, la Mediolanum (gruppo Fininvest) guadagna interessi attivi su presunte forniture e futuri pagamenti Standa (gruppo Fininvest), a carico della truffaldina European Group Service, società patrocinata dal dirigente di Publitalia '80 (gruppo Fininvest) Comincioli. 58
Nel solo luglio 1991, il Parrinello risulta avere emesso 14 assegni scoperti per l'importo complessivo di circa 200 milioni. 59
Superfluo precisare che la European risulta poi costantemente inadempiente rispetto al pagamento dei suoi fornitori, arrivando a rimediare alcune istanze di fallimento.
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE Nella primavera del 1992, la European accende un conto corrente presso l'agenzia milanese di via Previati del Banco di Desio e della Brianza. Anche qui, un compiacente funzionario riserva al Parrinello un trattamento fuori dalla legge, pagando assegni scoperti o trattenendoli in attesa della relativa copertura. Nel successivo autunno, la direzione del Banco dispone la chiusura del conto intestato alla European, e il funzionario-complice viene licenziato - il Parrinello gli prometterà, quale “risarcimento”, un nuovo posto di lavoro alla Fininvest... Ma intorno alla European gravitano anche usurai e malavitosi di origine siciliana. Frequenti e minacciose sono le telefonate di tale “Salvatore” (intestatario di cambiali European “protestate”) e di tale “Donato” i quali lasciano ultimativi messaggi di “sollecito” destinati al Parrinello. Finché, ai primi di ottobre 1993, gli uffici della società vengono fatti oggetto di un notturno attentato, incendiario dall'evidente scopo intimidatorio; a quel punto, il Parrinello evita la permanenza nella propria abitazione milanese di pi a De Angeli, e si rifugia per un certo periodo nell'abitazione di un faccendiere tedesco, tale Hermann Gartz, a Opera (Milano). La truffaldina ragion d'essere della European Group Service srl, società nata all'ombra della Fininvest, si manifesta ancor prima del suo ufficiale inizio di attività (22 novembre 1991): nell'ottobre 1991, e il successivo lo novembre, su personale disposizione telefonica di Romano Comincioli, la European emette due prime false fatture, rispettivamente per Lit. 220 milioni e per Lit. 160 milioni, a carico della Paka Publicitas (società con la quale la European non intrattiene alcun rapporto commerciale). La Paka Publicitas srl è una società dell'orbita Fininvest: come per diverse altre società berlusconiane, infatti, l'atto costitutivo, datato 16 aprile 1987, è del notaio Franco Zito, e la sua sede sociale è nella milanese via Crispi 5/A, recapito presso il quale sono ubicate altre società della Fininvest. Soci ne sono la "casalinga" Silvana Mondin, e il "militare" Vittorio Comincioli (figlio di Romano Comincioli), entrambi residenti a Milano 2, i quali sono gli intestatari dell'intero capitale della Paka, il cui scopo sociale abbraccia un vasto spettro di attività “terziarie” (dalle pubbliche relazioni al marketing, dal merchandising alle ricerche di mercato, dall'intermediazione mobiliare e immobiliare a quella finanziaria ... ). Inizialmente il presidente del consiglio di amministrazione della società comincioliana è il ragionier Angelo Brambilla Pisoni (la cui residenza risulta essere anch’essa in via Crispi 5/A); ma in data 6 novembre 1990, il consiglio si dimette, e gli subentra, quale amministratore unico, tale Giancamillo Cucca (nativo di Frignano, provincia di Caserta, e residente a Segrate, nei pressi di Milano 2) - un probabile prestanome sul genere di quelli che hanno caratterizzato, negli anni, tutto il divenire del gruppo Fininvest. La Paka Publicitas opera con un conto corrente acceso presso la Banca Rasini, il piccolo istituto di credito socio di Berlusconi nei primi anni Sessanta e inquisito dalla magistratura, nei primi anni Ottanta, perché coinvolto nel giro milanese della
I MANISCALCHI DEL CAVALIERE “mafia dei colletti bianchi” 60 . La vicenda della European assume nuovi contorni con la comparsa di un faccendiere di origine tedesca, Hermann Bernhard Gartz, il quale, a partire dai primi mesi del 1993, comincia a frequentarne assiduamente la sede di Valle Ambrosia di Rozzano; ma il tedesco comincia a frequentare anche l'ufficio di Comincioli, a Milano 2, presso la sede di Publitalia ‘80. Non è dato sapere molto sul conto del Gartz: un oscuro passato in Germania (dove è nato, a Alfeld, nel 1943), la dedizione all'affarismo e ai più oscuri traffici, e la propensione agli assegni a vuoto. Fatto è che il tedesco, per ottenere il permesso di soggiorno, risulta inizialmente domiciliato a Pieve Emanuele, presso l'abitazione di Adriano Pradal; quindi assume la residenza nel comune milanese di Opera (dove ha “acquistato”, a colpi di assegni a Vuoto 61 , l’appartamento che ospiterà anche il Parrinello minacciato), accende un conto corrente presso l’agenzia milanese della Banca Sella, e tra un incontro e l'altro presso la sede di Publitalia 180 allaccia una relazione sentimentale con una segretaria di Comincioli 62 . Nel frattempo, l’amministratore-prestanome della European, Adriano Pradal, viene condotto a Francoforte, dove vengono costituite due nuove società - la European Group Service Gmbh, e la Telekommunication Gmbh - delle quali il Pradal risulta essere l'amministratore-prestanome, mentre il Gartz dispone dei poteri di firma. Nell’autunno del 1993, il ruolo dei losco faccendiere tedesco diviene più esplicito. Dopo vari fax intercorsi fra la European e la fabbrica polacca Pzl Swidnik inerenti una partita di elicotteri, nel gennaio 1994, presso la sede di Publitalia ‘80, alla presenza di Comincioli, del Gartz, del Parrinello, di alcuni emissari polacchi e tedeschi, e di un militare chiamato dagli astanti “Comandante Pozzi”, viene stipulato un singolare “contratto” (poi sottoposto alla firma di Marcello Dell’Utri) cosi concepito: il dottor Eiferdinger, in nome e per conto della Falcon Elicopter (Landshut Monaco-Berlino), cede il mandato di vendita per l’Italia alla European Group Service srl per svariate centinaia di milioni 63 ; Publitalia'80 acquista no 20 elicotteri al prezzo complessivo di Lit. 60 miliardi, somma intesa sottoforma di non meglio precisati “spazi pubblicitari” sulle reti televisive Fininvest. Nell’ambito di tale operazione, Publitalia ‘80 riserva alla ditta di calze e cinture European Group Service srl, quale compenso per la “intermediazione” (!), una somma pagata “in natura”, cioè attraverso la cessione di spazi pubblicitari che la European realizzerà cedendoli a propria volta a vari committenti 64 . 60
Cfr. G. Ruggeri, M. Guarino, op. cit., pagg. 49-51.
61
Nel solo agosto 1993, il Gartz ha emesso assegni a vuoto per oltre 100 milioni di lire.
62
Alla malcapitata, il Gartz riserverà una truffa di 15 milioni di lire, mediante il cambio di assegni in marchi a firma Gartz, tratti su una banca tedesca, che risulteranno scoperti. 63
A quanto è dato sapere la somma viene regolarmente versata, ma certo non dalla indebitatissima e pluriprotestata European, che non dispone neppure dei denaro necessario per corrispondere gli stipendi arretrati e l'indennità di fine rapporto ai quattro operai dell'ex "Prerna" e "La Cintura" (i quali infatti ricorreranno al Tribunale). 64
Pare che le somme equivalenti a tali spazi pubblicitari, una volta realizzate, siano intese di pertinenza della
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Intanto, l’attivismo del Gartz diviene frenetico: avvalendosi degli uffici e del recapito della European, l'oscuro faccendiere allaccia rapporti con i più disparati istituti bancari - in Kuwait, Belgio, Lussemburgo, e naturalmente in Svizzera (si reca più volte, accompagnato dal Parrinello, in una banca di Ginevra); attraverso un amico londinese, dispone poi l'apertura di due società e di due conti bancari in Irlanda, dove i polacchi della Pzl Swidnik dovrebbero accreditare la provvigione spettante alla European per la vendita degli elicotteri alla Fininvest. E mentre dalla Germania gli pervengono solleciti di pagamento, minacce, e preannunci di nuovi guai giudiziari per reati valutari, Gartz tratta partite di dinari libici fatti transitare in una banca del Kuwait, e partite di oro a Malta; dispone inoltre la vendita di sue azioni, collocate presso una banca belga, a un siciliano che compare al suo fianco e col quale intrattiene “rapporti d’affari”... La European Group Service, frattanto, è arrivata ad assommare protesti cambiari per un importo complessivo vicino al miliardo di lire. Nell’estate del 1994, la strana società viene dichiarata fallita dal Tribunale di Milano.
Mediolanum, la quale è creditrice della European per svariate centinaia di milioni in conseguenza delle anticipazioni accordate a fronte di “Impegni d'ordine” della Standa di molto superiori a quelli che erano poi gli ordini effettivi.