Calcio 2000 n.210

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Mensile | GIUGNO 2015 | N. 210 | Italia | Euro 3,90

Calcio 2OOO il mensile diretto da FABRIZIO PONCIROLI

Esclusiva Sergio PELLISSIER IL SIMBOLO DEL CHIEVO

Esclusiva Claudio VIGORELLI UN PROCURATORE DOC

I Giganti del Calcio Pino WILSON IL LIBERO DELLO SCUDETTO

ESCLUSIVA

Franco VÁZQUEZ

PARLA IL MUDO

NAZIONALE - AZZURRI PER UNA SOLA VOLTA IN CARRIERA… SPECIALE PARARIGORI - CHI LI SA PARARE E CHI LI SA SEGNARE EDIZIONE SPECIALE CON L’ALBUM COPA AMERICA

foto Blandino

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Mensile | GIUGNO 2015 | N. 210 | Italia | Euro 3,90

N. 210 - GIUGNO 2015

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i risiamo, nuovamente a discutere su argomenti che, mio avviso, hannoUFFICIALE poca sostanza e solo LA a COLLEZIONE DI FIGURINE tanta letteratura. Capitolo oriundi, ancora una volta… Lo sapete, io sono un patriota vero, di COPA AMERICA CHILE 2015 quelli che si augurano di vedere sempre più italiani nelle rose delle nostre squadre ma, sul versante oriundi, serve una precisazione e una forte distinzione. LA COLLEZIONE DI FIGURINE UFFICIALE Il rapporto tra l’Italia e CALCISTICO gli oriundi DELL’ANNO è una storia con un più di SULL’EVENTO 100 anni di vita. Mosso, Porta, Lojacono, fino ai più noti Sivori o Camoranesi, la lista è infinita. Giusto o sbagliato ricorrere a NE N T IE100% Made in Italy? La risposta sta in un quegiocatori nonCOal LI C IA E P S sito: questi giocatori hanno dei seri motivi per sentirsi italiani a tutti gli effetti? Prendiamo Vasquez, la nostra cover… È argentino? Certo ma anche italiano, visto che la mamma è padovana. Dargli la possibilità di scegliere quale Paese, calcisticamente parlando, voglia difendere è corretto, così come è da rispettare la sua scelta (per fortuna azzurra). Ovvio, qualcuno se ne INIZIAoriundi LA COLLEZIONE approfitta, fa parte del gioco. E non si dica che troppi liVIRTUALE! mitano le possibilità di emergere degli “altri”… Bestialità, come dice Mazzone, “… se uno è bravo, alla fine gioca sempre”. E poi, signori, la nostra storia ci ricorda che siamo viaggiatori, conquiCon il codice sul retro figurine raddoppia statori, gente che ha sempre preparato le valigie per delle scoprire il tuo divertimento. il mondo. Sarebbe stupido diventare, di colpo, intolleranti verso chi ha ancora sangue italiano nelle vene. Sfogo a parte, ben venuti a questo numero dai tratti tipicamente sudamericani. Album ufficiale Copa America, griffato Panini, in allegato e uno speciale dedicato ad un torneo che, personalmente, mi affascina da sempre. Sono davvero curioso di vedere se, finalmente, Messi riuscirà a zittire tutti coloro che lo reputano decisivo solo in maglia blaugrana. Vi esorto a non perdervi la bella intervista a Pino Wilson, un simbolo che merita tutta la nostra attenzione. Prima dei saluti, digito ancora sui tasti per rispondere ai tanti che mi hanno chiesto (o attaccato) per la questione “PallottaUltras”. Ribadisco il mio pensiero: il calcio è cambiato in campo e deve cambiare anche fuori dal campo. Per un certo tipo di tifo, basato più sull’insultare che sul sostenere, non c’è più spazio o, meglio, non ci dovrebbe essere più spazio. Pallotta sarà pure americano e abituato alla cultura sportiva statunitense, ma ha centrato il problema: fuori dagli stadi coloro che non possono più far parte di questo calcio…

FRANCO VÁZQUEZ

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L'EDITORIALE di Fabrizio PONCIROLI

“Dobbiamo imparare a vivere insieme come fratelli o periremo insieme come stolti”

www.calcio2000.it Calcio 2OOO

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sommario n.210

Anno 19 n. 6 GIUGNO 2015

issn 1126-1056

6 La bocca del leone

di Fabrizio Ponciroli

Registrazione al Tribunale di Milano n.362 del 21/06/1997 - Iscritto al Registro Operatori di Comunicazione al n. 18246

8 INTERVISTA ESCLUSIVA

Franco Vázquez di Alessio Alaimo

20 INTERVISTA ESCLUSIVA

Sergio Pellissier

8

di Sergio Stanco

30 SPECIALE ITALIA

AZZURRI PER 1 GIORNO

PROFESSIONE PORTIERE di Francesco Scabar

20

Marco Conterio, Luca Bargellini, Cristina Guerri, Gaetano Mocciaro, Chiara Biondini, Simone Bernabei, Lorenzo Marucci, Pietro Lazzerini, Tommaso Maschio, Lorenzo Di Benedetto.

di Fabrizio Ponciroli di Tommaso Maschio

52 LEGA PRO - NOVARA

di Alessandro Cosattini

54 Serie D - MONOPOLI

30

di Simone Toninato

56 I Re del Mercato

CLAUDIO VIGORELLI di Marco Conterio

66 I Giganti del Calcio

PINO WILSON

di Lorenzo Di Benedetto

36

76 Storia Champions

League 1976/77

Statistiche

42

di Stefano Borgi

CAMPIONATI STRANIERI 86 SPAGNA di Paolo Bardelli 88 INGHILTERRA di Luca Manes 90 GERMANIA di Flavio Sirna 92 FRANCIA di Renato Maisani

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Distribuzione

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98 SCOVATE da CARLETTO RTL IL PROSSIMO NUMERO sarà in edicola il 15 GIUGNo 2015

e-mail: media@calcio2000.it

Stampa

di Thomas Saccani

NUMERO CHIUSO IL 28 aPRILE 2015

Contatti per la pubblicità: Tiber S.p.A. Via della Volta, 179 25124 Brescia Tel. +39 0303543439 Fax. +39 030349805

94 IL TIFO RACCONTA

Fotografie

Image Photo Agency (imagephotoagency.it), Federico De Luca, Federico Gaetano, Vincenzo Blandino, Agenzia Aldo Liverani, Porta/Photoviews.

Redazione Calcio2000

di Luca Gandini

ALESSANDRO SCANZIANI

Sergio Stanco, Alessio Alaimo, Francesco Scabar, Alessandro Cosattini, Simone Toninato, Gabriele Porri, Luca Gandini, Stefano Borgi, Paolo Bardelli,Luca Manes, Flavio Sirna, Renato Maisani, Carletto RTL, Thomas Saccani.

TC&C S.r.l.

RUGGITO ITALIA

82 DOVE SONO FINITI?

Hanno collaborato

Realizzazione Grafica

di Gabriele Porri

80 ACCADDE A...

Diretto da

Fabrizio Ponciroli

Redazione

COPA AMERICA

50 SERIE B - VIRTUS ENTELLA

TC&C srl Strada Setteponti Levante 114 52028 Terranuova Bracciolini (AR) Tel +39 055 9172741 Fax +39 055 9170872 Michele Criscitiello

42 SPECIALE

EDITORE

DIRETTORE RESPONSABILE

di Fabrizio Ponciroli

36 SPECIALE BOMBER

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Calcio2000 è parte del Network


PER SCRIVERCI: media@calcio2000.it

LA BOCCA DEL LEONE di Fabrizio Ponciroli - foto Image Sport e Federico De Luca KLOPP A NAPOLI? Direttore, ho appena saputo che Klopp lascia il Borussia. Lei come lo vedrebbe al Napoli? Secondo me Benitez ha fatto il suo tempo e se ne dovrebbe andare visto che non ha più saputo fare grande la squadra e ha sbagliato gli uomini su cui puntare. Klopp è bravo e sa far giocare la sua squadra bene. Io penso che sarebbe il tecnico giusto per vincere lo scudetto. Complimenti per il giornale. Maurizio, mail firmata Allora, andiamoci con calma. Klopp è un allenatore di fascia top e, onestamente, non credo che l’Italia se lo possa permettere. Parliamo di un tecnico che, lo scorso anno, ha rifiutato 12 milioni di euro lordi dal City, non so se mi spiego… Credo che andrà in Premier League o, se Guardiola dovesse lasciare, non lo vedrei male al Bayern Monaco. E, con tutto il cuore, non condivido la disamina su Benitez. Coppa Italia, Supercoppa italiana, non è che proprio non abbia fatto nulla, o sbaglio? A mio avviso resta uno dei 10 migliori allenatori in circolazione e mi spiacerebbe non vederlo più sulla panchina del Napoli…

JURGEN KLOPP

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FIORENTINA, NON CI SIAMO Egregio direttore, sono un suo lettore affezionato da sempre. La seguo sin dagli inizi e non ho mai scritto. Ci provo questa volta perché della mia Fiorentina ne parla sempre troppo poco. Bella l’ultima cover, sperando che il Gila inizi anche a giocare e segnare, se no che l’abbiamo comprato a fare? Fiorentina, non ci siamo. Mi pare che Montella, tutte le volte, arrivi vicino all’obiettivo e poi improvvisamente si smonta, si affloscia. Non so come mai ma mi pare un limite non da poco per una società che vorrebbe cominciare a vincere. Va bene giocare in maniera gagliarda ma se poi non si vince mai nulla, allora non va bene. Forse è sbagliato l’allenatore? O sono i giocatori non all’altezza di certi obiettivi? Mi aspetto sempre più Fiorentina nella rivista, mi raccomando Vittorio, mail firmata

è ancora in gioco. Non possono vincere tutti, tutto qua. Montella è bravissimo e i giocatori sono di qualità. Direi che, come infortuni, non è che siete stati fortunatissimi negli ultimi anni, no?

Piacere Vittorio. È semplice rispondere ai tuoi dubbi: in pochi vincono, gli altri partecipano. Con una Juventus cannibale, lo scudetto è andato in tempi brevi. In Coppa Italia, ecco avete trovato proprio il cannibale e, in Europa League, nel momento in cui scrivo, tutto

Che bell’entusiasmo, mi fa piacere che ci sia tanta verve in circolazione. Allora, i media sono cambiati moltissimo rispetto ai miei tempi. Io ho cominciato lavorando, gratis, per giornali locali, facendomi sempre trovare disponibile e non chiedendo mai nulla. Ho fatto

VINCENZO MONTELLA

VOGLIO FARE IL GIORNALISTA Direttore, mi scusi se la disturbo ma ho una passione che vorrei trasformare in un lavoro. Mi piace tantissimo il calcio, seguo tutte le partite e mi piace anche commentarlo. Ho fatto un mio blog ma mi piacerebbe diventare un vero giornalista, di quelli che vanno allo stadio e scrivono i pezzi sul campo, non so se sono stato chiaro. Avrebbe qualche consiglio da darmi? Mi piacerebbe molto veder realizzarsi il mio sogno, ci tengo davvero tanto. Ho 19 anni e ho tanta voglia di fare ma so che non sarà facile. Grazie dell’eventuale risposta Filippo, mail firmata

davvero di tutto, dalla cronaca nera al gossip, prima di scrivere di sport, una delle mie passioni. Comincerei con il propormi a grandi portali, magari non tanto come “esperto di calcio” ma focalizzandomi su qualche sport poco seguito e, di conseguenza, meno coperto. Una volta messo dentro un piede, umiltà, tanta umiltà e ancora umiltà. Ovvio, poi ci sono scuole di giornalismo e altro ma, per assaporare il campo, io farei come ho spiegato… In bocca al lupo e non abbatterti mai. FLIPPER SUL CALCIO Direttore Ponciroli, ho visto su Facebook che è un appassionato di flipper. Io giocavo ad un flipper di calcio, mi pare sui Mondiali. Magari lo conosce. Dice che si trova ancora in giro, io nei bar non li vedo ormai più. Qualche volta al mare ma sempre meno. Magari lei ne sa di più… Dario, mail firmata Beh, appassionato di flipper mi pare eccessivo, diciamo che, come la maggior parte delle situazioni vintage (anni ’80 e ’90) mi intrigano molto. Ho chiesto in giro, all’amico Andrea, e mi è stato detto che il flipper a cui ti

riferisci tu è World Cup Soccer, della Bally, realizzato nel 1994 in occasione dei Mondiali di Usa 1994. Si trovano in giro… Questo vale attorno ai 1500 euro, se vuoi anche una quotazione… BELLO IL SERVIZIO SU FRONTIERE ANNI 80 Direttore, finalmente mi ha colpito ed è tornato aggressivo come in passato. Bello il servizio sugli Stranieri del 1980, che flash rivedere certe facce e figurine. Spero che sia uno di tanti e che, prima o poi, torneranno anche le statistiche, così da riavere un giornale completo in tutto e per tutto. Mi faccia gioire ancora, considerato che la mia Inter mi fa penare e non poco… Giancarlo, mail firmata Grazie Giancarlo, sai che, alla fine, cerco sempre di portare a casa gli obiettivi prefissati, come credo farà la tua Inter anche… Guarda ti posso preannunciare che sulle statistiche qualcosa faremo. Intanto, il mese prossimo, ci sarà un allegato spettacolare, con il Film del Campionato, ovviamente a tinte bianconere. E, presto, parlerà Prohaska, proprio uno di quei leggen-

dari uomini che sbarcarono nel Bel Paese nel lontano 1980… INZAGHI NON è UN TECNICO Direttore, che ne pensa di Klopp? Io lo vedrei benissimo al Milan dove non capisco perché ci sia ancora Inzaghi. Ma l’hanno capito o no che non ha il carisma per tenere a bada il Milan? Insistono a puntare su questi ex giocatori che hanno fatto la storia del Milan ma è un errore. Bisogna prendere qualcuno fuori dall’ambiente per riscostruire lo stile Milan. Complimenti per la rivista, ma mi aspetto le statistiche. Marco, mail firmata Klopp andrebbe bene ovunque. Il suo calcio è divertente e noi abbiamo bisogno di tecnici che promuovono il bel gioco ma, comunque, non credo che sceglierà l’Italia o, nello specifico, il Milan. Capitolo Inzaghi. Non penso che la colpa sia solo di Pippo. La rosa non è all’altezza di Milan, manca uno zoccolo duro che capisca il perché di essere parte del Diavolo. Fino a quando non ci saranno giocatori di un certo peso, soprattutto mentale, sarà dura tornare grandi…

FILIPPO INZAGHI

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COPERTINA Franco Vázquez

COPERTINA / FRANCO Vázquez CAMPIONE ROSANERO Vázquez sta bruciando le tappe a Palermo

L’ARTE DEL MUDO

Di poche parole ma con talento da vendere. Alla scoperta di Vázquez, l’uomo nuovo del calcio italiano…

di Alessio ALAIMO foto Vincenzo BLANDINO 8

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COPERTINA / FRANCO Vázquez

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ntidivo. Franco Vázquez non ama le copertine dei giornali. Mudo fuori, loquace in campo. Il pallone il compagno di viaggio che lo accompagna da una vita. L’Italia nel destino, fin dai primi calci al pallone, per gioco, con i suoi fratelli. Perché Franco ha origini italiane, la mamma Marina, è nata a Padova. E così senza riflettere più di tanto, appena ricevuta la convocazione da Antonio Conte, ha accettato di vestire la maglia della Nazionale Italiana. Basta poco per dire sì, anche se sei Mudo. Prima di conquistare l’azzurro, Vázquez ha attraversato un periodo difficile. La sua carriera fin qui è una favola a lieto fine. Nella stagione 2011/2012 lo compra il Palermo, arriva in Sicilia a gennaio 2012 su segnalazione dell’ex direttore sportivo Sean Sogliano, che intanto si era già dimesso. I primi mesi sono di ambientamento, in panchina c’era Bortolo Mutti, con lui il Palermo quell’anno ottenne il minimo indispensabile: la salvezza. E addio valorizzazione di giovani di bel-

COPERTINA / FRANCO Vázquez

“” No, non mi sento un idolo. Penso a giocare e fare bene, ho sempre fatto così le speranze. Vázquez intanto comincia ad ambientarsi, anche se parla poco. Tra sudamericani però ci s’intende, il Mudo inizia a prendere confidenza con l’ambiente e i giocatori con cui lega di più sono quelli che parlano la sua lingua. Da Ezequiel Muñoz a Nicolas Bertòlo, fino Ignacio Lores Varela e Abel Hernández, passando per Aguirregaray. La stagione 2012/2013 per Vázquez dovrebbe essere quella della consacrazione definitiva. E invece il Palermo preferisce fare altre scelte. Franco vola in Spagna, al Rayo Vallecano in prestito. Merito di Fernando Cosentino, che di lì a poco sarebbe diventato il suo procuratore. Al Rayo Vázquez colleziona diciotto presenze condite da tre gol. Un buon bottino, considerato che è

stato l’acquisto last minute e gli serviva del tempo anche per integrarsi. Poi il ritorno a Palermo. Da protagonista magari per riportare la squadra in Serie B dopo la retrocessione? Macché. In Serie B bisogna fare delle scelte, ci sono le liste e non si può andare oltre. L’allenatore è Gennaro Gattuso, fosse per lui Vázquez farebbe parte del gruppo. Insieme a Lores, Stevanovic, Hernandez e Dybala nelle idee del tecnico, sarebbe potuto diventare un punto di forza. E invece no. Zamparini vuole che Struna non perda il posto in lista, così Vázquez deve stare sei mesi fuori. Allenamenti costanti, senza mollare mai un attimo. La sua popolarità era arrivata al minuto. “Non mi parlava neanche mio padre”, confidò in una recente intervista. Era una battuta, perché il papà Oscar è molto legato al figlio. Anche lui, come Franco, timido e introverso. “Piacere, Vázquez”, si presenta il papà in spiaggia a Mondello mentre accompagna il figlio per la chiacchierata con noi. Ma dall’essere praticamente isolato e circondato soltanto dalle persone che gli vogliono bene davvero, a diventare un idolo incontrastato di Palermo il passo

GRAZIE A IACHINI Fondamentale la fiducia del tecnico del Palermo

TALENTO PURISSIMO

A suon di grandi prestazioni, è diventato uomo mercato

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COPERTINA / FRANCO Vázquez

COPERTINA / FRANCO Vázquez

“”in una Giocare squadra che fa la Champions e gioca ad alti livelli credo sia il sogno di tutti è breve. Arriva gennaio 2013, intanto il Palermo da qualche mese ha esonerato Gattuso e sulla panchina rosanero c’è Iachini. Le liste, con la riapertura del mercato, possono essere rivisitate. Vázquez però dopo sei mesi in ombra vuole andare via, in Argentina ci sono tante squadre pronte a riportarlo a casa. Iachini intanto chiede a Perinetti Nicola Pozzi o Samuele Longo, proprio in sostituzione del Mudo. L’ex direttore rosanero suggerisce di recuperare

RAGAZZO TRANQUILLO Poche parole ma una determinazione assoluta in campo

Franco che, convinto dal suo procuratore Fernando Cosentino rimane in Sicilia. E il resto è storia recente. Il Mudo non parla molto con la gente, ma lo fa bene con il pallone. E mentre palleggia con il suo compagno di viaggio, si confessa in esclusiva per Calcio2000. Timido, riservato e di poche parole. Come nasce il soprannome, Mudo? “Parlo poco. Il soprannome me lo diede un compagno al Belgrano, perché non

parlavo molto, proprio come adesso”. Un salto indietro: come inizia a giocare a calcio? “Giocavo a calcetto, con i miei fratelli. Poi sono andato in una squadra di Cordoba, il Barrio Parque. Da lì, dopo trequattro anni, il passaggio al Belgrano. E al Belgrano ho fatto prima le giovanili e poi la prima squadra. E dopo è arrivata la chiamata del Palermo”. Sempre da trequartista o seconda punta? “A volte ho fatto anche il regista. Ma ho sempre giocato nel ruolo di trequartista o di seconda punta”. Dal Barrio Parque al Belgrano. Dal Belgrano poi, la chiamata del Palermo. Cosa ha pensato quando ha saputo che avrebbe giocato in Italia? “Era un traguardo raggiunto, una meta che sognavo. Da sempre speravo di giocare in Europa, poi il campionato ita-

“” Convocazione?

FUTURO ROSEO In tanti sognano di avere Vázquez in squadra...

Ero felice, davvero. Se ti chiama una Nazionale come l’Italia non puoi dire di no liano è importante, a casa guardavamo sempre la Serie A sulla Rai”. Il suo idolo? “Mi piaceva molto Kakà, quando era al Milan guardavo sempre le sue giocate”. Chi è Franco Vázquez fuori dal campo? “Un ragazzo tranquillo. Sto con la mia famiglia e la fidanzata e quando sono in Argentina sto con gli amici”. Lei arrivò al Palermo in un anno particolare, con Bortolo Mutti in panchina. Con chi legò di più quell’anno? “Con i ragazzi sudamericani. Quello che mi ha aiutato più di tutti è stato Nicolas Bertolo, già lo conoscevo. Ma in generale ho legato con tutti i ragazzi sudamericani. Da Barreto ad Aguirregaray”. L’anno dopo in Sicilia arrivò Sannino. Lei non rientrava più nei piani. E non aveva un procuratore, se non Gustavo Mascardi che la portò in Italia… “Mascardi non era il mio agente, quando sono arrivato al Palermo non avevo un procuratore. Un giorno mi hanno detto che Sannino non mi voleva, così ho chiamato Fernando Cosentino e gli ho detto di trovarmi una squadra, in pochi giorni ha trovato il Rayo Vallecano e sono andato in Spagna. Per me è stato molto importante e ancora oggi è il mio procuratore”. Com’è la Liga Spagnola? “Un campionato diverso, i primi mesi sono stati difficili anche perché non avevo fatto il ritiro con la squadra. Poi da gennaio a giugno ho giocato e ho fatto bene”. Insomma, un’esperienza da ripetere in futuro.

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COPERTINA / FRANCO Vázquez ANCHE IN NAZIONALE Enorme la felicità per la chiamata del Ct Conte...

COPERTINA / FRANCO Vázquez

GRAZIE A SOGLIANO Di Alessio Alaimo

Il Mudo è approdato in Italia grazie all’intuizione dell’ex direttore sportivo rosanero… e Franco Vázquez è arrivato in Italia i meriti sono da ascrivere a Sean Sogliano, direttore sportivo del Palermo per pochi mesi nella stagione 2011/2012. Ma come nasce l’idea Vázquez? "Ilicic era sul mercato perché Zamparini aveva delle richieste così andai in Argentina a vedere un po’ di partite”, racconta l’ex ds rosanero a Calcio2000. “Vázquez giocava nel Belgrano, tra l'altro veniva da partite che gli avevano dato risonanza, fece il gol che sancì la retrocessione del River Plate. Si vedeva che aveva qualità, per il fisico che aveva era un giocatore atipico, un trequartista particolare. Volevamo prenderlo al Palermo in estate, invece il ragazzo aveva deciso di rimanere fino a gennaio al Belgrano, perché dopo la promozione in A voleva giocare con la sua squadra una parte di campionato. Lo avremmo voluto prendere subito, alla fine abbiamo accettato le sue condizioni”.

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È vero che non lo ha voluto al Verona l’anno del Palermo in Serie B? "Vero, ma non per una questione tecnica. Figuriamoci, Vázquez l’ho portato io in Italia. Ma avevamo già troppi giocatori in prestito, non volevamo tanti prestiti. E poi nel suo ruolo avevamo già altri giocatori”.

foto Federico De Luca

L’inizio con il Palermo però non è stato dei migliori. "Ci voleva del tempo per farlo ambientare, poi al Palermo c'erano anche altri giocatori. Iachini è stato bravo a credere in lui già in Serie B quando gli ha dato fiducia per far vedere che era un giocatore forte. E così Vázquez è stato apprezzato anche dal presidente”.

SEAN SOGLIANO

Ma è davvero pronto per una big? "Quando un giocatore passa da una squadra buona ad un top club c'è sempre un periodo di difficoltà. È normale. Ma Vázquez se sfruttato nel modo giusto e soprattutto se gli viene dato tempo, può fare bene anche in una squadra importante".

Il Mudo ha raggiunto anche la Nazionale. "Ha fatto una grande stagione. Come altri giocatori che hanno fatto bene, anche lui ha meritato la convocazione in azzurro”.

STAGIONE

SQUADRA

CAMPIONATO

GARE

RETI

2008-2009

Belgrano

Primera B Nacional

17

1

2009-2010

Belgrano

Primera B Nacional

31

4

2010-2011

Belgrano

Primera B Nacional

32

7

2011-gen. 2012

Belgrano

Primera Division

18

3

gen.-giu. 2012

Palermo

Serie A

14

0

2012-2013

Rayo Vallecano

Primera Division

19

3

2013-2014

Palermo

Serie B

19

4

2014-2015

Palermo

Serie A

29

7

foto Federico De Luca

LA CARRIERA DI Vázquez

* Dati aggiornati al 4/4/15

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COPERTINA / FRANCO Vázquez “Sì, perché no? La Liga mi piace, lì giocano i migliori”. Dopo il Rayo Vallecano il ritorno a Palermo dal prestito. I rosanero giocavano in Serie B e bisognava fare delle scelte: la società vuole Struna in lista e lei va fuori per sei mesi. Ripensandoci, com’è stare fuori per sei mesi? “Da settembre a gennaio 2012 è stato il periodo più difficile della mia carriera. Ho lavorato tanto per dimostrare che potevo dire la mia. Iachini mi ha dato l’opportunità di dimostrare il mio valore e adesso siamo qui, a parlare di me”. In quel periodo da fuori lista la sua popolarità era ai minimi. Come ha fatto a superare quel momento? “La mia famiglia è stata importante, quando non giochi i giornalisti non ti parlano. Non ti parla nessuno. Ti stanno accanto solo le persone che ti vogliono bene”. Sa che anche il direttore sportivo che la portò a Palermo, Sogliano, quando lei era fuori lista non volle prenderla

COPERTINA / FRANCO Vázquez

“” Alla play scelgo spesso, come squadra, l’Arsenal. Mi piace il suo modo di giocare al Verona? “Non lo sapevo. Ma sono scelte… e le scelte vanno rispettate”.

Dybala? “Al Palermo. Perché lui in Argentina giocava in un’altra squadra e non lo conoscevo. Abbiamo legato subito, abbiamo tante cose in comune”. Giocate molto alla play station: chi è più bravo? “Non giochiamo più come prima, ma qualche volta e soprattutto quando siamo in ritiro. A volte vince lui, altre volte io”. Che squadra sceglie alla Play? “L’Arsenal, mi piace il suo modo di giocare”.

Che effetto le fa essere diventato un idolo dopo tante difficoltà? “No, non mi sento un idolo. Penso a giocare e fare bene, ho sempre fatto così”.

Due più due, l’Arsenal è la squadra dei sogni. “Sì, mi piace come gioca. Proprio come il Barcellona, perché la squadra tiene molto la palla”.

Dove si vede in futuro? “Andare a giocare in una squadra che fa la Champions e gioca ad alti livelli credo sia il sogno di tutti”.

Cosa ha pensato quando ha ricevuto la chiamata della Nazionale Italiana? “Ero felice, davvero. Se ti chiama una Nazionale come l’Italia non puoi dire di no”.

Come nasce la sua amicizia con

Una curiosità, ma visto da vicino che SPIRITO INGLESE

Alla Play sceglie di giocare con l'Arsenal

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DICONO DI LUI… Di Alessio Alaimo

Baccin ci racconta alcuni segreti che riguardano Vázquez…

GIOCATORE UNICO

Per caratteristiche, Vázquez è considerato una rarità...

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ranco Vázquez parla poco, ormai è un fatto abbastanza noto. “Il suo soprannome la dice lunga, è un ragazzo abbastanza schivo e introverso”, racconta a Calcio2000 il responsabile dell’area tecnica del Palermo, Dario Baccin. Vázquez parla poco, ma all’interno del club ha un ruolo fondamentale: “Sì, molto importante - conferma Baccin - per quello che riesce a dare in campo e per il coinvolgimento che ha con i suoi compagni. È stata una delle sorprese più belle del Palermo di quest’anno”. E la storia del Mudo è di quelle da raccontare: nessuno credeva in lui, tanto da essere finito anche fuori dalla Prima squadra e costretto a giocare con i giovani rosanero. Un affronto non da poco, un “passo indietro” che avrebbe potuto smontarlo. Un chiaro segnale che prima di definire flop un calciatore, bisogna valutare attentamente. Provare e riprovare. “La sua storia è un po’ particolare, certo. Se pensiamo che un anno e mezzo fa era stato relegato a giocare con la Primavera qualche partita, magari era difficile credere che diventasse un pilastro del Palermo, ma Franco ha grandi qualità e sono davvero contento per la sua consacrazione”. Una consacrazione che è passata anche per un gesto poco gradito ai palermitani. Ottobre 2014, Iachini lo sostituisce, lui si arrabbia e getta la maglia per terra. “Di quel gesto – racconta il dirigente rosanero – Franco si pentì subito. L’episodio fu dimenticato velocemente, perché è un ragazzo corretto tant’è che venne a chiedere scusa in società. Questo fa capire chi è Franco Vázquez fuori dal campo”. Poi il rinnovo del contratto. “Ricordo che nel periodo natalizio stavamo affrontando l’argomento e Franco, anche in quel caso, parlava poco. Con il massimo rispetto verso la società, preferiva far parlare il campo”. Le giocate del Mudo riportano alla mente un altro giocatore del Palermo che fu: Lamberto Zauli. “Per caratteristiche fisiche e per il modo di stare in campo e di interpretare il ruolo è un giocatore abbastanza unico nel suo genere. Se andiamo a scomodare qualche trequartista però – prosegue Dario Baccin l’unico a cui paragonarlo per fisicità e qualità di gioco credo sia Zauli, che è stato un giocatore importante per il Palermo degli anni scorsi. Anche se Franco ha acquisito una qualità di gioco da top club”. Dunque, pronto per una big? “Per quello che fa vedere in campo sicuramente sì e anche per quello che è fuori: un ragazzo serio, pulito. Merita un’occasione importante. Ma mi auguro che il Palermo se lo possa godere ancora un po'”. Doti importanti quindi, in campo e anche fuori. Baccin conclude così: “Di Franco colpisce la sua umiltà e timidezza al cospetto di un giocatore che sa farsi trovare sempre pronto. È una faccia d’angelo, che però - non si risparmia mai…”. Calcio 2OOO

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COPERTINA / FRANCO Vázquez

Con la maglia del Palermo tipo è Zamparini? “Sta vicino alla squadra, ci vuole bene. Poi magari quando parla fa un po’ di casino, però tutto quello che dice è per il bene del Palermo”. Le faccio qualche nome, promette di non arrabbiarsi? “Ok…”. Bortolo Mutti. “Il mio primo allenatore in Italia…”. Tutto qui? Non le ha lasciato nulla? “No, perché ho giocato poco. E poi lui è

Intervista di Alessio Alaimo 18

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ALL'ESORDIO IN NAZIONALE andato via”. Se le dico Sannino cosa mi risponde? “Niente. Non mi ha fatto giocare, che posso dire? Non voglio parlare male di nessuno perché non mi piace fare polemica”. Gattuso. “Con lui mi sono trovato bene. Mi piaceva il suo modo di allenare, per questo mi è dispiaciuta l’esclusione dalla lista. Penso che mi volesse bene. Ma le scelte vanno rispettate”. Iachini. “Quando è arrivato volevo andare via, non giocavo da tanto tempo ed era normale che volessi cambiare aria. Poi mi hanno chiesto di rimanere, Iachini mi ha dato la fiducia che non mi aveva dato mai nessuno a Palermo”. E Conte? “Mi è piaciuto il suo modo di allenare, è simile a Iachini per il modo di giocare e di vivere il calcio”. Ma davvero non ha ricevuto critiche

LA GIOIA DOPO il GOL dagli amici argentini per aver accettato la convocazione con l’Italia? “No, erano tutti felici per me. Si sono congratulati con me per la chiamata, anche a Cordoba”. Così ha perso qualsiasi chance per la convocazione con l’Argentina. “Non ci penso. Sono contento di aver giocato con la maglia dell’Italia e spero di poterci giocare anche in futuro”. Iachini a parte, chi è l’allenatore che le ha dato di più? “Labruna, l’ex allenatore del Belgrano e quello attuale, Zielinski. Loro due e Iachini sono quelli che mi hanno dato di più”. Il giocatore con cui sogna di giocare? “Messi, tutti vorrebbero giocare con lui”. E la coppia Vázquez-Dybala, si può riproporre in futuro anche lontano da Palermo? “Sicuro! Certo, mi piacerebbe. Magari io e Paulo ci ritroveremo anche più avanti, chi lo sa?”.


INTERVISTA SERGIO PELLISSIER

INTERVISTA / SERGIO PELLISSIER CUORE GIALLOBLù

Pellissier è il simbolo del Chievo

CAPITANO MIO CAPITANO Intervista a Sergio Pellissier, “storico” bomber del Chievo (36 anni e non sentirli…)

di Sergio STANCO foto Agenzia Image Sport 20

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INTERVISTA / SERGIO PELLISSIER

N

on serve una fascia al braccio per essere un capitano. Un leader lo è nell'animo. E certo, poi, se stai nella stessa squadra per 13 anni, ti possono chiamare in tanti modi: vecchio, esperto, esempio, bandiera. Sergio Pellissier da Aosta, simbolo del “Chievo dei miracoli”, è tutto questo messo assieme: già, perché non c'è nulla di male ad ammettere che gli anni passano e non puoi più avere lo scatto di una volta, ma poi quando c'è da segnare il gol salvezza, è lui a bruciare i difensori e metterlo dentro. Non un gol banale, non un giorno banale, non un giocatore banale: la rete che vale la permanenza in A, l'ennesima per un Chievo che ogni anno gli “esperti” danno per spacciato, nel giorno del suo 36esimo compleanno, con i tifosi che a fine partita gli cantano “… tanti auguri”, 90° gol nella

INTERVISTA / SERGIO PELLISSIER

“” Momento top della carriera? Probabilmente la tripletta messa a segno contro la Juve resterà indimenticabile massima divisione, come miti del calibro di Van Basten e Zola. Basta per chiamarla una favola con il lieto fine? In realtà non è corretto, perché Pellissier ha tutta l'intenzione di scrivere altri nuovi, emozionanti capitoli di questa splendida storia a tinte gialloblù. Hai realizzato il gol salvezza di Cesena, raccontaci le emozioni: è stato quello più importante della tua car-

riera? “No, forse il più importante della carriera no, perché ho avuto la fortuna di farne molti, alcuni anche pesanti che sono stati utili per promozioni, salvezze e così via. Di certo, però, è stato un bel momento per me perché non stavo attraversando un periodo facile, stavo giocando poco e avevo bisogno di una gioia simile, perché volevo essere partecipe e sentirmi protagonista dell’impresa della squadra. Poi, il fatto che fosse il mio compleanno ha reso tutto ancora più emozionante, con i tifosi che alla fine della partita mi cantavano tanti auguri, non credo che dimenticherò facilmente le emozioni che ho provato quel giorno (sorride, ndr)”.

TANTE SODDISFAZIONI

Con il Chievo, Pellissier si sta divertendo ancora oggi

Qual è il gol al quale sei più legato? “Ce ne sono tanti, ma probabilmente la tripletta messa a segno contro la Juve resterà indimenticabile (5 aprile 2009, Juventus-Chievo 3-3 ndr). Segnare 3 gol ai bianconeri non è mai semplice, farlo

ATTACCANTE VERO Il gol, il pane quotidiano del bomber clivense

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INTERVISTA / SERGIO PELLISSIER

INTERVISTA / SERGIO PELLISSIER

DICONO DI LUI

SEMPRE GOL PESANTI Il centravanti gialloblù ha un feeling particolare con la rete

Di Sergio Stanco

Beretta: “Sergio è un grandissimo professionista, può diventare allenatore”

si isolano tra telefonini, computer e playstation. Una volta lo spogliatoio si viveva in maniera diversa, c'era più rispetto per i giocatori più esperti, ma questi erano anche più prodighi di consigli per le nuove leve. Oggi, sostanzialmente, c'è più egoismo da entrambe le parti”. Qual è la migliore qualità di Pellissier? “Attacca la profondità come pochi sanno fare, in questo è veramente un maestro. Ha un senso innato per il tempo di inserimento, gioca sempre sulla linea della difesa avversaria e spesso riesce a sorprenderla sbucando da dietro. Questa è sempre stata una sua caratteristica che prima ho apprezzato quando ero suo allenatore e spesso ho patito da avversario, perché era difficile trovare contromisure. Conoscendolo bene, mi raccomandavo con i miei difensori, cercavo di spiegar bene come opporsi, eppure lui trovava sempre il modo di sfuggire. Quando parte da dietro e azzecca i tempi è semplicemente immarcabile”.

in casa loro poi vale doppio. Anzi, triplo (ride, ndr)”. Quello che ti sarebbe piaciuto segnare e che invece non ti è riuscito? “Sempre contro la Juve, sempre a Torino, nel 2011 (9 maggio, Juventus-Chievo 2-2). Eravamo sotto di due gol, siamo riusciti a pareggiare, poi nel finale scarto anche Buffon e ho la porta libera. Sono però un po’ defilato e vedo Uribe piazzato meglio di me: in quel momento ho pensato solo a dargliela. Solo che Uribe ha tirato addosso a Marchisio. Mi sono immaginato tante volte quella scena e anche ripensandoci oggi, forse avrei potuto concludere io e, chissà, magari avrei segnato e avremmo vinto. Sarebbe stata un’impresa storica, ma purtroppo non è andata così…”. E’ stata l’ennesima stagione in cui in molti vi davano per spacciati, poi come al solito siete “risorti”: non vi siete stancati di essere considerati la “sorpresa” del campionato? “Ma no, dai, perché (ride, ndr)? E’ normale che una società “piccola” come la nostra non sia molto considerata, ma per noi questa società non è piccola, anzi, 24

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“” Ho intenzione di giocare ancora qualche anno e godermi questi momenti, poi quando capirò che non ne avrò più, vedremo

è stata un’evoluzione e una crescita continua. Diciamo che quando la società ha deciso di cambiare allenatore, ci siamo riuniti, abbiamo analizzato la situazione, ci siamo presi le responsabilità e siamo ripartiti. E’ una cosa che spesso succede in questi casi. Anche mister Maran è stato bravo a inquadrarci, a darci fiducia, ha puntato sul gioco, ha insistito perché ottenessimo risultati con la qualità. E ha avuto ragione”.

e lo ha dimostrato anche quest’anno. A volte qui hai la sensazione di dover lottare contro i mulini a vento, ma è così, lo sappiamo, ormai ci siamo abituati. Ci dicono che pareggiamo troppo, ma io rispondo che in Serie A non è mica facile vincere. Un pareggio è sempre un punto, serve per la classifica, ti dà fiducia. Una squadra come la nostra è destinata a soffrire, non può pensare di salvarti senza sudare”.

Tu ormai sei “l’esperto” del gruppo e a volte devi renderti utile più nello spogliatoio che in campo: come ti trovi in questo inedito ruolo? “Mi ci sto abituando. All’inizio non è stato semplice, ma poi quando capisci di non essere eterno, ti rendi conto di poter essere comunque importante. Quando sei giovane pensi solo a correre, quando l’età avanza ti rendi conto che c’è di più, che ti devi gestire anche fuori se poi vuoi rendere in campo. E che spesso un suggerimento, una pacca d'incoraggiamento è importante come un gol”.

Qual è stata la svolta della vostra stagione? “Non c’è stato un momento preciso, ma

E nel ruolo di consigliere come te la cavi? Ti capita di dare qualche “dritta” magari ai più giovani?

M

ario Beretta ha tenuto praticamente a battesimo un Sergio Pellissier giovanissimo in Serie C nel Varese (anno 1999-2000), quando il capitano del Chievo aveva solo 20 anni. E poi lo ha ritrovato un po' più grande proprio al Chievo nella stagione 2004-2005. A lui abbiamo chiesto di raccontarci l'attaccante Pellissier, ma anche il ragazzo Sergio. Allora mister, com'era il giovane Pellissier? “Mi viene da dire innanzitutto un bravo ragazzo, serio, educato e che aveva tanta voglia di imparare. Professionista già da giovane. Era uno di quelli che a fine allenamento si fermava a fare tecnica e tattica perché voleva migliorarsi. Si vedeva già allora che aveva grandi qualità, quelle che poi ha effettivamente dimostrato nel corso della sua ottima carriera”. Beh, ma lei si immaginava potesse essere un giocatore da 90 reti in Serie A come Van Basten e Zola? “Certo non avrei mai potuto dire quanti, forse non avrei immaginato 90, ma comunque non era difficile pronosticargli un radioso futuro perché aveva la tecnica ma soprattutto la testa per fare bene. Poi 60, 70, 90 gol, non è quello che fa la differenza o che certifica la qualità di un giocatore. O almeno non solo”. Sergio ha detto che non ci sono più i ragazzi di una volta, quelli che rispettavano e ascoltavano i “vecchi”: è così? E lui li ascoltava i consigli dei più “anziani”? “In parte ha ragione, ma è anche un segno dei tempi. Quando lui era un giovane, parliamo di 15 anni fa ormai, non c'erano tutte le distrazioni che hanno i ragazzi di oggi, che a volte

Come si immagina Pellissier da qui a qualche anno, magari allenatore? “Innanzitutto gli auguro di giocare ancora a lungo, anche perché – grazie alla sua professionalità e alla sua dedizione al lavoro – ha ancora un fisico eccezionale, che gli può consentire ancora qualche stagione da calciatore. Se lo guardi non gli daresti mai 36 anni. Poi, se vorrà, io credo che possa tranquillamente intraprendere la carriera di allenatore, perché ha grande esperienza, nella sua carriera ha avuto tanti ottimi allenatori da cui può aver appreso tanto e quindi ha un bagaglio tattico importante. Poi, conoscendolo bene, posso dire che ha anche un carattere che potrebbe agevolarlo molto nella professione”. Da mister a mister, dunque...

PELLISSIER in maglia del chievo Stagione

Serie

Presenze

Gol

2002-2003 2003-2004 2004-2005 2005-2006 2006-2007 2007-2008 2008-2009 2009-2010 2010-2011 2011-2012 2012-2013 2013-2014 2014-2015 Totale

A A A A A B A A A A A A A

30 29 34 36 38 38 39 36 35 36 25 23 21 420

5 3 7 13 9 22 14 12 11 8 6 1 4 116

*Dati aggiornati al 20/04/2015

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INTERVISTA / SERGIO PELLISSIER ANCHE LA NAZIONALE Grazie al Chievo, ha conquistato anche l'Azzurro

INTERVISTA / SERGIO PELLISSIER “Certamente, cerco di mettere a disposizione dei compagni la mia esperienza: ovviamente ne so di più di attaccanti, quindi mi concentro su di loro. Il fatto è che devi essere bravo a capire chi hai di fronte e come prenderlo, a volte devi essere duro, altre più morbido. L’importante è che dall’altra parte ci sia una persona che abbia voglia di ascoltarti, di imparare. A volte hai la sensazione di parlare con uno che sta pensando “Ma questo “vecchietto” cosa vuole da me”? Questa è gente che non migliorerà mai”. A proposito di ragazzi: l’eterno Peter Pan Paloschi, crescerà? Cosa gli manca per fare il salto definitivo? “Ecco, Alberto è uno che ha tantissima voglia di imparare, infatti da quando è arrivato qui è migliorato tantissimo. Lui è uno che chiede, che si confronta, che si mette sempre in discussione, che se sbaglia qualcosa ti domanda come fare meglio la prossima volta. Questo per un ragazzo è fondamentale. Poi, ci sono qualità innate, che non puoi coltivare: lui per esempio vive per il gol, se ne fa uno, ne vuole fare un altro e poi un altro ancora. Se c’è una palla che sembra morta, lui ci va lo stesso. Se c’è un rimpallo, una respinta del portiere, puoi star certo che lui si farà trovare pronto sulla ribattuta. Ha l’istinto dei grandi bomber come In-

“”

Obiettivo? Sicuramente quello di arrivare a quota 100 reti in Serie A, sarebbe un traguardo eccezionale zaghi e Trezeguet. E queste son cose che non puoi insegnare”. A 36 anni si possono fare i “primi” bilanci: qualche rimpianto? “No, non posso assolutamente avere rimpianti. Ho fatto una carriera che non mi sarei mai immaginato, avevo il sogno di diventare professionista, di giocare in Serie A, di esordire in Nazionale e li ho realizzati tutti. Come faccio ad avere rimpianti? E’ impossibile. Io dico sempre che ci sono solo ricordi belli o ricordi brutti, ma mai rimpianti e l’importante è godersi i ricordi belli”. A proposito di Nazionale: hai fatto una presenza e un gol (6 giugno

L’uomo dei record Di Sergio Stanco

L’attaccante del Chievo ne ha viste tante nei suoi anni di carriera e tante ancora spera di vederne, ma ha già collezionato qualche record importante. ergio Pellissier può vantare alcune curiosità “anagrafiche”: innanzitutto è uno dei pochi giocatori della Valle d’Aosta ad essere arrivato in Serie A (con lui anche De Ceglie, difensore della Juve), ma è il primo della storia ad avere vestito la maglia della nazionale. Come dicevamo nell'intervista, lo ha fatto una sola volta, ma in quell’occasione ha trovato addirittura la via della rete. Era il 6 giugno del 2009, si giocava a Pisa in amichevole contro l'Irlanda del Nord, e al 17' del secondo tempo Pellissier ha rilevato Pazzini. Gli sono bastati 11 minuti per segnare il gol che probabilmente non dimenticherà mai e racconterà certamente ai nipotini. In quella partita in

S

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2009, amichevole Italia-Irlanda del Nord 3-0): più un orgoglio o un dispiacere che quella sia rimasta l’unica presenza? “Non scherziamo, un grandissimo orgoglio, è stata la ciliegina sulla torta. Sarò sempre grato a Lippi per avermi fatto questo regalo (testuale, ndr). Io sono cresciuto negli anni ’80 e ’90, quando chi arrivava in Nazionale non ci andava per 2-3 partite fatte bene, ma perché era un grande giocatore e ci restava per anni. Io ho sempre saputo di non essere uno da Nazionale, sono comunque felicissimo di avere avuto questa opportunità e sono orgoglioso di averla sfruttata”. Di cos’altro vai veramente orgoglioso della tua carriera? “Direi dei due anni 2008 e 2009, quando prima ci siamo conquistati la promozione in Serie A e poi nella stagione successiva abbiamo fatto una cavalcata impressionante e ci siamo salvati. Per me erano le prime stagioni da capitano e quindi un orgoglio e una responsabilità ancor più importanti. In quelle due stagioni ho segnato tanto (22 e 13 reti rispettivamente, ndr) dunque mi sono sentito veramente protagonista di quelle imprese”. Hai già pensato a cosa vorresti fare

campo c’era anche Legrottaglie, un altro dei pochi giocatori del Chievo ad aver giocato in Nazionale: per il difensore 5 presenze in azzurro, il primatista è Perrotta con 19, poi Marazzina con 3, Semioli con 2 e appunto Pellissier. Il giovane calciatore Sergio cresce nelle giovanili del Torino, con le quali vince anche un Torneo di Viareggio, quello del 1998 (di quella squadra facevano parte anche Comotto e Tiribocchi, autori entrambi di una discreta carriera in Serie A) e in finale ha siglato il gol del 2-0 contro la squadra brasiliana dell'Irineu. Quello e il campionato di Serie B del 2007-2008 restano gli unici “titoli” del palmares di Pellissier, che però in carriera s'è tolto diverse soddisfazioni: delle tre reti in casa della Juve (e a Buffon) abbiamo già parlato, così come dei 90 gol realizzati in A come Zola e Van Basten (non proprio due qualsiasi), ma quello che non abbiamo detto è che qualche giorno dopo l'intervista e solo una settimana dopo aver realizzato il 90° gol in A a Cesena (quello della salvezza), Pellissier ha trovato di nuovo la via della rete e ha messo a segno il 91°, portandosi solo a -9 dal sogno 100. E per uno che è partito da Aosta ed è arrivato ad un passo dalla Champions League col Chievo (perso i preliminari nel 20062007 contro il Levski Sofia), cosa volete che siano 9 gol dopo averne realizzati già 91 solo in Serie A?

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INTERVISTA / SERGIO PELLISSIER

MOMENTI DI GIOIA Esordio con la Nazionale con gol, il massimo...

da grande? “Ogni tanto ci pensi, sì, ma poi cerchi subito di concentrarti sul presente. Io amo troppo questo lavoro e mi piace proprio il campo, allenarmi, giocare, per cui fino a quando il fisico mi sorreggerà, non voglio fare, né pensare a nient’altro. Ho intenzione di giocare ancora qualche anno e godermi questi momenti, poi quando capirò che non ne avrò più, vedremo. Certamente mi piacerebbe rimanere in questo ambiente”. Magari come allenatore... Qual è il tecnico che ti ha dato di più e al quale sei rimasto più legato? “Devo dire che sono rimasto in ottimi rapporti con tutti, ma ci sono alcuni con il quale il legame è andato oltre la sfera professionale. Ad esempio con Pioli, Iachini e Di Carlo, che sento spesso ancora oggi. E’ chiaro che rimani in contatto con quelli con cui hai giocato di più (ride, ndr), ma se incontro Beretta o Delneri, ad esempio, ci salutiamo e scambio volentieri due chiacchiere”. E nella tua classifica ideale dei tuoi allenatori dove lo metti Maran? “Sicuramente in un posto molto in alto, perché si è dimostrato un tecnico preparato, di personalità e intelligente. Ha una qualità molto rara e secondo me fonda28

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“”

è tanto che sono qui, non riesco neanche ad immaginarmi in un’altra squadra, in un’altra società mentale per un allenatore, sa ascoltare. Dà una precisa identità alla squadra, ha un modo di giocare per arrivare al risultato e non lo stravolge, ma se c’è qualcosa che non funziona, chiede, s’informa, si confronta e a volte applica i suggerimenti che gli arrivano”. Quest’anno hai raggiunto miti come Van Basten e Zola come numero di gol realizzati in Serie A (90): se te l’avessero detto ad inizio carriera… “Non ci avrei mai creduto, sono sincero. Come dicevo in precedenza, ho davvero realizzato tutti i sogni e mi sento un giocatore e un uomo veramente fortunato”. L’obiettivo che vorresti raggiungere prima di ritirarti? “Sicuramente quello di arrivare a quota

100 reti in Serie A, sarebbe un traguardo eccezionale di cui andare tremendamente orgoglioso. Mi piacerebbe raggiungerlo”. Mai perso il treno veramente importante, quello che passa una sola volta nella vita? “Sì, negli anni ho avuto qualche offerta, anche importante, ma sono felice di essere rimasto. E' tanto che sono qui, non riesco neanche ad immaginarmi in un'altra squadra, in un'altra società. Per me qui è come essere in famiglia: il presidente mi ha sempre trattato come un figlio, mi ha dimostrato un affetto eccezionale, cose che per me valgono più di soddisfazioni economiche o materiali. Avrei potuto certamente guadagnare di più, ma non puoi mai sapere come sarebbe andata e probabilmente non avrei vissuto le stesse emozioni che il Chievo mi ha regalato. Anche qui mi sono tolto le mie piccole, grandi soddisfazioni. L'amore dei tifosi, del presidente, di tutto l’ambiente, mi ha ampiamente ripagato. Sono davvero fiero di aver scritto un pezzo di storia di questa società”. E poi dicono che il calcio moderno ha spazzato via le bandiere. A Verona ce n'è ancora una bella grande che continua a sventolare e non ha nessuna intenzione di smettere...


SPECIALE AZZURRI PER UN GIORNO

di Fabrizio PONCIROLI

SPECIALE / AZZURRI PER UN GIORNO

ANCHE BEARZOT Da giocatore, ha provato l'emozione azzurra...

ALMENO UNA VOLTA… La maglia della Nazionale, il sogno di ogni calciatore che si rispetti…

ENZO BEARZOT

“I

l mio sogno è indossare la maglia della Nazionale”. Quante volte abbiamo sentito queste parole… In effetti, per qualsiasi giocatore, il poter vestirsi d’Azzurro equivale a raggiungere il gotha, calcisticamente parlando. Rappresentare un intero Paese, difendere i colori dell’Italia, essere idolatrato da tutti. Sensazioni splendide che, come si suol dire, danno un significato reale ad una carriera. In Nazionale, in oltre un secolo di storia (l’esordio degli Azzurri, allora in maglietta bianca, risale al lontanissimo 1910, con un rotondo successo sulla Francia), sono passati tantissimi giocatori. In questa particolare occasione abbiamo pensato di dare spazio a quelli (non tutti ovviamente) che hanno assaporato la casacca azzurra per una sola volta. Un solo “passaggio”, ma ricco di fascino. Vi snocciolo una formazione, modulo 4-3-3: Pizzaballa, Bearzot, Carrera, Gastaldello, Marangon, Novellino, Ledesma, Baronio, Padovano, Pellissier, Amauri. Non male vero? E, in panchina, potremmo farci sedere gente come Castel30

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lini, Ruotolo, Parisi, Invernizzi, Asta, Mascara e tanti altri… Cosa hanno in comune tutti questi giocatori? Semplice, hanno sperimentato la Nazionale ma solo una volta. Ognuno di loro è stato chiamato ad indossare la casacca degli Azzurri in una singola circostanza, avendo la fortuna di scendere in campo. Una presenza che, tuttavia, fa tutta la differenza del mondo perché, ognuno di loro, il sogno di giocare in Nazionale, seppur per un sol giorno, l’hanno realizzato e c’è da andarne fieri… IL “CASO” BEARZOT Tutti noi conosciamo Enzo Bearzot per essere stato il Ct che ha portato, o meglio, trascinato l’Italia a vincere il Mondiale del 1982. Stimato e amato, è stato un allenatore di primissimo livello. Ma prima di dare consigli dalla panchina, il Vecio è stato anche un più che discreto giocatore di calcio. Pro Gorizia, Inter, Catania e Torino, questi i club in cui ha militato. Dal 1946 al 1964, anno del suo ritiro, si è distinto come difensore/mediano di buona levatura, a tal punto da meritarsi

foto Imago/Image Sport

IL SOGNO DI TUTTI La maglia della Nazionale, il massimo per un calciatore

una sgambata in Nazionale. Il lieto evento accade il 27 novembre del 1955 (allora Bearzot militava al Toro). Si gioca la Coppa Internazionale e l’Italia deve affrontare la fortissima Ungheria, tra l’altro nell’imponente Nepstadion di Budapest. Nell’undici titolare schierato dal Ct Foni, nel pacchetto arretrato, c’è anche il 28enne Bearzot. Gli Azzurri resistono 80’, prima che Puskas rompa l’equilibrio, mandando in frantumi il sogno del Vecio di fermarlo. Finirà 2-0 per gli ungheresi, ma per Bearzot, a distanza di anni, il ricordo di quella partita sarà tra i più belli della sua carriera, almeno da calciatore… UNA PRESENZA, UN GOL A Verona, sponda Chievo, Pellissier è un’autentica istituzione. Bandiera gialloblù, ha segnato tonnellate di gol con la maglia dei clivensi, eppure la sua rete più importante è colorata di azzurro. Andiamo con ordine. Stagione 2008/09, il Chievo, al suo ritorno in Serie A, disputa una super annata. Pellissier va alla grande, segnando ben 13 gol in campionato. L’allora Ct della Nazionale Lippi si accorge di lui e, in occasione della partita, amichevole, Italia-Irlanda del Nord, in programma a Pisa, decide di convocarlo. È il 6 giugno del 2009. Gli Azzurri giocano un buon calcio e si portano, agevolmente, sul 2-0. Al 62’, Lippi fa esordire Pellissier (il primo valdostano a giocare con la casacca dell’Italia). Il bomber del Chievo entra al posto di Pazzini.

GIOCATORE

PRESENZE

RETI

ANNO

Rodolfo Gavinelli

1

0

1911

Vittorio Faroppa

1

-4

1912

Carlo De Marchi

1

0

1912

Vittorio Morelli di Popolo

1

0

1912

Marco Sala

1

0

1912

Vincenzo Fresia

1

0

1913

Carlo Galletti

1

0

1913

Attilio Valobra

1

0

1913

Claudio Casanova

1

0

1914

Biagio Goggio

1

0

1914

Eugenio Mosso

1

0

1914 1915

Carlo Capra

1

0

Angelo Cameroni

1

-4

1920

Giuseppe Asti

1

0

1920

Adevildo De Marchi

1

0

1920

Carlo Ghigliano

1

0

1920

Alessandro Rampini

1

0

1920

Rinaldo Roggero

1

0

1920

Giuseppe Ticozzelli

1

0

1920

Ercole Carzino

1

0

1921

Giuseppe Giustacchini

1

0

1921

Attilio Marcora

1

0

1921

Luigi Vercelli

1

0

1921

Cesare Martin

1

0

1923

Giovanni Costa

1

-4

1924

Francesco Borello

1

0

1924 1924

Edoardo Catto

1

0

Giuseppe Grabbi

1

0

1924

Francesco Mattuteia

1

0

1924

Severino Rosso

1

0

1924

Giovanni Vincenzi

1

0

1924

Giovanni Borgato

1

0

1926

Alberto Giordani

1

0

1927

Antonio Busini

1

0

1929

Abdon Sgarbi

1

0

1929

Marcello Mihalich

1

2

1929

Antonio Vojak

1

0

1932

Octavio Fantoni

1

0

1934

Nereo Rocco

1

0

1934

Roberto Porta

1

0

1935

Alejandro Scopelli

1

0

1935

Mario Varglien

1

0

1935

Ugo Amoretti

1

-2

1936

Francesco Gabriotti

1

0

1936

Alfonso Negro

1

1

1936

Bruno Arcari

1

0

1937

Pietro Buscaglia

1

0

1937

Cesare Gallea

1

0

1937

Sergio Marchi

1

0

1939

Vittorio Sardelli

1

0

1939

Héctor Puricelli

1

1

1939

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31


SPECIALE / AZZURRI PER UN GIORNO

32

SPECIALE / AZZURRI PER UN GIORNO

RETI

Pietro Ferrari

1

-1

1940

Mario Pagotto

1

0

1940

Carlo Reguzzoni

1

0

1940

Secondo Ricci

1

0

1940

Guido Corbelli

1

1

1940

Ermando Malinverni

1

0

1947

Tommaso Maestrelli

1

0

1948

Cesare Presca

1

0

1948

Giuseppe Baldini

1

0

1949

Rinaldo Martino

1

0

1949

Ivano Blason

1

0

1950 1950

Augusto Magli

1

0

Leandro Remondini

1

0

1950

Andrea Bonomi

1

0

1951

Renato Gei

1

0

1951

Arnaldo Lucentini

1

0

1951

Giovanni Azzini

1

0

1952

Giancarlo Cadè

1

0

1952

Sergio Manente

1

0

1952

Raoul Bortoletto

1

0

1953

Bruno Mazza

1

0

1953

Dino Ballacci

1

0

1954

Celestino Celio

1

0

1954

Enzo Bearzot

1

0

1955

Luigi Giuliano

1

0

1955

Marcello Agnoletto

1

0

1956

Giuseppe Farina

1

0

1956

Mario Tortul

1

0

1956

Angelo Longoni

1

2

1956

Bruno Pesaola

1

0

1957

Celso Posio

1

0

1957

Flavio Emoli

1

0

1958

Bruno Garzena

1

0

1958

Giovanni Invernizzi

1

0

1958

Silvano Moro

1

0

1958

Dino da Costa

1

1

1958

Pierluigi Ronzon

1

0

1960

Giuseppe Vavassori

1

-3

1961

Beniamino Di Giacomo

1

0

1964

Aurelio Milani

1

0

1964

Romano Micelli

1

0

1965 1965

Cosimo Nocera

1

1

Roberto Anzolin

1

0

1966

Giovan Battista Pirovano

1

0

1966

Pier Luigi Pizzaballa

1

0

1966

Adolfo Gori

1

0

1967

Stelio Nardin

1

0

1967

Gianfranco Zigoni

1

0

1967

Claudio Merlo

1

0

1969

Tazio Roversi

1

0

1971

Domenico Caso

1

0

1974

Calcio 2OOO

PELLISSIER IN GOL Maglia della Nazionale con tanto di rete per il bomber del Chievo...

ANNO

sergio pellissier

Passano circa 11’ e Pellissier trova la rete del definitivo 3-0 (girata acrobatica di sinistro). Esordio in Nazionale con gol. Il massimo per un attaccante. Dedica la rete alla moglie Micaela ma, in cuor suo, sa che è il frutto di tanti anni di dura gavetta… L’INTROVABILE PANINI Quando sei noto soprattutto per essere una figurina introvabile, è dura imporsi anche come portiere di livello. La storia di Pizzaballa è tanto curiosa, quanto affascinante. Da decenni, il portiere bergamasco è noto per essere stato la figurina più difficile da trovare nella storia dei Calciatori Panini. Tuttavia, oltre ad essere stato un estremo difensore di notevole qualità (ha difeso la porta di Atalanta, Roma, Verona e Milan), Pizzaballa ha anche vissuto l’apoteosi della maglia azzurra. In pochi sanno, ad esempio, che Fabbri lo ha convocato per i Mondiali del 1966, dove, tuttavia, non è mai sceso in campo. Comunque una presenza il buon “portiere introvabile” l’ha ottenuta: 18 giugno 1966, Italia-Austria. Al 46’, Albertosi, il titolare, lascia la porta degli Azzurri a Pizzaballa. Il neo acquisto della Roma (via Atalanta) si dimostra pronto. La nostra Nazionale porta a casa la vittoria (decide una rete di Burgnich) e Pizzaballa si gode il suo momento… GIOIA & SFORTUNA DI PADOVANO Non per tutti il ricordo della Nazionale è solo un’indescrivibile emozione. Padovano, da questo punto di vista, è un “caso anomalo”. Dopo anni a suon di gol in giro per l’Italia, nel 1995, Padovano approda alla Juventus. Si fa trovare pronto, segna gol importanti. Normale che arrivi la chiamata azzurra. Si stanno dispu-

foto Image Sport

PRESENZE

foto Image Sport

GIOCATORE

Calcio 2OOO

33


tando le qualificazioni per i Mondiali del 1998. L’allora Ct Maldini decide di puntare anche sul bomber bianconero per il doppio impegno contro Moldavia e Polonia. Il 29 marzo 1997, Padovano, a Trieste, è in campo (dal 23’ della ripresa) nel 3-0 con cui l’Italia piega la Moldavia. Tutto fa presagire che sia l’inizio di un duraturo rapporto con la Nazionale ma, in un allenamento presfida con la Polonia, l’attaccante si infortuna, incredibile ma vero, calciando un rigore a fine allenamento. Non è uno stop di poco (il ginocchio fa crack) conto se si pensa che, di fatto, la sua carriera termina proprio in quel momento. “Era la vigilia dei Mondiali del 1998 ed il Mister Maldini mi teneva in grande considerazione. Dai, diciamo che sono stato la fortuna di Vieri. Perché, probabilmente, se ci fossi stato anch’io avrebbe giocato meno”, ci scherza qualche anno più tardi. Di fatto, non ritrova più l’Italia e, soprattutto, la Juventus decide di privarsene. Crystal Palace, Metz e Como, dove il vero Padovano non si vede più… IL QUASI BRASILIANO Nel gennaio del 2009, l’Italia del pallone si trovò a fare i conti con la questione Amauri. Il racconto è fiabesco. A fine gennaio il Ct del Brasile Dunga decide di convocare, per la prima volta in carriera, Amauri. Lo vuole in Verdeoro per la gara, del prossimo 10 febbraio, a Londra, ironia della sorte proprio contro l’Italia. La Juventus decide di non lasciar partire il bomber, forte del fatto che è già scaduto il termine legale stabilito dalla Fifa per la convocazione di calciatori che operano 34

Calcio 2OOO

AMAURI

foto Image Sport

CESARE MALDINI

SPECIALE / AZZURRI PER UN GIORNO

foto Agenzia Liverani

SPECIALE / AZZURRI PER UN GIORNO

all'estero. Si scatena un putiferio. Il Ct Dunga rinuncia, seppur scocciato, ad Amauri. Fine di un sogno? No, circa 18 mesi più tardi Amauri indossa la maglietta della nazionale ma di quella italiana. “Io mi sento calcisticamente italiano”, spiega, a chiare lettere, a chi pensa che abbia scelto l’Italia per paura di non avere chance con il Brasile. Gioca contro la Costa d’Avorio, a Londra. Ironia della sorte sarà la sua prima e unica gara in Nazionale… L’UOMO DELL’EXPLOIT Solo due giocatori sono riusciti, nella loro unica presenza in azzurro, a segnare una doppietta. Uno risponde al nome di Mihalich, giocatore del Napoli capace di mettere a referto, contro il Portogallo (anno di grazia 1929), due reti (6-1 finale per gli Azzurri). L’altro è stato Longoni e la sua storia merita un minimo di attenzione. Longoni è stato una buonissima, come si diceva allora, ala. Nell’Atalanta ha mostrato il meglio di sé, arrivando anche alla Nazionale. Al Ferraris va in scena Italia-Austria, valida per la Coppa Internazionale. I riflettori sono tutti puntati su Boniperti ma, a sorpresa, nel 2-1 finale con cui gli Azzurri superano la nazionale austriaca, il protagonista assoluto è proprio Longoni, detto “Paperino” che firma entrambe le reti italiane. Sulla rivista “Il Campione”, molto diffusa al tempo, c’è un bel servizio che ben testimonia l’impresa dell’esordiente ala atalantina. Non ci tornerà più in azzurro, eppure quell’exploit è nei libri del nostro calcio, per sempre...

PRESENZE

RETI

ANNO

Vincenzo Guerini

1

0

1974

Luigi Martini

1

0

1974

Salvatore Esposito

1

0

1975

Luigi Danova

1

0

1976

Luciano Castellini

1

-1

1977

Walter Novellino

1

0

1978

Domenico Marocchino

1

0

1981

Luciano Marangon

1

0

1982 1991

Gennaro Ruotolo

1

0

Massimo Carrera

1

0

1992

Giorgio Venturin

1

0

1992

Andrea Fortunato

1

0

1993

Antonio Manicone

1

0

1993

Daniele Zoratto

1

0

1993

Massimiliano Cappioli

1

0

1994

Andrea Silenzi

1

0

1994

Fabio Petruzzi

1

0

1995

Federico Giunti

1

0

1996

Pasquale Padalino

1

0

1996

Fabio Rossitto

1

0

1996

Giampiero Maini

1

0

1997

Michele Padovano

1

0

1997 1997

Stefano Torrisi

1

0

Michele Serena

1

0

1998

Damiano Zenoni

1

0

2000

Alessandro Pierini

1

0

2001

Antonino Asta

1

0

2002

Marcello Castellini

1

0

2003

Stefano Bettarini

1

0

2004

Alessandro Parisi

1

0

2004

Roberto Baronio

1

0

2005

Dario Dainelli

1

0

2005

Giampiero Pinzi

1

0

2005

Emiliano Bonazzoli

1

0

2006

Cristian Brocchi

1

0

2006

Gennaro Delvecchio

1

0

2006

Giulio Falcone

1

0

2006

Massimo Gobbi

1

0

2006

Christian Terlizzi

1

0

2006

Alessandro Rosina

1

0

2007

Max Tonetto

1

0

2007

Giuseppe Mascara

1

0

2009

Sergio Pellissier

1

1

2009

Amauri

1

0

2010

Cristian Daniel Ledesma

1

0

2010

Marco Motta

1

0

2010

Daniele Gastaldello

1

0

2011

Fabio Borini

1

0

2012

Diego Fabbrini

1

0

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Ezequiel Schelotto

1

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2012

* Giocatori selezionati fino al 2012

IL RICORDO DI ANTONINO Di Thomas Saccani

Tra i giocatori con una presenza in Nazionale c’è anche l’ex granata…

foto Liverani

GIOCATORE

Antonino asta

1

3 febbraio 2002, l’Italia ospita, a Catania, gli Stati Uniti. È una gara amichevole. C’è un giocatore che vive quella partita trattenendo il fiato dall’emozione: Antonino Asta. Per lui, siciliano di nascita (è di Alcamo), è il coronamento di una lunga carriera, iniziata nel Corbetta, nei dilettanti. Lo abbiamo sentito per farci raccontare quella grande emozione, la sua unica presenza con la Nazionale… Se ti dico Italia-Stati Uniti, che ricordi ti vengono in mente? “Scherzi? Ricordo tutto di quella partita. Per me è stato un trionfo. La mia prima e unica volta in Nazionale. Da siciliano, ho giocato in Sicilia. Una soddisfazione enorme, in un periodo storico in cui, in Nazionale, ci andavano solitamente sempre gli stessi e quasi sempre gente che militava in grande squadre. Io, invece, arrivavo dai dilettanti, davvero pazzesco…”. Hai anche giocato titolare… “Sì, è vero. Ricordo che fummo convocati, come esordienti, io e Marazzina. Io iniziai con la maglia da titolare, lui entrò a partita in corsa. Fu speciale per tutti e due”. Ti ricordi come sei venuto a sapere che saresti andato in Nazionale? “Certo. Era un sabato pomeriggio e noi eravamo in ritiro per preparare Torino-Piacenza. Mi ricordi che il Team Manager Padovano mi chiamò in stanza e mi disse che ero stato convocato. Fu una soddisfazione che non si può descrivere. Ricordo che, alla sera, decisi di offrire da bere a tutti i miei compagni granata. Se ero arrivato alla Nazionale il merito era soprattutto loro e del mister Camolese, importantissimo per la mia carriera”. Quindi è vero che la Nazionale è il massimo… “Sì, per me non c’è altro di meglio. Poi, ti ricordo, io ho cominciato nelle categorie inferiori, mi sono conquistato tutto con tanta fatica e quella maglia indossata contro gli Stati Uniti mi ha ripagato di tutti i sacrifici di una vita. Ne vado molto orgoglioso”. Calcio 2OOO

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SPECIALE BOMBER

di Francesco SCABAR

SPECIALE BOMBER/ Professione Portiere

PROFESSIONE PORTIERE IL GRANDE TOLDO

La sua impresa con l'Olanda è un ricordo meraviglioso...

PARARIGORI E NON SOLO…

I

portieri hanno sempre visto nei calci di rigore una possibilità di riscattare la loro scomoda etichetta di ruolo più difficile e ingrato del gioco più popolare al mondo. Quando si trova faccia a faccia con l’avversario, alla distanza canonica di undici metri, il portiere non ha nulla da perdere e tutto da guadagnare: se subisce gol è la normalità, ma se vince il duello può diventare l’eroe della sua squadra. Il calcio di rigore è un momento d’irrazionalità allo stato puro, dove per essere protagonisti bisogna possedere una sorta di lucida follia: nervi saldi, concentrazione e un pizzico di sana sfrontatezza, sono gli ingredienti che un buon numero uno deve possedere quando si accinge, nella norma, a parare il tiro dal dischetto, oppure nell’eccezione, a cimentarsi lui stesso da giustiziere. Il nostro racconto sul rapporto tra i calci di rigore e i portieri, non può che iniziare con il mito per eccellenza dei pali, Ricardo Zamora detto El Divino. Il portierone iberico, autentico mito del calcio degli anni Venti e Trenta, si dice che fosse talmente bravo da riuscire sempre a ipnotizzare gli avversari 36

Calcio 2OOO

che si presentavano dal dischetto. Probabilmente si tratta di una leggenda, ma una cosa è certa: Zamora, sviluppò una caratteristica fondamentale per il suo ruolo, cioè il saper leggere e anticipare mentalmente i movimenti dell’avversario. È proprio per questo che Zamora può essere considerato il primo portiere moderno e il primo grande pararigori della storia del calcio. Un eccezionale sesto senso, unito a una follia quasi autodistruttiva, erano elementi che caratterizzavano Giuseppe “Bepi” Moro, uno dei portieri più talentuosi, stravaganti e allo stesso tempo incompiuti della storia del calcio italiano. Moro, è stato senza dubbio il più grande pararigori mai apparso su un campo di calcio italiano: in carriera infatti ne parò ben 15 su 44! Fu tra l’altro il primo portiere a sviluppare una vera e propria tecnica per parare i rigori: prevedere le mosse del tiratore con delle finte e dei contro-movimenti. L’irrequieto Bepi, vera testa matta che faticava a restare nella stessa squadra per più di una stagione nonostante il suo talento cristallino, era particolarmente bravo a calcolare il movimento delle gambe e del tronco degli avversari e proprio grazie a queste capacità spesso usciva vincente dalla sfida.

foto Giuseppe Celstee/Image Sport

Samir Handanovič

foto Sport Image

Alcuni li sanno parare, altri li sanno anche calciare…

Calcio 2OOO

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SPECIALE BOMBER/ Professione Portiere

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Calcio 2OOO

CAMPIONE DAGLI 11 METRI

foto Giuseppe celeste/Image Sport

Butt è uno che sa come segnare i rigori...

lev yashin

Hans Jorg Butt

DUCKadam

DA PASSIVI AD ATTIVI… Alcuni portieri però, oltre che parare rigori, sono stati degli straordinari cecchini dagli undici metri. Il primo portiere-rigorista che si ricordi, almeno nel nostro campionato, fu Lucidio Sentimenti IV, quarto appunto di cinque fratelli tutti calciatori professionisti: Ennio (l’unico a non aver esordito in A), Arnaldo detto Chery, Vittorio detto Ciccio e Primo, oltre naturalmente a Lucidio detto Cochi, il più famoso dei cinque,

OLIVER KAHN

perché fu per anni portiere di squadre quotate come Juve e Lazio oltre che della Nazionale. Quando da giovane militava nel Modena, in una partita contro il Napoli, Cochi si rese protagonista di un episodio curioso proprio nei confronti del fratello maggiore Arnaldo; era il maggio 1942 e il quarto dei Sentimenti, si presentò sul dischetto per sfidare il fratello maggiore: la battuta fu perfetta e il vecchio Chery (più anziano di sei anni) fu così beffato. Dopo questo fatto i due fratelli non si parlarono per anni, e furono riappacificati solo dall’intervento paterno, la colpa? Uno sfottó rivolto da Cochi al fratello maggiore, che sul dischetto aveva minacciato di spezzargli le braccia con la sua proverbiale cannonata. Sentimenti IV, che nell’anomalo campionato 1945/46 giocò due partite come giocatore di movimento, in carriera realizzò, oltre al rigore accennato in questo episodio, altri quattro tiri franchi. Un altro numero uno italiano, meno famoso di Sentimenti IV,

foto Agenzia Liverani

tano olandese Frank De Boer e poi ipnotizzò Kluivert che calciò il secondo tiro dagli undici metri sul palo. Durante l’ultima e definitiva resa dei conti, Toldo completò il suo capolavoro prima fermando nuovamente De Boer e poi Bosvelt. Kahn invece è stato l’eroe della finale di Champions League del 2000/01 quando neutralizzò tre rigori su sette, regalando così al suo Bayern il successo sul Valencia di Cuper. Ai giorni nostri, nessuno come Handanovic ma ne parleremo dopo…

foto Giuseppe celeste/Image Sport

Il più grande pararigori della storia è stato con ogni probabilità Lev Yashin: quello che viene considerato il più grande portiere di tutti i tempi detiene il record pressoché imbattibile di 150 rigori neutralizzati! Freddo, algido e distaccato, quasi in controtendenza con lo stereotipo del portiere folle, sfrontato e temerario, il russo era favorito anche dalla sua imponente stazza (189 centimetri, un’enormità per l’epoca) e per il suo carisma che, al pari di Zamora, riusciva a spaventare anche i rigoristi più scafati. Ne sa qualcosa il grande Sandro Mazzola, che durante un match di qualificazione agli Europei del 1964, si fece ipnotizzare dal dischetto dal grande Ragno Nero: “Yashin era un gigante nero - ha detto Mazzola, ricordando l’episodio - lo guardai cercando di capire dove si sarebbe tuffato e solo tempo dopo mi resi conto che doveva avermi ipnotizzato. Quando presi la rincorsa vidi che si buttava a destra, potevo tirare dall'altra parte, non ci riuscii. Quel giorno il mio tiro andò dove voleva Yashin”. Gli anni Ottanta hanno consegnato agli annali due eccezionali guardiani, entrambi baffuti, protagonisti dagli undici metri e anche di vicende umane toccanti: lo zimbawese Bruce Grobbelaar e il rumeno (ma tedesco di etnia) Helmuth Duckadam. Grobbelaar, che da giovane aveva combattuto nella guerra civile in Rhodesia, fu famoso per sue le “spaghetti legs” mostrate durante la finale di Coppa Campioni nel 1984 contro la Roma all’Olimpico: le danze quasi in stato di trance di Grobbelaar ipnotizzarono i campioni del Mondo Bruno Conti e Ciccio Graziani, regalando la coppa dalle grandi orecchie al suo Liverpool. Duckadam invece fu l’eroe assoluto della Coppa dei Campioni che la Steaua Bucarest conquistò a Siviglia contro il Barcellona nel 1986. Helmuth riuscì a neutralizzare tutti e quattro i rigori calciati dai blaugrana Alexanco, Pedraza, Pichi Alonso e Marcos, anche se la sua breve ma folgorante carriera calcistica, finì, di fatto, in quella notte andalusa. Duckadam infatti, nonostante le richieste di mercato da mezza Europa, a partire dalla stagione 1986/97 sparì letteralmente dai campi di calcio. Una leggenda dice che il team manager dello Steaua, Valentin Ceausescu, figlio del leader Nicolae, avrebbe ordinato agli agenti della temibile Securitate di spezzare le mani al suo valoroso portiere. La colpa? Duckadam avrebbe ricevuto in omaggio dal Real Madrid, acerrimi e storici rivali del Barcellona, una bella Mercedes che invece sarebbe spettata al rampollo dei Ceausescu. La storia, circolata anche nella decade successiva alla caduta del regime, è stata confutata di recente dallo stesso Duckadam, che ha rivelato come abbia smesso di giocare dopo il 1986 (anche se provò a rientrare tra i pali tra il 1989 e il 1991 con l’Arad) a causa di una trombosi che gli paralizzò l’arto superiore destro rischiando anche l’amputazione, l’eroe di Siviglia ha smentito anche alterchi con Valentin Ceausescu, da lui definito un “gentiluomo e patriota” con l’unico difetto di essere diventato paranoico con il corso degli anni. Gli ultimi eroi della cinica lotteria dei rigori sono stati senza ombra di dubbio Francesco Toldo e Oliver Kahn, protagonisti assoluti del biennio 2000/01. Toldo è stato il protagonista indiscusso della semifinale degli Europei tra Olanda e Italia, sia durante i 120 minuti di tempo regolamentare sia durante i calci di rigori. Il portiere allora in forza alla Fiorentina, nel corso dei novanta minuti parò prima un primo rigore al capi-

SPECIALE BOMBER/ Professione Portiere

ANTONIO RIGAMONTI Calcio 2OOO

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SPECIALE BOMBER/ Professione Portiere

NESSUNO COME SAMIR

MISTER PARARIGORI Handanovic, un incubo per i rigoristi...

Di Thomas Saccani Il miglior pararigori in circolazione? Handanovic, lo dicono i numeri…

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uando un giocatore si trova davanti Handanovic, il dubbio di vedere il proprio pallone non superare la fatidica linea di porta diventa una quasi certezza. Difficile segnare a Samir, ormai lo sanno tutti. Con il capolavoro di Verona, il numero uno dell’Inter è salito all’incredibile cifra di 21 rigori parati in carriera nella massima serie italiana. Meglio di lui solo un altro grandissimo portiere come Pagliuca (24). Ma Handanovic sta facendo molto di più. In questa stagione, l’Inter, tra campionato e coppe, ha subito otto rigore a sfavore. Bene, lo sloveno ne ha neutralizzati ben sette. L’unico a violare la sua immacolata porta è stato Berardi. Sono caduti invece Maxi Lopez (Sampdoria), Cassano (Parma), Larrondo (Torino), Cossu (Cagliari), Toni (Hellas Verona, due volte) e Konopljanka (Dnipro). Impossibile non considerarlo il maestro del mestiere…

PARARIGORI CLASSIFICA 1 2 3 4 5 6 7 7

PORTIERE

24

PAGLIUCA HANDANOVIC NI MARCHEGIA MORO ANTONIOLI LA TAGLIALATE LOVATI TANCREDI

7 7

TURCI VIERI

RIGORI PARATI 21 17 15 14 13 12 12 12

Samir Handanovič

foto Sport Image

TOP

SERIE A

PAGLIUCA SUPERSTAR Nessuno ha respinto più penalty in Serie A

12

al 12/4/15 ati aggiornati

*D

ma comunque prolifico dal dischetto fu Antonio Rigamonti, classe 1948, portiere che ha vestito le maglie di Atalanta, Cremonese, Como, Milan e Varese. Durante la sua esperienza triennale in terra comasca, fu designato rigorista dall’allenatore Marchioro, tecnico dalle idee innovative, e realizzò ben sei rigori, tre dei quali nella massima serie. I più grandi portieri cecchini dal dischetto però sono stati tutti stranieri, specialmente del Sudamerica, terra che evoca sempre un football poetico e pittoresco, così diverso dall’austerità razionale del calcio europeo. Il recordman assoluto è tuttora il brasiliano Rogerio Mucke Ceni, autentica bandiera del Sao Paulo: il quarantaduenne Rogerio, conterraneo dell’ex milanista Alexandre Pato, difende infatti i pali del club paulista da ben 25 stagioni, nelle quali ha segnato la bellezza di 126 reti, 61 su punizione (la sua specialità) e 65 su calci di rigore… e non ha ancora intenzione di smettere! Rogerio Ceni è un vero e proprio macina record: di recente ha sfondato il muro delle 1200 presenze, diventando così il calciatore brasiliano ad aver collezionato il numero maggiore di presenze nella massima serie e inoltre detiene pure il record di aver vinto più partite nel brasilierao! Un altro simbolo del calcio sudamericano è stato José Luis Chilavert, il secondo migliore portiere del continente dopo Amadeo Carrizo secondo l’IFFHS, e autentico simbolo del Velez Sarsfield, club con il quale ha vinto una storica Libertadores nel 1994. Il “Chila”, come Ceni, fu autentico specialista in rigori (45 le realizzazioni) e calci di punizione (ne ha segnati 15) e, rispetto al brasiliano, è riuscito a impreziosire le sue statistiche con due reti su azione e otto con la maglia della propria Nazionale (Rogerio invece è rimasto a secco con la maglia della Seleçao). Rispetto a Rogerio Ceni e Chilavert, il colombiano René Higuita, altro mito del calcio anni Novanta, aggiunse un pizzico di sana follia. Famoso per le sue sgroppate palla al piede (ne sa qualcosa il Camerun a Italia 90) e per la mossa dello scorpione sfoderata in un’amichevole a Wembley contro l’Inghilterra, il folle René che finì anche agli arresti anche per cocaina, può vantare 37 realizzazioni dal dischetto e 4 gol su punizioni.

UN NUMERO UNO ATIPICO

C'è chi interpreta il ruolo del portiere a modo suo...

foto Agenzia Liverani

SPECIALE BOMBER/ Professione Portiere

Jose Luis CHILAVERT

Nel continente europeo il primato di reti segnate è del bulgaro Dmitar Ivankov, 63 presenze con la Nazionale bulgara negli anni Duemila e 37 trasformazioni dagli undici metri. Il più celebre portiere rigorista del Continente è però il tedesco Hans Jorg Butt, autore di 32 reti su rigore e protagonista assoluto di un incredibile episodio in un match giocato nel febbraio 2007 tra il suo Bayer Leverkusen e lo Schalke 04: realizzato il rigore con la consueta freddezza, il prode Hans Jorg fu subito sommerso dai compagni esultanti, che però tardarono troppo i festeggiamenti. Nel frattempo l’arbitro aveva fischiato e i giocatori dello Schalke, vedendo Butt ancora intento a festeggiare la segnatura, con una facile palombella siglarono il più facile dei gol: per fortuna, di Butt naturalmente, fu il Bayer a vincere quella partita!

LA LEGGENDA CENI

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Calcio 2OOO

foto Agenzia Liverani

GIANLUCA PAGLIUCA

foto Liverani

Fuori dall'Europa, è lui il numero uno dei portieri

Rogerio MUCKE Ceni Calcio 2OOO

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SPECIALE COPA AMERICA

UNA DA URLO

SPECIALE / COPA AMERICA

IL COLPO DELL'URUGUAY

Nel 2011 la Copa America va alla Celeste di Forlan e Suarez...

Tutti in Cile per la 44esima edizione di un torneo denso di fuoriclasse…

di Fabrizio PONCIROLI foto Image Sport e Agenzia Liverani

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Calcio 2OOO

foto Imago/Image Sport

C

opa America, basta la parola… Il massimo torneo continentale per nazionali iscritti al Conmebol è pronto a riaprire i battenti. L’appuntamento è fissato per il prossimo 11 giugno, data di inizio della 44esima edizione di un torneo storicamente denso di fuoriclasse e talento. Per la settima volta, la Copa America si disputerà in Cile. Inizialmente doveva giocarsi in Brasile ma, causa i troppi eventi calcistici in terra brasiliana (non ultimo i Mondiali del 2014, oltre che i Giochi Olimpici del 2016), si è deciso di cambiare sede. Tutto è stato deciso ormai, dalla mascotte Zincha al brano ufficiale (Contigo, di Zaturno, Juan Magan e Denise Rosenthal). Ben 12 le nazionali presenti, con riflettori puntati soprattutto sull’Uruguay. La Celeste, oltre ad essere la squadra detentrice del titolo (splendida la cavalcata del 2011), è anche il Paese con più successi in Copa America: 15, ovvero uno in più dell’Argentina, la cui ultima vittoria risale al 1993. Uruguay che, inoltre, è anche la nazionale con più partecipazioni nel torneo. Con la sua presenza in Cile, salirà a 42 gettoni (due in più dell’Argentina). Inserita nel gruppo B, insieme, ironia della sorte, ad Argentina, Paraguay e Giamaica (quest’ultima invitata alla competizione dopo il rifiuto di Giappone e Cina), la Celeste dovrà fare a meno di Forlan. L’ex nerazzurro ha, da poco, dato il suo addio alla nazionale, lasciando così il palcoscenico al duo SuarezCavani, i due nuovi punti di riferimento della squadra allenata da Tabárez. Come detto, nello stesso raggruppamento ci si potrà divertire con l’Argentina. Per Messi l’ennesima occasione per provare a vincere qualcosa con l’Argentina e smentire tutti coloro che credono sia meraviglioso (e vincente) solamente con la casacca del Barcellona. Tutte da scoprire Paraguay e Giamaica, indubbiamente le due realtà meno apprezzate del girone… Decisamente più equilibrato il gruppo A con Cile, Messico, Ecuador e Bolivia. Il Cile, padrone di casa, sogna il suo primo trionfo in Copa America (ad oggi, quattro finali perse, l’ultima nel 1987). Con gente come Medel, Vidal e Alexis Sanchez, l’impresa non pare impossi-

bile. Tanta voglia di stupire anche da parte del Messico del Chicharito Hernandez, desideroso di ben figurare in Copa America per rilanciare la propria carriera. Dubbi su Ecuador e Bolivia. La Tri(color) è reduce da cinque eliminazioni consecutive al primo turno e non ha una rosa di grande qualità. Anche La Verde non pare capace di incantare. Anche per la Bolivia cinque eliminazioni al primo turno di fila e, come unico exploit, il successo del lontanissimo 1963. Chiudiamo con il girone C, composto da Brasile, Colombia, Perù e Venezuela. Nomi alla mano, la Seleção è la favorita per eccellenza del

torneo. Neymar si sente pronto per prendersi in mano la nazionale e farle dimenticare la profonda delusione dell’ultimo Mondiale. Tuttavia, il ricordo dell’eliminazione ai quarti di finale del 2011, è ancora una ferita aperta in casa Brasile che deve far riflettere. Attenzione anche alla Colombia, possibile mina vagante del torneo. Guarin, Cuadrado, Falcao, le stelle non mancano di certo ai Los Cafeteros. Un gradino più in basso ma pur sempre pericolose Perù e Venezuela. La Blanquirroja di Careca è piuttosto giovane ed ambiziosa, La Vinotinto è squadra equilibrata con tanta corsa e buone

individualità (Martinez, Salomon Rondon…). L’obiettivo è dimostrare che il quarto posto del 2011 non è stato frutto del caso. Insomma 12 nazionali pronte a tutto per ben figurare in una manifestazione che sa regalare sempre grandi emozioni. Il sogno è uno solo per tutte: guadagnarsi il pass per la finale del 4 luglio, in programma a Santiago del Cile… TORNEO ANTICHISSIMO Quasi un secolo di storia. Nata nel 1916, la Copa America è la competizione calcistica per nazioni più vecchia del mondo Calcio 2OOO

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SPECIALE / COPA AMERICA

SPECIALE / COPA AMERICA

Paraguay battuto, 15esima vittoria per l'Uruguay...

DIEGO FORLAN ESULTA 44

Calcio 2OOO

foto Agenzia Liverani foto Imago/Image Sport

foto Imago/Image Sport

TITOLI VINTI

NAZIONALE

15

Uruguay

14

Argentina

8

Brasile

2

Paraguay

2

Perù

1

Bolivia

1

Colombia

EDIZIONI VINTE

1916, 1917, 1920, 1923, 1924, 1926, 1935, 1942, 1956, 1959 (Ecuador), 1967, 1983, 1987, 1995, 2011 1921, 1925, 1927, 1929, 1937, 1941, 1945, 1947, 1955, 1957, 1959 (Argentina), 1991, 1993 1919, 1922, 1949, 1989, 1997, 1999, 2004, 2007 1953, 1979 1939, 1975 1963 2001 * Dati aggiornati all'edizione 2011

e quella che ha visto disputarsi il maggior numero di edizioni. Inizialmente, fu deciso che il torneo si sarebbe disputato con frequenza annuale, cosa abbastanza insolita per una competizione per nazioni, anche se tale consuetudine fu spesso disattesa per vari motivi, soprattutto di carattere politico ed economico. Il trofeo vero e proprio vide la sua comparsa solamente dalla seconda edizione quando a sollevarlo fu l’Uruguay, già vincitore nel 1916. Ben presto le grandi potenze del calcio sudamericano, Brasile ed Argentina, fecero sentire la loro voce, riuscendo ad imporsi rispettivamente nel 1919 e nel 1921. La formula del torneo era un girone all’italiana con partite di sola andata. Tale soluzione è stata ripetuta nel tempo senza particolari mutazioni fino all’epoca moderna, quando la competizione è stata divisa in fasi a gironi e ad eliminazione diretta. Le prime edizioni furono un alternarsi di successi di Argentina ed Uruguay ed un avvicendarsi continuo delle squadre partecipanti e del numero delle stesse. Il record negativo appartiene al torneo del 1925 con solo tre formazioni al via. In quegli anni quello che veniva disputato era il “Campionato Sudamericano delle Nazionali”, solo nel 1937 venne ribattezzato con l’attuale “Copa America”. La competizione, non subì cancellazioni nell’epoca della Seconda Guerra Mondiale, ma continuò il suo danzare fra gli anni disputandosi sempre con varie cadenze e vedendo nel 1939 la vittoria del Perù e nel 1947 i festeggiamenti per il terzo titolo consecutivo, cosa poi non riuscita più a nessuna formazione, dell’Argentina. Zona tormentata il Sudamerica, vittima di dittature terribili e feconda di rivoluzioni storiche. Terra di grandi sofferenze, ma anche capace di gioire nelle difficoltà. Guerre, golpe, crisi economiche hanno fatto spesso da cornice alla Copa impedendo a Paesi di organizzare la competizione o di farvi parte.

LE STORIE DI ZIZINHO E MENDEZ Di Thomas Saccani

Il record di gol nella Copa America è nelle mani di un duo davvero insolito… atistuta ne ha segnati 13, Ronaldo 10 ma ci sono due giocatori che ne hanno messi a referto ben 17. Zizinho e Norberto Mendez, il primo brasiliano, il secondo argentino, sono i detentori del titolo di massimi goleador della competizione. Considerato da Pelè, uno dei giocatori più completi e decisivi della storia del calcio brasiliano, Zizinho ha legato il suo nome principalmente alla maglia del Flamengo, con cui ha giocato dal 1939 al 1950. Vincitore dell’edizione della Copa America del 1949, un anno prima della disfatta del Mondiale del 1950, Zizinho ha tenuto una media realizzativa decisamente interessante in Copa America: in 34 presenze complessive (primatista assoluto, insieme al cileno Livingstone), snocciolate su sei edizioni complessive, il brasiliano ha siglato 17 reti, quindi un gol ogni due gare. Non male per uno che giostrava parecchio a centrocampo. Indimenticabile una sua partita nell’edizione del 1946. Il Brasile affronta il Cile e si impone con un secco 5-1, con quaterna firmata da uno scatenato Zizinho. Curiosa anche la storia di Norberto Mendez, detto “Tucho”. Ex stella di Huracan e Racing Club, il bomber argentino ha vinto tre edizioni della Copa America (1945, 1946 e 1947), risultando il capocannoniere della manifestazione nel 1945, in Cile (sei gol, come il brasiliano Heleno). Anche Mendez ha la sua gara da incorniciare: Argentina-Brasile 3-1, del 1945. Tutti i gol argentini portano la sua firma... Famosa una sua massima “L’Huracan è stata la mia ragazza, il Racing mia moglie e la Nazionale la mia amante”

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BATIGOL SUDAMERICANO 13 i gol di Batistuta in Copa America

foto Agenzia Liverani

ALBO D'ORO COPA AMERICA

MOMENTI DI GIOIA

GABRIEL BATISTUTA Calcio 2OOO

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SPECIALE / COPA AMERICA

SPECIALE / COPA AMERICA

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n Italia, zona Genova, il nome Guillermo Stabile è familiare. Nato a Buenos Aires nel lontano 17 gennaio 1905, ha, infatti, legato i migliori anni della sua vita da calciatore, al Genoa. Ingaggiato dal Grifone nel 1930, ha giocato cinque stagioni in rossoblù (dal 1930 al 1936, con una breve parentesi al Napoli), mostrando un grande feeling con il gol (16 reti). Non fosse stato per gli infortuni, sarebbe stato uno dei primi crack del nostro calcio. Per fortuna, da allenatore, la Dea bendata è stata spesso dalla sua parte. A capo della nazionale argentina, guidata dal 1939 al 1958, con anche un nuovo ritorno nel 1960, ha vinto ben sei Copa America (1941, 1945, 1946, 1947, 1955 e 1957), diventando, di gran lunga, il Ct più vincente nella storia della manifestazione. In realtà, assecondando il parere di molti statisti, le edizioni vinte da Stabile sarebbero sette. Tutto ruota attorno all’edizione 1959. In quel particolare anno, a causa di 46

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tifosa del Cile

Javier Hernandez

foto Imago/Image Sport

tifosi della Colombia

foto Image Sport

Guillermo Stabile ha vinto più di tutti in Copa America, ma c’è un giallo che lo accompagna…

problemi interni al Conmebol, si disputano due edizioni della Copa America. La prima va in scena in Argentina, dal 7 marzo al 4 aprile. Vi partecipano “solo” sette nazionali, in un “tutti contro tutti” che, alla fine, regala il successo all’Albiceleste (11 punti finali, uno in più del Brasile di Pelè). La gara decisiva è l’ultima, quella del 4 aprile a Buenos Aires, con l’Argentina che ferma il Brasile sull’1-1 (Pizzuti per gli argentini, O Rey per i brasiliani), risultato che incorona l’Argentina. Nello stesso anno, in Ecuador, dal 5 al 25 dicembre 1959, cinque nazionali si giocano la seconda Copa America annuale e, questa volta, a spuntarla è l’Uruguay che, con la medesima formula della precedente edizione in terra argentina, ha la meglio proprio sull’Argentina… Ma dove sta l’inganno? Semplice, secondo diversi storici del calcio argentino, di fatto, quella nazionale vittoriosa nell’edizione primaverile della Copa America era guidata, in panchina, dal triunvirato Spinetto-Della Torre-Barreiro e non da Stabile che era solo formalmente ancora sotto contratto con la Federazione (ci tornerà, infatti, nel 1960). Quell’edizione, quindi, andrebbe, di logica, assegnata al terzetto Spinetto-Della Torre-Barreiro e non a Stabile. Un fatto è certo, dopo il “regno” di Stabile, l’Argentina ha vinto solo in tre occasioni: 1959 (stiamo dalla parte di chi assegna il titolo al triunvirato), 1991 e 1993… Su questo dato non ci sono dubbi.

Oscar Tabarez

foto Image Sport

Di Thomas Saccani

LA PRIMA DEL PIBE Nell’edizione 1979 accade un fatto di notevole impatto mediatico: scende in campo, per la prima volta, Diego Armando Maradona. Il 10 per eccellenza, come il suo predecessore Pelè, non riuscì a dare la spinta giusta alla sua squadra che venne eliminata subito nella fase a gironi. Maradona non conquistò mai la Copa America. L’edizione la vinse il Paraguay dopo aver battuto in semifinale il Brasile di Socrates, Falcao e Zico. Nel 1983 iniziò a splendere la stella di Enzo Francescoli. Il futuro giocatore del Cagliari portò i suoi alla vittoria in coppia con l’ex di Torino e Genoa, Carlos Aguilera. Con Francescoli in campo l’Uruguay divenne Campione

foto Agenzia Liverani

MISTER SEI (O SETTE?) VOLTE…

Nessuna Copa America per l'asso argentino

foto Image Sport

foto Agenzia Liverani

foto Agenzia Liverani

La Copa America è stata giocata anche da O Rei

anche nel 1987 e nel 1995. L’edizione del 1987 fu nuovamente disputata in un solo paese e fu la prima edizione mediatica, trasmessa in Europa e Nord America. Nel mezzo, nel 1989, s’interruppe il lungo digiuno del Brasile che tornò sul tetto del Sudamerica dopo quarant’anni dall’ultimo successo. L’edizione si svolse con tre gironi preliminari ed un girone finale che prese il via proprio in Brasile. La partita decisiva, risolta da un gol di Romario, e giocata al Maracanà, fu seguita, record della manifestazione, da 170.000 spettatori.

MANCA MARADONA

foto Image Sport

IL TIMBRO DI PELÈ Il 1959 vide la prima ed ultima partecipazione di Pelè. Era il Brasile campione a Svezia '58, era il Brasile di Garrincha di Didì, di Djalma Santos che arrivò però solo secondo superato dall’Argentina. Le partite si giocarono tutte a Buenos Aires, Pelè fu capocannoniere ma questo non bastò per portare i suoi al titolo. Il 1959 fu un anno particolare perché una seconda edizione venne disputata a dicembre per festeggiare l'inaugurazione dello Stadio Modelo, a Guayaquil, in Ecuador. A trionfare fu l’Uruguay. Nel 1963 ecco il primo successo storico, sui campi di casa, della Bolivia. Le partite si giocarono ad altitudini proibitive e le squadre ospitate non riuscirono ad adattarsi all’aria rarefatta. La mancata presenza dei migliori giocatori di Brasile ed Argentina fece il resto. Grandi novità a partire dall’edizione del 1975 quando il torneo assunse davvero la forma di una Copa con gironi iniziali e scontri ad eliminazione diretta. Venne introdotta anche la finale per il terzo posto in una competizione che, come accadde poi anche nelle edizioni del 1979 e 1983, non fu organizzata da una sola nazione.

c'è STATO ANCHE Pelé

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SPECIALE / COPA AMERICA

SPECIALE / COPA AMERICA

Arturo Vidal 48

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foto Image Sport

Juan Cuadrado

NON SOLO COPA AMERICA Dall’edizione del 1993 in Ecuador, furono invitate formazioni non sudamericane. La prima squadra a partecipare fu il Messico, presenza poi fissa, seguita da Honduras, Costa Rica, Stati Uniti e, dal 1999, Giappone. Il Brasile tornò campione nel 1997 riuscendo, per la prima volta nella sua storia, a conquistare il trofeo lontano da casa. Fu la Copa di Ronaldo. Il Fenomeno, con Rivaldo, fu protagonista anche due anni dopo ed il Brasile riuscì a fare il bis. Il nuovo millennio si aprì con il primo successo a sorpresa di una Colombia guidata sempre dal grande guru Maturana, ma orfana delle sue stelle degli anni '90. A decidere la finale un gol dell’interista Ivan Ramiro Cordoba. Nel 2004 e nel 2007 trionfatore sempre il Brasile, un Brasile sperimentale, senza tutte le sue stelle, e sempre in finale contro l’Argentina. E siamo all’edizione 2011, con il successo dell’Uruguay. La Celeste viene decisa da Forlan, autore di una doppietta nella finale vinta, con un secco 3-0 (l’altra rete a firma di Suarez), sul Paraguay, quest’ultimo capace di eliminare il Brasile, ai rigori, nei quarti di finale.

foto Agenzia Liverani

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Oggi Messi, ieri Ronaldo, la Copa non tradisce mai...

foto Image Sport

Di Thomas SACCANI 1942, l’Uruguay stravince e Napoleon Medina piange 31 volte… a Copa America è anche la “patria” delle storie impossibili ma incredibilmente vere. Una delle più straordinarie riguarda Ángel Napoleón Medina Fabre, uno dei portieri più leggendari della storia calcistica dell’Ecuador (scomparso, a 85 anni, nel 2006). Con Humberto Vasquez e Ignacio Molina, eroi della nazionale ecuadoregna ormai al passo d’addio, nel 1942, a difendere i pali dell’Ecuador alla Copa America in Uruguay ci va lui, il nativo di Guayaquil. Le squadre partecipanti sono sette e per la Tri(color) l’imperativo è non sfigurare. Le gare da disputare sono sei (si gioca al classico “tutti contro tutti”). L’inizio non è confortante. Nella gara d’esordio contro il fortissimo Uruguay, l’Ecuador e, di conseguenza, Medina, ne prende sette (7-0 il finale). Contro l’Argentina, quattro giorni più tardi, va ancora peggio: 12-0 con l’argentino Moreno mattatore con cinque reti. Trascorrono tre giorni e arrivano altri tre gol al passivo (da parte del Paraguay). La partita della vita è contro il Perù, squadra di egual forza ma Guzman, al 78’, porta in dote una nuova sconfitta per la Tri(color) e altri due gol sul groppone di Medina. Nel turno successivo c’è il Brasile: 5-1 e niente storia. Si chiude con il Cile, con “soli” due gol al passivo. Il totale, in sei gare giocate, fa 31 gol subiti. Un record impossibile ma, per sfortuna di Medina, reale…

TANTI CAMPIONI

foto Agenzia Liverani

UN TORNEO DA DIMENTICARE

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SERIE B VIRTUS ENTELLA

UN BEL NUMERO UNO

Paroni, giocatore con un talento tutto da vedere

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barcato a Chiavari nel 2008 Andrea Paroni è stato uno dei protagonisti della cavalcata della Virtus Entella, passata in cinque stagioni dalla Serie D alla Serie B, traguardo storico per la società del levante ligure. Stagioni vissute sempre da titolare per diventare uno dei leader di quel gruppo storico che è la forza del club.

Il muro della Virtus Entella di Tommaso MASCHIO

Dalla Serie D fino alla cadetteria, sempre con la consapevolezza di dover migliorare. La storia di Paroni… 50

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foto Giovanni Evangelista_TuttoLegaPro.com

Appena maggiorenne ha lasciato la provincia di Udine per Chiavari. Che ricordi ha di quel trasferimento? “Quando arrivò la proposta non ci pensai molto e accettai quasi subito. Dopo l'esperienza con la Primavera dell'Udinese avevo voglia di giocare con continuità, da titolare perché a quell'età se non giochi non capisci quali sono i tuoi limiti e non puoi crescere. Per questo accettai la Serie D e la Virtus Entella, non volevo fare la panchina in una serie superiore, non perché non accettassi il ruolo di riserva, ma perché pensavo e penso ancora che a 1819 anni si debba giocare. È stata inoltre un'esperienza di vita perché mi sono trasferito a 500km da casa lasciando famiglia e amici per tuffarmi in una città che ora è casa mia da tanti anni”. A Chiavari subito una maglia da titolare che non ha più lasciato fino alla B. Si capiva già allora che si poteva fare la storia? “Il primo campionato fu di transizione visto che la squadra era stata appena promossa dall'Eccellenza e c'era una nuova società, ma si capiva che il presidente aveva progetti importanti e ambiziosi. L'anno dopo infatti arrivammo a un soffio dalla promozione venendo eliminati solo dal Casale, ma poi a causa dei fallimenti di tante squadre arrivò comunque la Lega Pro tramite il ripescaggio ed è iniziato il nostro cammino verso traguardi importanti”. Il suo primo mister è stato Terzulli. Quanto è stato importante per la sua crescita? “Mi volle fortemente, così come il direttore sportivo, venendomi a vedere in diverse occasioni quando giocavo con la Primavera. Mi ha trasmesso fiducia e mi ha sempre dimostrato una grande stima facendomi giocare subito da titolare e aiutandomi a inserirmi e ambien-

SERIE B/ VIRTUS ENTELLA tarmi in un campionato vero dove contano i punti che si fanno e si gioca coi grandi. Lo ringrazio per tutto quello che ha fatto per me”. In Lega Pro avete tenuto la media di una promozione ogni due anni. Quando avete capito di poter arrivare in Serie B? “Dopo il primo anno in cui conquistammo la salvezza siamo sempre stati protagonisti nel nostro girone. Il secondo anno siamo arrivati a un passo dalla promozione venendo battuti dal Cuneo in finale, ma poi arrivò lo stesso la Prima Divisione grazie al ripescaggio. L'anno dopo partendo per salvarci siamo arrivati a un passo dalla Serie B uscendo contro un Lecce costruito per la promozione. Infine l'anno passato c'è stata una cavalcata incredibile conclusa con la storica promozione in Serie B. La società è stata brava a costruire la squadra nel tempo, attorno a un nucleo storico e migliorando anno dopo anno con l'innesto dei giocatori giusti”. Quattro anni firmati Luca Prina. “Anche se come portiere sono più a contatto coi preparatori, il mister ha dato davvero molto in questi anni. È arrivato a stagione in corso nel primo anno di Lega Pro e ci ha portati alla salvezza e poi ai traguardi che tutti conosciamo. Ha fatto cose importanti e tutti gli sono grati per il lavoro svolto”. In questa stagione per la prima volta hai trovato la concorrenza di un portiere importante come Ivan Pelizzoli. Com'è il vostro rapporto? Cosa ha imparato da lui? “In estate la società ha fatto la scelta di puntare su un portiere esperto come Ivan, che ha giocato con maglie importanti come quelle di Atalanta e Roma. Per me è stato uno stimolo e fin dal primo giorno ho cercato di imparare da lui e rubargli qualche segreto. Quando hai la possibilità di allenarti tutti i giorni con un portiere come Ivan sei fortunato e lo devi sfruttare per cercare di migliorati ulteriormente. Vorrei però spendere due parole anche per Achille Coser, altro portiere che conosce tanto la categoria e lo scorso anno ha contribuito alla promozione del Cesena in Serie A. Anche da lui sto imparando molto e mi ritengo fortunato di potermi allenare con due portieri di questo livello e di

questa esperienza”. Si mette spesso l'accento sulla forza del gruppo e il legame fra squadra e città. Sono questi i segreti della Virtus? “Credo che per una realtà come Chiavari trovare un presidente come Gozzi che ha riportato la squadra a certi livelli ridando fiducia ed entusiasmo all'ambiente sia una fortuna. Il rapporto con la città è importante per un giocatore e qui non manca giorno in cui non si senta la stima e l'affetto della gente nei nostri confronti. Per quanto riguarda il gruppo si è formato e consolidato negli anni visto che diversi di noi hanno vissuto tutta la scalata. La società ha saputo scegliere bene non solo i giocatori, ma anche le persone e sono stati ripagati”. A livello personale che obiettivi si pone? “Ora l'unica cosa importante è la salvezza, perché questo è un gioco di squadra e non individuale. Se la squadra va male di conseguenza vai male anche tu. Ed è giusto così, prima vengono gli obiettivi di squadra e poi quelli personali altrimenti farei un altro sport, per esempio il tennis. Poi certo ora che sono arrivato in Serie B dopo tanta gavetta spero di confermarmi in questa serie e di restarci ancora a lungo”. In Italia si parla spesso di una crisi nel ruolo, ma negli ultimi anni tanti giovani si stanno mettendo in mostra fra i pali, anche se non sempre vengono considerati dai grandi club Secondo lei a cosa è dovuta questa scarsa fiducia? “I preparatori italiani sono i migliori al mondo e la nostra scuola resta sempre fra le prime, il problema è la mancanza di fiducia. Perché a un giovane serve sentire la fiducia per rendere al meglio e serve che questa ci sia anche quando inevitabilmente sbaglia. È un discorso che vale per noi portieri come per gli altri giocatori di movimento. In Italia questa fiducia spesso manca mentre all'estero c'è una mentalità diversa che spinge i tecnici e le società a far giocare i ragazzi giovani. Nonostante ciò in questa stagione ci sono tanti portieri promettenti che si sono messi in luce, penso ai fratelli Gomis, a Provedel fino a Gabriel che sta facendo cose straordinarie a Carpi”.

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LEGA PRO/ NOVARA LA FORZA DI FREDDI

L’altra Novara di successo

foto Ufficio Stampa Novara Calcio

Il Novara, a livello di risultati, sta stupendo tutti...

di Alessandro COSATTINI

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Intervista a Freddi e Garufo, due colonne del Novara che vince opo un inizio con il freno a mano tirato, in casa Novara da un po' di tempo a questa parte le cose vanno decisamente meglio (giustizia sportiva a parte). Molti giocatori, abituati a palcoscenici più importanti, inizialmente hanno sofferto l’approccio con la Lega Pro: tra questi Pablo Gonzalez, che nell’anno del Novara in Serie A lasciò brutti ricordi ai tifosi nerazzurri, ma anche Pesce, che ha disputato la massima serie del calcio italiano con la maglia della società piemontese e anche con quella del Catania. I meriti dell’annata novarese sono, però, di tutto il gruppo creato dalla società nella scorsa estate: la

squadra azzurra possiede una delle difese meno perforate dell’intero girone A. Fondamentali per lo scacchiere di Toscano, in zona difensiva ma anche offensiva, sono soprattutto Gianluca Freddi, difensoregoleador con diversi gol all’attivo, arrivato la scorsa estate dal Brescia, e Desiderio Garufo, esterno destro proveniente dal Trapani, che ha già sfornato 5 assist vincenti per i propri compagni. Intervistati in esclusiva da Calcio2000, i due hanno provato a spiegare le difficoltà che la squadra ha avuto nella prima parte di stagione. “All’inizio non è stato facile calarsi nella nuova categoria – ci dice Freddi - perché molti di noi provenivano dalla Serie B, altri addirittura avevano giocato in Serie A. La squadra è stata modificata molto rispetto all’anno passato, per cui in un primo momento era importante conoscersi e soprattutto capire le richieste dell’allenatore. I risultati in quel periodo non arrivavano, ma nonostante questo le prestazioni sono sempre state ottime”. Per Garufo, arrivato a Novara, “per puntare alla Serie A”, perché in un primo momento c’era la speranza di disputare il campionato di Serie B, in avvio ha pesato il fatto di aver perso una categoria. “L’esclusione dal campionato cadetto è stata una piccola delusione, ma le soddisfazioni raccolte in Lega Pro, soprattutto dalla fine del girone d’andata ad oggi, hanno già fatto dimenticare le vicende di fine estate. Non abbiamo trovato avversari che ci abbiano realmente messo in difficoltà. Negli scontri diretti contro le compagini più quotate abbiamo sempre avuto la meglio. Se dovessi fare il nome di un club che ci ha fatto soffrire più degli altri direi la Feralpisalò”. Non è sempre facile l’approdo in una nuova società, ma “l’ambientamento è avvenuto senza alcuna difficoltà – continua l’ex Brescia Freddi - Conoscevo già Bergamelli, con cui ho un grande rapporto di amicizia anche fuori dal campo, e lui senza dubbio mi ha aiutato ad integrarmi con il gruppo. Molti compagni di squadra li avevo sfidati negli anni precedenti, ma anche con loro mi sono trovato sin da subito a mio agio”. foto Ufficio Stampa Novara Calcio

LEGA PRO NOVARA

La piazza novarese negli ultimi anni è stata abituata ad accogliere al Piola squadre come Inter, Milan e Juve tra le altre, ma i tifosi hanno dimostrato di essere molto legati ai propri colori e il loro supporto, anche nei momenti meno felici, è stato fondamentale: “Io non ho mai sentito fischi verso la squadra, magari un po' di dissenso, ma non fischi. Purtroppo in alcune occasioni la fortuna non era dalla nostra parte: creavamo occasioni, ma la palla non ne voleva sapere di entrare in rete. Da parte dei supporters c’è stato sempre incoraggiamento, poi una volta che siamo riusciti a sbloccarci e a vincere più partite consecutivamente il loro tifo è stato ancora più importante per noi”. Per l’andamento del campionato, secondo Garufo, è stato fondamentale l’apporto dato dai giovani: “Molti di loro mi hanno stupito. Faragò e Vicari li conoscevo già dall’anno scorso, avendoli sfidati quando giocavo nel Trapani, le sorprese quindi per me sono state Dickmann, Schiavi e Bianchi. Ma anche i ragazzi che ho citato in precedenza stanno confermando in Lega Pro quanto di buono fatto vedere l’anno passato”.

che in fase offensiva, contribuendo a siglare ben nove reti. “Io nella mia carriera ho sempre avuto un buon fiuto del gol – ci confida Freddi - nonostante a Brescia non fossi riuscito a segnare. Comunque il merito va condiviso con i miei compagni, che sono molto abili nel crossare. Io cerco sempre di smarcarmi al meglio e farmi trovare nel punto giusto quando arriva il passaggio. L’allenatore in seconda, Michele Napoli, cura molto meticolosamente le palle inattive. Gran parte del merito per i gol che realizziamo in questo modo è da attribuire a lui”. Garufo, da parte sua, ha dichiarato che i cinque assist vincenti ai compagni sono frutto del calcio moderno, infatti “gli esterni sono fondamentali al giorno d’oggi, non solo nel modulo di mister Toscano. Sia con la difesa a 3 che a 4, chi ricopre quel ruolo è molto importante per l’intero gruppo. I laterali coprono tutta la fascia, sono i ‘polmoni’ della squadra”. Visto il recentissimo passato in Serie B, non poteva mancare un’opinione sull’assoluta rivelazione dell’attuale campionato cadetto, il Carpi di Castori. “Già l’anno scorso era una buona squadra – l’opinione di Freddi - Sinceramente non penI due difensori nella stagione hanno savo che quest’anno potesse fare dimostrato di poter dire la loro anun campionato di questo livello. Noi abbiamo un gruppo che può emulare quanto fatto dal Carpi. La nostra rosa è composta da 24 giocatori di assoluto livello, speriamo che anche il Novara in pochi anni possa tornare nella massima serie”. Secondo l’ex Trapani il merito del successo del Carpi, oltre che del tecnico, è soprattutto della dirigenza: “Nel meritatissimo primato della squadra si vede la mano della società, che negli anni ha portato avanti un grande progetto: non sono mai stati acquistati giocatori con nomi altisonanti, bensì calciatori con fame e voglia di imparare e crescere. Se andiamo a vedere la maggior parte sono ragazzi che hanno fatto negli anni l’escalation con il Carpi, altri invece sono giocatori che in passato già militavano in Serie B con altre squadre. Questo è un mix vincente, e anche il Novara da anni porta avanti un progetto di questo tipo. Per questo motivo non possiamo che essere DESIDERIO GARUFO ottimisti per il futuro”. Calcio 2OOO

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di Simone TONINATO

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checa nella storia del club: “A conclusione di una stagione più che positiva, che ora ci vedrà protagonisti anche ai play off. La promozione è possibile, perché se qualche società non si dovesse iscrivere in Lega Pro, noi saremo tra le prime posizioni in caso di un eventuale ripescaggio. La piazza lo merita, noi ce la metteremo tutta come abbiamo sempre fatto. Ci crediamo”. Intanto c’è da rispettare la seconda parte del motto “prima il dovere e poi il piacere”. Un piacere che si chiama festa, con annesse emozioni: “Ho avuto la fortuna di vincere qualche campionato e posso dire che si tratta di un momento fantastico, ma avere la possibilità di alzare un trofeo, anche davanti alle telecamere (la partita era trasmessa in diretta tv nazionale, ndr) è un’emozione che solo chi fa parte di questo mondo può comprendere. La festa in campo è stata lunga, sia per noi che per i nostri tifosi. Poi siamo rientrati in albergo e abbiamo cenato tutti insieme, riservando anche un po’ di spazio a qualche coro. Alla fine eravamo a pezzi per la stanchezza, ma non è finita, perché a Monopoli ci aspettano allo stadio e lì continueremo”. Ma è chiaro che se si vince, il merito è sì di chi gioca ma anche di chi in qualche modo contribuisce o ha contribuito: “Il merito è di tutti. Ci sono calciatori con cui abbiamo iniziato questo cammino insieme e che poi nel mercato sono andati via, c’è il direttore sportivo che ha allestito la squadra e poi è andato via. Sono state tutte persone fondamentali per la nostra vittoria. E ringrazio anche voi che avete portato bene, anzi benissimo, quando avete chiamato per fissare l’intervista (ride, ndr). Altrimenti oggi sarei stato tristissimo”. pasquale esposito

MONOPOLI, HAI VINTO! Coppa Italia di Serie D in bacheca e ora c’è un altro sogno…

È uno di quegli episodi che possono condizionare una partita intera”. Proprio come può essere condizionante un cartellino giallo per un difensore, anche se ha sempre avuto Alessandro Nesta come punto di riferimento: “Esatto, perché nel mio ruolo si è sempre costretti a rincorrere l’avversario e a marcarlo, ed è facile beccarsi il cartellino. Essere ammoniti comporta una maggiore attenzione, devi essere in grado di rimanere calmo e gestirti per tutto il resto della gara, perché se sbagli rischi di lasciare la tua squadra in inferiorità numerica”. Poi l’intervallo, le riflessioni e la rimonta: “Nello spogliatoio ci siamo riuniti e abbiamo capito che non potevamo deludere il nostro pubblico e noi stessi. Avevamo puntato tutto sulla coppa e guardarci negli occhi ci ha fatto capire che insieme potevamo farcela. Siamo rientrati con un piglio diverso e abbiamo ribaltato la partita con un gol su azione ed uno su palla inattiva. Da quel momento in poi non facevo altro che aspettare la fine. Non potevamo non farcela, abbiamo superato tante situazioni difficili che una squadra senza attributi non avrebbe retto. La vittoria ce la siamo meritata”. Una cavalcata trionfale, insomma, che fa a cazzotti con i risultati modesti ottenuti dai monopolitani in campionato: “Sono le cose inspiegabili del calcio. In campionato purtroppo abbiamo avuto delle difficoltà all’inizio e ad un certo punto il nostro obiettivo è diventato la coppa, puntando alla salvezza sull’altro fronte. Strano, piuttosto, è che una parte della tifoseria ci chiese di vincere questa competizione fin dall’inizio, in tanti anni di calcio non mi era mai capitata una cosa del genere”. Tifosi accontentati e primo trofeo in ba-

tommaso manzo

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foto Giovanni Barnaba

foto Giovanni Barnaba

foto Giovanni Barnaba

Quando si inizia a vincere si vuole sempre di più...

onopoli: lo dici e tutti pensano si tratti di un gioco da tavolo. Errore. Monopoli, oltre che una città, s’intende, è una casacca bianca e verde a strisce verticali: “Con dei tifosi fantastici” – afferma capitan Esposito, difensore centrale, intervistato durante il viaggio di ritorno in pullman all’indomani della vittoria in finale di Coppa. Oltre settecento chilometri separano Firenze, sede dell’atto conclusivo, da casa, ma: “Ieri allo stadio, c’erano mille persone per noi, per supportarci fino alla fine, non è cosa da tutti. La tifoseria ci è stata sempre vicina, mostrando un grande attaccamento, specie in trasferte incredibili come quella di Agrigento o nella semifinale giocata a Roma. Non so quanti sarebbero disposti a lasciare per un giorno il proprio posto di lavoro pur di seguire la propria squadra, loro lo hanno sempre fatto”. Ma, asfalto a parte, la strada che ha portato alla vittoria sulla Correggese è stata lunga, anche in campo: “È stato un percorso incredibile, iniziato ad agosto, che ci ha visti prevalere su squadre che adesso stanno vincendo il campionato nel proprio girone, è il caso della Lupa Castelli Romani o dell’Akragas… e che vittoria a Taranto. Turno dopo turno abbiamo preso sempre più coraggio e sentivamo di potercela fare. È stata fondamentale la vittoria in casa con il Terracina, perché è arrivata in prossimità del mercato: se avessimo ottenuto un risultato diverso, probabilmente la nostra storia sarebbe cambiata, invece abbiamo vinto e siamo andati avanti”. Poi una deviazione sfortunata in area e il sogno sembra infrangersi proprio in vista del traguardo: “Che sfortuna l’autogol in avvio.

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UN GRUPPO VINCENTE

SERIE D/ MONOPOLI

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SERIE D MONOPOLI

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I RE DEL MERCATO CLAUDIO VIGORELLI

I RE DEL MERCATO / CLAUDIO VIGORELLI UN AGENTE ELEGANTE

Vigorelli ha una passione viscerale per il proprio mestiere...

L’AGENTE DELLA VIA GLUCK

Cresciuto a calcio e Celentano, Vigorelli si racconta: dalle gioie del 1982 sino all’incontro con Mandela.

di Marco CONTERIO foto Porta/Photoviews 56

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I RE DEL MERCATO / CLAUDIO VIGORELLI

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a vita è fatta d'incontri straordinari, di attimi e di semplicità. Che in sé ha qualcosa di magico, che ti prende l'anima e che ti fa sentire a casa. Per questo Claudio Vigorelli si sente “uno della via Gluck”. Definisce la sua vita e la sua carriera fatta da “tanti punti di svolta ed altrettanti di partenza”. Però c'è sempre una casa, quella dei grandi prati verdi, che non si può dimenticare. E da quelle speranze parte la storia di uno degli agenti ed intermediari più conosciuti del panorama italiano ed internazionale. Ma non aspettatevi che gloria faccia rima con boria. Non sempre è così, non in questo caso. Vigorelli non ama parlar di sé e per questo convincerlo a raccontarsi è stato tutt'altro che semplice. È una persona riservata, umile. Uno della Via Gluck, appunto. Quella di Adriano Celentano. “Quella dove sono nato, cresciuto. Via Zuretti 33, una parallela. Da me si parlava solo di Celentano. Per questo, anche oggi, mi sento più rock che lento. Mi feci anche regalare una batteria, da bambi-

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Sono di Via Zuretti, orgoglioso e felice di essere milanese no, perché i miei anni dell'infanzia erano i suoi ma anche quelli dei Beatles”. La vita la porterà poi a girare il mondo, ma sembra esserci sempre una costante. Milano. “Sono milanese ed orgoglioso di esserlo. È casa mia, dove sono cresciuto, dove ho studiato, dove ho le mie profonde radici”. Dove è nato anche il suo amore per il football. “Ho sempre impressa nella memoria la mia prima partita. Mia madre era tifosissima del Milan, andammo a vedere la gara contro la Roma nel secondo anello dei popolari. In tram, passando a prendere mia zia: io, piccolo, con due donne allo stadio. Era il Milan di Rivera”. Era un altro calcio, pure. Che lei, ai

tempi, osservava con occhi sognanti. “Intanto mi diplomai in ragioneria, poi iniziai a lavorare. Ho fatto il rappresentante di tessuti, l'agente di commercio, poi ho iniziato a lavorare in un'agenzia pubblicitaria. All'epoca il lavoro non mancava, negli anni '80 c'era la possibilità per realizzarsi e per cercar di seguire la propria strada”. Di cosa si occupava, in particolare? “Portavo ospiti del mondo del calcio, da Signori a Zola, da Peruzzi a tutti quelli di quegli anni, nei programmi televisivi. Fu il mio approccio lavorativo col pallone e non da appassionato, anche se non ho mai perso la voglia e l'amore per questo mestiere”. Che l'ha portata a fare incontri importanti, con grandi del pallone. “Nel mio studio ho un quadro che ritrae la maglia della Nazionale del 1982 con le firme di tutti i giocatori. Ecco: era l'anno della mia maturità, vedevo quei campioni come icone, come simboli, nel televisore in bianco e nero a casa. È stato un punto altissimo per l'Italia, non solo calcistica. Ed aver avuto, poi, il privilegio di lavorare e di conoscere, bene, persone come Oriali, Tardelli, Collovati e tutti gli altri,

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Ricordo le partite a San Siro: io, mia madre e mia zia, in tram verso lo stadio

PROCACCIATORE DI OSPITI

Ha cominciato portando calciatori nei programmi televisivi...

è stato splendido. È l'aspetto romantico che mi piace ancora del mio mestiere”. Piccola parentesi, sempre sui Mondiali: nel 2006, il 'suo' Materazzi vinse il Mondiale da protagonista. “Immaginatevi l'emozione, la soddisfazione, per uno come me nato e cresciuto a Spagna '82”. Ci ha provato anche da giocatore? “Sì, ma ero un terzinaccio e solo a livelli dilettantistici”. Ok, andiamo oltre. Siamo al 1990, lavora per IMG e cura il marketing sportivo dei calciatori. “Un'agenzia americana, tra le prime a livello mondiale e globale. Gestivamo lo sport management a tutto tondo: io mi occupavo del calcio, ma aveva ed ha branche che riguardano tantissime discipline. È stata, a livello formativo, un'esperienza davvero importante, che mi ha fatto capire che lavorare oltre i confini è determinante per la crescita dell'uomo e del professionista”. Da lì, inizia però a fare anche l'agente. “Il mio primo cliente è stato Michelangelo Rampulla. Adesso, nel 2015, posso dire di far questo mestiere da venticinque anni ma... Non sono mai contento, mai soddisfatto, mi lamento sempre. Tutto è sempre un nuovo punto di partenza, d'inizio, mai di arrivo”. Il primo, però, è importante. “L'esame lo feci nel 1991, quando feci anche una breve esperienza con l'Avvocato Fornaro, agente all'epoca di Zenga, Collovati ed altri campioni”. Com'è stato passare dall'altra parte della barricata? “Ricordo benissimo la prima telefonata con Ariedo Braida, allora uomo mercato

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SI PARTE CON RAMPULLA

MEGLIO DIETRO LE QUINTE

Il primo cliente di Vigorelli è stato un portiere...

del Milan. Una persona eccezionale, ma avevo la voce tremante, imbarazzata al telefono e figuriamoci per il primo appuntamento. Era per Francesco Antonioli. Sa, non è facile entrare in un mondo dove non sei mai stato calciatore, che non hai vissuto in precedenza. Devi vendere la tua professionalità e non hai le porte aperte, non ti conoscono e per questo, inizialmente, devi far più fatica. Ma c'è anche grande soddisfazione”. La cosiddetta gavetta. “Vivo questo mestiere, ma pure la mia vita, con profonda umiltà. Credo che la serietà paghi sempre, anche se poi ci sono dei fattori esterni che mi hanno chiaramente aiutato: ho iniziato con giocatori di alto profilo e vivere a Milano, tanto per non perdere il filo del discorso, è stato un vantaggio. È il centro del mondo del calcio italiano, dove capita sempre di incrociare direttori o presidenti”. Non le piacciono però le luci della ribalta. 60

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Vigorelli non ama particolarmente le luci della ribalta

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Mi tremava la voce nella prima telefonata con Ariedo Braida “Mi piace farlo dietro le quinte, non essere protagonista. È il calciatore che fa diventare grande l'agente: puoi magari supportarlo cambiandogli strada inizialmente, ma poi dipende tutto da lui”. Postilla per chi non la conosce: è molto pacato, umile, ma nelle trattative ha la fama di essere uno tosto. “Credo che la negoziazione sia mediazione. A volte sei intermediario di un club che cede, un'altra di quello che vende, una del calciatore o a volte agente di un ragazzo. Amo il mio lavoro ed anche quello di gruppo, però credo che sia un mestiere molto personalizzante. Però, per la filosofia americana che mi porto

dietro dai tempi della IMG, credo che debba venire prima l'agenzia, non il singolo agente”.

due anni vincere con Alberto è stata una grande soddisfazione. E dire che poteva andare alla Lazio”.

Come vive il rapporto con i giocatori? “Il discorso è tanto semplice quanto complesso: la vita lavorativa di un calciatore è relativamente breve. Per questo devi gestire a trecentosessanta gradi tutto quel che gravita attorno al campo da gioco. Ed a quello, come dicevo prima, deve pensare lui. Noi accompagniamo i ragazzi nelle carriere: a volte sei mental coach, altre un padre, altre un fratello, altre serve più distacco”.

Prego? “Sì, Cragnotti voleva prenderlo, ma poi era impegnato a cercar di strappare Ronaldo all'Inter. Per questo il ds del Monza, Terraneo, mi avvertì e chiudemmo rapidamente col Milan. Prima dicevo della soddisfazione: è questo il bello. È questa la magia. Quando sei intermediario, ok, c'è il business e c'è il lavoro. Ma quando vedi crescere i ragazzi e li vedi arrivare ai traguardi sognati, allora lì ti si riempie il cuore di gioia”.

Ci racconta i suoi punti di svolta? “Uno, sicuramente, l'esordio di Antonioli con il Milan. La mia carriera è sempre andata per gradi, ma ci sono dei momenti che ti lasciano il segno. Come Christian Abbiati che vince lo Scudetto con Zaccheroni”. Lei ed il Milan ci avete creduto davvero. “Giocava in Interregionale, vederlo dopo

Ed il portafogli, tanto che c'è chi vi definisce come i padroni del calcio. “È una cosa che non riesco, ancora, a capire. Il nostro lavoro comporta grandi rischi, sei imprenditore di te stesso. Ogni volta, cerchi di assistere un talento che non sai mai se arriverà. Non siamo tutti quelli del macchinone e delle sparate a microfoni accesi, ma dei professionisti. Io

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Provo forte rabbia quando ci definiscono i padroni del calcio non ho mai messo la pistola alla tempia di nessuna società per chiudere un affare, mi fa venir rabbia questa definizione anche se ci sono alcuni fenomeni mediatici che certo fanno pensare che possa essere azzeccata. Ma non è così”. Viriamo di rotta: prendiamo un aereo, voliamo in Africa, una terra che le ha regalato una grande soddisfazione professionale come Samuel Eto'o. “Mi permette prima uno 'scalo' in Sudafrica?” Ci mancherebbe. “Perché questo lavoro è fatto anche di

belle storie, da vivere, da raccontare. Come una tre giorni in Sudafrica con Pantaleo Corvino, allora direttore sportivo del Lecce. Prendemmo un aereo per vedere un giocatore il venerdì da Milano. Arrivammo a Johannesburg, un mio contatto ci portò alla partita, a trecento chilometri di macchina di distanza. Dopo pochi minuti, il ragazzo si infortunò gravemente e... Non se ne fece di niente. Due giorni dopo, eravamo già in Italia”. Ne avrà, di storie come queste. “Prima mi chiedeva degli incontri. In Sudafrica ho conosciuto Nelson Mandela. È stata un'emozione fortissima”. Immagino. Parliamo di ben altra cosa, in quel caso. “Una persona affascinante, in una terra splendida. Avrei voluto star lì delle ore”. Quelle che spende, solitamente, viaggiando. Come ha fatto in Russia, dove è stato uno degli intermediari dell'affare tra Eto'o e l'Anzhi. Calcio 2OOO

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LA SODDISFAZIONE ABBIATI Dall'Interregionale allo Scudetto con Zaccheroni, grazie a Vigorelli

I RE DEL MERCATO / CLAUDIO VIGORELLI “È chiaro che i soldi siano stati una componente importante, ma non solo. Samuel voleva una nuova sfida: avevo lavorato per portarlo all'Inter, dove vinse tutto e, una volta che ricevette lui la chiamata dalla Russia, mi contattò per curare la trattativa”. Ha portato Samuel anche alla Sampdoria. “Da diversi mesi aveva voglia di rientrare in Italia dove si era trovato bene, la famiglia da tempo vive qua e se ci fosse stata l'opportunità l'avrebbe colta. Non è stata una cosa fatta in fretta. Siamo contenti del risultato finale. L'Africa, però, è anche Kallon”. Ci mettiamo comodi. “Anzi, la Svezia. Le spiego: ho un caro amico che vive lì, a Stoccolma. Mi chiamò per dirmi che c'era la nazionale del Sierra Leone in ritiro e che c'era un ragazzo fenomenale. Insistendo, mi convinse: lo segnalai a Mazzola e l'affare si chiuse”. Gli scherzi del destino.

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Kallon all'Inter grazie ad un mio amico albergatore a Stoccolma “Credo molto nel carpe diem, nel cogliere l'attimo. Male male avrei visitato Stoccolma...”. Saliamo su un altro volo, purtroppo con l'immaginazione: andiamo a Londra? “Ho una sede in Baker Street con il mio partner inglese Charlie Driver, la E3 Sports”. Deve ammettere che 'fa figo' avere una sede in una delle città più belle del mondo. “Non è stato per quello, però: come dicevo, ho sempre voglia di mettermi in gioco, di ripartire. Era una mia necessità, per la mia crescita, voglio fare lì

quel che ho fatto e sto facendo qui in Italia. Cerco sempre nuove sfide che affronterò sempre con lo stesso spirito, con la stessa filosofia. Mi dà sempre tanta passione fare l'agente, l'intermediario, e vorrei avere anche in Premier qualche grande campione e, perché no, un Pallone d'Oro”. Quante lingue parla, scusi? “Parlo male tutte le lingue del mondo (ride, ndr). Scherzi a parte, sono un autodidatta, me la cavo con tutte le lingue, ho anche un insegnante a Londra per affinare l'inglese. Però, al di là di tutto, per fortuna c'è il calcio che è non solo un fattore d'aggregazione, ma pure un linguaggio universale”. Ed i suoi modelli, chi sono? “Suonerà strano, ma sono uno fuori dal coro. Ho ammirazione per chi ha stile e competenza, per chi ha morale. Il mio obiettivo è far crescere i ragazzi con dei valori: sono sposato da venticinque anni e vedo questo lavoro come una missione. Cerchi di trasmettere dei messaggi ai giocatori, di mantenere un'etica. Non COLPO ETO'O

C'è Vigorelli dietro al passaggio dell'ex Inter alla Sampdoria

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VIGORELLI, UOMO DI CALCIO

UNA MAGLIA RICCA DI STORIA

In pochi sanno gestire tanto bene l'uomo calciatore...

Tutte le firme dei Campioni del 1982, la reliquia di Vigorelli...

voglio passare per il moralista di turno, ma non provo invidia per nessuno. Anzi: quando vedo qualche collega che raggiunge un grande risultato, allora è uno stimolo per raggiungerlo. Sono per una competitività sana, genuina, vera”. Le va di raccontarci le sue passioni? “Adoro viaggiare, ma immagino si sia capito. Una volta che appenderò la valigetta al chiodo, che smetterò di fare questo mestiere, allora farò il viaggiatore. Intanto adoro la campagna, ho una casa lì e vado quando posso. Poi amo i vini ed il basket”. Scarpette rosse dell'EA7, c'è da immaginarlo. “Appena ho la possibilità vado a vedere l'Olimpia, sì. È bello anche perché lì sì che puoi essere tifoso, genuino, senza che il lavoro contamini la passione”. Ha dei rimpianti, Vigorelli? “Se parliamo di giocatori, sicuramente Francesco Coco. Ha vissuto una grande 64

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carriera ma avrebbe potuto fare grandi cose. Purtroppo si è ritirato a soli ventotto anni”. E parlando di lei? “No, perché credo che la vita sia fatta di attimi, di momenti, di incontri. Tutto ti aiuta a crescere. Ogni step del mio percorso è stato importante, anche quando ho iniziato col mondo del pallone e del marketing, anche quando assistevo Simona Ventura”.

romantico, ricordo ancora le trattative con la Cremonese negli anni '90 in trattoria, davanti ad una bottiglia di vino col ds Favalli. Al calcio di oggi ci siamo adattati, e va bene così, ma quello lo ricordo con tanto sentimento, con tanta passione”. Quindi è ancora il ragazzo della Via Gluck, non di Baker Street? “Ci mancherebbe. Sono e sarò per sempre, quello della Via Gluck”.

Prego? “Sì: sono stato il suo primo agente. Lavoravo per Giampaolo Fabrizio (il Vespa di Striscia la Notizia, ndr); collaborava con Galagol su Telemontecarlo e Simona stava per passare alla Domenica Sportiva. Sono stato il suo agente, siamo tuttora amici, legati, però la passione per il calcio era troppo forte. E quella ho seguito”. E lo farà ancora? “Certo che sì. Sono un malato del calcio

Intervista di Marco Conterio Calcio 2OOO

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I GIGANTI DEL CALCIO PINO WILSON

IDOLO LAZIALE

Wilson, ancora oggi, è un mito per il popolo biancoceleste

PER SEMPRE “IL CAPITANO”

Wilson, la Lazio, la fascia e il primo scudetto. Un’esperienza all’estero che non ha però interrotto la sua voglia di vivere nella città che lo ha adottato

di Lorenzo DI BENEDETTO foto Federico GAETANO

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I GIGANTI DEL CALCIO / PINO WILSON

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l capitano, con la C maiuscola. Giuseppe Wilson, per tutti Pino, idealmente non si è mai tolto la fascia dal braccio. Lo scudetto del 1974 è ancora impresso nelle menti di tutti i tifosi della Lazio e anche lui non ha nessuna intenzione di lasciare il ruolo di uno degli uomini simbolo del primo titolo biancoceleste. Poi le lacrime, un momento di forte emozione, al solo ripensare al condottiero di quella squadra che stupì tutti portandosi sul tetto d’Italia per la prima volta nella sua storia, quel Tommaso Maestrelli che non potrà mai lasciare la sua mente, ma soprattutto il suo cuore: “Quest’uomo mi ha dato tutto, sia a me che al resto del gruppo. Attraverso il suo modo di fare, di comportarsi. Era un punto di riferimento”. La commozione nel suo volto, inequivocabile. “Devo fermarmi un attimo”. Ci mancherebbe. Ma poi la sua forza riprende il sopravvento e riparte. Madre italiana e padre inglese: d’Italia per la prima volta nella sua storia, quel Tommaso Maestrelli che non potrà mai lasciare la sua mente, ma soprattutto il suo cuore.

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“” Maestrelli

AI TEMPI DELLA LAZIO Wilson con la gloriosa casacca biancoceleste

è stato Importantissimo per tutto il nostro gruppo. Ci ha dato tutto Madre italiana e padre inglese: il suo cognome sotto questo aspetto certo non mente, ma il suo sangue appartiene al Bel Paese, visto che dopo soli sei mesi di vita si trasferì a Napoli, e da quel momento in poi non ha più lasciato il Bel Paese: “Sono nato in Inghilterra, ma il volere di mia madre ha fatto sì che tornassi fin da subito in Italia e da quel momento in poi è iniziata la mia vita da napoletano. Ho iniziato molto tardi a giocare a calcio, anche perché ai tempi in cui ho cominciato non esistevano le scuole calcio e insieme ai miei amici giocavamo per strada, con due sassi che ci facevano da porta. A quei tempi esistevano solo i palloni da calcio e tutti i ragazzi erano interessati soltanto a questo sport”.

Com’è iniziata la sua vera carriera da calciatore? “Insieme a quattro amici del mio quartiere andai a fare un provino. Non potrò mai dimenticarmi quel giorno, era un giovedì, e ci allenammo in un campo disastroso, in una giornata molto brutta dal punto di vista meteorologico. Fummo presi in tre e da quel momento è iniziata la mia vita da calciatore. I primi sei mesi nascosi questa cosa ai miei genitori, visto che pensavano al fatto che dovessi studiare prima di fare ogni altra cosa. Mi facevo lavare i panni dalla madre di un mio amico, ma poi arrivarono i primi articoli sui giornali, le prime telefonate a casa, e i miei si resero conto della mia nuova attività. Non mi hanno mai osta-

UOMO GUIDA

foto Agenzia Liverani

La Lazio di Maestrelli aveva in Wilson un punto di riferimento

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Dalla strada al campo. Successivamente come si è sviluppato il suo percorso professionale? “Fui convocato per la prima volta con la Rappresentativa della mia regione e lì iniziai a giocare con alcuni compagni che sarebbero poi arrivati in Serie A, come per esempio Juliano, Montefusco e Cordova. Eravamo una squadra molto forte, tant’è che non perdemmo neanche una partita per tre anni. Vincemmo un titolo italiano Juniores e già in quella squadra ero il capitano”. Poi l’ulteriore salto di qualità? “Esattamente. Approdai alla Cirio, società campana che ha preso poi il nome di Internapoli, e il tasso di difficoltà della partite che giocavamo si alzò molto. Ci scontravamo contro formazioni calabresi e siciliane su campi molto difficili sia dal punto di vista del terreno di gioco che CHE PIACEVOLE LETTURA Ancora oggi, si diletta con il mondo del pallone

“” Pensavo di dover andare al Napoli, ma poi fui ceduto alla Lazio. In quel momento non la presi bene del clima sulle tribune. In questo modo mi sono fatto le ossa, soprattutto dal punto di vista ambientale, ma anche da quello tecnico, visto che ho avuto la fortuna di aver avuto sempre allenatori molto bravi”. Ce n’è uno in particolare, di quel periodo, che ricorda più degli altri? “Sicuramente Luis Vinicio, ovvero l’ultimo che ho avuto all’Internapoli prima del mio arrivo alla Lazio. Avevo sempre pensato al calcio come un gioco, la Serie C era già un punto di arrivo per me, anche perché mi ero iscritto all’università e non avrei mai pensato di lasciare la mia città”.

Cosa le ha fatto cambiare idea? “Si fece largo la notizia, veritiera, del mio passaggio al Napoli. Non potevo immaginare niente di meglio per me, visto che avrei giocato in Serie A con la maglia azzurra. Il tempo di fare pochi chilometri in macchina però, che il mio vice Presidente mi telefonò dicendomi che la trattativa con il Napoli era saltata e che ero invece stato ceduto alla Lazio”.

GRANDI AVVERSARI Wilson ha affrontato tanti campioni, qui è con Rivera

Fu contento di ricevere questa telefonata? “Assolutamente no. Mentre tornavo a casa avevo dentro di me una tristezza incredibile. Mi ero sposato da soli 3 mesi e sapevo che sarebbe stata dura lasciare la mia casa. Arrivai tardi in Serie A, visto che avevo già 23 anni, e la cosa più strana è che ci arrivai con la maglia della Lazio che mi aveva già cercato quando ero appena maggiorenne ma rifiutai proprio per la mia volontà di non voler partire da Napoli. Probabilmente però il destino ha voluto che la mia vera pelle diventasse biancoceleste”. Una carriera iniziata nel 1969, fino ad arrivare allo scudetto del 1974?

foto Agenzia Liverani

colato, e soprattutto non si sono mai interessati. Per questo non sono mai stato influenzato dal loro, come invece accade oggi, dove i genitori, molto spesso, finiscono per incidere troppo nella vita calcistica dei figli”.

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“Fin dalla mia prima gara nella Capitale ho avuto la fortuna di scendere in campo da titolare, e da quel momento in poi, lo sono rimasto per tutta la mia avventura a Roma. Il mio obiettivo era quello di migliorare sempre, giorno dopo giorno”. Poi l’incontro con Tommaso Maestrelli. “All’inizio non è stato semplice. Il primo approccio con l’ambiente della Lazio non fu dei migliori per il Mister. Andò subito in rotta di collisione con la tifoseria, ma proprio da questo capii subito la tempra di quest’uomo che riuscì a riconquistare l’affetto dei tifosi creando un legame indissolubile tra la squadra e i sostenitori biancocelesti. Maestrelli è rimasto nel cuore della gente e nessuno mai potrà cancellare questo sentimento”. Che tipo di squadra era la Lazio del Tricolore? “Eravamo molto vivaci, ma lo stesso Maestrelli è riuscito a coniugare tutte le personalità presenti nello spogliatoio creando una squadra molto competitiva sotto tutti i punti di vista fino ad arrivare al campionato 1972/73, quando chiudemmo la stagione al terzo posto, a -2 dalla Juventus che vinse lo scudetto. L’ultima

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Io parto sempre da un presupposto: il giocatore è un patrimonio del tifoso giornata giocammo e perdemmo a Napoli, in un clima surreale, non riuscendo a raggiungere i bianconeri in classifica. Nessuno si sarebbe potuto immaginare un exploit di quel tipo dalla Lazio, anche perché eravamo una neopromossa”. L’anno seguente invece, è arrivato il primo scudetto. “È stata un’emozione incredibile, indescrivibile. Anche oggi, a distanza di 40 anni, il gruppo è molto unito, pur con le defezioni che sappiamo tutto. Il successo è scaturito in modo inconscio, e abbiamo concluso il ciclo lo scorso anno, quando eravamo terzi in classifica nel periodo di Pasqua. In quel momento il mister si è ammalato e da allora nessuno di noi ha

più pensato a giocare a calcio. Perdemmo in casa con il Torino per 5-1. Avevamo staccato la spina”. Durante la stagione successiva però Maestrelli è tornato. “Esattamente. Il male che lo ha colpito ce lo ha concesso per un altro anno e mezzo. Ci ha portato alla salvezza, ma poi, sfortunatamente, ci ha lasciato per sempre”. Qual era il suo rapporto con Chinaglia? “Ho conosciuto Giorgio nel 1966, veniva dalla Massese e arrivò a Napoli. Faceva molto caldo, ma lui arrivò con l’impermeabile verde, i pantaloni rossi e la bombetta. Un tipo molto stravagante. Abbiamo fatto il nostro percorso calcistico praticamente parallelo, dall’Internapoli alla Lazio, fino alla Nazionale e ai New York Cosmos. Ci siamo sempre rispettati e non ho mai avuto neanche uno screzio con lui, a parte quando decisi di tornare in Italia dagli Stati Uniti mentre lui voleva che restassi e mi offri tantissimi soldi. Io però avevo già preso la mia decisione, dettata dal cuore e non dalla ragione. Non ci siamo parlati per sei mesi, ma dopo tutto è rientrato”. Calcio 2OOO

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LA FORZA DI GIUSEPPE

È stato lui il giocatore più forte con il quale ha giocato? “Devo dire che sotto il profilo della personalità sicuramente sì. Ha cambiato anche il rapporto della Lazio con i suoi tifosi. Sotto il piano tecnico però devo dire che D’Amico è stato il migliore. Non ha ottenuto ciò che meritava, forse a causa del suo carattere”.

Di Thomas Saccani

foto Liverani

Da Darlington alla conquista della capitale, la strana storia calcistica di Wilson…

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l cognome è già un indizio: Wilson. Assonanze tipicamente britanniche, dovute al padre, un soldato inglese, innamoratosi di una bella figliola del Vesuvio. In Inghilterra, per fortuna del calcio italiano e, in particolare, della Lazio, Giuseppe ci resta poco. L’Italia lo abbraccia da bambino. L’amore per il pallone è forte (in famiglia preferirebbero che si dedicasse allo studio e non a dare calci ad una palla), normale che si dedichi alla pratica, anche se cercando di non farlo sapere in giro. Comincia con il Cirio, società con una valenza decisamente aziendale. Quando il consorzio italiano specializzato nelle conserve alimentari (Cirio appunto), cede il titolo sportivo all’Internapoli, c’è anche Giuseppe nel pacchetto. In serie C, questo difensore (terzino, libero, e, in qualche caso, anche abile a centrocampo) molto attento a quello che accade in campo, mostra un talento interessante. La Lazio decide di puntare su di lui. E’ il 1969. Sin dalla prima stagione è un titolare (si toglie anche la soddisfazione di segnare il suo primo gol in biancoceleste in Coppa Italia). E’ l’inizio di una lunga storia d’amore con il club capitolino che troverà il suo apice nella stagione dello scudetto (1973/74). Un’avventura mitica, con Wilson sempre al centro del progetto. Ben 30 le presenze in quel campionato irripetibile, con anche la soddisfazione di segnare un gol decisivo. Accade il 14 ottobre

LA FORMAZIONE CAMPIONE D'ITALIA '73/'74 1973. I biancocelesti ospitano la Sampdoria. La partita non si sblocca, fino all’83’ quando proprio Wilson trova il guizzo che vale il successo (conclusione all’altezza del dischetto del rigore che trafigge Cacciatori, estremo difensore della Samp), uno dei tanti dell’annata. “Al momento del tiro, ero così emozionato e poco ci è mancato che lo sbagliavo”, dirà, nel dopo partita del match, lo stesso capitano biancoceleste. Con la Lazio colleziona, in 11 anni di militanza, ben 394 presenze, con anche otto reti all’attivo. Grande amico di Chinaglia (gli cederà anche la fascia di capitano nella cavalcata al Tricolore), lo segue anche negli States, per giocare con i mitici NY Cosmos, una formazione davvero leggendaria. Lo scandalo scommesse gli chiude qualche porta ma, alla fine, la sua classe resta immacolata. Secondo tanti addetti ai lavori, Wilson ha interpretato il ruolo di difensore come pochi altri. La sua grande capacità di stare in campo senza mai dare l’impressione di essere in difficoltà, davanti a qualsiasi avversario, è una foto indelebile nella mente dei tanti tifosi laziali che, insieme a lui, hanno vissuto le gioie della Lazio degli anni ’70, quella del mitico scudetto targato Maestrelli…

LA CARRIERA DI PINO WILSON

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Una carriera terminata però in maniera brusca, con lo scandalo legato al calcio scommesse. “Dal punto di vista giuridico siamo stati tutti assolti e anche per quel che riguarda le squalifiche legate al campo io fui quello che prese meno di tutti. L’unica partita nella quale ero indagato era quella contro il Milan, dove non abbiamo fatto niente di male. Questo avvenimento ha sconvolto la mia vita: quando dissi a Chinaglia che non sarei rimasto ai Cosmos lo feci perché avevo in mano un contratto di tre anni, prolungabile a cinque, per

fare il Direttore Generale alla Lazio”.

Adesso né i giornalisti né i tifosi hanno rapporti con i giocatori. Le sembra giusto? “Assolutamente no. La gente deve vedere all’opera i calciatori, avendo però rispetto del loro lavoro. Io parto sempre da un presupposto: il giocatore è un patrimonio del tifoso. Il rapporto tra le due parti non deve essere inficiato dalla società, tranne che in alcuni periodi molto particolari”.

Adesso i calciatori chiudono le loro carriere nei campionati minori, molto spesso di fronte a contratti faraonici. Cosa la convinse a lasciare l’Italia per andare negli Stati Uniti? “Volevo semplicemente provare una nuova esperienza. Sapevo già che sarei tornato alla Lazio e mi allontanai soltanto per l’estate. A distanza di anni forse rivedrei la mia scelta”.

Come descriverebbe la tifoseria della Lazio? “Innanzi tutto devo dire che è molto passionale, tiene molto all’appartenenza. Il tifoso interpreta il calcio come qualcosa che gli appartiene, sente propria la squadra e credo che vada rispettato per questo. L’atto di violenza è da condannare, ci mancherebbe, ma la contestazione va accettata”.

Com’era il rapporto tra i giocatori e i giornalisti negli anni ‘70? “Avevamo il massimo rispetto l’uno dell’altro. Noi calciatori davamo l’opportunità ai cronisti di entrare anche nello spogliatoio, ma dall’altra parte loro

Il suo rapporto con la Nazionale italiana? “Sono arrivato tardi in Serie A e di conseguenza anche in Nazionale. Avevo tantissimo rispetto di Burgnich che faceva il mio ruolo. Sono felice di aver fatto parte DOLCI RICORDI

Squadra

Presenze

Gol

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Internapoli Internapoli Internapoli Internapoli Lazio Lazio Lazio Lazio Lazio Lazio Lazio Lazio Lazio N.Y. Cosmos Lazio Lazio

18 34 34 38 29 34 48 34 42 34 41 33 37 16 33 29

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foto Agenzia Liverani

Pino insieme a fuoriclasse del calibro di Riva, ReCecconi, Bearzot e l'amico Chinaglia...

Stagione

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Qual è stata la partita più bella disputata con la maglia della Lazio? “Ce ne sono tante, ma se devo dirne una penso ad un derby finito 0-0. Ho ancora a casa un giornale del giorno dopo che diceva che il primo tempo era terminato Roma 0 – Wilson 0”.

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Vincere lo scudetto da capitano della Lazio è stato qualcosa di incredibile e indescrivibile

sapevano che alcune cose sarebbero dovute rimanere all’interno di esso”.

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I GIGANTI DEL CALCIO / PINO WILSON

UOMO DI GRANDE SPESSORE

INSIEME A LOVATI

In campo e fuori, Wilson è sempre stato una persona elegante

foto Agenzia Liverani

Altra foto d'epoca per il capitano della Lazio di Maestrelli

di quella selezione, anche se il Mondiale del 1974 fu uno dei più sfortunati per l’Italia. Non perdevamo mai, ma alcuni fattori esterni hanno portato quella squadra a fallire”. Com’è cambiato il calcio da quando ha smesso di giocare fino ad oggi? “È cambiato come tutto il resto del contesto sociale. Faccio un esempio molto banale: una volta nel condominio di un palazzo si conoscevano tutti, oggi invece è il contrario. Non è questo l’unico aspetto. Ci sono tanti soldi in più rispetto al passato e anche questo ha inciso molto”.

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di tradire qualcosa. Nei miei tanti difetti ho un pregio che è la riconoscenza. Rimango dove sono, anche perché sto bene”. Tornando a parlare della sua carriera da calciatore, ha un rimpianto? “Il rimpianto è sempre qualcosa di negativo, ma io ho sempre fatto le mie scelte con la mia testa. Nessuno ha mai messo bocca. Quando uno prende una decisione senza influenze esterne quella è sempre la più giusta. Se però devo dirne uno penso al 1980: in quel caso sono stato troppo superficiale”.

Chi è oggi Pino Wilson? “Sono rientrato nel mondo del calcio e a Roma, ancora oggi, non vengo chiamato per nome ma sono sempre ‘il capitano’. Questa cosa mi gratifica. Da 8 anni faccio l’opinionista sia in radio che in televisione. La Lazio è sempre al centro della mia vita”.

Qualcuno ha mai provato a portarla via dalla Lazio? “Si. Nel 1971 la Fiorentina mi voleva. A quei tempi la squadra viola era molto forte, Firenze era una piazza voluta da molti giocatori, ma il mio destino era un altro, tant’è che dissi all’allora presidente della Lazio che se mi avesse ceduto gli avrei messo contro tutta la curva”.

Le piacerebbe rientrare dentro il vero mondo del calcio? “Ho già detto no tempo fa, mi sembrava

Lei ha vissuto in un periodo nel quale il campionato italiano era il migliore al mondo, oggi invece non è più così.

Cosa si dovrebbe fare per tornare al top? “Per prima cosa credo che si dovrebbe tornare a puntare sui giovani italiani e non sugli stranieri. Oggi ce ne sono troppi, soprattutto nei vivai. Non esistono più i settori giovanili, perché anche i più piccoli vengono acquistati per tanti soldi. Si dovrebbe tornare a investire su tutto il movimento dei giovani, solo in quel modo si può sperare che il nostro calcio torni ad essere quello di un tempo. Penso alla Lazio, che in questa stagione ha trovato Cataldi. Sono queste le vittorie di una società”.

Intervista di Lorenzo Di Benedetto Calcio 2OOO

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SPECIALE STORIA - COPPA DEI CAMPIONI

di Gabriele PORRI

Il Liverpool del partente Keegan si porta a casa un successo inatteso…

foto Agenzia Liverani

VERDETTO INATTESO Borussia al tappeto, trionfo per il Liverpool...

L’EUROPA è REDS 76

Calcio 2OOO

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opo l’Ajax, anche il Bayern ha raggiunto la sua terza vittoria di fila con l’obiettivo dichiarato di raggiungere le cinque iniziali del Real Madrid. Non sarà facile, poiché la concorrenza è valida: con l’altra tedesca di Mönchengladbach, ci sono il solito Real, il Saint-Étienne finalista uscente e il Liverpool, portato in alto da Bill Shankly dopo gli anni bui della Second Division, lasciata definitivamente nel 1962 dopo otto stagioni di fila. Lo scozzese ha conquistato tre titoli nazionali e due Coppe UEFA, gli mancherebbe all’appello solo la “European Cup” che però non vincerà mai, poiché nel 1974 sorprende tutti ritirandosi e lasciando la panchina al vice Bob Paisley, al Liverpool già dal 1939, come giocatore. Per l’Italia c’è il debuttante Torino, reduce dal primo, storico scudetto dopo Superga. Dopo il titolo sfiorato con nel 1972, a un punto (insieme al Milan) dalla Juventus, sotto la guida di Radice il Toro stavolta supera di due punti i “cugini”. Con Pulici e Graziani, ribattezzati dalla stampa e dai tifosi “I gemelli del gol” a ragione, visti i 36 gol in due, ci sono l’ottimo portiere Castellini detto “Giaguaro”, Claudio Sala all’ala destra, Pecci regista, Zaccarelli in rifinitura e una batteria di solidi difensori e mediani. Al primo turno, il Toro riesce con fatica a liberarsi dei bravi svedesi del Malmö, per poi incappare nel temibilissimo ostacolo Borussia. Nonostante la partecipazione di due squadre tedesche occidentali, non è necessario alcun turno preliminare, le squadre sono 32 poiché continua l’isolamento politico-calcistico dei club albanesi. Nel turno inaugurale la rivelazione sono gli svizzeri dello Zurigo che, trascinati dal bomber di origini siciliane Franco Cucinotta, fanno fuori inaspettatamente i Glasgow Rangers, con un pareggio a Ibrox per 1-1 e un successo di misura in casa, 1-0 con gol di un altro italiano, il bergamasco Rosario Martinelli. Il Bayern esordisce con un 5-0 in casa dei dilettanti danesi Køge Boldklub. Bene anche il Liverpool contro il Crusaders, fatica invece il Saint-Étienne ad avere la meglio del CSKA Sofia e deve ribaltare la sconfitta dell’andata il Mönchengladbach contro l’Austria Vienna. Tutto sommato, gli ottavi vedono in lizza il meglio del lotto e vedono l’eliminazione del Real Madrid di fronte a un’altra realtà emergente, il Bruges allenato dal “santone” austriaco Ernst Happel, una sorta di Re Mida del calcio europeo. Dopo avere resistito al Bernabeu, i campioni belgi trovano il gol di LeFevre e l’autorete di Rubiñan, ininfluente l’errore dal dischetto di Lambert. Dicevamo del Torino. Nella gara casalinga contro il Borussia, già assente Pecci, è fuori dopo un quarto d’ora anche Claudio Sala sostituito da Pulici, lasciato in panchina in fa-

SPECIALE COPPA DEI CAMPIONI/ 1976-1977 vore di Garritano, perché anch’egli reduce da un infortunio. Il Toro soffre gli inserimenti di Vogts, che porta in vantaggio i suoi alla mezzora. Pareggia nella ripresa Patrizio Sala, con un tiro dal limite deviato da Wittkamp, ma prima della fine Klinkammer batte Castellini per l’1-2, dopo una serie di sfortunate azioni dei granata, sfumate a tu per tu col portiere tedesco Kneib. A Düsseldorf, un Torino decimato dall’arbitro belga Delcourt termina in otto, con Caporale, Zaccarelli e Castellini espulsi, Graziani finisce in porta e ne sortisce un eroico 0-0, troppo poco per passare. Ai quarti il Borussia è raggiunto dai connazionali del Bayern e dal Liverpool, costretti alla rimonta casalinga rispettivamente con Banik e Trabzonspor. Zurigo, Saint-Étienne, e le due Dinamo, quella di Dresda e quella di Kiev, completano il lotto. Al terzo turno, arriva la sorpresa più grande. Il Bayern, accoppiato ai campioni sovietici, deve fare a meno di Gerd Müller per entrambe le sfide, ma all’Olympiastadion a fare gol ci pensa il suo sostituto, Künkel. Al ritorno, di fronte ai 100.000 del Zentralny a sette minuti dalla fine è ancora 0-0, con Maier che devia sul palo un rigore di Blochin al 39’. Quando l’arbitro Linemayr, qualche minuto più tardi, indica nuovamente gli undici metri è Burjak a presentarsi davanti a Maier e stavolta segna. Altri quattro minuti e il subentrato Slobodian devia di testa una punizione dalla sinistra. Con l’eliminazione del Bayern, c’è una sola certezza: avremo un nuovo vincitore, visto che le restanti sette squadre sono ancora all’asciutto in questa competizione. A sorpresa arriva in semifinale anche lo Zurigo, che trova nuovamente in Cucinotta il mattatore. Il 24enne, prelevato dal Sion, è al suo primo contratto da professionista e a fine primo tempo va in rete contro la Dinamo Dresda. Pareggia Kreische, ma è l’altro bomber del FCZ, Peter Risi, a trovare il gol vittoria all’89’. A Dresda la squadra di Konietzka trova una storica semifinale grazie ai gol in trasferta. A parte il rigore iniziale di Schade, i protagonisti sono gli stessi dell’andata: l’1-1 è di Cucinotta, poi la doppietta di Kreische e il 3-2 ancora decisivo di Risi. Il Liverpool ha raggiunto senza intoppi i quarti. Qui trova i Verts di Saint-Étienne, dominatori del calcio francese nel decennio. Un gol di Bathenay nelle fasi finali dà la vittoria agli uomini di Herbin all’andata e ad Anfield dopo soli due minuti pareggia i conti Keegan. Nella ripresa, ancora Bathenay da fuori costringe i Reds a dover segnare due reti per passare. Al 54’, Kennedy realizza il 2-1, ma il gol decisivo arriva a una manciata di minuti dal termine con Fairclough. Nell’ultimo quarto, parte bene il Bruges che a Düsseldorf va sul 2-0 contro il Borussia. Le reti di Kulik e Simonsen riportano la sfida in parità, ma ai renani tocca vincere nelle Fiandre per ottenere la semifinale. Happel e i suoi resistono

finché Lattek non trova il coniglio nel cilindro con il giovane Hannes, che realizza il gol decisivo. Zurigo-Liverpool e Dinamo Kiev-Borussia sono dunque le semifinali. La prima si rivela poco equilibrata nonostante il vantaggio zurighese all’andata, con il rigore segnato da Risi dopo soli sei minuti: botta centrale, Clemence la tocca ma non la ferma. Suonano i campanacci, ma il Liverpool non si scompone e trova il pari con Phil Neal, che sbuca da destra dopo una punizione di Kennedy, stoppa e batte Grob. Nella ripresa segnano Heighway e ancora Neal su rigore e il Liverpool può tornare tranquillo ad Anfield. Lì trova una doppietta del giovane Case e una rete di Keegan, già promesso sposo dell’Amburgo, ed è finale. Il Liverpool ha già vinto il titolo inglese e vuole il Treble, ma pochi giorni prima della finale europea perde quella di FA Cup con il Manchester United. A Roma, però, i Reds ci vanno comunque carichi di speranze. Lì trovano il Borussia ed è il quarto anno di fila con una tedesca in finale. La sfida con gli uomini del giovane Lobanovsky è molto equilibrata, a Kiev la Dinamo ottiene un successo di misura con Onischenko e avendo subito un solo gol in tutta la coppa spera di farcela. Tuttavia, al Rheinstadion Bonhof segna su rigore, dopo una ventina di minuti e a soli otto dal termine Wittkamp, in tuffo di testa, regala la finale ai suoi. Non c’è un vero favorito nella gara dell’Olimpico, come i suoi avversari anche il Borussia ha riconquistato il proprio campionato. La mossa vincente di Paisley è mettere Keegan a disturbo di Vogts per impedirne gli inserimenti, il gol arriva verso la mezzora con Terry McDermott, che dopo una lunga sgroppata batte Kneib su assist di Heighway. Prima c’era stato un palo di Bonhof. L’ottimo lavoro degli inglesi è sprecato da un retropassaggio sbagliato su cui si inserisce Simonsen con un potente diagonale: è 1-1. I tedeschi sperano di ribaltare il punteggio, ma Simonsen di testa spreca a lato, poi Stielike si trova solo davanti a Clemence, ma il portiere inglese in uscita disperata respinge il suo tiro. Arriva invece il 2-1 del Liverpool e lo segna un difensore centrale, Smith (unico reduce della semifinale nel 1965), nel più classico dei modi: di testa su corner. A otto minuti dalla fine Vogts stende Keegan in area e Neal segna il 3-1 su rigore, Emlyn Hughes alza la prima storica coppa del Liverpool. “Era la nostra diciassettesima partita in sei settimane – dichiarerà alla fine Paisley – è stata dura. Al primo errore ci hanno puniti, ma i ragazzi non si sono abbattuti e hanno portato a casa la coppa”. Lattek, che non riesce così a vincere la seconda coppa con due squadre diverse, si lamenta per i troppi errori. Il Liverpool, con Keegan partente e alcuni pilastri a fine carriera, per smentire i pronostici nefasti per il futuro dovrà rinnovarsi: ci riuscirà? Calcio 2OOO

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SEMIFINALE 1

SEMIFINALE 2

FINALE

DINAMO KIEV-BORUSSIA MÖNCHENGLADBACH 1-0 (0-0)

ZURIGO-LIVERPOOL 1-3 (1-1)

LIVERPOOL-BORUSSIA MÖNCHENGLADBACH 3-1 (1-0)

Mercoledì 6 aprile 1977, ore 20 ZURIGO (Stadio "Letzigrund") Arbitro: Babaçan DOGAN (TUR) Spettatori: 30.000

Mercoledì 25 maggio 1977, ore 20:15 ROMA (Stadio "Olimpico") Arbitro: Robert WURTZ (FRA) Spettatori: 52.078

DINAMO KIEV: Evgeny RUDAKOV, Anatoly KONKOV (cap.), Viktor MATVIENKO, Mikhail FOMENKO, Stefan RESHKO, Vladimir TROSHKIN, Vladimir MUNTYAN, Vladimir ONISCHENKO, Leonid BURJAK, Aleksandr BEREZHNOI [63' Petr SLOBODIAN], Oleg BLOKHIN Commissario tecnico: Valery LOBANOVSKYI.

ZURIGO: Karl GROB, Pierre Albert CHAPUISAT, Max HEER, Hilmar ZIGERLIG, Pius FISCHBACH, Ernst RUTSCHMANN [46' Urs DICKENMAN], Jakob KUHN (cap.), René BOTTERON, Hansjörg WELLER [58' Georg ALIESCH], Peter RISI, Alfred SCHEIWILER Commissario tecnico: Friedhelm KONIETZKA.

LIVERPOOL: Raymond CLEMENCE, Philip NEAL, Joseph JONES, Thomas SMITH, Raymond KENNEDY, Emlyn HUGHES (cap.), Kevin KEEGAN, James CASE, Stephen HEIGHWAY, Ian CALLAGHAN, Terence MC DERMOTT Commissario tecnico: Robert PAISLEY.

BORUSSIA MÖNCHENGLADBACH: Wolfgang KNEIB, Hubert VOGTS (cap.), Hans KLINKHAMMER, Hans Jürgen WITTKAMP, Rainer BONHOF, Horst WOHLERS, Allan SIMONSEN, Herbert WIMMER, Christian KULIK, Ullrich STIELIKE, Josef HEYNCKES Commissario tecnico: Udo LATTEK.

GARA DI ANDATA

Mercoledì 6 aprile 1977, ore 19 KIEV (Stadio "Zentralny") Arbitro: Pablo SANCHEZ IBAÑEZ (ESP) Spettatori: 102.000

LIVERPOOL: Raymond CLEMENCE, Philip NEAL, Joseph JONES, Thomas SMITH, Raymond KENNEDY, Emlyn HUGHES (cap.), Kevin KEEGAN, James CASE, Stephen HEIGHWAY, David FAIRCLOUGH, Terence MC DERMOTT Commissario tecnico: Robert PAISLEY.

Rete: 71' Vladimir ONISCHENKO.

Reti: 6' rigore Peter RISI, 15' Philip NEAL, 47' Stephen HEIGHWAY, 67' rigore Philip NEAL.

Ammoniti: 42' Mikhail FOMENKO, 70' Hubert VOGTS.

Ammoniti: 11' Thomas SMITH, 26' Hilmar ZIGERLIG.

BORUSSIA MÖNCHENGLADBACH-DINAMO KIEV 2-0 (1-0)

LIVERPOOL-ZURIGO 3-0 (1-0)

Mercoledì 20 aprile 1977, ore 20 DÜSSELDORF (Stadio "Rhein") Arbitro: Francis RION (BEL) Spettatori: 70.000

Mercoledì 20 aprile 1977, ore 19:30 LIVERPOOL (Stadio "Anfield Road") Arbitro: Sergio GONELLA (ITA) Spettatori: 50.611

BORUSSIA MÖNCHENGLADBACH: Wolfgang KNEIB, Hubert VOGTS (cap.), Hans KLINKHAMMER, Hans Jürgen WITTKAMP, Rainer BONHOF, Horst WOHLERS, Allan SIMONSEN, Herbert WIMMER, Christian KULIK, Ullrich STIELIKE [78' Wilfried HANNES], Herbert HEIDENREICH Commissario tecnico: Udo LATTEK.

LIVERPOOL: Raymond CLEMENCE, Philip NEAL, Joseph JONES, Thomas SMITH, Raymond KENNEDY, Emlyn HUGHES (cap.), Kevin KEEGAN, James CASE, Stephen HEIGHWAY [71' Alan WADDLE], David JOHNSON, Terence MC DERMOTT Commissario tecnico: Robert PAISLEY.

DINAMO KIEV: Evgeny RUDAKOV, Anatoly KONKOV (cap.), Viktor MATVIENKO, Mikhail FOMENKO, Stefan RESHKO, Vladimir TROSHKIN, Valeri ZUEV [54' Vladimir MUNTYAN], Vladimir ONISCHENKO, Leonid BURJAK, Aleksandr BEREZHNOI, Oleg BLOKHIN Commissario tecnico: Valery LOBANOVSKYI.

GARA DI RITORNO

GARA DI RITORNO

GARA DI ANDATA

SPECIALE COPPA DEI CAMPIONI/ 1976-1977

BORUSSIA MÖNCHENGLADBACH: Wolfgang KNEIB, Hubert VOGTS (cap.), Hans KLINKHAMMER, Hans Jürgen WITTKAMP, Rainer BONHOF, Horst WOHLERS [79' Wilfried HANNES], Allan SIMONSEN, Herbert WIMMER [24' Christian KULIK], Ullrich STIELIKE, Frank SCHÄFFER, Josef HEYNCKES Commissario tecnico: Udo LATTEK. Reti: 27' Terence MC DERMOTT, 51' Allan SIMONSEN, 65' Thomas SMITH, 82' rigore Philip NEAL. Ammonito: 86' Ullrich STIELIKE.

ZURIGO: Karl GROB, Max HEER, Pius FISCHBACH, Hilmar ZIGERLIG, Pierre Albert CHAPUISAT, Jakob KUHN (cap.), Pirmin STIERLI, Franco CUCINOTTA, Peter RISI, Hansjörg WELLER, René BOTTERON Commissario tecnico: Friedhelm KONIETZKA. Reti: 32' e 76' James CASE, 79' Kevin KEEGAN.

foto Federico De Luca

Reti: 21' rigore Rainer BONHOF, 82' Hans Jürgen WITTKAMP. Ammonito: 79' Anatoly KONKOV. Kevin Keegan

CLASSIFICA MARCATORI CLASSIFICA MARCATORI CLASSIFICA MARCATORI Giocatore Giocatore

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Calcio 2OOO

Franco CUCINOTTA (Zurigo) Franco CUCINOTTA (Zurigo) Franco CUCINOTTA (Zurigo) Gerhard MÜLLER (Bayern Monaco) Gerhard MÜLLER (Bayern Gerhard Monaco) MÜLLER (Bayern Monaco)

5

Kevin KEEGAN (Liverpool) Kevin KEEGAN (Liverpool) Kevin KEEGAN (Liverpool) Philip NEAL (Liverpool) Philip NEAL (Liverpool) Philip NEAL (Liverpool)

4

Tibor NYILASI (Ferencváros) Tibor NYILASI (Ferencváros) Tibor NYILASI (Ferencváros) Conny TORSTENSSON Monaco) Conny TORSTENSSON (Bayern Conny (Bayern Monaco) TORSTENSSON (Bayern Monaco) Reiner VAN DE KERKHOF (PSV Reiner VAN DE KERKHOF Reiner (PSV Eindhoven) VAN DE Eindhoven) KERKHOF (PSV Eindhoven)

4

Leonid BURJAK (Dinamo Kiev) (Dinamo Kiev) Leonid BURJAK (DinamoLeonid Kiev) BURJAK HEIGHWAY (Liverpool) StephenStephen HEIGHWAY (Liverpool) Stephen HEIGHWAY (Liverpool)

3

David JOHNSON (Liverpool) David JOHNSON (Liverpool) David JOHNSON (Liverpool) Hans-Jürgen KREISCHE (Dinamo Dresda) Hans-Jürgen KREISCHE (Dinamo Hans-Jürgen Dresda) KREISCHE (Dinamo Dresda) Peter RISI (Zurigo) Peter RISI (Zurigo) Peter RISI (Zurigo)

3

Petr SLOBODIAN (Dinamo Kiev) (Dinamo Kiev) Petr SLOBODIAN (Dinamo Petr Kiev) SLOBODIAN

foto Agenzia Liverani

Udo Lattek

Giocatore

Reti N° Ogni

0 119'10,0 0 0119' 0 05 0,0 72' 0 0 72'20,0 0 0 0 5 0,0 180' 0 0 180'10,0 0 0 0 4 0,0 180' 3 0 180'20,0 3 3 0 4 0,0

710 420

70,0 595 40,0 360

7595 1 4360 2

7 7 4 4

595

7

360

4

810 820

80,0 720 80,0 720

8720 1 8720 2

8 8 8 8

720

8

720

8

0 68'20,0 0 0 68' 0 04 0,0 0 132'20,0 0 0132' 0 04 0,0 0 90'40,0 0 0 90' 0 04 0,0 0 240'20,0 1 1240' 0 13 0,0

320 620

30,0 270 60,0 528

3270 2 5528 2

3 3 5 6

270

3

528

5

440 820

40,0 360 80,0 720

4360 4 8720 2

4 4 8 8

360

4

720

8

910 620

90,0 772 60,0 390

9772 1 4390 2

9 9 4 6

772

9

390

4

620 510

60,0 466 50,0 450

5466 2 5450 1

5 6 5 5

466

5

3

3 155' 3 150'

0 257'10,0 0 0257' 0 03 0,0 0 130'20,0 0 0130' 0 03 0,0 0 155'20,0 0 0155' 0 03 0,0 0 150'10,0 1 1150' 0 13 0,0

450

5

3

3 123'

0 123'10,0 0 610 0123' 0 03 0,0

60,0 368

4368 1

4 6

368

4

5 4 4 4 3 3

5 119' 572'

Reti Rig. Falliti Max PartiteMax GiocatePartite Giocate Rig. Falliti Reti Max Partite Giocate Rig. Falliti Ogni N°Rig. % Rig.N° Reti N° Rig. N° %N°OgniReti N° Minuti % Minuti Titol. Reti Titol. N° Minuti Titol.

4 180' 4 180' 468' 4 132' 490' 3 240' 3 257' 3 130'


di Luca GANDINI

ACCADDE A/RUGGITO ITALIA

RUGGITO ITALIA

I

l 19 giugno 1938, sconfiggendo per 4-2 l'Ungheria allo Stade de Colombes di Parigi, l'Italia si laureava per la seconda volta consecutiva campione del mondo. Dopodiché, per 30 anni, il buio. Prima la Seconda Guerra Mondiale, poi la tragedia di Superga, con la scomparsa del Grande Torino, quindi le figuracce in serie collezionate nei più importanti tornei internazionali. Come “ciliegina” sulla torta, ecco lo smacco dell'eliminazione dal Mondiale di Inghilterra '66 ad opera dei dilettanti della Corea del Nord, forse il momento di maggior ignominia vissuto dal nostro calcio. I pomodori e le uova marce con cui i tifosi inferociti accolsero gli Azzurri all'aeroporto di Genova, fecero capire che ormai il tempo della pazienza era finito. Rivoluzione doveva essere e rivoluzione fu, dunque, a cominciare dai vertici della Federcalcio, con il toscano Artemio Franchi, uomo colto e rispettato anche a livello internazionale, eletto presidente. Novità anche sul campo, con la gestione tecnica affidata alla strana coppia Helenio Herrera-Ferruccio Valcareggi. Mago dell'Inter euromondiale, il primo; tecnico di grande buon senso ma dal curriculum piuttosto modesto, il secondo. La terza edizione del Campionato d'Europa per Nazioni bussava prepotentemente alle porte, e l'Italia non voleva più farsi trovare impreparata.

MONETINA FORTUNATA L'Italia torna a vincere anche grazie alla dea bendata...

Dopo 30 anni di delusioni, la nazionale italiana torna a ruggire. Merito di una indimenticabile generazione di campioni e di una vecchia monetina... 80

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foto Liverani

IL MIRACOLO DI SAN GENNARO

OBIETTIVO: NON FALLIRE 31 squadre ai nastri di partenza, suddivise in 8 gironi all'italiana con partite di andata e ritorno. Le prime classificate venivano poi sorteggiate per i quarti di finale, con le semifinali e le finali da disputarsi in un'unica nazione. Per gli Azzurri le cose si misero bene: Romania, Svizzera e Cipro vennero regolate senza troppi problemi nel raggruppamento eliminatorio. Poi, ai quarti, ecco la Bulgaria, forse l'avversario meno quotato rispetto agli altri 6 giganti rimasti in corsa: Inghilterra, Spagna, Germania Ovest, Unione Sovietica, Ungheria e Jugoslavia. Eravamo ormai nel 1968. Il 6 aprile, nell'andata di Sofia, i bulgari ci sorpresero, ma il 3-2 restava pienamente recuperabile. E difatti, al ritorno a Napoli, il 2-0 firmato Pierino Prati e

Angelo Domenghini, permise ai nostri di qualificarsi per la semifinale. Grazie ai buoni uffici di Franchi e al 70° anniversario della FIGC, fu proprio l'Italia ad ospitare la fase decisiva dell'Europeo. Ai campioni del mondo inglesi toccò la Jugoslavia, a noi, invece, l'Unione Sovietica, già vincitrice della prima edizione e seconda alle spalle della Spagna nel 1964. Un avversario ostico, dunque, privo sì di 4 titolari infortunati e senza il portierone Lev Yashin, ormai alle soglie della pensione, ma non per questo disposto ad alzare bandiera bianca. Si giocava al San Paolo di Napoli, ore 18 di mercoledì 5 giugno 1968. Partita secca: in caso di parità, tempi supplementari e poi, eventualmente, lancio della monetina. Valcareggi, rimasto nel frattempo solo come c.t. dopo l'iniziale convivenza con Herrera, schierò l'Italia con Dino Zoff in porta preferito a Ricky Albertosi. Poi, due difensori in marcatura (il terzino destro Tarcisio Burgnich e lo stopper Giancarlo Bercellino), con Giacinto Facchetti terzino sinistro fluidificante e il libero Ernesto Castano a spazzare l'area. Centrocampo con l'ala tornante Angelo Domenghini a destra, il mediano Giorgio Ferrini a correre per tutti, il regista idolo di casa Antonio Juliano e il sommo Gianni Rivera in appoggio alle punte, ovvero Sandro Mazzola e il giovane Pierino Prati. Era, in pratica, un puro e sano catenaccio, un sistema di gioco spesso vilipeso, ma che in realtà ha dato al calcio italiano alcuni dei suoi più memorabili trionfi. Tanto per chiarire: il Milan di Nereo Rocco e la stessa Inter di Herrera, che in quegli anni facevano gara a chi vinceva più Coppe dei Campioni, utilizzavano proprio questa filosofia. Una casa solida, del resto, la si vede anzitutto dalle fondamenta. Gli uomini in grado di trovare il gol in qualsiasi momento li avevamo, quindi prima meglio coprirsi e poi via, a colpire in contropiede. BENEDETTA MONETINA Il problema, semmai, era che quella contro l'Unione Sovietica parve subito una sfida in salita. Dopo pochi minuti, infatti, Rivera si procurò uno stiramento alla coscia. Non essendo previste le sostituzioni per i giocatori di movimento, decise di proseguire ugualmente la gara, ma solo per fare numero. Una tegola, per gli Azzurri, privati di fatto del

proprio campione più rappresentativo. Primo tempo sofferto, ma con l'URSS che non riuscì a sfondare la nostra Linea Maginot. Molto meglio la ripresa, con i nostri che tennero testa agli avversari in una lotta senza esclusione di colpi. Poche, tuttavia, le occasioni da rete, favorite anche dalla serata storta di Mazzola e Prati. 0-0 dopo i 90 minuti; supplementari. E anche qui, altra tegola per gli Azzurri. Stavolta a farsi male fu il difensore Bercellino, pure lui rimasto comunque stoicamente in campo. Sarebbe stata la sua ultima presenza in nazionale. Poco prima del triplice fischio, ecco l'occasione più ghiotta dell'incontro: fucilata di destro di Domenghini, palla sul palo interno e poi fuori. Evidentemente era destino che le porte rimanessero inviolate. Eravamo però a Napoli, e San Gennaro, specialista in miracoli, doveva ancora metterci lo zampino. I capitani, Giacinto Facchetti per l'Italia e Albert Shesternyov per l'URSS, vennero convocati dall'arbitro, il tedesco Kurt Tschenscher, per l'ultimo verdetto. Impugnata una vecchia monetina francese da 10 Franchi, lasciò la scelta ai duellanti. Facchetti scelse testa, Shesternyov croce. Cuore in gola e poi l'urlo liberatorio del Giacinto nazionale: testa! Eravamo in finale, e nemmeno la temibile Jugoslavia sarebbe riuscita a soffiarci la Coppa. San Gennaro non ci aveva abbandonati, e grazie a lui tutti noi, in quell'interminabile serata napoletana, capimmo quanto fosse bello, una volta tanto, essere italiani.

foto Liverani

ACCADDE A

GIACINTO FACCHETTI Calcio 2OOO

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DOVE SONO FINITI

di Stefano BORGI

DOVE SONO FINITI/ ALESSANDRO SCANZIANI

ALESSANDRO SCANZIANI

COPPA DEL CAPITANO

TALENTO A DISMISURA Scanziani era un giocatore di notevole classe...

Giocatore universale, vinse due coppe Italia. Sopratutto fu il capitano della "prima" Samp del presidente Mantovani...

M

foto Agenzia Liverani

Come nasce lo Scanziani calciatore? "Come tutti, all'oratorio. A Verano Brianza, dove sono nato, ero molto richiesto tanto che giocavo in due squadre. In una usavo addirittura un nome fittizio. Andavo a scuola, ma non avevo tanta voglia. Comunque ho fatto il liceo scientifico e mi sono iscritto a farmacia. Ho dato anche due esami..."

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Calcio 2OOO

Quand'è che per lei il calcio diventa un lavoro? "A 19 anni il Livorno mi offriva 300.000 lire al mese, i miei genitori erano disposti a darmi gli

stessi soldi purché restassi a casa e continuassi a studiare. A quel punto mi detti un anno di tempo per vedere se potevo diventare calciatore a tutti gli effetti, e infatti..." foto Agenzia Liverani

ancini, Vialli, Vierchowod, Pari e Mannini. Più due stranieri, Souness e Francis. E poi il capitano, Luca Pellegrini. Alt! Pellegrini fu il capitano dello scudetto blucerchiato, ma la sera del 3 luglio 1985 ad alzare la coppa fu Alessandro Scanziani. "È la soddisfazione più bella della mia carriera - racconta Scanziani. Aver riportato la Samp in Serie A, aver vinto la prima coppa Italia con la maglia doriana. Indimenticabile". Perchè proprio lei capitano? "Forse perchè ero il più anziano, o forse perchè ero un esempio per tutti quei ragazzi. Non so... L'importante è che quella sera la fascia al braccio ce l'avevo io". Alessandro Scanziani si racconta con semplicità, ma anche con orgoglio, e individua il suo periodo migliore nei cinque anni trascorsi a Genova, sponda blucerchiata. "Tutto questo nonostante Bersellini allenatore, con il quale non ho mai legato. Era successo anche nei due anni all'Inter. Poi nell'86 arrivò Boskov che non mi voleva, e me ne andai. Peccato perchè sarei voluto rimanere a Genova fino al termine della carriera. E magari avrei vinto anche lo scudetto del '91..."

DUE COPPA ITALIA Nella sua bacheca due trionfi, con Inter e Samp...

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In carriera ha avuto grandi allenatori: Bagnoli, G.B Fabbri, Bersellini, Ulivieri, Simoni...

Prima squadra e primo grande allenatore... "Osvaldo Bagnoli a Como. Era molto preparato, anche dal punto di vista umano. Un tipo molto alla mano. Ottenemmo subito una promozione in Serie A, conobbi Galia, Fontolan, in prima squadra si affacciava un giovanissimo Vierchowod... Insomma, una bella squadra". Con l'Inter la grande occasione. Ma anche le prime delusioni... "Soprattutto volevo giocare, ed invece Bersellini mi usava col contagocce. E spesso in ruoli sbagliati. Io ero un centrocampista e lui mi faceva giocare terzino sinistro, esterno di destra, addirittura una volta stopper... A posteriori devo dire che tutto questo servì alla mia formazione di calciatore, ma sul momento scalpitavo". Rimpianti? "Non direi. Nelle due stagioni nerazzurre vinsi una Coppa Italia, giocavo con gente come Altobelli, Beccalossi, Oriali, Facchetti... Certo, me ne andai nel 1978 e l'anno dopo vinsero lo scudetto. Forse arrivai all'Inter troppo giovane, però ripeto: io volevo giocare, e quando si presentò l'Ascoli non ebbi dubbi". Nelle Marche incontra un altro grande allenatore, G.B. Fabbri. "Il migliore che ho avuto. Fabbri mi teneva in grande considerazione, con lui segnai anche tanti gol, maturai definitivamente come calciatore. Arrivò a dirmi che se mi fossi chiamato Scanzianovski ci sarebbe stata la fila per comprarmi. E poi il suo era un Ascoli bellissimo. Giocavamo Calcio 2OOO

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DOVE SONO FINITI/ ALESSANDRO SCANZIANI

ESTRO E FANTASIA

Fabbri? Arrivò a dirmi che se mi fossi chiamato Scanzianovski ci sarebbe stata la fila per comprarmi

E invece fu un colpo di fulmine... "Me lo lasci dire, Paolo Mantovani è "il Presidente". Persona fantastica, rimasi affascinato dalla sua voglia di affermarsi. Pensi che quando arrivai a Genova nel 1981 la Sampdoria era in Serie B, e lui mi parlò di scudetto. Io pensai: questo è “fuori”. E invece... Con Ulivieri allenatore salimmo subito in Serie A e disputammo altre due ottime stagioni. Poi arrivò Bersellini e cominciarono i dubbi. Ebbi un'offerta dalla Roma, capirai... scudetto, Coppa dei Campioni, ne parlai con Mantovani che mi convinse a restare. Lo devo ringraziare perché diventai capitano e vincemmo la Coppa Italia". Di Boskov abbiamo detto. Ci racconti invece la storia con la Fiorentina... "Sfortuna allo stato puro. Boskov non mi voleva, Nassi era andato a Firenze con Agroppi e mi chiamò. Era tutto fatto, contratto firmato, addirittura mia moglie aveva già scelto la casa. Alla penultima di campionato mi faccio il meni-

sco, all'improvviso Nassi ed Agroppi lasciano la Fiorentina e chi arriva al suo posto? Bersellini. Mi casca il mondo addosso, fino a strappare il contratto. Il problema è che, con un ginocchio infortunato, non mi voleva nessuno. Si fece avanti il Genoa del presidente Spinelli. Si rende conto? Dopo 5 anni di Sampdoria sarei andato al Genoa..." Chi la convinse? "Chiesi consiglio a Mantovani, ovviamente. Nonostante non fossi più un giocatore della Sampdoria chiesi aiuto a lui. Devo dire che con i tifosi genoani non ebbi particolari problemi. Quelli della Samp, invece, non la presero bene. Ero stato il capitano, per loro ero un simbolo..." Un anno ad Arezzo, poi le fatidiche scarpette al chiodo. Da allenatore, invece, poca fortuna... "Ho sfiorato una volta la Serie B col Como nel '96 (sconfitta ai play-off, ndr.) poi niente di speciale. Diciamo che, a volte, sono stato troppo intransigente..."

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Forse arrivai all'Inter troppo giovane: io volevo giocare, e quando si presentò l'Ascoli non ebbi dubbi

foto Agenzia Liverani

Perchè andò alla Sampdoria? "Chiesi io di essere ceduto. L'ultimo anno di Ascoli Fabbri fu esonerato, ed arrivò Mazzone. Niente da dire come allenatore, ma con me ebbe dei comportamenti che non mi andarono giù. Uno, addirittura, investì la mia vita privata e quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Fu Adelio Moro, mio compagno all'Ascoli, a parlarmi della Samp, del direttore generale Nassi e di Mantovani. Un presidente che non conoscevo..."

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foto Agenzia Liverani

un calcio semplice, ordinato, con una sola punta (si alternavano Anastasi e Iorio, ndr.) però tutti dovevamo partecipare all'azione... un po’ sullo stile olandese. Quell'anno vincemmo a Torino con la Juve, battemmo l'Inter campione d'Italia a San Siro, ricordo anche un 3-0 al Del Duca contro la Roma. Arrivammo 4° in classifica, ad un passo dalla coppa Uefa. Anzi, se il Torino avesse vinto la Coppa Italia (i granata persero in finale contro la Roma ai rigori, ndr.) si sarebbe liberato un posto e toccava a noi. E invece restammo fuori..."

DOVE SONO FINITI/ ALESSANDRO SCANZIANI Il miglior calciatore col quale ha giocato? "Trevor Francis. Grande tecnica, grande intelligenza, quando in allenamento ti puntava non sapevi mai se andava a destra oppure a sinistra. E poi Beccalossi. Il "Beck" in carriera poteva fare molto, molto di più..." Oggi Alessandro Scanziani come passa le sue giornate? "Guardi, sono in pensione. A 62 anni faccio il team-manager dell'Under 17 e 18 dilettanti, ogni tanto faccio il commentatore televisivo. E poi ho investito nel mattone, affitto degli appartamenti". Potrebbe buttarsi in politica. Ci risulta ci abbia già provato... "Questa è buona (ride, ndr.) Ho fatto una volta il consigliere comunale a Verano, ero all'opposizione. Quando ho visto che ogni mia proposta veniva bocciata, ho capito che non era per me. Meglio il calcio, mille volte".

SEI ANNI BELLISSIMI Ben 152 presenze, e 25 gol, con la maglia della Sampdoria

Di Thomas Saccani

In Italia se lo ricordano in pochi, eppure era uno con il vizio del gol e arrivi ad indossare le casacche di Inter e Samp, non puoi essere scarso. Chi l’ha visto giocare sa che Scanziani era uno di quei giocatori che, se in giornata, poteva davvero fare la differenza. Nato centrocampista, in realtà sapeva fare di tutto (chiedere a Bersellini per informazioni) e, appunto, quando aveva la giusta voglia, poteva davvero diventare devastante, complice un mix di estro e fantasia decisamente intrigante. Dopo Meda e Livorno, a Como dimostra di poter diventare un giocatore importante. Tre stagioni con i lariani (dal 1974 al 1977), con 18 gol all’attivo e tante belle prove che gli aprono le porte dell’Inter. Con la Beneamata non gioca tantissimo ma si toglie la soddisfazione di vincere la Coppa Italia nel 1978. Nell’estate del 1979 passa all’Ascoli dove resta per due anni, prima di sbarcare a Genova, sponda Sampdoria. Gioca tanto e bene (152 presenze e 25 gol), alzando la seconda Coppa Italia della sua carriera. Nel 1986, in un periodo in cui non era affatto facile cambiare sponda nella stessa città, si trasferisce al Genoa, dove resta per due stagioni, prima di chiudere con l’Arezzo. Insomma, non proprio una carriera da comprimario… 84

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foto Agenzia Liverani

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LIGA SPAGNA

di Paolo BARDELLI

foto Imago/Image Sport

I Colchoneros credono ciecamente nel tecnico argentino

INSIEME PER SEMPRE Simeone e l’Atletico Madrid, cronaca di un amore infinito

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a rottura del crociato non è uno scherzo, recupero lento e faticoso, chi ha giocato a calcio lo sa bene. Quando sei alle prese con infortunio di questo tipo devi far vedere non solo che sportivo sei, entra in gioco altro. Diego Simeone il 2001 si è trovato ad affrontare questo problema e l'ha fronteggiato seguendo i consigli di mamma. Dieta a base di cartilagini e zampe di maiale, rimedio indio che fa venire i conati solo a sentirlo nominare, il guerriero Diego però non fece una piaga, ingurgitando tutto e divorando pure i 86

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tempi di recupero. Sei mesi ed era di nuovo in campo. Questo è Diego Simeone, un cuore antico come il soprannome che l'ha reso celebre, Cholo, che deriva dalla lingua azteca e significa "incrocio di razze". Appellativo che condivide con una tipologia di cane a pelo corto. In ogni caso, parliamo di animali di razza. Questo nomignolo gli è stato assegnato ai tempi delle giovanili del Vélez, per la sua grinta che ricordava quella di Carmelo Simeone, difensore negli anni '50 e '60. La carriera di calciatore del Cholo dei tempi nostri è strettamente legata al nostro paese, a soli vent'an-

ni il vulcanico presidente Anconetani lo porta al Pisa e da qui è un crescendo. Siviglia, Atletico Madrid, Inter, Lazio, Atletico Madrid, per finire la carriera al Racing. C'è una sola squadra che ricorre nel curriculum del centrocampista, non è un caso. Il Calderon infatti diventerà la sua casa, qui ha vinto da calciatore ma ancora meglio ha fatto seduto in panchina. Appesi gli scarpini, dopo tanti successi, il Cholo ha prontamente intrapreso la carriera di allenatore, gavetta (vincente) in Argentina e poi di nuovo l'Italia nel suo destino. Come nel 1990, anche in questo caso è la pro-

vincia ad accoglierlo. Catania 13esimo, mai gli etnei avevano raggiunto quota 45 punti. Non ci possono essere più malintesi, Simeone è nato per allenare e, dopo un'esperienza sulla panchina del Racing (terminata anzi tempo causa rapporti tesi con la società), il 23 dicembre 2011 prende il posto di Manzano sulla panchina dell'Atletico Madrid. I tifosi biancorossi riscuotono in anticipo il loro regalo di Natale. “Da giocatore non scambiavo la maglia dell'Atletico, dovevano darmene due, la mia valeva di più”, ipse dixit. Viene in mente lo spot nel quale un bimbo chiede: "Por qué somos del Atleti?" ricevendo dal padre un silenzio eloquente come risposta. Il Cholo ci mette un attimo a presentarsi, prende la squadra al decimo posto e chiude in quinta piazza, vince l'Europa League, aggiudicandosi nove gare su nove. A cambiare non sono tanto gli uomini eccezion fatta per il grande Falcao ma la mentalità, alcuni giocatori sono trasformati. È il caso di Gabi e di Sua-

rez, che diventano elementi chiave di un 4-4-2 che più semplice non si può. Più facile a dirsi che a farsi, certo, anche perché non è tanto lo schema a fare la differenza, bensì la logica che lo nutre. Idee. Dopo anni all'insegna dell'estenuante possesso palla di marca Barça, la Spagna si inginocchia di fronte a una squadra che lascia - almeno in apparenza - il pallino agli avversari, adeguandosi sempre alle varie situazioni. “Non vincono sempre i buoni, vince chi sa lottare”, Simeone questa frase la vive e sa trasmetterla. Adeguarsi all’avversario sì, ma senza mettere in dubbio i propri precetti, è infatti tratto distintivo del primo Atletico targato Cholo un assetto chiaramente a zona, con gli uomini che non si lanciano in pressing anarchico ma aspettano la prima mossa avversaria. Un guerriero che gioca a scacchi, un “incrocio” tenendo fede al soprannome che ha reso celebre Diego. Le squadre avversarie vanno nel pallone e il Cholo continua a vincere, il secondo anno di gestione porta in bacheca Supercoppa europea e Coppa di Spagna, terzo posto in campionato che vale la Champions. Un'annata che ha visto il contributo determinante di un giocatore che fino a pochi mesi prima lottava per la salvezza con la maglia del Rayo, parliamo di Diego Costa. Il nazionale spagnolo (o brasiliano pentito, se preferite) non è mai stato troppo amato dalla tifoseria, il suo incedere brutto e una tecnica non sopraffina lo rendono sgradevole agli occhi, ma Simeone mira al sodo. Vuole una bestia là davanti e Costa è l'uomo che fa per lui. 43 centri in 94 gare, basta questo dato per spiegare quanto il Cholo sia capace di vedere ciò che gli altri neppure sanno immaginare. Il popolo colchonero è pazzo per il suo condottiero, l'amore è ricambiato ed è la stagione 2013/2014 quella del delirio. Una cavalcata trionfale, coronata dal pareggio con il Barcellona del 17 maggio 2014, ennesima prova senza sbavature, per gli avversari solo briciole. La regina blaugrana, abituata a dettare legge, cade nella trappola biancorossa, finisce un’era. Le lacrime in campo per una gioia "che non si può spiegare", per dirla con la parole del Cholo. Simeone è fatto così, sa dire la cosa giusta al momento giusto e ottiene grandi sforzi da chi gli sta intorno, il massimo però lo

IL RINNOVO Simeone e l'Atletico Madrid ancora insieme

foto Grbaudi/Image Sport

NELLE MANI DEL CHOLO

DIEGO SIMEONE

Il mese scorso è stato reso noto il rinnovo contrattuale fino al 2020. Il precedente accordo sarebbe scaduto nel 2017, la società ha voluto estenderlo per altre tre stagioni in modo da difendere il proprio condottiero dalle avanches che arrivavano da più fronti, nazionale argentina in pole. Non c'è chiarezza riguardo alle cifre, ma si parla di un ingaggio intorno ai sei milioni di euro. Stipendio da top player, solo Ancelotti in Spagna guadagna di più ma i blancos non fanno testo. Un segnale chiaro, all'insegna della continuità, Manchester City e Psg hanno provato a ingolosire il Cholo, ma lui pensa solo all'Atleti. I tifosi possono stare tranquilli, il futuro è già iniziato. Le parate di Oblak, i gol di Griezmann e soprattutto la grinta del Cholo in panchina. Questa è la base per i successi che verranno. chiede sempre a se stesso e una vittoria come questa ha un sapore particolare per chi è abituato a sudarsi tutto. Una settimana dopo la finale i Champions, a coronamento di una stagione irripetibile, purtroppo Lisbona vede sorridere i cugini del Real ma questo non sminuisce il lavoro svolto. I Colchoneros quest'anno non bisseranno il successo in campionato, tanti nomi illustri hanno cambiato aria, basti pensare a Courtois e Costa solo per citarne due, ma per i denti si Simeone nessun osso è troppo duro. Calcio 2OOO

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PREMIER LEAGUE INGHILTERRA

di Luca Manes

foto Imago/Image Sport

ALMENO I TRE LEONI… Mentre i club della Premier falliscono nelle Coppe, le nazionali britanniche vanno a gonfie velE...

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a stagione che volge al termine sarà ricordata senza ombra di dubbio come quella del grande flop in Europa dei team della Premier. Era dal 1992-93 che nemmeno una squadra della massima divisione inglese riusciva a raggiungere almeno i quarti di finale di una coppa continentale. A quell'epoca, poi, c'era la parziale attenuante del lungo isolamento post Heysel (1985-1991), adesso la Premier è il campionato più ricco del Pianeta e i campioni – soprattutto stranieri – abbondano. Certo, il top del top 88

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(Ronaldo e Messi) veste casacche di team di altri paesi, ma ciò non giustifica che in due delle ultime tre Champions League tutte le inglesi siano andate fuori a livello di ottavi di finale. Oltre Manica, come si può immaginare, ferve il dibattito. C'è chi parla di appannamento passeggero, dovuto soprattutto a elementi congiunturali – per esempio la rifondazione del Manchester United dopo l'addio di Alex Ferguson – chi inizia a dubitare sull'effettiva qualità di giocatori e allenatori strapagati come non mai. Noi appoggiamo più la prima ipotesi. Anche quest'anno numerose

sono state le partite molto spettacolari proposte dalla massima divisione inglese. Sebbene sempre polarizzato – nelle prime posizioni ci sono le solite note – sul campo si è visto più equilibrio e non sono certo mancati i risultati a sorpresa. Un segnale incoraggiante per il pubblico britannico proviene invece dalle nazionali che, dopo anni di magre, vivono ben altra tendenza rispetto alle compagini di club. Allo stato attuale Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord hanno ottime chance di qualificarsi in blocco per la fase finale dell'Europeo francese. È vero, l'aumento

del numero dei partecipanti (tanto che passeranno automaticamente anche le seconde dei gironi) semplifica le cose. Tuttavia va detto che da parecchio tempo, se si escludono i Tre Leoni, le britanniche rimediavano figuracce in serie e si piazzavano molto lontane dalla vetta dei gironi in cui venivano inserite.

Il ricordo del passato Negli anni Settanta e Ottanta la situazione era diametralmente opposta foto Federico De Luca

I tifosi inglesi sognano un grande Europeo..

Il Galles può contare su due campioni – Bale e Ramsey – che sembrano voler prendere sul serio il loro impegno per la nazionale, Scozia (cui è capitato il girone più difficile) e Irlanda del Nord hanno fatto passi da gigante da tutti i punti di vista, mentre l'Inghilterra ha vinto tutti i match disputati finora ed è virtualmente approdata a Euro 2016. Un torneo che, secondo Wayne Rooney, i Bianchi potrebbero addirittura vincere. Dando un'occhiata all'attacco verrebbe da pensare che la stella dello United non abbia tutti i torti. Oltre a lui – ormai a un passo del record di goal di Bobby Charlton con i Tre Leoni – ci sono Danny Welbeck, Dean Sturridge e soprattutto i giovanissimi e promettentissimi Raheem Sterling e Harry Kane. Quest'ultimo è considerato ormai un po' da tutti gli addetti ai lavori l'erede di Alan Shearer. E se il buongiorno si vede dal mattino – prima rete al terzo tocco di palla di sempre in nazionale – c'è di che essere ottimisti. A nostro modesto parere, al netto dei dubbi su Roy Hodgson, manca ancora qualcosa in mezzo al campo e alla difesa. Jordan Henderson non ha la classe e il piglio adatto, mentre accanto a Tim Cahill né Phil Jagielka né il duo dello United Jones-Smalling danno sufficienti garanzie. Nel reparto arretrato le buone notizie giungono dai terzini (Nathan Clyne potrebbe occupare la corsia destra per lungo tempo) e dal portiere. Non diciamolo troppo forte, ma Joe Hart sembra finalmente aver acquisito continuità e sicurezza. Non sarà l'erede di Gordon Banks e Peter Shilton, ma forse può far dimenticare incubi del recente passato come David James e Robert Green.

foto Image SPort

NAZIONALE INGLESE DA URLO

KEVIN KEEGAN

A cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta si verificò una situazione specularmente opposta rispetto a quanto sta accadendo adesso. Nonostante potesse contare su campioni del calibro di Kevin Keegan, l'Inghilterra mancò le qualificazioni a due mondiali consecutivi (1974 e 1978). A quelle competizioni iridate prese parte, come unica britannica, la Scozia, pronosticata come possibile squadra rivelazione in entrambe le occasioni. Invece i vari Dalglish, Souness e Jordan non riuscirono mai a passare il primo turno, rimediando anche la storica figuraccia del pareggio con l'Iran in Argentina. Nel frattempo, le squadre della First Division, in cui figuravano parecchi calciatori delle altre nazioni britanniche, dominavano in lungo e in largo nelle coppe europee. Fra il 1977 e il 1984 vinsero sette edizioni su otto della Coppa dei Campioni, con il Liverpool e il Nottingham Forest a farla da padrone. Più o meno nello stesso periodo arrivarono un paio di Coppe Uefa, mentre il team scozzese dell'Aberdeen si aggiudicò la Coppa delle Coppe battendo in finale addirittura il Real Madrid. Chi era l'allenatore di quella squadra dei miracoli? Un signore che poi farà incetta di trofei in 27 anni di carriera all'Old Trafford... Calcio 2OOO

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BUNDESLIGA GERMANIA

di Flavio SIRNA

foto Imago/Image Sport

Non ci fossero i tiri dal dischetto...

MALEDETTI RIGORI

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n casa Leverkusen, dopo il 4° posto della scorsa stagione e la prematura eliminazione in Champions League negli ottavi di finale (sconfitte per 4-0 e 2-1 contro il Paris Saint-Germain di Ibrahimovic), l'obiettivo dichiarato era quello di fare meglio, cercando se possibile di portare a casa un trofeo che manca dalla stagione 1992-1993 (Coppa di Germania) o perlomeno risultare maggiormente competitivi, in particolar modo in ambito europeo; finale del 2001-2002 a parte, negli anni successivi sono arrivate sem90

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pre e solo pesanti e cocenti eliminazioni agli ottavi di finale (molti tifosi ricordano ancora il 7-1 (totale 10-2) subito contro il Barcellona al Camp Nou). Per cercare di raggiungere questi obiettivi in estate la società ha riscattato il promettentissimo turco Hakan Calhanoglu (spesa totale di circa 15 milioni di euro), acquistato dal Gremio per 6,5 milioni di euro il terzino Wendell e dal Norimberga (per 7 milioni) l'attaccante svizzero Josip Drmic. Inoltre ha preso in prestito, rispettivamente dalla Roma e dallo Schalke 04, i difensori centrali Tin Jedvaj e Kyriakos Papadopoulos. Per tenere a posto i conti

Wendell

foto Imago/Image Sport

Bayern Leverkusen in affanno, colpa della febbre da penalty…

Roger Schmidt

foto Imago/Image Sport

sono stati ceduti Emre Can al Liverpool ( 12 milioni di euro incassati) e Sydnei Sam allo Schalke 04 (operazione da 3 milioni). Schmidt, in carica dall'aprile del 2015, ha così trovato a sua disposizione una rosa in grado di poter dire la propria (e non sfigurare), sia in ambito tedesco che internazionale. In Bundesliga l'obiettivo minimo era, vista l’impossi-

bilità di avvicinarsi al Bayern Monaco, la qualificazione Champions: un traguardo che, a meno di clamorosi capovolgimenti di fronte, Kiessling e compagni riusciranno a raggiungere anche in questa annata. A recitare il ruolo da protagonisti, in termini di realizzazioni, sono stati il coreano Heung-Min Son e il forte esterno sinistro classe 1990 Karim Bellarabi. Impossibile però non sottolineare le prestazioni di Calhanoglu, diventato in poco tempo un trascinatore della squadra con le sue giocate ed anche con la sua capacità di andare a segno (6 goal). Non è difficile pensare che la prossima estate qualche big europea (Barcellona in primis) possa bussare alla porta della società con una bella somma, di gran lunga superiore ai 15 milioni spesi la scorsa estate per riscattarlo dall'Amburgo. Capitolo europeo: superata la fase a gironi con inaspettata facilità (qualificazione arrivata con un turno di anticipo contro i più quotati, perlomeno sulla carta, Zenit e Benfica), i rossoneri hanno trovato sulla loro strada l'Atletico Madrid, finalista dell'edizione 2013-2014. Il pronostico non era certo dalla parte di Leno (segnalatosi come uno dei migliori portieri della competizione, tanto da suscitare l'interesse del Real Madrid) e compagni, ma il campo ha dato delle risposte opposte: dopo l'1-0 della Bayarena, firmato Calhaloglu, in Spagna i Colchoneros hanno pareggiato i conti e si sono imposti solamente ai calci di rigore. Decisivo l'errore dello storico bomber Kiessling. Eliminazione a parte, c'è però da segnalare come la squadra abbia dimostrato di avere finalmente la maturità per giocarsi determinati scontri ad alti livelli, e soprattutto abbia perso quella sorta di complesso di inferiorità che l'aveva contraddistinta negli anni scorsi. I rigori sono risultati fatali anche in occasione dei quarti di finale di Coppa di Germania contro il Bayern Monaco, dopo aver concluso i 120 minuti di gioco sul risultato di 1-1. Segno che manca ancora qualcosa, oltre che un pizzico di fortuna, per fare quel salto di qualità che si spera potrà portare tra qualche anno Schmidt e i suoi uomini a lasciarsi del tutto alle spalle lo scomodo soprannome di 'perdenti di successo'. Ecco, se poi, dagli 11 metri, la dea bendata decidesse di dare una mano alle aspirine, tutto potrebbe cambiare in tempi brevi…

UN GESTO ASSURDO Aggredisce uno steward, Spahic licenziato in tronco dal Leverkusen…

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MANCA POCO AL BAYER

Emir Spahic

È durata meno di due anni (luglio 2013-aprile 2015) l'avventura del difensore bosniaco classe 1980 Emir Spahic con il Bayer Leverkusen, squadra con la quale ha collezionato in totale 71 presenze e 3 reti (16 presenze in Champions League). Tutta 'colpa' di uno steward e di una reazione esagerata: in occasione del match di Coppa di Germania con il Bayern, l'ex-Siviglia ha aggredito uno degli addetti alla sicurezza della Bayarena, 'reo' di non aver consentito l'ingresso di alcuni suoi amici all'interno dello spogliatoio nel post-partita. Per Spahic, dopo la sospensione, pochi giorni dopo è arrivata la rescissione del contratto (piccola buonuscita per evitare vie legali), che era in scadenza nel giugno del 2016. Ad annunciarlo è stato il direttore generale del club Schade: "Abbiamo trovato un accordo con Emir, è molto dispiaciuto per le sue azioni. Gli auguriamo il miglior futuro". Ha voluto commentare quanto accaduto anche il diretto interessato: "Sono molto dispiaciuto per il mio comportamento, chiedo scusa alle persone coinvolte e alle loro famiglie. Ho creato dei grossi problemi al club. E' stato un onore fare parte di questa società. Auguro uno splendido futuro ai miei compagni, al club e ai suoi fantastici tifosi".

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LIGUE 1 FRANCIA

di Renato MAISANI

DUBBI IN CASA OM

foto Imago/Image Sport

Bielsa potrebbe decidere di cambiare aria

IL LOCO INDECISO

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ino a qualche mese fa, su queste pagine (ma non soltanto) era l’Olympique Marsiglia di Marcelo Bielsa il padrone della scena. L’OM, dopo un più che positivo avvio di stagione, sembrava in grado di tener testa al PSG e di poter provare a riconquistare quel titolo che nella bacheca dei marsigliesi ha fatto capolino per l’ultima volta nel 1989. Col passare dei mesi, però, la splendida alchimia, che sembrava tenere insieme la compagine guidata dal ‘Loco’, si è pian piano dissolta: l’OM ha iniziato a rallentare la propria andatura già ad inizio febbraio, subendo il ritorno delle rivali, per 92

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poi sciogliersi definitivamente nel mese d’aprile. A preoccupare i tifosi del ‘Velodrome’, però, non è soltanto la classifica. A questo punto della stagione è infatti l’intero progetto-Bielsa a scricchiolare ed è proprio il timore di dover salutare il tecnico argentino la preoccupazione più grande dei sostenitori marsigliesi. Approdato in Costa Azzurra al termine della scorsa stagione, Bielsa ha scelto di firmare un contratto annuale e adesso, quel rinnovo che sembrava essere quasi scontato per lo meno fino a febbraio, sembra ormai lontanissimo. Qualcosa si è rotto. E come spesso capita l’origine delle difficoltà va ricercata nella mancanza di risultati. Proprio nelle scorse

settimane è diventato virale, sul web, un video ‘rubato’ all’interno dello spogliatoio marsigliese: protagonista, neanche a dirlo, Marcelo Bielsa che, dopo il fischio finale del match pareggiato contro il Lione, rincuora i suoi ragazzi: “É difficile accettare le ingiustizie – spiega con determinazione il tecnico – ma ascoltatemi: se giocherete come oggi da qui alla fine del campionato otterrete ciò che meritate. So che adesso nulla riesce a calmarvi, ma accettate l’ingiustizia perché alla fine tutto si equilibra”. Il suo Marsiglia, però, forse proprio in seguito a quel pareggio frutto anche di un goal ingiustamente annullato nel finale ad Ocampos, non è più riuscito a giocare sui livelli della prima parte di

Marcelo Bielsa

foto Federico De Luca

Il progetto OM è ad un bivio: cosa farà Bielsa?

stagione e dopo il rotondo successo maturato sul campo del Lens, sono arrivate le tre sconfitte consecutive che sembrano aver segnato la stagione dell’OM. Su tutte, quella del ‘Velodrome’ nello scontro diretto contro il PSG, davanti a 65.000 spettatori euforici dopo le dure reti realizzate da Gignac (l’1-0 e il 2-1) e ammutoliti dal ritorno del PSG, capace alla fine di imporsi per 2-3. Poche settimane dopo, la resa. Lo stesso Bielsa, un lottatore nato, un motivatore abituato a non fermarsi mai di fronte a nulla, ha gettato la spugna. E lo ha fatto pubblicamente, in maniera decisamente inaspettata: “É triste dirlo, ma non lottiamo più per il titolo. Abbiamo avuto la possibilità di farlo, ma adesso non ce l’abbiamo più”. Con queste parole, pronunciate in conferenza stampa, il ‘Loco’ ha spento la luce. Un’autentica resa, lontana anni-luce dallo stile del tecnico. Come detto, però, le parole che preoccupano maggiormente l’ambiente marsigliese, sono quelle arrivate subito dopo e relative al futuro: “La mia permanenza a Marsiglia – ha proseguito il 59enne argentino - non dipende dalla qualificazione alla prossima Champions League. La società mi ha detto che vuole che io rimanga qui, ma io lo farò soltanto se mi arriverà una buona proposta. Il mio contratto scade al termine del campionato e fino a quel momento non voglio parlare di altre offerte”. Insomma, lo stesso Bielsa – forse – ha percepito che qualcosa si è rotto e si prepara a cambiare aria. Del resto, anche l’ala della stampa francese maggiormente affascinata dalle gesta del ‘Loco’, non ha potuto esimersi dal tirare delle parziali somme della stagione dell’OM ed evidenziare come, a conti fatti, non si possa certo parlare di un successo. Il PSG ha infatti balbettato ed il Lione, che non dispone certo di un organico paragonabile a quello del club marsigliese, è riuscito a tenere testa ai campioni in carica. Il Marsiglia sarebbe dovuto riuscire per lo meno in questo. Ed invece, a poche settimane dal termine del campionato, Mandanda e compagni restano in lotta soltanto per un piazzamento ai preliminari di Champions League, un obiettivo sicuramente inferiore rispetto a quello fissato ad inizio stagione. Comunque vada, non sarà un successo. E Bielsa lo sa bene. Così come sa che forse, stavolta, da qualche parte ha sbagliato anche lui.

BASTA GOL FANTASMA Anche in Ligue 1 arriva la 'Goal-Line Technology'...

Lo spartiacque della stagione dell’Olympique Marsiglia è stato probabilmente rappresentato proprio dal match pareggiato al ‘Velodrome’ contro il Lione. E l’ingiustizia alla quale ha fatto a più riprese riferimento Carlos Bielsa, altro non è che un goal negato ad Ocampos a pochi minuti dal fischio finale e sul punteggio di 0-0. “Goal-fantasma” è il termine spesso utilizzato in casi analoghi. Ma di “fantasma”, stavolta, c’era ben poco. Ocampos, infatti, fiondatosi sul pallone a pochi metri dalla porta lo ha spinto in rete nonostante il tentativo di salvataggio in extremis da parte di Anthony Lopes. A nulla è valso però il brillante gesto atletico del giovane argentino, poiché il direttore di gara Benoit Bastien, tra gli emergenti più stimati in patria, ha lasciato proseguire il gioco non convalidando la rete. Un errore che ha inevitabilmente cambiato le sorti del campionato. Forse anche in seguito a questo episodio, la LFP ha lasciato cadere gli ultimi veli di titubanza in merito all’utilizzo della tecnologia e, per voce del presidente Frederic Thiriez, ha reso noto che a partire dalla prossima stagione anche la Ligue 1, così come Serie A, Premier League e Bundesliga, utilizzerà la ‘Goal-Line Technology’. Era ora, viene da dire. Calcio 2OOO

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PHOTOGALLERY IL TIFO RACCONTA

PHOTOGALLERY / IL TIFO RACCONTA

IL CALCIO DEI TIFOSI di Thomas SACCANI

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l bello del calcio è spesso raccolto in pochi attimi. Riuscire a fotografarli è un’arte e, soprattutto, il modo migliore per raccontare ciò che accade. Nulla avrebbe senso senza la presenza del pubblico. I tifosi sono l’essenza stessa del mondo del pallone, doveroso un tributo per raccontarne la vera passione…

INTER-Milan SERIE A 19.04.2015

EMPOLI-Parma SERIE A 19.04.2015

Inter-MILAN SERIE A 19.04.2015

LAZIO-Chievo Verona SERIE A 26.042015

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Empoli-PARMA SERIE A 19.04.2015

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PHOTOGALLERY / IL TIFO RACCONTA

PHOTOGALLERY / IL TIFO RACCONTA

TORINO-Juventus serie A 26.03.2015

Torino-JUVENTUS serie A 26.03.2015

FIORENTINA-Juventus COPPA ITALIA 07.04.2015

HELLAS VERONA-Sassuolo SERIE A 26.04.2015

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BALOTELLI Bel primo piano dell'attaccante del Liverpool reduce da un'esperienza non molto positiva questo anno

BERTOLACCI

Calcio 2OOO

Rimaniamo in casa Chelsea con un pranzetto tra compagni di squadra immortalati sul profilo di Hazard

PUYOL

Vera rivelazione del Genoa, il centrocampista ci regala uno scatto casalingo mentre si riprende da un infortunio

Due miti del calcio. Puyol dell'ultima decade, Cantona degli anni '90.

DEL PIERO

ROONEY

Continua il giro del mondo dell'ex capitano della Juventus. Qui ritratto in posa tipica da surfer alle Hawaii

Molti giocatori si dedicano ad altre discipline nel tempo libero, sicuramente tra le meno pericolose c'è il golf, praticato da Rooney

DROGBA

SUAREZ

Dopo il match con il Manchester United, l'attaccante del Chelsea si regala un primo piano in un hotel di lusso

98

HAZARD

All'estero sono molto più attivi sui social rispetto ai nostri giocatori italiani, ecco il trio del Barca capitanato da Suarez sul pulmino che dall'aereo porta al gate!

Il DJ/Speaker di RTL 102.5 Carlo CARLETTO Nicoletti seguirà i profili Instagram e Twitter dei giocatori più importanti del pianeta Calcio e ci segnalerà le foto e i tweet più divertenti e particolari. Segnalate quelle che magari potrebbero sfuggirgli scrivendogli al suo profilo Instagram e Twitter: @carlettoweb


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