Mensile | MARZO 2016 | N. 219 | Italia | Euro 3,90
Calcio
BE €8,00 | F €11,50 | PTE CONT €7,50 | E €7,50 | CHCT chf 8,50
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L’ALFABETO DEI BIDONI
ELOI-ESNÁIDER DUE AL PREZZO DI UNO…
il mensile diretto da FABRIZIO PONCIROLI
Esclusiva Leandro PAREDES “L’EMPOLI NON HA PAURA DI NESSUNO”
foto Image Sport
Speciale Calcio AFRICA GLI ASSI DEL CONTINENTE NERO
Esclusiva David SUAZO “ORA STUDIO DA ALLENATORE”
Esclusiva Davide TORCHIA “DA RUGANI ALLA ‘FIRMA’ DI MESSI...”
ESCLUSIVA
Felipe MELO
“VOGLIO VINCERE… SEMPRE”
SPECIALE A CASA KALINIĆ I SEGRETI DELL’ASSO VIOLA
L'EDITORIALE di Fabrizio PONCIROLI
direttore@calcio2000.it
IL CALCIO È CAMBIATO… FORSE
PIU’ DI 900 SOGGETTI IN OLTRE 500 FIGURINE! Colleziona e vota il golden Panini sticker inserendo il codice presente nel retro delle figurine speciali su www.panini365.com Official FIFA licensed product. © FIFA and FIFA’ s Official Licensed Product Logo are copyrights and/or trademarks of FIFA. All rights reserved. Manufactured under license by Panini.
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N. 219 - MARZO 2016
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L’ALFABETO DEI BIDONI
ELOI-ESNÁIDER DUE AL PREZZO DI UNO…
2OOO il mensile diretto da FABRIZIO PONCIROLI
Esclusiva Leandro PAREDES “L’EMPOLI NON HA PAURA DI NESSUNO”
FELIPE MELO
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Speciale Calcio AFRICA GLI ASSI DEL CONTINENTE NERO
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TOP PLAYER DI TUTTO IL MONDO
Mensile | MARZO 2016 | N. 219 | Italia | Euro 3,90
Calcio
I
l bello del calcio è che, ogni giorno, regala nuovi motivi di confronto e, spesso, discussione. Il campo ci sta raccontando di un campionato indecifrabile, colmo di sorprese. L’Europa è pronta a dirci se le italiane hanno le carte in regola per puntare in alto. Poi ci sono le chiacchiere da bar… Chiarito che Sarri e Mancini difficilmente andranno a mangiarsi una pizza insieme, c’è da capire a chi ha giovato il calciomercato di riparazione… La mia? A nessuno in realtà. Fosse per me, il mercato di gennaio durerebbe 48 ore massimo. Si parla troppo di mercato e troppo poco di calcio giocato… E, allora, parliamo di calcio giocato… Cover impegnativa questo mese: Felipe Melo, ossia uno dei giocatori più discussi del nostro calcio. In campo è un duro ma, chiacchierando con lui, si capisce molto della sua idea di aggressività… Un’intervista che, ne sono certo, vi sorprenderà… Siamo andati anche a scoprire, più da vicino, Kalinic e Paredes, emblemi di due club, Fiorentina ed Empoli, che, ognuna a suo modo, ci ha stanno regalando stralci di bel calcio (e speriamo continuino così). So che l’alfabeto dei bidoni vi sta prendendo sempre più (grazie per le tante mail). Ho deciso di farvi un regalo: doppio “campione” per quanto concerne la lettera “E”… Poi anche un bel faccia a faccia con la Pantera Nera Suazo, un piacevole incontro con Torchia, uomo mercato di innegabili capacità e pure uno speciale sul calcio africano che avanza senza sosta… Insomma, un numero decisamente ricco… Prima di lasciarvi alla lettura, mi preme condividere con voi una riflessione. Ho avuto modo di apprezzare il nuovo Friuli, stadio di proprietà dell’Udinese… Mi chiedo: ma cosa accadrebbe al nostro bistrattato calcio se almeno 10/15 squadre avessero il loro stadio di proprietà? Ho l’impressione che ci sia qualcuno che non sia tanto disposto a permettere che questo avvenga… Perché? Non saprei davvero… So solamente che Juventus, Udinese e Sassuolo sono le uniche società che hanno impianti di loro proprietà e, numeri alla mano, sono realtà economicamente sane. Un caso? Forse o forse no… All’estero, tutti galoppano seguendo una strada ben delineata: rendere il calcio un business certo. Noi abbiamo stadi inguardabili, fatiscenti e per giunta vuoti. Poi vai allo Juventus Stadium e ritrovi il sorriso, la gente e un servizio impeccabile… Perché? Magari qualcuno di voi sa rispondermi… Qualcuno non si è accorto che il calcio è cambiato, forse per lorsignori non è così…
Esclusiva David SUAZO “ORA STUDIO DA ALLENATORE”
Esclusiva Davide TORCHIA “DA RUGANI ALLA ‘FIRMA’ DI MESSI...”
SPECIALE A CASA KALINIĆ
ESCLUSIVA
Felipe MELO
“VOGLIO VINCERE… SEMPRE”
I SEGRETI DELL’ASSO VIOLA
“Un po' di durezza sta bene alle anime grandi…”
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sommario n.219 6
issn 1126-1056
LA BOCCA DEL LEONE di Fabrizio Ponciroli
8 FELIPE MELO INTERVISTA ESCLUSIVA di Fabrizio Ponciroli 18 MEDIANI BRASLIANI speciale di Francesco Scabar 22 Nikola Kalinić STORIE DI CALCIO di Iacobellis e Incagli 28 LEANDRO PAREDES intervista esclusiva di Sergio Stanco 34 CALCIO AFRICA SPECIALE di Thomas Saccani 40 Eloi - Esnáider L’ALFABETO DEI BIDONI di Fabrizio Ponciroli 48 PESCARA - SERIE B
Anno 19 n. 3 MARZO 2016
di Tommaso Maschio
Registrazione al Tribunale di Milano n.362 del 21/06/1997 - Iscritto al Registro Operatori di Comunicazione al n. 18246
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Redazione
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TC&C S.r.l.
Statistiche
Redazione Calcio2000
di Gabriele Porri
DOVE SONO FINITI?
CAMPIONATI STRANIERI
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IL PROSSIMO NUMERO sarà in edicola il 10 MARZO 2016 4
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e-mail: media@calcio2000.it
Stampa
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92 I NUMERI DELLA SERIE A 98 SCOVATE da CARLETTO RTL NUMERO CHIUSO IL 28 GENNAIO 2016
Contatti per la pubblicità: Tiber S.p.A. Via della Volta, 179 25124 Brescia Tel. +39 0303543439 Fax. +39 030349805
di Stefano Borgi
84 SPAGNA di Paolo Bardelli 86 INGHILTERRA di Luca Manes 88 GERMANIA di Flavio Sirna 90 FRANCIA di Renato Maisani
Image Photo Agency (imagephotoagency.it), Agenzia Aldo Liverani, Daniele Mascolo/PhotoViews Federico De Luca.
Realizzazione Grafica
STORIA
Hanno collaborato
Francesco Scabar, Giacomo Iacobellis, Giulio Incagli, Sergio Stanco, Thomas Saccani, Simone Toninato, Paolo Camedda, Gabriele Porri, Luca Gandini, Stefano Borgi, Paolo Bardelli, Luca Manes, Renato Maisani, Carletto RTL.
Fotografie
di Simone Toninato
78 vittorio pozzo ACCADDE A... di Luca Gandini 80 MArco ballotta
Diretto da
Fabrizio Ponciroli Marco Conterio, Luca Bargellini, Gaetano Mocciaro, Chiara Biondini, Simone Bernabei, Lorenzo Marucci, Pietro Lazzerini, Tommaso Maschio, Lorenzo Di Benedetto.
di Sergio Stanco
54 DAVIDE TORCHIA I RE DEL MERCATO di Luca Bargellini 64 David suazo I GIGANTI DEL CALCIO di Paolo Camedda 74 CHAMPIONS LEAGUE ’85/’86
TC&C srl Strada Setteponti Levante 114 52028 Terranuova Bracciolini (AR) Tel +39 055 9172741 Fax +39 055 9170872 Michele Criscitiello
52 Campodarsego- SERIE D
EDITORE
DIRETTORE RESPONSABILE
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Calcio2000 è parte del Network
CalCiatori, finalmente!
Ci siamo, è arrivato Panini Calciatori 2015-2016, l’appuntamento da non perdere per chi ama il calcio… La 55esima edizione Calciatori, che fin dalla copertina si ammanta delle festose bandiere delle squadre di Serie A TIM, è certamente la più ricca mai realizzata. Lo è per la accresciuta completezza delle rose della Serie A TIM, per le quali ora ci sono ben 22 figurine dei calciatori da collezionare e le carriere complete di tutti gli allenatori. Lo è per il gran numero di informazioni e curiosità, anche storiche, messe a disposizione degli appassionati più esigenti. Lo è per il formato rinnovato delle figurine della Serie B ConTe.it, ognuna delle quali ritrae quest’anno due giocatori. Lo è per la ricchezza e la varietà dei materiali utilizzati, con tutte le maglie di Serie A TIM ritratte in figurine trasparenti con gli scudetti in raso. Lo è anche perché alcuni degli splendidi disegni dei collezionisti proposti nell’ambito dell’iniziativa online “RafFIGUra la tua squadra” sono diventati figurine dell’omonima sezione! Collezionisti che saranno ancora protagonisti della raccolta: infatti, sta a voi eleggere due delle figurine del rinnovato “Film del Campionato” sul sito ufficiale della collezione www.calciatoripanini. it. Per farlo, basta inserire nella sezione “Vota i tuoi Idoli” il codice alfanumerico presente all’interno di ogni bustina (escluse bustine omaggio) e selezionare il vostro idolo assoluto e la vostra giovane promessa. Calciatori Panini 2015-2016 ti aspetta in edicola con tante proposte vantaggiose, fra cui la scatola da 50 bustine al prezzo di €29,40 (anziché €35) e la confezione da 8 bustine al prezzo di €4,90 (anziché €5,60).
PER SCRIVERCI: media@calcio2000.it
LA BOCCA DEL LEONE di Fabrizio Ponciroli - foto Image Sport ESALTATO DAI BIDONI Buongiorno Direttore, sa cosa mi piace di più del giornale? Le sue storie sui bidoni del calcio. Sarà perché ho vissuto gli anni Ottanta e Novanta ma sono davvero interessanti. Io sono un tifoso dell’Ancona e so che lei ha un debole per Jardel. Mi aspetto tanto su Mario. Se vuole le posso dire che c’ero quando l’hanno presentato ed era davvero grasso!!! Complimenti per la rubrica. Perché non ne fate altre? Magari le squadre più disastrose della storia, quelle che hanno fatto meno punti o i tecnici più esonerati. Di storie da raccontare ce ne sono tante, se poi le racconta lei è ancora meglio… Nino, mail firmata Come facevo a non pubblicare questa mail? Impossibile… Troppo ma troppo gentile… Guarda, con me sfondi una porta aperta. Io adoro il passato e, in particolare, quel calcio in cui la fantasia aveva ancora un ruolo… Ora abbiamo tutto a portata di mano, le telecamere sono ovunque, eppure a me il calcio dei tempi che furono, in particolare dei favolosi anni ’80, mi regala emozioni e ricordi unici. Le due proposte/idee che hai lanciato non
sono affatto male. Giuro che ci rifletto e grazie ancora per le bellissime parole… BALOTELLI, SOLO IL MILAN POTEVA PRENDERLO Direttore, leggo sempre i suoi editoriali e spesso mi fa arrabbiare. Forse perché è troppo leggero con il Milan e Mihajlovic. Ok, non è colpa sua e bla bla ma Balotelli l’ha voluto lui e Galliani ce l’ha portato. E abbiamo un giocatore rotto che non gioca mai e dà solo fastidio. Ma possibile che nessuno capisce che è un giocatore finito. Tutti lo hanno scaricato. Al Liverpool manco in tribuna lo facevano sedere. Bacca è un giocatore vero ma Balotelli è un danno. Anche quelli dell’Inter ci prendono in giro per Balotelli. Solo noi potevamo prenderlo. Carlo, mail firmata Carlo, dal tono della tua mail, immagino che tu non sia mai stato un fan di Super Mario… Andiamoci piano. In primis Balotelli non è di proprietà del Milan. È arrivato, con la formula del prestito, dal Liverpool, quindi, a fine stagione, salvo imprevisti, tornerà in Inghilterra, ai Reds. Concordo sul fatto
mario balotelli
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che, in questi primi mesi in rossonero, sia stato più infortunato che arruolabile ma la pubalgia può capitare a chiunque. Io credo che sia stata una buona operazione di mercato, sia a livello economico che tecnico. In fin dei conti, è un’arma offensiva in più e Mihajlovic sa come gestirlo (non mi pare che abbia fatto danni fuori dal campo). Balotelli non credo che sarà il futuro del Milan ma, in questa seconda parte di stagione, potrebbe essere un valore aggiunto… BASTA CON PAROLACCE E INSULTI Egregio Ponciroli, sono un padre che porta il figlio allo stadio. Anzi, portavo il figlio allo stadio. Questo calcio mi sta schifando. Appena inizia la partita, senti insulti e parolacce da ogni lato. E non va meglio in TV, dove tutti i scannano e se poi anche Sarri e De Rossi ci si mettono con le loro frasi senza senso, la frittata è fatta. Ma perché il calcio deve essere così di basso livello? Come si fa a dire che si vogliono le famiglie e poi il prodotto è così basso? Io ho detto a mio figlio che è meglio vedere le partite in TV, così almeno è solo calcio giocato ma mi spiace molto non andare più allo stadio
Daniele De Rossi
e spiace anche a lui Simone, mail firmata
Bella la rivista, un po’ cara ma bella. Furio, mail firmata
altro festeggiare. Mai creduto che lo Scudetto sia deciso ad un tavolo…
Argomento spinoso, caro Simone… Allora, subito una premessa: purtroppo lo stadio, inteso come ambiente, non è progredito, è rimasto quello di sempre… Non credo sia fattibile sperare in un calcio meno rabbioso e più educato. Simone, guarda la società in cui viviamo… I social network sono un continuo inseguirsi di insulti e parolacce, difficile ipotizzare un calcio edulcorato, quando la società si è livellata molto verso il basso, non credi? Spiace molto anche a me, lo stadio è il luogo migliore per assaporare il calcio ma, per certe anime, è complicato viverlo in prima persona…
Furio, concordo con te… I problemi della Roma sono altrove ma l’operazione El Shaarawy ha un senso. È arrivato un attaccante e ne è uscito un altro (Gervinho), quindi direi che, dal punto di vista prettamente numerico, ci siamo… Poi, attenzione al bilancio. Gervinho ha portato 18 milioni nelle casse giallorosse, il Faraone è costato un pacchetto di sigarette a Sabatini…
RICEVIAMO & PUBBLICHIAMO LE OFFESE SONO TUTTE UGUALI Mi chiamo Luciano, ho 34 anni e sono dichiaratamente gay. Le scrivo in merito alla questione Sarri-Mancini. Ho sentito, da illustri suoi colleghi, frasi di ogni tipo. Quasi sembra che noi gay siamo più vulnerabili rispetto a chiunque altra persona. Lecito dare del figlio di buona donna ma stateci attenti ai gay che ci restano male di più, se vengono insultati. Spero che almeno lei sia una persona di più ampie vedute. Le offese sono uguali per tutti, fanno male a prescindere se uno è etero o gay. E non è detto che una parolaccia faccia più male di uno sguardo dispregiativo. Lo so bene, mi è capitato ma sono questioni personali, non facciamo di tutta l’erba un fascio. Io sono un tifoso nerazzurro ma non ho apprezzato la presa di posizione di Mancini. L’avesse fatto a prescindere dall’offesa al mondo omosessuale l’avrei applaudita, fare distinzioni non mi è piaciuto affatto. Sarri ha sbagliato, così come sbagliano tutti quelli che insultano un’altra persona, sia etero o gay. Luciano, mail firmata
NON CAPISCO I VERTICI DELLA ROMA Direttore, mi aiuti lei, non ci sto a capire più niente. Che ce ne facciamo di El Shaarawy alla Roma? Ma sta gente non capisce che sta squadra ha bisogno di difensori ed esterni di difesa? Posso capire che Garcia era in bambola ma Spalletti non è uno stupido e anche lui si fa prendere attaccanti? Vogliamo proprio ammazzarci da soli.
Stephan El Shaarawy
SIA SINCERO… Direttore, deve essere sincero: crede che il Napoli sia la squadra più forte? Ma, soprattutto, gli lasceranno vincere lo Scudetto o, alla fine, faranno in modo che lo vincano altri che magari hanno più potere? Penso alla Juventus o all’Inter… Gennaro, mail firmata Caro Gennaro, non credo nel potere occulto… Credo che, alla fine, sia sempre il più forte sul campo a portare a casa la vittoria. Se il Napoli si dimostrerà la compagine più attrezzata, riuscirà a conquistare il Tricolore, in caso contrario, toccherà a qualcun
Gonzalo Higuain
ROBERTO MANCINI
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INTERVISTA FELIPE MELO PASSIONE VERA
Felipe Melo ama il calcio, non può farne a meno...
SONO MELO, GRAZIE A DIO… Una passione viscerale per il calcio, una determinazione come pochi altri, l’unico e solo Felipe Melo…
di Fabrizio PONCIROLI foto Daniele Mascolo
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INTERVISTA / FELIPE MELO
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uando accade di intervistare un calciatore a casa propria, bisogna sempre tener presente che, alla fine, si sta entrando in un focolaio altrui. È necessario comportarsi bene, da perfetti ospiti. Arriviamo nell’appartamento di Felipe Melo nel bel mezzo dei preparativi per il compleanno di uno dei quattro figli. Basta una rapida occhiata per capire che, in casa Felipe Melo, si respira un forte profumo di famiglia. Sulle credenze, abbondano libri religiosi, a conferma dell’importanza, trainante, della fede in Cristo. Ci viene offerto anche il caffè, ci viene detto di “fare come se fossimo a casa nostra”. Inusuale. E dire che, per tanti, Felipe Melo è un cattivo, un duro, uno che gioca per far male all’avversario. Niente di più falso. Nell’appartamento, oltre a diversi parenti, non mancano gli animali. Ci sono un pitbull (Kyra), un labrador (Luna) e pure un pappagallo SI è FATTO DA SOLO Tanti sacrifici per arrivare ad essere un grande professionista
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INTERVISTA / FELIPE MELO
“” Il mio obiettivo? Volevo migliorare la mia vita. Ho capito in fretta che il calcio poteva aiutarmi a diventare una persona migliore (Besaleo)… “È un po’ nervoso, non gli piace stare vicino ai maschi”, ci ammonisce lo stesso Felipe Melo. Dopo essersi sincerato che i preparativi per la festa di compleanno della figlia proseguono senza intoppi, si accascia sul divano, pronto a raccontarci la sua vita, il frutto del disegno del Signore e della sua voglia di arrivare…
Allora Felipe, apriamo il libro dei ricordi… Da bambino subito calcio ma anche ju jitsu… “Mi sono appassionato da subito al calcio ma anche alle arti marziali. Mi affascinavano e mi piacciono tante anche adesso. Mio padre, a sua volta, praticava ju jitsu e poi è toccato a me. Quando fanno in TV qualche match di UFC, cerco di non perdermeli. Resto sveglio anche fino a tarda notte per seguire i match più interessanti, se la giornata dopo non devo giocare”.
“Assolutamente. Mio padre, mia madre, i miei nonni, tutti mi hanno aiutato a raggiungere il mio sogno. Hanno fatto tanti sacrifici per me e io non posso che ringraziarli. Penso anche ai miei nonni che mi hanno ospitato quando ho iniziato a giocare a certi livelli. Mio nonno è venuto a mancare da poco, ma mia nonna è qui con me, a Milano, e tengo molto a lei, così come a tutta la mia famiglia. Loro, tutti insieme e grazie a Dio, hanno lavorato per farmi avere i soldi necessari per allenarmi, giorno dopo giorno”.
Quando hai capito che il calcio sarebbe stato il tuo mestiere? “Io ho sempre avuto un obiettivo ben chiaro: volevo migliorare la mia vita. Ho capito in fretta che il calcio poteva aiutarmi a diventare una persona migliore. L’aiuto di Dio è stato fondamentale. Senza di Lui, non avrei fatto nulla”.
Parliamo un po’ dei tuoi idoli da piccolo… “Sicuramente Dunga, per la sua grinta e per il suo modo di essere leader, è stato un mio idolo. Poi dico anche Veron, Simeone e Romario. Quest’ultimo è un mio amico, ci conosciamo bene”.
Sei molto legato alla tua famiglia. Penso che il loro apporto sia stato importante, o sbaglio?
Per certi versi, assomigli molto a Dunga… “Per me è un complimento, Dunga è
“” Emery mi ha aiutato tanto nella mia crescita professionale. Un grande davvero.Mancini? Fondamentale per me, mi ha portato all’Inter stato un grandissimo. Ci ha portato anche un Mondiale, da capitano e leader in campo”. Secondo un racconto, da giovane ti sei cimentato anche nel ruolo di attaccante. Tutto vero? “Sì, ad un’edizione della Copa Zico, torneo giovanile molto quotato in Brasile, ho giocato da attaccante,
facendo tantissimi gol. Ricordo che non vincemmo il torneo, ma io fui il capocannoniere. Ho ancora quel trofeo di capocannoniere del torneo”. Poi, però, alla fine sei diventato un centrocampista. Chi ti ha spostato a metà campo? “A dire il vero, mi è sempre piaciuto giocare a centrocampo. Poi, sai, con tutti i fuoriclasse in attacco che nascono in Brasile, ho pensato che, da centrocampista, avrei avuto più possibilità di arrivare in Nazionale (ride, ndr). Comunque mi sono divertito anche a giocare da attaccante. Ricordo che fu Carlinhos, allenatore noto in Brasile, a farmi giocare da centravanti. Lo stesso tecnico che ha messo Adriano là davanti…”. A poco più di 20 anni, arriva l’approdo nella Liga, al Mallorca… Come mai hai scelto proprio la Spagna? “No, non ho scelto io la Spagna, DISPONIBILE CON TUTTI
Felipe Melo firma la maglia adidas per un suo tifoso...
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INTERVISTA / FELIPE MELO
INTERVISTA / FELIPE MELO
NATO VINCENTE
L'IMPORTANZA DI DIO Felipe Melo mette il Signore sempre al primo posto...
Di Fabrizio Ponciroli
Ovunque è stato, Melo ha lasciato il segno…
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o sempre dato il massimo, io vivo per la sfida”. Felipe Melo è sempre stato un combattente. In campo, la sua leadership è evidente. Protagonista, giovanissimo, in Brasile, ha subito vinto con le maglie di Flamengo e Cruzeiro. Decisivo anche in Spagna (miglior giocatore della stagione 2007/08 tra le fila dell’Almeria), si è distinto anche nel suo unico anno alla Fiorentina (40 presenze, con anche due gol, ad Atalanta e Lecce). Male alla Juventus? Nel biennio lascia comunque lì 78 gettoni, con quattro gol all’attivo (due ai danni dell’Atalanta). Il salto di categoria lo fa ad Istanbul, con la casacca del Galatasaray. In quattro anni con la maglia del club turco, vince tre scudetti, due Coppa di Turchia e una Supercoppa di Turchia. Si diverte anche con la casacca del Brasile. Disputa la Confederation Cup 2009 (segnando una rete) vinta dalla nazionale verdeoro ai danni degli Stati Uniti (3-2 in finale). Ora aspetta il primo trionfo alla guida dell’Inter e, visto l’impegno che mette in
UN VERO DURO
In campo, la sua presenza si fa sentire, sempre e comunque
campo, l’impressione è che sia un obiettivo decisamente alla sua portata. Una curiosità sul numero di maglia. Perché l’83? Oltre ad essere il suo anno di nascita, è la sintesi di due numeri a cui tiene molto, il 3 e l’8, ossia la Trinità e l’Infinito…
SQUADRA
PAESE
PRESENZE
RETI
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FLAMENGO FLAMENGO CRUZEIRO GREMIO MALLORCA RACING SANTANDER RACING SANTANDER ALMERIA FIORENTINA JUVENTUS JUVENTUS GALATASARAY GALATASARAY GALATASARAY GALATASARAY GALATASARAY INTER
BRASILE BRASILE BRASILE BRASILE SPAGNA SPAGNA SPAGNA SPAGNA ITALIA ITALIA ITALIA TURCHIA TURCHIA TURCHIA TURCHIA TURCHIA ITALIA
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foto Daniele Andronico
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STAGIONE
Dati aggiornati al 18/01/2016
LA CARRIERA DI MELO
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INTERVISTA / FELIPE MELO
solo loro che hanno scelto me… Non avevo, allora, tante opzioni. Avevo trattato con Porto e Benfica, ma non avevamo trovato un accordo e, all’ultimo giorno di mercato, è arrivata la possibilità di andare al Mallorca di Hector Cuper e l’ho presa al volo”. Che ricordi hai del periodo spagnolo. Hai giocato per Mallorca, Racing e Almeria… “Al Mallorca ho giocato poco ma sono sceso in campo spesso nelle ultime, decisive, partite del campionato. Al Racing ho giocato da esterno sinistro o destro e non è stato facile. Poi sono finito all’Almeria dove sono esploso. Devo dire grazie all’allenatore di quella squadra, Unai Emery. Per me un tecnico davvero incredibile che mi ha aiutato tanto nella mia crescita professionale. Una stagione indimenticabile, bellissima”. Poi, nell’estate del 2008, arriva la chiamata della Fiorentina…
INTERVISTA / FELIPE MELO
“” Ho giocato in tante squadre e non sempre ho trovato la mentalità vincente che c’è all’Inter. In Italia ora c’è tanto equilibrio “Che bell’anno. È stato il mio primo, vero grande club. Ho dei ricordi bellissimi della città, della squadra e della società. Dopo i primi mesi, ero già amatissimo. Uscivo di casa e dovevo firmare 70/100 autografi. Incredibile, giocando subito la Champions League. La Fiorentina ha un posto speciale nel mio cuore, anche se so che, trasferendomi
alla Juventus, ho scontentato tante persone”. Appunto, la Juve… Forse il fatto di essere etichettato come mister 25 milioni ti ha condizionato negativamente? “No, assolutamente no. Ci sono dei giocatori che, anche se giocano male, sono sempre stimati dal pubblico e ce ne sono altri che, anche se giocano bene, non piacciono alla gente. Basta che qualcuno inizia a dire che sei scarso e, alla fine, per la gente lo diventi davvero. Quando sono arrivato a Torino, dicevano che io e Sissoko, la coppia centrale di quella Juventus, eravamo il duo più forte d’Italia. A fine anno, non avendo vinto nulla come squadra, eravamo diventati scarsi… Eppure io, in quella Juventus, ho sempre giocato da titolare. Comunque io ho un ricordo solo positivo di quell’esperienza alla Juve. Sono cresciuto moltissimo come uomo, ho imparato tanto lì, in una società seria”.
L'AMICA KYRA
Felipe Melo in compagnia del suo fidato cane Kyra...
LE SCARPE DI FELIPE Con le ACE 16+ Purecontrol, tutto diventa possibile
N
el calcio di oggi, servono grandi scarpe per conquistare grandi traguardi. Felipe Melo non fa eccezioni. Ai piedi indossa le ACE 16+ Purecontrol, prime scarpe da calcio prive lacci ad alte prestazioni. L'innovazione vede i lacci sostituiti da tre elementi chiave del design, per una maggiore stabilità e un miglioramento delle performance. Dove ci sono le iconiche tre strisce di adidas, una TPU cage stringe l'arco del piede, rispecchiando la funzione originale delle strisce nelle prime scarpe di Adi Dassler. La tomaia knit, basata sul rivoluzionario Primeknit di adidas, combina sezioni a trama aperta e larga ed è realizzata utilizzando i migliori filati disponibili, dopo aver testato in maniera minuziosa diverse combinazioni e variazioni nella lavorazione della maglia. La combinazione presente nelle ACE 16+ Purecontrol mantiene il piede nella posizione corretta garantendo calzata e comfort straordinari 14
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attraverso il design senza lacci. All'interno della scarpa, la tecnologia techfit avvolge il piede garantendo supporto e stabilità laterale durante i cambi di direzione repentini e offrendo un perfetto controllo. Altri elementi chiave del design sono la
struttura più ampia del tallone e una suola riprogettata per ridurre il peso. Il risultato è la vestibilità di un guanto e un controllo senza precedenti, grazie a una superficie più ampia che fornisce la miglior sensibilità possibile sul pallone. Calcio 2OOO
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INTERVISTA / FELIPE MELO
INTERVISTA / FELIPE MELO
Chiusa l’esperienza a Torino, vai ad Istambul, al Galatasaray… “Sono sincero, non è stato facile. C’era il Manchester City che mi voleva e avevo già un pre accordo con il PSG, dove c’era Leonardo. Ma, sono onesto, il Galatasaray è arrivato con un’offerta importante a livello economico. Ci ho pensato, c’era Taffarel, ho chiesto a diverse persone e alla fine ho scelto di andare in Turchia”.
determinato a fare di tutto per la mia squadra che è una cosa diversa”.
Una scelta azzeccata… “Guarda, bellissimo. Ho trovato una tifoseria spettacolare. Ho vinto da subito, diventando importante per la squadra. Sono stati degli anni bellissimi e ricchi di soddisfazioni, sia in campo che fuori”.
Hai vinto tanto, mi dici un trofeo al quale sei più legato? “Vincere lo scudetto in Turchia sul campo del Fenerbahce (stagione 2011/12, ndr) è stata una gioia immensa che non dimenticherò mai. Certo, anche portare a casa la Confederation Cup con la maglia del Brasile mi ha dato tanta felicità. Ora speriamo di vincere qualcosa con l’Inter”.
Al Galatasary hai fatto anche il portiere… “(ride, ndr) Sì, sì. Giocavamo contro l’Elazigspor. Vincevamo 1-0 ma, a pochi minuti dalla fine, fischiano un rigore contro di noi. Muslera, il nostro portiere, è k.o. Non ci penso, vado e prendo i guanti. Grazie a dio quel tiro l’ho parato. Una vittoria che, alla fine, è risultata decisiva per vincere il campionato, davanti al Fenerbahce”. Protagonista in Turchia ma, alla fine, sei tornato in Italia. Hai voluto tantissimo l’Inter e hai avuto ragione tu… “Ho sempre voluto l’Inter e sono contento che il mio desiderio si sia realizzato. Devo dire grazie anche a Mancini che mi ha voluto a tutti i costi”. Sei tornato più maturo, eppure c’è ancora chi dice che sei troppo cattivo… “Se ne sono dette tante di falsità su di me. Ad esempio non mi è piaciuto quello che mi hanno messo in bocca riferito al Pipita (”Higuain me lo mangio io”, ndr). Non l’ho mai detto. Io ho tanto rispetto di Higuain e mai farei qualcosa per far male appositamente ad un avversario. Come quando hanno detto di Balotelli che lo avrei menato. Io sono amico di Balotelli… Io non sono cattivo, sono 16
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Felipe, ti piace quest’Inter? “Sì, tanto. Tutti insieme, vogliamo vincere a tutti i costi. Ho giocato in tante squadre e non sempre ho trovato questa mentalità che c’è all’Inter. Sono stato in squadre in cui, anche se perdevi, l’accettavi. Qui all’Inter, invece, conta solo la vittoria”.
E che dici, ce la può fare l’Inter quest’anno? “Siamo lì. Quando sono arrivato in Italia la prima volta, non c’era questo equilibrio in vetta. Ora ci sono tante squadre che lottano per vincere, è più bello così”. I due avversari più forti che hai mai affrontato e due compagni di squadra indimenticabili… “Messi e Cristiano Ronaldo, vado sul facile. Davvero fortissimi. Come compagni di squadra dico Miranda, che è un numero uno, e Amauri, altro attaccante pazzesco”. Un amico vero nel mondo del calcio… “Amauri, non ho dubbi”. Parlando di te. Oltre al calcio, che cosa ti piace fare? “Allora, prima cosa: io sono malato di calcio. Stavo giocando a Football Manager prima che arrivassi tu e ieri sera mi sono visto tutte le partite in diretta della Premier League. Diciamo che mi piacciono tante cose. Poi, sai, ho quattro figli, quindi mi devo impegnare tanto”. È vero che ti piace pesca subac-
“” Io non sono cattivo, sono determinato a fare di tutto per la mia Squadra che è una cosa diversa. Tante falsità su di me quea? “Sì, ma senza le bombole. Se no è troppo facile. Con l’ossigeno, stai lì e aspetti che passi il pesce… Invece, senza bombole, devi impegnarti e a me piacciono le sfide difficili”. Mi dici un film in cui ti sarebbe piaciuto essere protagonista? “Mamma mia, bella domanda… Ce ne sono tanti di film che mi sono piaciuti. (Dopo lungo conciliabolo con amici e parenti). Quello in cui Bruce Willis deve recuperare una dottoressa… Lagrimas de Sol (L’Ultima Alba nella versione italiana). Bel film, tanta adrenalina”. Da grande, resterai sempre nel calcio? “Sì, mi vedo sicuramente nel calcio. Non so se come direttore sportivo o allenatore o altro. Non penso proprio che uscirò da questo mondo,
come ho detto, sono malato di calcio, non potrei mai farne a meno”. E meno male… Uno come Felipe Melo, che piaccia o meno il suo stile sul terreno verde, è un valore aggiunto per il mondo del calcio. Il tempo di qualche foto e di qualche palleggio, ed è tempo dei saluti. Prima facciamo la conoscenza con uno dei suoi cani. È un pitbull e si chiama Kyra. Ha lo stesso sguardo di Felipe Melo… “Qualche giorno fa ha azzannato un cane della sua stessa razza”, ci racconta il giocatore, mentre lo accarezza con dolcezza ed autorità. Meglio farsi da parte, non sia mai che Kyra abbia voglia di riconfermare di essere un capo branco. È bastata una mezz’ora per rendersi conto perché Felipe Melo è tanto stimato da tutti gli allenatori e dai compagni di squadra che ha avuto e ha tutt’ora. È uno vero, con una voglia di vincere che pochi altri hanno… Cattivo? No, determinato e sempre pronto a ringraziare Dio, la sua vera ancora…
Intervista di Fabrizio Ponciroli Calcio 2OOO
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SPECIALE
di Francesco Scabar - foto Agenzia Liverani
SPECIALE / MEDIANI BRASILIANI
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L’ORA DEI MASTINI 30 anni di Brasile: storia di una metamorfosi calcistica… IL PAESE DEL CALCIO Tanti i campioni sfornati dal Brasile, alcuni decisamente muscolari...
CARLOS DUNGA
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arcellona 5/7/1982, una data e un luogo che rimarranno scolpiti nella storia del calcio brasiliano non meno funesti del famoso 16/7/1950, giorno in cui 200 mila tifosi brasiliani a Maracanã furono gettati nella più completa disperazione dalla sconfitta dei propri beniamini contro l’Uruguay nell’ultimo atto della Coppa Rimet. È chiaro che nell’immaginario collettivo il Maracanazo non ha avuto eguali, ma quel 3-2 rifilato da undici leoni italiani nel catino del Sarrià alla meravigliosa squadra brasiliana guidata da Telé Santana ha forse cambiato per sempre il corso storico del calcio brasiliano, vediamo perché. Ai mondiali del 1982 o Brazil era la grandissima attrazione della rassegna, una sorta di Harlem Globtrotters in casacca verdeoro che poteva contare su un centrocampo, “o quadrado magico”, mai visto prima su un terreno di gio18
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co. Falcão, l’Ottavo re di Roma e Cerezo, futuro romanista e da anziano scudettato con la Sampdoria, erano i due playmaker arretrati; il dottor Socrates leader in campo e fuori nella Democrazia Corinthiana, e Zico miglior calciatore brasiliano tra Pelé e Ronaldo, giocavano più avanzati. Il terzino sinistro di quella squadra, Junior, aveva piedi così raffinati che qualche anno dopo in Italia (Torino e Pescara) verrà impiegato come metronomo davanti alla difesa. Il terzino destro Leandro e i centrali Oscar e Luizinho avevano anch’essi piedi squisiti mentre la seconda punta Eder aveva un calcio mancino a dir poco ciclonico che poteva raggiungere i 174,5 km/h. Il guaio di quella squadra erano gli estremi: il portiere Waldir Peres, che per via del cranio calvo sembrava un ragioniere del catasto era un citofono, mentre il centravanti Serginho era un tronco d’ebano goffo e sgraziato. Possibile che Telé Santana non disponesse di un attaccante migliore? Nel Brasileirão giocava un attaccante
di razza come Roberto Dinamite e un astro emergente come Careca che però s’infortunò alla vigilia del torneo. Il CT verdeoro non era uno sprovveduto dal punto di vista tattico comunque: il pur sgraziato Serginho aveva una funzione fondamentale negli schemi verdeoro. Serginho infatti era una sorta di esca che doveva servire a tenere impegnata a suon di sportellate i difensori avversari, in questo modo i fantastici quattro moschettieri del centrocampo più Eder avrebbero potuto inserirsi da dietro e calciare a rete indisturbati. Dopo aver regalato spettacolo e calcio samba contro URSS, Scozia e Nuova Zelanda nel gironcino iniziale e contro l’Argentina nella seconda fase, proprio sul più bello, quel magnifico Brasile cui bastava un misero punticino per giungere in semifinale, si fermò incredibilmente contro l’Italia. Bearzot quel giorno le indovinò tutte: Collovati in marcatura su Serginho, Gentile su Zico e Oriali su Eder. L’Italia stritolò il quadrato magico verdeoro che ebbe pure la pecca atavica di sbagliare di punizione, e la magica squadra di Santana se ne tornò così a casa con le pive nel sacco. Questo fatto fu clamoroso: la misera e catenacciara Italietta aveva fatto fuori i marziani del calcio, impossibile digerire una batosta del genere dalle parti di Rio de Janeiro. I grandi capi della Confederação Brasileira de Futebol dopo quella cocente batosta si riunirono e programmarono un drastico cambio di rotta: innanzitutto il Ct Santana fu esonerato, poi i grandi capi si misero a discutere i motivi
EMERSON della debacle. Qualcuno attribuì la sconfitta ai troppi fiorettisti messi a centrocampo dal CT e alla presenza di un pennellone goffo e ingombrante come Serginho in attacco. A pensarci bene quell’Italia giocava esattamente al contrario: grandi pedalatori e incontristi a centrocampo (Oriali, Tardelli) e attaccanti agili e tecnici in avanti (Rossi, Conti), perché non imitarla? Così, dall’estate del 1982 i tecnici federali incominciarono a impostare i vivai brasiliani secondo tre linee guida molto semplici: innanzitutto la preparazione dei portieri doveva essere più accurata (non è un caso che il Brasile dal 1982 a oggi abbia sfornato un’ottima schiatta di portieri eccellenti come Taffarel, Dida, Julio Cesar); a centrocampo dovevano essere impiegati giocatori di sostanza, mediani di rottura oppure mezzali di fatica, i piedi buoni dovevano essere concentrati in difesa, sulle fasce e al centro, e in attacco; l’attacco così, doveva essere affidato a giocatori agili, tecnici e coraggiosi, non a torri sgraziate e macchinose. Già ai mondiali di Messico 1986 il Brasile, affidato al ripescato Telé Santana, si presentò con una veste più prudente: nel canonico 4-2-2-2, a centrocampo a fianco del divo Falcao fu inserito Elzo, un rubapalloni puro che dal 1987 al 1989 militò senza lasciare grossissimi tracce nel Benfica, mentre più avanti, al fianco di Socrates, fu spostato il polivalente Junior, giocatore che quattro anni prima faceva il terzino! L’attacco fu affidato all’agilità e all’estro della coppia Careca-Müller. Questo primo Calcio 2OOO
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SPECIALE / MEDIANI BRASILIANI
SOCRATES esperimento abortì, anche se o Brazil uscì a testa alta ai quarti di finale contro la magna Francia di Michel Platini. La vera rivoluzione però avvenne nel 1990: in quell’anno i mondiali si disputarono in Italia, la patria del Catenaccio, e il rinnovato Brasile affidato a Sebastião Lazaroni (oriundo italiano che in Italia guiderà senza lasciare grosse tracce Fiorentina e Bari) si presentò con un inedito 5-3-2 con tanto di libero staccato, un vero e proprio spergiuro per la patria del fuetebol bailado. Il trittico di centrocampo era composto dal volante Alemão, fresco di scudetto con il Napoli, un giocatore dalla tempra e dalle caratteristiche tecniche più teutoniche che brasiliane (lo stesso soprannome lo suggerisce) e dalle mezzali Valdo (mediano del Benfica poi al PSG) e Dunga. Fu proprio l’assenza di un regista di livello mondiale (un Didì o un Falcao) che impedì a quel Brasile di non superare gli ottavi di finale nello scontro fratricida contro l’Argentina: gli albicelesti il genio ce l’avevano per davvero e rispondeva al nome di Maradona, una sua giocata (assist al volo senza guardare per Caniggia) mandò così a casa un Brasile mai visto così brutto e operaio. La strada però non era sbagliata e quattro anni più tardi, pur non ripetendo gli eccessi delle Notti magiche, il Brasile di Carlos Alberto Parreira si presentò con la stessa ricetta: 20
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SPECIALE / MEDIANI BRASILIANI
GILBERTO SILVA centrocampo affidato ai muscoli di Mazinho e Dunga, due giocatori che hanno militato guarda a caso nella Serie A italiana (Dunga con Fiorentina, Pisa e Pescara, il padre di Thiago Alcantara con il Lecce e la Fiorentina dove spesso giocò da terzino), l’attacco fu invece affidato a due brevilinei come Romario e Bebeto. Questa volta la ricetta funzionò e il Brasile si laureò, pur dopo la lotteria dei calci di rigore, campione del mondo contro l’Italia. Fu la rivincita della pazza partita del Sarrià di dodici anni prima che vide contrapposte due squadre completamente cambiate rispetto ai loro connotati tradizionali anche l’Italia del rivoluzionario Sacchi infatti si presentò con un inedito 4-4-2 che rompeva la tradizione del Catenaccio italiano. Quella vittoria fu però di fatto rimossa nell’immaginario collettivo brasiliano: oggi nessuno o quasi si emoziona nel ricordare capitan Dunga, centrocampista asciutto e superrazionale (non a caso vanta antenati italiani e tedeschi), alzare la coppa a Pasadena! Dopo lo sfortunato mondiale del 1998, perso in finale contro i padroni di casa della Francia (a fianco dell’immarcescibile Dunga giocava Cesar Sampaio), il Brasile si presentò ai mondiali nippo-coreani del 2002 in una veste più operaia che mai: tre difensori centrali (Lucio, Edmilson e Roque Junior), due interditori puri
Kléberson a centrocampo come Gilberto Silva e Kleberson, poi protagonisti in un campionato fisico come la Premier League. L’attacco era tutto affidato alla fantasia di Ronaldinho, Rivaldo e ai gol del rinsavito Fenomeno Ronaldo. La ricetta di Scolari funzionò e il Brasile divenne così pentacampeão du mundo, in un torneo comunque non trascendentale sul piano tecnico: quelli nippo-coreani sono stati probabilmente i più brutti mondiali di sempre! Dopo il 2002 però il movimento calcistico brasiliano è entrato in una fase contraddittoria. Nel 2006 il Puma Emerson, cocco di Fabio Capello alla Roma e alla Juve, e Zé Roberto non riuscirono a servire a dovere i quattro tenori Adriano, Kakà, Ronaldinho e Ronaldo e così il Brasile uscì mestamente ai quarti contro Sua Maestà Zinedine Zidane. In quella partita giocò mediano Juninho Pernambucano, forse l’unico regista di livello prodotto dal calcio brasiliano dal 1982 ad oggi, troppo poco per un movimento calcistico che ha fatto dei piedi buoni la propria filosofia di vita. Nel 2010, Dunga, proprio l’ex mezzala sbriciola tibie, guidò un Brasile rinnovato nei nomi ma non nella filosofia di gioco: in un quasi inedito 4-2-31, l’ex mediano della Fiorentina e del Pisa impiegò l’ala tattica Ramires a destra, poi utilizzato con gli stessi compiti nel Chelsea, e in mezzo al campo, a fianco del totem Gil-
MAZINHO berto Silva, Felipe Melo, forse il giocatore brasiliano più “tosto” sfornato nella sua secolare storia. Tuttavia, il nuovo corso targato Menezes, che per la prima volta rispolverò un regista puro a centrocampo, il fin troppo lento Paulo Enrique Ganso, durò un amen (due anni appena), prima del ritorno del conservatore Scolari in vista dei mondiali casalinghi del 2014. Tutti i nodi però sono venuti definitivamente al pettine: il Brasile nell’ultimo mondiale si è rivelato troppo Neymar dipendente (anche perché Hulk e Fred ricordavano sinistramente lo sciagurato Serginho) e il solito centrocampo muscolare formato da due pedalatori come Paulinho e Luiz Gustavo hanno garantito poca qualità. In semifinale i padroni di casa sono stati travolti 7-1 dalla Germania, il Mineirazo è stata così la terza grande disfatta sportiva della storia del calcio brasiliano, una debacle che però potrebbe consentire al calcio brasiliano di voltare pagina. Per ora, rispetto al 1982, non si è ancora assistito a un vero cambiamento, il ritorno di Dunga ne è la dimostrazione più lampante, però l’intero movimento calcistico brasiliano, che di fatto al giorno d’oggi si è ridotto ad una mera azienda di export verso l’Europa, è a un bivio importante: o tornare all’antico o insistere su un binario che ha portato risultati ma non incarna il gusto del popolo brasiliano… Calcio 2OOO
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STORIE DI CALCIO Nikola Kalinić
STORIE DI CALCIO / NIKOLA Kalinić
L'ORO DELLA VIOLA Una nuova stella è sbarcata in Italia
LA PERLA Kalinić Alla scoperta dell’uomo che tutta Firenze ama…
foto @FDLCOM
di Giacomo Iacobellis e Giulio Incagli foto Archivio TC&C
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STORIE DI CALCIO / NIKOLA Kalinić
STORIE DI CALCIO / NIKOLA Kalinić
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a storia di Nikola Kalinić inizia a Spalato, cittadina a 8 chilometri da Salona, il 5 gennaio 1988. Il calcio è fin da bambino la sua passione più grande. E poco importa se per andare ad allenarsi con la maglia dell’Hajduk, la squadra in cui ha sempre giocato in patria, è necessario farsi mezz’ora di auto o prendere due pullman. La scuola passa in secondo piano, troppo bravo Kalinić col pallone tra i piedi per dedicare tempo pure ai libri. Dopo aver strappato consensi unanimi nelle giovanili, Nikola debutta in prima squadra chiudendo la stagione 2005-2006 con 7 presenze. Niente male per un diciassettenne che presto si conquista un ruolo da protagonista anche con la Nazionale croata. è proprio l'Europeo Under 17 del 2005 a regalargli infatti la prima preziosa vetrina internazionale, con la premiazione come Mvp del torneo
“” Nikola Kalinić, in riva all’Arno, vuole scrivere ancora tante altre pagine di storia e ben 11 gol segnati. A fine anno l’Hajduk decide dunque di mandarlo a farsi le ossa: sei mesi al Pula (3 gol in 12 gare) e altri sei al Sibenik (3 centri in 8 partite). Dodici mesi lontano da casa per conquistarsi, a partire dal 2007-2008, un posto fisso nella compagine che lo aveva formato. Nel suo stadio, la “Poljud Arena”, e tra la sua gente. Con 44 reti in 77 presenze nell'arco di due stagioni, la sfida con l’avversario della Dinamo Zagabria Mario Mandzukic è di quelle da vivere fino all'ultimo minuto dell'ultima giornata.
Kalinić colpisce tutti, per tecnica individuale e rapidità d’esecuzione, e a giugno arriva il momento di tentare il grande salto. Ci provano AZ Alkmaar e Valencia, ma alla fine a spuntarla è il Blackburn Rovers con un’offerta da 7,5 milioni di euro che porta nelle casse dell’Hajduk il più grande introito della storia del club. Nell'agosto 2009, ecco quindi lo sbarco in Premier League. Tutto cambia, dal lavoro allo stile di vita. Nel Lancashire c'è un maestro come Sam Allardyce, che dimostra subito di credere in lui. Tuttavia, il salto è di dimensioni considerevoli e a Kalinić serve del tempo per ambientarsi. Così, alla fine della stagione, saranno solamente 7 i suoi sigilli in 38 partite. Le cose non migliorano neanche l'anno successivo. Dopo un più che dignitoso ottavo posto in campionato, mister Allardyce paga infatti il cambio di proprietà del Blackburn e viene rimpiazzato da Steve Kean. Col nuovo allenatore manca l'intesa e a rendere ancor
LA SUA STORIA Di Giacomo Iacobellis e Giulio Incagli
Da Spalato a Firenze, sempre di corsa…
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ecnica, corsa e fiuto del gol. Testa sulle spalle e basso profilo. Nikola Kalinić è sicuramente una delle sorprese più belle della Fiorentina di questa stagione. Arrivato dal Dnipro ad agosto, il bomber croato in quattro mesi ha convinto anche i più scettici sul proprio conto. Ruolo da titolare inamovibile e già 11 gol (10 in campionato e 1 in Serie A) per il nuovo – autentico – numero 9 di Firenze. Da Batistuta a Boksic, i paragoni si sprecano, ma Nikola si sente solo un uomo con la fortuna di inseguire il suo sogno, quello di giocare a pallone ad alti livelli. Ennesimo prodotto della prestigiosa cantera dell’Hajduk Spalato, Kalinić è una scommessa vinta prima di tutto da mister Paulo Sousa, il principale artefice del suo trasferimento in maglia viola. Proprio agli ordini del tecnico lusitano, il calciatore è riuscito infatti a lasciare subito il segno in Serie A, trascinando i gigliati in un sorprendente girone di andata. Forte fisicamente, letale sotto porta e indispensabile, grazie al suo puntuale gioco di sponda, per lo sviluppo della manovra. Un centravanti completo che sogna adesso di riportare in Champions League la sua Fiorentina dopo tanti anni di assenza, oltre ad arrivare il più lontano possibile in Europa League già in questa stagione. Il suo avvio straordinario è un segnale forte e chiaro anche alla Nazionale croata e al c.t. Ante Cacic, con Francia 2016 sempre più vicino.
TALENTO INNATO Kalinic ha sempre avuto una classe infinita
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UN ACQUISTO ECCEZIONALE Gran colpo viola, Kalinic è una grande scoperta
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STORIE DI CALCIO / NIKOLA Kalinić
STORIE DI CALCIO / NIKOLA Kalinić
L’IMPORTANZA DELLA FAMIGLIA
VOGLIA DI STUPIRE Kalinic vuole portare la Fiorentina in alto...
Di Giacomo Iacobellis e Giulio Incagli
La fortuna di Kalinić risiede nelle persone che gli stanno vicino…
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ietro un grande uomo c’è sempre una grande… mamma. Dopo aver visitato Salona, questa è la massima che ci portiamo dietro. Ambizione e coraggio: i dogmi di Neda, madre di Nikola Kalinić e vero e proprio motore della famiglia. Per intenderci, Jozo, il padre di Nikola, la chiama boss… “Non sono soddisfatta di quello che sta facendo a Firenze. Io lo seguo fin da bambino e può dare molto di più alla Fiorentina. Sarò contenta quando farà meglio di Higuain”, sentito mamma Kalinić? L’impressione è fin da subito che sia lei a tenere le redini della famiglia e ripercorrendo la storia di Nikola, si scopre che proprio Neda lo ha avvicinato al mondo del calcio (tifosissima del Milan… anche se avevamo promesso di non raccontarlo), portandolo ogni giorno a Spalato per sostenere gli allenamenti. La città vive per il football e ci sono moltissime squadre sia a Salona che soprattutto a Spalato. La famiglia Kalinić però è molto umile e Neda conosce le insidie e le difficoltà che si celano dietro il mondo del calcio. Soluzione? Se è bravo, continua, altrimenti si concentrerà sullo studio. Pragmatica, dritta al punto. Per capirci, o Hajduk o niente… Com’è andata poi a finire, tutti lo sappiamo.
La visita alla casa in cui è cresciuto Nikola Kalinić è senza dubbio la parte più emozionante e suggestiva della nostra incredibile avventura. Accolti come sultani, Jozo e Neda ci mostrano subito con orgoglio la vetrina (costruita da Jozo) contenente tutti i trofei e i ricordi di Nikola. Dal gagliardetto della finale di Europa League tra Dnipro e Siviglia, fino ad arrivare alla prima pagina del “Gorizia Sport” (“Febbre azzurra per Italia-Croazia”) che celebrava la finale del famosissimo "Torneo Europa Unita" tra le selezioni Under 16 di Italia e Crozia. Insomma, tocchiamo con mano il Nikola Kalinić che fu, proprio in quella casa che lo ha visto muovere i primissimi passi e crescere fino al trasferimento al Blackburn nel 2009.
Cucina, divani, lenzuola. In casa Kalinić tutto è viola. Neda giura che sia da sempre il suo colore preferito, ma l’impressione è che qualcosa sia cambiato nell’arredamento proprio da settembre a oggi. Nikola, Nikola, Nikola… Jozo e Neda non parlano d’altro, giustamente, direte voi, ma dopo più di un’ora di chiacchierata, la domanda ci è venuta spontanea: ma Nikola è figlio unico? No, Zdravko (come Kuzmanovic) è il fratello maggiore, ha 5 anni di più. “Anche lui ha provato a giocare, ma non era portato…”, I dubbi certamente non mancavano. L’idea di incontrare la famiglia ci dice Neda. Liquidato così, torniamo a parlare di Nikola. Non di uno dei giocatori più forti d’Europa, sinceramente ci metteva perdono una partita, dal campionato alla Coppa Italia, il divano è un po’ di soggezione. Evidentemente, però, non conoscevamo la il parterre di casa Kalinić da dove fare il tifo per il figliol prodigo. grande famiglia Kalinić. Diversa, semplice, autentica. Le tensioni, “Con Juve, catastrofa”, afferma Neda. Stavolta non c’è bisogno quella vertigine tra emozione e timore che ci accompagnava nel della traduzione. “Hanno giocato molto male nel secondo tempo. viaggio da Spalato a Salona, si sono sgretolate prima ancora di Nikola ha sbagliato tanto ed era troppo solo” continua. Non è mai varcare la porta di casa. In lontananza scorgiamo un uomo con la contenta ed è ossessionata dal premio di capocannoniere. “Se tuta della Fiorentina (sì, avete letto bene), che si sbraccia in mezzo sarà il miglior marcatore della Serie A, allora sarò soddisfatta”, alla strada per indicarci il parcheggio. Fuori la telecamera, ci Jozo ride vedendo le nostre facce sbalordite dalle parole della mosiamo. Sorriso a 32 denti, sguardo stupito verso l'obiettivo, occhi glie. Adesso però sappiamo da dove arrivino quella grinta, quella lucidi, è emozionato… lui? Sì, Jozo (il padre) ha dato tutto per tenacia e quella cattiveria agonistica che hanno stregato una Nikola e il fatto che ci fossimo spinti fino a casa loro per parlarne, città intera. Nikola Kalinić è tutto questo. È Jozo e Neda, persone lo ha assolutamente sorpreso. Il croato è l’unica lingua che parla, stupende che ci hanno fatto sentire a casa, è l’Hajduk, che lo ha ma per esprimersi fortunatamente usa un linguaggio universale: la cresciuto come uomo e calciatore, è Spalato che con i suoi colori spontaneità. e i suoi scorci mozzafiato ti rapisce... 26
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MOMENTI FAMIGLIARI Alcuni istantanee private di Kalinic
Tomislav Erceg
più in salita il cammino di Nikola ci si mettono pure gli infortuni. Un'annata da dimenticare: 6 reti in 20 presenze e retrocessione per gli inglesi. “Troppo fisico – sussurrano Oltremanica – il calcio della Premier per l’esile ragazzo venuto dall’Est”. Ma Kalinić di arrendersi al primo flop non ne vuole certo sapere. Nel 2011 è già tempo dunque di rifare le valigie, destinazione Dnipropetrovsk. E proprio col Dnipro la sua riscossa è davvero strabiliante. Dopo aver totalizzato 27 gol in 76 presenze nelle prime tre stagioni (20112012, 2012-2013 e 2013-2014), il quarto anno è quello della consacrazione. 19 gol in 47 gare, semifinale di Coppa d’Ucraina, terzo posto in campionato e finale di Europa League (con tanto di gol contro il Siviglia): il mercato torna inevitabilmente a bussare alle porte del suo procuratore, Tomislav Erceg. Il Galatasaray offre 9 milioni di euro, arrivano proposte anche dalla Russia, ma a risolvere ogni contesa ci pensa mister Paulo Sousa. La storia d’amore tra Nikola Kalinić e la Fiorentina inizia infatti da qui: “Portami Nikola a Firenze, sotto la mia guida si consacrerà”. Da una telefo-
“” Un centravanti completo che sogna adesso di riportare in Champions League LA FIORENTINA nata del neo-allenatore viola all’agente del giocatore. Parole decise e decisive quelle di Sousa, innamorato di Kalinić fin da quando, alla guida dell’Under 16 del Portogallo (20052008), ne seguiva i miglioramenti tra i pari-età della Croazia. “Può fare anche meglio di ciò che ha mostrato in Ucraina”, ne è convinto Paulo mentre parla al telefono con Erceg a fine luglio. Mica facile però strappare Kalinić al Dnipro. “Per Nikola – risponde Tomislav – ci sono offerte da 10 milioni di euro”. “Non mi importa. Lo seguo da più di sette anni e nel mio gioco si esalterà. Ci puoi giurare”, incalza nuovamente Paulo. Ed è proprio dopo questa smisurata iniezione di fiducia che l’aspetto economico
diventa quasi ininfluente. Saranno 5,5 alla fine i milioni versati dai gigliati nelle casse del club ucraino per un attaccante che, ad oggi, vale almeno il triplo. Kalinić segna e fa segnare, è il miglior marcatore stagionale dei viola e il punto di riferimento offensivo del 3-4-2-1 di Sousa (o, all’occorrenza, anche il partner d’attacco di Babacar). Sì, proprio il senegalese al quale Nikola ha “rubato” la maglia da titolare a suon di prestazioni da 8 in pagella. Con notti magiche come quella di “San Siro”, in cui il croato ha rifilato all’Inter una clamorosa tripletta. Con rimonte insperate come quella nel derby con l’Empoli, in cui sono state proprio due reti di Kalinić, entrato nella ripresa, a ripristinare l’equilibrio del match dopo il doppio vantaggio degli uomini di Giampaolo. O con imprese agognate ma soltanto sfiorate, come in occasione della sconfitta incassata al “San Paolo” dal Napoli, quando dopo l’1-1 firmato dal proprio numero 9 i gigliati sono stati costretti a capitolare dinanzi al gol-partita di Higuain. Accontentarsi? Mai e poi mai. Nikola Kalinić, in riva all’Arno, vuole scrivere ancora tante altre pagine di storia. Calcio 2OOO
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INTERVISTA LEANDRO PAREDES CLASSE... '94
Leandro Paredes è considerato uno dei centrocampisti più interessanti in prospettiva
Aspettando Messi Intervista con Leandro Paredes, giovane centrocampista argentino dell’Empoli (di proprietà della Roma)
foto @FDLCOM
di Sergio STANCO foto Archivio TMW
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INTERVISTA / LEANDRO PAREDES
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rendete un pizzico di Joan Roman Riquelme, aggiungeteci un tocco di Zinedine Zidane e guarnite il tutto con una spruzzata di Daniele De Rossi. Che ne esce? Sicuramente un mix devastante, un giocatore unico, che abbina quantità e qualità e che potrebbe fare la fortuna della Roma per i prossimi 10 anni. Esageriamo? Ovviamente si parla in prospettiva, e non c’è cosa più difficile che pronosticare il futuro di giovani che hanno ancora molto da dimostrare, anche perché tanto dipende anche dalla testa, ma Leandro Paredes ha tutto per diventare uno dei migliori centrocampisti al Mondo. Lo sta dimostrando a Empoli, dove a soli 21 anni ha preso il comando del centrocampo della squadra di Giampaolo e lo fa girare con la maestria di un regista consumato. Un ruolo troppo importante per non considerare fondamentale il suo apporto nei successi di un club che, nella sua storia, non era mai andato così in alto in classifica. VIVA LA PROVINCIA L'argentino è andato all'Empoli per giocare e fare esperienza: obiettivo raggiunto
INTERVISTA / LEANDRO PAREDES
“” La Nazionale è il mio obiettivo. Riuscirci dopo aver lasciato il mio Paese e da giocatore dell'Empoli, sarebbe un vanto maggiore Merito del “vecchietto” Maccarone, che spesso si prende la copertina perché ottimo finalizzatore di una manovra avviata dai vari Zielinski, Buchel, Mario Rui, Laurini, Tonelli, Barba e… Paredes, ovviamente. Li chiamano “I ragazzini terribili di Giampaolo”, perché hanno l’incoscienza tipica della gioventù e non hanno paura di nessuno, giocano a viso aperto, palla a terra e senza timori reverenziali, che davanti ci sia la Juve o il Frosinone. E Paredes là in mezzo fa sfoggio di personalità,
non perde mai la calma, non soffre il pressing, distribuisce palloni e non lesina agonismo se necessario. Più Redondo che Riquelme, per quelli che si sono goduti le giocate di questi splendidi campioni. L’Argentina è fucina di talenti e di campioni ai quali ispirarsi, eppure Leandro da piccolino studiava Zidane. Oggi, però, sogna Messi. O, meglio, di raggiungerlo al più presto. In Nazionale, ovviamente… Hai fatto tutta la trafila nel Boca Juniors, non una squadra qualsiasi: te lo ricordi il primo giorno? "E come faccio a dimenticarlo? Io ero e sono tifoso del Boca per me fare un provino era già un'emozione stupenda. Avevo solo 7 anni ma ero emozionatissimo: quando sono stato preso ero il bambino più felice del mondo". A maggior ragione, quanto è stata dura lasciare la tua squadra del cuore quando è arrivata l’offerta della Roma? "Tanto, ovviamente, ma sia io sia la mia famiglia eravamo convinti che fosse la cosa giusta da fare per la mia carriera. Ci ho pensato tanto e quando sono andato via mi è dispiaciuto, non è stata una scelta a cuor leggero, ma era giusto così".
morato della sua classe e speravo, un giorno, di riuscire ad arrivare a fare le sue magie. Le faceva con una leggerezza tale che sembravano facili (sorride, ndr) ". Perché da ragazzino eri trequartista giusto? E ora invece hai arretrato la tua posizione... "Sì, da piccolo ho sempre giocato trequartista, e per un bambino che sognava di diventare un grande giocatore in quel ruolo, era inevitabile ispirarsi a Zidane". Ora invece che sei più mezzala, chi sono i tuoi modelli? "Mi piacciono molto Iniesta e Modric, sono i miei punti di riferimento oggi. In particolare Iniesta, che è un giocatore fantastico, ha una classe sopraffina e un'intelligenza tattica straordinaria". Non è uno scandalo che non abbia vinto il Pallone d'Oro e forse non lo vincerà mai? "È fortissimo, ma non è uno scan-
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Ho sempre ammirato Zinedine Zidane, ero innamorato della sua classe e speravo, un giorno, di riuscire ad arrivare a fare le sue magie dalo, perché c'è Messi (ride, ndr). Leo è devastante (testuale, ndr), dunque finché c'è lui è dura per tutti batterlo". Torniamo a te: al Boca da quando avevi 7 anni, a 19 arriva l'offerta della Roma. Cos'hai pensato quando te l'hanno detto? "Che era un’ottima opportunità, perché la Roma è una grande squadra
in Europa e che sarebbe stata la scelta giusta per la mia carriera in quel momento". Non hai avuto un po' di paura a trasferirti dall'altra parte del Mondo così giovane? "No, perché avevo il sostegno di tutta la mia famiglia e dei miei amici. Ne ho parlato con loro e tutti eravamo d'accordo che fosse la cosa giusta da fare". Com'è stato il primo impatto con l'Italia? "Ottimo direi, mi sono ambientato subito, anche perché l’Italia e l’Argentina sono due paesi molto simili culturalmente. Poi Roma è una città stupenda: ero molto entusiasta della nuova avventura, mi allenavo duramente e mi godevo il tempo libero con la mia famiglia e mia moglie". E invece è stato difficile entrare in uno spogliatoio pieno di campioni come quello della Roma? "No, perché è composto di splendi-
Cosa rappresenta il Boca per i suoi tifosi? "Tutto. E non esagero. C'è davvero un legame eccezionale tra il pubblico e la squadra, ci sono persone che vivono per il Boca".
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Eppure, da ragazzino, il tuo idolo non vestiva la maglia del Boca... "Eh, già, hai ragione. Ho sempre ammirato Zinedine Zidane, ero inna-
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E per un giocatore, per di più tifoso, cosa significa giocare alla Bombonera? "Un'emozione che non potrai mai dimenticare. Non credo che ci siano stadi che riescano a trasmettere gli stessi brividi. Il derby di Roma mi ha ricordato un po' il clima dell'Argentina, ma la Bombonera è unica".
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INTERVISTA / LEANDRO PAREDES
INTERVISTA / LEANDRO PAREDES
IL PREDESTINATO Di Sergio Stanco
Nato per giocare a calcio, ad alti livelli…
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BOCA TE QUIERO Paredes è cresciuto ed è tifoso incallito del Boca
C'è qualcuno che ti ha preso sotto la sua ala? "L'ho sempre detto e lo ripeterò sempre, non smetterò mai di ringraziare De Rossi. Mi è stato vicino dal primo giorno, mi ha seguito, incitato, mi ha dato un sacco di consigli. Ancora oggi ci sentiamo spesso, mi dà suggerimenti anche da lontano, Daniele è un grande (sorride, ndr). In campo si trasforma, è uno tosto, ma fuori dal campo è un bravissimo ragazzo". A cosa non potresti più rinunciare dell'Italia e a cosa invece non ti sei ancora abituato? "Mi sono abituato davvero a tutto, non c'è nulla che non mi piaccia. Di sicuro non potrei più fare a meno della pasta, la mangio in tutti i modi, qua cucinate in maniera davvero divina (ride, ndr)". Dieci presenze in maglia giallorossa nella scorsa stagione: l'emozione più grande? "Direi due: la vittoria nel derby, che è stata fondamentale in chiave Champions e poi naturalmente il primo goal, tra l'altro decisivo (a Cagliari, 1-2 il finale ndr)".
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eandro Paredes è entrato a 7 anni nel settore giovanile del Boca. Si è presentato per un provino e ci è mancato poco che i dirigenti argentini blindassero le porte per non farlo uscire più. Il giovane giocatore dell’Empoli (in prestito dalla Roma) è sempre stato considerato un predestinato, fin da quando da ragazzino calcava i campi del vivaio xeneize. Paredes è un classe ’94 che è cresciuto nel mito di Zidane perché da sempre trequartista, ma che ora è diventato praticamente un “tuttocampista” per utilizzare un neologismo calcistico che rende bene l’idea di un giocatore completo, che in mediana può ricoprire qualsiasi ruolo. Pur non essendo un regista puro, davanti alla difesa nell’Empoli sta facendo la differenza, ma può giocare anche da mezzala o da trequartista (ovviamente) o punta esterna (come è capitato nella Roma). È duttile, tattico, tecnico, ama entrare in scivolata e spesso utilizza questo gesto tecnico per strappare la palla agli avversari. Le sue qualità non sono passate inosservate, tanto che il DS della Roma Sabatini nel gennaio 2014 quando lo porta in Italia (prestandolo al Chievo perché senza slot “extracomunitari”) lo fa per soffiarlo al Milan. A promuoverlo “professionista” fu la nostra vecchia conoscenza Claudio Borghi (ex Milan e Como, stella del calcio argentino degli Anni ’80 oggi allenatore di successo in Sudamerica), che a soli 16 anni lo fece entrare nell’élite del Boca Juniors a patto che riprendesse gli studi. Leandro è stato inserito nella lista dei migliori calciatori nati dopo il ’91 dalla nota rivista spagnola Don Balon e, non a caso, ha giocato nelle giovanili Under 15 e Under 17 dell’Argentina. Aspettando Messi, ovviamente…
di ragazzi, mi hanno subito messo a mio agio e mi hanno aiutato molto a inserirmi".
“” Ricetta dell’Empoli? Non abbiamo paura di niente e di nessuno, giochiamo allo stesso modo contro tutti gli avversari vinto che sia stata la scelta giusta". Certo passare da Roma a Empoli deve essere stato un grande cambiamento di vita... "Sì, in effetti sì, sembra un altro mondo, anche rispetto all'Argentina, ma si vive benissimo, è una città tranquilla e si mangia alla grande anche qui (ride, ndr). Solo che non posso sgarrare, altrimenti lo staff tecnico mi ammazza (ride, ndr)". Siete considerati "I ragazzini terribili della Serie A", è una definizione che ti piace? "Sì, mi piace, perché in effetti abbiamo il coraggio, o se vuoi l'incoscienza, dei giovani. Non abbiamo paura di niente e di nessuno, giochiamo allo stesso modo contro tutti gli avversari".
Quest'estate il trasferimento all'Empoli: con il senno di poi, una scelta che rifaresti? Forse quest'anno alla Roma avresti trovato più spazio... "Sì, forse sì, ma non mi sono mai pentito della decisione, perché in quel momento era la scelta giusta da fare. Avevo bisogno di giocare con continuità e l'Empoli mi offriva questa possibilità".
In questo, quanto merito ha mister Giampaolo? "Molto, perché lui ci chiede sempre di giocarcela a viso aperto contro chiunque, di non arretrare, di manovrare sempre palla a terra e di non aver paura di cercare la giocata. Questo è molto importante per noi: i giovani hanno bisogno di fiducia e lui ce l'ha data dal primo giorno".
E infatti ora sei titolare inamovibile: quanto senti di essere cresciuto? "Tanto e in poco tempo, mi sento sicuramente maturato, perché è solo giocando che un giovane può acquisire esperienza e crescere velocemente. Per questo ho scelto di venire qui e per questo sono con-
Al di là di tutto, però, c'è una rosa con grande qualità, perché Maccarone, Saponara, Livaja sono giocatori importanti... "È vero, siamo una buona squadra e ce ne sono molti altri che mi hanno impressionato. Penso a Zielinski, ad esempio, o a Tonelli in difesa, tutta
gente di grandissima qualità. E anche in panchina ci sono ragazzi interessantissimi e bravi come Maiello e Croce, che pure giocano meno di altri. Questo ti dà l'idea della qualità della rosa". Se continuate così, però, è probabile che molti faranno il grande salto l'anno prossimo... "È naturale e forse è anche giusto così. Ci sono tanti ragazzi che secondo me se lo meritano, se dovessimo tenere questo ritmo è molto probabile che molti riceveranno proposte importanti. È anche la filosofia di un club molto bravo come l’Empoli, che sa scegliere i giocatori". È anche vero che continuare così significa vedere l'Empoli in Europa nel prossimo anno: riesci a immaginartelo? "Perché no? Ovviamente all'inizio tutti eravamo consapevoli di poter fare un buon campionato, ma forse nessuno immaginava di fare così bene. Adesso che siamo qui, è normale ambire a qualcosa di più, sognare non costa nulla". Quando hai scelto questa nuova esperienza, che obiettivo ti eri posto? E pensi di averlo raggiunto? "Il mio obiettivo era quello di giocare il più possibile e finora posso ritenermi soddisfatto. Come dicevo prima, sento di essere migliorato tanto in questi mesi ma voglio continuare così e crescere ancora". Per arrivare dove? "Innanzitutto in Nazionale, per me indossare la maglia dell'Argentina sarebbe il massimo. La Nazionale è l'obiettivo di tutti, dunque anche il mio. Riuscirci dopo aver lasciato il mio Paese e da giocatore dell'Empoli, sarebbe un vanto maggiore". E poi in Nazionale giocheresti con un certo Messi... "Lascia stare, non me lo dire che già mi vengono i brividi (ride, ndr). Per me sarebbe un sogno che diventa realtà". Calcio 2OOO
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SPECIALE CALCIO AFRICA
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di Thomas Saccani
QUANDO C'ERA WEAH - Classe purissima, il Pallone d'Oro del Milan
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L’ORO DELL’AFRICA 34
L’ultima perla del continente nero si chiama Aubameyang… Calcio 2OOO
ono lontani nel tempo gli anni in cui il calcio, in Africa, era uno sport tutto da scoprire. A lungo si è continuato a catalogare i calciatori africani come “dotati di grande fisico ma in ritardo a livello tecnico/tattico”. Una storiella che, oggi, non ha più valenza. Il calcio africano è cresciuto in maniera esponenziale tanto che, tra i migliori talenti in circolazione, molti provengono dal Continente Nero. È sufficiente scorrere l’albo d’oro del prestigioso African Football of the Year per rendersi conto del livello degli assi nativi dell’Africa. Drogba, Kanouté, Adebayor, Eto’o, Yaya Touré e, vincitore dell’ultima edizione, Aubameyang. Questi i vincitori delle ultime 10 edizioni, non proprio giocatori di media fascia. In particolare è di grande interesse il nome di Aubameyang. Stella del Borussia Dortmund, il bomber del Gabon ha superato, in volata, Yaya Touré (143 voti contro i 136 del centrocampista del City), conquistando un riconoscimento che sa di consacrazione. Ancora piuttosto giovane (classe 1989), con un trascorso nelle giovanili del Milan (stagione 2007/08), Aubameyang è il perfetto prototipo del moderno giocatore africano: fisico asciutto e velocissimo, tecnica sopraffina e una conoscenza del gioco totale, frutto dei tanti anni trascorsi in Europa (prima in Francia, con le casacche di Digione, Lilla, Monaco e Saint’Etienne e ora in Germania). E proprio qui sta il nodo della questione. Il vero salto di qualità è stato fatto da quei giocatori che, per migliorarsi, hanno deciso di lasciare l’Africa per la più competitiva Europa. Sempre puntando i riflettori
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IN RAPIDA CRESCITA I talenti africani sono in aumento, vedi Aubameyang...
ALL'INIZIO MILLA - Roger è stato uno dei primi fuoriclasse del Continente Nero
sull’African Football of the Year, si nota come l’ultimo vincitore del trofeo non militante in squadre europee è stato Mohamed Timoumi, trionfatore dell’edizione 1985, mentre indossava la casacca del Far Rabat. Da lì in poi solo trionfi di giocatori che hanno legato le proprie fortune all’Europa, proprio come Aubameyang e Yaya Touré, ad oggi i due massimi esponenti del Continente Nero. LA SCUOLA CAMERUN Lunga vita al Camerun. In Africa, continente vastissimo, il calcio è ovunque e, da ovunque, può uscire il campione del futuro. Tuttavia c’è un Paese che ha sfornato più talenti calcistici di qualsiasi altra realtà africana. Questo Paese è il Camerun. Bastano due nomi per suffragare tale supremazia: Roger Milla e Samuel Eto’o. Il primo è, ancora oggi, un’autentica leggenda in terra africana (e non solo). Giocatore più vecchio a segnare ad un Mondiale (42 anni), è stato uno dei primi giocatori africani a decidere di diventare grande in Europa. Nel 1977, quando non era ancora così semplice lasciare il proprio Paese per tentare l’avventura altrove (soprattutto se si parlava di giocare a calcio), Roger Milla, allora 25enne, decide di trasferirsi in Francia, al Valenciennes. Resterà in Francia sino al 1990, imparando molto sul calcio, come poi mostrerà con la maglia della nazionale. Poco da dire su Samuel Eto’o. Quattro volte vincitore dell’African Football of the Year (primatista insieme a Yaya Tourè), è, a detta della stragrande maggioranza degli addetti ai lavori, il più grande giocatore africano di sempre. Un altro che, Calcio 2OOO
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CHE CLASSE ETO'O Ce lo siamo gustati a lungo, per tanti il migliore africano di sempre
GIOVANI STAR - Iheanacho, uno da tener d'occhio, ora al City
il passaggio in Europa, l’ha fatto in tempi rapidi (a 15 anni era già nelle giovanili del Real Madrid). Un altro esempio dell’eccellente valore del Camerun. A questi due mostri, possiamo aggiungerne tanti altri, tutti provenienti dal Camerun. Da N’Kono a Mboma, passando per Abega e Omam Biyik. Insomma, un Paese decisamente florido, calcisticamente parlando…
l’Italia è sempre stata un po’ restia ad investire nel calcio africano (tendenza che sta cambiando ultimamente). Dopo Zahoui, si è dovuto attendere per 12 lunghi anni per vedere un nuovo calciatore africano calpestare i campi della Serie A. Il nome? George Weah ma, a differenza di Zigulì, il suo passaggio nel Bel Paese non sarà una toccata e fuga…
IL PRIMO AFRICANO In Italia ci siamo gustati (e ci gustiamo ancora) diversi campioni sfornati dal Continente Nero. Abbiamo sbavato nel vedere in azione un certo Weah, gioito nell’ammirare Eto’o e via dicendo. Ma, come in tutte le belle storie, c’è sempre un inizio. Sapete chi è stato il primo giocatore africano ad esordire nel campionato italiano? L’evento il 28 febbraio 1981, in Fiorentina-Ascoli. L’africano in questione è Francois Zahoui. Rozzi, allora presidente del club marchigiano, lo preleva, a 20 anni, dalla Stella Club di Abidjan, città della Costa d’Avorio. Di lui si dice un gran bene. Costato un miseria (circa 20 milioni di vecchie lire, compreso materiale sportivo per la Stella Club), Zahoui, soprannominato Zigulì, non troverà fortuna nel Bel Paese. In due anni ad Ascoli, vedrà il campo solo 11 volte, senza mai trovare la via del gol. Poco importa, lui è ricordato comunque per essere stato il primo africano a sbarcare nel Bel Paese. E, a conti fatti, l’operazione, economicamente parlando, portò anche dei frutti al club bianconero visto che, nel 1983, la sua vendita al Nancy (dove sarà titolare), permise all’Ascoli di incassare circa 90 milioni di lire. Zahoui si prenderà anche una piccola rivincita il 10 agosto 2010 quando, da CT della Costa d’Avorio, batterà proprio l’Italia (1-0 il finale). Un dato lascia sgomenti e, di fatto, conferma come
I NUOVI TALENTI Nessuna preoccupazione per il futuro. L’Africa ha già pronta una nuova generazione di campioncini pronta a raccogliere l’eredità dei fuoriclasse che oggi impazzano. Il nome più gettonato è quello di Victor Osimhen. Vincitore dell’ultima edizione del Youth Player of the Year. Classe 1998, di nazionalità nigeriana, ha fatto parlare di sé ai recenti Mondiali Under 17 dove ha sciolinato prestazioni da autentico fuoriclasse, segnando 10 gol in sette gare. 185 centimetri di altezza, dotato di uno scatto bruciante, a molti ricorda il primo Drogba (tra l’altro Osimhen ha ammesso che Didier è sempre stato il suo idolo). Non per caso è già stato accostato ai maggiori club europei. Altro nome da tenere in grande considerazione è quello di Kelechi Iheanacho. Più vecchio, si fa per dire, di due anni di Osimhen, è già stato messo sotto contratto dal Manchester City. Altro attaccante, altro nigeriano, si sta già ritagliando qualche spazio nel super attrezzato City (quattro reti stagionali in poco più di 10 presenze), confermando di essere un talento in erba dal sicuro avvenire. Decisamente interessante (e poco pubblicizzato) il tunisino Idriss Mhirsi. Di proprietà dell’Esperance di Tunisi, è un attaccante, classe 1994, dalle potenzialità infinite. Restando in ottica punte e tornando alla Nigeria, attenzione anche a Olarenwaiu
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Di Thomas Saccani
“Aubameyang è un prodotto africano/italiano”
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L’AFRICA SECONDO MALU
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AUBAMEYANG L'EUROPEO è un fenomeno, anche perchè ha giocato, da sempre, in Europa
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n pochi conoscono il calcio africano come Malù Mpasinkatu. Normale chiedere a lui lumi sulle nuove generazioni di calciatori africani che si stanno mettendo in luce nei massimi campionati europei: “Il rapporto tra Africa ed Europa è migliorato molto negli ultimi decenni. Ormai
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malù mpasinkatu
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sono tantissimi i giocatori, di origine africane, che crescono nelle giovanili di club europei. Così facendo, uniscono la fisicità classica dei giocatori africani alla tattica e alla tecnica proprie del calcio europeo. Un vantaggio importante che si riflette anche sulle nazionali africane che, con questi giocatori cresciuti in Europa, diventano sempre più competitive”. Ci si sofferma su Aubameyang: “Stiamo parlando del migliori giocatore africano della nuova generazione. Non so se è il migliore, a me fa ancora impazzire un certo Yaya Touré che, seppur non più giovanissimo, fa ancora la differenza al Manchester City. Diciamo che Aubameyang è l’esempio del giocatore di origini africane che ha avuto un vantaggio enorme, a livello di crescita, grazie al fatto di aver giocato subito in Europa. Bisogna dire grazie al Milan che lo ha fatto crescere nel proprio vivaio. Lui è un prodotto africano/italiano”. Nessun dubbio su chi sia il Paese africano che sa sfornare maggiori talenti: “La Nigeria, a livello di giovani, fa paura. Nelle competizioni Under 17 e Under 20, è sempre in prima fila, conquistando sempre risultati importanti. La conferma di come tutto il movimento sia in forte crescita. Molto è dovuto al fatto che diversi tecnici europei stanno insegnando calcio ai giovani calciatori africani. In loro trovano grande voglia di imparare e quella fisicità che, a certi livelli, fa la differenza”.
LUI C'è SEMPRE - Gli anni passano ma Yaya Touré resta uno dei più forti
Kayode. Ancora giovanissimo (classe 1993), si sta facendo le ossa nel campionato austriaco, con la casacca dell’Austria Vienna. Se si è alla ricerca di un portiere, da segnare con il circoletto rosso il nome di Eric Ofori-Antwi. Estremo portiere ghanese (classe 1994), sta facendo bene in patria (con l’Asante Kotoko Kumasi) ma, a breve, potrebbe sbarcare in Europa per diventare davvero grande… In rampa di lancio anche Ebenezer Ofori. Difensore (ma può giocare anche da centrocampista), è un classe 1995 e, attualmente, milita in Svezia, nell’AIk. E potremmo continuare a lungo… IL PROBLEMA DEL RECLUTAMENTO Negli ultimi tempi sono diventati veri e propri casi di cronaca. Giovani africani strappati al loro Paese con la promessa, non mantenuta, di diventare degli assi del pallone in Europa. Un sogno che, al momento dell’arrivo in Europa, si è trasformato in un incubo. Niente contratto con alcuna squadra, ma lavoro da schiavi. La Fifa, con difficoltà, sta provando a debellare il problema. Un regolamento, chiaro e preciso, esiste: “I trasferimenti internazionali dei calciatori sono consentiti solo se il calciatore ha superato il 18 anno di età”,
IL PRIMO AFRICANO - Zahoui, il primo del Continente Nero ad essere sbarcato in Italia
si legge nell’Articolo 19 del Regolamento Fifa. Poi, però ci sono tante eccezioni, conseguenze della “sentenza Bosman” che ha liberalizzato il calcio europeo. Si scende, ad esempio, a 16 anni se il trasferimento avviene all’intero della UE o dell’AEE, se i genitori del ragazzo si sono trasferiti nel Paese della nuova società per motivi indipendenti dal calcio e se è in essere un accordo di collaborazione tra le accademie giovanili dei due club (con obbligo di vitto, alloggio e adeguata istruzione). Tante eccezioni che, di fatto, rendono ancor più complicato prevenire i tanti, troppi casi in cui finti agenti di mercato raccontano frottole alle famiglie di giovani africani, frottole che portano solo disperazione. A tutto questo va aggiunto il problema dell’età. Spesso si interviene anche sui documenti del giovane ragazzo che, di colpo, acquista o perde anni di vita a seconda dell’esigenza del momento. Un caso esemplificativo: Anthony Yeboah, stella africana esplosa in Germania. A diversi anni dal suo ritiro dalle scene ha fatto sapere di aver falsificato i documenti circa la sua data di nascita, spostandola dal 1966 al 1964 (due anni più vecchio) per poter raggiungere prima la maggiore età e poter giocare così ad alti livelli due anni prima del previsto… Calcio 2OOO
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L’ALFABETO DEI BIDONI ELOI - Esnáider
di Fabrizio PONCIROLI
Accolto come il nuovo Falcao, ha deluso ogni tifoso del Grifone
IL FINTO FALCAO “Io non vado in Italia pensando al quinto o al sesto posto… Io Calcio 2OOO
dico che il Genoa può arrivare primo o secondo… Sono stato sempre il capocannoniere delle squadre dove ho giocato e nel Genoa voglio segnare come minimo 10 gol ma anche di più”. Parole e musica di Eloi alla Gazzetta dello Sport (14 luglio 1989). Il Grifone, pur di portarlo in Italia, fa uno sforzo economico notevole: un miliardo di vecchie lire. È l’estate del 1983. L’entusiasmo per l’acquisto del brasiliano che sa palleggiare con i limoni (una delle tante storie di paese che lo accompagneranno per tutta la vita) è notevole. Tutti stimano questo ragazzo che ha già mostrato il suo valore in diversi club brasiliani (Santos, Cruzeiro e Vasco in particolare). Zico, uno che di fuoriclasse se ne intende, fa i complimenti al Genoa: “Francisco è molto bravo, un eccellente organizzatore di gioco, un centrocampista puro. Il Genoa ha fatto certamente un affare”. I paragoni si sprecano. Simoni, allenatore di quella squadra rossoblù, si sbilancia: “È il nostro Falcao.
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Giunti alla lettera “E”, si è deciso per un doUble…
rima di tutto: contento che la rubrica piaccia e diverta. Arrivati alla lettera “E” sono stato assalito da un dubbio amletico. Facendo scorrere i frombolieri che, cognome alla mano, potevano rientrare nella categoria, mi sono soffermato su due illustri rappresentanti: Eloi, visto al Genoa, ed Esnáider, passato a Torino, maglia bianconera. Chi scegliere? Difficile rinunciare ad uno che, come nome completo, recita Francisco Chagas Eloia. Altrettanto complicato dire di no a uno che era noto con il nomignolo di Gardel della Romareda e, ai più, ricordava Antonio Banderas… Quindi? Quindi doble, li teniamo entrambi…
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LO SFORTUNATO ELOI
Si ringrazia Panini per la gentile concessione delle immagini
Si ringrazia Panini per la gentile concessione delle immagini
ELOI-Esnáider, C’è DI MEGLIO…
L’ALFABETO DEI BIDONI / ELOI - Esnáider
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L’ALFABETO DEI BIDONI / ELOI - Esnáider
Come il romanista non cerca il numero ad effetto ma se ne sta tranquillo a studiare la situazione ed è sempre in cerca del gol” (15 agosto 1983, Gazzetta dello Sport). Appunto, il gol… Eloi sa segnare, l’ha mostrato anche al Mundialito organizzato dalla Finivest, rifilando un gran gol al Milan. Il suo sbarco a Genova è salutato dall’ovazione di numerosi tifosi del Grifone. Tutti invocano il suo nome. Lui, sorridente, giacca tipo pescatore della domenica e, onestamente, con un viso che ricorda Falcao, si presenta con moglie e figli, certo di aver trovato la squadra giusta dove sfondare. Ad essere sinceri, l’inizio è anche discretamente positivo. In Coppa Italia, si regala una doppietta contro il Palermo. Il presidente Fossati si convince di aver messo sotto contratto un crack (Eloi era stato preferito a Pedrinho, finito poi al Catania e ne parleremo probabilmente nelle prossime puntate). Purtroppo non è così. Il giovane brasiliano, indubbiamente, è uno che sa NESSUNA GIOIA
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Al Genoa, Eloi ha collezionato solo magre figure...
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correre. Sul campo da gioco, è quello che, tra i rossoblù, corre di più. Corre, corre ma, qui sta il problema, corre e basta e, a dirla tutta, ad una velocità in stile rallenty. Delle qualità “alla Falcao” neppure l’ombra, del suo fiuto per il gol non ne parliamo affatto. Debutta con il Napoli, non incanta ma, almeno, il Genoa non perde. I tifosi, almeno inizialmente, gli stanno vicino ma, in campo, Eloi è un fantasma. Con il passare delle giornate, il popolo rossoblù inizia a scherzare con il suo cognome brasiliano Chagas. Nascono sfottò di ogni tipo e non pubblicabili. La sua prima annata italiana è un disastro totale: colleziona 17 presenze in campionato, con nessuna rete all’attivo e tante conclusioni dalla distanza con il pallone raccolto in tribuna. Tuttavia, forte di un faraonico contratto biennale e di qualche incoraggiante prova in Coppa Italia (quattro gol totali, ai due al Palermo si aggiungono due reti, rispettivamente a Vicenza e Monza), Eloi resta anche in Serie B, visto che il Genoa, quell’anno, non arriva primo o secondo come aveva pronosticato Eloi ma neppure quinto o sesto come sperava la piazza… In cadetteria, Eloi fa anche peggio. Nonostante il livello del torneo non sia paragonabile alla massima serie, il brasiliano stecca di continuo. Ancora 17 presenze complessive, ancora nessun gol all'attivo. Viene spedito, in fretta, in Brasile. Va al Botafogo ma la sua voglia d’Europa lo porta, in tempi brevi, a trovare un accordo con il Porto. Vincerà anche una Coppa Campioni, senza mai essere titolare (colpa della presenza, in squadra, di Frasco) ma ritrovando, comunque, il feeling con il gol (12 reti in 28 presenze totali con i dragoni)… Ma anche in Portogallo si rende protagonista di una frittata difficilmente comprensibile. Con il Porto lanciatissimo in Coppa dei Campioni, prima della semifinale con la Dinamo Kiev, stanco di non essere mai titolare e in contrasto con il tecnico Artur Jorge, ad aprile decide di lasciare la società portoghese e far ritorno in Brasile. Due mesi più tardi il Porto, nella storica finale di Vienna, vince la Coppa dei Campioni contro il Bayern Monaco: “È stata una scelta da imbecille, la peggiore della mia carriera. Andar via dal Porto in quel momento è un errore che mi sono portato dietro per tutta la mia carriera”, spiegherà, 27 anni più tardi, a Maisfutebol. Continua a giocare fino all’alba dei 41 anni, senza mai incantare più di tanto e continuando a fare più panchina che campo. Poi decide di cimentarsi in altri ruoli. Prova a svolgere il ruolo di procuratore, anche qui senza sussulti degni di nota, e si cimenta pure anche nel complicato mestiere dell’allenatore (Anapolina-GO, Ceará, XV de Jaú e América-RJ, non proprio il gotha del calcio). Per tanti tifosi del Grifone, è stato lo straniero che ha deluso maggiormente in maglia rossoblù. Tuttavia, Eloi un segno indelebile nel calcio italiano lo lascia. È tra gli stranieri che la Panini trasforma in caricature nell’album Calciatori edizione 1983/84. È ritratto mentre palleggia con il pallone, con sguardo che ricorda molto i personaggi di Sergio Leone. Una testimonianza del suo passaggio in Italia… LO SCIUPAFEMMINE BIANCONERO Passiamo a Juan Esnáider, un mito assoluto. Premessa: non un santo. Carattere fumantino quello dell’argentino. Tanti gli episodi in carriera in cui ha, letteralmente, perso la testa. Ai
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PERSO IL FIUTO DEL GOL
Tranne qualche guizzo in Coppa Italia, Eloi non l'ha vista la porta...
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tempi in cui giocava all’Atletico, ha litigato, pesantemente, con l’allora tecnico Antic. Quando militava nelle fila dell’Espanyol, ha preso a pugni, sul pullman della squadra, un compagno (Benitez), reo di aver parlato male dei compagni. È stato anche multato per aver insultato, pesantemente, una giornalista (“Eres una imbécil…”), ai tempi della sua seconda militanza spagnola (600 euro). Normale per uno che, ai Mondiali Under 20, ha aggredito l’arbitro (testata sfiorata), prendendosi un anno di squalifica. Ma, si sa, i ribelli attirano, a volte anche la Vecchia Signora. Mercato invernale 1999. La Juventus è in fibrillazione. Del Piero si è infortunato gravemente, urge un rinforzo di qualità in avanti. Moggi si fionda su Hakan Sukur. La trattativa è ben avviata ma, sul finale, qualcosa si inceppa. All’Espanyol c’è un argentino che sta facendo faville. Si chiama Juan Esnáider. I vertici della società bianconera (il trio Moggi-Bettega-Giraudo), con un blitz, trovano l’accordo con il giocatore e l’Espanyol: 12 miliardi di vecchie lire per il cartellino, tre anni di contratto al Gardel della Romareda. I tifosi dell’Espanyol si sentono traditi, se ne va il loro leader. Il popolo bianconero, a sua volta, si sente tradito. Esnáider non piace. Gli va subito di sfiga. Il giorno della presentazione ufficiale, la stampa, ai ferri corti con la società, rea di aver scelto di far rilasciare le prime dichiarazioni dell’argentino, a pagamento, a Pronto Juve (linea telefonica controllata dalla Juventus), non gli pone nessuna domanda. Andrà meglio in campo. No, affatto. Lippi non riesce a valorizzarlo. Come se non bastasse, fisicamente non pare al meglio. Poi, come sempre, ci sono le leggende metropolitane. Viene bollato come
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sciupafemmine di valore mondiale. Il suo aspetto piacente, la somiglianza con Antonio Banderas, il suo essere irruento, pare siano qualità irresistibili per tante rappresentanti del gentil sesso. Poco vale che sia sposato con una stuoia di bambini. Arriva Ancelotti sulla panchina della Juventus. Esnáider si mette a nudo, pronto a prendersi in mano la Vecchia Signora: “So che posso far bene e lo sanno anche l’allenatore e la società. Posso giocare di punta e anche alla Zidane…”, racconta alla Gazzetta dello Sport (21 agosto 1999). Anche Carletto ci crede: “È un ottimo giocatore che possiede un eccellente tattica di gioco”, spiega ad Olè. Purtroppo i sogni restano incatenati al cassetto. Esnáider resta un marginale giocatore della rosa bianconera. Altri infortuni ma anche poca capacità di incidere quando viene messo in campo. Alla fine, in due anni solari di militanza a Torino, si contano 26 presenze totali e due gol. Il primo lo segna contro l’Omonia Nicosia. Sua la pennellata, su punizione, del momentaneo 4-0 bianconero (finirà 5-2). Ironia della sorte. La gara non viene trasmessa in TV e, a parte i pochi tifosi bianconeri presenti a Nicosia, nessuno vede la rete dell’argentino. Ne segna un altro. Va in gol contro il Napoli, ritorno degli ottavi di Coppa Italia contro il Napoli. Un guizzo che non impedisce alla squadra di essere eliminata dalla competizione. Non accade altro da rimarcare, almeno per quanto riguarda la fugace avventura di Esnáider alla Juventus. Nell’estate del 2000 sembra destinato a lasciare Torino. I vertici della Vecchia Signora hanno altre idee in testa per l’attacco (arriva Trezeguet) ma, a sorpresa, il Gardel non se ne va, anzi racconta di essere pronto a
ANCHE TANTI INFORTUNI Esnáider, alla Juventus, ha dovuto convivere con diversi problemi fisici
CARATTERE DIFFICILE
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Esnáider ha pagato anche un atteggiamento da ribelle
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L’ALFABETO DEI BIDONI / ELOI - Esnáider
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svoltare in maglia bianconera. Non svolterà. A dicembre, compreso che, nella Juventus, non c’è posto per lui, fa le valigie. A distanza di tanti anni spiegherà che la decisione di lasciare la Juventus fu la peggiore mai presa durante la sua carriera. E dire che, archiviata l’esperienza bianconera, farà in tempo a vincere ancora qualcosa (Coppa di Spagna con il Real Saragozza e Supercoppa del Portogallo con il Porto) ma senza mai riuscire a fare la differenza come prima del suo approdo in Italia. Ora si diletta ancora nel mondo del calcio, tra il ruolo
di allenatore e quello di dirigente. I fluenti capelli di quando giocava non ci sono più, la sua vita privata è stata segnata da un episodio gravissimo (perdita di un figlio) ma, negli occhi, ha sempre la luce del ribelle… La speranza è che non prenda nessuno a pugni… Come avete notato, era francamente impossibile rinunciare ad uno dei due… Eloi ed Esnáider, due nomi che sono entrati nella storia del nostro calcio, purtroppo dalla porta sbagliata…
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Anche dietro alle punte, Esnaider non ha mai convinto...
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INVINCIBILE LA TUA SQUADRA!
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I SOGNI DI LEDIAN di Tommaso MASCHIO
Promozione e un posto ad Euro 2016, questi gli obiettivi di Memushai… 48
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UN NUOVO GIOIELLO Classe e tanta voglia di arrivare, ecco Memushai…
foto Federico Gaetano
SERIE B PESCARA
L’
arrivo in Italia appena undicenne per raggiungere il padre, i primi calci fra Cremona e La Spezia, poi la lunga scalata al calcio italiano fra ostacoli burocratici e non solo fino al Pescara e a una Serie A appena sfiorata nella passata stagione. Poi l'ingresso nella storia con la sua Albania e due obiettivi da realizzare in estate: conquistare la promozione e partecipare a Euro 2016. Ledian Memushaj, centrocampista del Pescara, si racconta a Calcio2000. Hai iniziato giovanissimo nella Sarzanese in Italia. Come sei arrivato nel nostro Paese e che ricordi hai di quella prima esperienza? “Sono arrivato in Italia nel '97 con mia madre e mio fratello a Cremona dove abbiamo raggiunto mio padre che già da qualche anno abitava lì, e in un paesino della provincia ho iniziato a dare le mie prime roncolate al pallone. Poi dopo due anni per motivi di lavoro di mio padre siamo andati a La Spezia e io prima ho giocato un anno al Arsenalspezia e uno al Canaletto dove ha giocato pure Buffon. Dopo sono andato alla Sarzanese fino ad arrivare in prima squadra in Eccellenza. A Sarzana ho trascorso 7 anni di cui 5 in prima squadra tra 3 anni di eccellenza e 2 di serie D, per motivi di regole inconcepibili, per cui non ho ancora trovato una risposta, non potevo giocare nei professionisti. Poi sono andato un anno al Valle D'Aosta in anno pieno di difficoltà almeno una cosa buona l'ho trovata quell'anno, la mia attuale compagna. Mi raccomando scrivilo sennò ci rimane male (ride n.d.r)”. La prima esperienza fra i professionisti è stata alla Paganese nel 2009-10. “Ero contentissimo, ma per leggi assurde non potevo essere tesserato e su queste leggi assurde te ne potrei parlare per un'ora. Si rischiava veramente di bruciare i ragazzi. Ho dovuto saltare la prime 6-7 partite per questo motivo finché ho avuto la fortuna che in quel momento è arrivata la cittadinanza italiana di cui ne vado fiero”. Un'esperienza che ti ha portato al Chievo Verona in A, anche se non hai mai esordito in Serie A. “Fino a qualche anno prima stavo nei dilettanti, la mattina andavo a lavorare e il pomeriggio giocavo. Quando arrivò la chiamata del Chievo è stato un sogno, ma questo sogno ha cominciato a puzzarmi due giorni dopo la mia firma, perché il club mi chiese
SERIE B / PESCARA di trovarmi una squadra in prestito. Io ero ingenuo ai tempi, mi dicevo ma perché questa cosa se neanche mi hanno visto, ora capisco che queste sono operazioni che il Chievo fa a centinaia. Io mi impunto e volevo provare a fare comunque il ritiro. Una volta lì ho visto il livello della squadra e dentro di me pensavo che potevo starci e giocarmi le mie carte, ma nel calcio non è sempre legge quello che dice il campo. Ci sono altri interessi e io ero uno dei tanti giocatori acquistati solo per essere rigirati. Io sono testardo e per i primi sei mesi sono rimasto al Chievo, ma non c'era nulla da fare e io potevo pure fare i buchi in terra che non cambiava nulla. La scelta era della società e per Sartori, che al Chievo faceva e decideva tutto, non ero pronto per giocare nonostante in Coppa Italia fossi stato uno dei migliori quando venni schierato”. A Portogruaro sei mesi per assaporare la Serie B senza però evitare la retrocessione. Quali sono i tuoi ricordi di quell'esperienza? “Dopo sei mesi sono andato al Portogruaro e ai tempi il campionato non si fermava a gennaio come ora. Arrivo il 2 febbraio dove mancavano ancora un quindicina di partite e la squadra già stava messa male con la società che giustamente doveva valorizzare i giocatori di proprietà mentre io ero un prestito. Nonostante tutto riesco a giocare una quindicina di partite e fare 2 gol, mister Agostinelli per me stravedeva. Riesco a fare un buon campionato a livello personale, ma non è servito ad avere un'altra occasione in B. Forse ero consigliato male”. Poi le esperienze a Carpi (con l'intermezzo di Lecce). Le tue stagioni migliori dal punto di vista realizzativo con 8 reti. “L'anno dopo mi chiama il Carpi dove ritrovo Giuntoli che avevo avuto come compagno di squadra ai tempi del Valle d'Aosta. Lui erano anni che mi voleva con sé. Lì faccio un grande anno, segno otto gol e sono il capocannoniere della squadra, ma perdiamo la finale play-off per la B. Poi il Lecce sono sono stato l'unico a giocare sempre tutte le gare facendo bene a livello personale. Avevamo uno squadrone per la categoria e ho capito che non bastano i nomi per vincere i campionato, ci vuole altro visto che perdemmo anche lì la finale play-off. Poi di nuovo Carpi che mi riprende in Serie B e vivo un anno straordinario con 30 presenze e otto gol. Solo un infortunio al ginocchio mi
fa saltare l'ultima parte della stagione mancando i play-off di due punti. Quello è stato il miglior campionato di B a livello personale”. Da due anni sei a Pescara. Come ti trovi in questa piazza? “Sono andato a Pescara dove devo ringraziare il presidente Sebastiani e mister Baroni che mi hanno preso dopo l'infortunio sapendo che fino a dicembre non ero disponibile perché venivo dal crociato. E' stata una scommessa perché non si sa quando si può rientrare e come da un infortunio simile. Mi hanno fatto un triennale e dentro di me non vedevo l'ora di ripagarli. Rientrai un mese prima del dovuto e giocai 40 gare, compresi i play-off, numeri importanti. Fu un anno meraviglioso a livello di squadra perché per un pelo abbiamo sfiorato la serie A”. Baroni e Oddo, due allenatori giovani e in rampa di lancio. Quanto hanno inciso sulla tua crescita? “Baroni e Oddo sono ottimi allenatori. Il primo sta dimostrando in questi anni i suoi valori e i risultati non sono un caso. Sono molte legato a lui e sono felice che stia facendo bene. Del secondo posso dire che arriverà in alto perché è bravo ed è già pronto nonostante l'età”. La Serie A l'hai solo sfiorata. Il tuo sogno è giocarci? Magari proprio con questa maglia? “Sicuramente la Serie A è un sogno e spero di arrivarci, ma spero di farlo con questa maglia”. Capitolo Nazionale. Come hai vissuto la qualificazione dell'Albania a Euro 2016? E come l'ha vissuta tutto il tuo Paese? “E' stata la soddisfazione più grande che mi ha regalato questo sport, perché giocare con la maglia del proprio paese è già un sogno, ma entrare nella storia e pure da protagonista, visto che ho giocato e contribuito durante le qualificazioni, è qualcosa di indescrivibile. Quando siamo entrati nella storia non me ne rendevo conto, ma appena sono tornato in patria, ho visto che tutto il paese ci attendeva in piazza e ci accoglieva. Abbiamo incontrato il presidente della Repubblica e il primo ministro, ricevuto la medaglia d'onore. Allora ho realizzato cosa avevamo fatto”. In Francia speri di esserci la prossima estate? “Certamente che spero di andare in Francia, ma tutto passa dal proprio club. Perché sono dell'idea che la Nazionale è una conseguenza del club”.
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Provaci ancora Bassano di Sergio STANCO
Il Bassano è ancora una volta protagonista della Lega Pro 50
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CARATTERE VINCENTE Il Bassano è un gruppo unito, con ambizioni importanti
foto per gentile concessione dell'Ufficio Stampa Bassano Virtus - 3
LEGA PRO BASSANO VIRTUS
LEGA PRO / BASSANO VIRTUS
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l Girone A della Lega Pro è certamente il più equilibrato: sono tante le squadre che si contendono la promozione in B, alcune delle quali ampiamente pronosticate di un torneo d'alto livello alla vigilia, altre un po' meno. Ma se c'è una certezza, quella si chiama Bassano Virtus: dopo aver sfiorato il clamoroso e storico grande salto nella scorsa stagione con Antonino Asta in panchina, questa era cominciata con un po' di preoccupazione, si temeva il contraccolpo psicologico per la delusione di non aver realizzato il sogno e per di più si cambiava regista e parte degli attori protagonisti di un kolossal che, solo per un finale thrilling, non si è trasformato in un film a lieto fine. Invece, il Bassano ha ricominciato il discorso da dove si era interrotto e ora si ritrova ancora una volta ad inseguire un sogno. Lo fa con in panchina Stefano Sottili, allenatore emergente della Lega Pro, magari non appariscente, ma di certo competente: una scelta che testimonia, ancora una volta qualora ce ne fosse stato bisogno - la serietà di una società che nonostante i grandi mezzi, è gestita con lungimiranza e progettualità. Come sono abituati a fare in Veneto, terra di grandi idee e grandi lavoratori. Patron Renzo Rosso (proprietario del colosso Diesel) non fa mancare il suo appoggio, la sua leadership e anche il suo contributo economico, ma da queste parti sceicchi e sperperi non sono esempi da seguire né virtù: “Non posso dire di essere stato sorpreso della chiamata del Bassano – ci dice Mister Sottili – Ma di sicuro mi ha inorgoglito. Non è stata una cosa rapidissima, si sono presi il loro tempo, hanno valutato diverse opportunità, mi hanno “soppesato” e poi mi hanno ingaggiato. Anche questo testimonia la serietà di una società che pondera tutte le sue scelte con molta attenzione. Ovviamente io non potevo che essere felice perché già dal di fuori la sensazione è che a Bassano ci fossero tutte le condizioni per fare bene e quando sono arrivato mi sono reso conto che è proprio così: qui c'è una proprietà presente ma non invadente, che ha voglia di crescere e migliorare, nell'organizzazione e nelle strutture, c'è un progetto e c'è competenza. Nel nostro campionato ci sono squadre che hanno
Stefano Sottili
speso molto più di noi ma nonostante questo noi ce la giochiamo con tutte. Diciamo che il “nuovo corso” è cominciato con Mario Petrone (allenatore Bassano 2013-2014, ndr), che ha cambiato un po' la filosofia: da allora qui arrivano solo giocatori che hanno fame, che hanno voglia di crescere e migliorarsi giorno dopo giorno, proprio come la società che li ingaggia. Solo così si raggiungono gli obiettivi”. Ed è quello che il Bassano, nonostante i timori della vigilia, sta facendo: “Dopo la splendida cavalcata della scorsa stagione – continua il mister – c'era grande preoccupazione nell'ambiente. Si temeva il contraccolpo psicologico della delusione. Quando sono arrivato la società mi ha chiesto 40 punti e la salvezza, per far capire di quanta paura ci fosse. Io con una battuta ho risposto: ‘Anche il mio obiettivo è arrivare a 40 punti... ma nel girone d'andata’. Era una battuta ovviamente, ma sapevo che qui c'erano tutte le condizioni per fare bene”. Così è stato, anche se il Girone A della Lega Pro sembra un casting per aspiranti star del futuro: Cittadella, Alessandria, Pavia, Feralpisalò, Sudtirol, racchiuse in una manciata di punti sgomitano per conquistarsi spazio a discapito delle avversarie: “Per quadratura e forza fisica mi ha impressionato l'Alessandria – rivela Sottili – Per qualità di gioco invece Sudtirol e Feralpisalò sono le migliori al momento. Il nostro campionato è sicuramente più equilibrato e secondo me è anche qualitativamente più elevato rispetto agli altri: parecchie partite del nostro campionato non hanno molto da invidiare alla Serie B. Se vogliamo restare al passo c'è da migliorare...”. A testimonianza che la filosofia della società non è solo uno slogan: “Sono molto contento
di quello che la squadra ha fatto finora, intendiamoci: la cosa che mi rende più orgoglioso è la cultura del lavoro e la disponibilità che i ragazzi mi dimostrano quotidianamente: gli allenamenti sono sempre molto intensi, c'è sempre grande attenzione, concentrazione e voglia di crescere, purtroppo in partita non sempre riusciamo a fare altrettanto per tutti i 90 minuti. È questa la cosa sulla quale dobbiamo lavorare maggiormente”. E se si risolve anche questo “problemino”, allora sognare in grande diventerà una normale conseguenza: “Io a fine anno sarò soddisfatto se sarò riuscito a far rendere al massimo tutti i miei ragazzi, questo è il mio obiettivo, poi il campo dirà se sarà sufficiente o no. In ogni caso, non avremo rimpianti”. Come non li ha Stefano Sottili, che si è imbarcato in un'avventura difficile ma al contempo molto emozionante: “Non mi sono mai pentito di aver scelto la carriera da allenatore – ci dice – Anche se a volte è dura. Stai spesso lontano dalla tua famiglia, non vedi crescere i tuoi figli, ma quello che dico sempre, è che facciamo quello che ci piace fare. È un mestiere talmente variegato e intenso che non ti consente di annoiarti, hai sempre qualcosa a cui pensare e fattori suoi quali devi lavorare: nella tattica, nella gestione dei giocatori, della comunicazione, nei rapporti coi dirigenti, impari qualcosa ogni giorno”. La gavetta, dunque, serve e non spaventa: “Non ci sono solo Guardiola e Mancini in giro – ci risponde sorridendo – Ci sono anche tanti allenatore come Sarri, che devono sudare e lottare giorno dopo giorno per riuscire ad affermare le loro idee. Vedere quello che sta facendo con il Napoli è uno stimolo per tutti noi. Io ho cominciato in Serie D (a Sarzana, ndr), al mio primo anno a Carpi nel 2010-2011siamo stati promossi (in Lega Pro Prima Divisione, ndr), finora ho fatto un solo anno di B (a Varese, ndr) che per assurdo è stato il più duro (retrocessione, ndr) ma anche il più formativo dal punto di vista professionale”. E se gli chiediamo se quella di quest'anno sia la sua migliore esperienza da allenatore, la risposta è secca e concreta: “A questa domanda risponderò solo a giugno”. Quando dicevamo che in Veneto il pragmatismo è un valore imprescindibile. E il “toscanaccio” Sottili si è subito adeguato....
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di Simone TONINATO
RIVELAZIONE DEL GIRONE C, I PADOVANI DI ANDREUCCI SONO I VERI ANTAGONISTI DEL VENEZIA PER IL SUCCESSO FINALE. 52
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avide sta a Golia, come Campodarsego sta a Venezia, una semplice proporzione, utile a spiegare la più irrazionale tra le scienze: il calcio. I campodarseghesi (provate a ripeterlo senza che vi si contorca la lingua) sono la mina vagante del girone C e sono stati, eccezion fatta per il Parma, gli ultimi a perdere la propria imbattibilità: “Dopo quasi un anno senza sconfitte - precisa l’allenatore Antonio Andreucci (ex calciatore della Lucchese, che in passato ha lavorato anche come assicuratore) – un’esperienza che mi ha aiutato molto nei rapporti con i miei calciatori”. E poi… “…Mi è capitato di prendere una società sportiva ad Asolo, dove partendo dalla seconda categoria siamo arrivati quasi alla Serie D. Sono stato anche responsabile del settore giovanile e da lì mi sono dedicato al calcio a 360°”. L’intro si è aperta con una proporzione e alla prima domanda siamo già alla trigonometria: freniamo. Come e quando nasce la favola Campodarsego? “L’anno scorso, quando il presidente (Daniele Pagin, ndr) ha deciso di inserire nella società delle figure più professionali, è arrivato il direttore Gementi e mi hanno fatto questa proposta. Inizialmente ero scettico, perché venivo dalla D con Real Vicenza e Valdagno e non volevo scendere di categoria. Poi ho accettato e abbiamo iniziato a costruire insieme questo progetto”. Un cantiere d’Eccellenza l’anno scorso, che quest’anno sembra già pronto per il doppio salto consecutivo... “Di doppio c’è stato il successo della passata stagione: Campionato e Coppa Veneto. Doppietta di cui vado molto orgoglioso e che avevo centrato anche con il Real Vicenza. Non è semplice vincere due trofei nello stesso anno. Da lì abbiamo continuato con la stessa mentalità e lo stesso spirito. Adesso battagliamo col Venezia, siamo dietro, ma vogliamo far durare il testa a testa il più a lungo possibile. Loro sono partiti con dei presupposti diversi, noi possiamo dire la nostra”. Vi aspettavate di fare così bene da matricola? “Era difficilmente pronosticabile, mettiamola così. Però ci siamo resi
SERIE D / Campodarsego conto delle nostre potenzialità e abbiamo costruito questa classifica; che ha del prodigioso”. Anche perché nove mesi fa era stato esonerato… era un pesce d’Aprile. Ne era a conoscenza? “Sì sì, lo sapevo (sorride, ndr). Nel calcio di oggi tutto è possibile, ma in quel caso mi ero accorto che si trattava di uno scherzo”. Le statistiche raccontano di un Campodarsego imbattuto fino alla partita con l’Este. Come avete reagito a questa prima sconfitta? “Girando subito pagina. Nel calcio perdere fa parte del gioco, ma noi non c’eravamo più abituati. Bisogna subito guardare avanti”. E un po’ più avanti, c’è la Lega Pro… “Ma nessuno ci ha chiesto di vincere il Campionato, non è quello il nostro lavoro e andremmo fuori dai nostri parametri. Ma è anche vero che siamo lì, la squadra ci crede, il gruppo è forte, gioca un bel calcio e, come dicevo prima, in questo sport tutto è possibile. Vedremo dove riusciremo ad arrivare”. Intanto c’è da guadare una laguna. Come si può impedire il volo ai Leoni Alati? “Noi ci auguriamo di essere vicini a loro in classifica quando arriveremo allo scontro diretto di fine febbraio. Poi molto dipenderà anche dalle condizioni in cui sarà la squadra. Ma non c’è da guardare solo al Venezia che sta davanti, dietro di noi ci sono Este e Belluno: squadre interessanti e competitive. Adesso magari sono un po’ staccate, ma nella lotta per i primi posti ci sono anche loro”. A bruciapelo: un punto di forza del suo undici? “Capitan Bedin. Lui rappresenta più di ogni altro la nostra squadra,
è un giocatore del ’79, quindi ha i suoi anni, ma ha ancora tanta voglia di giocare e allenarsi. Lo spirito del nostro capitano si rispecchia sul campo ed è uno dei nostri segreti”. Se Bedin è il capitano, Aliù è il bomber. Ci parli un po’ del suo attaccante… “Di Graziano posso dire che per le qualità che ha, non avesse subito infortuni, sarebbe sicuramente arrivato più in alto. È una punta che ama svariare e merita le soddisfazioni che sta avendo in questa stagione. Se continua a giocare così, penso che possa arrivare a venti gol. Gli auguro di raccogliere quanto di buono ha seminato”. Fuori campo, non si impaurisca, niente Baseball, ci limitiamo alla dirigenza. Il Presidente Pagin, che tipo è? “Una persona molto ambiziosa, ma con i piedi per terra. Che cerca di ottimizzare tutto ciò che fa e che guarda sempre in alto. Chiaramente questo si riflette anche sulla squadra e stiamo vedendo i risultati”. Lui è il primo tifoso, ma ci sono anche gli altri, quelli che gremiscono gli spalti. Loro sono… “Raddoppiati. Quest’anno in alcune occasioni abbiamo giocato davanti a mille spettatori, è la nostra maggior soddisfazione, non per niente ci definiscono l’orgoglio del calcio padovano. Penso che l’intera provincia possa andare fiera di una realtà come la nostra, che esprime buon gioco e una buona classifica”. Un telegramma finale. Secco: una fonte di ispirazione? “Non credo ci si debba ispirare. Ma se proprio devo scegliere un nome, dico Spalletti (toscano come lui, ndr)”.
foto per gentile concessione dell ' ACD Campodarsego
CAMPODARSEGO, ORGOGLIO VERO
CHE BELLA SORPRESA Una società pulita con tante belle individualità
foto per gentile concessione dell ' ACD Campodarsego - 3
SERIE D Campodarsego
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I RE DEL MERCATO DAVIDE TORCHIA INNAMORATO DEL CALCIO
La passione per il pallone è viscerale in casa Torchia
IL MIO CALCIO COME UNA VOLTA “A casa ho la firma di Messi. Solo che non so dove sia”
di Marco CONTERIO foto Daniele ANDRONICO 54
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on sono un romantico”. Sorride, Davide Torchia. Sorride perché sa che sono quattro parole ribadite e sottolineate più volte. Poi lo vedi affacciarsi alla finestra con lo sguardo all'orizzonte, lo senti raccontare di come “ci sia più soddisfazione nel veder sbocciare un talento dalla prima categoria alla Serie A che nel trattare un campione già fatto” e capisci che dietro a quel sorriso e ad un cellulare sempre acceso c'è altro. Un romantico, in fondo. Legato a doppia mandata alla sua Toscana. A San Miniato. A questo vento, forte. “Oramai sono abituato: sono qui in Toscana da trent'anni”. Romano di nascita e toscano d'adozione, Torchia ha indossato i guantoni da portiere prima di diventare agente. “Ed a casa, non so dove, ho anche un foglio firmato da Messi”. Teniamoci la curiosità per dopo, ma guardiamo al passato. Come nasce la passione per il calcio? “Mio padre è stato campione italiano di
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L'esordio in A a trentaquattro anni è stato un Oscar alla carriera, una gita premio ciclismo. Mio fratello si è sempre dedicato al nuovo. In televisione il calcio era trasmesso per 45' a gara, in differita, in bianco e nero. Il resto erano soltanto radio, stadio e sogni”. Sfugge il nesso logico. “Normale, anche perché avrei potuto fare anche il pattinatore, lo sciatore, lo scalatore: in casa mia, zero calcio. Però mi sono svegliato da solo, avevo dentro questa passione e sapevo di voler fare il portiere”. Rileggiamo gli archivi: lei ha fatto la vera e propria gavetta.
“A sedici anni giocavo nella Lodigiani, grazie a Perinetti. Poi nella Cerretese, primo contatto con la Toscana. Che dire: i ricordi spaziano rapidi, con tanta Serie C. Nocerina, Benevento, Siracusa. Poi la Spal, dove ho conquistato due promozioni consecutive”.
GRAZIE A BOLCHI
Torchia si sente di dover ringraziare il tecnico che lo ha portato in A
Nel 1992, il Lecce. “Lì ho conquistato la promozione dalla B alla A ed a trentaquattro anni ho esordito nella massima serie. Mi ritengo fortunato, perché in carriera ho giocato davvero in ogni categoria e questo mi aiuta anche col lavoro, oggi. L'esordio in 'tarda età' l'ho visto come un Oscar alla carriera, quasi come una gita premio”. Gita o non gita, poi è stato anche tempo d'esordire in A. “Contro il Genoa di Tacconi, Bortolazzi, di Pato e di Skhuravy. Giocare a Marassi era il top, è uno stadio inglese vero e proprio: un'emozione, per me che venivo dai campetti dell'oratorio. Ok, ho perso, ma in fondo ho pure giocato bene”. Fuori soffia il vento. Torchia si accende
PASSATO DA CALCIATORE Padre ciclista ma è il calcio il vero motore della sua vita
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I RE DEL MERCATO / DAVIDE TORCHIA SEMPRE SORRIDENTE Torchia ha un approccio decisamente positivo alla vita di tutti i giorni
I RE DEL MERCATO / DAVIDE TORCHIA una sigaretta e, tra un ricordo e l'altro, sorride ancora. “Ecco, c'è un aneddoto particolare che vorrei raccontare”. Aneddoto. Eccola, la parola giusta. Perché le storie lette e rilette, in fondo, lasciano poco. Lui invece scava nella memoria e serve sul tavolo un racconto gustoso. “L'anno dei Mondiali, dove era impegnato Marchegiani, mi chiamò la Lazio per una tournèe in Sudamerica”. Mettiamoci comodi: da chi arrivò la chiamata? “Da Cataldo: era l'ultimo anno di Zoff tecnico in biancoceleste e mi disse che il mister voleva parlarmi. Mi sembrava di sognare, ero al telefono con un mito. Mi disse: 'Torchia, posso darle del tu?'. 'Per me può anche montarmi sopra con la macchina' gli risposi. Fu una splendida esperienza, ricca di ricordi, per uno come me che veniva dal basso. Figuriamoci che un giorno la moglie di Zoff mi scambiò anche con Marchegiani...”. Nonostante l'età, era la prima volta che si allenava coi big. “Zoff mi trattò da pari a pari con gli altri, è stata una bella sensazione. Pensare che credevo mi mettessero a dormire col magazziniere, invece Roberto Di Matteo mi disse di andar con lui. È una persona splendida, un bravo ragazzo, merita tut-
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Tournée con la Lazio, mi chiama Zoff. 'Posso darle del tu?' 'Per me può anche mettermi sotto con l'auto, mister' gli risposi to quel che ha fatto col Chelsea. Ricordo bene anche le partite, giocammo in Argentina ed in Brasile, pure contro un certo giovane interessante...”. Ovvero? “Roberto Carlos...”. Perfetto: unico contatto con l'estero? “No, affatto. All'epoca c'era il torneo Anglo-Italiano, dove erano impegnati i club retrocessi dalla A. Andammo in Inghilterra, a Nottingham, in infrasettimanale e... Altro che amichevoli! Volavano le 'legnate', anche perché qui in Italia veniva un arbitro inglese e lassù vicever-
sa. Il problema è che l'italiano voleva far così tanto il super partes, che alla fine ci arbitrò contro”. E l'inglese arbitrò pro-inglesi... “Ve lo immaginate un fischietto d'Oltremanica, d'infrasettimanale, a cena prima di una partita in Italia tra bere e mangiare? Non aggiungo altro”. Capitolo tecnici: a chi è più legato? “Non faccio classifiche. Diciamo che ringrazio tanto Bruno Bolchi, il tecnico con cui sono arrivato dalla B alla A a Lecce. È stato il primo a darmi vere responsabilità, a farmi sentire 'lo zio' dello spogliatoio. Poi Rino Marchesi, con cui ho esordito in A, poi G.B. Fabbri, con cui ho vinto due campionati a Ferrara, con la Spal: un allenatore moderno, anche nella metodologia d'allenamento”. Da Lecce a Gualdo, dove chiuse la carriera. “L'ultima fu con Cavasin: perdemmo la semifinale per andare in B contro il Castel di Sangro, al secondo minuto di recupero”. Aveva già deciso di appendere i guantoni al chiodo? “Da mesi. Però, dopo l'ultima gara, avevo il controllo antidoping ed a loro disAVREI VOLUTO CR7
Il sogno di Torchia? Essere l'agente di Cristiano Ronaldo
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I RE DEL MERCATO / DAVIDE TORCHIA si 'è l'ultimo che faccio'. Il delegato mi disse: 'no, perché? Non se la prenda, ha parato bene, non si butti giù per la sconfitta!'. Io però avevo già deciso di smettere, l'avrei fatto anche parando sette rigori... Però ho apprezzato molto il gesto del presidente Barberini, che mi propose comunque il rinnovo di contratto pur sapendo della mia decisione. E poi sono diventato agente e non avrei mai immaginato...”. Altro giro, altra corsa dunque: cosa le ha fatto cambiare idea? “Prima un passo indietro. Pensavo di entrare in un club come preparatore, come dirigente. Poi una persona a me cara mi disse che avrei potuto far carriera come procuratore e ho deciso di prendere questa decisione d'incoscienza. Ho iniziato coi giovani, con giocatori di C: tra i primi ci sono stati Alessandro Agostini, l'ex capitano del Cagliari, che presi quando era agli Allievi della Fiorentina. Con lui anche Ciro Polito, a Rimini in C2, ora all'Atalanta. Più o meno, sono passati diciotto anni...”. Calcisticamente, un'infinità. “All'epoca non c'era un iter stabilito e sono stato il primo a dare nella stessa sessione l'esame da procuratore sportivo italiano e quello da agente Fifa. Dal
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Rugani è apprezzato dai tifosi della Juventus, è un grande piacere primo momento, ho sempre creduto tanto in questo mestiere ed una grande soddisfazione è quella di veder crescere i ragazzi. In fondo, non li considero come clienti né li tratto come tali, ma quasi come membri della famiglia con cui ho rapporti da più di dieci anni. Faccio un esempio: per me è stata una splendida soddisfazione scoprire Jacopo Balestri al Castelfiorentino e vederlo giocare in A”. Nella sua avventura da agente c'è stato anche Leonardo Bonucci, dai giovani fino alla Juve. “Me lo segnalò Innocenti, quando era nelle giovanili dell'Inter. L'ho conosciuto subito a Milano e lì è scattato il feeling. È un ragazzo che, come me, ha fatto gavetta vera. Dalla Viterbese, sino al Treviso ed al Pisa: siamo riusciti, insieme, a retrocedere due volte e a fallire due volte in un anno... Poi il Bari, dove è esploso
con Ventura e da lì la Juventus. Trattare coi top club è molto più facile che fare affari con club piccoli o di categorie inferiori, dove anche i dettagli contano e costano tanto. Paradossalmente, è stato più difficile portarlo dal Treviso al Pisa a zero che alla Juventus”. A proposito di bianconeri: lei ha portato a Torino anche Daniele Rugani. “Un giovane del quale si conosce già tutto. E davanti a sé avrà un grande futuro, luminoso: è apprezzato dai tifosi e questo fa piacere. Incarna lo stile della società Juventus, quella di avere uno zoccolo duro di talenti italiani”. C'è un ragazzo che avrebbe voluto prendere in procura e non ce l'ha fatta? “Cristiano Ronaldo?” Torchia... “Ok, torno serio. Torniamo agli aneddoti: quando eravamo in tournèe con la Lazio, in Sudamerica, vidi un ragazzetto interessante. Bravo, bei piedi, ma giovanissimo. 'Come si chiama?' chiesi a Sclosa. Era Nesta. Avevo già istinto, no?” Beh, con Nesta non sarà stato troppo difficile. “A Sassari, invece, un club che prendeva i 'vecchi' d'esperienza, c'era un talento con
UNA FIRMA IMPORTANTE Torchia ha conosciuto Messi, ha anche un suo autografo in giro per casa
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VOGLIA DI ITALIANI
DUE ESAMI
I talenti italiani, un vero e proprio cruccio sul quale insistere
Il primo a dare esame da direttore sportivo e agente Fifa...
un dribbling pazzesco, che tirava delle punizioni splendide: Gianfranco Zola. Però non facevo ancora il procuratore, mentre ero già agente quando Messi...”. Un attimo. Messi... Messi? “Già. Messi. C'era il Mondiale Under 20 e Gerolin, allora all'Udinese, mi disse che c'era anche un ragazzo dell'87 che in tre anni sarebbe diventato tra i migliori al mondo. Ok, Messi aveva quindici-sedici anni, forse Gerolin esagerava, ma andai a vederlo e constatai delle doti pazzesche. Poi, quella festa a Udine...”. Siamo comodi, nessun problema. Prego. “C'erano i grandi campioni del calcio italiano. Era il 2005, con Ibrahimovic, Materazzi, Gilardino e via discorrendo. Tra le società invitate c'era anche il Barcellona, che portò però solo un ragazzino magrolino e col caschetto. Nessuno lo considerò, ma mi ricordai di quel cognome e lo chiamai. 'Leo, Leo', neanche fosse uno di famiglia. Un giovane timido, 62
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Credo nei talenti italiani. La gioia più grande è veder sbocciare i propri ragazzi
un affare senza appagamento personale. L'esordio in Nazionale di Galloppa, per esempio, è stata una grandissima soddisfazione e se facessi questo lavoro solo per soldi, non potrei andare avanti”. Appunto. Un romantico... “Non so se questo voglia dire essere romantici o no. So solo che veder crescere i propri ragazzi è il motore che mi spinge ad andare avanti, anche perché non mi manca niente e così sono davvero felice”.
veramente un ragazzino all'epoca. Mia figlia si fece fare l'autografo ed oggi non riesce più a trovarlo da nessuna parte in casa”. Tra Roberto Carlos visto in Brasile da avversario, Messi scoperto per caso da giovanissimo... Perché non ha mai lavorato con l'estero? “A volte capita, ma ho una ferma convinzione: credere nei talenti italiani. Preferisco perdere soldi e capitali in un giovane del nostro paese, vedendolo crescere e sbocciare, piuttosto che chiudere
Intervista di Marco Conterio Calcio 2OOO
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I GIGANTI DEL CALCIO David Suazo UN BOMBER VERO Suazo ha dimostrato di essere una punta di classe...
La Pantera Nera di Cagliari
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Suazo, un attaccante di valore assoluto, con una grande storia...
di Paolo CAMEDDA foto Archivio TC&C
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l tocco corto a spostarsi la palla in avanti, lo scatto bruciante a superare il proprio marcatore, la progressione devastante palla al piede fino all'area di rigore e il tiro potente e preciso con cui amava battere i portieri, erano il suo marchio di fabbrica. David Suazo con le sue giocate ha fatto entusiasmare i tifosi del Cagliari, ha regalato sprazzi di classe con l'Inter e lasciato il suo 'marchio' indelebile sul calcio italiano. Gentile e sempre disponibile, 'Re David', oggi allenatore dei Giovanissimi Nazionali del Cagliari, si è raccontato ai nostri microfoni, partendo dagli inizi nel suo Paese, l'Honduras. "Come tutti i ragazzi dalle mie parti, ho iniziato a giocare a calcio per strada, con gli amici. Ai tempi da noi non c'erano scuole calcio. Poi sono entrato nel settore giovanile di una società affiliata all'Olimpia, dove studiavo e giocavo. E dopo 5 anni per me ci fu l'occasione di disputare il Mondiale U20 in Nigeria nel 1999". Quel torneo fu il trampolino di lancio per la carriera di Suazo. "Sono andato a giocare il Mondiale U20 senza
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“” I più difficili difensori da superare erano Nesta, Maldini, Thuram e Fabio Cannavaro. Gente tosta davvero… ancora aver fatto il professionista - racconta - la mia fortuna fu che fui notato dal Professor Tabarez, che mi vide e mi volle con lui al Cagliari. Finito il Mondiale, fui subito inserito nell'Olimpia, e giocai 10 partite segnando 5 goal". Nel 1999-00 lo sbarco in Italia. "Quando arrivai avevo 19 anni - ricorda l'honduregno - e per me era come un mondo a parte. C'erano tante differenze, prima fra tutte la lingua. Quello che mi aiutò fu la fiducia che mi diede il presidente Cellino e il fatto che mi fu dato tempo per crescere". E anche sul piano prettamente calcistico per Suazo non
fu affatto semplice adattarsi a una realtà completamente diversa rispetto a quella del suo Paese. "Non sapevo minimamente cosa fosse la tattica - ammette - ai tempi la Serie A era uno dei campionati più difficili al mondo, arrivarci per un ragazzo honduregno rappresentava già una vittoria". David è come un diamante grezzo: l'esplosività c'è già, ma il controllo del pallone non è certo impeccabile, e anche al momento del tiro l'attaccante fa fatica a scalare le marce e ad essere freddo davanti al portiere. Inoltre, per esprimersi al meglio, ha bisogno di giocare defilato sulla fascia, mentre quando è schierato da centravanti, trovando meno spazi, i difensori avversari riescono in qualche modo a limitarlo con le buone o con le cattive. Ma Suazo si dà un gran da fare per imparare e migliorarsi, e la sua crescita è costante sia a livello tecnico, sia a livello tattico. "Uno di quelli che mi hanno aiutato tanto è stato sicuramente mister Salvori, l'allora tecnico della Primavera del Cagliari. rivela - Mi ha fatto capire molte cose su come bisognasse comportarsi in campo e fuori dal campo. Poi non posso non citare Nedo Sonetti, che per me è stato come
DAVID CON L'AMICO DARIO Suazo e Zanotto un'amicizia vera che dura ormai da circa 20 anni...
A 20 ANNI IN ITALIA
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L'honduregno è sbarcato nel Bel Paese in tenera età...
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LA PANTERA NERA
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definitiva: l'honduregno realizza addirittura 22 gol, strappando a Gigi Riva il primato di reti stagionali in campionato in una sola stagione. Fra le emozioni più grandi in rossoblù per Suazo ci sono proprio quella di aver giocato con 'Magic Box' e di aver stabilito lo storico primato di reti superando 'Rombo di Tuono'. "Posso solo essere molto contento di aver potuto giocare con Gianfranco e di aver fatto quel record - dice oggi David - ma la verità è che quella dei 22 goal è stata una statistica casuale, perché nel cuore dei tifosi del Cagliari
LA SUA STORIA Di Paolo Camedda
Quando arrivare secondo non è un disonore…
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ato a San Pedro Sula in Honduras il 5 novembre 1979, David Suazo è ancora un dilettante quanto nel 1999 gioca il Mondiale Under 20 in Brasile con la Nazionale giovanile del suo Paese mettendo già in mostra le sue qualità da attaccante e venendo notato da Oscar Washington Tabarez. Dopo il Mondiale U20 gioca 10 partite con l'Olimpia Tegucigalpa, segnando 5 gol, prima di fare il grande balzo nel calcio italiano. Debutta in Serie A con il Cagliari il 26 settembre 1999, nella sfida contro il Venezia pareggiata 1-1. Di lui si notano subito le grandi potenzialità atletiche, ma si vede che il ragazzo ha ancora tanto da imparare. Il suo primo anno chiude con 13 presenze e un gol, realizzato contro il Piacenza il 7 gennaio 2000. A fine anno i sardi retrocedono in Serie B, ed è qui che Suazo cresce molto. In 4 anni nel campionato cadetto va 3 volte in doppia cifra, segnando reti di pregevole fattura e crescendo molto sotto il profilo tattico e tecnico. Per i difensori avversari fermarlo diventa sempre più un problema. Nel 2003-04 il Cagliari torna in Serie A e lui è il bomber della squadra con 19 gol in 45 presenze. Suazo compone un tridente da sogno con Gianfranco Zola e Mauro Esposito. L'anno dopo, in Serie A, i rossoblù si salvano e lui segna subito 7 gol. Ma la stagione della sua consacrazione definitiva è il 2005-06, quando con 22 centri in 37 partite Suazo strappa a Gigi Riva il primato del maggior numero di gol segnati in un singolo campionato con i sardi e viene votato come miglior straniero del torneo. L'anno seguente va ancora in doppia cifra con 14 reti, e diventa il 2° bomber di sempre della storia del club isolano con 102 gol complessivi (94 in campionato fra A e B). Si rivela anche uno specialista dagli 11 metri, visto che con la maglia rossoblù segna tutti e i 14 rigori calciati. Nel 2007-08, dopo un duello di calciomercato fra Inter e Milan, passa in nerazzurro, fortemente voluto da Mancini. Segna 8 gol in 27 presenze, e dà il suo contributo alla conquista del 3° Scudetto consecutivo del club milanese. L'anno seguente l'Inter lo
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Suazo è stato soprannominato così per la sua velocità
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Mi hanno dato tanti soprannomi 'la pantera nera' in particolare è un soprannome che mi piace…
i veri grandi resteranno sempre il mitico Gigi Riva e Gianfranco. Loro sono la storia del Cagliari, io mi accontento di aver fatto parte di questa storia, a me fa piacere essere stato accostato a questi campioni, e che i miei gol siano serviti alla squadra per conquistare una preziosa salvezza nel 2005-06". Dopo un secondo anno in doppia cifra con la maglia rossoblù, Suazo diventa un vero e proprio beniamino per i tifosi sardi, che ormai lo chiamano 'Re David' e 'La Pantera nera', lo stesso nomignolo con cui in passato era chiamato il grande Eusebio. "Il fatto che i tifosi mi abbiano dato dei soprannomi mi fa piacere, - assicura l'honduregno - 'la pantera nera' in particolare è un soprannome che mi piace. Vuol dire che mi stimavano per la corsa e la progressione di cui ero capace. Il mio segreto? L'unico segreto sta nel DNA, nelle doti rare che mi hanno trasmesso mamma e papà". Nell'estate 2007, Suazo fa gola alle big ed è al centro di un intrigo di calciomercato che vede protagoniste Inter e Milan. "Quello è stato un momento particolare del mercato - spiega - Entrambe le società
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un secondo papà. E in generale, nei momenti più difficili, mi ha aiutato sempre la voglia di fare e di imparare". Dopo un anno difficile, nel 2000 il Cagliari retrocede in Serie B, e il campionato cadetto è una vera e propria palestra per David. "Andammo in Serie B - ricorda - e questo mi ha permesso di sbagliare senza responsabilizzarmi troppo e di migliorarmi. Nei 4 anni di B sono cresciuto tanto e sono molto contento di questo. Nel 2003-04 poi siamo tornati in Serie A dopo una bella cavalcata, e con mister Reja in panchina ci siamo divertiti tanto. Con noi venne a giocare un campione come Gianfranco Zola...". Al ritorno in Serie A Suazo è un attaccante letale per le difese avversarie: l'honduregno è capace di percorrere i 100 metri in 11'', e per i difensori diventa un vero e proprio incubo, perché basta concedergli un po' di spazio per mandarlo in porta. Ormai la tecnica acquisita e perfezionata gli permette di svariare su tutto il fronte offensivo, e per chi ha il compito di controllarlo sono dolori. Dopo i 7 goal del 200405, l'anno seguente arriva l'esplosione
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dà in prestito al Benfica, dove si cimenta con il calcio portoghese (12 presenze e 4 gol). Nel 2009-10 torna all'Inter, giocando 4 volte complessivamente ma scendendo in campo in tutte le competizioni, e dunque partecipando comunque allo storico Triplete mourignano. Ma ancora una volta i problemi fisici lo limitano e a gennaio viene ceduto al Genoa (16 presenze e 3 gol) prima di tornare nuovamente all'Inter, dove, con problemi di infortunio sempre più seri, non riesce mai a scendere in campo in gare ufficiali nel 2010-11. Gli ultimi sprazzi di classe gli spende sempre in Serie A l'anno seguente con il Catania. In Sicilia riesce a mettere insieme 6 presenze in Serie A, senza mai segnare. Quindi la decisione molto sofferta del ritiro presa dal suo Paese: "Ho deciso di smettere di giocare a calcio perché i miei infortuni non mi consentono più di rendere ad alti livelli. - il suo messaggio alla stampa in lacrime Sono un giocatore che ha sempre dato il massimo, e mi fa male pensare di dover scendere in campo sapendo di non essere più lo stesso. Ho voluto annunciare il mio ritiro qui in Honduras perché qui sento la mia casa, e qui ho iniziato a giocare". Centravanti o attaccante esterno nel tridente, chiude con 158 presenze e 55 gol in Serie A, 147 presenze e 50 gol in Serie B. Nel suo palmares, oltre al titolo di Campione d'Italia 2007-08, la Supercoppa italiana del 2008, sempre in nerazzurro, la Coppa di Lega portoghese vinta con la maglia del Benfica, e il titolo la Coppa nazionale del suo Paese nell'anno del suo debutto come professionista. Con l'Honduras ha partecipato ai Mondiali 2010 in Sudafrica. Appese le scarpette al chiodo, ha deciso di fare l'allenatore, superando i primi due livelli del Corso di Coverciano. Torna al Cagliari da osservatore nel 2013 e successivamente diventa il vice di Pulga. Poi, con la fine dell'era Cellino e l'arrivo di Giulini come presidente, entra a far parte dello staff tecnico del Cagliari. Attualmente è l'allenatore dei Giovanissimi Nazionali rossoblù. Calcio 2OOO
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I GIGANTI DEL CALCIO / DAVID Suazo ANCHE ALL'INTER Nonostante i tanti infortuni, ha lasciato il segno anche in nerazzurro
I GIGANTI DEL CALCIO / DAVID Suazo milanesi mi volevano, ma il passo in più l'aveva fatto per l'Inter mister Mancini, che mi aveva chiamato prima, aveva già parlato con me e mi aveva detto che mi voleva e che mi considerava parte del progetto che aveva in mente. Poi si inserì il Milan, con il presidente Cellino che faceva chiaramente l'interesse della società. Per la mia carriera sarebbero state entrambe due situazioni positive, ma io avevo già dato la mia parola a Mancini e all'Inter e sono contento di questa scelta". Nonostante i tanti problemi fisici che hanno caratterizzato l'avventura in nerazzurro, anche con la maglia dell'Inter Suazo è riuscito a togliersi le sue soddisfazioni. "Il primo anno ho vinto il campionato, segnando 8 reti in 27 presenze - sottolinea - poi ho iniziato ad accusare una serie di problemi fisici che alla lunga mi hanno portato a lasciare il calcio. Sicuramente con un pelino di fortuna avrei potuto fare qualcosa in più". Prima di appendere le classiche scarpette al chiodo, Suazo fa in tempo a fare altre tre esperienze: con il Benfica in Portogallo, quindi con il Genoa (dopo una nuova parentesi poco fortunata in nerazzurro con Mourinho) e infine con
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Inter? Il primo anno ho vinto il campionato, segnando 8 reti in 27 presenze. Con più fortuna, avrei fatto meglio… il Catania. "Quella al Benfica è stata un'esperienza bella e importante - dice David - Ho avuto modo di cimentarmi in un campionato diverso dalla Serie A, come quello portoghese. In quella stagione, il 2008-09, ho giocato anche in Europa League e vinto la Coppa di Lega portoghese. Genoa e Catania, invece, furono purtroppo esperienze condizionate dagli infortuni, in cui non potevo più dare quello che avrei voluto". Prima dell'ultima avventura in terra siciliana, c'è un ritorno al Cagliari che non si concretizza all'ultimo e che ancora oggi fa
molto discutere: "Il mancato ritorno in rossoblù è dipeso dalle condizioni fisiche non certo ottimali e da alcune situazioni legate al calciomercato e ai rapporti con la dirigenza - chiarisce David - Così alla fine non se ne fece più nulla e andai al Catania, dove feci appena 6 presenze. A 33 anni allora decisi di ritirarmi a causa di problemi fisici che non avevo risolto. Sono comunque contento del percorso fatto, con una storia personale molto bella. Mi sento molto stimato qui in Sardegna e nel mio Paese, in Honduras". L'annuncio dell'addio al calcio giocato lo dà dall'Honduras in lacrime il 28 marzo 2013, a testimonianza di quanto per Suazo il calcio fosse soprattutto gioia e divertimento. Chiude con 105 gol fra Serie A e Serie B, alcuni delle vere e proprie prodezze. "Il mio goal più bello? Ne scelgo 2 - dice - Un po' per la fattura, un po' per l'importanza che ha avuto, c'è sicuramente il 2° contro la Salernitana il 29 maggio 2004 in Serie B. Ricevo palla sulla trequarti, con un movimento rapido parto dalla sinistra, convergo verso il centro e dalla distanza lascio partire un tiro potente che non lascia scampo al portiere avversario. Vincemmo 3-1 e grazie a quel risulta-
TANTE ESPERIENZE
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Cagliari, Genoa, Inter e Catania, queste le sue tappe in Italia
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I GIGANTI DEL CALCIO / DAVID Suazo
I GIGANTI DEL CALCIO / DAVID Suazo
POTEVA FARE DI PIù
SGUARDO AL FUTURO
Smessi i panni del calciatore, David ha voglia di fare l'allenatore
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Se non fosse stato per i tanti infortuni, chissà dove sarebbe arrivato...
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to conquistammo matematicamente la promozione in Serie A. Al Sant'Elia e in tutta Cagliari ci fu una grande festa... A livello puramente estetico dico nella stessa stagione (2003-04, ndr) il gol contro la Ternana: 80 metri di progressione palla al piede e tiro preciso a battere il portiere dall'interno dell'area umbra". Con quella velocità, per i difensori avversari limitare David era un'impresa, tanto che spesso dovevano ricorrere al fallo e non era raro che l'arbitro dovesse estrarre il cartellino rosso ai loro danni, lasciando la propria squadra in 10 uomini. Ma c'erano anche i campioni che sapevano tenergli testa e contro i quali spesso David intraprendeva dei veri e propri duelli. "Ho avuto la fortuna e la sfortuna di confrontarmi con grandi difensori. - ricorda - I più difficili da superare erano Nesta, Maldini, Thuram e Fabio Cannavaro". Terminata la carriera da calciatore, Suazo intraprende quella da allenatore e, con Cellino ancora presidente, viene assunto come osservatore. "Il percorso ovviamente è lungo - spiega - per ora ho fatto i primi due step superando il Corso per allenatore di Base, UEFA B, e il Corso per Allenatori Professionisti di 2ª Categoria, UEFA A. Per poter allenare in Serie B e in Serie A mi manca l'ultimo, quello più importante". Il 9 aprile 2014 David entra a far parte dello staff tecnico del club isolano come collaboratore di Ivo Pulga. Terminata poi l'era Cellino, alla presi-
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Per ora sono molto contento di fare l'allenatore nelle Giovanili, voglio fare un passo alla volta come tecnico… denza del Cagliari approda Tommaso Giulini, che vuole Suazo nello staff tecnico della società rossoblù e gli affida inizialmente la guida dei Giovanissimi Regionali. "Per me è stata una grande soddisfazione essere stato inserito nello staff tecnico del Cagliari dopo il cambio di società", ammette l'honduregno. Nella stessa stagione, dopo il secondo esonero di Zeman, diventa il vice di Gianluca Festa nell'ultima parte di un campionato sfortunato che segna il ritorno in Serie B dei sardi. Nel 2015-16 la società isolana riorganizza il proprio organigramma e a Suazo è affidato l'incarico di tecnico dei Giovanissimi Nazionali. "Per ora sono molto contento di fare l'allenatore nelle Giovanili, - dice Suazo - come tutti gli allenatori il mio obiettivo è arrivare in alto, ma preferisco
fare le cose un passo alla volta. Ho ancora tanto da imparare". L'umiltà non manca sicuramente a David, che anche per questa qualità, nonostante un carattere introverso, ha legato tanto con i tifosi. "Ai tifosi sardi non posso dire nulla. - afferma l'honduregno - Li ringrazio ancora per l'affetto che mi danno. Mi hanno sempre sostenuto anche quando c'erano dei problemi e delle difficoltà. Da parte mia cerco sempre di fare il meglio". In Sardegna Suazo ha conosciuto sua moglie, che gli ha regalato due splendidi bambini, da lui portati spesso al Sant'Elia prima delle partite. E chissà che in futuro non possano ripercorrere le orme del padre: "I miei figli oggi hanno 10 e 7 anni e frequentano una scuola calcio. Sono sani e forti, e a me fa piacere che facciano sport, perché fa bene alla salute. Poi se un giorno decideranno di fare il calciatore senza dubbio io farò il tifo per loro, ma saranno loro a decidere. Sono innamorato della mia famiglia e contento per l'amore che essa mi trasmette". Amato e rispettato, nella sua carriera da calciatore l'attaccante honduregno è stato un esempio per tanti giovani: mai una polemica o una parola fuori posto, nonostante le botte ricevute e i tanti falli subiti. Anche per questo, in attesa di vederlo all'opera nella nuova veste di allenatore con qualche squadra importante, le prodezze e l'affabilità della 'Pantera nera' resteranno a lungo nella memoria degli appassionati. Calcio 2OOO
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SPECIALE STORIA - COPPA DEI CAMPIONI
di Gabriele PORRI
La Steaua Bucarest del gigante Duckadam compie l’impresa e si conquista l’Europa…
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SQUADRA FANTASTICA Lo Steaua sorprende l'Europa che conta...
IL VENTO DELL’EST 74
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ue giorni dopo l’Heysel, la FA decide di eliminare dalle Coppe Europee le proprie squadre per un anno, ma la UEFA le esclude a tempo indeterminato, dando al Liverpool tre anni ulteriori di squalifica. La Juventus giocherà le prime due partite casalinghe a porte chiuse, mentre per dieci anni non si potrà giocare una finale in Belgio. Il problema “hooligans” va assolutamente risolto dopo i 39 morti di Bruxelles, anche a costo di impoverire la Coppa della Nazione che ha vinto sette delle ultime nove edizioni. A farne le spese è l’Everton, campione inglese e fresco vincitore della Coppa delle Coppe. L’assenza degli inglesi vede così favorita la Juventus per un double, che a Torino in molti auspicherebbero, in quanto il primo e tanto agognato successo in Coppa Campioni è avvenuto in circostanze drammatiche, che ne hanno anche inficiato il valore sportivo. Hanno lasciato Tardelli e Boniek, sono arrivati la punta Aldo Serena dal Torino e il regista danese Michael Laudrup, figlio d’arte (il padre Finn è stato un discreto attaccante), tornato dal prestito alla Lazio. Ai bianconeri si affiancano il Bayern e il Barcellona, tornato in Coppa dei Campioni dopo undici anni di assenza. Guidati da Venables, con Schuster regista, Carrasco all’ala, Pedraza e Archibald di punta i Blaugrana hanno vinto il titolo con largo margine sull’Atletico e si prenotano per la finale, che sarà in Spagna, a Siviglia. Senza inglesi, con la rinuncia dell’Albania, le squadre ai blocchi di partenza sono 31, per l’Italia c’è anche il Verona di Osvaldo Bagnoli che, a sorpresa, ha vinto il campionato aggiungendo a un’ossatura valida, alcune stelle di Euro 84 come Elkjaer e Briegel. Il sorteggio esime dal primo turno l’Anderlecht, a differenza del passato in cui erano i campioni in carica a saltare il primo turno. Poco male per la Juventus, che viene accoppiata ai quasi omonimi della Jeunesse d’Esch e finisce 9-1 nei 180’. Non ci sono grosse sorprese, non considerando tale l’uscita degli ex campioni dell’Ajax al cospetto del Porto, per l’ottimo gioco della squadra di Artur Jorge, in cui spicca un giovanissimo Paulo Futre. Più sorprendente la fatica con cui il Barcellona debba affidarsi ai gol fuori casa per avere la meglio dello Sparta Praga, che espugna il Camp Nou con gol di Griga dopo avere perso 2-1 in casa. Bene il Verona, con Elkjaer sugli scudi, autore di una doppietta sia a Verona che a Salonicco: il PAOK, partito fortissimo in casa, pensava di riuscire a ribaltare l’1-3 di Verona dopo il gol al 4’ di Vasilakos, ma non è stato così. Proprio come qualche anno prima con Liverpool e Forest, l’urna zurighese mette di fronte i detentori e chi ha soffiato loro il titolo Na-
SPECIALE COPPA DEI CAMPIONI / 1985-1986 zionale. Ancora è grande contro piccola, ma stavolta le cose vanno diversamente e sono i campioni d’Europa a prevalere, con uno 0-0 a Verona e un 2-0 a Torino, senza pubblico e con tante polemiche. Rigore dubbio dato alla Juve, uno netto negato al Verona (l’arbitro Wurtz non vede il pugno dato da Serena al pallone), il 2-0 segnato dallo stesso Serena nel ribaltamento dell’azione, mentre i veronesi ancora protestano. Il presidente veronese Chiampan annuncia un esposto all’UEFA, insinuando che il direttore di gara francese avesse parlato nel pre-gara con Platini. Nello spogliatoio veronese c’è trambusto, bussano, sono i carabinieri venuti a vedere cosa succede e Bagnoli, sarcastico, risponde: “Se cercate i ladri, sono nell’altro spogliatoio”. Non una bella conclusione per il primo derby italiano in Coppa Campioni. Sopravvivono all’inverno il Bayern, che sconfigge l’Austria Vienna, il Barça che passa ancora per i gol in trasferta, stavolta col Porto a cui non basta la tripletta di uno scatenato Juary al ritorno, l’Aberdeen, la Steaua, l’Anderlecht a cui l’urna ha sorriso nuovamente dando in avversario l’Omonia e le nordiche Göteborg e Kuusysi Lahti, che ha la meglio al supplementare sui campioni sovietici dello Zenit Leningrado. Juventus e Barcellona sembrano un gradino sopra tutte e purtroppo una perfida mano le accoppia nei quarti. Al Camp Nou mancano in tanti, Schuster, Caldere e Marcos nei Blaugrana e Serena nella Juve. Lo sostituisce Briaschi, che si fa male subito e lascia il posto all’inesperto Pacione. Trapattoni ha impostato la partita per non prenderle, non approfittando così dei varchi lasciati dai catalani, finisce 1-0 con un gran gol di Julio Alberto, fluidificante di fascia sinistra. Non resta che ribaltare il risultato al ritorno, dove Venables a sorpresa gioca con il solo Archibald davanti e infoltisce il centrocampo per infastidire Platini, ma è in fase realizzativa che i bianconeri sbagliano molto, specie con Pacione. Passa il Barça con un’incornata di Archibald, servirebbero tre reti, ma arriva solo quella di Platini: è l’abdicazione bianconera e la fine del ciclo trapattoniano. L’Anderlecht, finora fortunata nei sorteggi, è comunque squadra con grandi individualità che nella prima parte del decennio ha vinto una Coppa UEFA, ha raggiunto una finale della stessa e una semifinale di Coppa Campioni. All’astro nascente Scifo, di origine siciliana, si aggiungono il veterano Morten Olsen in difesa, la punta Vandenbergh e Franky Vercauteren. L’accoppiamento col Bayern sembra proibitivo, ma dopo la sconfitta di misura a Monaco ci pensano Scifo e Frimann a portare la squadra belga in semifinale. Con Juve e Bayern fuori, c’è la certezza di avere un nuovo vincitore della Coppa. L’IFK Göteborg sembra sfavorito contro l’Aberdeen di Alex Ferguson, ma una
rete nel finale di Ekstrӧm dà il 2-2 esterno ai suoi, con la possibilità di essere qualificati con un pareggio sotto le 2 reti in casa. Infatti, in Svezia finisce senza reti e il Göteborg può cercare di ripetere le gesta del Malmö nel 1979. La Steaua Bucarest avanza a fari spenti e con sorteggi piuttosto favorevoli. Dopo Vejle e Honved, la squadra del “mago” Jenei se la deve vedere con il Kuusysi. All’andata “si incarta” e i finlandesi strappano lo 0-0 in trasferta, a Helsinki, davanti a oltre 30.000 persone, risolve tutto Piturca a pochi minuti dalla fine. L’urna dice Göteborg-Barcellona e Anderlecht-Steaua e tutti immaginano una finale ispano-belga. I Blaugrana invece subiscono uno choccante 0-3 in Svezia e va loro anche bene, Venables però pensa che la rimonta sia possibile e al ritorno imposta una squadra d’attacco in cui la “punta di scorta” Pichi Alonso realizza una tripletta che porta ai supplementari. Zero gol nell’overtime, si va sul dischetto e lì, terminati 4-4 i rigori canonici in cui Roland Nilsson ha sprecato un match-point, è decisivo l’errore di Mordt nella prima serie a oltranza. Nell’altra semifinale, Scifo dà l’1-0 ai suoi, risultato risicato, ma che con un gol a Bucarest potrebbe diventare prezioso. Invece, a Bucarest Piturca va in gol subito, raddoppia Balint e chiude i giochi ancora il futuro CT rumeno Piturca al 70’. A Siviglia, quindi, vanno Barcellona e Steaua e mai come stavolta il pronostico è chiuso, per le forze in campo e per gli spalti tutti blaugrana. Jenei, però, ha impostato una squadra tosta, che punta a finire indenne i 120’ e provare a giocarsela ai rigori. In effetti la tattica dell’allenatore di etnia ungherese riesce, i pericoli sono solo un paio e nel finale Jenei puntella la difesa mettendo l’esperto Iordanescu, mentre Venables sostituisce un infuriato Schuster. Dal dischetto sbaglia Majearu, Duckadam fa il primo miracolo su Alexanko e il secondo su Pedraza, inframmezzato dall’errore di Bӧloni. Quattro rigori e ancora 0-0, mai successo. Ci pensa Lacatus a segnare con una bomba sotto la traversa, mentre il portiere di etnia germanica (è uno svevo del Banato) neutralizza anche il penalty di Pichi Alonso. Segna Balint e il Barca può sperare solo di segnare gli ultimi due con un errore dei rumeni. Invece, Duckadam è deciso a passare alla storia e para anche quello di Marcos Alonso, buttandosi alla sua sinistra dopo avere fermato i primi tre dall’altra parte. I 50.000 tifosi culés arrivati a Siviglia ammutoliscono, la Coppa va alla Steaua ed è la prima, storica vittoria di una squadra dell’Est. Duckadam termina lì la sua carriera per un aneurisma a un braccio, mentre le leggende per anni hanno parlato di uno sgarbo fatto al figlio di Ceausescu con conseguente rottura di entrambe le mani. Ma quella sera, in cui il capitano Iovan alza la coppa, Duckadam da “Gigante di Arad” diventa “Eroe di Siviglia”. Calcio 2OOO
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SEMIFINALE 1
SEMIFINALE 2
IFK GÖTEBORG-BARCELLONA 3-0 (2-0)
ANDERLECHT-STEAUA BUCAREST 1-0 (0-0)
Mercoledì 2 aprile 1986, ore 19 GÖTEBORG (Stadio "Ullevi") Arbitro: Vojtech CHRISTOV (TCH) Spettatori: 43.103
Mercoledì 2 aprile 1986, ore 20 BRUXELLES (Stadio "Constant Vanden Stock") Arbitro: Adolf PROKOP (GDR) Spettatori: 24.000
IFK GÖTEBORG: Thomas WERNERSSON (cap.), Roland NILSSON, Glenn HYSEN, Peter LARSSON, Stig FREDRIKSSON, Michael ANDERSSON [78' Per Edmund MORDT], Stefan PETTERSSON, Tord HOLMGREN, Tommy HOLMGREN [84' Magnus JOHANSSON], Johnny EKSTRÖM, Torbjörn NILSSON Commissario tecnico: Gunder BENGTSSON.
ANDERLECHT: Dirk VEKEMAN, Luka PERUZOVIC, Stephane DEMOL, Vincenzo SCIFO, Henrik ANDERSEN, Frank VERCAUTEREN (cap.) [38' Georges GRÜN], René VANDEREYCKEN, Per FRIMANN, Erwin VANDENBERGH [88' Arnor GUDJOHNSEN], Morten OLSEN, Juan José LOZANO Commissario tecnico: Arend HAAN.
BARCELLONA: URRUTI, GERARDO, MIGUELI, JULIO ALBERTO, VICTOR, José Ramon ALESANCO (cap.), Francisco José CARRASCO [53' Ángel PEDRAZA], Bernd SCHUSTER, Raúl Vicente AMARILLA, ESTEBAN [64' Esteve FRADERA], MARCOS ALONSO Commissario tecnico: Terence VENABLES.
GARA DI ANDATA
GARA DI ANDATA
SPECIALE COPPA DEI CAMPIONI / 1985-1986
Reti: 24' e 43' Torbjörn NILSSON, 58' Tommy HOLMGREN. Ammonito: 78' Esteve FRADERA.
STEAUA BUCAREST: Helmuth DUCADAM, Stefan IOVAN, Ilie BARBULESCU, Adrian BUMBESCU, Tudorel STOICA (cap.), Miodrag BELODEDICI, Marius LACATUS, Mihail MAJEARU [76' Lucian BALAN], Victor PITURCA, Gavril BALINT [83' Constantin PISTOL], Ladislau BÖLÖNI Commissario tecnico: Emerich IENEI. Rete: 75' Vincenzo SCIFO. Ammonito: 74' Tudorel STOICA.
FINALE BARCELLONA-IFK GÖTEBORG 3-0 d.t.s. (1-0, 2-0; 0-0, 0-0), poi 5-4 ai rigori
STEAUA BUCAREST-ANDERLECHT 3-0 (2-0)
BARCELLONA: URRUTI, José Vicente SANCHEZ, MIGUELI, JULIO ALBERTO, VICTOR, José Ramon ALESANCO (cap.), Francisco José CARRASCO, Bernd SCHUSTER [57' Ángel PEDRAZA], PICHI ALONSO [80' Francisco CLOS], ESTEBAN, Ramon Maria CALDERÉ Commissario tecnico: Terence VENABLES. IFK GÖTEBORG: Thomas WERNERSSON (cap.), Roland NILSSON, Ruben SVENSSON [50' Per Edmund MORDT], Peter LARSSON, Stig FREDRIKSSON, Michael ANDERSSON, Stefan PETTERSSON, Tommy HOLMGREN, Tord HOLMGREN [115' Magnus JOHANSSON], Johnny EKSTRÖM, Torbjörn NILSSON Commissario tecnico: Gunder BENGTSSON. Reti: 10' e 63' e 70' PICHI ALONSO. Sequenza dei rigori: Stefan PETTERSSON (realizzato), José Ramon ALESANCO (realizzato), Thomas WERNERSSON (realizzato), Ángel PEDRAZA (realizzato), Peter LARSSON (realizzato), Francisco José CARRASCO (parato), Stig FREDRIKSSON (realizzato), Ramon Maria CALDERÉ (realizzato), Roland NILSSON (palo), URRUTI (realizzato), Per Edmund MORDT (sbagliato), VICTOR (realizzato). Ammoniti: 117' Ramon Maria CALDERÉ, 41' José Ramon ALESANCO, 92' MIGUELI, 96' Per Edmund MORDT.
GARA DI RITORNO
GARA DI RITORNO
Mercoledì 16 aprile 1986, ore 21:15 BARCELLONA (Stadio "Nou Camp") Arbitro: Paolo CASARIN (ITA) Spettatori: 95.000
Mercoledì 16 aprile 1986, ore 16:30 BUCAREST (Stadio "Steaua") Arbitro: Volker ROTH (GER) Spettatori: 20.584
Mercoledì 7 maggio 1986, ore 20:15 SIVIGLIA (Stadio "Sánchez Pizjuán") Arbitro: Michel VAUTROT (FRA) Spettatori: 70.000
STEAUA BUCAREST: Helmuth DUCADAM, Stefan IOVAN, Ilie BARBULESCU [90' Marin RADU], Adrian BUMBESCU, Tudorel STOICA (cap.), Miodrag BELODEDICI, Marius LACATUS, Lucian BALAN, Victor PITURCA, Gavril BALINT [87' Anton WEISSENBACHER], Ladislau BÖLÖNI Commissario tecnico: Emerich IENEI.
STEAUA BUCAREST: Helmuth DUCADAM, Stefan IOVAN (cap.), Ilie BARBULESCU, Adrian BUMBESCU, Lucian BALAN [72' Anghel IORDANESCU], Miodrag BELODEDICI, Marius LACATUS, Mihail MAJEARU, Victor PITURCA [111' Marin RADU], Gavril BALINT, Ladislau BÖLÖNI Commissario tecnico: Emerich IENEI.
ANDERLECHT: Dirk VEKEMAN, Luka PERUZOVIC, Georges GRÜN, Vincenzo SCIFO, Henrik ANDERSEN, Frank VERCAUTEREN (cap.), René VANDEREYCKEN, Per FRIMANN, Erwin VANDENBERGH [78' Stephane DEMOL], Morten OLSEN, Juan José LOZANO [72' Arnor GUDJOHNSEN] Commissario tecnico: Arend HAAN.
BARCELLONA: URRUTI, GERARDO, MIGUELI, JULIO ALBERTO, VICTOR, José Ramon ALESANCO (cap.), Francisco José CARRASCO, Bernd SCHUSTER [85' José MORATALLA], Ángel PEDRAZA, Stephen ARCHIBALD [100' PICHI ALONSO], MARCOS ALONSO Commissario tecnico: Terence VENABLES.
Reti: 4' Victor PITURCA, 23' Gavril BALINT, 70' Victor PITURCA. Ammoniti: 12' Frank VERCAUTEREN, 2' Henrik ANDERSEN, 5' Tudorel STOICA, 75' Lucian BALAN.
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Calcio 2OOO
Sequenza dei rigori: Mihail MAJEARU (parato), José Ramon ALESANCO (parato), Ladislau BÖLÖNI (parato), Ángel PEDRAZA (parato), Marius LACATUS (realizzato), PICHI ALONSO (parato), Gavril BALINT (realizzato), MARCOS ALONSO (parato). Ammoniti: 107' Adrian BUMBESCU, 21' Miodrag BELODEDICI, 21' Francisco José CARRASCO, 23' JULIO ALBERTO, 26' Marius LACATUS, 31' Ladislau BÖLÖNI.
STEAUA BUCAREST-BARCELLONA 0-0 d.t.s., poi 2-0 ai rigori
ACCADDE A...
di Luca Gandini
ACCADDE A.../ VITTORIO POZZO
VITTORIO POZZO UN VERO MAGO
Un vincente, un uomo autentico, l'unico, inimitabile Pozzo
IL VITTORIOSO POZZO IL 2 MARZO 1886 NASCEVA VITTORIO POZZO, IL RE MIDA DEL CALCIO ITALIANO
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n personaggio che forse non è mai valorizzato abbastanza. È questa l'impressione più forte che rimane oggi, a 130 anni esatti dalla sua nascita. Perché come Vittorio Pozzo non c'è stato né ci sarà mai nessuno. Per il prestigio dei successi colti come commissario unico della Nazionale, innanzitutto, e poi per quanto dato al calcio in generale, che per lui fu ragione di vita stessa. Dovrebbero prendere esempio da lui molte delle cosiddette star che ruotano oggi attorno al mondo del pallone, sempre alla ricerca dell'ingaggio più succulento o dell'apparire a tutti i costi. Lo sapete quanto guadagnò Pozzo in tanti anni di onorata carriera al servizio della causa azzurra? Nemmeno il becco di un quattrino. “Ero stato io a volerlo – racconterà nelle sue memorie – avevo detto che non volevo essere stipendiato, che non volevo ricevere ordini da nessuno, e che desideravo potermene andare quando mi pareva e piaceva, e senza dover nulla a nessuno”. Al momento di tirare le somme in fatto di trionfi, però, in pochi, allora come oggi, riuscirebbero a tenergli testa.
foto Agenzia Liverani
UN POZZO DI VITTORIE Dopo due isolate comparsate, come commissario unico dell'Italia ai Giochi Olimpici di Stoccolma 1912 e Parigi 1924, in cui raccogliemmo due premature eliminazioni per mano di Finlandia e Svizzera rispettivamente, Vittorio Pozzo inaugurò l'era più lunga e gloriosa della sua gestione il 1° dicembre 1929, con un'amichevole stravinta a San Siro contro il Portogallo. L'Italia iniziò a fare la voce
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Calcio 2OOO
grossa a livello internazionale l'anno dopo, quando, con un sonoro 5-0 a Budapest, fece sua la prima edizione della Coppa Internazionale, la manifestazione più prestigiosa giocata all'epoca nell'Europa continentale, perché nobilitata dalle fortissime compagini danubiane: Austria, Cecoslovacchia e Ungheria. Assenti ai primi Mondiali della storia, quelli di Montevideo 1930, toccò a noi ospitare, nel 1934, la seconda edizione iridata, il Mondiale “che non si poteva perdere”. Eravamo in piena epoca fascista e il regime vide nelle imprese della Nazionale un imprescindibile veicolo di propaganda. Ce la fecero, Pozzo e i suoi ragazzi, ad alzare la Coppa Rimet, anche se alcuni arbitraggi al limite dello scandalo nelle gare contro Spagna ai quarti e Austria in semifinale, gettarono un'ombra sospetta sulla legittimità del nostro trionfo. Ma le malelingue furono zittite l'anno dopo, quando ci portammo a casa la nostra seconda Coppa Internazionale, e, soprattutto, a Berlino '36. Fu proprio lì, ai Giochi Olimpici, che Pozzo realizzò forse il più grande capolavoro della carriera. Con una squadra formata per lo più da studenti universitari, in modo da rispettare il sacro dilettantismo olimpico, gli Azzurri, trascinati dai gol di Annibale Frossi, conquistarono l'unica medaglia d'oro del nostro pallone a cinque cerchi. Tutto il mondo ci attese dunque al varco al Mondiale di Francia '38. L'Italia, non certo in odor di santità a livello diplomatico per via dell'invasione dell'Etiopia e per l'avvicinamento sempre più pericoloso alla Germania hitleriana, si presentò a Parigi con una Nazionale se possibile ancor più convinta della propria forza. Né gli avviliti padroni di casa transalpini, né
i giocolieri brasiliani, né i sempre temibili ungheresi poterono ostacolare la schiacciasassi azzurra, che sotto la Tour Eiffel andò a prendersi un successo limpido e senza ombre. Le ombre, semmai, avrebbero avvolto l'Europa e il mondo pochi mesi dopo. La Seconda Guerra Mondiale interruppe il grande ciclo di vittorie azzurro, e quando la tempesta finì il calcio non sarebbe stato più lo stesso. UNO STADIO PER POZZO Nuovi sistemi di gioco, nuove realtà, nuovi campioni si affacciarono ora alla grande ribalta. Il nostro Pozzo, ormai ultrasessantenne, fu forse preso alla sprovvista dai tempi nuovi e perse il tocco magico. L'ultima sua recita fu ancora un'Olimpiade, la quarta della carriera, a Londra '48. Fu un disastro. I nostri studenti non riuscirono a ripetere l'impresa di Berlino, il c.t. finì nel mirino della critica e preferì farsi da parte. “Avevo la coscienza di aver difeso una causa italiana per un così lungo periodo con fedeltà e onore. Era ora che me ne andassi”. La Federazione, da cui Pozzo non aveva mai preteso una lira, decise di omaggiarlo regalandogli un appartamento a Torino. Nei vent'anni che gli restarono da vivere, il vecchio alpino (aveva prestato servizio nella Prima Guerra Mondiale col grado di maggiore) si dedicò alla sua seconda grande passione, il giornalismo, affermandosi come prima firma dallo stile sobrio ma gradevole. Morì nella sua Torino il 21 dicembre 1968. Oggi, a 130 anni dalla nascita e a quasi 50 dalla morte, nessuno dei più prestigiosi stadi italiani è dedicato al personaggio più vincente espresso dal calcio azzurro. Non sarebbe forse ora di porre rimedio a questa ingiustizia? Calcio 2OOO
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DOVE SONO FINITI
di Stefano BORGI
DOVE SONO FINITI / MARCO BALLOTTA
MARCO BALLOTTA
PASSIONE... INFINITA
UN VERO PROFESSIONISTA Ballotta, ovunque è stato, ha dimostrato di essere un signore...
Detiene il record di longevità in serie A e in Champions League. Portiere, attaccante, per Marco Ballotta la passione del calcio (anche a 5) non finisce mai.
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Ci racconti la serata del Bernabeu… “Si giocava Real Madrid-Lazio. Una sensazione enorme, il coronamento di una carriera. Anche se finì 3-1 per loro. Devo dire l'ambiente mi aiutò, cioè lo stadio pieno, una cornice irripetibile. Insomma, più la partita era importante, più giocavo meglio... non è stato così difficile”. Però il record a cui lei tiene è un altro... “Quello col Modena del 1990. Subimmo solo 9 reti in tutto il campionato, una sola in casa, e presi gol solo in 4 partite. Sarà perché vivo ancora a Modena, e me lo ricordano spesso...”.
foto Agenzia Liverani
osa non si fa per il calcio, disposti a tutto pur di restare in campo un giorno in più. E parafrasando Ligabue, certe passioni somigliano ad un vizio che tu non vuoi smettere, smettere mai. Come la passione di Marco Ballotta. Nato a Casalecchio di Reno il 3 aprile 1964, percorre i suoi inizi sulla via Emilia: Bologna, Modena, Cesena, Parma, per poi vincere uno Scudetto, tre Coppe Italia, una Supercoppa Italiana. Più due Coppe delle Coppe e due Supercoppe Europee. Soprattutto Marco Ballotta disputa la sua ultima partita in Serie A all'età di 44 anni e 38 giorni. Non solo... gioca in Champions League (al Santiago Bernabeu!) a 43 anni e 253 giorni, due record di longevità capaci di spodestare autentiche icone del calcio come Zoff e Costacurta. E allora la domanda sorge spontanea...
foto Agenzia Liverani
Scusi Ballotta, ma come si fa? “Ci vuole passione. La passione è fondamentale, è una cosa che devi avere dentro. Non c'era giorno che non mi allenassi, anche a 44 anni cercavo di migliorarmi, giorno per giorno, cercando stimoli nuovi. Oggi è tutto diverso: ci sono troppe distrazioni, c'è poco amore e poca passione. E si ricordi... vince il tempo, non il momento”.
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La passione è fondamentale, è una cosa che devi avere dentro. Oggi è tutto diverso, ci sono troppe distrazioni. C'è poco amore e poca passione
Quindi non c'è un segreto? Magari andare a letto presto... “No, no, è genetica – precisa. Io ho fatto il professionista seriamente, ma non mi sono fatto mancare niente. Anche dal punto di vista alimentare, capirà... da buon emiliano. E poi la passione, la dedizione, che non devono finire mai”.
Ci tolga un dubbio: lei è stato migliore come attaccante o come portiere? “Guardi, ho cominciato fuori dai pali: terzino, centrocampista, punta... ambidestro, di movimento. Poi, per un infortunio al portiere, andai tra i pali, e me la cavai alla grande. Al tempo avevo già 12 anni, poi andai a Bologna e da lì...”. Preferiva far gol invece che prenderli? “Gioco ancora attaccante, negli 'over' del Calcara Samoggia. A parte gli scherzi il ruolo non lo scegli. È lui che sceglie te. Ed io non mi posso certo lamentare...”.
Il gol più bello che ha fatto? “Un gol che ci ha permesso di vincere per 2-1, il secondo della partita. Dall'altra parte c'era un mio amico come portiere: lancio lungo, ho fatto un pallonetto... è stato un bel gol. Nel 2008 col Calcara in prima categoria segnai 24 gol su 37 presenze. Non male no?”. Calcio 2OOO
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DOVE SONO FINITI / MARCO BALLOTTA
DOVE SONO FINITI / MARCO BALLOTTA
SEMPRE AMATO Il rispetto dei tifosi è sempre stato altissimo...
Poi arriva Parma, dove conosce Buffon... “Gigi era nelle giovanili. Se ne parlava molto bene, ma l'ho visto poche volte allenarsi. In prima squadra c'eravamo io e Taffarel, lui esordì al posto di Bucci”.
Lei ci riusciva? “Certo. Io ero un leader silenzioso, ma nello spogliatoio mi ascoltavano. Anche per un discorso di età. Nella Lazio tra me e quelli più bravi si era creato un bel rapporto”. A proposito di Lazio, lo Scudetto del 2000? “Grande squadra quella Lazio, ha vinto meno di quello che avrebbe meritato. Non dimenticherò mai il pomeriggio del 14 maggio, assolutamente irripetibile. Noi che finiamo la partita, tutti in campo ad ascoltare la radiolina, i risultati che si rincorrevano... E poi la pioggia di Perugia”. Appunto, la pioggia di Perugia...
In 27 anni di carriera ha avuto tantissimi allenatori. Il migliore? “Dico Ancelotti nel '95, il suo primo anno a Reggio Emilia. Forse era ancora giocatore, di sicuro era molto bravo ad assicurarsi la nostra simpatia. Gli altri... Lippi è stato il più diretto, Ulivieri il più perfezionista, Eriksson un perfetto gestore di uomini”.
L'attaccante più forte che ha incontrato? E quello con cui ha giocato... “Scelga lei tra Van Basten e Maradona. Tra i miei compagni dico Ronaldo. Subito dopo Vieri e Salas”. Quindi? Meglio il calcio di una volta? (attimo di pausa, poi...) “Che le devo dire? Oggi c'è più velocità, si gioca più fisicamente, ma si... un tempo c'erano giocatori migliori. Tecnicamente superiori”.
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Per fare il portiere devi avere carattere. Ti devi far sentire, prima con la voce poi con le parate. Io nello spogliatoio ero molto ascoltato
“Devo dirlo, la nostra fortuna si chiamò Pierluigi Collina. Solo lui poteva andare sopra tutto e tutti. Però, ripeto, fu giusto così. La Lazio doveva vincere lo Scudetto già l'anno prima ('98-99, vinse il Milan di Zaccheroni ndr)”.
Lei era il secondo di Marchegiani, però in quell'annata fu fondamentale... “Il secondo portiere spesso è un titolare aggiunto. Io poi avevo il mio campionato nella Coppa Italia. È sempre una questione di carattere, ti devi far trovare pronto. Quella stagione, in tutto, disputai 14 partite. Quella che ricordo più volentieri? La vittoria a Torino contro la Juventus. 1-0 per noi ed io che faccio due parate fondamentali...”.
La prima cosa che farebbe da dirigente federale “Ce ne sarebbero tante. Però faccio un nome: Gabriele Gravina (neo presidente della Lega Pro ndr). È uno che ha delle idee, se lo lasciano lavorare farà benissimo”.
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Perché non va in televisione? “Io ho giocato a calcio, ma non vivo di calcio. Se fai il commentatore non hai una vita: devi sempre essere aggiornato, informato. Quelli che lo fanno sono bravi, ma per me sarebbe un sacrificio”.
E poi c'è sempre il Beach Soccer... “Ah, quello è un divertimento. Io gioco soprattutto nella Nazionale di calcio a 5, disputiamo una sorta di campionato europeo. Ed abbiamo un progetto: fare un campionato di ex calciatori. Sai come sarebbe bello...”. foto @FDLCOM
foto Agenzia Liverani
Si spieghi meglio... “Paolo era l'idolo degli Irriducibili. Fece qualche dichiarazione che non doveva fare ed i tifosi si rivolsero nei miei confronti. Vede, io e Di Canio come carattere possiamo essere anche uguali, ma io manifestavo di meno, ho sempre preferito restare sottotraccia. Lui però è una brava persona, ha dei momenti particolari, ma poi
Ha ancora amici nel calcio? “Pochissimi. Dico Negro, Cevoli... anche altri, ma davvero pochi”.
Insomma, Ballotta... cosa vuol fare da grande? “Ho una figlia stupenda che gioca a pallavolo, ho investito i miei soldi in appartamenti. E poi faccio ancora calcio. Non sono in una squadra professionistica... non so perché (sorride sarcastico ndr). Però sono a Castelvetro dove alleno i portieri, siamo primi in Eccellenza e vogliamo salire. Abbiamo 400 bambini del settore giovanile da gestire, serve serietà ed impegno. Se poi chiamasse, non so... il Bologna, ci vado, è ovvio. Io poi ho un'idea precisa: chi è stato nel calcio deve restare nel calcio. Fossi un dirigente in Serie A porterei tanti ex calciatori, metterei la loro esperienza al servizio dei giovani”.
I famosi “irriducibili”. Lei ha mai avuto problemi? “Si qualcuno l'ho avuto, poi tutto si è chiarito. Fu un discorso legato a Di Canio. Ma non a livello politico, a livello personale”.
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In biancoceleste si è divertito tantissimo...
Come attaccante avrei potuto giocare anche professionista. Però non mi lamento, da portiere ho giocato fino all'età di 44 anni...
Due fotografie su altrettanti presidenti: Zoff e Lotito “Zoff è stato il mio idolo fin da bambino. Sapere che nel '97 mi volle lui alla Lazio fu incredibile. Ricordo ancora la firma del contratto, quando gli dissi di mettere la cifra. Mi andava bene qualsiasi cosa, mi tremava la voce... Lotito invece va contro tutto e tutti. Sa dove deve arrivare e non guarda in faccia nessuno. Anche nei confronti dei tifosi”.
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SODDISFAZIONI CON LA LAZIO
Domanda secca: oggi per chi fa il tifo? “Per nessuno. Io ho sempre tifato per la squadra nella quale giocavo. Questione di rispetto, per dirigenza e pubblico. Sa cosa le dico? Non sopporto i giocatori che non esultano dopo un gol. Oppure quelli che, appena arrivati in una nuova società, baciano la maglia. Suvvia...”. foto Agenzia Liverani
Ci definisca il ruolo di portiere… “È il ruolo più bello ed impegnativo, e non perché l'ho fatto io per tanti anni. Devi avere carattere, essere forte anche negli errori. E poi devi farti sentire, altrimenti non puoi fare il portiere. Devi guidare forse prima con la voce e poi con le parate”.
passa tutto”.
foto Agenzia Liverani
Torniamo alla vita da portiere. L'inizio della carriera... “Innanzitutto un piccolo rimpianto: nel 1984 ero stato opzionato dal Verona di Bagnoli, che poi vinse lo scudetto. L'anno prima avevo vinto il campionato di C col Modena ed il Verona mi lasciò un altro anno in prestito. Purtroppo sbagliai stagione, dovetti ricominciare da capo e ci misi un po' di tempo. Insomma, esordii nella massima serie col Cesena, ma avevo già 27 anni...”.
Ci riproviamo: lei voleva fare l'attaccante oppure il portiere? “Il problema è che nella vita si può scegliere un solo ruolo. E questo è davvero poco. Però ripeto: qualunque ruolo bisogna farlo con passione... che non deve finire mai”. Calcio 2OOO
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LIGA SPAGNA
di Paolo BARDELLI
foto Agenzia Liverani
Le scelte di Florentino sono irrevocabili...
TUTTI GLI UOMINI DEL PRESIDENTE Benitez è solo l'ultima "vittima" di Florentino
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na gestione nata sotto il peso di molte perplessità: succedere all’uomo della Decima (Ancelotti). Tanti dubbi hanno accompagnato Rafa Benitez nel suo ritorno al Real Madrid, dubbi che si sono tramutati una certezza: non è lui l'uomo giusto. Si è soliti dire che chi ben comincia è già a metà dell'opera, l'era Benitez è iniziata come peggio non poteva: tensioni con Cristiano Ronaldo e una guida tattica incerta, "catenacciara" a detta del popolo blanco. Il Clásico di novembre è stato un massacro, il caso Cheryshev - schierato da Benitez nono84
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stante una squalifica pendente - ha causato l'eliminazione della Coppa del Re, tuttavia la classifica alla fine del 2015 non era neppure così male, per capire i problemi bisogna arrivare a monte. Le logiche di una scelta "politica", Benitez chiamato in quanto "Hombre de la Casa Blanca" e poi scaricato per motivazioni non solamente legate ai risultati. Mal comune, mezzo gaudio, Don Rafa è in ottima compagnia nella lista degli scaricati Real. Ultima vittima di Florentino Pérez, presidentissimo Real in due riprese: dal 2000 al 2006 e del 2009 a oggi. Pochi problemi con Del Bosque, due
Champions e un'Intercontinentale, Liga nel 2001 e nel 2003, ma dopo questo successo Pérez decide di scaricarlo per non aver portato a casa un'altra coppa dalle grandi orecchie. Scelta che risulta ancora più incomprensibile se si pensa che il tecnico di Salamanca porterà la Spagna sul tetto del Mondo e di Europa. Si passa a Carlos Queiroz, uomo fidato di Sir Alex Ferguson, 24 mesi di contratto, la sua avventura a Madrid però durerà molto meno. "Zidanes y Pavones" o "Galacticos" se preferite - un termine che porta una sfiga tremenda - squadra ricca di talento ma priva di equilibri, la
cessione di Makélélé è suicidio calcistico. Supercoppa in estate, qualche illusione che svanisce a Natale, cinque sconfitte consecutive come record del quale non vantarsi al bar con gli amici. "Allenare il Real è come scalare l'Everest", disse, che tonfo da lassù e il buon Carlos non sarà l'unico a precipitare in quegli anni, breve pure l'esperienza del suo successore Antonio Camacho: quattro vittorie e due sconfitte, contro Bayer Leverkusen ed Espanyol, prima di lasciare la panchina al suo assistente (e compagno di squadra per 13 anni) Mariano García Remón. Lunghissima militanza tra i pali del Real, dal 1970 al 1986, García Remón in panchina resistette giusto tre mesetti, risultati in caduta libera e squadra salutata al quinto posto. Il fallimento delle ultime gestioni tecniche non impedisce a Pérez di essere rieletto con percentuali bulgare, e intanto la squadra continua a comprare campioni del calibro di Beckham, il presidentissimo per iniziare il 2005 al meglio si affida ad
Arrigo Sacchi. Il romagnolo però non va a sedersi in panchina ma prende posto in scrivania per colmare la zona d'ombra tra proprietà e campo diventando direttore tecnico. Becks dichiarò di non comprendere tale nomina, "non conosce la nostra situazione", crediamo che pure l'Arrigo nazionale oggi gli darebbe ragione. García Remón se ne va e, con la benedizione di Sacchi, il 30 dicembre 2004 arriva Vanderlei Luxemburgo, curriculum da santone in Brasile, dove ha vinto tutto. Si presenta proponendo il "Quadrato magico", schema misterioso in grado di mutare da 4-2-2-2 a 3-43. Discreto il secondo posto raccolto in campionato, in Champions arriva l'eliminazione per mano della Juventus, male anche la Copa del Rey. "Il Quadrato magico nasce con gli angoli magici" spiegava Luxemburgo ai cronisti attoniti, a distanza di dieci anni nessuno ci ha capito nulla, va in bomba pure il buon Luxemburgo, che presenta le dimissioni dopo tre gol rimediati dal Barcellona, la società lo conferma salvo poi esonerarlo dopo il successo sul Getafe. Ah, il caro Pérez, fa e disfa a suon piacimento, Sacchi dopo appena un anno capisce che non è aria, ormai il Real Madrid è una giostra, l'unico a divertirsi sembra essere proprio il presidente, spende e spande che è un piacere. Da Zidane a Ronaldo, passando per Robinho, Cassano e il già citato Beckham, non andiamo oltre per brevità ma i blancos avrebbero un arsenale spaventoso. In teoria, perché in pratica la rosa è costruita senza alcun criterio che non sia piazzare il colpo a sensazione. Indimenticabili i 25 milioni di euro spesi nel 2004 per garantirsi le prestazioni di Owen, flop fragoroso. Arriviamo dunque a un altro dicembre, altro giro altra corsa, stavolta tocca a Juan Ramón López Caro. L'andaluso, prima di allora mister del Real Madrid Castilla, portò a termine la stagione, ma contro quel Barça c'era poco da fare. Di troppo il sei a uno rimediato dal Saragozza in Copa del Rey. A febbraio 2006 Pérez lascia a Calderon lo scranno della Casa Blanca ma è solo un arrivederci perché nel 2009 Florentino torna e con lui torna la voglia di "Galacticos". 67 milioni per Kakà, 94 per Ronaldo, altri 35 per Benzema, contando queste e altre operazioni si arriva alla cifra record di 252, mai spesa per una campagna acquisti. Risultato? La squa-
ZIZOU, PENSACI TU La Casa Blanca si affida al Galactico foto Image Sport
DECIDE IL BOSS
Zinédine Zidane
Chi lo conosce parla di un uomo timido e l'emozione è evidente al momento della sua presentazione come nuovo allenatore del Real Madrid: Zinedine Zidane cammina in punta di piedi, è così che ballava sul campo e così che vuole farsi sentire. Persona schiva sì, ma risoluta ai limiti del cocciuto: “Le mie prime parole ai giocatori sono state semplici, ma importanti. Vogliamo fare un calcio offensivo che possa divertire il pubblico". Attaccare e divertire, i dettami del Pérez-pensiero. La mente torna proprio all'estate 2001, 150 miliardi di vecchie lire che ne fecero l'acquisto più caro fino a quel momento, il francese è già star consacrata, due scudetti con la Juve, un intercontinentale, un mondiale, un Europeo e il Pallone d'oro, ma sarà proprio a Madrid che assumerà dimensione planetaria. Anzi, galattica. Le vittorie proseguono, l'amore con il Bernabeu va oltre la carriera agonistica e Pérez gli affida ruolo di consigliere nel 2009, per poi nominarlo direttore sportivo nel 2011. Il piano è chiaro, Florentino punta forte su Zizou, che nel 2013 diventa anche vice di Ancelotti. Una stagione alla guida della seconda squadra e poi la grande panchina, la chiamata del destino. dra, affidata all'attuale tecnico del City Pellegrini, arriva seconda in campionato e viene estromesso dalla Coppa del Re per mano dell'Alcorcón, squadra di terza divisione. "Alcorconazo" ai Blancos, triplete per il Barcellona. Mourinho e Ancelotti, top assoluti, sono riusciti a restare in sella rispettivamente per tre e due anni, ma il breve regno Benitez testimonia che certi vizi sono duri a morire. Ora tocca a Zidane, un tempo re dei Galacticos e adesso inquilino della panchina più scomoda al mondo. Calcio 2OOO
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PREMIER LEAGUE INGHILTERRA
di Luca MANES
foto Image Sport
Il Manchester City punta a conquistare l'elite...
FEDE CITY
“P
iove e fa freddo, è una tipica serata di Manchester!”. Come dare torto allo zelante speaker del Manchester City, impegnato a presentare con tutta l'enfasi e l'entusiasmo del caso il match dei Light Blues contro l'Everton, al quale abbiamo assistito dal vivo a metà gennaio. I Toffeemen si sono rivelati per l'ennesima volta la bestia nera della squadra allenata da Manuel Pellegrini, riuscendo a strappare un meritato pareggio. Un match difficile, che fotografa quasi alla perfezione alcune pecche di una squadra costruita per vincere tutto. 86
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Nonostante il clean sheet, è evidente che senza la presenza granitica di Vincent Kompany la difesa traballa, mentre un altro belga, Kevin De Bruyne è ancora troppo incostante per valere la cifra record (55 milioni di sterline) pagata per i suoi servigi, inoltre Yaya Touré sembra aver imboccato una lenta ma inesorabile parabola discendente, come ammettono a mezza bocca i supporter del City seduti vicino a me nella Colin Bell Stand. È vero che Raheem Sterling è devastante quando parte in velocità, ma è anche innegabile che ogni tanto si perde sul più bello. E se il Kun Agüero non tira fuori
Lo stadio del city
foto Luca Manes
Il Manchester City è una grande realtà ma con una storia da raccontare
Lo stadio del city
foto Luca Manes
dal cilindro uno dei suoi capolavori può capitare di rimanere a bocca asciutta in attacco. Già, Sergio, l'idolo assoluto dei tifosi dei Citizens, non fosse altro per il famoso goal che riportò al City un titolo di campione d'Inghilterra che mancava da 44 anni. Nei Sessanta la casa del City era ancora il mitico Maine Road, dove l'atmosfera doveva essere veramente impareggiabile, almeno da
quello che si può desumere dai filmati e dai resoconti dell'epoca. Ora tante cose sono mutate. A cominciare dallo stadio, stato dell'arte dell'impiantistica sportiva, il quale con la recente espansione della South End ha raggiunto la capienza di 55mila spettatori. Non proprio tutti scatenati. A cantare, infatti, sono soprattutto i tifosi posizionati accanto al contingente in trasferta, raramente il resto dello stadio si unisce. Le vittorie “imborghesiscono”, come fece notare il capitano dei grandi rivali dello United Roy Keane con la famosa battuta sui supporter che andavano all'Old Trafford per mangiare i sandwich ai gamberetti più che per sostenere la squadra. Anche l'approccio al match, quello che in Inghilterra chiamano build up, è ben differente. Come tutti gli stadi della Premier e della Championship all'Etihad, i posti sono tutti a sedere e numerati e fino a letteralmente 10 minuti prima del fischio d'inizio il catino appare quasi vuoto (per di più nel caso specifico i ritardatari si sprecavano, causa incidente sulla linea del Metrolink che ha fatto impazzire il traffico di Manchester). Poi all'esterno dell'arena non mancano le “distrazioni”, tra freestylers, ballerine e gruppi musicali (noi abbiamo incrociato i Puppet Rebellion, non proprio gli eredi degli Oasis...). Il nuovo corso piace parecchio alla tifoseria locale, che ha omaggiato lo sceicco al Mansour con uno striscione di ringraziamento che fa bella mostra di sé a ogni partita casalinga. D'altronde solo per il parco giocatori la proprietà degli Emirati ha sborsato oltre un miliardo di sterline. Non va dimenticato che lo sceicco ha staccato un assegno di 200 milioni per donare al club una cittadella dello sport (con tanto di sedici campi di allenamento cui abbiamo dato una rapida occhiata anche noi) tra i più moderni e sofisticati del pianeta. Insomma, da queste parti si pensa in grande e a lungo termine. Per questo salto definitivo di qualità si mormora di un'offerta di 25 milioni di sterline l'anno per Pep Guardiola. Uno che con i soldi dello sceicco potrà divertirsi a mettere in piedi uno squadrone da leggenda. L’attesa è totale, tutti bramano dalla voglia di gustarsi il nuovo City, un club che punta a brillare più di Barcellona e Real Madrid. A Manchester ci sono tante realtà sportive ma il City si sente il gioiello più splendente…
BOX I RIBELLI United e City ma non solo. A Manchester brillano anche quelli dell’FC United
foto Luca Manes
SQUADRA RICCA ED AMBIZIOSA
l'impianto dell'fc united
Nella città simbolo della rivoluzione industriale non ci sono solo le superpotenze United e City, ma anche i ribelli dell'FC United. Club nato nel 2005 per protesta contro i giochetti finanziari della famiglia Glazer all'Old Trafford, ma anche come risposta dal basso a un modello di calcio troppo “orientato al denaro”, dell'avventura dell'FC United si è detto e scritto un po' ovunque. La novità degli ultimi tempi è che i “dissidenti” hanno finalmente una casa tutta loro. Un impianto che non a caso sorge a Newton Heath, quartiere a nord-est di Manchester, dove nel 1878 fu fondato lo United e dove i Red Devils giocarono per i primi 15 anni della loro esistenza. “È costato 6,5 milioni di sterline, per metà pagati in varie forme dai tifosi”, ci spiega John England, dirigente dell'FC United, mentre ci mostra l'impianto. Le gradinate e le tribune possono contenere fino a 4.500 spettatori. La media si aggira sulle 3.500 unità a partita, non male per una compagine che sta faticando parecchio a tenersi a galla nella sesta serie del football inglese. “I calciatori sono tutti part-time. Alcuni rinunciano a ingaggi più vantaggiosi per venire a giocare qui, per l'atmosfera unica che si vive in questo stadio e per quel che rappresenta questo club” racconta con orgoglio John. Per il momento la priorità dell'FC United è essere sostenibile dal punto di vista economico. L'approdo nella Football League ora non è un obiettivo irrinunciabile. In futuro si vedrà. Calcio 2OOO
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BUNDESLIGA GERMANIA
di Flavio SIRNA
foto Image Sport
Ancelotti si rimette in gioco nella Bundes...
ECCO ANCELOTTI RIVOLUZIONE BAYERN: DALL'ISPANICO PEP AL CARLO TRICOLORE
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rogrammazione, anticipazione dei tempi, occasioni colte al volo. Sono questi solamente alcuni degli ingredienti che caratterizzano il Bayern Monaco e la sua dirigenza. Dopo tre anni di gestione Guardiola, vista la voglia di Pep di confrontarsi con il calcio della Premier, a Monaco si sono visti costretti ad abbandonare il progetto 'iberico' e a sposare quello 'tricolore' firmato Carlo Ancelotti. L'arrivo del tecnico italiano è stata proprio una di quelle occasioni da cogliere al volo e da non farsi sfuggire: dopo l'addio al 88
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Real e con qualche mese di riposo alle spalle, Ancelotti è il profilo migliore oltre che perfetto per cominciare una nuova fase della vita del club, che ha come obiettivo quello di essere ancora al top in Europa. E a chi si chiede se sia conveniente cambiare a stagione in corso la dirigenza tedesca risponde facendo un solo nome, quello di Heynckes. Il guru tedesco, nonostante il preventivato arrivo di Guardiola l'estate successiva, riuscì nel non lontano 2012-2013 a portare a casa il Triplete. Di sicuro sarebbe il massimo per l'ex Barcellona andare via con la terza Bundesliga in tasca, ma soprat-
tutto con la conquista della Champions League. Sarebbe il miglior modo per salutare tutto il popolo dell'Allianz Arena ed avere così la sensazione di aver chiuso definitivamente il cerchio anche in Germania. Non è forse questo l'augurio di Ancelotti, al quale piacerebbe sicuramente essere il protagonista di una nuova vittoria nella massima competizione continentale per club. Ad ogni modo per l'ex Milan, dopo le vittorie in Spagna, Francia e Inghilterra, si tratta dell'ennesima sfida della carriera. Vedremo come i tedeschi, che ci hanno messo due stagioni per apprezzare il tiki-taka
di Guardiola, reagiranno alla mentalità del tecnico italiano, che si basa su un possesso palla meno maniacale e su una maggiore capacità di verticalizzare e mettere in moto gli attaccanti. Già dalla fine di dicembre Carlo è al lavoro insieme a Sammer e Rummenigge per cercare di capire quali dovranno essere le mosse sul mercato, sia in entrata che in uscita. C'è sicuramente il suo zampino sui rinnovi di contratto sino al 2021 di Javi Martinez, Boateng e Muller e su quello sino al 2017 di Xabi Alonso (al posto dell'ex Liverpool non gli dispiacerebbe il croato Modric). Tra gli altri big non c'è dubbio riguardo il futuro di Neuer, Alaba, Lahm, Douglas Costa, Thiago Alcantara e Vidal. Ci sono invece da fare dei ragionamenti attorno a Lewandowski, Ribery e Robben. Il polacco, nel momento in cui aggiungerà alla sua già ottima stagione anche un europeo da protagonista, sarà sicuramente uno dei pezzi pregiati del mercato: da tempo il Real Madrid è sulle sue tracce e vor-
rebbe fargli prendere il posto di Benzema. Ma quando sembrava tutto pronto per una super-offerta, ci ha pensato la FIFA, con il blocco di mercato imposto alle merengues, a bloccare ogni velleità spagnola. Se però le cose dovessero cambiare o dovesse arrivare un'altra offerta da non poter rifiutare (dal Chelsea o dal Manchester United) l'obiettivo numero 1 per rimpiazzare l'ex Dortmund sarebbe l'argentino del Napoli Gonzalo Higuain. Per quanto riguarda invece l'esterno francese tutto ruota attorno alle sue condizioni fisiche: se da qui a fine stagione darà l'impressione di essere tornato quello di un tempo ben venga, sarà sicuramente rispettato l'accordo in scadenza nel giugno del 2017 (anche se appare alquanto complicato riprendersi stabilmente una maglia da titolare vista l’esplosione di Douglas Costa). In caso contrario non è difficile escludere un suo addio, da quale sarà sicuramente difficile monetizzare. Stesso discorso per Arjen Robben: anch'egli in scadenza nel 2017, l'olandese è da sempre alle prese con muscoli altamente fragili. Qualche settimana fa ha espresso il desiderio di poter giocare i Mondiali del 2018 con la maglia della sua nazionale: chissà che questa volontà non lo faccia desistere dal pretendere una maglia da titolare, accontentandosi così di qualche spicciolo di partita e di un ruolo non più da protagonista assoluto. In caso contrario sarà addio, con l'Eredivisie come destinazione più plausibile per preservarsi in ottica Russia e relative partite di qualificazione. Al posto dell'olandese volante dovrebbe arrivare il fiorentino Bernardeschi, indicato da Ancelotti come uno dei preferiti per la fascia destra (in difesa invece pare che Carlo abbia chiesto uno tra Carvajal ed il torinista Bruno Peres). È al capolinea l'avventura dell'ex Roma Mehdi Benatia: il marocchino, insieme a Ulreich, Starke, Bernat, Rafinha, Kirchhoff, Gaudino, Rode, Green, Kurt e Weihrauch è stato inserito nella lista dei 'non desiderati'. Al suo posto il sogno si chiama Varane. Verranno inoltre attentamente valutate le prestazioni di Coman: nel giugno del 2017 si dovrà infatti decidere se esercitare o meno il diritto di riscatto, fissato alla considerevole cifra di 21 milioni di euro. Per sua fortuna Ancelotti avrà questi mesi a disposizione per lavorare nell’ombra, imparare un pizzico di tedesco e comincia-
ALTRA RIVOLUZIONE DORTMUND, ANCORA CESSIONI ECCELLENTI LA PROSSIMA ESTATE?
foto Image Sport
IL GRANDE SAGGIO
luca caldirola
Il girone di andata della Bundesliga edizione 2015-2016 ha sicuramente fatto registrare il ritorno in auge del Borussia Dortmund. Sotto la gestione Tuchel i gialloneri sono tornati protagonisti ed appaiono gli unici in grado di poter posticipare l’ennesima festa targata Bayern Monaco. C’è però il rischio che la prossima estate la rosa a disposizione dell’ex Mainz possa subire delle profonde trasformazioni a causa di cessioni eccellenti. Il pericolo numero 1 è sicuramente quello di perdere il bomber francese Aubameyang: i suoi goal e le sue prestazioni stanno attirando l’attenzione di tutta Europa: il diretto interessato ha espresso una preferenza per il Barcellona; occhio però, quando si tratta di francesi, all’Arsenal di Wenger. Se, come dicono, i Gunners metteranno sul piatto la prossima estate una cifra vicina ai 60 milioni di euro, sarà difficile dire di no. Molto ricercato anche il centrocampista Ilkay Gundogan: il turco, in scadenza nel giugno del 2017, è il primo obiettivo della Juventus, disposta ad offrire più di 30 milioni di euro (i bianconeri, in caso di esito negativo, non escludono di fare un tentativo con l’armeno Mkhitaryan). Ci sarà inoltre da tutelare il cartellino del classe 1995 Julian Weigl: 16 presenze nel girone di andata, ha una valutazione che è salita sino a 10 milioni di euro e che sta facendo ingolosire PSG, Barcellona e soprattutto Manchester City. re così la sua avventura il prossimo luglio già preparato su quello che lo aspetta e su quali saranno le cose sulle quali insistere maggiormente. Viel gluck Carlo! Calcio 2OOO
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LIGUE 1 FRANCIA
di Renato MAISANI l’ultima volta. Il tecnico del club bianconero, Stéphane Moulin, ha avuto il merito di assemblare la squadra senza “pretendere” un mercato faraonico e puntando su un mix di giocatori giovani ed esperti che sta andando ben oltre ogni previsione. L’esperto portiere Butelle, i giovani e brillanti terzini Manceau e Andreu, l’ex meteora del Chievo Mangani, l’esterno originario del Laos Billy Ketheophomphon, l’ex promessa dell’Arsenal Gilles Sunu: un mix di calciatori non noti ai più fino a qualche mese fa e che hanno invece contribuito a mettere insieme un team solido e compatto. Nessuna stella assoluta, nessun talento in rampa di lancio: soltanto un gruppo coeso e motivato. Secondo l’autorevole fonte Transfermarkt, i calciatori col valore più alto presenti in organico sono Thomas, Sunu, Yattara e capitan Ndoye, il valore dei quali è stimato attorno a 1.5 milioni di euro.
ATTENZIONE AL CAEN
foto Agenzia Liverani
Tante le realtà emergenti in Francia
LE ALTRE DELLA LIGUE 1
campionato.
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a Ligue 1 è diventata un campionato monotono? Beh, stando a guardare la classifica, che vede il PSG già virtualmente Campione di Francia con mezza stagione ancora a giocare si direbbe di sì… Ma, probabilmente, con un’occhiata un po’ più approfondita ci si accorge che non è proprio così. È chiaro che se un campionato viene privato delle emozioni che solo la lotta al titolo sa regalare, ne perde in spettacolarità e interesse, tuttavia la Ligue 1 quest’anno ha dalla sua parte una prerogativa molto interessante: 90
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PSG a parte, ogni gara è imprevedibile. E la classifica altro non è che lo specchio dell’incertezza dei match. Con buona pace di scommettitori e bookmakers, l’imprevedibilità dei risultati sta contraddistinguendo la Ligue 1 sin dal mese di agosto e ciò non fa altro che determinare una classifica del tutto inattesa. E così, Angers, Nizza e Caen – per lo meno nel momento in cui scriviamo – occupano posizioni di classifica migliori rispetto a quelle occupate da Lione, Saint Etienne, Marsiglia, Bordeaux, Lille e Montpellier, compagini sicuramente più quotate alla vigilia del
Saïd Chabane presidente Angers
foto Agenzia Liverani
Il PSG fa corsa a sé ma ci sono altre realtà che meritano attenzione…
LA FAVOLA ANGERS Fino ad un anno fa, di Angers i più probabilmente conoscevano soltanto il celebre castello medievale, considerato meta inevitabile per chiunque scelga di recarsi in visita nella parte nord-occidentale della Francia. Da qualche mese a questa parte, però, in molti – per lo meno gli amanti del calcio – conoscono molto bene anche l’Angers Sporting Club de l’Ouest, la squadra di calcio che sta sorprendendo letteralmente l’intero Paese. Fondata nell’immediato primo dopoguerra, nel 1919, la società calcistica dell’Angers vanta una ventennale esperienza in Prima Divisione negli anni ’60 e ’70, durante i quali vinse una Coppa di Francia e prese parte anche a due edizioni della Coppa UEFA. In seguito l’Angers ha sofferto una clamorosa crisi, precipitando in terza e seconda divisione e riuscendo a tornare in Ligue 1 soltanto l’estate scorsa, 22 anni dopo
NIZZA E CAEN: EXPLOIT IMPREVEDIBILI L’exploit dell’Angers non ha fatto altro che ‘oscurare’, almeno in parte, lo splendido avvio di stagione di altre due imprevedibili outsider, vale a dire Caen e Nizza. Ma se il Nizza sorprende fino a un certo punto, essendo giunto alla sua quattordicesima partecipazione consecutiva al massimo campionato, fa sicuramente più clamore il cammino del Caen: tornato recentemente in Ligue 1 e capace di tenere testa alle più indiziate per un piazzamento europeo, il club viene considerato da buona parte degli addetti ai lavori realmente candidato ad un posto in Europa League. Anche il Caen ha dalla sua un allenatore come Patrice Garande che fa della cultura del lavoro la sua priorità. E così, né stelle né lustrini, bensì tanti giocatori desiderosi di mettersi in evidenza e di farsi apprezzare non soltanto per le loro qualità tecniche, ma anche – soprattutto – per dedizione e professionalità. I “miracoli sportivi”, del resto, si costruiscono così. E poco importa se a fine anno, come qualcuno paventa, i tanto celebrati valori “reali” verranno fuori e se le ‘piccole’ che stanno facendo sognare i propri tifosi torneranno ad occupare posizioni più consone al loro blasone: aver permesso ai propri fans di vivere giornate, settimane e mesi indimenticabili è già una grande vittoria.
I “GIOCATORI SENZA NOME” Quelli con la maglia anonima…
“Giocatori senza nome”. Vengono chiamati così, a volte, alcuni giocatori della Ligue 1 che prendono parte al campionato senza poter sfoggiare il proprio cognome sulla maglia. Perché? Il motivo sta tutto in una norma, tanto semplice quanto inedita, prevista dalla Federcalcio francese, che recita pressappoco questo: “I giocatori privi di un contratto da professionista non possono avere il proprio nome stampato sulla maglia”. Una regola la cui ratio appare difficile da decifrare, ma che obbliga così di fatto tutti i giocatori minorenni – e quindi non tesserabili come “pro” – a scendere in campo col solo numero sulle proprie spalle. E non si tratta certo di casi sporadici: Neal Mauphay, adesso sotto contratto ‘pro’ col Saint Etienne e col suo cognome in bella vista sopra il numero 14, ha incantato il pubblico del Nizza senza però fregiarsi del privilegio di “mostrare al mondo” il proprio nome. Destino che lo accomuna ad altri giovani talenti come Olivier Boscagli del Nizza, Ousmane Dembelé del Rennes o Julien Romain del Bastia e che, se la norma fosse vigente anche in Italia, avrebbe coinvolto – ad esempio – anche il giovane portiere del Milan Donnarumma. In campo senza numero fino al momento della firma sul primo contratto da professionista, dopo di che ‘presentazione in pompa magna’ e, da quel momento, nome e numero come tutti gli altri. Insomma, in Francia puntano a regalare ai loro giovani una conquista per volta: prima il campo, poi la maglia col numero, poi il contratto ed infine il nome. Paese che vai, usanza che trovi… Calcio 2OOO
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i NUMERI Della
18a GIORNATA
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I NUMERI Della
19a GIORNATA
Chievo-Roma 3-3 (1-2)
Empoli-Inter 0-1 (0-1)
Genoa-Sampdoria 2-3 (0-2)
Atalanta-Genoa 0-2 (0-0)
Bologna-Chievo 0-1 (0-0)
Carpi-Udinese 2-1 (1-0)
Juventus-Verona 3-0 (2-0)
Lazio-Carpi 0-0 (0-0)
Milan-Bologna 0-1 (0-0)
Fiorentina-Lazio 1-3 (0-1)
Frosinone-Napoli 1-5 (0-2)
Inter-Sassuolo 0-1 (0-0)
Napoli-Torino 2-1 (2-1)
Palermo-Fiorentina 1-3 (0-2)
Sassuolo-Frosinone 2-2 (1-2)
Roma-Milan 1-1 (1-0)
Sampdoria-Juventus 1-2 (0-1)
Torino-Empoli 0-1 (0-0)
Udinese-Atalanta 2-1 (2-0)
CLASSIFICA
MARCATORI
Verona-Palermo 0-1 (0-1)
Sassuolo-Torino 1-1 (1-1)
CLASSIFICA
Data: 6-01-2016 – Ore: 15:00 CHIEVO 4-3-1-2: Bizzarri 6; Cacciatore 5,5, Gamberini 5 (36’ pt Dainelli 6), Cesar 4,5, Frey 6; Castro 5,5, Radovanovic 6, Hetemaj 6; Birsa 6 (36’ st Pepe 6,5); Paloschi 6, Meggiorini ng (18’ pt Inglese 6). Allenatore: Maran 6,5. ROMA 4-3-3: Szczesny 5; Maicon 5, Manolas 5, Rüdiger 6, Digne 6; Florenzi 6,5 (45’ st Tumminello ng), Vainqueur 6, Iago Falqué 6; Salah 5 (24’ st Di Livio 6), Sadiq 6 (34’ st Gyömber ng), Gervinho 6. Allenatore: Garcia 5,5. Arbitro: Irrati di Pistoia 6,5. Reti: 7’ pt Sadiq (R), 37’ Florenzi (R), 44’ Paloschi (C); 13’ st Dainelli (C), 26’ Iago Falqué (R), 41’ Pepe (C). Recupero: 5 minuti (2’ pt + 3’ st). Ammoniti: Cacciatore, Castro, Hetemaj (C); Digne, Di Livio (R). Espulsi: nessuno. Spettatori: non comunicati.
Data: 6-01-2016 – Ore: 15:00 JUVENTUS 3-5-2: Buffon 6,5; Cáceres 6 (39’ st Rugani ng), Bonucci 7, Chiellini 6,5; Lichtsteiner 6,5, Khedira 6 (25’ st Sturaro 6), Marchisio 6, Pogba 7, Alex Sandro 7; Morata 6 (34’ st Zaza 7), Dybala 7,5. Allenatore: Allegri 7. VERONA 4-4-2: Gollini 6; Bianchetti 5, Moras 6, Helander 4,5, Souprayen 6; Wszolek 5 (19’ st Emanuelson 6), Ionita 5, Greco 5 (16’ st Gomez 5), Hallfredsson 5 (37’ st Fares ng); Pazzini 6, Siligardi 5. Allenatore: Del Neri 5. Arbitro: Calvarese di Teramo 6,5. Reti: 8’ pt Dybala, 45’ Bonucci; 37’ st Zaza. Recupero: 5 minuti (1’ pt + 4’ st). Ammoniti: Sturaro, Marchisio, Alex Sandro (J); Greco, Hallfredsson (V). Espulsi: nessuno. Spettatori: 38.748.
Data: 6-01-2016 – Ore: 20:45 NAPOLI 4-3-3: Reina 6,5; Hysaj 6, Albiol 6, Koulibaly 6, Ghoulam 5; David López 6 (29’ st Allan 6), Valdifiori 6, Hamsik 7 (43’ st Chalobah ng); Callejón 7, Higuaín 6,5, Insigne 8 (23’ st Mertens 6). Allenatore: Sarri 6,5. TORINO 3-5-2: Padelli 6; Bovo 5, Glik 6, Moretti 5,5; Bruno Peres 5,5 (29’ st Zappacosta 6), Acquah 5 (36’ st Benassi ng), Vives 5,5, Baselli 5,5, Molinaro 6; Quagliarella 6, Belotti 5 (21’ st Maxi López 6). Allenatore: Ventura 5,5. Arbitro: Di Bello di Brindisi 6. Reti: 16’ pt Insigne (N), 27’ Quagliarella (T) rig., 41’ Hamsik (N). Recupero: 5 minuti (0’ pt + 5’ st). Ammoniti: Higuaín (N); Bovo, Glik, Acquah, Baselli (T). Espulsi: nessuno. Spettatori: 33.326..
Data: 6-01-2016 – Ore: 12:30 UDINESE 3-5-2: Karnezis 6,5; Piris 6, Danilo 6,5, Felipe 6,5; Widmer 6,5, Badu 6, Lodi 7, Bruno Fernandes 6,5 (27’ st Iturra 5,5), Edenilson 5,5 (34’ st Adnan ng); Théréau 7, Perica 7 (38’ st Zapata ng). Allenatore: Colantuono 7. ATALANTA 4-3-3: Sportiello 6; Conti 5 (34’ st Estigarribia ng), Tolói 5,5, Cherubin 5,5, Dramè 5 (31’ pt Brivio 6); Grassi 5 (18’ st Monachello 5,5), De Roon 5, Cigarini 5,5; D’Alessandro 6, Denis 5, Gomez 6,5. Allenatore: Reja 5,5. Arbitro: Cervellera di Taranto 5. Reti: 23’ pt Théréau (U), 47’ Perica (U); 30’ st D’Alessandro (A). Recupero: 7 minuti (2’ pt + 5’ st). Ammoniti: Felipe, Widmer, Zapata (U); De Roon, Cigarini, Gomez (A). Espulsi: nessuno. Spettatori: 13.462.
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Data: 6-01-2016 – Ore: 18:00 EMPOLI 4-3-1-2: Skorupski 6; Laurini 5, Costa 6, Barba 5, Mario Rui 6,5; Zielinski 6,5, Paredes 6 (42’ st Piu ng), Büchel 6 (19’ st Croce 6); Saponara 6; Pucciarelli 6,5, Maccarone 5,5 (19’ st Livaja 5,5). Allenatore: Giampaolo 6,5. INTER 4-3-3: Handanovic 7; D’Ambrosio 6, Miranda 7, Murillo 5, Nagatomo 5; Brozovic 6, Medel 6,5, Kondogbia 5 (35’ st Guarín ng); Perisic 6,5, Icardi 7 (41’ st Jovetic ng), Ljajic 6 (45’ st Juan Jesus ng). Allenatore: Mancini 6,5. Arbitro: Celi di Bari 4,5. RetE: 46’ pt Icardi. Recupero: 7 minuti (2’ pt + 5’ st). Ammoniti: Paredes, Croce (E); Murillo, Brozovic (I). Espulsi: nessuno. Spettatori: 13.735.
Data: 6-01-2016 – Ore: 15:00 LAZIO 4-1-4-1: Berisha 6; Konko 7, Mauricio 6, Hoedt 6, Radu 6; Onazi 6; Candreva 5,5, Cataldi 5 (16’ st Klose 5), Parolo 5, Felipe Anderson 4 (1’ st Keita 6); Matri 5 (36’ st Djordjevic ng). Allenatore: Pioli 5. CARPI 5-3-2: Belec 6; Pasciuti 6, Zaccardo 6,5, Romagnoli 6,5, Gagliolo 6,5, Letizia 6,5; Cofie 6, Marrone 6 (25’ st Crimi 6), Lollo 6; Mbakogu 6,5 (34’ st Martinho 6), Di Gaudio 6,5 (10’ st Lasagna 6). Allenatore: Castori 6,5. Arbitro: Russo di Nola 6. Recupero: 5 minuti (0’ pt + 5’ st). Ammoniti: Onazi, Cataldi (L); Pasciuti (C). Espulsi: nessuno. Spettatori: 20.090.
Data: 6-01-2016 – Ore: 15:00 PALERMO 4-3-1-2: Sorrentino 6; Struna 5, Goldaniga 4,5, Andelkovic 5, Lazaar 6; Hiljemark 5 (16’ st Gilardino 6,5), Jajalo 5, Chochev 5 (1’ st Morganella 6); Brugman 5; Vazquez 5,5, Trajkovski 5 (31’ st Quaison ng). Allenatore: Ballardini 5. FIORENTINA 3-4-2-1: Tatarusanu 6,5; Roncaglia 6,5, Rodríguez 6, Astori 5,5; Bernardeschi 6 (26’ st Tomovic 6), Badelj 6, Vecino 6,5, Alonso 6,5; Ilicic 8 (15’ st Blaszczykowski 6), Borja Valero 7; Kalinic 6 (46’ st Pasqual ng). Allenatore: Paulo Sousa 7. Arbitro: Damato di Barletta 6,5. Reti: 13’ e 43’ pt Ilicic (F); 32’ st Gilardino (P), 48’ Blaszczykowski (F). Recupero: 4 minuti (0’ pt + 4’ st). Ammoniti: Struna, Morganella, Brugman (P); Bernardeschi, Badelj, Borja Valero (F). Espulsi: nessuno. Spettatori: 13.928.
Inter Fiorentina Napoli Juventus Roma Sassuolo Milan Empoli Atalanta Lazio Udinese Chievo Sampdoria Torino Bologna Palermo Genoa Frosinone Carpi Verona
39 38 38 36 33 28 28 27 24 24 24 23 23 22 22 18 16 15 11 8
18 18 18 18 18 17 18 18 18 18 18 18 18 17 18 18 18 18 18 18
12 12 11 11 9 7 8 8 7 7 7 6 6 6 7 5 4 4 2 0
3 2 5 3 6 7 4 3 3 3 3 5 5 4 1 3 4 3 5 8
3 4 2 4 3 3 6 7 8 8 8 7 7 7 10 10 10 11 11 10
24 36 33 31 35 22 24 23 20 20 17 24 27 22 20 18 17 19 15 12
11 16 14 14 21 17 22 23 21 26 25 21 28 22 24 29 26 36 33 30
Data: 5-01-2016 – Ore: 20:45 GENOA 4-3-3: Perin 6; Izzo 6, De Maio 5, Burdisso 4, Ansaldi 4; Rincón 6, Dzemaili 4,5 (1’ st Rigoni 6), Laxalt 6; Lazovic 4 (36’ st Gakpé ng), Pavoletti 7, Ntcham 4,5 (1’ st Suso 6). Allenatore: Gasperini 5. SAMPDORIA 4-3-3: Viviano 6; De Silvestri 6 (36’ pt Cassani 6), Moisander 5, Zukanovic 5, Regini 6; Soriano 8, Fernando 6,5, Barreto 6; Carbonero 7, Cassano 8 (30’ st Muriel 6), Eder 7 (13’ st Correa 6). Allenatore: Montella 6,5. Arbitro: Valeri di Roma 6,5. Reti: 18’ pt Soriano (S), 39’ Eder (S); 4’ st Soriano (S), 24’ e 36’ Pavoletti (G). Recupero: 10 minuti (6’ pt + 4’ st). Ammoniti: Izzo, Burdisso, Ansaldi, Rincón, Rigoni, Pavoletti (G); Fernando (S). Espulsi: nessuno. Spettatori: 21.770.
Data: 6-01-2016 – Ore: 15:00 MILAN 4-4-2: Donnarumma 6; Abate 5, Alex 5,5, Mexès 5,5, De Sciglio 5; Honda 4,5 (20’ st Cerci 4), Montolivo 5 (38’ st Kucka ng), Bertolacci 5, Bonaventura 6; Bacca 5, Niang 5 (34’ st Luiz Adriano ng). Allenatore: Mihajlovic 5. BOLOGNA 4-3-3: Mirante 7,5; Rossettini 6 (25’ st Ferrari 6), Gastaldello 7, Maietta 6 (45’ pt Oikonomou 6), Masina 6; Taider 7, Diawara 6 (33’ st Pulgar ng), Brighi 6; Mounier 7, Destro 6, Giaccherini 7. Allenatore: Donadoni 7. Arbitro: Massa di Imperia 6. RetE: 37’ st Giaccherini. Recupero: 6 minuti (2’ pt + 4’ st). Ammoniti: Abate, Mexès, De Sciglio, Kucka, Luiz Adriano (M); Masina, Diawara, Brighi, Mounier, Destro (B). Espulsi: nessuno. Spettatori: 31.381.
Data: 6-01-2016 – Ore: 15:00 SASSUOLO 4-3-3: Consigli 4,5; Vrsaljko 6,5, Cannavaro 5, Acerbi 6, Peluso 6; Laribi 6 (15’ st Duncan 6,5), Magnanelli 6, Pellegrini 5,5; Berardi 6, Defrel 6 (26’ st Falcinelli 7), Floro Flores 6 (34’ st Sansone 6). Allenatore: Di Francesco 6. FROSINONE 4-3-3: Leali 2337343; Ciofani M. 6, Diakité 6, Ajeti 6, Pavlovic 5; Chibsah 6 (32’ st Frara 5,5), Gucher 6, Sammarco 7; Tonev 6, Ciofani D. 6 (35’ st Longo ng), Dionisi 6,5 (24’ st Paganini 6). Allenatore: Stellone 6,5. Arbitro: Pairetto di Nichelino 6. Reti: 16’ pt Dionisi (F), 22’ Ajeti (F) aut., 45’ Ajeti (F); 30’ st Falcinelli (S). Recupero: 4 minuti (0’ pt + 4’ st). Ammoniti: Peluso, Pellegrini (S); Leali, Pavlovic (F). Espulsi: 48’ st Pellegrini (S) per doppia ammonizione. Spettatori: 15.160.
16 reti: Higuaín (Napoli) 11 reti: Eder (Sampdoria, 3 rig.) 10 reti: Kalinic (Fiorentina) 9 reti: Ilicic (Fiorentina, 6 rig.); Dybala (Juventus, 2 rig.) 8 reti: Icardi (Inter); Bacca (Milan, 1 rig.); Insigne (Napoli) 7 reti: Paloschi (Chievo, 1 rig.); Maccarone (Empoli); Pavoletti (Genoa); Pjanic (Roma, 1 rig.) 6 reti: Dionisi (Frosinone); Mandzukic (Juventus); Gervinho (Roma); Soriano (Sampdoria); Théréau (Udinese)
Data: 10-01-2016 – Ore: 15:00 ATALANTA 4-3-3: Sportiello 6; Bellini 5 (37’ st Monachello 6), Tolói 6, Paletta 5, Brivio 5; Grassi 6 (26’ st Migliaccio 6), Cigarini 5,5, Kurtic 5 (38’ st Estigarribia ng); D’Alessandro 5, Denis 5, Gomez 5. Allenatore: Reja 5. GENOA 3-4-2-1: Perin 6; Muñoz 6, Burdisso 6, Izzo 6; Ansaldi 6, Rigoni 7 (23’ st Dzemaili 7), Rincón 6,5, Laxalt 6,5; Suso 5 (1’ st Capel 7), Tachtsidis 6; Pavoletti 7. Allenatore: Gasperini 6,5. Arbitro: Guida di Torre Annunziata 6. Reti: 34’ st Dzemaili, 36’ Pavoletti. Recupero: 6 minuti (2’ pt + 4’ st). Ammoniti: Paletta, D’Alessandro (A); Dzemaili, Suso (G). Espulsi: nessuno. Spettatori: 13.946.
Data: 9-01-2016 – Ore: 18:00 FIORENTINA 3-4-2-1: Tatarusanu 5; Roncaglia 5, Rodríguez 5,5, Astori 6; Blaszczykowski 4,5 (9’ st Pasqual 6), Badelj 6 (14’ st Ilicic 6), Vecino 5,5, Alonso 6; Borja Valero 5, Fernández 5 (29’ st Rossi 6); Kalinic 5,5. Allenatore: Paulo Sousa 5. LAZIO 4-1-4-1: Berisha 5; Konko 6, Mauricio 6, Hoedt 6, Radu 6 (31’ st Braafheid 6); Biglia 7,5; Candreva 7, Milinkovic-Savic 7, Parolo 6,5, Keita 7,5 (42’ st Felipe Anderson 6,5); Djordjevic 6 (19’ st Matri 5). Allenatore: Pioli 7. Arbitro: Rizzoli di Bologna 6. Reti: 46’ pt Keita (L); 47’ st Milinkovic-Savic (L), 49’ Roncaglia (F), 51’ Felipe Anderson (L). Recupero: 7 minuti (1’ pt + 6’ st). Ammoniti: Rodríguez, Pasqual, Borja Valero (F); Konko, Mauricio, Hoedt, Parolo (L). Espulsi: nessuno. Spettatori: 25.361.
Data: 9-01-2016 – Ore: 20:45 ROMA 4-3-3: Szczesny 6; Florenzi 5, Manolas 6 (1’ st Castan 5), Rüdiger 6,5, Digne 5,5; Pjanic 6, De Rossi 5, Nainggolan 6; Iago Falqué 5,5 (11’ st Salah 5), Sadiq 6 (25’ st Totti 6), Gervinho 6. Allenatore: Garcia 5,5. MILAN 4-2-3-1: Donnarumma 7; Abate 6 (34’ st Antonelli ng), Zapata 5,5, Romagnoli 5, De Sciglio 5,5; Kucka 6,5, Bertolacci 6; Honda 6, Luiz Adriano 5 (12’ st Boateng 6,5), Bonaventura 7 (40’ st Niang ng); Bacca 6,5. Allenatore: Mihajlovic 6. Arbitro: Orsato di Schio 6. Reti: 4’ pt Rüdiger (R); 5’ st Kucka (M). Recupero: 3 minuti (0’ pt + 3’ st). Ammoniti: Manolas, Pjanic, Nainggolan (R); Kucka, Bertolacci, Luiz Adriano (M). Espulsi: nessuno. Spettatori: 34.777.
Data: 10-01-2016 – Ore: 15:00 VERONA 4-4-2: Gollini 6; Sala 5, Moras 6, Helander 5,5, Souprayen 6; Ionita 5,5 (40’ st Fares ng), Viviani 6, Hallfredsson 5 (19’ st Gomez 6), Wszolek 5 (1’ st Emanuelson 6); Toni 5, Pazzini 6. Allenatore: Del Neri 5,5. PALERMO 3-4-3: Sorrentino 7,5; Goldaniga 6,5, González 6,5, Andelkovic 6,5; Morganella 6, Hiljemark 6, Jajalo 6 (30’ st Chochev 6), Lazaar 6; Vazquez 6,5, Gilardino 5,5 (39’ st Djurdjevic ng), Trajkovski 6 (43’ st Cristante ng). Allenatore: Ballardini 6. Arbitro: Banti di Livorno 6. RetE: 27’ pt Vazquez. Recupero: 4 minuti (1’ pt + 3’ st). Ammoniti: Toni, Pazzini (V); Goldaniga, Morganella, Jajalo, Vazquez (P). Espulsi: nessuno. Spettatori: 15.325.
Data: 10-01-2016 – Ore: 15:00 BOLOGNA 3-5-2: Mirante 6; Rossettini 6 (46’ st Ferrari ng), Oikonomou 6, Gastaldello 6; Mbaye 5 (15’ st Falco 5), Taider 6 (37’ st Acquafresca ng), Pulgar 5, Brighi 6, Masina 5,5; Destro 5, Giaccherini 6. Allenatore: Donadoni 5,5. CHIEVO 4-3-1-2: Bizzarri 7; Frey 5, Dainelli 6, Cesar 6, Cacciatore 6,5; Rigoni 6, Radovanovic 6, Hetemaj ng (13’ pt Pepe 7); Birsa 6 (30’ st Mpoku 6); Paloschi 5,5, Inglese 5,5 (28’ st Gobbi 6,5). Allenatore: Maran 6,5. Arbitro: Gavillucci di Latina 6,5. RetE: 34’ st Pepe. Recupero: 6 minuti (2’ pt + 4’ st). Ammoniti: Oikonomou, Destro (B); Frey, Cacciatore (C). Espulsi: nessuno. Spettatori: 15.818. Note: Al 37’ pt Destro (B) si è fatto parare un rigore.
Data: 10-01-2016 – Ore: 15:00 FROSINONE 4-4-2: Zappino 4,5; Ciofani M. 5, Diakité 5, Blanchard 4, Crivello 4,5; Paganini 5 (12’ st Tonev 6), Sammarco 6, Gucher 5, Kragl 5 (17’ st Chibsah 5,5); Ciofani D. 5, Dionisi 5 (22’ st Soddimo 6). Allenatore: Stellone 5. NAPOLI 4-3-3: Reina 6; Hysaj 7, Albiol 7, Koulibaly 6,5, Strinic 6,5; Allan 7, Jorginho 7, Hamsik 8 (32’ st Chalobah ng); Callejón 6,5 (29’ st El Kaddouri ng), Higuaín 8 (20’ st Gabbiadini 7), Mertens 7. Allenatore: Sarri 7,5. Arbitro: Tagliavento di Terni 6. Reti: 20’ pt Albiol (N), 30’ Higuaín (N) rig.; 14’ st Hamsik (N), 15’ Higuaín (N), 26’ Gabbiadini (N), 36’ Sammarco (F). Recupero: 1 minuti (1’ pt + 0’ st). Ammoniti: Blanchard, Dionisi (F); Hysaj (N). Espulsi: nessuno. Spettatori: 7.954.
Data: 10-01-2016 – Ore: 20:45 SAMPDORIA 4-3-3: Viviano 6; Cassani 5, Moisander 5, Zukanovic 5, Regini 5,5; Soriano 6 (37’ pt Ivan 6), Fernando 6,5, Barreto 6 (28’ st Muriel 6); Carbonero 6,5, Cassano 7, Eder 5 (40’ st Rodriguez ng). Allenatore: Montella 6. JUVENTUS 3-5-2: Buffon 6; Rugani 6, Bonucci 6, Chiellini 7; Lichtsteiner 6 (21’ st Cuadrado 6), Khedira 7, Hernanes 6, Pogba 7, Evrà 6; Dybala 7 (44’ st Padoin ng), Morata 5 (32’ st Zaza ng). Allenatore: Allegri 6,5. Arbitro: Mazzoleni di Bergamo 6. Reti: 17’ pt Pogba (J); 1’ st Khedira (J), 19’ Cassano (S). Recupero: 6 minuti (2’ pt + 4’ st). Ammoniti: Cassani, Carbonero (S); Bonucci, Khedira, Hernanes, Pogba (J). Espulsi: 48’ st Moisander (S) per gioco scorretto. Spettatori: 25.024.
RECUPERO 16ª GIORNATA Data: 20-01-2016 – Ore: 20:45 SASSUOLO 4-3-3: Consigli 6; Vrsaljko 6, Cannavaro 6, Acerbi 6,5, Peluso 5,5; Biondini 6,5 (36’ st Laribi ng), Magnanelli 5,5, Duncan 6; Berardi 5 (30’ st Falcinelli ng), Defrel 5,5 (43’ st Politano ng), Sansone 5. Allenatore: Di Francesco 6. TORINO 3-5-2: Ichazo 6; Maksimovic 6, Glik 6, Moretti 6; Zappacosta 6,5 (36’ st Bovo ng), Acquah 6, Gazzi 5,5, Benassi 7 (36’ st Baselli ng), Gastón Silva 6; Belotti 7, Immobile 6,5. Allenatore: Ventura 6. Arbitro: Celi di Bari 6. Reti: 22’ pt Belotti (T), 40’ Acerbi (S). Recupero: 4 minuti (0’ pt + 4’ st). Ammoniti: Vrsaljko, Magnanelli (S); Maksimovic, Glik, Acquah, Benassi (T). Espulsi: nessuno. Spettatori: non comunicati.
Data: 9-01-2016 – Ore: 15:00 CARPI 4-4-1-1: Belec 6; Zaccardo 7, Romagnoli 6, Gagliolo 6, Letizia 7; Pasciuti 7, Cofie 6,5, Bianco 6 (6’ st Lasagna 7), Di Gaudio 6,5 (17’ st Crimi 6); Lollo 7; Mbakogu 7 (46’ st Suagher ng). Allenatore: Castori 7. UDINESE 3-5-2: Karnezis 6; Piris 5, Danilo 5, Felipe 6; Widmer 5 (17’ st Zapata 6,5), Badu 6, Lodi 5, Bruno Fernandes 5 (37’ st Marquinho ng), Adnan 5; Théréau 5, Perica 5 (7’ st Di Natale 5). Allenatore: Colantuono 5,5. Arbitro: Fabbri di Ravenna 6. Reti: 26’ pt Pasciuti (C); 25’ st Lollo (C), 27’ Zapata (U). Recupero: 5 minuti (1’ pt + 4’ st). Ammoniti: Suagher (C); Piris (U). Espulsi: nessuno. Spettatori: 5.268.
Data: 10-01-2016 – Ore: 12:30 INTER 4-3-3: Handanovic 7; Nagatomo 5,5, Miranda 6, Murillo 5, D’Ambrosio 6; Brozovic 6, Medel 5,5 (45’ st Guarín ng), Kondogbia 5 (41’ st Jovetic ng); Ljajic 6, Icardi 5, Perisic 5 (19’ st Palacio 6). Allenatore: Mancini 5,5. SASSUOLO 4-3-3: Consigli 8; Vrsaljko 6, Cannavaro 6, Acerbi 6, Peluso 6,5; Missiroli 7, Magnanelli 7, Duncan 7 (39’ st Biondini ng); Berardi 6,5, Falcinelli 5,5 (27’ st Defrel 6,5), Sansone 7 (36’ st Floro Flores 6). Allenatore: Di Francesco 7,5. Arbitro: Doveri di Roma 5. RetE: 49’ st Berardi rig. Recupero: 7 minuti (1’ pt + 6’ st). Ammoniti: Miranda, Murillo, D’Ambrosio (I); Cannavaro, Magnanelli, Berardi (S). Espulsi: nessuno. Spettatori: 40.322 paganti.
Data: 10-01-2016 – Ore: 15:00 TORINO 3-5-2: Padelli 5,5; Maksimovic 5,5, Glik 6, Moretti 5,5; Bruno Peres 6, Benassi 5 (35’ st Vives ng), Gazzi 6, Baselli 5, Molinaro 5 (14’ st Zappacosta 6); Martínez 4, Belotti 5 (23’ st Maxi López 5). Allenatore: Ventura 5,5. EMPOLI 4-3-1-2: Skorupski 7; Laurini 6, Costa 6, Barba 5, Mario Rui 6; Zielinski 6, Paredes 7, Büchel 6 (6’ st Croce 6); Saponara 6; Livaja 5 (6’ st Pucciarelli 6), Maccarone 7 (41’ st Piu ng). Allenatore: Giampaolo 7. Arbitro: Gervasoni di Mantova 6,5. RetE: 11’ st Maccarone. Recupero: 7 minuti (2’ pt + 5’ st). Ammoniti: Molinaro, Zappacosta, Belotti (T); Laurini, Barba, Paredes, Büchel, Livaja, Maccarone (E). Espulsi: nessuno. Spettatori: 14.730.
Napoli Juventus Inter Fiorentina Roma Sassuolo Empoli Milan Lazio Chievo Udinese Atalanta Torino Sampdoria Bologna Palermo Genoa Frosinone Carpi Verona
41 39 39 38 34 32 30 29 27 26 24 24 23 23 22 21 19 15 14 8
19 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19
12 12 12 12 9 8 9 8 8 7 7 7 6 6 7 6 5 4 3 0
5 3 3 2 7 8 3 5 3 5 3 3 5 5 1 3 4 3 5 8
2 4 4 5 3 3 7 6 8 7 9 9 8 8 11 10 10 12 11 11
38 33 24 37 36 24 24 25 23 25 18 20 23 28 20 19 19 20 17 12
Calcio 2OOO
15 15 12 19 22 18 23 23 27 21 27 23 24 30 25 29 26 41 34 31
93
I NUMERI DEL GIRONE DI ANDATA I RECORD positivi e negativi
CONFRONTO CON LA STAGIONE SCORSA
+ Vittorie: 12 (Napoli, Juventus, Inter e Fiorentina)
- Vittorie: 0 (Verona) - Sconfitte: 2 (Napoli) + Sconfitte: 12 (Frosinone) + Gol fatti: 38 (Napoli) - Gol fatti: 12 (Verona) - Gol subiti: 12 (Inter) + Gol subiti: 41 (Frosinone)
IL CAPOCANNONIERE (Higuain) giornata partita
gol
rig.
pt. alla 19ª 2015-16
pt. alla 19ª 2014-15
differenza punti alla 19ª
nel 2014-15 alla fine
pt. finali
1°
Napoli
41
33
+8
3°
5°
63
2°
Juventus
39
46
-7
1°
1°
87
Inter
39
26
+13
8°
8°
55
4°
Fiorentina
38
30
+8
6°
4°
64
5°
Roma
34
41
-7
2°
2°
70
6°
Sassuolo
32
25
+7
11°
11°
49
7°
Empoli
30
19
+11
17°
15°
42
8°
Milan
29
26
+3
8°
10°
52
9°
Lazio
27
31
-4
5°
3°
69
10°
Chievo
26
18
+8
18°
14°
43
2ª
Napoli-Sampdoria 2-2
2
4ª
Napoli-Lazio 5-0
2
11° Udinese
24 24 = 12° 16° 41
8ª
Napoli-Fiorentina 2-1
1
Atalanta
24
20
+4
16°
17°
37
9ª
Chievo-Napoli 0-1
1
13°
Torino
23
22
+1
13°
9°
54
12ª
Napoli-Udinese 1-0
1
Sampdoria
23
33
-10
4°
7°
56
13ª
Verona-Napoli 0-2
1
15°
Bologna
22
in B
in B
in B
in B
in B
14ª
Napoli-Inter 2-1
2
16°
Palermo
21
26
-5
8°
11°
49
15ª
Bologna-Napoli 3-2
2
17°
Genoa
19
28
-9
7°
6°
59
17ª
Atalanta-Napoli 1-3
2
19ª
Frosinone-Napoli 1-5
2
TOTALE
18
18°
Frosinone
15
in B
in B
in B
in B
in B
1
19°
Carpi
14
in B
in B
in B
in B
in B
1
20°
Verona
8
21
-13
14°
13°
46
TUTTI I GOL SQUADRA PER SQUADRA ATALANTA 5 GOL: Gomez 3 GOL: Denis (1 rig.) Pinilla 1 GOL: Cherubin Cigarini (1 rig.) D’Alessandro De Roon Moralez Stendardo Tolói 3 autoreti a favore BOLOGNA 5 GOL: Destro (1 rig.) 3 GOL: Giaccherini Mounier 2 GOL: Brienza Masina Rossettini 1 GOL: Donsah Gastaldello Mancosu CARPI 4 GOL: Borriello 2 GOL: Matos 1 GOL: Di Gaudio Lazzari Letizia Lollo Marrone Pasciuti Zaccardo 4 autoreti a favore CHIEVO 7 GOL: Paloschi (1 rig.) 4 GOL: Meggiorini 3 GOL: Birsa Inglese Pepe 2 GOL: Castro 1 GOL: Dainelli Hetemaj Pellissier
94
Calcio 2OOO
EMPOLI 8 GOL: Maccarone 5 GOL: Saponara 3 GOL: Pucciarelli 2 GOL: Büchel 1 GOL: Costa Krunic Livaja Paredes Tonelli Zielinski
INTER 8 GOL: Icardi 4 GOL: Jovetic (1 rig.) 2 GOL: Brozovic Ljajic Perisic 1 GOL: Biabiany Felipe Melo Guarín Kondogbia Medel Murillo
FIORENTINA 10 GOL: Kalinic 9 GOL: Ilicic (6 rig.) 4 GOL: Babacar (1 rig.) 2 GOL: Alonso Blaszczykowski Borja Valero Rodríguez 1 GOL: Badelj Rebic Roncaglia Suárez Verdù 1 autorete a favore
JUVENTUS 9 GOL: Dybala (2 rig.) 6 GOL: Mandzukic 4 GOL: Pogba (1 rig.) 3 GOL: Zaza 2 GOL: Cuadrado Khedira 1 GOL: Bonucci Evrà Lemina Morata Sturaro 2 autoreti a favore
FROSINONE 6 GOL: Dionisi 4 GOL: Ciofani D. (1 rig.) 3 GOL: Sammarco 2 GOL: Blanchard 1 GOL: Ajeti Diakité Frara Paganini Soddimo 1 autorete a favore GENOA 6 GOL: Pavoletti 3 GOL: Gakpé 2 GOL: Dzemaili Laxalt Perotti (1 rig.) Rincón 1 GOL: Figueiras Tachtsidis
LAZIO 5 GOL: Felipe Anderson 3 GOL: Biglia (1 rig.) Candreva (1 rig.) Matri 2 GOL: Djordjevic Keita Kishna 1 GOL: Lulic Milinkovic-Savic Parolo MILAN 8 GOL: Bacca (1 rig.) 4 GOL: Bonaventura 3 GOL: Luiz Adriano 2 GOL: Niang (1 rig.) 1 GOL: Abate Alex Antonelli Balotelli Bertolacci Kucka Mexès Zapata
NAPOLI 18 GOL: Higuaín (1 rig.) 8 GOL: Insigne 4 GOL: Hamsik (1 rig.) 3 GOL: Allan 2 GOL: Gabbiadini 1 GOL: Albiol Mertens 1 autorete a favore PALERMO 5 GOL: Gilardino 3 GOL: Hiljemark Vazquez 2 GOL: Goldaniga González 1 GOL: Djurdjevic El Kaoutari Rigoni Trajkovski ROMA 7 GOL: Pjanic (1 rig.) 6 GOL: Gervinho 5 GOL: Salah 4 GOL: Florenzi 3 GOL: Dzeko (2 rig.) 2 GOL: Iago Falqué Sadiq 1 GOL: De Rossi Digne Iturbe Maicon Manolas Rüdiger Totti SAMPDORIA 11 GOL: Eder (3 rig.) 6 GOL: Soriano 4 GOL: Muriel 3 GOL: Zukanovic 1 GOL: Cassano Fernando Ivan 1 autorete a favore
SASSUOLO 4 GOL: Floccari 3 GOL: Acerbi Berardi (2 rig.) Floro Flores Sansone 2 GOL: Defrel 1 GOL: Falcinelli Magnanelli Missiroli Pellegrini Politano 1 autorete a favore TORINO 5 GOL: Quagliarella (1 rig.) 4 GOL: Baselli 3 GOL: Maxi López (2 rig.) 2 GOL: Belotti Bovo 1 GOL: Acquah Benassi Moretti Vives Zappacosta 2 autoreti a favore UDINESE 6 GOL: Théréau 4 GOL: Zapata 3 GOL: Badu 2 GOL: Perica 1 GOL: Di Natale Lodi 1 autorete a favore VERONA 3 GOL: Toni (2 rig.) 2 GOL: Pisano 1 GOL: Gomez Helander Ionita Jankovic Moras Pazzini (1 rig.) Viviani
1X2
I NUMERI Della
20a GIORNATA
Atalanta-Inter 1-1 (1-0)
Bologna-Lazio 2-2 (2-0)
Carpi-Sampdoria 2-1 (1-1)
Chievo-Empoli 1-1 (1-0)
Genoa-Palermo 4-0 (1-0)
Milan-Fiorentina 2-0 (1-0)
Napoli-Sassuolo 3-1 (2-1)
Roma-Verona 1-1 (1-0)
Torino-Frosinone 4-2 (3-1)
Udinese-Juventus 0-4 (0-4)
CLASSIFICA
Data: 16-01-2016 – Ore: 15:00 ATALANTA 3-5-2: Sportiello 6; Tolói 5, Masiello 6, Cherubin 6; Conti 6,5 (29’ st Bellini 6), Cigarini 7, De Roon 7, Kurtic 6 (37’ st Migliaccio ng), Dramè 7; Monachello 6, Gomez 7 (40’ st Diamanti ng). Allenatore: Reja 6,5. INTER 4-3-1-2: Handanovic 8; D’Ambrosio 5, Miranda 6, Murillo 4,5, Telles 5 (25’ st Biabiany 6); Guarín 4 (13’ st Perisic 5,5), Medel 5,5, Brozovic 5; Ljajic 6; Icardi 5,5, Jovetic 5 (39’ st Palacio ng). Allenatore: Mancini 5,5. Arbitro: Rizzoli di Bologna 6,5. Reti: 17’ pt Murillo (I) aut.; 25’ st Tolói (A) aut. Recupero: 5 minuti (1’ pt + 4’ st). Ammoniti: Tolói, Cigarini, Monachello, Gomez (A); D’Ambrosio, Biabiany, Guarín, Brozovic, Jovetic (I). Espulsi: nessuno. Spettatori: 19.274.
Data: 17-01-2016 – Ore: 15:00 CHIEVO 4-3-1-2: Bizzarri 6; Cacciatore 6, Dainelli 6, Cesar 6, Gobbi 6; Castro 5,5, Radovanovic 6, Pepe 6 (26’ st Mpoku 6); Birsa 6 (41’ pt Pinzi 6); Inglese 6, Paloschi 6 (36’ st Pellissier ng). Allenatore: Maran 6. EMPOLI 4-3-1-2: Skorupski 6; Zambelli 6, Tonelli 6,5, Barba 6, Mario Rui 6; Zielinski 6,5 (42’ st Bittante ng), Paredes 6, Croce 6,5; Krunic 5 (14’ st Büchel 6); Pucciarelli 5 (36’ st Piu ng), Maccarone 6. Allenatore: Giampaolo 6. Arbitro: Abisso di Palermo 6. Reti: 7’ pt Paloschi (C); 2’ st Tonelli (E). Recupero: 4 minuti (1’ pt + 3’ st). Ammoniti: Cesar, Birsa, Pinzi (C); Barba, Paredes, Krunic (E). Espulsi: nessuno. Spettatori: non comunicati.
Data: 16-01-2016 – Ore: 20:45 NAPOLI 4-3-3: Reina 6; Hysaj 5,5, Albiol 6, Chiriches 6 (23’ st Koulibaly 6), Ghoulam 6,5; Allan 6, Jorginho 7, Hamsik 7 (41’ st David López ng); Callejón 7, Higuaín 8, Insigne 7 (32’ st Mertens 6). Allenatore: Sarri 7. SASSUOLO 4-3-3: Consigli 5,5; Vrsaljko 5, Ariaudo 5,5, Acerbi 6, Peluso 5,5; Missiroli ng (16’ pt Pellegrini 5,5), Magnanelli 6, Duncan 6,5; Politano 6 (23’ st Floro Flores ng, 48’ st Defrel ng), Falcinelli 6,5, Sansone 7. Allenatore: Di Francesco 6,5. Arbitro: Giacomelli di Trieste 6,5. Reti: 3’ pt Falcinelli (S) rig., 19’ Callejón (N), 42’ Higuaín (N); 48’ st Higuaín (N). Recupero: 4 minuti (1’ pt + 3’ st). Ammoniti: Acerbi (S). Espulsi: nessuno. Spettatori: 40.047.
Data: 17-01-2016 – Ore: 15:00 UDINESE 3-5-2: Karnezis 5; Wagué 5 (10’ st Heurtaux 5,5), Danilo 4, Felipe 5; Widmer 5, Badu 5, Lodi 5, Iturra 5, Edenilson 4,5; Di Natale 5 (14’ st Zapata 5,5), Théréau 6 (25’ st Bruno Fernandes ng). Allenatore: Colantuono 5. JUVENTUS 3-5-2: Buffon 6; Rugani 6, Bonucci 6, Chiellini 6,5 (13’ st Cáceres 6); Lichtsteiner 6,5 (36’ st Padoin ng), Khedira 7, Marchisio 7, Asamoah 7, Alex Sandro 7; Mandzukic 7, Dybala 8 (21’ st Morata 6). Allenatore: Allegri 7. Arbitro: Rocchi di Firenze 6,5. Reti: 15’ pt Dybala, 18’ Khedira, 26’ Dybala rig., 42’ Alex Sandro. Recupero: 2 minuti (2’ pt + 0’ st). Ammoniti: Badu (U); Chiellini (J). Espulsi: 24’ pt Danilo (U) per fallo su chiara occasione da gol. Spettatori: 25.467.
Data: 17-01-2016 – Ore: 15:00 BOLOGNA 4-3-3: Mirante 6,5; Rossettini 4,5, Oikonomou 6,5, Gastaldello 6 (17’ st Ferrari 5), Masina 5,5; Taider 5, Diawara 7, Brighi 6; Mounier 6, Destro 6,5 (39’ st Floccari ng), Giaccherini 7 (26’ st Zuñiga 6). Allenatore: Donadoni 6,5. LAZIO 4-3-3: Berisha 5,5; Konko 6, Mauricio 6, Hoedt 5, Radu 6; Milinkovic-Savic 6, Biglia 6, Parolo 5 (1’ st Lulic 7); Candreva 6 (37’ st Felipe Anderson ng), Djordjevic 5 (1’ st Klose 7), Keita 7. Allenatore: Pioli 6,5. Arbitro: Di Bello di Brindisi 6. Reti: 2’ pt Giaccherini (B), 18’ Destro (B); 26’ st Candreva (L) rig., 32’ Lulic (L). Recupero: 4 minuti (1’ pt + 3’ st). Ammoniti: Destro (B); Mauricio, Biglia (L). Espulsi: 25’ st Masina (B) per fallo su chiara occasione da gol. Spettatori: 16.449.
Data: 17-01-2016 – Ore: 12:30 GENOA 3-4-3: Perin 6; Muñoz 6, Burdisso 6,5, Izzo 6; Ansaldi 7,5, Rigoni 6, Rincón 7 (33’ st Dzemaili ng), Laxalt 6; Suso 7 (14’ st Capel 6), Pavoletti 7,5, Perotti 7 (45’ st Tachtsidis ng). Allenatore: Gasperini 7,5. PALERMO 3-5-1-1: Sorrentino 7; Goldaniga 5, González 4, Andelkovic 5; Morganella 5,5, Jajalo 6, Cristante 6 (25’ st Balogh 5), Hiljemark 5, Lazaar 5 (44’ st Pezzella ng); Vazquez 5,5; Djurdjevic 5 (16’ st Gilardino 5). Allenatore: Viviani 5. Arbitro: Celi di Bari 6,5. Reti: 4’ pt Suso; 26’ st Pavoletti, 30’ Rincón, 43’ Pavoletti. Recupero: 1 minuti (0’ pt + 1’ st). Ammoniti: Burdisso, Rigoni (G); Goldaniga, González, Andelkovic (P). Espulsi: 20’ st Andelkovic (P) per doppia ammonizione. Spettatori: 19.387.
Data: 17-01-2016 – Ore: 15:00 ROMA 4-2-3-1: Szczesny 7; Torosidis 6 (28’ st Iago Falqué 5), Manolas 6, Castan 4,5 (21’ st Rüdiger 6), Digne 5; Pjanic 5,5, De Rossi 6,5; Salah 5, Nainggolan 6, Florenzi 5; Dzeko 4. Allenatore: Spalletti 5,5. VERONA 3-4-3: Gollini 6,5; Bianchetti 5 (1’ st Hallfredsson 6,5), Moras 6, Helander 6; Sala 6, Greco 6, Ionita 6, Emanuelson 5 (1’ st Fares 6); Wszolek 7 (28’ st Gomez 5,5), Pazzini 6, Rebic 6. Allenatore: Del Neri 6,5. Arbitro: Massa di Imperia 6. Reti: 41’ pt Nainggolan (R); 6’ st Pazzini (V) rig. Recupero: 5 minuti (1’ pt + 4’ st). Ammoniti: Sala, Greco (V). Espulsi: nessuno. Spettatori: 29.709.
Napoli Juventus Inter Fiorentina Roma Milan Sassuolo Empoli Lazio Chievo Torino Atalanta Udinese Sampdoria Bologna Genoa Palermo Carpi Frosinone Verona
Data: 17-01-2016 – Ore: 15:00 CARPI 4-4-1-1: Belec 8; Zaccardo 6, Romagnoli 7, Gagliolo 6, Letizia 7; Pasciuti 6, Cofie 6, Bianco 6 (17’ st Lasagna 6), Di Gaudio 7 (21’ st Crimi 6); Lollo 7; Mbakogu 7 (30’ st Mancosu 6). Allenatore: Castori 7. SAMPDORIA 4-3-3: Viviano 7; Pedro Pereira 5 (19’ st Carbonero 6), Silvestre 6, Zukanovic 5,5, Regini 5,5; Soriano 6, Fernando 6, Barreto 5 (18’ st Muriel 6); Eder 6, Cassano 6,5, Correa 6,5 (35’ st Rodriguez ng). Allenatore: Montella 5,5. Arbitro: Mariani di Aprilia 5,5. Reti: 28’ pt Lollo (C), 33’ Correa (S); 10’ st Mbakogu (C) rig. Recupero: 6 minuti (1’ pt + 5’ st). Ammoniti: Gagliolo, Cofie (C); Soriano (S). Espulsi: 41’ st Gagliolo (C) per doppia ammonizione. Spettatori: 9.669.
Data: 17-01-2016 – Ore: 20:45 MILAN 4-4-2: Donnarumma 6; Abate 6, Alex 6,5, Romagnoli 7, Antonelli 7; Honda 6, Montolivo 6,5 (25’ st Kucka 6,5), Bertolacci 6, Bonaventura 7; Bacca 7 (42’ st Balotelli ng), Niang 6 (34’ st Boateng 6,5). Allenatore: Mihajlovic 6,5. FIORENTINA 3-4-2-1: Tatarusanu 5,5; Roncaglia 4,5, Tomovic 5, Astori 5,5; Bernardeschi 5, Vecino 5, Suárez 5 (21’ st Rossi 5), Alonso 6 (30’ st Pasqual ng); Ilicic 5,5 (38’ st Babacar ng), Borja Valero 6; Kalinic 5. Allenatore: Paulo Sousa 5. Arbitro: Doveri di Roma 6. Reti: 4’ pt Bacca; 43’ st Boateng. Recupero: 5 minuti (0’ pt + 5’ st). Ammoniti: Bertolacci, Bacca (M); Tomovic, Bernardeschi, Vecino, Suárez, Kalinic (F). Espulsi: nessuno. Spettatori: 28.374.
Data: 16-01-2016 – Ore: 18:00 TORINO 3-5-2: Ichazo 6; Maksimovic 7, Glik 6, Moretti 6; Bruno Peres 7 (31’ st Zappacosta ng), Benassi 6,5, Vives 5, Baselli 6 (26’ st Acquah 6), Molinaro 5 (20’ st Avelar 5,5); Belotti 8, Immobile 7. Allenatore: Ventura 6,5. FROSINONE 4-3-3: Leali 5; Rosi 5, Bertoncini 5 (22’ st Ciofani M. 5), Ajeti 5, Pavlovic 6; Gucher 5 (22’ st Frara 5,5), Sammarco 7, Kragl 6 (38’ st Ciofani D. ng); Tonev 5,5, Dionisi 5, Soddimo 6,5. Allenatore: Stellone 5,5. Arbitro: Irrati di Pistoia 6. Reti: 9’ pt Immobile (T) rig., 33’ Sammarco (F), 37’ e 41’ Belotti (T); 29’ st Avelar (T) aut., 37’ Benassi (T). Recupero: 4 minuti (0’ pt + 4’ st). Ammoniti: Molinaro (T); Bertoncini (F). Espulsi: nessuno. Spettatori: 17.865.
MARCATORI 44 42 40 38 35 32 32 31 28 27 26 25 24 23 23 22 21 17 15 9
20 20 20 20 20 20 20 20 20 20 20 20 20 20 20 20 20 20 20 20
13 13 12 12 9 9 8 9 8 7 7 7 7 6 7 6 6 4 4 0
5 3 4 2 8 5 8 4 4 6 5 4 3 5 2 4 3 5 3 9
2 4 4 6 3 6 4 7 8 7 8 9 10 9 11 10 11 11 13 11
41 37 25 37 37 27 25 25 25 26 27 21 18 29 22 23 19 19 22 13
16 15 13 21 23 23 21 24 29 22 26 24 31 32 27 26 33 35 45 32
20 reti: Higuaín (Napoli, 1 rig.) 11 reti: Dybala (Juventus, 3 rig.); Eder (Sampdoria, 3 rig.) 10 reti: Kalinic (Fiorentina); Pavoletti (Genoa) 9 reti: Ilicic (Fiorentina, 6 rig.); Bacca (Milan, 1 rig.) 8 reti: Paloschi (Chievo, 1 rig.); Maccarone (Empoli); Icardi (Inter); Insigne (Napoli) 7 reti: Pjanic (Roma, 1 rig.) 6 reti: Destro (Bologna, 1 rig.); Dionisi (Frosinone); Mandzukic (Juventus); Gervinho (Roma); Soriano (Sampdoria); Théréau (Udinese)
Calcio 2OOO
95
1X2
i NUMERI Della
21a GIORNATA
Empoli-Milan 2-2 (1-1)
Fiorentina-Torino 2-0 (1-0)
Frosinone-Atalanta 0-0 (0-0)
Inter-Carpi 1-1 (1-0)
Juventus-Roma 1-0 (0-0)
Lazio-Chievo 4-1 (0-1)
Palermo-Udinese 4-1 (1-0)
Sampdoria-Napoli 2-4 (1-2)
Sassuolo-Bologna 0-2 (0-0)
Verona-Genoa 1-1 (1-1)
CLASSIFICA
MARCATORI
Data: 23-01-2016 – Ore: 20:45 EMPOLI 4-3-1-2: Skorupski 6; Laurini 5,5, Tonelli 6, Barba 5,5, Mario Rui 6; Zielinski 7 (42’ st Krunic ng), Maiello 6 (9’ st Croce 6,5), Büchel 6; Saponara 7; Pucciarelli 6,5, Maccarone 7 (25’ st Livaja 6). Allenatore: Giampaolo 6,5. MILAN 4-4-2: Donnarumma 5; Abate 6, Alex 6 (1’ st Zapata 6), Romagnoli 5,5, Antonelli 6,5; Honda 5,5 (41’ st Boateng ng), Montolivo 6, Bertolacci 5, Bonaventura 6; Niang 5 (22’ st Balotelli 5), Bacca 6. Allenatore: Mihajlovic 6. Arbitro: Russo di Nola 5,5. Reti: 8’ pt Bacca (M), 32’ Zielinski (E); 3’ st Bonaventura (M), 16’ Maccarone (E). Recupero: 4 minuti (0’ pt + 4’ st). Ammoniti: Barba, Saponara (E); Romagnoli, Honda, Montolivo, Balotelli (M). Espulsi: nessuno. Spettatori: 11.499.
Data: 23-01-2016 – Ore: 15:00 INTER 4-4-2: Handanovic 6; Montoya 5 (31’ st Nagatomo 5), Murillo 5,5, Juan Jesus 5, Telles 5,5 (1’ st Miranda 6); Perisic 6, Brozovic 6, Felipe Melo 6, Ljajic 5; Palacio 6 (39’ st Jovetic ng), Icardi 5. Allenatore: Mancini 5,5. CARPI 5-3-2: Belec 7; Pasciuti 5,5, Zaccardo 6,5, Romagnoli 7, Suagher 6, Letizia 6 (15’ st Daprelà 6); Crimi 7, Bianco 7, Martinho 6 (28’ st Di Gaudio 6); Mancosu 6 (24’ st Lasagna 7), Mbakogu 6,5. Allenatore: Castori 7. Arbitro: Gervasoni di Mantova 5. Reti: 39’ pt Palacio (I); 47’ st Lasagna (C). Recupero: 5 minuti (1’ pt + 4’ st). Ammoniti: Telles, Palacio, Jovetic (I); Suagher, Daprelà, Crimi (C). Espulsi: 38’ st Pasciuti (C) per doppia ammonizione. Spettatori: 35.826.
Data: 24-01-2016 – Ore: 15:00 PALERMO 4-3-3: Sorrentino 7; Struna 6, Goldaniga 6, González 6, Lazaar 6; Hiljemark 7, Jajalo 6, Chochev 6; Vazquez 7, Gilardino 6 (33’ st Djurdjevic 5,5), Quaison 7 (41’ st Trajkovski 6,5). Allenatore: Bosi 6,5. UDINESE 3-5-2: Karnezis 6; Wagué 5, Felipe 5, Piris 5; Widmer 5, Badu 6 (34’ st Kone ng), Lodi 6, Bruno Fernandes 6, Edenilson 6 (21’ st Adnan 5,5); Perica 5 (11’ st Zapata 5), Théréau 6. Allenatore: Colantuono 5. Arbitro: Tagliavento di Terni 6. Reti: 35’ pt Quaison (P); 11’ st Hiljemark (P), 32’ Lazaar (P), 34’ Théréau (U), 42’ Trajkovski (P). Recupero: 3 minuti (0’ pt + 3’ st). Ammoniti: Jajalo, Chochev (P); Felipe, Widmer, Badu (U). Espulsi: nessuno. Spettatori: 14.325.
Data: 24-01-2016 – Ore: 15:00 VERONA 4-3-3: Coppola 6; Sala 5,5, Moras 7, Helander 6,5, Pisano 6; Ionita 7, Greco 5,5 (12’ st Siligardi 6), Hallfredsson 6,5; Wszolek 6 (36’ st Jankovic ng), Pazzini 6,5, Rebic 5 (1’ st Gomez 6). Allenatore: Del Neri 6,5. GENOA 3-4-3: Perin 7; Muñoz 5,5, De Maio 5, Izzo 5,5; Ansaldi 6, Rincón 6, Dzemaili 6 (14’ st Rigoni 6), Laxalt 6; Suso 6,5 (14’ st Cerci 6), Pavoletti 5,5, Perotti 6 (23’ st Marchese 6). Allenatore: Gasperini 6,5. Arbitro: Rocchi di Firenze 6,5. Reti: 19’ pt Coppola (V) aut., 39’ Pazzini (V). Recupero: 5 minuti (1’ pt + 4’ st). Ammoniti: Pisano, Hallfredsson (V); De Maio, Dzemaili (G). Espulsi: nessuno. Spettatori: 15.806.
96
Calcio 2OOO
Data: 24-01-2016 – Ore: 12:30 FIORENTINA 3-4-1-2: Tatarusanu 6; Roncaglia 6, Rodríguez 7, Astori 7; Bernardeschi 6, Verdù 6 (41’ st Blaszczykowski ng), Borja Valero 7, Pasqual 6; Ilicic 7 (22’ st Tino Costa 6); Kalinic 5 (37’ st Zárate ng), Babacar 7. Allenatore: Paulo Sousa 6,5. TORINO 3-5-2: Ichazo 5; Maksimovic 5, Glik 5, Moretti 5; Zappacosta 6, Acquah 6 (26’ st Benassi 6), Vives 5,5, Baselli 5 (36’ st Prcic ng), Molinaro 6; Belotti 5,5, Immobile 5,5 (26’ st Martínez 6). Allenatore: Ventura 5,5. Arbitro: Mazzoleni di Bergamo 5,5. Reti: 24’ pt Ilicic; 38’ st Rodríguez. Recupero: 4 minuti (1’ pt + 3’ st). Ammoniti: Roncaglia (F); Maksimovic, Glik, Zappacosta, Vives (T). Espulsi: nessuno. Spettatori: 26.392.
Data: 24-01-2016 – Ore: 20:45 JUVENTUS 3-5-2: Buffon ng; Barzagli 6, Bonucci 6,5, Chiellini 7; Lichtsteiner 5 (21’ st Cuadrado 6), Khedira 6, Marchisio 6,5, Pogba 7, Evrà 6; Dybala 8 (39’ st Morata ng), Mandzukic 6. Allenatore: Allegri 6,5. ROMA 3-4-2-1: Szczesny 6; Manolas 5, De Rossi 6, Rüdiger 5; Florenzi 5 (48’ st Torosidis ng), Vainqueur 6 (26’ st Keita 5,5), Pjanic 6, Digne 5,5; Salah 5 (45’ st Sadiq ng), Nainggolan 6; Dzeko 5. Allenatore: Spalletti 5,5. Arbitro: Banti di Livorno 6. RetE: 32’ st Dybala. Recupero: 5 minuti (0’ pt + 5’ st). Ammoniti: Evrà, Mandzukic (J); De Rossi, Rüdiger, Pjanic, Nainggolan (R). Espulsi: nessuno. Spettatori: 38.348.
Data: 24-01-2016 – Ore: 15:00 SAMPDORIA 4-2-3-1: Viviano 6; Cassani 4, Moisander 5, Zukanovic 5,5, Regini 6; Barreto 4 (10’ st Álvarez 5), Fernando 6; Carbonero 6,5, Correa 7 (36’ st Ivan ng), Eder 6,5; Cassano 6 (19’ st Dodô 6). Allenatore: Montella 5,5. NAPOLI 4-3-3: Reina 5,5; Hysaj 6, Albiol 7, Koulibaly 5,5, Ghoulam 6 (25’ st Strinic 6); Allan 7, Jorginho 6, Hamsik 6,5; Callejón 6,5 (39’ st El Kaddouri ng), Higuaín 6, Insigne 6,5 (31’ st Mertens 6,5). Allenatore: Sarri 7. Arbitro: Orsato di Schio 6. Reti: 9’ pt Higuaín (N), 18’ Insigne (N) rig., 45’ Correa (S); 15’ st Hamsik (N), 28’ Eder (S), 34’ Mertens (N). Recupero: 5 minuti (1’ pt + 4’ st). Ammoniti: Fernando (S); Jorginho (N). Espulsi: 14’ st Cassani (S) per doppia ammonizione. Spettatori: 22.635.
Napoli Juventus Fiorentina Inter Roma Milan Sassuolo Empoli Lazio Chievo Torino Bologna Atalanta Palermo Udinese Genoa Sampdoria Carpi Frosinone Verona
47 21 14 5 2 45 18 45 21 14 3 4 38 15 41 21 13 2 6 39 21 41 21 12 5 4 26 14 35 21 9 8 4 37 24 33 21 9 6 6 29 25 32 21 8 8 5 25 23 32 21 9 5 7 27 26 31 21 9 4 8 29 30 27 21 7 6 8 27 26 26 21 7 5 9 27 28 26 21 8 2 11 24 27 26 21 7 5 9 21 24 24 21 7 3 11 23 34 24 21 7 3 11 19 35 23 21 6 5 10 24 27 23 21 6 5 10 31 36 18 21 4 6 11 20 36 16 21 4 4 13 22 45 10 21 0 10 11 14 33
Data: 23-01-2016 – Ore: 18:00 FROSINONE 4-3-3: Leali 6; Ciofani M. 6, Ajeti 6, Blanchard 6, Pavlovic 6; Chibsah 6 (41’ st Kragl ng), Gori 6, Sammarco 6; Paganini 5 (18’ st Soddimo 5), Ciofani D. 5 (31’ st Longo ng), Dionisi 5,5. Allenatore: Stellone 6. ATALANTA 3-5-1-1: Sportiello 6; Tolói 6, Masiello 6, Cherubin 6; Raimondi 6 (32’ st Conti ng), Migliaccio 6, De Roon 6, Kurtic 6, Dramè 6; Gomez 6 (45’ st Diamanti ng); Monachello 5 (29’ st Denis 6). Allenatore: Reja 6. Arbitro: Valeri di Roma 6. Recupero: 6 minuti (1’ pt + 5’ st). Ammoniti: Ajeti, Gori (F); Kurtic (A). Espulsi: nessuno. Spettatori: 7.564.
Data: 24-01-2016 – Ore: 15:00 LAZIO 4-3-3: Berisha 6,5; Konko 6 (24’ st Felipe Anderson 6,5), Bisevac 6, Radu 5, Lulic 6; MilinkovicSavic 5,5 (15’ st Klose 6), Cataldi 6,5, Parolo 6; Candreva 7,5, Djordjevic 5 (1’ st Matri 5), Keita 7. Allenatore: Pioli 7. CHIEVO 4-3-1-2: Bizzarri 6; Cacciatore 5, Dainelli 6, Cesar 5, Gobbi 5; Castro 5,5, Radovanovic 6, Pinzi 6 (29’ st Mpoku 6); Birsa 6 (20’ st Frey 5); Inglese 6 (3’ st Sardo 5), Paloschi 5,5. Allenatore: Maran 5,5. Arbitro: Calvarese di Teramo 5. Reti: 5’ pt Cesar (C); 21’ st Candreva (L) rig., 27’ Cataldi (L), 36’ Candreva (L), 51’ Keita (L). Recupero: 7 minuti (1’ pt + 6’ st). Ammoniti: Lulic, Cataldi (L); Cesar (C). Espulsi: 2’ st Cesar (C) per doppia ammonizione, 37’ Radu (L) per fallo su chiara occasione da gol. Spettatori: 17.118. Note: Al 39’ st Paloschi (C) si è fatto parare un rigore.
Data: 24-01-2016 – Ore: 15:00 SASSUOLO 4-3-3: Consigli 6,5; Gazzola 5,5, Cannavaro 5, Acerbi 5,5, Peluso 5,5; Duncan 5,5, Pellegrini 6 (32’ st Defrel 5), Laribi 5 (11’ st Biondini 5,5); Berardi 6 (38’ st Trotta ng), Falcinelli 6, Sansone 6. Allenatore: Di Francesco 5,5. BOLOGNA 4-3-3: Mirante 6; Rossettini 6, Oikonomou 6,5, Gastaldello 7, Morleo 6 (32’ st Ferrari 6); Donsah 6 (27’ st Brighi 6), Diawara 6,5, Taider 6; Mounier 6 (15’ st Floccari 7), Destro 6, Giaccherini 7,5. Allenatore: Donadoni 7,5. Arbitro: Cervellera di Taranto 6,5. Reti: 23’ st Giaccherini, 49’ Floccari. Recupero: 4 minuti (0’ pt + 4’ st). Ammoniti: Ferrari, Brighi (B). Espulsi: nessuno. Spettatori: 12.202.
21 reti: Higuaín (Napoli, 1 rig.) 12 reti: Dybala (Juventus, 3 rig.); Eder (Sampdoria, 3 rig.) 10 reti: Ilicic (6 rig.), Kalinic (Fiorentina); Pavoletti (Genoa); Bacca (Milan, 1 rig.) 9 reti: Maccarone (Empoli); Insigne (Napoli, 1 rig.) 8 reti: Paloschi (Chievo, 1 rig.); Icardi (Inter) 7 reti: Pjanic (Roma, 1 rig.); Théréau (Udinese) 6 reti: Destro (Bologna, 1 rig.); Dionisi (Frosinone); Mandzukic (Juventus); Candreva (Lazio, 3 rig.); Gervinho (Roma); Soriano (Sampdoria)
scovate da
CARLETT
Bertolacci
Marchisio
Parentesi dedicata alla pallacanestro per il centrocampista del Milan reduce, come tutta la squadra, da una stagione di alti e bassi.
Compleanno con sorpresa della moglie per il campione juventino, ormai vera e propria bandiera della squadra bianconera.
De Silvestri Il difensore sampdoriano ci regala la sensazione che provano i giocatori appena gli arrivano le scarpette nuove.
Falcao Ormai da qualche anno, causa i numerosi infortuni, il campione colombiano non riesce più a esprimersi sui livelli ai quali ci aveva abituato. Gli auguriamo un pronto ritorno.
Immobile Appena tornato nella sua Torino, dopo le esperienze in Germania e Spagna, eccolo di nuovo andare in rete.
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Calcio 2OOO
Nesta Nuova avventura da allenatore per l'ex difensore di Lazio e Milan, nonché campione del mondo nel 2006 con la Nazionale.
Niang Chissà cosa stava dicendo Mario Balotelli all'amico e compagno di reparto in attacco, Niang?
Pirlo Due campioni italiani che forse hanno lasciato troppo presto il nostro campionato. Pirlo e Giovinco a colazione insieme a New York.
Il DJ/Speaker di RTL 102.5 Carlo CARLETTO Nicoletti seguirà i profili Instagram e Twitter dei giocatori più importanti del pianeta Calcio e ci segnalerà le foto e i tweet più divertenti e particolari. Segnalate quelle che magari potrebbero sfuggirgli scrivendogli al suo profilo Instagram e Twitter: @carlettoweb