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INTER-MILAN

le lacrime del diavolo

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abbiamo assistito ad uno dei derby più belli della storia del calcio meneghino. ve lo raccontiamo visto dagli spalti. emozione unica.

n giorno potremo dire ai nostri nipoti “Io c’ero”. Già, perché il derby del 9 febbraio 2020 rimarrà per sempre scolpito nella storia. Qualcuno obiet-U terà che qualsiasi derby è storico. Vero, ma qualcuno un po’ di più. Come quello del 6-0 a tinte rossonere del lontano (ma indimenticato dai tifosi milanisti) 2001, o quello – anche in questo caso in rimonta – del 3-2 (dallo 0-2) colorato sempre di rossonero del 2004 (con bolide di Seedorf a 6’ dalla fine). Beh, questa volta i nerazzurri si sono presi la rivincita. E con gli interessi. Perché nulla, forse, è più eccitante di andare all’intervallo in svantaggio di due reti e, poi, tornare sotto la doccia avendo ribaltato tutto. Non a caso, “chiuso per orgasmo” recitava uno striscione esposto in Curva Nord a fine partita. E speriamo che nessuno si scandalizzi. Ma se preferite possiamo dirla con le parole di Lele Adani: “Perché non c’è nessuno sport sulla faccia del pianeta che regali più emozioni del calcio”. Dopo aver assistito – per di più dal vivo – a questo Inter-Milan, non possiamo che essere d’accordo. E il fatto che la gara fosse ancor più carica di tensione rispet-

to a un derby “normale” (ammesso che ne esistano di derby “normali”), aggiunge ulteriori meriti alla “banda” capitanata da Mister Conte. Eh sì, perché la Juve il giorno prima aveva perso a Verona, concedendo all’Inter il più classico dei match point. E come se non bastasse, la Lazio pochi minuti prima dell’inizio della gara di San Siro aveva espugnato il Tardini, mettendoci il carico. Insomma, c’erano tutte le condizioni perché le gambe dei giocatori nerazzurri tremassero prima dell’ingresso in campo. E in effetti questa è stata la sensazione in avvio di partita. Ma procediamo con ordine: il 9 febbraio a Milano è la classica giornata invernale, fa freddo e scende una pioggerellina fine, di quella che ai bambini viene descritta come le “lacrime degli angioletti”. E di bambini verso San Siro ce ne sono tanti, chi con la sciarpa nerazzurra, chi con i vessilli rossoneri. Arriviamo un po’ prima, perché è sempre bello godersi l’atmosfera del derby e annusare la tensione. “Sai cosa ci vorrebbe stasera?”, chiede un tifoso interista al suo “collega”. “Una bella doppietta di Brozović. O se no sai cosa? Un bel gol di De Vrij. Da quanto non segna il muro olandese? Quest’anno ne ha fatti pochi…”. Che dire? A questo tifoso nerazzurro il premio Nostradamus. Ma la Vox Populi è davvero competente: “Ci può salvare solo Ibra. Speriamo stia bene fisicamente, perché è la nostra unica speranza”, gli fa eco un tifoso rossonero. Vero a metà, perché l’altra freccia all’arco del Milan è un signor allenatore, uno che si presenta al derby con quattro giocatori d’attacco, un pressing ultraoffensivo e un’intensità straordinaria che, almeno per 45’, fa perdere la bussola ad una squadra con diciannove (sì, diciannove!) punti in più in classifica. C’è chi parla di un Milan più difensivo perché Calhanoglu viene preferito a Leao, ma a destra c’è Castillejo e a sinistra – a sorpresa – un certo Rebić. Insieme al turco in marcatura su Brozović, il laterale croato è la mossa vincente dei primi 45’. Poi, ad inizio ripresa, proprio Calhanoglu si dimentica di seguire Brozović sull’azione dell’1-2 e da quel momento tutto cambia, ma questa è un’altra storia. Tornando a noi, entriamo in un San Siro ribollente di entusiasmo, attesa e tensione. Sull’ascensore incrociamo il bomber David Suazo che sbuffa, è teso anche lui come se la dovesse giocare. Il figlio lo guarda stranito. Per altro, ironia della sorte, incontriamo proprio l’honduregno, che qualche anno fa fu protagonista di un clamoroso derby di mercato. Promesso all’Inter, ma venduto da Cellino al Milan. Anche in quel caso, alla fine, la spuntarono i nerazzurri per volontà dello stesso giocatore che alla fine non firmò il contratto rossonero. Dovevamo capirlo, anche questo era un segno del destino su come sarebbe andata la gara. Ma lo stadio è pieno di VIP, come il CT della Nazionale Mancini, praticamente tutta la schiera degli gli ex interisti del Triplete e, ovviamente, la dirigenza rossonera, che in quanto a successi in bacheca non è da meno. Il derby non se lo vuole mai perdere nessuno, tanto meno uno così impor-

inter-milan 4-2

Stadio San Siro – Milano

INTER (3-5-2): Padelli; Godin, de Vrij, Skriniar; Candreva (80’ Moses), Vecino, Brozović, Barella, Young (94’ Biraghi); Sanchez (72’ Eriksen), Lukaku (Handanović, Stanković, D’Ambrosio, Ranocchia, Asamoah, Borja Valero, Agoume, Sensi, Esposito). All. Conte MILAN (4-4-1-1): Donnarumma; Conti, Kjaer, Romagnoli, Hernandez; Castillejo (80’ Leao), Kessié (81’ Paquetà), Bennacer, Rebić (84’ Bonaventura); Calhanoglu; Ibrahimović (Begović, A. Donnarumma, Musacchio, Gabbia, Calabria, Laxalt, Saelemaekers, Biglia, Brescianini). All. Pioli MARCATORI: 40’ Rebić (M), 45’ Ibrahimović (M), 50’ Brozović (I), 52’ Vecino (I), 60’ de Vrij (I), 92’ Lukaku (I) ARBITRO: Maresca AMMONITI: Vecino, Skriniar, Barella, Lukaku; Kessie NOTE: 75.817 spettatori

tante. Curiosità nella curiosità: a bordo campo ci sono anche due Stanković, uno fa il tifoso insieme all’amico Materazzi, l’altro siede sulla panchina nerazzurra. Si chiama Filip e si dà il caso che sia proprio il figlio di Dejan. L’infortunio di Handanovic gli spalanca le porte di una serata magica, che difficilmente dimenticherà. In porta, infatti, ci va Daniele Padelli: la sua partita non sarà indimenticabile, ma dopo tre anni di panca, il suo primo derby da titolare (alla veneranda età di 34 anni) non se lo scorderà comunque. Proprio l’estremo difensore nerazzurro è uno dei primi a calcare il campo di San Siro, accolto da un caloroso applauso d’incoraggiamento dei suoi tifosi. Non può sperare in altrettanto affetto Ibrahimovic, che ovviamente viene subissato di fischi dei suoi ex tifosi non appena il suo testone spunta dal tunnel degli spogliatoi. Zlatan fa finta di nulla, ma dopo il 2-0 avrà modo di vendicarsi posando da “Dio”, come lui stesso ha ribattezzando la sua esultanza, proprio sotto la sua vecchia Curva Nord. Il problema del Milan è che la benzina del 38enne svedese finisce troppo presto. Chissà, magari con un Ibra di dieci anni in meno sarebbe finita diversamente. I se, però, nel calcio non fanno gol. Ibra ne fa uno, ne fa fare un altro e colpisce anche un palo, non si può dire che il suo non l’abbia fatto. Ma anche qui stiamo anticipando i tempi. Eravamo ancora alla tensione pre-gara, con le tifoserie che si apprestavano a giocare la loro partita. Le coreografie sono pronte, prima però c’è uno spettacolo di luci da far andare in scena. San Siro diventa completamente buio. Ci pensano i tifosi rossoneri a riaccenderlo con l’aiuto dei loro smartphone e la Curva Sud si illumina a giorno con la scritta “Inter merda”. Ci scuseranno i suscettibili, ma è cronaca. Un’iniziativa non elegante, ma che non si può non definire “geniale” in ottica di sfottò. La sfida sugli spalti continua con una scenografia interista che ristabilisce la verità – ovviamente

secondo la visione nerazzurra – della battaglia di Sant’Ambrogio con serpente e Diavolo (che fa il verso alla coreografia dei cugini esposta all’andata): “Nella tua blasfema versione della leggenda – il messaggio dei tifosi nerazzurri recapitato ai dirimpettai - qualcosa non torna. La storia di Milano insegna, Sant’Ambrogio sconfisse il diavolo che nella colonna perse le corna”. Per chiudere la scritta “Vipereos mores non violabo”, motto della Dinastia Visconti usato allo scopo di ribadire la supremazia cittadina. Dal primo al terzo anello, praticamente un colossal. Dall’altra parte, invece, si accusano i “colleghi” di zabetteria (per i poco avvezzi, l’arte di farsi gli affari altrui e di sparlarne) con un disegno in stile fumettistico. Sempre un gran bel vedere: ancora una volta i tifosi rossonerazzurri offrono uno show nello show. E infatti i tantissimi tifosi stranieri, decisamente meno abituati a questo genere di spettacoli rispetto a quelli autoctoni, restano letteralmente a bocca aperta. È il momento dell’inno nerazzurro, che come al solito raggiunge l’apice di decibel alla strofa “Io non rubo il campionato e in Serie B non son mai stato”. Ogni riferimento non è puramente casuale. La partita inizia, ma dei diciannove punti di distacco non c’è nemmeno l’ombra. Il Milan stordisce gli avversari, li inibisce con un pressing a tutto campo, li sfianca per poi colpirli nel finale dei primi 45’, prima con Rebiće poi con Ibra (per altro autore anche dell’assist sul primo gol). È apoteosi rossonera. Dei cugini non c’è traccia. Lukaku prova a strapparsi le vesti come Hulk, ma i compagni sembrano addirittura impaurirsi ulteriormente davanti a così tanta veemenza. Il condottiero Conte in panchina capisce il momento di difficoltà e guida pure i raccattapalle: “Vai piano, tienila lì quella palla, facci andare negli spogliatoi a riordinare le idee”, sembra dire alla ragazzina fin troppo solerte a bordo campo. E ancora una volta il mister nerazzurro ci ha visto lungo, perché dalla pancia di San Siro esce un’altra Inter per il secondo tempo: Brozović, Vecino, De Vrij ribaltano tutto. L’ebbrezza è tanta, al punto che anche lo speaker perde le misure: il secondo gol lo attribuisce a Lukaku anziché a Vecino (e lo stadio gli va dietro celebrando il belga anziché l’uruguagio), poi

sostituisce Sanchez con Moses (ma in realtà entra Eriksen, che da lì a poco rischia di buttare giù la traversa con un missile su punizione da cinquanta metri!). Poco male, perché alla fine ci pensa proprio Hulk Romelu a mettere la ciliegina sulla torta saltando sulla testa di Kjaer. Al triplice fischio è un delirio nerazzurro, estasi collettiva, tifosi in lacrime, bambini sollevati come trofei. Lukaku si inginocchia a terra e dalla gioia rischia di spaccarsi la mano tanto è la forza con cui tira pugni al terreno di San Siro. Gli spalti ballano al ritmo di “Chi non salta rossonero è”. Fa lo stesso la squadra sotto la Curva Nord proprio laddove poco prima Conte aveva sfogato tutta la tensione, andando anche a fare il pieno di applausi. Il passato da nemico è ormai soltanto un lontano ricordo, ora è proprio lui ad incarnare l’interismo più acuto. Prima di svuotarsi, la curva la Nord non ha alcuna pietà dell’avversario e intona un “Non vincete mai” che sa di vendetta, visto che era il coro preferito dei cugini quando dominavano il giuoco (come lo pronunciava il Cavaliere), l’Europa e il Mondo. Rimaniamo ancora un po’ a goderci lo spettacolo, perché serate come queste per chi ama il calcio vanno vissute fino all’ultimo respiro. Restiamo praticamente gli ultimi sugli spalti di San Siro, finché un inserviente gentilissimo ci chiede la cortesia di lasciargli fare il suo lavoro. Quasi dispiace lasciare la postazione, ma di fatto lo spettacolo si è solo trasferito. I tifosi nerazzurri continuano a festeggiare sulle rampe che li portano dal secondo anello fino al piazzale. I cori non sono proprio da educande, ma vabbè, ci sta, fa parte del copione. “Non ci credo, che goduria. Non avrei scommesso un euro a fine primo tempo”. Già, forse nessuno. Eppure, è successo davvero, un’Inter epica (proprio come “EpicInter”, il titolo della Gazzetta dello Sport del lunedì) ribalta tutto e fa la storia. Al Milan e ai tifosi rossoneri non resta che leccarsi le ferite. Fuori da San Siro partono addirittura i caroselli dei cugini nerazzurri. E, guarda caso, riprende a scendere quella pioggerellina fine. Questa volta, però, è il Diavolo a versare lacrime amare.

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