Ritagli di CittĂ / MolteplicitĂ di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
Tommaso Asso
Politecnico di Torino relatore Francesca Governa correlatore Angelo Sampieri
ed il senso sparì: essendo lì, nel senso che mi sfuggì, seguendo l'istinto, tutto il senso che s'è letto, tutti i libri. Pasquale Panella
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Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
Tommaso Asso
Politecnico di Torino relatore Francesca Governa correlatore Angelo Sampieri
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indice introduzione
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capitolo uno
capitolo tre
.Comprendere la città contemporanea
.La città delle differenze 60 .le prime esplorazioni .Opportunità e struttura dell' imprenditoria etnica .Territorializzazione delle differenze
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. Appendice /1 - Tipologie commerciali . Appendice / 2 - Rappresentazioni
capitolo due .Torino: fenomeni migratori .Migrazioni storiche .Migrazioni straniere .Situazione attuale .Ipotesi di localizzazione .Il transetto Nord-Est
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capitolo quattro 26
.Una geografia delle differenze 148 .Spazi esterni. La retorica dell’incontro .Spazi interni e soglie: contatto, negoziazi one, convivenza e conflitti . Appendice / 3 - Spazi interni
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conclusioni
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. Appendice / 4 - Diario di campo
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bibliografia
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introduzione
“I will use this metaphor of the Mongrel city to characterise this new urban condition in which difference, otherness, fragmentation,splintering, multiplicity,heterogeneity, diversity. plurality, prevail.” (Sandercock, 2003, p. 1)
L’ obiettivo di questa ricerca è quello di raccontare come l’immigrazione e i fenomeni migratori stiano trasformando la città di Torino, e quale sia il ruolo delle differenze nel riconfigurare lo spazio fisico della città, con una particolare attenzione allo spazio pubblico. I fenomeni migratori e le crescenti manifestazioni di “ethnicity” (Amin 2002) che stanno interessando le città italiane anche se in epoca più recente rispetto ad altri contesti europei (a partire dagli anni 90) sono costitutivi dei processi di globalizzazione e hanno la caratteristica di riconfigurare lo spazio delle relazioni sociali in modi differenti, creando nuovi significati, e nuovi utilizzi. Secondo Sassen queste trasformazioni che avvengono nel tessuto fisico e sociale son i risultati visibili, pratici, della globalizzazione sulle nostre città “globalization needs to be thought of as a series of processes that are constituted by people as much as capital; for instance, it seems crucial to recognize that what we continue to think of as immigration is today an instance of globalization. There are consequences to this way of representing immigration. (Sassen, 1997, p 11) La città è quindi diventata un luogo dove le differenze sono questione ordinaria, paradigma costitutivo della città stessa, e dove non possono essere considerate come un’eccezione. La città contemporanea è sempre più spazio di intensa convergenza tra individui diversi che si spostano
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dentro e fuori i suoi tessuti urbani. Ma come possiamo imparare da una società multiculturale, come possiamo definirla se non sappiamo come riconoscerla? quali sono i modi in cui questa si mostra nello spazio fisico? Il dibattito sulla differenza si costruisce su una concettualizzazione del termine che ha cercato fin dalla tradizione della scuola dalla Scuola di Chicago di evidenziarne il carattere multidimensionale. Secondo Jacobs & Fincher questa impostazione teorica ha portato ad una proliferazioni di categorie di “diversi” che sono stati oggetto di studi e ricerche urbane ( i poveri, gli immigrati, le minoranze in generale) portando conseguentemente a visioni di città dove l’accezione veniva posta su una specifica categoria (la città delle donne, dei gay, dei bambini, degli immigrati..). (Jacobs & Fincher ,1998) Questa visione della differenza però mantiene un problema di impostazione e definizione. I concetti di differenza e diversità non sono infatti per natura etimologica termini che stanno da soli, non rappresentano una totalità, ma evidentemente un qualcosa che esiste data una contrapposizione. Contrapposizione che vede la diversità come un problema o una devianza rispetto ad una situazione “normale” facendo quindi coincidere giudizi, valori e quindi anche dei diritti. Questo ragionamento che vede la differenza come un’anomalia costruisce un immaginario che ha delle conseguenze spaziali.Gli spazi delle differenze si traducono in spazi insicuri, marginali, pericolosi, in cui la differenza deve essere assimilata, controllata e ricondotta entro la “norma”. (Governa, 2014) Immaginario che tende come sostiene Amin (2002) a criminalizzare le differenze, che mette degli accenti e dei giudizi di valore su pratiche che per alcuni sono democratiche, e per altri si trasformano in
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immagini di invasione. Lo stesso concetto di integrazione, almeno dal punto di vista etimologico rimanda a una definizione aprioristica della differenza, ad una mancanza, ad un problema, un’asimmetria tra una totalità e un gruppo. “In senso generico, il fatto di integrare, di rendere intero, pieno, perfetto ciò che è incompleto o insufficiente a un determinato scopo, aggiungendo quanto è necessario o supplendo al difetto con mezzi opportuni” (Integrazione, Dizionario Treccani) L’ipotesi di questo lavoro è quella di riconoscere alla città e ai suoi spazi il ruolo di generatrice delle differenze. Non luogo neutrale, contenitore dove le differenze si incontrano e si manifestano, “The city generates differences and assembles identities” (Isin, 2002, p.238) L’ipotesi di Jacobs e Fincher, condivisa altrove da Amin, Massey, Sennet, Sandercock è quella di considerare queste differenze una “normalità”, non una patologia, di coltivare una indifferenza alle differenze, la città come multiplicity in quanto tale. Concezione di una città plurale , che esiste senza contrapposizione ad un qualcos’altro, che tiene insieme la diversità senza giudizi di valore prestabiliti. “Mongrel city” come metafora di una condizione umana (costruitasi nella stratificazioni delle migrazioni storiche) in cui “normale” è l’ibrido, il “bastardo”, il mescolarsi delle differenze e delle culture, l’assenza di identità date e prestabilite. (Sandercock, 2003) In questa “città delle differenze” anche i paradigmi che utilizziamo per descriverla (la città multiculturale, interculturale) perdono il loro valore se non interpretati realmente sul campo. In questo senso questo lavoro sarà un tentativo di esplorare come la differenza lavora a livello urbano “how difference is experienced and negotiated on the ground and how social relations and social actors’ identi-
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Introduzione
ties are shaped and re-shaped in the process of urban inclusion/ exclusion” (Fincher, forthcoming) L'obiettivo della ricerca è quindi anche di carattere metodologico: come è possibile raccontare gli spazi delle differenze? La concezione delle differenze che è stata adottata riportando la questione sulle pratiche spaziali, discute il dominio e la prevalenza di interpretazioni parziali che si concentrano su esempi paradigmatici o su storie singole, e mette in evidenza la problematicità di una visione parziale, assoluta sull’urbano. La città contemporanea appare come una compresenza di spazi,e tempi, molteplici, reti , relazioni, soggetti e frammenti che si intrecciano in un’ indefinibile relazione tra globale e locale, dove le stesse trasformazioni sono frutto di cambiamenti economici, sociali e culturali che avvengono continuativamente a più scale. In questo senso Rob Shields (1995, p 245) interrogandosi su come relazionarsi a questa complessità, sosteneva “we need to construct multi-dimensional analyses which, rather than imposing monological coherence and closure, allow parallel and conflicting represen- tations to coexist in analysis.” Rapportarsi con l’eterogeneità dello spazio e delle pratiche significa inevitabilmente scontrarsi con quelle che sono le rappresentazioni “normali” (cfr Dematteis, 1985). Questo scontro verrà affrontato in maniera dialettica con riferimento al concetto di “ordinary city” proposto da Amin e Graham, in cui non prevale una visione totalizzante o una rappresentazione predefinita. "We would agree that the ‘city’ now needs to be considered as a set of spaces where diverse ranges of relational webs coalesce, interconnect and fragment. The contemporary city is a variegated and multiplex entity, a juxtaposition
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of contradictions and diversities, the theatre of life itself. The city is not a unitary or homogeneous entity and perhaps it never has been.” (Amin e Graham, 1997, p 418) Questa prospettiva verrà adottata per esplorare diverse rappresentazione di una parte di Torino, i quartieri di Barriera di Milano e Aurora, luoghi dove la concentrazioni e la visibilità delle differenze è più forte rispetto ad altre parti della città normalmente rappresentate come“marginali”. (Governa, forthcoming) Con l'obiettivo di proporre un racconto diverso, costruito guardando la città attraverso “la lente delle differenze” (Massey, 1993, p. 3) che metta in luce aspetti trascurati dalle rappresentazioni convenzionali su questa parte della città. L’ipotesi è quella di considerare Corso Giulio Cesare soprattuto (ma anche Corso Vercelli) come un’infrastruttura della migrazione, che a partire da Porta Palazzo si muove verso nord. Considerando questa strada come“spazio pubblico per eccellenza”, un grande condensatore di pratiche sociali, economiche, di mobilità, saranno osservati i segni visibili delle differenze nello spazio urbano alle diverse scale (dal "quadrante" nord della città, alla strada, ai singoli edifici, i negozi gestiti da immigrati). In particolare il fenomeno dell’imprenditoria etnica, che in quest’area ha in gran parte sostituito il tessuto commerciale italiano, costituisce un campo di spazialità differenti, un tessuto che ipotizziamo possa darci degli indizi su un differente uso dello spazio pubblico (ritrovi in strada, sulle soglie), e di un nuovo rapporto tra spazio esterno ed interno (confine incerto tra spazio pubblico e spazio aperto al pubblico), e che possa essere considerato come un capitale diffuso di innovazione sociale e urbana. Queste economie minime, questo campo di pratiche economiche minute che si aggrappano ad una area della città, alle sue infrastrutture, al suo
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Introduzione
tessuto, saranno utilizzate come filtro per guardare la città in un modo differente. La loro concentrazione, la loro disposizione crea, un insieme di spazi di opportunità, di scambio di informazioni, di relazioni sociali, di conflitti che ci racconta un’urbanità differente. ***
Percorso metodologico Questo lavoro nasce principalmente sul campo. E’ importante precisare che il processo di concettualizzazione stessa del tema nasce da una pura osservazione. Nella costruzione del tema, l’approccio è stato realmente quello di pensare la città come “Ordinary City” un luogo ordinario, spogliato di significati e rappresentazioni precedenti, dove sicuramente c’ è qualcosa di interessante da scoprire. Inserita all’interno di questo quadro teorico, questa ricerca è iniziata senza predefinite a priori i luoghi, i soggetti o le pratiche su cui centrare l’attenzione, ma ha provato a individuare “ciò che capita” in un area molto grande che da porta Palazzo si dirama verso nord. In particolare queste prime osservazioni hanno portato a interessarsi alla popolazione straniera, e successivamente hanno cercato di definire i luoghi e le spazialità dove apparisse visibile questa presenza, in un tentativo di delinearne una geografia. Questa osservazione non è stata lineare ( prima il campo e poi i dati o viceversa) ma è stata accompagnata da una lettura quantitativa dei dati statistici e demografici, per poi andare a vedere effettivamente cosa c’era, e cosa significa una alta percentuale di popolazione straniera negli spazi della città.
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Man mano che l’osservazione procedeva sono stati sollevati temi differenti, finche sono stati selezionati degli elementi e degli spazi che si è ritenuto avessero delle potenzialità urbane o che potessero essere interessanti a scala cittadina. Il cosa indagare, il tema della ricerca, si è perciò costruito poco a poco come un’osservazione personale. Se i luoghi sono stati scelti “coi piedi” questo non significa che si sia voluto definire un’area delimitata o tantomeno un quartiere. Durante le “flanerie” l’elemento che è stato ritenuto più interessante come trasformazione dello spazio fisico della città, è stato l’inserimento dei migranti nel tessuto commerciale. La forte presenza di spazi commerciali stranieri in questa parte della città, costituisce un’insieme che modifica l’utilizzo, l’accessibilità e la porosità dello spazio pubblico e della strada. E’ stato perciò mappato, e si è rivelato come un “campo”: una geografia di interstizi, ritagli di spazio nel piano terra commerciale degli edifici. Successivamente con un ulteriore salto di scala, è stato selezionato un luogo (addensamento di spazi economici differenti e di una piazza) all’interno del quale immergersi concentrandosi sulle pratiche spaziali, su ciò che accade, seguendo gli indizi della vita quotidiana. Questo sguardo però, come spiegato precedentemente, ha sempre cercato di essere mobile di passare dal micro al macro, dallo spazio singolo disegnato e descritto, “a ciò che si dice” , alle rappresentazioni “normali” fino a delle analisi quantitative, come ad esempio le analisi statistiche sulla popolazione straniera e gli scenari economici sull’imprenditoria straniera. Il tema delle rappresentazioni, tra le quali consideriamo anche quella quantitativo statistica, è sempre rimasto sottobraccio durante l’esplorazione, e verrà utilizzato come controparte alla restituzione della ricerca. D’altra parte secondo Dematteis (1985) o altrove Castree e Wright
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Introduzione
(2005) una ricerca socio spaziale è rilevante nel momento in cui rende le rappresentazioni normali, non solo strane, ma inaccettabili. In un certo senso, questo processo permette di discutere le rappresentazioni, farle atterrare sulla città, considerandole comunque una parte fondamentale nella costruzione dell’immaginario di questi luoghi, immaginari parziali e semplificati che comunque ci dicono qualcosa sui temi e i luoghi studiati. La ricerca verrà strutturata quindi come un dialogo personale tra lo sguardo del ricercatore, le intuizioni e le ipotesi soggettive, e le rappresentazioni normali. Questo dialogo sarà l’oggetto di alcune schede, degli inserti che combinano delle foto personali, dei ritagli di cronaca, secondo alcune di queste rappresentazioni. Il linguaggio più scelto sarà quello visuale, senza testo. Il linguaggio fotografico e le fotografie fatte sul campo saranno utilizzate con un valore testuale per discutere le rappresentazioni, per accompagnare alcune riflessioni e raccontare questo insieme di piccole spazialità. Lo sguardo del ricercatore si è costruito mano a mano secondo una metodologia etnografica, l’idea perciò di fondo è quella di raccontare i luoghi studiati in modo che l’eventuale lettore riesca a immedesimarsi, a immaginare, a sentire gli odori, i suoni, la musica, e anche i sapori di questi luoghi. “allow the eventual readers(..) to imagine being there, standing in their shoes, understand things the way they did then and there” (Crang e Cook, 2007, p 375 ) Per fare ciò saranno riportati frammenti di racconti (tratto da un diario di campo tenuto durante l’arco temporale della ricerca) che cerca in qualche modo di dare delle suggestioni, raccontando fedelmente un’ esperienza personale di interazione ma anche di partecipazione con all’oggetto di studio.
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Per facilitare questa immedesimazione del lettore con il ricercatore, questi frammenti saranno scritti seguendo come ispirazione letteraria il lavoro di George Perec, come modalità di descrizione del quotidiano e della descrizione dettagliata anche sotto forma di elenchi. In particolare ci riferiamo a “Les Choses. Une histoire des années soixante”, “L’Infra-ordinaire” ma anche “La Vie mode d’emploi" come racconto di un territorio sociale. (Perec, 1966, 1996, 1984) ***
Struttura della ricerca Il primo capitolo approfondirà sul piano metodologico le posizioni teoriche dalle quali ci siamo mossi per strutturare la ricerca. Sarà introdotto lo studio delle pratiche, il cosiddetto il cosidetto “practice turn” della ricerca spaziale (Shatzky et al, 2001) come possibilità di superare una concezione unitaria sulla città. Inoltre verrà discusso il metodo etnografico utilizzato, proponendo il campo delle “non rapresentational Theory” (Thrift, 2008) come tentativo di innovare il bagaglio metodologico consolidato attraverso eclettismo metodologico e sperimentazione (Law, 2004 ). Nel secondo capitolo si cercherà di ricostruire brevemente i flussi migratori nella città di Torino da un punto di vista quantitativo, con particolare attenzione all’andamento dei flussi migratori stranieri. Il lavoro si concentrerà principalmente sugli ultimi due decenni per poi contestualizzare la situazione attuale a scala cittadina. Successivamente con un salto di scala si analizzerà quadrante nord-est della città che collega Porta Palazzo a Barriera di Milano, cercando di dimostrarne la rilevanza come luogo principale e preferenziale per la
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Introduzione
localizzazione delle differenze etnico culturali; una vera e propria città nella città che sarà l’oggetto di studio di questa ricerca. Le considerazioni saranno principalmente basate su dati demografici dei residenti registrati all’anagrafe del Comune di Torino, tenendo in considerazione per quanto possibile, anche le stime dei migranti irregolari e le regolarizzazione dovute ai decreti leggi in materia di immigrazione. Il terzo capitolo sarà un resoconto delle prime esplorazioni e considerazioni sull’area di studio. Durante l’osservazione verrà motivato l’interesse per l’imprenditoria etnica visto come elemento di territorializzazione delle differenze, e possibilità di accesso alla città. Discutendo di come alcuni utilizzi di questi spazi possano ridiscutere alcune delle categorie e delle retoriche che utilizziamo per definire lo spazio pubblico della città. Inoltre verrà ripercorsa una letteratura sull’imprenditoria etnica interrogandosi in particolare sulle modalità e le cause di costruzione dell’opportunità imprenditoriale per la popolazione straniera. Il quarto capitolo, costituisce il vero lavoro di immersione nell’eterogeneità di uno spazio. Uno spazio fisico nel quartiere di Barriera di Milano che mette in relazione un addensamento di attività etniche e uno spazio pubblico tradizionale. Lo spazio pubblico e i singoli spazi interni verranno discussi secondo alcune delle rappresentazioni relative al quartiere, secondo le pratiche che si svolgono, la frequentazioni e le relazioni che si creano tra le differenze presenti. Questa discussione sarà affrontata riportando la propria esperienza sul campo sotto forma di frammenti di racconto. Ogni spazio singolo di cui si è parlato sarà accompagnato dal disegno,
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fedele riproduzione di questi spazi (cercando di essere fedeli all’arredamento interno, agli oggetti presenti e ai colori) ma rappresentati nella loro astrazione data dal disegno tecnico assonometrico per evidenziare anche questa contrapposizione tra il disegno architettonico e le pratiche che si svolgono al loro interno. Il disegno architettonico in scala, con le reali misure, dimensioni e distribuzione interna degli spazi, sono considerati qualcosa che aggiunga valore alla ricerca etnografica. Accostati al disegno saranno riportati i dati raccolti nel diario di campo, relativi ad un preciso intervallo temporale e organizzati in alcune schede, che cercano di interrogarsi sull’utilizzo e la frequentazione di questi spazi. ***
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Introduzione
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capitolo uno
comprendere la città contenporanea The present epoch will perhaps be above all the epoch of space. We are in the epoch of simultaneity: we are in the epoch of juxtaposition, the epoch of the near and far, of the side-by-side, of the dispersed. We are at a moment, I believe, when our experience of the world is less that of a long life developing through time than that of a network that connects points and intersects with its own skein”. Michael Foucault, 1986
Questa ricerca cerca di sviluppare e confrontarsi con un sospetto, cioè quello che nelle descrizioni della città contemporanea ci sia sempre un posizionamento a priori dello sguardo. Sospetto che questo posizionamento sia selettivo o “telescopico”, che quindi scelga cosa guardare mettendo a fuoco certi aspetti e non altri, costruendosi necessariamente secondo una visione semplificata dei problemi (Amin 2008). Secondo Kramer & Short ”urban theory longstanding , primary focus on cities economics, social and political structure. rather than on their sensual spatial negotiation” (Kramer and Short, 2011, p.325). Questa considerazione quindi evidenzia un problema innanzitutto ontologico che è indissolubile dalla sua struttura metodologica, è possibile comprendere la città contemporanea? Quali strumenti, quali tecniche, metodi abbiamo a disposizione? Non si vuole dare una risposta definitiva a queste domande che hanno animato e continueranno ad animare il dibattito sull’urbano, quello che vogliamo fare è prendere come postulato fondamentale di questa ricerca l’assunzione che lo sguardo conti, che lo sguardo sulla città non sia mai neutrale, e che non possa mai essere completo, unitario, quindi che sia sempre parziale. “How we look at cities—this is hardly news—matters.” (Lancione, 2013, p. 474).
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Teoricamente questo lavoro si vuole inserire nella scia tracciata da Amin e Thrift nel loro saggio “Cities; reimaging the urban” (2005), condividendone quella che loro definiscono “un’ontologia essenziale” della città, per cui essa “è composta da entità/associazioni/unioni reali e potenziali al di fuori delle quali è impossibile trovare qualcosa di più realistico”. Un “ontologia dell’incontro e dell’unione basata su principi di connessione, estensione e novità continua. Le cui parole d’ordine possono essere considerate “processo” e “potenziale”(pp. 49, 50). Ontologia che presuppone uno sguardo che deve essere costruito attraverso un’approccio diverso, capace di rendere atto degli eventi imprevedibili, eccezionali sia di “quello che succede ogni giorno, il banale, il quotidiano, l’evidente, il comune, l’ordinario, l’infra-ordinario, il rumore di fondo, l’abituale” (George Perec, 1994, p.11), che racconti ciò che accade, ciò che rende uno spazio fisico “un luogo vivente e non vissuto”(Massey, 2006). La complessità dell’urbano è qualcosa che forse non possiamo comprendere, che forse possiamo solo provare a raccontare in modi differenti. Che si tratti di una ricerca urbana o di un progetto la domanda rimarrà sempre quella che si fa ininterrottamente Tshumi nel suo libro “Architecture and disjuntion" (1996). Ovvero come, e se sia possibile progettare uno spazio fisico, che sia capace di rapportarsi con una realtà che è azione e movimento, continua giustapposizione di layer fisici e non, di immagini, rappresentazioni, e emozioni come ci insegna il bellissimo lavoro di Bruno Latour & Emilie Hermant “Paris: la ville invisible" (Latour, 2004). Questa convinzione riporta quella che è una domanda insolubile, quella ontologica, su un piano metodologico: la costruzione di uno sguardo e quindi di una metodologia, gli strumenti analitici della ricerca diventano fondamentali e ne costituiscono i risultati, o gli eventuali interventi.
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Ogni tipo di analisi o indagine urbana non può essere considerata“value free”, la sua parzialità intrinseca ha delle conseguenze pratiche: la metodologia fa il progetto e molti progetti sia fisici che di ricerca sono figli di un tipo di approccio metodologico codificato (Governa, Memoli, 2011). In questo senso sembra evidente come le modalità di analisi e costruzione di un problema si misurino inevitabilmente con gli strumenti che si hanno a disposizione per affrontarlo o addirittura, alcune analisi vengono costruite come giustificazione di una determinata soluzione. Seguendo questo nesso, discutere le rappresentazioni consuete sulla città contemporanea, significa quindi anche discutere e proporre delle metodologie o un loro diverso utilizzo che riescano a far emergere qualcosa di differente, di contraddittorio che metta in discussione alcune delle nostre sicurezze sulla città contemporanea. Questa ricerca perciò deve essere letta anche come una ricerca o un esplorazione metodologica. Un esplorazione delle modalità di fare ricerca urbana che ha anche l’ambizione di ricostituire il binomio rappresentazione- progetto o analisi-progetto, che non può essere trattato come due fasi distinte o separabili. In questa ricerca il tentativo è stato principalmente di indagare gli spazi dell’economia straniera, e la loro interazione con lo spazio fisico e con la dimensione fisica e sociale della città . Questo insieme di spazialità si rivelerà un campo, un tessuto denso di pratiche e di luoghi che vengono trascurati da queste grandi rappresentazioni, o da quelle consuete e che quindi ci permettono di ridiscuterne alcune. Rappresentazioni portate avanti dalle grandi trasformazioni urbane, dai progetti di riqualificazione e rigenerazione, assimilabili alle politiche neoliberiste in generale (cfr Brenner e Theodore, 2005), ma intrinseche nelle grandi categorie conoscitive che utilizziamo per comprendere la città europea, tra le tante, centro periferia, spazio pubblico, quartiere , etc. che fanno sem-
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capitolo uno
pre coincidere un giudizio di valore da una parte o dall’altra. Questi spazi oggetto della ricerca, proprio per la loro caratteristica di essere effimeri, nascosti, economie minime, risultano quasi invisibili all’interno del panorama economico cittadino, ma in realtà hanno un valore importante per la città proprio perché si presentano come un tessuto, una rete che ridiscute i modi di utilizzare lo spazio e le relazioni socio-spaziali al suo interno. Ma come è possibile raccontare, rendere un’idea di questi spazi, di quello che succede al loro interno di come vengono vissuti, di come cambiano la città? L’applicazione standard e ripetitiva di metodologie codificate come accennato, può ricondurre ad una determinata rappresentazione. All’interno di questa ontologia della città proposta da Amin & Thrift i fenomeni urbani non possono essere studiati tramite un approccio unico, ideale, codificato; il mondo per Thrift è qualcosa che possiamo solo capire parzialmente (Thrift, 2007). Questo discorso vale in modo equivalente che si tratti di metodologie quantitative e qualitative, ed in particolare quando queste vengano usate in maniere troppo ortodossa. Per questo nel caso specifico è stato scelto di affrontare questa dicotomia (tra quantitative e qualitative) in modo aperto, cercando di utilizzarle entrambe per ciò che riescono a raccontarci, conoscendone quindi anche i limiti e considerando i risultati come un’insieme di rappresentazioni, di “sketch” nelle parole di Thrift "there is (...) no big picture of the modern city to be had, but only a set of constantly evolving sketches" (Thrift, 1996, p. 1485). Cercheremmo di esplorare le potenzialità di accostare varie metodologie, e di superare l’antitesi la contrapposizione (o l’una o l’altra) tra queste due categorie di indagine che crediamo contribuisca a creare una visione povera, semplificata della città.
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Per quanto riguarda l’utilizzo delle metodologie quantitative in particolare, verranno utilizzate quanto possono darci qualche scenario importante di riferimento. Infatti quantificare e misurare sono operazioni che indubbiamente, come sostiene Winchester “presentano i vantaggi di adeguare contenuti e metodi di descrizione geografica al metodo scientifico, favorendo il rapporto con altre scienze consentendo una maggiore incisività delle analisi, rendendo misurabili i comportamenti e le vicende umane" (Winchester 2005, cit da Governa, Memoli, 2011, p.170). Consapevoli però che è proprio la capacita’ di rendere conoscibile misurabile e descrivibile un fenomeno che porta comunque alla necessita’ di operare una netta semplificazione della realtà’. Anche una metodologia quantitativa rappresentando comunque una scelta, cioè di cosa misurare e perché, consiste quindi in una parte soggettiva sia in fase di definizione che di interpretazione successiva dei risultati. Nel nostro caso specifico i dati statistici, risultano molto interessanti fin quando si parla di macro aree. Riescono a dare un idea dei fenomeni demografici, economici o sociali, ma riescono a contenerne solo una parte, ne danno una rappresentazione. Come vedremo riguardo ai dati demografici sulla popolazione straniera la quota sommersa non documentata dai dati statistici è talmente grande da poter sconvolgere qualunque studio sui fenomeni migratori in particolare nei primi periodi di immigrazione straniera (quando la legislazione italiana era più acerba). Inoltre nel caso analizzato della piccola economia etnica, stiamo parlando di un fenomeno che in molti casi si posiziona al di fuori delle statistiche economiche della città; se considerato il peso sui dati aggregati dell’intera città (ma anche delle circoscrizioni) risulta quasi inconsistente, quasi da risultare invisibile ad una rappresentazione quantitativa.
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Per questo è necessario esplorare il campo più vago e complesso delle metodologie qualitative, dove la sperimentazione e l’eclettismo è sicuramente maggiore soprattuto nella geografia e nelle scienze sociali dove si è sempre più riconosciuto il bisogno di riconoscere quello che Latham definisce “the event-ness of world, along with the profound importance of affect in the unfolding of this event-ness” (Latham, 2003, p.1902). Secondo Kramer and Short questo interrogarsi sulla natura della ricerca urbana può essere rintracciato a partire fine degli anni 80, in parte grazie alla circolazione e ad alcune traduzione dei lavori di Lefebvre, De Certau ma anche Simmel. A partire da questo momento storico riaffiora negli studi urbani in generale e nelle scienze sociali la necessità di riscoprire e ridare spazio alla soggettività e al quotidiano “the embodied, the subjective, the reflexive and the every day” per ripensare e e riconfigurare le discussioni sugli effetti della rapida globalizzazione delle città e della loro trasformazione radicale (Kramer and Short, 2011, p.5). L’impossibilità di codificare, di rinchiudere qualsiasi fenomeno urbano all’interno di categorie predefinite rende necessaria questa sperimentazione metodologica. nelle parole di Kramer e Short questa rinnovata attenzione “on the complex, provisional, trasgressive, intersubjective and encounter drive dynamics of the globalizing cities” ha portato alla realizzazione “that this dynamics required ethnographic acuity and aesthetic sensitivity for their full effect” (Kramer and Short, 2011, p. 5). Ad una realtà mutevole e processuale deve rispondere una metodologia sperimentale. Il ricercatore nella concezioni di Nigel Thrift deve imparare a lavorare con le contraddizioni e i paradossi che sono propri della realtà urbana “we live in a multi-verse, not a uni-verse, in which intersection, transfer, emergence and paradox are central to life’’ (Thrift,
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2002, p. 6). D’altro canto anche le metodologie qualitative se applicate secondo modelli o canoni predefiniti non riescono a relazionarsi con la complessità urbana. Perciò risulta necessario tentare di superare questa ortodossia metodologica (Crang, 2007) cercando di tenere insieme e intrecciare diverse metodologie di ricerca, con lo scopo di una rappresentazione diversa, soggettiva data da impressioni, esplorazioni sul campo, assemblaggio di numerose tecniche di rappresentazione e di interazione con l’oggetto di studio. Questa attenzione per le pratiche, che definisce il cosiddetto practice turn delle scienze sociali (Schatzki et al., 2001) riporta quindi al centro della nostra esplorazione metodologica la figura dell’etnografo. “L’etnografo infatti è colui che è interessato a comprendere l’altro, a prendere parte in prima persona ai riti e ai rituali della vita quotidiana per analizzare i codici interpretativi e familiarizzare con le risorse e i vincoli di un territorio sociale” (Cancellieri, 2013, p.126). Scopo dell’etnografo secondo Crang e Cook “ is to understand parts of the world more or less as they are experienced and understood in every day lives of people that lives them out” (Crang, Cook, 2007, p.120) Per fare ciò la tecnica utilizzata principalmente dagli etnografi è quella della cosiddetta osservazione partecipante, in cui il ricercatore cerca di instaurare un rapporto diretto con l’oggetto di studio. Nel nostro caso questa tecnica verrà portata avanti con lo scopo di analizzare e raccontare le azioni e le relazioni che si instaurano in un determinato spazio, e successivamente per indagare la relazione tra le pratiche e le rappresentazioni. Utilizzando un approccio etnografico e quindi spostando l’attenzione come sostiene David Crouch dal macro al micro, ai dettagli, allo specifico e al particolare evento nello spazio è possibile capire, dare un
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capitolo uno
interpretazione e apprezzare il significato delle azioni quotidiane, e della loro importanza per le persone coinvolte. (Crouch 2003, cit da Latham, 2003). Come direbbe Ginzburg l’ attenzione al marginale, all’anomalo come spia che “ permette di accedere a verità profonde altrimenti inattingibili”(Ginzburg, 1986, p.165 ). E’ importante però precisare come l’etnografia non cerchi un posizionamento al di fuori dell’oggetto di studio, non si tratta di osservazione scientifica in cui questa separazione tra oggetto e osservatore è ricercata. In questo senso, l’osservazione è considerata intervento, proprio per la sua caratteristica di interagire con i soggetti e i luoghi di studio. Questa interazione è comunque da considerarsi un’azione che non può essere neutrale rispetto al campo, in quanto la presenza del ricercatore è comunque un elemento che altera l’oggetto di studio. Per questo la caratteristica di questa osservazione è quella di essere performativa, di considerare il proprio lavoro come primo e inscindibile atto di interazione, e di appropriazione. Quindi cercheremo di muoversi nello spazio praticandolo, percependolo attivamente, cercando di avere quell'atteggiamento che Dewsbury definisce “of witnessing, a stance that is oriented towards being in tune to the vitality of the world as it unfolds”, permette eliminare la distanza tra ricercatore e oggetto di ricerca. (Dewsbury 2003, cit da Latham 2003, p.1903). Ricercatore che così è allo stesso tempo “passive-active outsider-insider actor” (Flowerdew & Martin, 2005, p.333) immerso nella spontaneità e incertezza della vita quotidiana, capace di inserire nell’analisi le proprie impressioni ma anche le proprie interpretazioni critiche. In particolare l’utilizzo di diverse metodologie assemblate ci permette, di costruire più sguardi o uno sguardo molteplice per assemblamento, che tiene conto delle differenze proprio perché le riesce ad accostare a mettere in relazione dialettica. Questo vale sia per l’oggetto di studio,
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Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
ma soprattutto per il ricercatore, in quanto la costruzione di più’ sguardi (o almeno due, dentro/fuori) permette di lavorare attivamente con la complessa dicotomia insider-outsider della ricerca urbana. Non c’è nessuna presunzione di essere distaccati e oggettivi sull’oggetto di studio, e la caratteristica dell’etnografia è proprio quella di riflettere costantemente su questa dicotomia. Infatti nella consapevolezza che questa divisione binaria, per contrapposizione netta, sia in realtà molto sottile e impraticabile, si cercherà di tenere insieme le due modalità di racconto. Lasciando che sia questa dialettica a far vedere cosa resta fuori dall’uno o dall’altro e cercando sempre di tenere alto il livello di eclettismo metodologico e sperimentazione (di linguaggi, strumenti, tecniche) (Law, 2004 cit da Governa 2013). Importante è proprio questa capacità di riuscire a mantenere sempre questa dialettica attiva, di non dare esagerata attenzione ai dettagli e ai fenomeni minori dimenticandosi dei più ampi scenari di riferimento o viceversa, come scrive Felski (2000) “the everyday is not a safe haven but rather a never ending task.” Questo approccio alla realtà urbana che utilizzeremo come “background hum” (Lorimer, 2005; 2008; Governa, 2013) è quello definito da Thrift come il campo delle non rapresentational-theory , che permette nelle parole di Lorimer “ to conceive of representation (context) and non-representation (practice) held together – albeit sometimes in tension – rather than effecting a complete reversal of the earlier disciplinary tradition when signifying (con)texts were privileged over social actions " (Lorimer, 2008, p.4). Il suo presupposto è comunque quello di cercare un modo per raccontare dei luoghi della città, utilizzare appunto come strumenti empirici della ricerca tutti quelli che possano dirci qualcosa , come i dati statis-
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capitolo uno
tici, i racconti, gli odori , i suoni cercando di riprodurre una situazione sociospaziale nella sua totalità. Per questo l’eclettismo metodologico risulta fondamentale, trapassando confini disciplinari e utilizzando strumenti e tecniche che possono essere dell’arte, del cinema, della musica o dell’architettura. Non a caso sono sempre più le sperimentazioni che accostano arte e ricerca urbana o ne comparano l’essenza soggettiva dell’una al lavoro sul campo dell’altra (cfr Kramer and Short, 2011). Quindi non partire da definizioni a priori, ma interrogarsi su quello che succede, dando attenzione alle storie individuali radicate nello spazio in un processo che non è lineare e che quindi riesce a tenere insieme più scale e più interpretazioni, crediamo sia un modo soggettivo di relazionarsi alla complessità viscerale del mondo e della città e che in questo senso sia assimilabile al progetto, in quanto costruzione di uno sguardo sulla città. ***
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capitolo due
migrazioni
Migrazioni storiche. Torino è stata nel novecento palcoscenico di ingenti flussi migratori. Flussi in entrata con geografie di provenienza complesse e differenziate, ma anche emigrazioni (l’Italia è stato principalmente luogo di emigrazioni duranti l’arco del secolo) hanno continuamente rimescolato la popolazione cittadina, andando a connotare della città non solo nuovi immaginari, paradigmi, pregiudizi, rappresentazioni, ma anche portando trasformazioni fisiche nei suoi spazi, nei suoi quartieri e nelle sue architetture. In questo capitolo ci interesseremo principalmente delle migrazioni straniere, ma per comprendere le dinamiche di questo fenomeno non possiamo prescindere da un riepilogo dei flussi migratori intranazionali che hanno investito la città nella seconda metà del secolo. 1 La storia delle migrazioni infatti ci insegna come le logiche di localizzazione spaziale, le dinamiche di insediamento e spostamento dei migranti italiani all’interno del territorio torinese, avranno molte caratteristiche comuni con la grande ondata successiva di migrazione internazionale. Sono numerosi i casi in cui l’immigrazione straniera si inserirà proprio nello spazio colonizzato dall’immigrazione precedente, andando a sollevare questioni che per certi versi non sono altro che una complessi-
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1. In particolare il quadrante nord-est e il quartiere di Barriera di Milano, storica borgata operaia con un alta componente di popolazione originaria del meridione, è stato dagli inizi del 2000 interessato da un aumento di popolazione straniera.
2. Per approfondimenti sulla torino Fordista, Pierre Gaber, 1964, "Turin, la ville industrielle".
3.
Fonte : Osservatorio Torino, 2006
ficazione di quelle che avevano interessato gli immigrati meridionali dal secondo dopoguerra in poi. Senza approfondire la storia dell’immigrazione del capologuo Torinese nel corso del 900, sicuramente capitolo fondamentale della sua storia urbana, è sufficiente scorrere i numeri che l’hanno investita per avere una idea del peso del fenomeno. La Torino fordista “one company town” 2 con la produzione automobilistica di massa, ma anche con un panorama industriale non necessariamente legato alla Fiat, vive la stagione del miracolo economico richiamando un vero e proprio esodo interregionale che trova principalmente nell’Italia meridionale un serbatoio di manodopera. Questo incremento inizia a diventare di grande portata a partire dagli anni 50. Infatti se prima i flussi migratori in entrata erano principalmente di natura infraregionale, tranne una quota consistente di arrivi dal nord est e in particolare dal veneto, a partire dalla metà del secolo iniziano ad allargarsi alle altre regioni italiane. Basta uno sguardo ai dati demografici per rendersi conto del cambio di passo del fenomeno: il 53 è l’anno in cui possiamo datarne l’esplosione, che continuerà in modo costante fino alla metà degli anni 70. Se infatti Torino si affacciava alla soglia di metà secolo con una popolazione di poco più di 700 mila abitanti, Il trentennio successivo 50-80 restituisce una città con circa 500 mila abitanti in più, di cui la maggioranza di provenienza meridionale. Dal punto di vista demografico, questo trentennio parla di 1 300 000 immigrati contro 900 mila emigrati, i quali ricominciano a salire dopo il 1975.3 Da notare come analagomante al resto del panorama nazionale, in questo periodo storico le migrazioni straniere sono pressoché irrilevanti rispetto a quelle nazionali attestandosi sempre nell’intorno delle duemila unità per anno. Certamente bisogna considerare anche l’assenza di un
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Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
programma legislativo per la regolarizzazione degli immigrati stranieri senza documenti, la prima legge italiana in materia di immigrazione verrà appunto approvata nel 1986. L’immigrazione intrazionale comporta invece un aumento demografico spaventoso rappresentabile con l’aggiunta di una città italiana di medie dimensioni. Questo incremento trasforma totalmente la città, non solamente sua composizione sociale e demografica, ma soprattutto dal punto di vista dello spazio. Stiamo raccontando della colonizzazione di interi tessuti urbani (del centro storico ad esempio e dei quartieri di inizio novecento) ma anche genesi delle cosiddette borgate operaie, delle periferie storiche, di molti quartieri di edilizia popolare della corona attorno al centro storico che in questi anni hanno visto la propria costruzione fisica o sociale. In particolare gli anni 60 rappresentano per Torino il decennio d’oro dell’immigrazione meridionale: arrivarono circa 60 mila pugliesi, 70 mila siciliani, 35 mila calabresi, 30 mila campani. Il picco si tocca nel 1961 con l’ingesso di circa 84 mila nuovi residenti di cui circa 60 mila provenienti da altre regioni italiane. Questi flussi rimangono costanti sostanzialmente fino al 74 anno in cui Torino tocca la sua quota massima di popolazione, esattamente 1 202 846 residenti, con circa 360 mila nuovi arrivi nel decennio 70 80 appunto circa 500 mila in più rispetto alla quota degli anni 50.4 E’ proprio da questa data, dalla secondo metà degli anni 70 che inizia a intravedersi una crisi del sistema economico-produttivo, che si consoliderà negli anni 80 portandosi dietro un decremento demografico con saldi negativi di circa 20 25 mila unità per anno. La fine del miracolo economico insieme una congiuntura demografica, comune peraltro a tutto il mondo occidentale, caratterizzata da crescita zero e dal progressivo invecchiamento demografico, hanno di fatto nell’ultimo trentennio depauperato la popolazione torinese.
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Per approfondimenti sulla vita degli immigrati meridionali si rimanda ad un famoso libro di Goffredo Fofi, "L’immigrazione meridionale a Torino"(1964).
4. Fonte : Osservatorio Torino, 2006.
capitolo due
fig. 1, Torino.Foto satellitare,1955 . Fonte: Istituto geografico militare. fig. 2, Ripartizione dei nuovi arrivati a Torino dal Meridione nel 1957. Fonte: Pierre Gaber, 1964, Turin, la ville industrielle.
In questo periodo sono piĂš i flussi di emigrazione che quelli in entrata: gli anni 80 rappresentano un decennio di forti emigrazioni con un saldo negativo di circa 150 mila persone.5 Per quanto riguarda invece i flussi in entrata oltre ad essere fortemente ridimensionati, cambiano le geografie di provenienze che tornano ad avere apporti maggiori dalla regione e dalla prima e seconda cintura della provincia torinese. E proprio in questo contesto degli anni 80 di fuga dal capologuo torinese, di forte decremento demografico e di crescita zero della popolazione a livello nazionale che inizia a manifestarsi il fenomeno della migrazione straniera. Gli anni 90 verranno ricordati principalmente per la globalizzazione dei flussi migratori; il fenomeno della migrazione straniera ha acquistato dimensioni sempre maggiori sebbene con geografie di provenienza che si sono differenziate fino ai giorni nostri.
*** 5. Fonte : OsservatorioTorino, 2006.
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1950-1980 Ritagli di CittĂ / MolteplicitĂ di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
Flussi migratori
(x1000)
90
Piemonte Altre regioni
80
Estero
70
60
50
40
30
20
10
10
0
1950
32
1952
1954
1956
1958
1960
1962
1964
1966
1968
1970
1972
1974
1976
1978
capitolo due
Migrazioni straniere Dall’inizio degli anni 90 la popolazione cittadina inizia a crescere, non tanto per l’apporto di nuovi nati italiani o per migrazioni interne al territorio nazionale, ma in particolare per l’aumento dei flussi migratori dall’estero. Il fenomeno è riscontrabile a livello nazionale, In particolare il saldo migratorio dal 1993 (anno in cui per la prima volta il saldo naturale italiano ha segnato un valore negativo), è diventato il solo responsabile della crescita della popolazione italiana. L’ afflusso preferenziale si concentra nel nord; secondo il bilancio demografico nazionale ISTAT del 2011 la distribuzione dei cittadini stranieri sul territorio italiano è fortemente disomogenea: nel Nord-ovest risiede il 34,4% degli stranieri, nel Nord- est il 25 %, nel Centro il 25,4% e nel Mezzogiorno e isole il 15,2% (considerando anche un aumento dei flussi migratori verso il mezzogiorno dal 2008).6
6. Fonte :Istat, 2011. 7. Fonte :Istat, 2014.
Generalmente il meridione rappresenta per una fetta dei migranti il primo luogo di ingresso dal quale poi spostarsi verso il centro-nord dove le possibilità occupazionali sono maggiori. Inoltre la grande città rappresenta il primo approdo per la ricerca di opportunità (Istat stima 2/3 dell’immigrazione straniera con motivazioni lavorative) solo successivamente si possono leggere movimenti di dispersione all’interno del territorio provinciale molto spesso conseguenti al ricongiungimento familiare, all’acquisizione di una posizione economica sufficiente e alla ricerca di una sistemazione abitativa.7
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Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
Infatti sia per il caso Torinese di cui ci occuperemo più approfonditamente, che nazionale si tratta, all’inizio degli anni 90, di una migrazione principalmente extra europea, dal sud del mondo, una popolazione prevalentemente povera in cerca di opportunità. Certamente descrivere i fenomeni migratori dal punto di vista statistico-demografico necessità di una precisazione. Il dato statistico comporta un limite non di poco conto: quello costituito della quota sommersa dei cosiddetti immigrati illegali, non registrati all’anagrafe e quindi invisibili ai censimenti. Pertanto ci rendiamo conto di come ciò che possiamo raccontare attraverso le registrazioni all’anagrafe e i censimenti nazionali sia solo una parte, un sottoinsieme dell’universo dell’immigrazione in Italia e nel capologuo Torinese. Una parte, una rappresentazione, che però crediamo abbia comunque una valenza importante e quantomeno indicativa per cercare di comprendere il fenomeno. Per quanto riguarda la presenza di stranieri irregolari sul territorio nazionale, la fondazione ISMU “iniziative e studi sulla multietnicità” al 1 gennaio 2014 stima una quota pari a 300 000 sul totale di 4.922.085 , si tratta di circa il 6%. 8 Questo dato in particolare risente però di numerose regolarizzazioni legislative che già erano state attuate in questa data. Riguardo infatti ai dati precedenti al 2002 secondo il rapporto Fieri del 2004, la quota visibile si riferisce ad un sottoinsieme che dovrebbe rappresentare una quota inferiore ai due terzi della popolazione immigrata complessiva ( in particolare circa il 64% nel 1995 e il 57% nel 2001).9 Come mostrano anche i dati del rapporto dell’osservatorio stranieri del comune di Torino infatti molti picchi statistici coincidono con l’entrata in vigore di decreti legislativi in materia di immigrazione e con le conseguenti regolarizzazione che sostanzialmente rendono visibili statisticamente individui già insediati nel territorio.10 In particolare la legge Martelli del 1991, la prima legge che cercava di programmare i flussi di ingresso nel territorio italiano, provvede alla
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8. Fonte: Ismu, 2015 9. Fonte: Fieri, l’immigrazione straniera, la situazione in Italia e misure di integrazione, 2004. 10. Fonte: Comune di Torino, 2005.
capitolo due
11. Fonte : Fieri, l’immigrazione straniera, la situazione in Italia e misure di integrazione, 2004 .
regolarizzazione per gli stranieri già presenti sul territorio, verranno regolarizzati circa 200 000 individui principalmente di provenienza Nord Africana. Successivamente due altre procedure straordinarie di regolarizzazione quella 1995-96,prevista dal cosiddetto Decreto Legge Dini e successivi, e quella del 1998-99 stabilita a seguito della Legge Turco-Napolitano hanno consentito l’acquisizione del permesso di soggiorno a circa 500 mila stranieri. Possiamo immaginare come in questo intervallo conseguentemente alle regolarizzazioni sia cambiato lo scenario statistico. Alcuni gruppi che avevano una dimensione numerica contenuta hanno notevolmente aumentato il loro peso all’interno della componente legale della presenza straniera (si fa riferimento in particolare ad Albanesi e Romeni), mentre altre, di più antica immigrazione, hanno visto ridotta la loro importanza relativa (si pensi, in particolare, ai Tunisini e agli Iugoslavi, ma anche agli stessi Filippini). Il rapporto Fieri analogamente analizza le domande di regolarizzazione presentate in seguito alla legge Bossi Fini del 2002, che si riveleranno poi di poco superiori alle accettazioni.11 Presumendo quindi che questi numeri rappresentino una fetta di popolazione precedentemente stanziata nel territorio nazionale illegalmente, cambia ancora una volta il panorama. Infatti da questa procedura straordinaria di regolarizzazione che emergono comunità originarie di aree che solo in tempi recentissimi hanno assunto rilievo nelle correnti migratorie verso l’Italia, in particolare aumentano le quote di provenienza dall’est Europa. Secondo questa analisi risulterebbero in condizione di illegalità intorno alla fine del 2001 quasi il 90% degli Ucraini, l’85% dei Moldavi, il 75% degli Ecuadoriani. 11 Non solo, la regolarizzazione ha fatto emergere una componente som-
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Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
Per riassumere l’evoluzione delle geografie di provenienza e il consolidamento dei principali gruppi a Torino, abbiamo raccolto e accostato i dati in una serie storica 1995-2005-2015 (pp 38-41). Fonte: dati richiesti personalemente all' Ufficio Pubblicazioni del Servizio Statistica e Toponomastica del Comune di Torino.
mersa anche di gruppi che già contavano una ampia componente legale. In particolare due terzi in più tra i Romeni, metà per i polacchi, e circa un terzo tra CInesi, Peruviani, e gli immigrati originari della penisola indiana (Pakistan, Indiani e Bengalesi). Tenuto conto di queste considerazioni necessarie per relativizzare l’assolutezza dello strumento statistico, possiamo analizzare i flussi che hanno investito Torino. Come mostra il grafico della popolazione straniera torinese i numeri totali iniziano a salire dall’inizio degli anni 90 continuando a crescere in modo esponenziale fino al 2013 per poi avere un leggero decremento (di circa 2000 unità annue) fino alla data dell’ultimo censimento disponibile. Nonostante questo sia l’andamento degli ultimi anni, analizzando una serie storica dal 1995, il fenomeno dell’immigrazione straniera nel capologuo Torinese sembra essere comunque di portata rilevante. Il capoluogo piemontese rimane la metropoli italiana in cui negli ultimi dieci quindici anni si registra la crescita più consistente di presenza straniera (oggi pari al 15,3% dei residenti), valore inferiore solo a quello di Milano (17,4%).12 In questi venti anni di storia di migrazione straniera, sono cambiate molte caratteristiche, dalle principali collettività per geografie di provenienza, alle parti di città che hanno accolto i nuovi arrivi. Come mostra il grafico della popolazione straniera divisa per continenti di provenienza, i primi arrivi furono dall’Africa, in particolare settentrionale e centrale rappresentate in percentuale crescente dal Marocco seguite da Tunisia ed Egitto, insieme ad una quota rilevante proveniente dal sud America ed in particolare dal Perù ( la quota del nord America è quasi inconsistente) e un’importante afflusso dall’Asia (con Cina e poi Bangladesh con i numeri più importanti).13 In un secondo tempo a queste prime ondate si sono sovrapposte quelle
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12. Fonte : sedicesimo rapporto Rota su Torino, 2015. 13. Fonte: Città di Torino, 2003.
capitolo due
dell’europa orientale, dai paesi dell’ex unione sovietica, in particolare provenienti dalla Romania (attualmente la comunità più numerosa a Torino) dall’Albania, seguiti dall’Ucraina e la Moldavia. Come abbiamo visto dalle regolarizzazioni però prima del 2001 è da considerare in aggiunta una quota considerevole di popolazione est europea, probabilmente già presente sul territorio in condizione di illegalità. Oltre alla questione delle regolarizzazioni, per un ulteriore comprensione dei grafici è importante ricordare l’ingresso della Romania insieme a Bulgaria all’interno dell’Unione Europea, il 1 gennaio 2007. Ingresso che ha certamente favorito, l’incremento di migranti dalla Romania in tutta Italia e in particolare a Torino dove la comunità rumena è la più numerosa tra le città italiane. ***
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1990-2015 Ritagli di CittĂ / MolteplicitĂ di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
Popolazione straniera
(x1000)
140 120 100 80 60 40 20 0 1990
1992
1994
1996
1998
2000
2002
2004
2006
2008
2010
2012
2014
Europa altri paesi
2016 Unione Europea
Asia
Distribuzione per continenti
Africa
(x1000) Americhe
60 55 50 45 40 35 30 25 20 15 10 5
38
0 1990
1995
2000
2005
2010
2015
1995 16 137 RESIDENTI STRANIERI
capitolo due
Distribuzione percentuale per continenti
2%
UE 13%
26%
17%
41% 6%
Principali nazionalitĂ
40000
30000 1,2,3
Fonte : Comune di Torino, 2014
20000
10000
Marocco 0
Romania
PerĂš
Cina
Egitto
Ex Filippine Jugoslavia Tunisia Senegal
Iran
Somalia
39 Brasile
2005 Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi
78 613 RESIDENTI STRANIERI
Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
Distribuzione percentuale per continenti
1%
UE 4%
42%
17%
31% 12%
Principali nazionalità
40000
30000
Romania
20000
Marocco 10000
40 0
Perù
Cina
Egitto
Filippine
Nigeria
Moldova
2015 136 666 RESIDENTI STRANIERI
capitolo due
Distribuzione percentuale per continenti
2%
UE 54%
67%
14%
35% 14% 6%
Principali nazionalità
60000
Romania 50000
40000
30000
20000
10000
0
Marocco
Perù
Cina
Egitto
Filippine
Nigeria
Moldova
Albania
41 Brasile
Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
Situazione attuale La presenza di popolazione immigrata nel capologuo Torinese ad una lettura dei dati dell’osservatorio 2014 e da i dati dell’anagrafe del comune di Torino 2015 risulta in diminuzione. Come già abbiamo fatto notare sul grafico della popolazione straniera in tutto l’arco temporale dal 1990 al 2015, la prima flessione importante si registra nel 2012-2013; un saldo negativo di circa 2000 unità annuali che dal 2013 è rimasto sostanzialmente costante. Infatti il trend rispecchiata sia da i dati del 2014 che quelli che fotografano la situazione al 31 dicembre 2015, ove la quota popolazione straniera si attesta a 136 655 unità. Certamente bisogna tenere in considerazione alcune variabili che hanno influito su un processo di crescita che sembrava costante partire dagli anni novanta. Inanzitutto la crisi economica; sia come diminuzione di attrattiva della città di Torino come luogo di entrata dei flussi migratori, sia come causa di aumento di situazioni di povertà. Infatti analizzando le cancellazioni anagrafiche dei cittadini stranieri, raggiungono il picco nel 2013, possiamo notare come le destinazioni indicate dai cancellati per l’estero non sempre indicano il paese di origine o provenienza. Ai primi posti si colloca la Romania (in questo caso ritorno in patria, visto che la comunità rumena è la più grande di Torino) e Perù, ma anche Francia, Stati Uniti e Germania. In questi casi emergerebbe trattarsi di emigrazione secondaria verso paesi le cui economie sembrano offrire maggiori prospettive lavorative. Nel 2014 le cancellazioni sono tornate a diminuire ma comunque rappresentano il doppio del 2010 (7.690 contro le 4.624 nel 2010).14 Inoltre ad avvalorare l’ipotesi di una diminuzione di attrattiva della città di Torino per la popolazione straniera il rapporto tra nuovi iscritti e
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14. Fonte:Città di Torino, 2014
capitolo due Concessioni di cittadinanza 2014 Colombia Costa D'Avorio Russia Tunisia Senegal Ecuador Egitto Moldavia Perù Albania Romania Marocco
0
300
600
900
1200
1500
cancellazioni all’anagrafe riguardo alla popolazione straniera risulta generalmente positivo a livello nazionale, e presenta una flessione a livello torinese, comunale provinciale e alla regione Piemonte. Ovviamente però è anche da considerare il numero delle acquisizioni di cittadinanza, che hanno visto un aumento notevole proprio nel 2014. In questa data sono diventati italiani 3.324 stranieri contro i 1.522 nel 2012. 14 Come mostra il grafico si tratta principalmente di marocchini, romeni, albanesi, peruviani ed egiziani, ovvero dei gruppi etnici più cospicui sul territorio. Tuttavia, come suggerisce Irene Ponzo se questo dato conferma un radicamento sul territorio, il raddoppio delle acquisizioni tra il 2012 e il 2014 suggerisce il possibile acquisto della cittadinanza italiana come strategia anticrisi, tesa a preservare la presenza legale sul territorio di fronte al rischio di perdere il permesso di soggiorno a causa della mancanza di lavoro.16 15. Fonte:Città di Torino, 2014
***
16. Fonte:Città di Torino, 2014
43
Ritagli di CittĂ / MolteplicitĂ di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
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2013 capitolo due
1766
Flussi verso la circoscrizione 6 20
600
Per comprendere i processi di spostamento e concentrazione della popolazione straniera abbiamo raccolto i dati per sezione di censimento della città di Torino in una serie storica 1995-2005-2015. (pp.46-52) Fonte: dati richiesti personalemente all' Ufficio Pubblicazioni del Servizio Statistica e Toponomastica del Comune di Torino.
17. Fonte: Città di Torino, 2013
Ipotesi di Localizzazione All’interno di questo quadro generale, sembra però importante cercare di interrogarsi su quale possa essere localizzazione preferenziale da parte di questa grande fetta di popolazione cittadina. Esiste una logica in questa localizzazione? Guardando alla scala delle circoscrizioni sembra evidente come la circoscrizione 6 sia di gran lunga la più popolata a livello di cittadinanza straniera. Guardando i dati sembra oltretutto evidente come nonostante la flessione generale a livello cittadino percepita dal 2013 in avanti sia in costante crescita il tasso della circoscrizione 6. Come mostra il rapporto 2013 le migrazioni interurbane basate sui cambi di indirizzo all’interno della città, hanno evidenziato un saldo positivo della circoscrizione 6, un trasferimento di circa 2000 individui di nazionalità straniera in particolare dalla circoscrizione 5 e 7. 17 Per capire più approfonditamente questo processo però la scala delle circoscrizioni risulta troppo grande, anche se rimane indicativa per alcune considerazioni sui totali. Perciò abbiamo mappato tre fotografie dei censimenti dell’anagrafe del comune di Torino, con un intervallo di 10 anni a partire dal 1995, nella convinzione che sia necessario un’ampio intervallo di tempo per cercare di leggere il fenomeno. Lo studio proposto mostra per le tre date selezionate il tasso percentuale dei residenti per cittadinanza straniera sul totale dei residenti nelle sezioni di censimento, accostati all’incidenza distributiva nelle stesse sezioni di censimento (ovvero il numero assoluto di stranieri registrati all’anagrafe nella singola sezione di censimento). Questa comparazione ci permetterà di delineare e ipotizzare una logica nella localizzazione e nella diffusione della popolazione straniera a Torino individuando delle parti di città, dei punti nodali che effettivamente più di altre sono state investite da questa ondata migratoria.
45
1995
Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche,STRANIERI luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino PERCENTUALE SU TOTALE RESIDENTI sezioni di censimento 5%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
199 5
5
6
4 3
7
1
2
8 9
10
46
2015
Circoscrizioni
INCIDENZA DISTRIBUTIVA STRANIERI SU TOTALE RESIDENTI
capitolo due
sezioni di censimento 20
50
100
150
200
250
300
199 5
1137
5
1916
1550
1137
6 1550
4
1687 770
2600
3
3040
1687 770
8
10
Numero stranieri
2600 3040 2122
1030
9
298
2015
7
1
2
2122 1030
1916
Circoscrizioni
298
Numero stranieri
47
2005
Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche,STRANIERI luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino PERCENTUALE SU TOTALE RESIDENTI sezioni di censimento 10% 10%
20%
30%
40%
50%
60%
199 5
5
6
4 3
7
1
2
8 9
10
48
2015
Circoscrizioni
199 5 INCIDENZA DISTRIBUTIVA STRANIERI SU TOTALE RESIDENTI
capitolo due
sezioni di censimento 20
50
100
150
200
250
300
5
1137
6
1916
1550
4 3
7
1
2
2600
1687
3040
770
8
2122 1030
9 10
Circoscrizioni
298
Numero stranieri
2015
5
19977
6 15916
4 3
7
1
2
1687
10841
770
Circoscrizioni
5
8830
2122
7
1
2
8
9723
Numero stranieri
12368
7096
4867
9
298
11638
8552
3
1030
Numero stranieri
6
4
2600
7747
4744
1916
3040
8330
9456
9
1550
19338
16884
8
10
1137
24879
6851 6038
2132
10
Circoscrizioni
Numero stranieri 49
2015
Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche,STRANIERI luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino PERCENTUALE SU TOTALE RESIDENTI sezioni di censimento 10% 10%
20%
30%
40%
50%
60%
199 5
5
6
4 3
7
1
2
8 9
10
50
2015
Circoscrizioni
INCIDENZA DISTRIBUTIVA STRANIERI SU TOTALE RESIDENTI
capitolo due
sezioni di censimento 20
50
100
150
200
250
300
199 5
5
1137
6
1916
1550
4 3
7
1
2
2600
1687
3040
770
8
2122 1030
9 10
Circoscrizioni
298
Numero stranieri
2015
1137
5
1916
19977
6 15916
4
1550 1687 770
2600
3
3040
7
1
2
2122
16884
1030
10
Numero stranieri
19338 8330
9456
8
7747
10841
9
298
24879
4744
Circoscrizioni
Numero stranieri
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Ritagli di CittĂ / MolteplicitĂ di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
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capitolo due
Considerazioni : il transetto nord-est
18. Fonte: Città di Torino, 2003
Il panorama che scaturisce da questi confronti, evidenziato dalla mappa dell’incremento percentuale nell’arco del ventennio considerato, sembra mostrare chiaramente un forte decentramento della popolazione straniera. Questo fenomeno secondo l’interpretazione fornita dall’Osservatorio Inter-istituzionale sugli stranieri in provincia di Torino può essere suddiviso in tre fasi. Una prima fase di insediamento, che ha coinvolto dall’inizio degli anni 90 alcune zone della città come Porta Palazzo, San Salvario, che possiamo considerare come nuclei di irradiazione. Una seconda fase di allargamento di insediamenti significativi in città, nella forma “a macchia di leopardo”, con nuclei più consistenti di immigrati collocati in aree diverse della città; e successivamente una fase di diffusione a macchia d’olio, a partire dai luoghi di maggiore insediamento precedente.18 Questa diffusione come leggiamo dalle mappe, risale l’asse di via Nizza partendo da San Salvario, si espande verso borgo San Paolo, e partendo da Porta Palazzo e Borgo Dora si dilata lungo l’asse di Corso Giulo Cesare concentrandosi prima in Aurora e successivamente verso Barriera di Milano fino all’estrema periferia nord della città. L’insediamento abitatitvo straniero sembra realizzarsi attraverso opposti e sequenziali processi di concentrazione e dispersione. La concentrazione residenziale generalmente avviene nei periodi di recente immigrazione, supponendo che ci sia la ricerca dell’appoggio di un tessuto comunitario già presente nella città, e dovrebbe avere caratteristiche temporanee. Invece la dispersione residenziale viene interpretata come fenomeno successivo che scaturisce da processi strutturali di differenziazione socioeconomica e assimilazione culturale e si realizza attraverso traiettorie di
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Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
fig 5. Spostamenti popolazone straniera 1995-2005-2015
mobilità sociale. Questi fenomeni di dispersione che spesso avvengono anche all’interno del territorio provinciale, possono quindi anche essere considerati un sintomo di integrazione o quantomeno di un raggiungimento di una posizione economica sufficiente. Nonostante ciò il primo indicatore di questi processi risulta essere il mercato immobiliare. La concentrazione residenziale infatti può anche essere solamente dovuta alla possibilità di accesso al mercato delle locazioni di una determinata zona. E’ però difficile riuscire a definire separatamente le motivazioni della concentrazione abitativa straniera, in quanto essa stessa si porta dietro un immaginario colonizzatore, che per certi versi può sbloccare il mercato immobiliare, innescando un fenomeno a catena di abbassamento dei prezzi. A questo proposito è interessante guardare la mappa dei valori immobiliari per rendersi conto, quanto sia effettivamente indicativa della presenza straniera, i valori più bassi coincidono quasi sempre con le zone di maggior concentrazione. Attualmente a Torino, il fenomeno di concentrazione iniziale si è spostato dalle aree che storicamente sono state il fulcro del processo, verso i quartieri più periferici. Sono gli stessi in cui avevano trovato una collocazione abitativa le ondate dell'immigrazione degli anni 60 quelli in cui si riscontrano importanti tassi di crescita della popolazione straniera negli ultimi anni. Le opportunità abitative offerte da queste aree sono fattori di attrazione
54
capitolo due
fig 6. Valori immobiliari, euro al metro quadro 2015. (fonte: Osservatorio immobiliare Città di Torino, 2015)
sia per i nuovi arrivati, che per componenti più stabilizzate dell’immigrazione. In particolare la zona che sembra più interessata dal fenomeno sembra essere sull’asse di Corso Giulio Cesare ,Corso Vercelli che si dirama verso nord partendo da Porta Palazzo. In questa area, considerando in particolare le 6 zone statistiche presenti (Aurora, Borgo Dora, Monterosa, Montebianco, Maddalene, Nuova Barriera di Milano) si è verificata una progressiva sostituzione della popolazione. Il bilancio dal 1995 a oggi , come mostra il grafico, parla di un arrivo di circa 30 000 stranieri registrati all’anagrafe, con un saldo negativo di residenti italiani della stessa portata. Questa sostituzione è certamente da spiegarsi con una concatenazioni di caratteristiche tra le quali: la presenza di affitti vacanti data la seniltà di gran parte della popolazione italiana presente; situazioni di degrado di molti comparti edilizi e quindi affitti più accessibili, e la tendenza conseguente della popolazione italiana con possibilità economiche a spostarsi.
55
Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
In particolare nel quartiere di Barriera di MIlano è significativa la quota di popolazione anziana tra la popolazione italiana: in molti casi si tratta di anziani soli o con nuclei familiari ristretti. L’incidenza percentuale della popolazione con più di 65 anni raggiunge il 19,9% sul totale, ma addirittura il 26,9% considerando la sola popolazione italiana.19 La popolazione straniera invece è tendenzialmente più giovane e con nuclei familiari più numerosi. I quartieri di Aurora e Barriera di Milano rappresentano anche le parti di città con maggior numero di minorenni (16,33% rispetto al 14% a livello cittadino), fascia della popolazione in cui l’incidenza straniera raggiunge il 40% .19 Il massimo incremento cittadino di popolazione straniera negli ultimi anni si è concentrato in queste aree e in particolare nelle zone statistiche del centro di Barriera Di Milano Montebianco e Monterosa. In queste zone che non a caso coincidevano anche con le stesse con maggiore incidenza di immigrazione meridionale negli anni 70-80, sono numerosi gli edifici che contano più del 50% di popolazione straniera. L’ipotesi da cui parte questa ricerca è quella che nella progressiva diffusione verso nord della popolazione straniera in questo tassello di città, sia fondamentale la funzione urbana di Corso Giulio Cesare come infrastruttura di connessione tra il fulcro di Porta Palazzo, che ancora rimane forse il luogo più importante per gli stranieri a Torino, e i quartieri sull’asse. Questa strada e anche la sua parallela corso Vercelli hanno una funzione strategica. Sono diventate la piattaforma materiale sulla quale nell’arco di tutto il processo migratorio, si è costruita una rete di pratiche e di risorse, sia economiche che sociali, che permettono l’autosostentamento di questa parte della popolazione.
56
19. Fonte: Dossier PISU Barriera di Milano, 2010
capitolo due
Un’ infrastruttura dal basso che risponde a esigenze culturali differenziate e certamente artefice di un’ urbanità particolare, diversa da quella della tradizionale strada europea, o tantomeno torinese. Questo luogo ordinario in cui si intrecciano locale e globale, in cui ogni giorno si ridiscutono usi, identità, immaginari,sarà il nostro canale preferenziale per raccontare l’immigrazione in questa parte di città.
***
57
1995-2015
Totale nelle zone statistice considerate (x1000)
Ritagli di CittĂ / MolteplicitĂ di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
100
98% 80
69%
italiani 60
40
stranieri 31%
20
2% 0 1995
stranieri per singola zona statistica
--
2005
2010
2015
(x1000)
12 10
8 6 4
14%
2
36%
0
1995
--
italiani per singola zona statistica
2005
2010
42%
2015
(x1000)
14% 38%
30
37%
25
20
15
10
5
stranieri per singola zona statistica (%)
58 1995
--
2005
2010
2015
2015
59
60
capitolo due
capitolo tre
la città delle differenze
L’area che che è stata esplorata e che è stata analizzata nella sue caratteristiche demografiche, è tutt’altro che un’entità omogenea, sia dal punto di vista storico-urbanistico, sia morfologico che sociale. E’ un dato evidente in quanto si tratta di un pezzo di città relativamente grande che comprende quasi due circoscrizioni e i quartieri (come divisione amministrativa) di Aurora e Barriera di Milano. Come è stato precisato nel capitolo sul percorso metodologico, il primo tentativo è stato quello di seguire, letteralmente camminando, la suggestione confermata dai dati statistici di una forte presenza straniera. Ipotizzando come questa presenza possa essere il denominatore comune di un insieme di luoghi sebbene così diversi, che ci permetta di provare a fare un racconto sotto la lente delle differenze. Perciò la ricerca si è sviluppata senza predefinire rigidamente dei confini, sia quelli scelti nelle esplorazioni sia e soprattutto quelli istituzionali, amministrativi (quartieri o circoscrizioni); permettendo quindi anche dei salti e delle successive selezioni, man mano che verranno formulate ipotesi. Superare la concezione di un’entità territoriale chiusa come ad esempio il concetto di quartiere , è anche però una scelta che fondamentale ai fini della ricerca. “Probabilmente nessun termine è usato in modo così vago e con contenuti così mutevoli” (Mckenzie,1921, cit da Tosi, 2010, p.249) Le motivazioni sono molteplici: innanzitutto per evitare dei retaggi di
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fig 1, quartieri Barriera di Milano e Aurora.
Esplorazioni
Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
un immaginario identitario a cui il termine quartiere rimanda inevitabilmente e che sarà in parte ridiscusso; in secondo luogo perché “the neighbourhood is not the only, nor necessarily the most important source of identification and association in people’s lives” (Robinson, 2011, p.127). In questo senso questa ricerca è anche un tentativo di risignificazione, riimmaginazione e ridefinizione di una geografia differente che si inserisce nei quartieri storici, li interseca, li attraversa, li intercetta con modalità differenti. Come notato nello studio storico statistico sul processo di insediamento della popolazione straniera, come i poli attorno ai quali si sviluppa il fenomeno siano altri: Porta Palazzo appunto, luoghi di culto (come le moschee, o le chiese evangeliche o cattoliche per stranieri), il Balon etc. Luoghi che non sono riconducibili all’interno dei confini dei quartieri di Barriera di Milano, di Borgo Dora o di Aurora. E’ proprio da Porta Palazzo che è partita la ricerca; iniziare queste esplorazioni da Porta Palazzo significa anche esplorare un luogo conosciuto, e provare a guardarlo diversamente all’interno di questo quadro più ampio, pensandolo in relazione con il resto della città. L’ipotesi è che questa piazza con il suo mercato (il più grande della città) che ha assunto in un recente passato un ruolo fondamentale per l’insediamento della popolazione straniera, abbia mantenuto questa caratteristica di fulcro principale dell’immigrazione. Abitare vicino a Porta Palazzo, significa vivere vicino a un tessuto di pratiche informali che può comportare dei vantaggi sia economici che sociali. Il mercato infatti si configura come un bacino di possibilità occupazionali importanti per i migranti, anche per la possibilità di vendita di prodotti in modo abusivo. Inoltre negli anni nelle vie intorno o negli spazi che si affacciano sulla piazza sono nate una serie di attività economiche straniere, molte ormai storiche, che hanno creato piccole economie di
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fig 2, mappa dei principali luoghi di culto nel "quadrante nord"
Islam
Chiesa Evangelica
Chiesa cattolicha
Testimoni di Geova
Chiesa Ortodossa
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Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
agglomerazione e degli addensamenti di pratiche che forniscono un denso tessuto sociale. Questo vale soprattutto per la popolazione marocchina. Secondo un negoziante di una delle prime Macellerie Halal aperta dalla metà degli anni 90, la lingua di Porta Palazzo è il dialetto Marocchino. Qua se sei arrivato da poco e parli solo dialetto marocchino, non arabo perché l’arabo è diverso, riesci a farti capire. Qui siamo per la maggioranza di Khourigba, però ho tanti amici anche di Casablanca. Diario sul campo, 14 gennaio 2016
Il Balon del sabato inoltre sembra l’emblema di questo ruolo strategico dell’area, il condensatore che rende visibile questo insieme di piccole pratiche economiche e sociali, anche illegali, che permettono una circolazione di merci di qualunque genere e quindi accesso ad oggetti prodotti a prezzi estremamente bassi da parte di una popolazione povera. Come ci racconta De Angelis (2007) il noto mercato dell’usato a Torino ospitava un numero tale di venditori abusivi e di oggetti per lo più recuperati dai cassonetti dei rifiuti da rendere necessaria per la gran parte l’istituzionalizzazione di questa pratica, istituendo un nuovo mercatino dell’usato riservato a venditori non professionali, all’interno del ex scalo Vanchiglia. Questo Suk, il cosiddetto “mercato degli abusivi” è stato al centro di varie polemiche, ed è stato da poco sgomberato in quanto occupava temporaneamente una parte dell’area che sarà interessata dalla cosiddetta Variante 200. Le pratiche però che si svolgevano in questo luogo, come anche in alcuni spazi del Balon, sono connotate da un’ importante rilevanza sociale ed economica cioè proprio quella di ri-
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fig 3, Suk , ex scalo vanchiglia
capitolo tre
fig 4, venditori abusivi Porta Palazzo
uscire a coinvolgere in attività lavorative redditizie per quanto non legali anche soggetti esclusi da gran parte dei circuiti lavorativi ed economici formali (De Angelis, 2007) Il Balón, il mercato di Porta Palazzo (ad esempio i venditori di menta marocchini, o di pane fatto in casa) e anche il Suk di corso Novara rappresentano un bacino di eventi particolari, temporanei che avrebbero bisogno di un lavoro di ricerca a parte. Quello che è interessante in questa sede è la funzione di questi luoghi come fornitori di possibilità, come risorsa economica e sociale per una popolazione straniera ma non solo, in situazioni precarie. Questa caratteristica, sebbene in modalità differenti, sarà ritrovata nel tessuto commerciale etnico, nelle attività economiche straniere che si sono sviluppate lungo i principali assi commerciali che da porta Palazzo si diramano verso nord. Corso Giulio Cesare su tutti, ma anche Corso Vercelli e Corso Palermo. L’ipotesi è quindi quella di considerare Porta Palazzo come un fulcro-
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Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
fondamentale delle migrazioni, e Corso Giulio Cesare come la principale infrastruttura di collegamento che ha giocato un ruolo strutturante nella localizzazione e nel progressivo spostamento a nord della popolazione straniera. Da sottolineare è anche il ruolo della linea 4 del tram, che percorre Corso Giulio Cesare in tutta la sua lunghezza, passa con frequenza molto alta permettendo di raggiungere l’estrema periferia nord in 10/15 minuti partendo da Porta Palazzo. Quando riesco preferisco andare a pregare nella Moschea della Pace a Porta Palazzo, lì ci vanno tutti i miei amici di Khouribga e dopo andiamo a mangiare un Tajine insieme. Forse preferirei stare a Porta Palazzo, qui conosco tanta gente, ma alla fine con il 4 in 10 minuti ci sono. Sai cos’è il Tajine? Queste sono le parole di Atik un signore marocchino che vive più a nord, in Barriera di Milano, incontrato davanti alla soglia della Moschea della Pace in corso Giulio Cesare 6. Riprendo il cammino percorrendo Corso Giulio Cesare e andando verso nord, passo accanto alla fermata del 4 affollata di signore arabe cariche di sacchetti pieni di verdure. diario di campo 9 febbraio 2016
Per un giovane marocchino che invece gestisce un piccolo ristorante all’inizio di Barriera di Milano, Porta Palazzo è lì e mi indica l’orizzonte con il dito, è vicino. Io però vivo qua dal 2010 perché si trova casa più facilmente e costa poco. (400 euro di affitto per un trilocale in via Brandizzo nel cuore
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fig 5,6 Attese davanti al portone della Mosche della Pace
capitolo tre
di Barriera) Inoltre preferisco stare vicino al lavoro, mio padre è anziano. Prima vivevamo qua sopra. Tutta la sua famiglia vive e lavora insieme, il babbo un signore anziano anche se non parla italiano mi offre un grande quantità di dolci tipici dei quali per gentilezza mi devo ingozzare. diario di campo 12 febbraio 2016
Corso Giulio Cesare è prima di tutto una strada. In particolare una delle infrastrutture più importanti della città che collega il centro alla periferia nord fino all’imbocco delll’Autostrada per Milano. Si tratta quindi di un’asse che taglia il “quadrante” nord della città per circa 5 km; uno spazio tecnico, largo, duro con le corsie preferenziale per il tram 4 (nei due sensi). Come ogni strada, le sue caratteristiche dipendono e cambiano dalla velocità in cui viene percorsa. Idealmente la velocità è la caratteristica che differenzia la strada come infrastruttura o elemento di connessione da uno spazio pubblico, spazio della vita quotidiana con i suoi momenti di attesa, di brevi percorsi, di soste. La prima operazione per cui è stata quella di pensare questa strada come un luogo che abbia anche caratteristiche ad un’ altra velocità, dove avvengono delle pratiche che non dipendano da questa sua caratteristica di collegamento: un luogo sedentario a mobilità lenta. Nelle numerose Flanerie, percorrendola a piedi alla velocità di chi non
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Ritagli di CittĂ / MolteplicitĂ di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
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capitolo tre
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Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
ha una meta precisa, o stando fermi, effettivamente acquista delle caratteristiche estremamente differenti. Questa strada che mantiene il suo allineamento in tutta la sua lunghezza, attraversa frammenti urbani eterogenei, guidandoci verso una complessificazione del paesaggio soprattutto dal punto di vista sociale. Questo percorso significa anche spostarsi dal centro verso la periferia notando la trasformazione dello spazio, delle abitudini, delle facce che si vedono per strada e davanti ai negozi. Dalle architettura tradizionali di inizio ottocento come sono quelle dell’inizio di Corso Giulio Cesare ( il piano di Corso Giulio risale al 1823 come ampliamento della città) si inizia a percepire una morfologia più frammentata con edifici novecenteschi, nuovi interventi, e alcune cicatrici che ci ricordano di un passato industriale. Nella mia esperienza sensoriale e percettiva, la sensazione è quella di attraversare o andare verso una città più povera, più precaria, più trasformista e più temporanea. In particolare nelle tante esplorazione, è stato notato sempre qualcosa di diverso, scritte sui muri, abitudini differenti, attività commerciali nuove o aperte da poco o che non erano state notate in precedenza; sicuramente per le attività economiche straniere la flessibilità negli orari di apertura e chiusura ( che non seguono i tradizionali orari rispettati dalle attività italiane) contribuisce a questo senso di trasformismo. Una complessità a cui non siamo abituati, in cui il carattere predominante è la forte presenza straniera. Questa presenza è estremamente visibile nella strada, ed ha caratteristiche particolari. Si tratta certamente, come anche Corso Vercelli e Corso Palermo di una via a forte carattere commerciale, il cui ritmo non ha niente a che vedere con la vita frenetica di una strada commerciale del centro, qui appare accadere tutto a un ritmo più lento. La strada appare utilizzata anche come spazio per stare, per fermarsi,
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capitolo tre
spazio pubblico per eccellenza che si offre a una popolazione che forse non ha altri posti dove stare o forse non ha occupazione. L’impressione è che i migranti utilizzino questo “spazio tecnico” come fosse un “parco”, fermandosi agli angoli, sui gradini dei portoni, sulle soglie dei negozi. Mi chiedo cosa facciano tutte queste persone, dove vadano, se stiano lavorando, cosa stiano aspettando. In questo panorama la strada diventa anche linguaggio testuale, parla di un tentativo di stabilire qualche legame con un territorio diverso, un insieme di culture differenti che cercano in qualche modo di non omologarsi, di mantenere una propria identità di fronte ad una cultura dominante che presuppone certe regole e certi comportamenti sociali. I muri degli edifici sono pieni di scritte di protesta o di graffiti che ci raccontano di sentimenti di rabbia, del problema della casa, e dell’insofferenza verso la Polizia. Questi segni possono anche essere letti come un senso di appartenenza. Alcune volte si incontrano personaggi che indossano vestiti tradizionali, che quasi sembrano surreali accostati al paesaggio urbano in cui si trovano. Donne africane con acconciature incredibili e vestiti colorati, giovani arabi con cappelli e scarpe a punta. E’ difficile raccontare questo utilizzo della città, la strada appare in tutta la sua caratteristica di essere spazio pubblico, non solo spazio di mobilità o di collegamento, ma soprattutto spazio dove andare, dove stare semplicemente per passare del tempo ,dove fermarsi, dove incontrarsi, luogo di pratiche e di visibilità delle differenze. La strada in questa concezione appare come la più prosaica delle parti pubbliche della città, una“ordinary street”, sempre disponibile e accessibile a tutte le ore per chiunque abbia bisogno di spazio. (Hall, 2014)
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Ritagli di CittĂ / MolteplicitĂ di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
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capitolo tre
Lo spazio dell’economia straniera Quali sono gli spazi delle differenze? quali sono le trasformazioni sullo spazio pubblico urbano portate dalla popolazione straniera? Le esplorazioni e le flanerie sono state compiute secondo modalità differenti, non solo partendo da Porta Palazzo lungo l’asse di Corso Giulio Cesare o quello di Corso Vercelli. Anche incrociando l’area di Corso Palermo, oppure arrivando dal lato, dalle aree industriali lungo via Bologna, dai cantieri della Spina 3 o arrivando dal nord dove il tessuto si dirada. La sensazione è sempre stata quella di intercettare questo tassello centrale dove la visibilità nello spazio pubblico della popolazione straniera fosse più accentuata. Questa sensazione, supportata dai dati statistici sui residenti stranieri dell’area che presentano una concentrazione maggiore proprio sull’asse che collega Porta Palazzo alla periferia Nord, camminando e attraversando l’area viene rafforzata dalla presenza crescente di imprenditoria etnica. Generalmente si tratta di negozi nel campo alimentare, panifici, forni, Minimarket, gastronomie, ma anche Bazar, negozi di vendita al dettag-
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Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
lio di oggettistica e un insieme di servizi, tra i quali agenzie di viaggio, telefonia, internet point, trasferimenti di denaro etc. Nell’area considerata questa presenza appare massiccia, più che in ogni altra parte della città, e ne rappresenta forse la sua caratteristica più interessante. Questi spazi commerciali appaiono come l’impalcatura di questo utilizzo diverso della strada che è stato notato durante le esplorazioni. L’utilizzo di questi spazi infatti non sembra solamente legato all’acquisto o al servizio, quindi alla loro caratteristica di essere spazio economico, ma diventano luoghi di rivendicazione identitaria, di appropriazione della città e di pratiche sociali. Si potrebbe obiettare come questa sia una caratteristica naturale di uno spazio commerciale, soprattutto per alcune tipologie di attività commerciale come quella del bar. Il bar rappresenta infatti la tipologia di spazio commerciale più emblematica di uno spazio sociale sia nella cultura italiana che in quella nord-affricana, pur con forti distinzioni (e esclusioni) di genere (Bar/Caffè). Nonostante ciò, anche nei Bar, si percepisce una differenza, questi spazi vengono utilizzati di volta in volta in modi differenti secondo bisogni che possono essere personali o di un piccolo gruppo. Utilizzi che ne cambiano provvisoriamente la natura, trasformandoli a volte in spazi domestici, a volte in spazi di comunione, o anche in spazi di scontri e conflitti tra le differenze presenti. Mi fermo davanti ad un bar che da fuori ha l’apparenza italiana. L’interno invece ha le pareti decorate con delle mattonelle bianche e azzurre con decorazioni arabeggianti, e anche il bancone ha qualcosa di caratteristico della cultura araba. Il proprietario è un giovane marocchino che parla benissimo italiano e sembra conoscere tutti nella zona.
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capitolo tre
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Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
Prendo un caffè e mi siedo fuori nel dehor. Il dehor è pieno di giovani marocchini, ma anche alcuni ragazzi cinesi. Tutti giovani, tutti al cellulare che si scambiano battute. C’è chi si è fermato per caricarlo (ci sono le prese) per poi continuare a camminare chissà verso dove. Per delle ore anche senza aver ordinato niente stanno lì a sedere, qualcuno si alza va da qualche parte e ritorna con qualche aneddoto da raccontare. Più in là c’è una sfilza di parrucchieri africani con le loro parrucche colorate in vetrina, un money transfer del Bangladesh, e un altro bar gestito da cinesi, questa prossimità di spazi così diversi crea un via vai continuo su questo piccolo pezzo di marciapiede. Certamente si tratta di un’area che ha una forte vocazione commerciale, sia per quanto riguarda il quartiere di Aurora che quello di Barriera di Milano e in particolare negli assi di Corso Giulio, Corso Vercelli e Corso Palermo che dei quartieri sono le rispettive vie principali (le vie laterali, sono principalmente a vocazione residenziale, con una densità commerciale estremamente minore che si riduce a qualche piccola attività o a qualche bottega che ci ricorda di un passato artigianale). Riportando i dati del Dossier Pisu del 2009 sull’area di Barriera di Milano, riguardo alla distribuzione delle imprese per settore notiamo appunto una forte concentrazione nel commercio (39,6% a fronte del 30,9% a livello cittadino); seguita dai servizi con un’incidenza del 29,5% (valore nettamente inferiore rispetto a quello cittadino che si attesta intorno al 45%), le costruzioni, con una presenza importante nell’area (19,3%, con oltre 6 punti percentuali in più rispetto alla città) e l’industria, settore in forte rallentamento rispetto alla media cittadina (-7,2 a fronte del -4,6%) ma con una concentrazione tuttora più elevata rispetto all’area urbana (11,3% a fronte del 10,3%).20 20. Dossier Pisu, Barriera di Milano, 2010.
78
capitolo tre
21. Osservatorio sul Mercato del Lavoro della Città di Torino, 2010.
Se guardiamo alla densità imprenditoriale in rapporto alla popolazione residente, i dati indicano una densità inferiore rispetto al resto di Torino (109,4 rispetto a 144,1). Viceversa, se riferiti alla densità di imprese per km2, i dati riportati in Ponzo (2012) individuano una densità di imprese maggiore rispetto al resto della città (1427 contro 752). Si tratta per lo più di un commercio a piccola scala (il 60 % sul totale delle imprese è a gestione individuale rispetto al 39,3% della città di Torino), dove l’incidenza di imprese etniche per abitante secondo i dati dell’ Osservatorio sul Mercato del Lavoro della Città di Torino risulta sostanzialmente equivalente per dimensioni al resto della città, anzi con una quota leggermente superiore alla voce dell’imprenditoria italiana. Sempre tenendo a mente la possibilità di una quota sommersa, si tratta di 92,1 imprese straniere su 1000 ab ( contro in 92 dell’area metropolitana) e di 55,9 imprese italiane ogni 1000 ab contro i 52 della città di Torino.21 Questi dati censiscono un campo di imprese più esteso rispetto a quello principalmente occupato dall’imprenditoria etnica (piccolo commercio) e inoltre sono distribuiti sull’intero quartiere di Barriera di Milano, un’ entità spaziale più grande. Questo comporta che la distribuzione e la concentrazione spaziale del piccolo commercio etnico non riesce ad emergere. Considerando invece i principali assi commerciali e quindi questo tassello centrale a forte presenza straniera è evidente come il fenomeno dell’imprenditoria etnica sia quantitativamente più elevato rispetto alla media cittadina. Le attività commerciali straniere presenti, individuate camminando ed esplorando l’area, sono state perciò mappate e catalogate, evidenziando così una geografia differente che è slegata dai limiti dei quartieri a cui si riferiscono i dati. Ipotizzando che questa geografia abbia delle conseguenze spaziali nell’utilizzo di questa parte della città, si cercherà di approfondirne le caratteristiche.
79
Ritagli di CittĂ / MolteplicitĂ di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
capitolo tre
Spazi Economici totale 270
NazionalitĂ : Cina Marocco, Tunisia, Egitto
81
Marocco
51 42
Bangladesh
39
Nigeria
27
Turchia
11
Egitto
7
Senegal
7
Romania
3
PerĂš
2
Costa d’avorio
1
Moldavia
1
Tipologie Tipologie
1 Alimentari: fig 7, Spazio pubblico e principali assi
alimentari, macellerie, panifici, minimarket, supermarket.
2 Bar:
bar, tabacchi, slot
ia ter t o gi
bi
commerciali.
Alim ent ari
81
Senegal
7
Romania
3
Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi
Perù
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Costa d’avorio
1
Moldavia
1
Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
Tipologie Tipologie
1 Alimentari:
alimentari, macellerie, panifici, minimarket, supermarket.
Alim ent ari
ia ter t o gi
2 Bar:
bi
bar, tabacchi, slot
3 Ristorazione:
4 Servizi, Agenzie:
Money transfer, agenzie viaggio, assistenza commerciale, documenti.
telefon ia
Kebab, gastronomie, ristoranti.
48
71
14
Totale 270
5 Artigianale:
riparazioni, sartoria, informatica
Bar 39 14
26 io n
e
tica
parrucchieri, Beauty Center, centri benessere, massaggi
Es t e
6 Estetica:
8 Bigiotteria:
vendita al dettaglio, abbigliamento
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or az
7 Telefonia:
call center, internet point, scommesse
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Art ig
Ri ia n
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Se r v i z i , A g e n z i e
st
capitolo tre
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Opportunità e struttura dell’imprenditoria etnica La nascita di una piccola imprenditoria etnica e in particolare del piccolo commercio al dettaglio è la prima e forse la più ovvia modalità di trasformazione del territorio da parte della popolazione immigrata. La sostituzione della popolazione nel tessuto abitativo si mostra con visibilità maggiore in una progressiva sostituzione del tessuto commerciale. Come ci avvertono Kloosterman, Van der Leun & Rath questo fenomeno dal punto di vista teorico deve essere però collocato all’intersezione di cambiamenti da un lato nel contesto socio-culturale della città e dall’altro in quello della trasformazione dell’economia urbana e del contesto istituzionale (Kloosterman, Van der Leun & Rath, 1999). “Institution as the welfare system, the organisation of markets, the framework od regulation together with their enforcement, housing policies (impacting on the distribution of immigrants) and also business associations and specific business practices which regulate particular markets, significally affect opportunity structures both on a national, a sector and a local level” (Kloostermann,et al 1999, p.261). L’innesco di questo processo nel nostro caso, dipende da dinamiche complesse e difficilmente separabili in una relazione univoca di causa-effetto. Come è stato visto in primo luogo è da considerare una componente demografica: la concentrazione e la dispersione dei flussi migratori stranieri all’interno della città. Flussi che trovano spazio residenziale proprio in un tessuto abitativo fragile come quello dell’area in questione, a bassa qualità con valori immobiliari accessibili e con una popolazione progressivamente più vecchia. A questo contesto si aggiunge la componente economica: un processo di trasformazioni economiche che dalla crisi del modello fordista e della
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L'appendice / 1 Tipologie commerciali (pp. 105 - 137) raccoglie una documentazione fotografica delle attività commerciali mappate divise per tipologia di servizio.
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22. Termine ripreso dal lavoro di Karl Polanyi. Per approfondimenti rimandiamo al suo libro "The Great Transformation", 1944.
caratteristica artigianale dell’area ha visto succedere una progressiva terziarizzazione. Secondo Klosterman et al. (1999) infatti per comprendere il processo di “embeddedness”22 del fenomeno dell’imprenditoria etnica in un determinato luogo è necessario introdurre il concetto più complesso di “mixed embeddedness” che sottolinea la sovrapposizione di più livelli strutturali di inserimento. Un micro livello di capacità e opportunità imprenditoriali a livello individuale, risorse sociali contatti e informazioni reperibili grazie all’inclusione in una rete etnica; un meso livello di opportunità a livello locale ( ad esempio a scala di quartiere) e una macrostruttura istituzionale alla quale attingere per opportunità del mercato. (Lagendijk 2015, cit da Kloosterman ) “It is not the opportunity structure, but also location specific traits of the immigrant community and the complex ways in which immigrant business are inserted into the socio-cultural and institutional context of the host society” (Razin, 2002, cit da Lagendijk 2015, p.172 ). Considerare questa macrostruttura è importante perché, come ha ampiamente discusso Sassen (1997), ciò che continuiamo a definire “di immigrazione” è una caratteristica della globalizzazione. Come ogni definizione, anche questa ha delle conseguenze su come guardiamo la città. La forma urbana rappresentata dalle comunità etniche e le economie da esse prodotte vengono abitualmente descritte come slegate da un’economia avanzata. Un’economia “imported trough immigration” e per questo arretrata culturalmente ed economicamente, vernacolare, radicata, contrapposta a quella cosmopolita, sradicata, fluida e tecnologica. “One is read to be dis-embedded in the way Giddens (1990) has described certain aspects of modernity - transterritorial to the point of being thought of as a-spatial through such concepts as the information economy and telematics. The other is read as deeply embedded in an economic, social
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and cultural territory of neighbourhoods and particularistic traditions.” (Sassen, 1997, p.2). In realtà si tratta di un fenomeno complesso che non può quindi essere liquidato facilmente come economia locale “notwithstanding these ostnesily atavistic charachteristic these market are part and parcel of advanced urban economy” (Kloosterman,1999, p 259). Secondo Sassen, soprattutto nelle grandi metropoli, esiste una corrispondenza tra le grandi concentrazione di potere corporativo e quella di altri scenari economici: lavori non professionali, piccole attività a basso reddito, piccoli servizi, che non possono essere considerate separatamente in quanto anch’esse parte cruciale dell’economia globale (Sassen, 1997). Nel nostro caso è evidente come molte delle attività commerciali, anche le più piccole, diventino punti chiave all’interno di una rete di aziende che in realtà producono per il mercato globale. Queste attività si appoggiano su una infrastruttura economica preesistente, basti pensare ad esempio a molte tipologie di negozi di vendita al dettaglio che commercializzano gli stessi prodotti, o all’omologazione dell’offerta alimentare, ai Kebab. Molte attività si configurano come spazi di scambio, o di contatto con i paesi di provenienza: agenzie di viaggio, trasferimento di denaro, call center che si appoggiano prevalentemente a compagnie multinazionali. (Western Union, Moneygram, Ria, Compagnie telefoniche internazionali). L’insieme di questi spazi perciò, secondo Sassen, rappresenta proprio il volto visibile, la conseguenza pratica, dei processi di globalizzazione. Un’insieme di spazi che hanno un potenziale culturale e sociale che non può essere scisso dalla loro caratteristica di essere spazio economico. Ammettere questo significa soprattutto riposizionare l’economia globale all’interno della città e ciò ci permette teoricamente di recuperare il valore della città e dei suoi spazi, all’interno di una rappresentazione che
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capitolo tre
vede l’economia globale sempre più liquida e sradicata: Spazi economici che diventano terreno strategico, complesso, nel quale si costituiscono e si mostrano differenze sempre più globali.(Sassen, 1997) E’ in questo spazio complesso all’intersezione tra traiettorie globali, locali, e individuali che si modella si plasma l’opportunità di apertura per queste nuove attività. (Lagendick, 2015) Quali sono i processi e le modalità in cui si genera l’opportunità imprenditoriale per gli immigrati? In generale è importante precisare che il riferimento principale sono esercizi commerciali a piccola scala che necessitano sia di un basso costo di apertura che una bassa capacità imprenditoriale, con conoscenze o qualifiche basilari che possono essere apprese durante il processo. Oltre a queste caratteristiche, certamente fondamentali per capire la proliferazione del fenomeno, secondo Kloosterman possiamo teoricamente definire due modalità differenti alla base del generarsi di un opportunità strutturale. Anzi secondo De Noni, Ganzaroli, Orsi (2014) possiamo individuare anche una terza modalità, nonostante entrambe le fonti precisino come queste “they tend to blend in the real world” (Kloosterman, Van der Leun & Rath, 1999, p. 262). La prima modalità è l’emergenza di una nuova domanda di prodotti etnici, di servizi, e conseguentemente di lavoratori. Successivamente lo sviluppo dell’attività imprenditoriale all’interno della comunità attiva un processo di co-specializzazione che da luogo al formarsi, da una parte, a una classe di lavoratori specializzati e dall’altra a una domanda di servizi complementari che possono essere forniti da altre imprese etniche (Wilson e Portes,1980). Questa domanda si genera conseguentemente alla tendenza dei flussi migratori a clusterizzarsi in specifiche aree geografiche dando luogo a comunità etniche geograficamente localizzate ( Bonacich 1973, Wilson e Porter 1980, Zhou 2004).
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La seconda è la possibilità per gli imprenditori stranieri di inserirsi in certi segmenti di mercato dove c’è una mancanza di imprenditori autoctoni; si tratta generalmente di aree urbane che sono interessate da un processo in corso di abbandono del commercio al dettaglio tradizionale, o appunto come nel nostro caso nelle ex aree industriali “quando gli imprenditori immigrati si sostituiscono ai subfornitori locali (..) Gli imprenditori autoctoni non trovano più remunerativo servire per la mancanza di economie di scale e l’elevato rischio/incertezza che li contraddistingue.” (De noni, Ganzaroli, Orsi 2014, p.) Questo processo di sostituzione del tessuto commerciale definito da Waldinger “vacancy chain” (Waldinger, 1996) è un processo di successione nella gestione degli esercizi commerciali che è stato caratteristico anche dell’ immigrazione storica, ed è particolarmente evidente nel nostro tassello di studio e in particolare in Barriera di Milano. Non solo sono numerose le attività straniere che sorgono nello spazio di una precedente attività a gestione piemontese o meridionale, ma addirittura alcune volte si mantiene la stessa tipologia di esercizio: come nel caso di uno storico panificio che prima era di un piemontese, è stato preso in gestione da un calabrese, e adesso è in mano ad una famiglia marocchina (Cingolani, 2012). Nei mesi di ricerca sul campo, molte attività hanno chiuso e sono state sostituite. Si è trattato sia negozi italiani sostituiti da negozi stranieri, caso più comune, ma anche attività straniere differenti che si sono succedute nello stesso spazio. Ad esempio al posto di una gastronomia senegalese, è appena stato aperto un nuovo kebab. O uno storico Bar di un signore siciliano in corso Vercelli ha chiuso nell’ultimo mese. In generale sia Corso Giulio che corso Vercelli sono tappezzati di cartelli “vendesi”, “vendiamo attività ventennale ben avviata causa spostamento”. Si tratta in generale di piccole attività italiane che probabilmente si
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Sostituzione del tessuto commerciale.
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basavano su una clientela locale: Cartolerie, Bar, Tappezzerie, Colorifici esattamente secondo il modello “vacancy chain”. Questo panorama contribuisce a costruire un senso di precarietà, di incertezza, che contraddistingue questo genere di economie. La terza modalità (De Noni, Ganzaroli e Orsi, 2014; Ambrosini, 2009), che nel nostro caso non è così evidente, è lo sviluppo di mercati esotici, ed è un caratteristica delle grandi aree metropolitane. In questi casi la domanda di prodotti etnici si crea a scala cittadina, molte attività in particolare nella ristorazione aprono rivolgendosi ad una clientela italiana, e anche eventualmente entrando in un circuito turistico. In alcuni casi questo può essere un processo evolutivo di alcune attività che nascevano principalmente rivolte all’etnia di appartenenza e poi sono riuscite ad allargare la propria clientela, riuscendo a guadagnarsi una maggiore stabilità economica che ne permette anche la sopravvivenza in situazioni di trasformazione. A questi fattori che potremmo definire “di opportunità del mercato”, si aggiunge una questione di “opportunità individuale”: è evidente come l’apertura di una propria attività sia in molti casi l’unica via di accesso all’occupazione “for immigrants group, self employment and entrepeneurship represent major vehicles for gaining economic and social status in their own community as well as in their host enveiiroment”. (Lagendick, 2015, p.164) Infatti le maggiori difficoltà incontrate dagli stranieri nel trovare un lavoro regolare, sia per la mancanza di diplomi o certificazioni accettate nel paese ospitante che per differenze culturali e pregiudizi, indirizzano la scelta verso l’apertura di una propria attività. Guardando i dati delle imprese immigrate presenti sul territorio italiano, nel 94 % dei casi infatti sono a totale conduzione straniera, anche se non necessariamente monoetniche.23 23. Fonte:Rapporto Fieri, 2013
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Comercio tradizionale.
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Secondo Kloosterman, Rath, Sassen, Legnedick, Ollson, in generale la popolazione immigrata è in possesso di risorse e capacità per intraprendere questa strada in modo proficuo. Molti sono stati artigiani, o hanno competenze manuali, o imprenditoriali, hanno una attitudine e una pratica lavorativa differente e flessibile che può essere sfruttata al meglio gestendo appunto una propria attività. Ma soprattutto sono inseriti in un particolare network di informazioni e conoscenze che ne facilitano l’accesso a una serie di prodotti e servizi. Durante la ricerca sul campo sono state individuate numerose attività che si configurano come “mestieri” artigianali, mestieri manuali che sono stati tipici di una stagione della cultura italiana e che piano piano sono scomparsi con una progressiva tecnologizzazione. Sono numerose le Sartorie, Calzolerie, lavorazioni di tessuti, ma anche pasticcerie, panifici, e parrucchieri che raccontano di un ritorno ad un tessuto di piccoli servizi a base locale. Interessante in questo panorama, è anche il ritorno ad organizzazioni dello spazio in un’ottica di sussitenza, come il modello casa-bottega. Vivere nello stesso spazio dove si lavora (si ipotizza in molti casi nel retro, mantenendo l’affaccio commerciale su strada, o ai piani superiori) diventa spesso la strategia per abbattere costi. In generale secondo l’esperienza sul campo, se non l’utilizzo dello stesso spazio la vicinanza casa lavoro è una caratteristica che ritorna. Idris è un senegalese che con sua moglie ha aperto una piccola sartoria, contigua alla casa. Ci sembra che viva dietro il negozio, dalla porta del retro esce sua moglie con il figlio piccolo nel passeggino. Lavorano principalmente aggiustando tuniche arabe e vestiti tradizionali, che vedo appesi con i loro colori sgargianti a qualche gruccia qua e là e su un manichino in vetrina. Mi racconta come questo fosse il suo mestiere anche in Senegal, suo padre gli aveva
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insegnato a cucire da piccolo e così arrivato in Italia aveva trovato il modo per guadagnare qualche soldo. Alcuni amici passano a salutarlo e scherzano sul fatto che anche io dovrei indossare una tunica, ora inizierà a venire il caldo ed è molto più comoda. diario di campo 3 maggio 2016
Il capitale sociale ha un ruolo fondamentale: un’attività in partenza generalmente può fare affidamento su una rete di familiari o connazionali che permettono l’accesso a capacità necessarie, di abbattere i costi di lavoro, di trovare lavoratori all’interno di questa rete, e soprattutto l’accumulazione di un capitale necessario di partenza; in molti casi queste attività hanno una forte base familiare. Questa posizione è quella che Wilson e Portes definiscono una competitività protetta, non accessibile agli imprenditori esterni all’etnia, entro cui sfruttare e formare le proprie competenze distintive, funzionali alle dinamiche e agli equilibri del gruppo (Wilson e Portes,1980). Certamente non si tratta di situazioni ad alto profitto economico, e molte attività sono comunque a rischio fallimento, in particolare quelle che offrono un servizio singolo o una determinata categoria di prodotti. In molti casi quelle della tipologia “vacancy chain” generalmente attività mono-servizio sono proprio quelle “in terms of prospects and work conditions less attractive and they still tend to be near or past the point of saturation”. (Kloosterman & Rath, 2010) Sono proprio queste quelle che hanno caratteristiche più temporanee, e che sono più interessate da processi di sostituzione. In generale per questo genere di economia “at the lower end of the opportunity structure” (Kloosterman et al, 199, p.257) infatti la strada per la sopravvivenza passa innazitutto da tagli ai costi di lavoro e generalmente da una struttura “labour intensive” (p.263) in alcuni casi anche
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cercando di valicare la struttura regolamentare italiana, come la minima paga oraria, le ore lavorative, o assumendo a nero evadendo le tasse e come abbiamo visto anche vivendo nel posto di lavoro. In questo panorama possiamo immaginare come molte delle pratiche commerciali informali o illegali nascano come tentativo di aumentare i propri introiti per mantenere l’attività, e come alcune volte queste possano prendere il sopravvento sull’attività stessa trasformandola in mera copertura. Per abbattere i costi di lavoro le assunzioni principalmente attingono dal bacino di conoscenze personali interne all’etnia per poi estendersi a tutta la fascia di popolazione straniera. Un fenomeno interessante riscontrato nella ricerca sul campo è infatti la nascita di forme di collaborazione tra gruppi etnici differenti. Queste possono avere risvolti positivi come aiuto reciproco, possibilità di assunzione o collaborazioni economiche, ma certamente in alcuni casi possono sfociare anche in sfruttamento lavorativo tra attori con poteri economici squilibrati. Ad esempio molti supermercati cinesi assumano lavoratori dell’Africa occidentale (Nigeria, Senegal i più presenti nell’area), ma mai viceversa. La presenza di situazioni di disoccupazione e povertà tra questa fascia della popolazione crea certamente uno squilibrio a favore di chi offre lavoro, che può permettersi di offrire lavori sottopagati, non regolamentati e senza prospettive sapendo di poter attingere ad un ampio bacino in cerca di occupazione. Queste forme di collaborazione avvengono comunque all’interno della fascia di popolazione straniera, è difficile che su attività di così piccola scala avvengano collaborazioni con italiani: trattandosi generalmente di piccole attività dove la proprietà dell’attività è generalmente straniera. In particolare nell’area di corso Giulio Cesare corso Vercelli e Barriera di Milano, a parte alcuni negozi etnici nigeriani o senegalesi (principalmente Beauty Center, e gastronomie) o alcuni ristoranti cinesi con una
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clientela principalmente monoetnica, il bacino di utenza che fruisce dell’offerta di queste attività è sempre più multietnico. Ovviamente l’etnia che corrisponde a quella dello spazio economico in questione è quella che frequenta maggiormente il locale, ma avviene sempre di più un mescolamento della clientela. Questo avviene soprattutto per gli esercizi commerciali alimentari di base e per alcuni servizi con prezzi molto competitivi nei quali è in crescita anche il numero di clienti italiani. Ad esempio parrucchieri, sartorie, riparazioni etc. Entro in questo super market, Asia e africa market recita l’insegna. La vetrina è tappezzata di volantini di feste etniche, gruppi senegalesi, feste reggaeton, locali con musica latina, insieme a qualche evento religioso legato alla comunità africana. L’interno è molto grande, tre corsie di scaffali con prodotti principalmente di importazione, in scatola o surgelati, ma anche alcune verdure fresche vicino alla cassa. Alla cassa ci sono un giovane una donna cinesi, che presumo gestiscano l’attività. Nonostante ciò a lavorare come scarico e carico merci (nel frattempo arriva un furgone che si ferma davanti al super market) sono neri africani. Il locale è frequentato da una clientele multietnica, anche per la tipologia di prodotti, dalle verdure cinesi all’immancabile platano di cui vanno pazzi sia africani che latini, fino alle bevande esotiche, e gli enormi pesci surgelati (il pangasio solitamente) di cui il massimo esportatore mondiale è il Bangladesh. diario di campo 23 marzo 2016
Non solo l’utenza ma anche i prodotti circolano, i Minimarket alimentari specialmente quelli gestiti da originari del Bangladesh ma anche
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cinesi vendono prodotti italiani, rumeni, africani, asiatici rispecchiando perfettamente la composizione etnica della zona. Un esempio interessante è la presenza in molti Minimarket gestiti da originari del Bangladesh dell’area di Barriera di Milano, di “sacchettini" di carne secca prodotti da una gastronomia nigeriana della zona. Questa tendenza ad aumentare il proprio bacino di clientela è certamente un’evoluzione di questa tipologia di piccola economia, nonostante ciò sia prima di tutto da leggere in un’ottica economica : è difficile dire quanto sia un elemento di integrazione, casomai di “ co-existence” (Hackworth, Rekers, 2005). Nella maggior parte dei casi questa caratteristica è attribuibile ai negozianti di origine del Bangladesh e ad alcuni Cinesi che hanno il monopolio di quasi la totalità dei Minimarket e Super Market. Questo tentativo di rivolgersi ad una clientela multietnica viene esplicitato sulle vetrine (con scritte che recitano “prodotti italiani, africani, rumeni”) e nelle insegne coniando nomi accattivanti, come nel caso precedente mostrato“Asia & Africa Market”. “Some immigrant retailers even establish cultural celebrations such as Taste of Asia or Taste of India that facilitate coexistence” (Hackworth, Rekers, 2005, p.220). In questi supermercati frequentemente i lavoratori sono di un’etnia differente rispetto ai gestori. Possiamo però constatare come questo fenomeno sia più che altro una dimostrazione di una maggior capacità imprenditoriale da parte di certa imprenditoria del Bangladesh e Cinese, o di una strategia imprenditoriale differente che punta prevalentemente sulla competitività dei prezzi, degli orari di apertura, la velocità dei servizi, più che ad una familiarizzazione con i clienti o alla qualità dei prodotti/servizi offerti. Questa infatti è anche la più incline ad allargare la propria clientela alla popolazione italiana, in molti casi definendo un’immagine esterna ital-
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ianizzata (bandiere italiane nelle insegne, nome del negozio tipicamente italiani). Ad esempio il “Ristorante vecchio posto” è un ristorante cinese di Barriera di Milano, che dall’esterno ha tutto l’aspetto di una vecchia trattoria italiana. Per quanto riguarda i negozi marocchini, egiziani, tunisini, turchi molto spesso si rivolgono ad una clientela prevalentemente musulmana. Trattandosi però di una delle categorie di negozi più storiche e più assimilate nel panorama torinese, sono anche i più frequentati da italiani in particolare nell’ambito della ristorazione (anche per un discorso sulla globalizzazione del cibo etnico, kebab, etc). Non solo ristoranti ma anche alcuni parrucchieri, panifici, e servizi di vario tipo si sono guadagnati una clientela più ampia sia grazie ai prezzi molto competitivi che per la qualità dei servizi offerti. Nell’area esplorata le attività più monoetniche al livello di clientela e prodotti offerti sono quelle aperte da originari dell’Africa occidentale, probabilmente anche perché questi rappresentano i gruppi etnici di più recente immigrazione.
Territorializzazione delle differenze Quali sono gli effetti della proliferazione di questa piccola economia straniera sulla città? Secondo Sassen la popolazione immigrata produce una sorta di “low cost equivalent of gentrification”. Strade, pezzi di città una volta abbandonate, o con fronti dei negozi silenziosi, ora sono diventati vivi quartieri residenziali e commerciali (Sassen,1997,p.5) Riflettendoci Corso Giulio Cesare e corso Vercelli sono adesso due strade multietniche, vive, colorate, piene di odori diversi, suoni e rumori di conversazioni in lingue sconosciute. Se Ruth Glass nella prima definizione di gentrification descriveva (nel
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1964) gli effetti del processo con il miglioramento fisico del patrimonio immobiliare, il cambiamento della gestione abitativa da affitto a proprietà, l'ascesa dei prezzi, e l'allontanamento o sostituzione della popolazione operaia esistente da parte delle classi medie, qui la situazione sembra avvenire ad una scala economica inferiore (Hamnett,1991). In questo tipo di processo non possiamo parlare di miglioramento fisico del patrimonio immobiliare ma di qualche piccola trasformazione, la gestione abitativa rimane spesso in affitto, i prezzi non salgono (casomai scendono) ma comunque si genera una richiesta abitativa e la sostituzione della popolazione è avvenuta e sta avvenendo in modalità differenti. A Barriera di Milano in realtà i prezzi immobiliari sono stabilmente bassi o stanno scendendo, tanto che è difficile riuscire a vendere ad altri italiani come mi racconta un cartolaio storico di corso Giulio Cesare. "è molto più probabile ricevere offerte dai cinesi, o da qualche altro straniero. Loro hanno una clientela non lo vedi quanti sono? " diario di campo, 10 aprile 2016
Si genera un effetto a catena, che ha quindi delle caratteristiche simili a quello della gentrification, la differenza sostanziale è che gli attori di questa trasformazione non possono essere riconducibili ad una classe, si tratta invece di una popolazione immigrata con la sua molteplicità di culture, usi, abitudini differenti, che forse ha in comune solo lo spazio dove riesce ad accasarsi. Il mercato immobiliare in questo caso si configura come vero e proprio mercato di spazio, la qualità e il valore di questi posti risiede semplicemente nel fatto di essere spazio disponibile nella città. Possono essere condivisi come no i parallelismi con la gentrification, ma quello che pare evidente è come ogni sostituzione della popolazione porti delle trasformazioni urbane e come queste siano da considerarsi un
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fenomeno positivo. Nel caso analizzato questa sostituzione ha rivitalizzato un tessuto commerciale che si stava dissolvendo, proponendo un offerta commerciale estremamente diversificata come ad esempio nel campo alimentare. Inoltre molto spesso la sostituzione avviene mantenendo la stessa tipologia di attività, permettendo così una continuità nell’erogazione di alcuni servizi a base locale (sartorie, panifici, piccolo artigianato, parruchieri, riparazioni) che portano un beneficio sociale a tutti gli abitanti senza distinzioni. Seguendo la provocazione della Sassen potremmo descrivere questo fenomeno come una sorta di recupero dello spazio urbano guidato dagli immigrati e dalle famiglie (Sassen, 1997). D’altra parte è l’unica cosa che potrebbe accadere in un contesto dove il 30% della popolazione italiana ha più di 65 anni e dove invece la popolazione straniera è giovane e con una forte componente familiare, come dimostrano i dati sui minori presenti nell’area.24 Questi piccoli interventi dal basso secondo Sassen determinano un immediato “upgrading” a livello locale, un “upgrading” che non calza la convenzionale definizione radicata nell’esperienza della classe media. Le sue forme i suoi colori, i suoi suoni sono nuovi, e questa è ancora una volta una nuova forma di internazionalizzazione della città (Sassen, 1997). Questa chiave di lettura è molto interessante in quanto vede nell’imprenditoria etnica un’elemento di trasformazione positivo dello spazio della città “trough the ability to sell specific types of foreign goods and services, brings economic and social benefit to the neighbourhood” (Lagendijk, 2015, p.172). In particolare l’ambito alimentare e il particolare livello di specializzazione che lo caratterizza può costituire un potenziale tanto nell’ambito economico, come in quello sociale e culturale, capace di intrecciare e far dialogare le diverse realtà sociali del quartiere e lo stesso con la città (Governa, Mendez, Romero, 2015). 24. Dossier Pisu Barriera di Milano, 2010
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Quello che è interessanti di questi spazi è questo potenziale sociale e culturale, come questi influiscano sullo spazio della città nell’ambito della sua dimensione fisica, dell’abitare, del consumare, dell’uso. La loro disposizione, la loro concentrazione crea un insieme di spazi di opportunità, di scambio di informazioni, di relazioni sociali, di conflitti che ci racconta un’urbanità differente. “The non commercial and potentially interstitial practice of these place move elsewhere” (Karholm,2013, p.134). Questi spazi si configurano come luoghi di urbanità dove l’aspetto della vendita risulta essere addirittura il meno rilevante. Secondo Francesca Governa (2013, p.4 )“In questi spazi si annida il senso economico come spazio di opportunità, opportunità di uno spazio economico di essere "altro", e comunque [...] di essere economia minima e quotidiana.” Spazi che modificano il modo di utilizzare lo spazio pubblico, che trasformano le strade, ne modificano la porosità e l’accessibilità. Ma soprattutto rendono queste strade “ordinary streets”, “as public spaces spaces still available to those who’re increasily excluded from the prestigious public ground” (Hall, 2015). Raccontano una città malleabile, non una città dura, pietrificata come quella del centro. Si tratta quindi anche di un tessuto, una morfologia che rende possibile questa contaminazione, e in cui queste piccole attività si susseguono come è stato notato anche con molta velocità. Un tessuto edilizio che forse anche per le sue caratteristiche di degrado (in alcuni casi), o per alcune rappresentazioni negative, non interessa particolarmente a nessuno se non ha chi ne ha bisogno, disponibile a modificazioni e ad appropriazioni di vario tipo. E’ quindi possibile pensare queste piccole attività, come un tentativo di rivendicazione di uno spazio per le differenze nella città. Così il potere di acquisto, la possibilità di apertura di un’attività deve essere vista so-
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prattutto come la definizione di una particolare accessibilità allo spazio urbano, rendendolo accessibile ad una determinata categoria sociale, etnica o multietnica. In questo senso, Karholm sostiene come ci sia una relazione che si struttura a partire da questa proliferazione di esercizi e spazi commerciali e il dominio pubblico della città. Questi spazio diventano elementi di territorializzazione delle differenze sul suolo e sullo spazio pubblico urbano, andando a ristrutturare a riorientare la materialità della vita quotidiana (Karholm, 2013). Nel contributo di Karholm non c’è nessuna intenzione etica, nessuno tentativo di dare un giudizio su come la categoria del consumo e la sua frantumazione in spazi sempre più articolati e complessi sia qualcosa di positivo o negativo (per questo si rimanda a Bauman, 2007) semplicemente la constatazione di un fenomeno in divenire che influenza fortemente le modalità di vivere lo spazio della città, e le nostre categorie per descriverlo raccontarlo e progettarlo (Karholm, 2013). Secondo Belfiore lo spazio pubblico o meglio lo spazio collettivo della città contemporanea si è moltiplicato e diversificato nelle sue possibilità, non è più necessariamente legato allo spazio aperto, allo spazio pubblico tradizionale, è anche uno spazio di soglie e di interni difficile da vedere e individuare (Belfiore, 2012). In questo pezzo di città lo spazio pubblico da progetto, visibile (che peraltro abbiamo visto essere carente) non è il solo ad assolvere delle diverse funzioni sociali, e forse non è il più interessante. Sono proprio questi spazi economici interni che diventano un estensione della strada, uno spazio ibrido in cui si discute continuamente la dicotomia tra pubblico e privato, che di conseguenza contagia lo spazio dei marciapiedi, la soglia fino all’esterno dei negozi e dei bar, come una protesi esterna dello spazio commerciale. Spazi che possono entrare in relazione tra loro, per vicinanza, per os-
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mosi e contagiano a volte anche gli spazi pubblici tradizionali, secondo modalità differenti che appaiono ribaltare le nostre concezioni. Quello a cui sembra di assistere è quindi un ribaltamento tra interno ed esterno che incrina le gerarchie legate alla nozione di pubblico. Gerarchie che pensavamo chiare in un tessuto che appare quello da città europea, e in particolare in questa area dove la strada ci è apparsa (ci riferiamo a Corso Giulio) un vero e proprio spazio tecnico, duro, largo senza possibilità di nascondersi di rifugiarsi. Questi spazi economici possono essere pensati come delle piazze, dei luoghi di ritrovo pubblico, in cui però si “costruisce l’ossimoro di uno spazio pubblico che non è per tutti [...]mentre lo spazio istituzionale è per tutti questo è per alcuni, “uno spazio che si ripropone continuamente entro una «relazione elastica» tra individuo e gruppo.” (Bianchetti, 2014, p. 8) Una relazione nella quale gli individui si associano e dissociano per le ragioni più disparate, usano lo spazio pubblico in un modo in cui interesse individuale e benessere sociale si intersecano e sovrappongono. Il che ovviamente non esclude scontri, conflitti, sopraffazioni e prese di distanza" (Bianchetti, 2014, p.10). Questi spazi, che forse devono essere pensati come spazi-tempi, diventano strumenti anche per la creazione di comunità che possono essere più o meno aperte verso l’esterno. Spazi-tempi proprio perché al loro interno in alcuni momenti della giornata o della settimana si creano o prevalgono dei legami tra amici, conoscenti che creano momenti di condivisione e di comunità non necessariamente monoetnica. Spazi dove forse questo senso comunitario si riinventa, in cui si riscopre e si definisce un’appartenenza diversa che interseca categorie di individui differenti (Lanzani, 2003). In questo senso questi spazi favoriscono un tipo di incontro, diversamente rispetto ad uno spazi pubblico tradizionale. Hanno una caratteristica più domestica, e traggono la propria specificità dall’essere preva-
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Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
lentemente luoghi di confine tra differenze, delle vere e proprie vetrine in cui mostrare o costruire la propria appartenenza. In questo senso hanno forte valore culturale in quanto di volta in volta possono diventare spazi di confronto, di scoperta, possono essere contaminati o possono diventare luoghi di conflitto e di scontro. Sono questi gli spazi da raccontare per formulare una rappresentazione differente, quelli che rendono la città una “difference machine” che funzionano come “battlegrounds trough wich groups define their identity, stake their claims, wage their battles, and articulate citizenship rights, obligations, and principles” (Isin, 2005, p.375). Gli interni di queste attività commerciali, sono addobbati, arredati, colorati in modo da ricostruire un paesaggio culturale che rimanda al proprio territorio di origine. La musica, i canali della televisione, i prodotti importati permettono di richiamare e mantenere una continuità con la propria cultura, a volte anche idealizzata e ridotta a puro immaginario. Per provare a raccontare tutto questo è stato scelto un spazio della città in cui sono presenti, sono addensati alcuni di questi spazi economici, la cui ricchezza perciò è anche la caratteristica essere spazio di compresenza tra identità e culture completamente differenti, che possono essere messe in relazione dallo spazio pubblico tradizionale. Sono stati esplorati cercando sempre di mantenere uno sguardo duplice che potesse raccontare questa relazione: della città che “entra dentro” in una visione in cui lo spazio pubblico tradizionale ha ancora il sopravvento, o di un urbanità nascosta che si aggrappa a un tessuto tradizionale e si riversa fuori contagiando anche i suoi spazi esterni.
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capitolo tre
Spazi di soglia.
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appendice / 1
Tipologie commerciali
TOTALE: 71 NazionalitĂ Bangladesh
25
Cina
14
Marocco, Tunisia, Egitto
14 Marocco
12
Egitto
108
2
Nigeria
1
Turchia
1
Romania
1
PerĂš
1
I Alimentari alimentari, macellerie, panifici, pasticcerie, mini- market, supermarket.
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110
111
TOTALE: 13 NazionalitĂ
Cina
112
7
Marocco
2
Egitto
2
Romania
2
Bangladesh
1
Moldavia
1
II Bar Bar, Caffetterie, Sale slot, Tabacchi.
113
114
115
TOTALE: 39 NazionalitĂ Turchia
10
Marocco, Tunisia, Egitto
8 Cina
116
6
Egitto
4
Senegal
4
Marocco
3
Nigeria
2
PerĂš
1
III Ristoranti Ristoranti, Gastronomie, Kebab.
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118
119
TOTALE: 26 NazionalitĂ Turchia
10 8
Cina Marocco, Tunisia, Egitto
6 Marocco
6
Nigeria Bangladesh
120
4 2
IV Servizi Agenzie di viaggio, Assistenza commerciale, Onoranze funebri, Assistenza documenti, Trasferimento denaro.
121
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123
TOTALE: 26 NazionalitĂ 6
Cina Marocco Marocco, Tunisia, Egitto
124
4 2
Senegal
1
Bangladesh
1
V Artigianale Riparazioni telefoni, Riparazioni Computer, Assistenza tecnica, Sartoria
125
126
127
TOTALE: 45 NazionalitĂ Cina
12
Marocco, Tunisia, Egitto
10 Nigeria
10
Marocco
8
Senegal Egitto
Costa d’avorio
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3 1 1
VI Estetica Parruchieri, Barbieri, Beauty Center, Centro massaggi. Prodotti cosmetici.
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130
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TOTALE: 26 NazionalitĂ Bangladesh
10
Nigeria Marocco, Tunisia, Egitto
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3 1
VII Comunicazioni Internet point, Call Center, Fax fotocopie.
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TOTALE: 39 NazionalitĂ Cina
29
Nigeria
8
Marocco
7
Marocco, Tunisia, Egitto
3 Romania
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1
VIII Bigiotteria Vendita al dettaglio, Abbigliamento, Negozi di usato.
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appendice / 2 Rappresentazioni
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capitolo quattro
una geografia delle differenze “Anche questa è Torino, nello spazio di pochi metri puoi mangiare senegalese bevendo birra peruviana, assaggiare i dolci del Bangladesh dopo il caffè e farsi fare un taglio arabo di barba accuratissimo per 3 euro ascoltando la radio italiana. Mentre i vecchi meridionali stanno rinchiusi negli ultimi avamposti della resistenza “autoctona” , perlopiù bar con le pareti tappezzate di foto della Barriera che fu, a parlare di quanto si stava meglio nel 63.” Questo capitolo è il resoconto di un lungo lavoro sul campo, vari mesi di immersione non senza difficoltà all’interno dell’eterogeneità di un luogo, addensamento di spazi diversi, di differenze culturali, e soprattutto di piccole pratiche economiche. Mesi interi sono passati solamente cercando di capire cosa guardare, come guardare e come interagire con le persone. Per questo si è trattato anche di una sorta di laboratorio personale, in cui non solo le difficoltà oggettive del “ campo” ma anche quelle personali, le paure, i desideri, le timidezze, i pregiudizi e la curiosità propria del ricercatore sono stati messi in discussione ogni volta. Paure, pregiudizi, sospetti, sono stati sperimentati sulla propria pelle, a volte generando lo sconforto di chi ha perso il filo della ricerca o di chi non riesce veramente a entrare dentro ad una situazione complessa. In questi mesi ho rischiato di farmi spaccare il cellulare perché facevo delle foto, sono stato minacciato, mi hanno quasi orinato addosso, mi hanno rubato una macchina fotografica, ho offerto pacchetti interi di tabacco, birre, caffè, schiacciate, ho scommesso sui cavalli, perso soldi alle slot machine, assaggiato i piatti più strani, rischiato di convertirmi all’Islam o ai testimoni di Geova, imparato alcune parole arabe. E’ stato necessario imparare a costruirsi lo sguardo, a filtrare quello che
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si ascolta, e ciò che succede, a capire come cambiano le testimonianze delle persone di volta in volta in relazioni alle domande che fai, a come ti poni, a quanto e quante volte ci parli, è stata anche la prova di quanto gli immaginari e le rappresentazioni contino nella costruzione delle interpretazioni possibili, sia al livello personale di chi svolge una ricerca, sia per le persone con cui ci relazioniamo. Le prime cose che le persone ti dicono, che non sempre corrispondono a ciò che pensano, sono sempre facilmente riconducibili a un grande immaginario. Ti dicono quello che ti aspetti, quello che non vorresti sentire, ma anche quello che non ti interessa. Solo cercando di instaurare qualche tipo di rapporto di fiducia questi immaginari e le relative categorie si sgretolano lasciando spazio a dei piccoli frammenti di influenze culturali, di esperienza di vita, di esperienze di spazi, frammenti che entrano in contraddizione e discutono alcune di queste categorie, spaziali e non, che utilizziamo per comprendere l’urbano. Il protagonista di questo lavoro rimane lo spazio, denso di immaginari e rappresentazioni, ma anche di storie di vita, di utilizzi particolari, di incontri imprevedibili che sono stati raccontati e descritti. Il quotidiano è qualcosa di indefinito, sempre mutevole, sempre diverso e difficile da interpretare e la cosa più difficile è che appare sempre normale, quasi insignificante, mai rivelatore. Perciò, quello che è stato riportato in questo capitolo è un insieme di dettagli, di piccoli avvenimenti che però hanno il valore di aggiungere complessità ad un insieme di luoghi, nella concezione che vede il luogo prodotto da interrelazioni, mai stabile, mai chiuso, statico ma “ place are processes” (Massey,1993, pp. 66-67), “Places are never finished because they are continuously performed“ (Thrift, 1997, cit. da Dovey, 1999, p. 55). ***
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Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
Lo spazio fisico in questione è stato scelto per la caratteristica di non essere solo strada con le attività commerciali al piano terra, ma anche di avere uno slargo, una piccola piazzetta, uno spazio ordinario dove apparentemente non succedeva niente di particolare. Si tratta principalmente di tre/quattro isolati, case a corte che si affacciano su questa piccola piazza denominata “Largo Giulio Cesare”. In realtà più che di una vera e propria piazza si tratta dello spazio ricavato dall’intersezione di due dei principali assi viari e commerciali di Barriera di Milano:Corso Palermo e Corso Giulio Cesare. Per intendersi, ci troviamo nel cuore di Barriera di Milano a due isolati dal mercato rionale di Piazza Foroni-Cerignola, e nella zona statistica Monterosa di cui si è studiata l’evoluzione demografica. I quattro isolati in questione secondo i dati statistici hanno una forte componente di popolazione straniera che registra valori oltre il 50%.Questo slargo è stato oggetto di riqualificazione del cosiddetto “Urban Barriera”, selezionato tra gli spazi pubblici da riqualificare. Intervento che appare più che altro una semplice manutenzione, che ha aggiunto del verde (quattro alberi) alcune panchine, rifatto la pavimentazione e i marciapiedi nonché alcuni parcheggi e riprogettato la mobilità circostante. Questo spazio, addensamento di pratiche economiche, è stato osservato e frequentato anche in quanto palcoscenico di avvenimenti e pratiche differenti e quindi anche condensatore di rappresentazioni legate al quartiere. In particolare quella di una presunta “identità autoctona” del quartiere che vede la contrapposizione tra un “noi” meridionali e “loro” stranieri; della carenza di spazi di aggregazione come uno dei punti portanti del programma Urban; del problema della sicurezza e del degrado come conseguenza dell’immigrazione; e dell’imprenditoria etnica vista come “colonizzazione” e concorrenza sleale (Cingolani, 2012). E stato difficile ma anche fondamentale riuscire a liberarsi di tutte
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fig 1, addensamento selezionato.
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Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
queste rappresentazioni, che filtravano il nostro sguardo impedendoci di pensare allo spazio come qualcosa di processuale, in continua produzione.
Spazi esterni: la retorica dell’incontro. Ho iniziato a frequentare questo addensamento partendo dalla piazza e dalle strade, ovvero dallo spazio pubblico tradizionale. Così per varie giornate, a orari diversi, ho cercato di immergermi in questo piccolo spazio, osservando ciò che capitava intorno, tra le panchine ma anche sulle strade circostanti. La piazzetta appare come un luogo di pausa, di rifugio e di riposo. Queste caratteristiche sono apparse in principio quelle predominanti, considerando anche che si tratta di uno dei pochi spazi che permettono la sosta lungo Corso Giulio Cesare. Le panchine sono quattro, più una a forma circolare che circonda l’albero più grande e accolgono di volta in volta gente diversa, passanti che si fermano per brevi intervalli di tempo, ma anche piccoli gruppi che si fermano a consumare qualcosa in attesa di un appuntamento o di qualche altro programma. Certamente i più facili da notare sono stati i frequentatori abitudinari, in particolare un gruppo di quattro o cinque signori anziani italiani, con storie di vita completamente differenti anche se tutti “immigrati storici” meridionali, che siedono abitualmente accanto senza particolari condivisioni, se non il fatto di trovarsi lì ad utilizzare quello spazio per passare il tempo libero da pensionati quali sono, e per altro con ridotte capacità motorie. Questi signori anziani ogni tanto si fermano sulle panchine per qualche ora dopo il pranzo; ognuno ha una storia diversa da raccontare. Non si conoscevano prima, si sono conosciuti qualche anno fa in quanto
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capitolo quattro
Incontri, solitudine, compresenza
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Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
frequentatori della piazza con qualche caratteristica in comune. Condividono un senso di nostalgia di un passato mitizzato in realtà diverso per ognuno e che non hanno realmente condiviso, ma che li accomuna proprio per la caratteristica di essere immaginario idealizzato. Racconti della fabbrica, degli amici alla Falchera vecchia, dei movimenti operai. Ognuno racconta di un “suo” quartiere. Un territorio immaginario, che non esiste più o forse non è mai esistito i cui limiti del dentro e del fuori, dello stesso e del diverso sono perciò ancora più difficili da cogliere. Un territorio fatto di discorsi da bar, o di “panchine”, costruito in un’ idealizzazione di un’ esperienza personale che in verità è solo un ricordo sbiadito, che si rinforza in uno scambio che è appare più condivisione di una condizione che vero confronto. Un signore anziano invece sta da solo, tutti lo conoscono ma non parla con nessuno, non ha denti e quando parla non riesco a capire molto. Quasi ogni pomeriggio si siede sulla sua panchina, sempre la stessa, ombreggiata da uno degli alberi, e tira fuori il suo sacchetto di pane secco da dare da mangiare ai piccioni. Tutti lo conoscono e lo salutano anche se sembra non sappiano il suo nome. Passa un ragazzo nero africano in bici, anche lui frequenta spesso la piazza, si ferma davanti al vecchio e gli dice ridendo “dammi il pane, ho fame!” scatenando subito lo sdegno dei vecchi meridionali sulla panchina che borbottano tra loro “lo vedi sempre a chiedere il cibo, vai a lavorare!” Un altro, sostanzialmente solitario, anche se saluta gli altri anziani, è un siciliano, 89 anni, molto vispo, che ogni pomeriggio passa due
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capitolo quattro
o tre ore a sedere sulla panchina semplicemente osservando ciò che accade con aria curiosa e divertita. E’ un grande osservatore; mi racconta pettegolezzi di vicinato, storie della gente che passa, sembra conoscere tutti ma non lo vedo quasi mai parlare con nessuno. Molti lo salutano, lui ricambia ma niente di più. Come si chiama lei? Cacciatore sono, mi dice in forte accento siciliano. Ma di nome? No di cognome. La sua storia è una lunga storia di immigrazione dalla Sicilia a Torino con una parentesi di quindici anni nelle industrie metalmeccaniche tedesche vicino Mannheim, per poi ritornare a vivere a Barriera. Conosce un po’ di tedesco come sostiene fieramente “nessuno me l’ha imparato a me” e mi racconta di quando aveva il suo giardino abusivo vicino alla falcherà vecchia, “sono 10 anni che non ci vado, è troppo lontano. L’ho venduto per cinquemila lire ad un carrozziere che aveva l’officina lì accanto, aveva bisogno di posto dove mettere le macchine e i rottami”. Apprezza molto questa piazzetta come se fosse il suo teatro personale, ha imparato a riconoscere alcune persone e alcuni movimenti e appare quasi divertito dalla presenza straniera che vede come qualcosa che aggiunge colore alla sua esperienza. “Io sto qua tranquillo e guardo, ci sono delle donne negre bellissime anche se sono troppo lunghe per me” diario di campo 13 maggio 16 Tra gli abitudinari c’è un ragazzo che presumo di etnia rom, che parla da solo, urla e sta sulle panchine quasi tutti i giorni. Tutti lo conoscono e non si preoccupano di lui, “lui poverino non si sa con chi parla, ha
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battuto la testa” mi dice il siciliano. Alcune volte la piazza si riempie anche di gruppetti di stranieri, alcuni giovani marocchini che stanno a fumare e scherzare al cellulare, o un gruppo di nigeriani che frequenta il Minimarket davanti. Molto spesso i prodotti dei Minimarket, anche del kebab, vengono consumati in questa piazzetta; lo spazio della piazza è in stretta relazione con gli spazi commerciali. C’è chi si prende un caffè al bar, sta un po’ nel dehor e poi si ferma a fumare in piazza, chi aspetta qua il turno del parrucchiere marocchino passando ogni tanto a controllare. Rimane questa sensazione di utilizzo della piazza e anche delle strade vicine come spazio per chi non ha altro posto dove andare, per chi ne ha bisogno: gli anziani, le persone generalmente in situazione socio-economiche svantaggiate, alcuni che in strada proprio ci vivono ciondolando fino all’ora della mensa (come racconta il libro di Michele Lancione (2011) sui senza tetto a Torino). Secondo Harvey (1989) l’accessibilità allo spazio pubblico e il suo utilizzo assumono un’importanza maggiore per questo genere di persone spesso allontanate dagli spazi prestigiosi della città, e potrebbe essere una lente attraverso cui interrogarsi su cosa significhi “pubblico”, ovvero spazio accessibile a tutti i livelli della società, o a chi ne è escluso. Un ragazzo senegalese che stava con gli amici nella piazza, mi racconta che tutti loro non hanno lavoro e che è difficile trovarlo, così passano il tempo tra la piazza e la gastronomia senegalese, o al bar, o nei giardini Montanaro (poco più avanti su Corso Giulio) dove giocano a calcio o a ping- pong. diario di campo 4 maggio 2015
Un pomeriggio inizio a chiacchierare con due anziani peruviani con
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capitolo quattro
le stampelle che stanno seduti su una panchina a bere birra. Inizio a parlare un po' in spagnolo dato che il più vecchio non parla bene italiano e rimangono molto colpiti dal mio interessamento. Mi chiedono se posso andare a comprargli una birra “ esta un cino muy cerca” generalizzando con “cino” qualunque minimarket (in realtà quello a cui si riferiscono è di un signore del Bangladesh). Molto colpiti dalla mia gentilezza mi raccontano di come siano spesso soli e che non succede quasi mai di poter parlare così liberamente con un Italiano o in generale con altre persone. “Gli incontri e gli scambi non avvengono, sono tutti impauriti o chiusi nel loro mondo. Io (parla il più vecchio) ho un solo amico italiano, fa l’autista del bus, del 75 e mi pare del 30, e’ molto bravo lui. Ci ritroviamo in chiesa, anche lui è testimone di Geova”. diario di campo 23 aprile 2015 In effetti la piazzetta si configura come uno spazio della compresenza, senza comunione e condivisione. Un supporto entro cui si dispiegano sistemi di relazioni sociali che non implicano necessariamente appartenenza a un certo milieu locale, comprensione e fiducia reciproca, condivisione di valori e visioni. (Nancy, 2002) In realtà, sembra funzionare più come ricettacolo di bisogni individuali, piccole soste, attese, luogo dove stare in attesa di qualcosa che può essere semplicemente l’attesa che passi la giornata. I gruppi appaiono separati nello spazio e sicuramente non è questo il luogo della loro formazione, se non forse per gli anziani abitudinari che in realtà sembrano condividere solo una condizione sociale. Gruppetti nati da legami che hanno un altro luogo (ad esempio scuola, spazi religiosi, ma anche spazi commerciali) e diverse nature e motivazioni. Questi gruppi o individui singoli però a volte si incrociano, anche solo per un attimo: una battuta scherzosa, un piccolo conflitto. Sicura-
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mente si incrociano i loro sguardi maturando silenziosi sentimenti di rispetto o quantomeno di pacifica indifferenza. Spazio quindi consumato per la sua caratteristica di essere spazio aperto e pubblico, luogo di libera circolazione, fluido e sicuro (almeno durante il giorno), senza particolari restrizioni, impianti di “comunità organiche” o di minacce di violenze incontrollabili. Esso è aperto a tutti, senza condizioni d’appartenenza a questo o quel gruppo determinato. Questo essere spazio di compresenza e co-esistenza di differenze è la sua caratteristica fondamentale e la radice del suo valore democratico. Valore che si esprime nell’eterogeneità del pubblico e delle situazioni nonostante non sia quasi mai spazio di incontri nuovi o di socialità trasversali e quando questi avvengono, il loro esito non sia scontato. “Non è sicuramente l’habitat naturale di un ’etnia, ma un luogo che impegna la libertà e la responsabilità di ognuno che vi ottenga un accesso, un posto, una prospettiva, senza cadere nella trappola dell’identificazione e dell’appropriazione.” (Cefai, 1997, p.108) Come abbiamo visto però la relazione tra questo spazio e quelli commerciali è molto importante. Se questo spazio non ci è apparso come spazio particolare di interazione è stato notato come l’utilizzo degli interni degli spazi commerciali ci potesse dire qualcosa in più. Molte piccole aggregazioni si formano all’interno degli spazi commerciali, frequentandone la soglia e talvolta riversandosi nella piazza. ***
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capitolo quattro
Spazi interni e soglie: contatto, negoziazione, convivenza e conflitti Gli spazi commerciali presenti in questo "addensamento" sono molto diversi tra loro e numerosi sono anche gli spazi commerciali italiani. L'attenzione però, come in tutta la ricerca, sarà principalmente per gli spazi dell'economia straniera, i cui interni sono stati esplorati. Rispetto allo spazio pubblico della piazzetta questi spazi sembrano mobilitare una quantità maggiore di pratiche, di persone che poi, a volte, si riversano nella strada, nella piazza o negli spazi antistanti l’ingresso o la vetrina, rinvigorendo questa sua caratteristica di spazio di compresenza che abbiamo individuato. Alcuni di questi spazi hanno anche la caratteristica di creare interazioni, scambi, conversazioni che vadano oltre la compresenza. La probabilità di interazione risulta maggiore proprio per la caratteristica di essere spazio commerciale confinato. Il Minimarket nigeriano, per esempio, ha una clientela che spesso affolla la parte antistante la vetrina (sul marciapiede). Questo gruppetto abbastanza omogeneo sembra funzionare come una sorta di avamposto di controllo, una sentinella degli ingressi e delle uscite, che fa subito pensare all’esistenza di qualche genere di pratiche illegali al suo interno. In realtà, nonostante i primi sguardi sembrino diffidenti, questo presunto confine sociale o etnico si rivela retaggio di un immaginario costruito. Infatti, iniziando a frequentarne l’interno, alle mie domande su alcune specialità nigeriane, sembrano molto disponibili e finiscono per lasciarsi andare in racconti biografici, scherzando e consigliandomi di provare alcuni prodotti tipici, come le chips di platano fritto piccante. In realtà, con il gestore del Minimarket, ho avuto in precedenza un litigio perché stavo scattando una foto con il cellulare e dopo qualche minaccia ormai mi saluta e ogni tanto entro a comprargli qualcosa. L’interno è spoglio, buio, sembra aperto da poco e in effetti come
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mi conferma il proprietario è aperto da un anno. Ci sono pochi prodotti appoggiati sugli scaffali, vari frigoriferi pieni di carne surgelata, cibo in scatola e le immancabili parrucche colorate che utilizzano le donne nigeriane. In fondo al locale c’è una porta che mi fa ipotizzare che ci possa essere uno spazio abitativo. I gestori sono una coppia nigeriana con un bambino, come avviene in molti casi per questo genere di attività che si strutturano a base familiare. Vicino al bancone, 5 o 6 giovani nigeriani discutono di cose che non posso capire a voce molto alta, sono amici, due sono fratelli e utilizzano questo spazio come fossero a casa propria, alcuni a sedere sui frigoriferi, altri sul bancone o su delle sedie. diario di campo 27 aprile 2016 Sicuramente questo come anche gli altri esercizi commerciali nigeriani hanno una forte componente nazionale e sembra che vendano esplicitamente prodotti per la popolazione nigeriana. Nonostante ciò, non appare un luogo comunitario, secondo l’accezione che fa coincidere comunità e nazionalità, bensì semplicemente luogo dove si ritrova un gruppo di amici, parenti e conoscenti. Da notare però come sia una abitudine più maschile quella di fermarsi nell’interno del Minimarket. Per precisione le donne, spesso con i bambini, passano a fare la spesa per poi andare da qualche altra parte a fare commissioni o molto spesso nei Beauty Center dove invece la componente femminile è superiore. Questi gruppetti che si formano principalmente la mattina prima del pranzo e la sera prima della chiusura, si riversano nella piazzetta e utilizzano lo spazio interno come se fosse un prolungamento della strada. Stanno un po' sulla soglia, un po' sulle panchine, poi rientrano. Questa caratteristica comporta anche un insieme di relazioni e scambi con i negozi vicini, in particolare la sartoria Marocchina di Said aperta anche
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L'appendice / 4 Spazi interni (pp. 181 - 199) raccoglie i disegni e delle schede grafiche relative agli spazi commerciali dei quali si parla nel testo.
lei da un anno. Si è creato infatti un rapporto di amicizia che comporta anche scambi di clientela, piccoli vantaggi tipici delle economie di agglomerazione. La signora nigeriana lascia il marito dentro il market e va dal sarto a farsi aggiustare il vestito, chi aspetta il lavoro del sarto prende una birra dal Minimarket e la consuma sulla soglia o in piazzetta. Entro dal sarto a riprendere dei pantaloni che avevo lasciato a ricucire, c’è un signore nero di una certa età, che parla un italiano perfetto e che ha accompagnato la moglie a riprendere il suo vestito dai colori appariscenti. Lei se lo prova e appare molto soddisfatta. Scherzano per qualche minuto in italiano del ramadan “hai fame è? poi con questo caldo” (lo stanno facendo anche loro perciò presumo siano senegalesi, in quanto musulmani) e salutando il sarto per nome, entrano nel minimarket accanto a fare due chiacchiere. diario di campo 15 maggio 2016
In modo analogo funziona la gastronomia nigeriana, che anche per la particolarità e la differenza del cibo proposto ha una clientela principal-
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Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
mente di questa nazionalità, o comunque africana. Spazio molto piccolo nella via laterale, che non affaccia sulla piazza, è caratteristico per essere un punto di incontro dove mangiare piatti tipici della propria tradizione e scherzare con la simpatica proprietaria. Caratteristica di questi spazi africani, nigeriani e senegalesi appare questa maggiore accezione domestica, elemento che in principio può incutere un senso di invadenza nel cliente, ma che in realtà comporta il dispiegarsi di comportamenti spaziali caratteristici dello spazio privato che sono molto interessanti. Ragazzi che studiano o giocano al computer, chi si porta il cibo da casa, chi passa intere giornate qua dentro a guardare la televisione. La gastronomia senegalese è uno spazio molto grande, spoglio, fresco e familiare. Una volta varcata la soglia vorresti passarci tutto il pomeriggio. La sensazione è quella di entrare in casa di qualcuno, di essere ospite. Tutte le finestre che affacciano su strada, ma anche quelle sulla corte interna sono schermate da tende, la luce è soffusa, lo spazio ampio e molto ordinato. Una televisione sulla parete trasmette un canale di musica africana. C’è solo una signora di colore che gestisce tutto il locale nonostante sia molto grande; è molto disponibile e mi consiglia tutte le loro specialità. “Dovresti mangiare il riso con il pesce e bere questa bevanda, come un vero senegalese”. Mi racconta come il locale non sia molto frequentato da Italiani, anche se è aperto solamente da un anno e quindi poco conosciuto. “Qualcuno viene ogni tanto, soprattutto a pranzo, però gli Italiani mangiano sempre pasta non gli interessa scoprire altre cucine”. All’interno, ci sono principalmente ragazzi e adulti neri che passano il tempo; qualcuno consuma qualcosa, chi prende il caffè senegalese,
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chi delle patatine fritte, e alcuni hanno cibo portato da casa. Un luogo d’incontro dove passano le ore più calde della giornata. diario di campo 13 maggio 2016 Il minimarket gestito da originari del Bangladesh che si trova su Corso Giulio Cesare davanti alla piazza risulta invece uno spazio di incontri molto più anonimi e veloci. Si tratta anche questo di un locale a gestione familiare, dove a lavorare è una coppia col bambino parcheggiato nel passeggino nel retro. Rispetto al minimarket nigeriano, ma anche come vedremo ad altri spazi o ai bar, ha un passaggio di persone molto più fugace. Ciononostante esso resta uno dei punti di maggior contatto tra le differenze presenti proprio perché appare come una sorta di zona neutrale, in cui tutti si recano semplicemente per fare acquisti, senza per questo sentirsi in uno spazio ostile o demarcato da un gruppo in particolare. Non a caso la strategia economica è proprio quella di vendere i prodotti delle maggiori nazionalità presenti, ed ovviamente anche alcolici che riscuotono successo soprattutto nella clientela italiana. Si deduce che questa strategia comporti anche delle relazioni economiche tra i diversi spazi e tra i diversi distributori. All’interno di questo spazio infatti sono frequenti scherzi e battute che ironizzano sulle differenze culturali. Sono all’international market a leggere i nomi sulle scatolette negli scaffali e chiedo al gestore se lui ha assaggiato uno di questi strani prodotti africani, “Macchè, che schifo, io non la mangio quella roba, la vendo e basta! Poi d’improvviso lo sento ridacchia e con aria ironica si lamenta con un ragazzo senegalese con la tradizionale tunica colorata: “Ma che ci si veste così? con questa tunica e i sandali, non lo vedi che
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capitolo quattro
siamo in Italia!’”, entrambi sorridono e mi lanciano sguardi di condivisione. diario sul campo 10 maggio 2016 *** Per i bar bisogna fare un discorso a parte. Nel nostro spazio sono presenti quattro bar, uno bar italiano “storico” su Corso Giulio Cesare, uno gestito da cinesi, uno gestito da una signora rumena, e uno gestito da un signore del Bangladesh. Il bar infatti come tipologia di spazio è estremamente legato ad una cultura europea e mediterranea e questo spiegherebbe come in generale non siano molto frequentati dai neri africani della zona. Nonostante ciò, eccetto per il bar storico che non è quasi mai frequentato da stranieri (caratteristica di questo luogo e non generalizzabile ad altri bar italiani che invece hanno una clientela etnica) gli altri bar hanno una clientela multietnica e sono molto utilizzati anche come spazi di incontro, di pausa, o semplicemente luoghi dove passare il tempo e aspettare. Certamente il bar nasce soprattutto come luogo di socialità sia nella cultura italiana che in quella nord africana, infatti i marocchini, i tunisini e gli egiziani sono i più assidui frequentatori dei bar della zona. Nonos-
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tante ci sia un costo di accesso ovvero si debba consumare qualcosa, non sempre questo avviene o comunque, con il consumo di un solo caffè, lo spazio viene utilizzato per delle ore. Il bar storico è frequentato da una clientela prevalentemente anziana e quasi nella totalità Italiana. Ricoperto di foto della Barriera che fu, tutte incorniciate sopra il bancone, ha un arredamento anni ‘60 con alcuni mobili di antiquariato e un piccolo soppalco con dei tavolini dove alcuni signori giocano a carte. Entrare dentro questo bar nella mia percezione è stato come entrare fisicamente dentro un immaginario legato al quartiere, ad un condensatore di luoghi comuni che in parte si costruiscono e ristagnano proprio tra i banconi di questo e di altri posti simili, dove non avviene molto scambio. Questo bar, mi appare come l’avamposto della Barriera che fu, imbalsamato in un passato idealizzato con le sue foto in bianco e nero di questi lunghi e grigi corsi torinesi con il tram degli anni ‘60. diario di campo 4 marzo 2016 Il bar dei cinesi invece si è sostituito a un bar precedente gestito da italiani, e ha mantenuto un’immagine sostanzialmente italiana. Anche qua ritroviamo le foto della piazza e di alcuni luoghi di Barriera, probabilmente ereditate dalla gestione precedente, il che risulta anche un po' ironico dato che si tratta di un passato mai vissuto dai proprietari. Un normale bar quindi, dove di cinese appare solo la gestione, insieme a qualche grappa di bambù o alle rose che per altro è molto gradita anche dai clienti italiani. Ha un’ampia sala nel retro dove si può mangiare, fanno anche cucina, e giocare alle slot machine che generalmente rappresentano una delle maggiori attrattive verso la sera. Il dehor fuori, ampio e coperto, dove però si può fumare, rappre-
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capitolo quattro
senta molto spesso un’alternativa valida e in molti casi preferibile alle panchine della piazzetta. La clientela è rappresentata da una normale clientela italiana di passaggio, da alcuni anziani abitudinari che utilizzano la piazza e si fermano a giocare al lotto (fa anche da ricevitoria) da persone dell’Est Europa e, soprattutto, da gruppi di maghrebini (specie marocchini) che sono i maggiori frequentatori del dehor nel quale intavolano discussioni. Mi siedo nel dehor e ci sono 5 marocchini che discutono accesamente, uno ha un foglietto su cui scrive dei conti e l’altro ha in mano una calcolatrice, presumo discutano di qualche attività economica. Solo 2 hanno preso un caffè, gli altri stanno lì a chiacchierare e fumare, uno si alza va al tabaccaio e torna a sedere lì fino all’ora di pranzo. diario di campo 28 marzo 2016 Questo bar non sembra però avere particolari relazioni tra clientela e gestori, non sembra si siano creati dei rapporti con una clientela routinaria. Questa che forse è una caratteristica culturale dei cinesi contribuisce a creare la sensazione di uno spazio “neutrale” libero da particolari appropriazioni, in cui tutti vanno e lo utilizzano secondo le proprie abitudini. La sera qualche operaio, o muratore dell’Est con i vestiti sporchi di vernice si ferma a bere una grappa e giocare alle slot, alcune volte buttando via mezzo stipendio. diario di campo 14 marzo 2016
Invece l’Indian Bar gestito da un signore del Bangladesh ha tutt’altre caratteristiche.
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Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
Questo spazio si trova non direttamente affacciato sulla piazza ma in una via laterale. E’ lo spazio in cui più di tutti gli altri ho potuto constatare come il confine nazionale non debba essere considerato in quanto ridurrebbe le nostre riflessioni a mere categorizzazioni. Questo spazio che si configura già come un ibrido culturale-”Indian Bar”. Ha l’aspetto di un bar italiano ma ha anche una zona grill in cui si trasforma in una specie di Kebab, ha un banco da ricevitoria e ha una grande sala piena di slot. Atak, il giovane gestore che dimostra meno di 30 anni, ha anche degli ottimi dolci del Bangladesh fatti in casa da sua madre, che in realtà si tiene per se ed offre solo a qualche cliente abitudinario. Frequentandolo ho potuto constatare come il bar vivesse molto di routine, come la maggior parte dei clienti conoscesse il nome del barista e ci scambiasse alcune chiacchere. Momenti di piccola socialità che ogni tanto sfociano in piccoli conflitti o euforie, soprattutto relativi a discussioni calcistiche in cui i gruppi etnici si mescolano completamente secondo le tifoserie o le opinioni. La vicinanza, dall’altra parte della strada, con una sala scommesse gestita da dei ragazzi italiani, dove molti stranieri si recano a giocare, rende il bar anche un luogo di discussioni sportive. Nel dehor fuori si forma sempre un gruppetto di neri africani, che fanno la spola tra la sala scommesse, il marciapiede davanti e l’Indian Bar, senza necessariamente consumare qualcosa al bar: questo spazio è il loro luogo di incontro quasi tutti i pomeriggi. Questa è una caratteristica peculiare rispetto agli altri bar che sono stati indagati.
Entro nel bar di Atak e mi prendo il solito caffè. Sto quasi per andarmene quando vedo arrivare un ragazzo moldavo che già avevo visto in
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Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
precedenza. Inizia a chiacchierare con Atak, prende un caffè e Atak gli racconta: “Sai ho visto il tuo amico moldavo di merda ieri, è passato e ha lasciato le chiavi della macchina sul bancone, Poi è tornato disperato, io facevo finta di nulla e gliel’ho nascoste nel cestino, poi gliel’ho rese dopo un pò, l’ho fatto incazzare ma alla fine si è divertito anche lui. Certo, farsi prendere così per il culo dagli indiani commenta scherzando il giovane moldavo. diario di campo 23 maggio 2016
Le differenze culturali diventano spesso oggetto di derisione soprattutto tra stranieri di nazionalità diverse che si divertono a ironizzare con gli stereotipi relativi alla cultura altrui. In realtà in queste situazioni si radica una sorta di solidarietà e rispetto reciproco, soprattutto quando queste relazioni sono simmetriche (entrambi stranieri). "Per esempio l’altro giorno" mi racconta Atak, “la signora nigeriana del beauty center qua vicino mi ha lasciato qua suo figlio piccolo dicendo tienimelo d’occhio che devo andare a fare una commissione. Il bambino è stato qua, io gli ho dato una Fanta e delle patatine, ha provato a giocare alle slot, tutti lo trattavano bene.” diario di campo 24 maggio 2016
Il bar è anche ritrovo di una clientela italiana, non molta come nel bar dei cinesi, ma comunque considerevole e che utilizza la sala delle slot. Atak non è il proprietario, lavora nel bar, il proprietario è un Bengalese più anziano che ha preso in gestione un Bar che precedentemente era italiano. Questo signore ogni tanto appare a controllare la situazione, ma generalmente non si ferma più di qualche ora. La caratteristica interessante è che è aperto 24 ore su 24 e per questo e anche perché il capo quando passa è uno di quelli che si fa rispettare,
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capitolo quattro
risulta un luogo dove avvengono particolari interazioni inaspettate. Una signora italiana mi racconta: “qui è tranquillo, non è tanto che è aperto sai?, però si sta bene c’è una bella atmosfera. Quando non hai le sigarette c’è sempre qualcuno che te ne offre una, quando io le ho non ci faccio mica caso, le offro a tutti.” Nella conversazione interviene anche il ragazzo moldavo che è un assiduo frequentatore del bar, poi arriva un giovane senegalese che mi saluta e si presenta. Tutti si salutano e si presentano se non si conoscono, come se solo l’ingresso in quel bar fosse motivo di interesse. Il senegalese si accende una sigaretta ed entra dentro fumando, Atak se la prende, cacciandolo fuori a fumare. Poi mi racconta, “è impossibile impedire di fumare nella sala slot, la gente è tesa, sta spendendo soldi e vuole fumare, vedi questa signora in 2 ore ha già cambiato 200 euro. Quando c’è il capo tutti rigano dritto, io a volte lascio un po’ fare.” diario di campo 21 maggio 2016
*** I due parrucchieri marocchini, invece, sono i luoghi forse più particolari per scambio culturale, anche se probabilmente ricalcano quella modalità che del servizio a base locale tipica anche della cultura italiana. Spazio in cui ci si reca anche e soprattutto per passare qualche ora facendo due chiacchere. Il primo affaccia sulla piazza, è uno spazio molto piccolo e stretto con 5 o 6 posti a sedere massimo. Due signori marocchini, il capo, più
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Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
anziano, di nome Najir e uno più giovane lavorano alle due postazioni di taglio. Chi è in coda e non ha posto a sedere aspetta fuori o sulla soglia, intavolando discussioni improvvisate anche tra sconosciuti. La clientela è principalmente marocchina e soprattutto di Casablanca come il proprietario, ma è molto frequentato anche da persone dell’Est Europa, rumeni ma anche italiani soprattutto per l’economicità e la qualità del servizio. Ci sono sempre un paio di persone che sono amici di Najir o che si fermano sulle poltrone a chiacchierare, ascoltare musica, ogni tanto lo aiutano a spazzare i capelli sul pavimento. La dimensione del locale (molto piccolo) e l’attesa (spesso lunga) favoriscono discorsi di vario tipo e alcune discussioni tra personaggi sconosciuti ed etnie differenti che perciò vengono svolte in italiano. Su un tavolino c’è un computer con you tube aperto che manda musica marocchina ad alto volume, ogni tanto un signore sui 40 anni si alza e cambia canzone. Tutti conversano in arabo e io mi trovo nel mezzo (letteralmente sono nel posto in mezzo a chi discute) di una conversazione di cui posso solo immaginare qualcosa, ogni tanto usano qualche parola italiano. Sembra che discutono di una medicina per l’asma, dei prezzi e di come sia possibile procurarsela. A un certo punto uno dei signori scatta una foto alla bottiglietta, e mi sembra di intendere che possa procurarne altre a prezzi più bassi. A questo punto chiedo ad un signore un po' più anziano (il possessore della medicina) perché utilizzino parole in italiano. Lui mi risponde che loro sono tutti di Casablanca, ma che in Marocco ci sono mille dialetti differenti e certe parole le usano in italiano per ovviare alle differenze dialettali. Mi spiega anche come in Marocco per lo stesso motivo si utilizzino delle parole francesi.
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capitolo quattro
Interessato gli chiedo se esiste una specie di dialetto torinese marocchino di cui avevo letto, e lui mi racconta che suo figlio o i più giovani mescolano il dialetto marocchino con espressioni italiani o torinesi. diario di campo 14 maggio 2016
La lingua appare uno dei tanti prismi per analizzare l’intreccio di identità e di pratiche che si svolgono quotidianamente all’interno di questi spazi. Infatti, da un lato coabitano molteplici lingue nazionali, dall’altro una molteplicità di dialetti locali soprattutto per quanto riguarda i paesi arabi, ma anche per gli originari della penisola indiana. Questo favorisce una sperimentazione quotidiana di linguaggi trasversali come l’inglese, il francese, l’arabo, tra i quali molto spesso prevale l’italiano. Anzi la cosa “curiosa” è che la multietnicità del luogo costringe a parlare italiano per comprendersi (anche se non serve un ottimo italiano) in quanto unico vero canale che permette il dialogo con quasi tutti. Nel frattempo c’è un po' di ricambio di gente. Alcuni escono dopo il taglio ed entra un signore di etnia rom, in ciabatte canottiera e pantaloncini da calcio. Sembra sceso dal palazzo di sopra, si siede su una delle poltrone e si addormenta russando fortissimo. Finalmente è il mio turno, Najiir ride un po’ e mi chiede “corti” io annuisco e lui fa il suo taglio standard. Mi chiede se sono calabrese io rispondo di essere di Firenze e lui ci rimane un po' male, a quel punto i marocchini iniziano a scherzare un po’. Uno dice che assomiglio al ragazzo ucciso al Cairo. A quel punto il Rom si sveglia e dice che ora con i capelli corti assomiglio a Emilio Fede, e che pensava fossi un giornalista forse anche perché mi aveva visto col taccuino prendere degli appunti. diario di campo 14 maggio 2016
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Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
L’altro parrucchiere nel quale sono tornato varie volte, è uno spazio piacevole dove molta gente si ferma per passare il tempo e fare due chiacchierare. E’ più frequentato da italiani probabilmente perché è aperto da 5 anni. Il pezzo di marciapiede antistante mette in relazione i clienti della gastronomia peruviana e di quella nigeriana, tra i quali il parrucchiere si trova incastrato, creando qualche conflitto ma anche alcune scambi interessanti. All’improvviso mentre sono dentro il parrucchiere una piccola bambina nigeriana scappata dalla gastronomia accanto entra e si nasconde sotto il tavolo da lavoro facendo divertire tutti. Poco dopo arriva la mamma preoccupata che ringrazia e saluta tutti, “ certo, i bambini neri sono troppo carini” commenta Rihad. Ogni tanto Rihad il parrucchiere si arrabbia con i nigeriani che stanno sulla soglia e secondo lui intimoriscono la sua clientela, “ stanno lì sulla soglia e gli italiani non vengono a tagliarsi i capelli da me”. Rihad mi racconta che lui è di Khourigba come la maggior parte dei marocchini a Torino, e che ormai è in Italia da più di dieci anni. Solo da cinque anni però ha aperto il parrucchiere, tornando a fare quello che era il suo mestiere dopo anni di lavori differenti. Ha due figlie che sono nate qua e vanno alle elementari e, come mi dice un po' deluso, “ormai sono Italiane”.Mi racconta che ormai non tornerà in Marocco perché la sua vita è qua anche se gli manca il mare, il clima e le moschee con il richiamo alla preghiera. Le sue figlie non sanno l’arabo e ormai non lo impareranno, parlano
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capitolo quattro
il dialetto marocchino ma la lingua araba è complicata e la devi studiare a scuola. C’è una radio che trasmette la preghiera in arabo, o almeno presumo si tratti di un Muezzin che canta con quelle caratteristiche melodie che mi ricordano vagamente la musica melodica napoletana. Dopo poco, forse visto la presenza di due italiani, io e un altro signore, accende la radio e mette la prima radio italiana che capita guardandoci sorridendo in cerca di approvazione. Accanto a me due piccoli bambini marocchini parlano perfettamente italiano tra di loro intervallando con qualche parola in dialetto marocchino. I bambini sono molto agitati, iniziano a voler provare tutti i rasoi (ovviamente fermati dal parrucchiere divertito) e scherzano immaginando di avere la barba come la mia. Poi escono e iniziano a giocare sulla soglia del negozio, urlando e rincorrendosi. frammenti diario di campo 22 aprile, 7 maggio 2016
Le soglie, gli spazi antistanti le attività commerciali sono gli spazi dove si generano i maggiori conflitti. Rumori e odori sono oggetto di tensioni tra i gestori e i condomini. Ad esempio i gestori del Kebab che si affaccia su largo Giulio Cesare si sono appropriati della corte interna dell’edificio per posizionare alcuni tavolini generando l’indignazione di alcuni dei condomini. Il bivaccare davanti alle soglie (ad esempio dei Minimarket), e l’apertura notturna di molti di questi spazi, vengono spesso rappresentati dalla stampa come problemi portatori di degrado, e focolai di attività illegali. Ultimamente in alcuni market, per evitare che i clienti si siedano sulla soglia, sono stati posti dei dissuasori per le persone. Nonostante ciò, nel periodo di osservazione di questi spazi, non sono state notate vere e proprie aggressioni o situazioni particolarmente violente. ***
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Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
Questi luoghi, come abbiamo visto, proprio per la loro caratteristica di essere così prossimi alle abitazioni (in molti casi nello stesso spazio o palazzo), per essere delle protesi sulla strada e per la ampiezza degli orari coperti durante la giornata, diventano i veri luoghi del confronto quotidiano con la differenza. Luoghi di esplorazione e di sconfinamenti, che consentono momenti di contatto più o meno significativi ma spesso ripetuti, che sono fondamentali per innescare interazioni interculturali e negoziazioni quotidiani (Amin 2002; Amin e Thrift 2005) In questo senso possiedono delle caratteristiche che sono proprie degli spazi pubblici, pur essendo degli spazi sostanzialmente privati (almeno dal punto di vista giuridico). Un’ accessibilità elevata, che è sia fisica, dato l’affaccio su strada, che temporale, la gamma di orari coperti è ampia e largamente superiore a quelle degli esercizi commerciali italiani. Molti coprono le ventiquattro ore giornaliere. E’ vero che comunque la possibilità di accesso rimane collegata al consumo, ma in realtà questa soglia di consumo è estremamente accessibile, basta un caffè (per un gruppo intero) o in molti casi quando si è stabilito un rapporto con i gestori, anche niente. Necessità di consumo che ovviamente non vale per gli spazi antistanti che infatti vengono ampiamente utilizzati come spazi di incontro o di appuntamenti senza necessariamente utilizzare i servizi offerti dallo spazio commerciale. A volte questi spazi di soglia sono postazioni dove si svolgono pratiche economiche illegali come smercio di oggetti rubati, spaccio ma anche semplici scambi e baratto. Inoltre sono spazi di visibilità: in questi spazi è possibile vedere e essere visti da un numero elevato di persone; gli sguardi si incrociano innescando un fenomeno di controllo visivo e riconoscimento che inizialmente può suscitare diffidenza, ma che poi tende all’apertura. Spazi di appropriazioni temporanee, utilizzati secondo bisogni person-
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capitolo quattro
alizzati aldilà delle loro funzioni primarie, in cui si possono esercitare diritti spaziali differenti come è stato notato per alcuni spazi con caratteristiche più domestiche. Alcune caratteristiche di questi spazi sono anche apprezzate dalla clientela italiana, Roberto un italiano di circa 40 anni incontrato al bar rumeno mi racconta: “Io in realtà qua sto bene, si ok ogni tanto mi sembra di essere al Cairo, ma in realtà è più il clima di diffidenza che si è creato che un reale problema di sicurezza. Barriera è sempre stato un quartiere d’immigrazione, è la sua vocazione, e non pensiamo che non ci fossero gli stessi problemi quando c’erano le fabbriche, anzi, secondo me si stava pure peggio. Alla fine poi bisognerebbe vedere quanto c’entrano gli italiani in tutte le attività illegali, alla fine gli italiani sono sempre i peggiori. Qui la gente è vera, gli uomini sono uomini e le donne sono donne. Basta guardare i bambini, anche il peggiore è meglio di tutti quelli fuori che crescono viziati, nella bambagia. Qui c’è gente che lavora davvero, pensa al panificio arabo in Via Faletto, quelli lavorano anche di notte non smettono mai, la roba è buona e costa veramente poco, mica come le panetterie tutte rileccate del centro." diario di campo 3 maggio 2016 Questo tessuto di spazi ordinari (Amin e Graham, 1997) per queste caratteristiche che abbiamo evidenziato, è anche una contrapposizione all’aumento di spazi privatizzati, agli spazi anonimi del consumo come i grandi centri commerciali o a quelli abitativi dell’esclusione e del controllo. In un certo senso questi spazi ripropongono modelli e forme d’uso di spazi più o meno collettivi che sono anche stati propri della popolazione
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Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
italiana e che sono stati progressivamente abbandonati ed è stato notato come siano generalmente più vivi rispetto alle attività italiane. Con questo non si vuole idealizzare il ruolo di questi spazi interstiziali economici e tantomeno degli spazi pubblici come luoghi di automatica socialità e incontro multiculturale in una visione romantica dell’incontro. Infatti, come evidenziato da Amin (2002), l’esito di questi spazi di compresenza non è per niente scontato: molti tipi di incontro non producono contatti significativi, né producono solo contatti positivi. Sono anche spazi duri, in cui a volte si rafforzano confini sociali e alcuni possono tendere a situazione di esclusione ed emarginazione sociale, senza però poter definire in modo generale questi fenomeni come relativi a un gruppo etnico, ad una “comunità immaginaria” o ad una categoria particolare, anche perché i fenomeni migratori comportano come fattore strutturante la necessità di ristrutturare completamente la propria rete sociale. Alcuni possono essere spazi con forte accezione maschile, altri spazi di amici, altri spazi di intersezione tra individui differenti, altri spazi neutrali di sola compresenza o individuali, spazi di estranei, come abbiamo visto di conflitto e di scontro, o tutte insieme queste caratteristiche in momenti differenti. Quello che è certo è come ridiscutano la nozione di pubblico, la nozione di quartiere, luogo dove gli individui non sono radicati, in cui le forme di socialità non sono quelle dei vicini e dei familiari che si salutano e si fanno visita. Luogo che è continuamente oggetto di riconfigurazioni e territorializzazioni da parte degli attori spaziali. Processi in continuo mutamento che si dispiegano in un insieme di pratiche diffuse, microstorie, nelle quali è difficile trovare un senso comune. La ricchezza di questi spazi rende l’ addensamento che è stato
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capitolo quattro
descritto una sorta di “palestra di convivenza” in cui imparare a sopravvivere con la diversità. Un luogo dove imparare a gestire i confini e i conflitti che scaturiscono dalla coabitazione tra persone che hanno usi e costumi diversi. Un luogo con potenzialità ambivalenti e in continua mutazione. ** *
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appendice / 3 Spazi interni
0
10
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50
100
Largo Giulio Cesare. La piazza; le strade; gli spazi cmmerciali.
200
250
tipologia : parrucchiere uomo
nazionalità : Marocco
mq : 24
popolazione : 33 mln
anno di apertura : 2010
residenti a Torino : 18399
lavoratori :
Flusso giornata tipo
22/04/16 7/05/16 tempo di osservazione : 5 ore
orario apertura
orario : 15-20
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fruitori :
15
nazionalita : 10
età :
0
25
5 50
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Utilizzo inconsueto
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Nazionalità di casa
71%
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15
17
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Relazione con l’esterno :
23
1
3
5
7
187
tipologia : Alimentari
nazionalità : Nigeria
mq : 23
popolazione : 177,5 mln
anno di apertura : 2015
residenti a Torino : 4715
lavoratori :
Flusso giornata tipo
13/05/16 27/04/16 tempo di osservazione : 3 ore orario :
orario apertura
15-16 18-19 20-21
20
fruitori : 15
nazionalita :
10
età :
5
9 0
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Utilizzo inconsueto
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Nazionalità di casa
46% 69%
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Relazione con l’esterno :
23
1
3
5
7
189
tipologia : Bar
nazionalità : Cina
mq : 100
popolazione : 1.375.666.000
anno di apertura : //
residenti a Torino : 7.415
lavoratori :
28/03/16
fusso giornata tipo tempo di osservazione : 6 ore orario :
orario apertura
15-19 20-22
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fruitori :
15 10
nazionalita : 5
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Relazione con l’esterno : età :
0
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Utilizzo inconsueto
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Nazionalità di casa 4% 23%
4%
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69%
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1
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tipologia : Sartoria
nazionalità : Marocco
mq : 13
popolazione : 33 mln
anno di apertura : 2015
residenti a Torino : 18399
lavoratori :
Flusso giornata tipo tempo di osservazione : 4 ore
orario apertura
orario : 16-18
10-12
20
fruitori : 15
nazionalita :
10 5
età : 9
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Utilizzo inconsueto
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Nazionalità di casa 15%
50%
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38%
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13
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Relazione con l’esterno :
23
1
3
5
7
193
tipologia : Kebab
nazionalità : Turchia
mq : 155
popolazione : 74,93 mln
anno di apertura : //
residenti a Torino : 656
lavoratori :
Flusso giornata tipo
9/05/16 tempo di osservazione : 4 ore orario :
orario apertura
15-17 20-22
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fruitori : 15 10
nazionalita :
5
9
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13
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età : Relazione con l’esterno :
0
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Utilizzo inconsueto
23%
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Nazionalità di casa
12%
69% 46%
100%
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1
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195
tipologia : Bar/ slot machine
nazionalità : Bangladesh
mq : 95
popolazione : 156,6 mln
anno di apertura : 2015
residenti a Torino : 1401
lavoratori :
Flusso giornata tipo
23/05/16 orario apertura
tempo di osservazione : 6 ore orario :
10-14 20-22
20
fruitori : 15 10
nazionalita :
5
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Relazione con l’esterno : età :
0
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Utilizzo inconsueto
44%
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Nazionalità di casa
8%
46%
100%
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1
3
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7
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tipologia : parrucchiere uomo
nazionalità : Marocco
mq : 24
popolazione : 33 mln
anno di apertura : 2010
residenti a Torino : 18399
lavoratori :
Flusso giornata tipo
22/04/16 7/05/16 tempo di osservazione : 5 ore
orario apertura
orario : 15-20
20
fruitori :
15
nazionalita : 10
età :
0
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5 50
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Utilizzo inconsueto
21%
50%
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Nazionalità di casa
71%
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Relazione con l’esterno :
23
1
3
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tipologia : ristorante
nazionalità : Senegal
mq : 160
popolazione : 12,5 mln
anno di apertura : 2015
residenti a Torino : 1.642
lavoratori :
13/05/16
Flusso giornata tipo tempo di osservazione : 3 ore
orario apertura
orario : 13-16
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fruitori :
15
nazionalita : età :
10 5
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Utilizzo inconsueto
Nazionalità di casa 60%
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100%
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Relazione con l’esterno :
23
1
3
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7
201
conclusioni “Nella città non regna l’intimità comunitaria, la programmazione collettiva o la regolazione assembleare. Ma in compenso è proprio nella città che il con-essere funziona a pieno regime. Il con-essere designa un po' maldestramente ciò per cui non abbiamo un nome: né comunione, né comunità, né associazione, né gruppo. Qualcosa che si avvicina alla folla, la quale appartiene alla città (sempre che non sia vero il contrario). Ma la folla si trasforma rapidamente in ressa, panico, e allora parliamo di un’altra cosa: di una moltitudine che in un solo e unico momento, confonde, mescola e distingue."
Jean-Luc Nancy, La città lontana, 2002, pp 51-52.
Nel corso della ricerca è stato necessario confrontarsi da un lato con un panorama teorico complesso riguardante le questioni della differenza nelle città, del multiculturalismo, dell'immigrazione e dell'integrazione; dall'altro con un discorso contestuale sullo spazio in questione, che coinvolgeva un insieme eterogeneo e contraddittorio di rappresentazioni. Questi dibattiti, quello teorico e quello delle rappresentazioni normali, hanno spesso la caratteristica di rimanere astratti, di produrre generalizzazioni, solo saltuariamente capaci di descrivere e raccontare cosa succede nella vita quotidiana degli spazi dove la differenza è questione di ordinaria amministrazione, evidenziando quindi una difficoltà nel rapportarsi con quello che è il complesso mondo delle pratiche spaziali. Se questo lavoro di ricerca è stato un tentativo di studiare come la differenza viene vissuta nelle situazioni quotidiane, di risignificare sotto questa lente spazi normalmente descritti come insignificanti o marginali, il lavoro è apparso molto più complesso anche e soprattuto dal punto di vista metodologico. In questo senso già nel 1977 Manuel Castells si interrogava su come superare le ideologie urbane e la natura dogmatica di molta della ricerca
202
sociale proponendo di utilizzare quelli che definisce “raw material” della ricerca (appunto le rappresentazioni ideologiche, le conoscenze apprese precedentemente e la specificità della concreta situazione studiata) “ideological representations, knowledge already acquired, the specificity of the concrete situations studied, as a starting point, rather than by aiming at the coherence and correctness of the text itself; on the other hand, by using as the means of expressing a theoretical content, sketches of concrete analyses that are not in fact concrete analyses. Thus this is indeed, then, a properly theoretical work, that is to say, one bearing on the production of tools of knowledge, and not on the production of knowledge relative to concrete situation” (Castells, 1977, p 5 ). Il quadro teorico di partenza riferito all’ipotesi di “Ordinary City” proposta da Amin e Graham (1997), ha permesso di provare a fare tabula rasa delle definizioni a priori, riportando le nostre attenzioni sulle pratiche spaziali. Questo però non ha significato lasciare da parte questo “territorio” di definizione e rappresentazioni: la difficoltà di lasciarselo alle spalle è stata risolta portandoselo invece sottobraccio come insieme di frammenti anch’essi parte della questione. Il lavoro sul campo è stata la conferma, anche a livello personale, di quanto rappresentazioni e posizioni teoriche di partenza contino nel modo in cui guardiamo la città, di quanto queste non siano delle sovrastrutture “volanti” ma si manifestino, si costruiscano, si discutano nelle pratiche, nei comportamenti e nelle politiche, e che in questo senso non siano scindibili dall’azione. “Enter urban margins helps us to consider differences and conflicts as ordinary urban features, to move away from established ideas and tales, to challenge myths and pre-given ideas by imagining alternatives on how cities are and could be" (Governa, forthcoming).
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Ritagli di Città/ Molteplicità di Spazi Pratiche, luoghi, rappresentazioni delle differenze a Torino
Immergersi nell’eterogeneità di questi spazi, è stato soprattutto accorgersi di quanto il mondo urbano fosse diverso, sempre più complesso di quanto si pensi, e mai neutrale. Come lo spazio non sia solo luogo romantico di contatto, di scambi, relazioni, emozioni, sorprese ma è anche dove si manifestano le ineguaglianze, la segregazione, l’esclusione e le manifestazioni di diversi poteri, personali, istituzionali, e anche comunitari (secondo un’ accezione neutra), a scale differenti. Questa è la lezione dell’osservazione, e del metodo etnografico utilizzato: non è possibile privilegiare né separare spazio fisico, i significati precostruiti e le azioni spaziali, ovvero le pratiche. (Lorimer, 2008) E quindi non è nemmeno possibile raccontare una storia singola, ma qualunque racconto dovrà mantenere al suo interno il suo opposto, o il germe di contraddizione che è proprio nella natura spaziale delle azioni. Lo spazio è stato considerato quindi come assemblaggio di questi elementi, come l’elemento che mette in tensione e in relazione rappresentazioni e pratiche “involved in the production and reproduction of social structures, social action, and relations of power and resistance’” (Gotham, 2003, p 724). Rimandando quindi a quella che è una concezione di luogo aperta, non statica e regressiva,in cui niente può esser dato per definito e definitivo. Come sostiene Massey “what is special about place is not some romance or pre-given collective identity or the eternity of the hills. Rather what is special about place is the unavoidable challenge of negotiating a here and now (itself drawing on a history and a geography of thens and theres); and a negotiation which must take place with and between both human and nonhuman” (Massey, 2005, p.140). Le rappresentazioni quindi non possono essere abbandonate una volta sul campo, proprio perché si trasformano e vengono discusse nella negoziazione quotidiana dello spazio che è sempre in atto, ha i suoi ritmi e i suoi tempi, e avviene attraverso l’azione.
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In particolare le rappresentazioni più dure da affrontare e da scalfire, relative ai quartieri di Barriera di Milano e Aurora sono state quelle che vedono questi luoghi come luoghi marginali, quartieri problematici. Questa visione è anche una costruzione dell'immaginario comunitario che si mostra con un duplice volto: quello nostalgico del quartiere tradizionale, con i suoi momenti di felice convivenza e condivisione, e quello catastrofico del quartiere marginale , sacca dove vengono rilegati gli individui pericolosi, prima i proletari o gli operai meridionali, oggi gli immigrati stranieri. In questo contesto dove la visibilità delle differenze appare ad una scala maggiore rispetto ad altre parti della città, queste rappresentazioni considerano generalmente i migranti come una minaccia ad un utilizzo “consono” della città e dei suoi spazi pubblici. Le politiche e i mass media giocano un ruolo fondamentale in questa contrapposizione che si crea tra un utilizzo “giusto” e uno sbagliato, tra una presunta “identità autoctona” e la diversità come qualcosa “fuori posto” minante un ordine precostituito. La tendenza nella stampa, ma anche la conseguenza nei pensieri e nei comportamenti delle persone, è quella di accorpare in semplici relazioni causa-effetto tematiche in realtà molto più complesse, (come degrado, sicurezza, quartieri marginali, immigrazione) per cui ad esempio gli immigrati sono visti come portatori di devianza, andando ad alimentare più di quanto esista realmente questa contrapposizione tra “italiani” e “stranieri”. Una continua produzione di stigmi, pregiudizi e paure che hanno una ripercussione sociale, in cui gli stranieri sono spesso indicati come corpo d’accusa, "strangers are often pointed as guilty for every abnormality and accused of “being over-demanding or undeserving" (Amin, 2012, p. 68). Secondo Selmini oggi molte delle politiche di sicurezza urbana mantengono soltanto l’idea astratta dell’integrazione: in realtà l’intervento
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è stato abbandonato o lasciato a quel poco che rimane delle politiche sociali (Selmini, 2004). Sotto le bandiere “di sicurezza urbana” e “degrado”, le politiche agiscono spesso come elemento arginante, separatore, vedendo povertà e ineguaglianza sociale principalmente come un problema di ordine, sicurezza e estetica urbana. Una visione binaria e divisa della situazione per cui esiste un problema ed una cura definita. Così si cerca di redimere delle situazioni con interventi che puntano principalmente alla creazione di consenso. Con pochi mezzi e semplici interventi di grande visibilità (retate, pattugliamenti, sfratti) viene assecondato un generico bisogno di sicurezza senza interrogarsi sulle reali ragioni. Nel caso di Barriera di Milano la richiesta da parte di alcuni abitanti Italiani di un aumento di sorveglianza e di una maggiore presenza di polizia sul territorio, viene portata avanti anche tramite fiaccolate e manifestazioni (spesso fortemente politicizzate) e addirittura tramite la creazione di vere e proprie ronde autoorganizzate di “controllo del quartiere”. Contribuendo con l’aiuto della stampa locale all’egemonia di questo immaginario rispetto alle altre storie, come se questo rispecchiasse l’ opinione condivisa da tutti gli abitanti. I negozi stranieri diventano focolai di “criminalità”, luoghi di devianza sociale e causa di problemi di disordine pubblico, e perciò oggetto di tentativi di regolarizzazioni degli orari di apertura (in particolare quelli notturni), o in alcuni casi vengono fatti chiudere. Nello spazio pubblico aumentano i dispositivi di controllo, telecamere, illuminazioni particolari, ultrasuoni, ma anche elementi progettuali di arredo urbano (o assenza di arredo urbano per prevenire bivacchi) accomunati da una strategia di controllo sociale. Elementi progettati come dispositivi che inibiscono il contatto o lo scontro, come prevenzione di interazioni non volute tra cittadini e autorità.
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Anche se questo fenomeno è peculiare di aree più prestigiose ed è collegato anche all’aumento delle privatizzazioni del suolo cittadino, recentemente a Barriera sono stati posizionati dei “dissuasori per persone” sui gradini di alcuni negozi alimentari o Minimarket per limitare “il bivacco sulle soglie” considerato un elemento di degrado e causa di disordine pubblico. Da questi esempi appare evidente come la costruzione di questi sguardi sulla città, che possono sembrare banali, abbia delle conseguenze reali, e quanto questi non possano essere considerati neutrali. Una rappresentazione omogenea che impedisce di vedere e riconoscere alcuni aspetti positivi, o potenziali di queste parti di città. Impediscono di vedere un tessuto denso di differenze, luogo di socialità o anche solo co-esistenza, presenza reciproca, carico di risorse simboliche e materiali. In questo senso questi spazi di Barriera Milano, appaiono ancora vivi, non particolarmente controllati o “bonificati” e ancora fucine culturali di integrazione possibile. Non necessariamente spazi di incontro, o di socialità mitizzata, in una visione romantica di quartiere denso di rapporti di vicinato, ma spazi in cui è possibile il confronto con “gli altri” , di creare spazi di "throwntogetherness" nell’accezione di Massey (2005) ovvero spazi di circolazioni non costretta, di corpi molteplici in uno spazio fisico condiviso. Per Amin questa che definisce anche “Situate multiplicity” o “surplus” quando si manifesta ha un potenziale valore civico, che produce effetti sociali. (Amin, 2008) “By situate surplus I mean spaces with many things circulating with them, many activities that do not form part of an overall plan or totality, many impulses that constantly change the character of the space, many actants who have to constantly jostle for position and influence, many impositions of order (from buildings and designs to conventions and rules). The swirl
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of surplus matter in a given space, its localization in a busy and diversely used market, square, park, housing estate - and its experience as a force of that place, has a more than incidental impact on urban public culture” (Amin, 2008, p 10) Nello spazio esplorato è stato evidenziato un movimento elastico, tra individui differenti e piccoli gruppi, tra conflitto, solitudine, separazione e piccoli momenti di condivisione. “Una configurazione mutevole di gruppi e attori il cui comportamento e le cui azioni non sono date, ma si generano nei processi in cui essi prendono posizione, orientando pratiche, esprimendo rivendicazioni e conflitti, mettendo in atto azioni” (Governa, 2014, pp 354). Questo movimento non funziona secondo categorie prestabilite, nemmeno il raggruppamento etnico può essere considerato come un dato di fatto, considerando le differenze come costitutive della città e quindi non considerabili anche concettualmente come eccezioni ad una presunta normalità (Governa, 2014) Nonostante ci sia una ovvia inclusione in reti etniche come conseguenza strutturale dei fenomeni migratori, abbiamo visto come l’appartenenza nazionale non possa essere considerata in assoluto come confine sociale. Nello spazio i gruppi o gli individui interagiscono secondo logiche di volta in volta differenti, impossibili da razionalizzare all’interno di categorie definite e tantomeno di un’immaginario comunitario forte che vede coincidere nazionalità e comunità. Decostruendo così il concetto di appartenenza da quei retaggi di una teoria essenzialista dei luoghi come area naturale, come luogo specifico di diversità etniche, religiose, strutturali, e riportando invece al centro lo spazio, la sua fruizione e la compresenza e la relazione di entità differenti al suo interno. Questo lavoro ci permette di considerare la diversità come una
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molteplicità di identità mutabili, di sottogruppi, di aggregazioni temporanee o casuali, che ridiscutono continuamente la loro appartenenza ai luoghi. Differenze culturali che coesistono, a volte si scontrano, a volte condividono qualcosa, che guadagnano importanza in una localizzazione comune, portando delle piccole trasformazioni nella città e nei suoi spazi, costruendo nuovi significati simbolici ma anche nuove risorse materiali. A scala cittadina questo insieme di spazi costituisce un tessuto frammentato, ma denso, che ci parla di una città forse più povera, ma anche più libera, più interessante, più malleabile e più trasformista. Con trasformista mi riferisco ad una sensazione che ho avuto spesso durante le numerose esplorazioni. Quella di essere sempre in un luogo diverso, di perdere i punti di riferimento, di notare sempre particolari differenti, posti che non avevo visto prima o che forse veramente non c’erano. Spazi che vengono usati per la loro caratteristica di essere spazio accessibile, disponibile , non particolarmente sorvegliato libero da forti appropriazioni spaziali e quindi spazio di tutti. Perciò utilizzato anche dalle persone più svantaggiate magari escluse dagli spazi più prestigiosi della città. Non quindi spazio duro, museificato, cristallizzato come appare quello del centro (utilizzando una di quelle categorie di cui non sono più così tanto sicuro), ma spazio flessibile, accessibile, malleabile, e anche temporaneo come abbiamo visto per il ricambio veloce che avviene nel tessuto commerciale. Durante la ricerca ho notato la sostituzione di almeno dieci attività commerciali. Tessuto che ridiscute il concetto di strada come semplice collegamento e che lo riconfigura forse come la più prosaica tra le parti pubbliche della città. La strada diventa spazio che permette la visione delle pratiche co-
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muni e dei mezzi di sussistenza. Visione, visibilità, che costituisce la base di una tolleranza che a volte si può tradurre anche in piccoli momenti di solidarietà. Strada che diventa linguaggio di appropriazioni culturali, di prese di posizione, espressioni di convivialità e contestazione costruendo un concetto alternativo di multiculturalismo lontano dal telaio ideologico della nazione e dall’imperativo morale della comunità (Hall, 2015). In particolare l ’imprenditoria etnica che si aggrappa a questo tessuto stradale, è stata vista come un tattica spaziale, che permette di guadagnare accesso alla città. Apertura di spazi che discutono la dicotomia tra pubblico e privato e si configurano di volta in volta come ibridi non confinati nello spazio fisico del negozio, ma continuo della strada o del marciapiede e del tradizionale spazio pubblico (Kharrolm, 2012). La loro rilevanza si situa proprio nella loro caratteristica di essere luoghi di minime azioni quotidiane, non di avvenimenti importanti ma continuativi che possono innescare minime comunicazioni tra le differenze presenti. Questo tessuto di pratiche può costituire uno scenario, una visione alternativa da contrapporre alle rappresentazioni normali. Potenziale da tenere in considerazione nelle politiche di trasformazione urbana, e da contrapporre ad una visione della città statica con un’identità data e da mantenere. In effetti questi luoghi sembrano unire perfettamente alcune di quelle che sono le problematiche del quartiere, diversità culturale, conflittualità economica (italiani, stranieri) con tutte le difficoltà di comunicazione che abbiamo evidenziato (di lingua, di culture, di età) e sembrano d’altra parte rivitalizzare un tessuto commerciale che si stava mano a mano dissolvendo.
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Forse conoscere e frequentare questi luoghi temporanei e sfuggevoli potrebbe essere il primo passo per superare alcune “paure” e alcune “ideologie” , per aprire una discussione più complessa, uno scambio culturale non solo a livello dei gruppi che popolano il quartiere, ma anche con il resto della città. Una discussione costruita su un idea di città plurale dove la differenza è la “normalità”, che permette così di vedere e concentrarsi invece sulle diversità generate dalla e nella città, quando la diversità si configura come “diversità nei diritti spaziali” generatrice di crescenti situazioni di ineguaglianza e ingiustizia socio-spaziale. ***
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ringraziamenti
Vorrei ringraziare prima di tutto la professoressa Francesca Governa per avermi seguito con pazienza durante questo periodo, e avermi corretto tutti gli apostrofi. Il professor Angelo Sampieri per le discussioni e i consigli. Tutte le persone che ho incontrato e con cui ho parlato. Tutti i cuochi e le cuoche per le ottime mangiate, Rihad e Nizar per i tagli di capelli tamarri e Said per avermi aggiustato i pantaloni. La mi mamma, il mi babbo, Fabio, la Maria e l'Alicina per avermi supportato in questi anni. Dudu Daviddi per i filmoni e i giri di basso, Ago perche era sempre qua a trovarmi e ha imparato suonare il piano, Billone per le mappine e perchè non si veste più di nero. Giorgi per spaccarmi sempre le orecchie. Tutti i coinquilini vari e in generale tutto il Belgio. Corradino per la musica napoletana e le macchine fotografiche. Francesco per gli scarrozzamenti e i birrini, lo zio Albi per gli innumerevoli skype e i confronti. Lo zio Piè perchè è un idolo. Alberto per gli ottimi consigli. I Palazzi per farmi perdere tempo. Gugone per l'innovazione sociale e le batterie jazz. Roberto per le discussioni cilene e le battute di pesca. Sotiris per le granate. Tommaso per il bollito. E ovviamente Lucione perchè era il più grande. E soprattutto il ringraziamento più grande a Lei che mi è stata sempre vicino, e che rende tutto più bello. ***
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