Franca florio edizione toth nuova edizione 2017

Page 1



Breviter 1


A Sofia e Clementina



Š 2017 Toth Editore Palermo Promozione: Arsmultimediartgallery Website: www.toth.be Prima edizione, settembre 2017


Franca Florio è un respiro di tutta la città, Palermo ne è piena, da un secolo vive in ogni cosa e in ogni luogo, nella sua attualità di donna siciliana entrata nell’olimpo delle divine, come non era mai successo, neppure nell’età d’oro di storia millenaria dell’isola, in cui non era apparsa mai una Elena, una Didone, una Penelope e figuriamoci una Cleopatra, al massimo una Persefone, con cui scambiarsi il verso delle stagioni, coprendosi ora di panni ruvidi e lanosi, ora di lino grezzo, senza ori tarantini, costumi sibariti o profumi di Adone. E quando anche la leggenda s’era messa l’anima in pace, anche nello scandaglio sudaticcio del Gran Ballo di Palazzo Gangi, lampedusiano o della grassa parata dei Viceré etnei, derobertiani, ecco apparire una Franca Jacona della Motta dei baroni di Sangiuliano, che irrompe nella bella époque, non per seguirne, caudataria di provincia, gli stilemi dell’originalità povera, come la cravatta ribelle di Calogero Sedara, che non si vuole rassegnare al suo collo plebeo, disabituato all’etichetta, ma una vera e propria sovrana che prende dove c’è, da Parigi a Londra, da Roma a Berlino, ad ogni capitale e tutto riporta alla misura personale, che sente il moderno, l’attuale, il cangiante, ma risente il dorico, lo ionico e il corinzio, al suo gusto che è fatto di un lento distillio dell’antico immerso nel vaso dell’oggi, al suo stile che è profondità dagli echi lontani ma è anche scintillio della vita moderna, al suo ritmo che parte dal metronomo del cuore e arriva 7


alla cura del sé, alla scelta delle persone, degli oggetti di cui circondarsi, alla sua simmetria che è data dal contaminarsi del gesto e della forma con le necessità delle emozioni e dell’amore, dettando il decalogo dell’essere che è fatto di scavo profondo, di lirium, entro cui la metafisica abbraccia la fisica e l’apollineo sposa il dionisiaco e dell’apparire che è la parte dell’occhio, del vedere che si tramuta nella grande fascinazione del saper vedere, con giudizi di valore che sono anche il passare delle ore e dei giorni sia quando si è alle viste della propria solitudine, sia quando si è visti dagli occhi delle altrui moltitudini, facendosi per un lungo attimo Corte, dove nascono linguaggi, modi di essere e di apparire. Corte del mondo. Avviene, in questo modo, una grande trasfigurazione, tanto che il sud diventa il nord, il concetto di centro e di periferia vengono messi in questione e si guarda Palermo come si guarda l'ombelico dell’aleph, perché da esso possono venire e vengono nuovi venti della storia che danno il via a stagioni paradisiache che valgono un viaggio, che vale un grande teatro dove entrano in scena gli smeraldi e i brillanti, i merletti e le sete preziose, i lampadari di vetro colorato, con gli alani e i levrieri, mentre i tacchi a spillo calcano i balli e impazziscono le corone di fiori. Mi viene in mente la grande effige del Bronzino, Venere, Amore e Tempo, dove lo splendore, la bellezza, l’amore, proprio nel momento in 8


cui brillano di più, annunciano il tempo della fine, che è tempo di esilio, di ricordi, di quiete della non speranza. Ho voluto dedicare a Lei un lessico, un breviario estetico, forse anche poetico, alle forme della sua vita, della sua fantasia, del suo desiderio, perché m’è sembrato che intorno al suo giorno d’alba e tramonto, si sia avverata una favola, di splendore vero, un sogno fatto di tante parti di commedia e tragedia, con la grande quiddità umana, di saper stare nella luce, con violini e rose, con trombe e tamburi, di sapere entrare nell’ombra accompagnata da Moire ed Erinni, come un coro che non si sazia e non si arrende, al panegirico, all’ineluttabile, ma prende sembianze d’una dea madre che affronta la vecchiaia, come aveva affrontato la giovinezza e guarda la morte con sguardo fiero, non intimorito da disturbi di vista, udito o da rughe: novembre 1950. In forma d’alfabeto, per essere stilisticamente ancorato, fissato e non andare troppo per aggettivi e superlativi, che pure, qui ed ora, trovano una ragione oltre che un sentimento, procedendo con ordine, con senso barocco quanto ci vuole, con senso di profumo d’armonia, sempre.

9


Ettore De Maria Bergler Ritratto di Franca Florio / 1893


De Maria Bergler L’art nouveau tutta mediterranea di Ettore De Maria Bergler dona splendore al ritratto della giovanissima Franca, rendendole tutti i quarti di nobiltà che le appartenevano per genealogia, ma anche per indole, per modo di vedere, per acutezza di sentire, per leggerezza di toccare, per raffinatezze di annusare, per il saper godere, con un’accorta misura d’armonia, che non consuma e non è consumata, come si vivesse nel quid della primavera di Persefone, che ogni anno si annuncia con la stessa flora, con le stesse limpide acque, gli azzurri perlati, le soffici nuvole, le gioiose ninfee, le allegre giovinette, ma è sempre come una prima volta. Una donna regina, una sconvolgente calamita, che attrae, con corolle di fiori e con essi, in coro, tutti gli aromi in profumo, di zagara, di bergamotto, di violetta, di rosmarino, di ortica, che trasformano l’arcadia, di candide rudezze, in olimpo di morbide passioni. Un ovale simbolico, entro cui è liberata un’immagine di donna, che tesse trame da dea, che ordisce filtri da maga, con eleganza e pulizia, con desiderante virtù dei sensi. Un’immagine di giovinezza, che avrebbe richiamato Petrarca, ricordato il Magnifico e ascoltato D’Annunzio.


Corpo

Una donna - una Signora siciliana Donna Franca - passa sotto le Procuratie: alta, snella, flessuosa, ondeggiante, con quel passo che gli antichi veneziani chiamavano appunto alla levriera. Ella è bruna, dorata, aquilina e indolente. Gabriele D’Annunzio


Volto, immediatezza dell'espressione, introversione, inverosimile presenza, puntuale e scrupolosa, assenza, quasi sogno ad occhi aperti dove si posano le movenze nel grande specchio dei mille, mille occhi che scrutano, cogliendo ognuno la stessa cosa e una cosa diversa a seconda se in esso si irradia, il ceruleo di una dolce attesa, il raggiante di una felicità piena, la penombra di un tempo passato, il disperdersi delle ombre nella sera. Un triangolo con la punta rivolta verso un mento, acuto e tagliente, capace di ogni dolcezza di ogni amore, ma anche del trionfo ilare di un narciso, di blu, di porpora, di rosso, di giallo e di ogni colore sfumato per raggiungere il bianco, il grande incanto che rende candido e bello ogni fiato della voce, ogni scatto degli occhi, ogni richiamo delle sirene che incombono da ogni porta, da ogni finestra, facendo chinare l'orizzonte della vista, fino a farla coincidere con le movenze di se stesso e con esso acquietare ogni rullo di tamburo, ogni squillo di tromba, ogni linea di flauto, che diventa un’abile pentagramma del desiderio, intinto nei colori dell'oro.

13


Mani, lunghe affusolate, area di una carezza che avvolge e rasserena, ma anche la punta di diamante di un'intimazionone, dello stile, della cura del sé, come antesignana, come ce precisa, dura, come si conviene a chi sta in alto e deve indicare il senso della direziura dell'altro, come segno di preghiera nella consapevolezza che c'è sempre qualcuno più in alto, in un’altrove che oggi sorride, lusinga, ma di colpo può diventare arida terra d'esilio. C'è tutto, tutto quanto in qualche modo diventa espressione, linguaggio e con esse si convertono le linee dell'amore e quelle del gioco supremo che non cessa mai, da quando accudiscono le morbide lacrime dei figli a quando per essi si stringono al volto per piangere e per pregare, quando l'ignoto rapisce il sorriso e consegna a un’immobile statuaria del corpo, che diventa insensibile, lontano, estraneo. Nelle mani si concentrano le linee morbide di questa donna attenta alle cure regali, che richiama a sé, con morbido gesto, l'attenzione di tutti, in un silenzio che attraversa ogni brusio ogni clamore e lo veste di una vellutata carezza e così si compiono i gesti delle ore e dei giorni, delle felicità infinite e dei tristi episodi ipogei.

14


Piedi, che visti dalla rapida occhiata boldiniana sembrano assistere ad un essere apollineo, alato, di camminare senza toccare, di stare sulla terra come liberarsi nell'aria, come impronte amletiche di essere e di non essere, di un sapersi collegare con le orme del cammino e con i limpidi sentieri del cielo, capaci di essere nudi e di appartenere alla tenerezza di un corpo in amore ma capace di indossare i calzari di un avvolgente ballo, così come i duri stivali di una cavalcata intorno al proprio sole, alla propria ricerca della felicità dell'eterno. In essi, come nell'incavo di una colonna, si basa il portamento, l'incedere, il fermarsi, il correre, lo stare seduto e si esprime un codice che è quello dell'equilibrio, dell'essere rettilinei e uniformi, dell'essere ancheggianti e ondulanti. Ad essi è attribuibile un'enciclopedia che può velare e svelare, che può condannare o esaltare, perché ad essi è connessa la scelta su cui si poggia ogni stilema, quello della calzatura che da sola dalle connotazioni di una nobiltà, di un sentire, che è dato dal vedere e dal non vedere e dal punto di fusione, che è anche punto di rottura, dove lo scrigno è raccolto da una pelle liscia e setosa e insieme fanno una mirabile sintesi che slancia, che da senso di ascensione, conferendo un disegno di bellezza ad un corpo che non aspetta altro che ricevere quella linfa e farla diventare unicità e molteplicità di una pergamena di vita. 15


E poi tutto ciò che è visibile in presenza della persona, nelle ore e nei giorni, nella festa e nell'intimità, quando è la natura a porgersi con candore e immediatezza e quelli in cui è il trucco, il parrucco la parola colta, accorata, l'ironia. Tutto questo se n’è andato con lei e con la memoria di chi l'ha vista, l'ha frequentata, l'ha avvicinata e ne ha seguito l'apogeo e il nadir, il fiorire inesorabile, variopinto grandioso e il meriggio lo splendore pieno e l'apparire delle ombre e poi le rughe ben celate o mal celate, gli abiti dismessi, rimessi e il tempo senza attesa, che non sia il non essere più, tempo. Noi dobbiamo patteggiare con memorie, i taccuini, fotografie, sculture, pitture. Il contatto con altro da sé, che nasce da quello splendido sé, ma che è altro, anche quando è forte, per cui diventa tutta storia, in cui si mette tutto quello che si ha e quello che non si ha, non si ha.

16


Occhi ambrati come una carnagione, acuti, netti, decisi, capaci di trasmettere un mondo tutto intero, nelle sue fattezze di bellezza, di armonia, capaci di innalzare fino al cielo, pupille che vedono quello che l'intelligenza e il cuore vogliono vedere, quando si tratta di scoprire, di scegliere, di sedurre. Occhi parlanti, il romanzo dell'immaginario, di quadri, arazzi, persone in carne e ossa, strumenti fondamentali per trasmettere quello che c'è dentro, tra battiti del cuore e spruzzi di sangue, per un innamoramento, per un'ira, per seguire i paragrafi di un racconto accorato, durante il percorso di una passeggiata, distesi sulla gobba di un divano e magari con uno specchio davanti, per poter misurare ad ogni momento l'effetto di un potere dominante, fatto di tutto quello che si può desiderare e che porta ad un infinito panegirico dei sensi, che piÚ scavano in se stessi e piÚ diventano alati.

17


Naso appuntito, come si conviene a un volto intelligente, capace di penetrare le scorze più dure, di aver olfatto per le cose impalpabili, per gli odori ineffabili e scansare ogni impatto volgare, ogni caduta nel regno del marcio e quindi capaci di partire dalla malva, all'asfodelo, all'alloro, per poi salire ancora di più all'incenso e alla mirra. E quando tutta la scala è completa e ogni sfumatura è toccata, allora l’enfleurage del mondo diventa possibile e una donna può diventare Stella d'Italia, punto d'orientamento di cavalleria e di cortesia e Unica nel linguaggio alato di D'Annunzio, che fuori di lei non vede l'altro che l'ordinario, l'appuntabile e forse anche il volgare. Quando si ha naso si ha tutto, perché si ha la qualità che è la straordinaria capacità di scegliere, di seguire quello che gli altri non seguono e arrivare a un traguardo senza che gli altri ti possano stare dietro, perché il naso porta l'intuito, facoltà dell'intelligenza e quindi dell'olfatto, del tatto, del gusto, dell'udito.

18


Orecchie piccole, capaci di seguire un sibilo, una foglia, ma di non lasciarsi spaventare da un urlo, potendo, in questa lunga e larga oscillazione, essere musicale nel naturale suono delle cose e della potente musica strumentale della sinfonia e dell'opera, in essa si avvolge anche la parola che è, prima di tutto, monologo interiore, fascinazione ambigua del sogno che vola vola e corre corre, ma spesso non sente il richiamo potente del cuore che rimane lÏ, solo, a battere, mentre tutto si allontana e appaiono figure nuove, inaspettate, vere e proprie chimere della memoria e suadenti sirene che cantano fra scogli e pericoli perchÊ, ad essi, si rivolge sia la parola di Saffo che quella conturbante di Bayron, mischiando l'antico e il moderno, tanto che, ancora vicino, uscendo la mattina di casa, si volge indietro e dice, kalimera kalimera e rientrando con lo stesso tono, kalispera kalispera e poi la notte.

19


Carnagione, cruccio di tutta una vita di un essere abbronzato, bellissimo, ma troppo dionisiaco per potersi accettare da un desiderio assoluto di pelle porcellanata, bianca, ciprigna, che lascia trasferire dalle braccia e dai risvolti segreti, i rivoli del sangue blu che sono i notai di una lunga e felice antropologia degli ottimati. Ma nella terra di Sicilia è difficile tenersi lontani da Scilla e da Cariddi perché, troppo forti sono le correnti e ravvicinati gli scogli, chi pensa che sia bella una beata solitudine e chi pensa che sia ineluttabile stare in mezzo agli altri, in un eterno simposio, dove il bello sta con il buono e insieme stanno in armonia. La storia di ognuno è come un libro aperto che chiunque può vedere, basta saper vedere e quindi capire che non c'è niente e nulla di innato, ma tutto è costruito da un sapiente architetto a cui dobbiamo dare una mano perché ciò che è in potenza si traduca in atto e il fantasma della mente diventi un corpo in carne ed ossa.

20


Sguardo, sintomo d'intelligente, capacità di osservazione che non è solo fatto meccanico ma è capacità di cogliere fiore da fiore, in modo da stare non solo con i ricchi e con i potenti ma anche con gli spiriti dell'alta finanza, dell'aristocrazia europea, della grande borghesia dei banchieri degli industriali, con i raffinati sensuali dell'aristocrazia millenaria ed essere in armonia con tutti partendo dalla propria capacità di trasformarsi in punto nodale in soggetto d'ammaliamento, come una Circe, che fiutando l'aria, volgendo gli occhi di qua e di là, facendo ruotare la vista, girando se stessa come una giostra arcana, tiene tutti sotto di sé, con il piacere di esserlo, con desiderio di incrociare quegli occhi ineffabili e con essi, fare il viaggio del desiderio, da quel luogo chiamato Sicilia, luogo di miti, leggende e divinità solari e dell'inferno, tutti a correre da coribanti sfrenati con dolci fanciulle e miti giovinetti in teoria con Donna Franca.

21


Ammirazione è la parola giusta per significare l'atmosfera che l'ha circondata in ogni momento e non l'ha mai abbandonata, neanche quando la fortuna se n’è andata per altre contrade e intorno ad essa le luci si sono abbassate ma senza mai toccare il buio, bensì cambiando tono, da quello di una grande sinfonia a quello di uno struggente assolo di flauto, tanto da arrivare fino a noi, non scalfito dalle immagini e dalle solitudini degli ultimi anni che non sono riusciti a dissolvere la grande aura di grandezza che richiama la stagione di Ade, la canzone di Galatea, l'acqua di Aretusa, la Demetra di Morgantina, la Venere Anadiomene, in un salto pindarico che richiama alla mente tutte le squisitezze, le ambizioni, di una terra che non è solo terra ma è anche antro del fuoco, dell'ardore, dell'amore, per cui vegliano con noi e dormono con noi, i grandi spiriti della vita e della morte.

22


Icona lo è certamente, per la sua persona, per quello che ha fatto, per quello che non ha detto, anche se il tono della sua voce rimarrà sempre un desiderio non esaudito, che solo i suoi contemporanei possono tenere nella mente, di quell'italiano raffinato, temperato dall'incedere marcato della parlata siciliana che sappiamo per certo non le è mai venuta meno perché, nessuno che voglia essere, come lei ha voluto essere, poteva perdere e perdersi, come lei ha saputo essere l'espressione della sua origine e del luogo, della sua vita che è quello che portò Cielo D'Alcamo a scrivere la Rosa Fresca Aulentissima al tempo di Federico, che è anche il nostro tempo perché Franca ha saputo essere regina nella sua Villa Igiea, negli abiti che ha indossato, nelle collane che ha portato al suo splendido collo, dagli anelli che hanno avuto la fortuna di stare nelle splendide, affusolate dita, mentre intorno cori di amorini spargevano fiori, tanto che anche adesso, pare sentirne l'odore.

23


Pietro Canonica Scultura di Franca Florio / 1900 - 1904


Canonica Sente tante campane, la scultura di Pietro Canonica, nel momento con cui s’immerge in Franca, risente le estasi berniniane, le finitezze sammartiniane, il gesto canoviano delle mille metaforfosi, sottraendo materia e aggiungendo spirito, dando libero sfogo alla sua capacità maieutica di estrarre un visibile, in cui la maniera viene messa a servizio della psicologia, del pensiero profondo, consentendoci leggere le movenze di una maestosità quotidiana, che è quella che conquista di più, che smonta le difese di ogni amor proprio, dalla penetrante oracolarità e dal fascino imperioso, lasciando libere le mille soluzioni, di legarti e scioglierti, libere come vengono dai toni e dalle sfumature, dalle quint’essenze, che sanno di natura assolata, sommersa da cicale e allucinanti tramonti, di tanta arsura e di tanta polvere addosso. Canonica libera Franca da ogni peccato e la rende candida, di quel candore e quell’intelligenza che frulla colombi e volpi e chiama sulla scena la prima interprete, lei, ancora lei, il cui tempo immobile, salva anche noi, per un attimo eterno.


Anima

Un’essenza voluttuosa, volatile e penetrante, emana dal suo corpo regale. Ella è svogliata e ardente, con uno sguardo che promette e delude. Non la volontà, non la Natura l’ha creata dominatrice. Ella ha nelle sue mani d’oro tutto il Bene e tutto il Male Gabriele D’Annunzio


Amore per il marito, per i figli, per la propria casa, per il proprio giardino, i propri invitati e per tutto quanto gira intorno a lei, seguendo la scia dei suoi profumi pregiati, dei suoi abiti raffinati, dell'odore di pulito che emana dai salotti, dalle camere da letto, dai corridoi, con un’attenzione a tutto, dalla parola detta al momento giusto, al gesto d'amore necessario, al segno di comando quando c'è da sollecitare un tempo, un’azione, una convinzione. Ma sopratutto amore per sé, per la propria persona, per il modo di essere, per il modo di apparire, perché per lei conta tutto un universo armonico dove può stare anche il dolore e il pianto ma sempre con il senso della misura, dello stile, del gusto che sono in lei, il retaggio di un’antica convinta nobiltà, siciliana fino in fondo e per questo europea, imperiale, universale, capace di piacere e di parlare al grande poeta, al pittore raffinato, all'architetto funambolico, così come al banchiere, all'imprenditore, al sovrano e tutto nel suo segno che viene dai Lestrigoni da Empedocle, a Procopio Coltelli ai Monzù a Fulco di Verdura: il suo oggi.

27


Bellezza cercata e trovata e poi perduta e trovata ancora, in una lunga traversata di se stessa, del suo corpo, della sua immagine, in una puntualità che non è maniacale, ma ricerca della perfezione, così come le viene dal grande sogno apollineo dell'armonia, dalla notturna dionisiaca ricerca dell'altro, in una disfida lunga quanto il tempo, tutto il tempo, quello della giovinezza, quello della solarità, del pieno mezzogiorno, della disfida del primo e del tardo meriggio, dell'apparire cortese prima e insidioso dopo, delle ombre della sera. Una ricerca, la sua, continua per stimarsi, per essere e per apparire, sempre tremolante e sicura, come al centro di un grande specchio che rimanda tutto e non lascia scampo ad un senso alto del barocco che entra nel suo liberty e lo feconda, come attenzione al particolare, alla rifinitura, alla qualità che sta dentro e che sta fuori e non ammette solitudini e non ammette pause, perché è sempre esigente davanti ai propri occhi, davanti ai propri segreti, che vedono e che sanno quello che gli altri non possono vedere e sentire, nemmeno quando tutte le luci sono accese e tutto sembra mostrato, visto, giudicato, in mezzo a tanti, osannanti e magnificanti, ma per questo, a volte improvvidi e ciechi.

28


Cortesia come forma di gestualità che si può manifestare in un luogo edenico, dove tutto dà piacere e non ci sono spine e non ci sono pericoli, per cui ci si può muovere senza urtare in spigoli e rugosità, nella grande lezione che viene dal Baldassar Castiglione e poi Monsignor della Casa che hanno un antico predecessore in terra di Gela, in terra di Sicilia dunque, di quell'Archestrato che non solo inventò la gastronomia ma anche la gestualità, il tono, la sguardo, l'eleganza degli usi e dei costumi che solo nel bello del canone possono destare dal torpore tutto ciò che è arcadico, bello sì, da leggere in poesia, da vedere in un quadro, ma non da vivere. In questo suo mondo che si chiamava Quattro Pizzi alla Tonnara, Villino Florio o Villa Igiea, dedicata a Igiea, che insieme a Giulia sono rimaste a far gioire la sua vita, dopo che Giovanna, Giacobina e Ignazio Junior le hanno strappato il cuore, lasciando dolore e rimpianto, inudibile musica per la sua visione della vita e della morte, che la fece Venere prima e Giunone dopo, nell'affrontare prima le grazie, poi le disgrazie e raggiungere le soglie del tempo quando tutto diventa ricordo e a volte sembra che i ricordi siano solo sogni belli o anche brutti, bruttissimi.

29


Divinità, a detta del grande poeta che entrò in se stesso e si diede il nome Gabriele, come l'Arcangelo che porta l'annunzio e quindi Gabriele D'Annunzio, che la denomina Unica, vedendo in lei il simbolo di un’epoca, il segno di un regno tornato a vivere con la sua regina che porta a Palermo la mente e il cuore d'Europa, in un nuovo ratto, nella terra di Demetra e di Persefone, fatta di piante grasse e fiumi disseccati, in cui si sono visti tanti tanti gattopardi ma anche tante e tante iene e sciacalli: lei, dall'alto della sua virile femminilità, vuole rievocare, per dare un segno, un destino che, oltre a navigare per i mari del mondo, potesse anche percorre le vie delle Regie trazzere e collegare Girgenti ad Akragas, Castrogiovanni ad Enna, l'Ortigia delle Quaglie alla Pentapoli di Archimede e poi tutte le storie, tutte le leggende, tutti i miti, che rendono divina la divinità e fanno inchinare tutti potenti e umili, con la stessa devozione che una vita speciale merita sempre, perché ha un bel nome, perché ha un bel volto e perché permette a un’epoca, a una Belle Époque, di segnare un universo creativo, che si evoca là dove c'è il lusso e lo sfarzo che sono come il nettare, come l'ambrosia, che non annullano la miseria e la povertà, ma le danno una possibilità di immaginare, di vedere un altrove, dove pesantezza diventa leggerezza e gli incubi lucido orizzonte.

30


Equilibrio, configura l’opposto dello sfarzo, dell’eleganza, della volontà di primeggiare ovunque, di non avere rivali, né tra i pari né tra i superiori, con una volontà assoluta di essere in prima fila, sotto le luci della ribalta, in grado di polverizzare chiunque con uno sguardo, di farlo sentire in dovere di elogiare, di dire tutto il bene del mondo, con un’eloquenza di continua poesia, di continua aspersione di rose in petali, come si s'addice a un tempo felice, che non dura tutto il tempo, che mentre dura non vuole passato, non vuole futuro, ma un eterno presente in cui bellezza e lusso si coniugano come se il tempo non esistesse e non ci fossero gli ammonimenti del Bronzino e della grande pittura rinascimentale, che nel momento del massimo della felicità, intravedevano alle spalle un vecchio dalla lunga barba con un grande telone, ma questo non attiene allo spavaldo elogio di Narciso, che nulla guarda se non la sua immagine, se non il suo specchio, se non la sua morte.

31


Follia è un termine impuro, in cui possono rifugiarsi il tutto e il nulla, come accadde e accade tutt’ora, ad una stirpe che non si è fermata alle antiche divinità ma ha trovato la sua incarnazione nell’intensa vita artistica, sentimentale, grande, sublime scioccante, di Sarah Bernhardt, nell’interiorità femminile, alienante, nevrotica, scandalosa, di Eleonora Duse, nella libertà espressiva e classicheggiante delle giravolte plastiche di Isadora Duncan, nell’ambiguità implosiva e decò di Tamara Lempicka, i cui colori marcati fanno da scala ad un’idea di donna nel mondo, allo stile, all’eleganza fuorviante, al self control fatto di fascino androgino nel volto di Marlene Dietrich e per finire, di non finire con un clinamen che a volte porta alla morte, di una piccola e morbida sex symbol, Marilyn Monroe, ma a volte conduce ad inseguire i sessanta, i settantanni, pensando in silenzio, al buio, la gloria passata, che in realtà s'imprime nella memoria e a volte fa sorridere, a volte fa sognare.

32


Gentilezza è una affermazione generica, che serve ad indicare un equilibrio, di gesti, di modi, che stanno ad indicare un equilibrio tra l’istinto a prevalere, a vincere e il proposito di non scontentare nessuno, apparendo grande ai grandi, affabile ai modesti e ai poveri, in modo da creare intorno a sé un'aura di ammirazione e di rispetto, forse anche d’amore, ma non da pari a pari, bensì da una posizione più alta, in cui poter elargire, dare e anche ricevere, ma solo dopo aver deciso di essere ed apparire, in un modo piuttosto che di un altro, mamma, amica, padrona di casa, donna di sapere e di sapore, in grado di scegliere di dare una nuova nomenclatura a ciò che ce l’ha già e dare un posto ai sentimenti e alle emozioni senza mai farli eccedere dal garbo e dalla moderazione, fosse per una grande risata, per una gioia improvvisa, per uno scatto di gelosia, come per un grave lutto.

33


Hybris, per sentirsi forte, per sfidare la sorte, per sentirsi libera e poter fare ogni cosa, facendo a gara con la sorte, per vincerla, o quanto meno per stremarla, circondandosi di un mondo che conosce il mondo, a partire da Palermo, dalle sue piazze, dalle sue strade, dai suoi saloni, dal suo patrimonio storico e architetturale che parte da lontano e arriva alle nostre orecchie, con parole che sanno di fenicio e di greco, con racconti che partono da Galatea e arrivano ai Beati Paoli, in un alternarsi di grandi illuminazioni e di penombre, sempre pensando di poter fare di più e meglio di quanto non si sia mai fatto. Così Donna Franca si siede a Palermo, al centro del Mediterraneo, e guarda all’Europa e al mondo come al suo giardino di casa, con l’ardire che il suo comportamento possa istituire un tono, una disciplina, uno stile, un modo di vivere che da una speciale corte, la sua, si irradia in ogni contrada, perché ogni cosa da lei toccata diventa pregiata, diventa aurea e splende... e splende...

34


Intelligenza, disposizione mentale che va oltre la cultura, va oltre il sapere e diventa automatismo entro il quale gli enigmi diventano narrazioni, gli incubi diventano luoghi del sapere, intorno a cui si sviluppa un saper fare che è nelle vene, che è nelle arterie portando aura ed etere, riportando oneri e bisogni, tutto in un progetto di vita, nuovamente barocco, intorno a cui non c’è altro che centro e poi ancora centro e poi ancora centro, perché tutto si disvela e l’innamoramento e l’amore e la passione e la voluttà, sempre ornata di charme che di antica nobiltà, che nuova ricchezza in cui antico e nuovo sono utilizzati come leve archimedee per dimostrare un'alterità, che non nasce improvvisamente, ma un lento distillato, goccia dopo goccia, che si raccoglie nel fondo di una coppa come una bevanda preziosa, che si prende tra due mani e si beve a sorso a sorso, fino a vedere il miracolo del fondo.

35


Leggerezza e profondità, in antitesi di ciò che si sente e di ciò che non deve farsi sentire, specie quando è cocente come il dolore, per la perdita dei figli adorati, come il senso di sconfitto, di un tradimento, di un volta faccia, eppure deve essere custodito nella memoria, bene perché la memoria non la tradisca e possa far apparire quel che non è, come in un grande specchio frantumato, sì frantumato, come lo è l’impervio sentiero, che fa prima giovinezza, che fa poi splendore fascino e armonia, che fa poi perdite di amici e conoscenti, di folle sorridenti e osannate. Mentre il tempo passa appare qualche raggio di sole, anche se ogni colore perde brillantezza e poi forza, a scendere a scendere, in una spinta di gravità che porta sempre più giù, mentre le luci del salone grande non si accendono più, mentre qualcuno accelererà il passo o cambia corsia per non darti quel saluto che prima avrebbe pagato per poterlo dare. E così Palermo perde la sua gloria e un’onesta casa di Roma acquista una stella, ma non sa cosa farsene.

36


Mistero maggiore è quello di Roma e di Toscana, quello di cui tutti parlano, tutti sanno ma, in realtà, è come se tutti ne tacessero e nessuno ne sapesse niente, della recondita via del volto ceramicato, portato a Palermo da Parigi e poi disperso in un calcolo agitato di venti, o la via di abiti e gioielli che si sono separati dalla sua musa per darsi ad un’immemore vagabondaggio, mentre restano ancorati ad una Sicilia della mente, che non vive in nessun luogo preciso, delimitabile da un perimetro e al centro di un’area ma agitano la memoria in modo ineffabile. Come è potuto accadere, come è potuto succedere. Ma è veramente accaduto? Ma è veramente successo? Ci vuole più di un cantastorie, ci vuole più di un poeta, molto di più, se si vuole sollevare un pettirosso dal ramo che una grossa pietra dal fondo di un fosso, perché non si tratta di storia ordinaria di tutti i giorni, ma una “capodonna”, di cui si dice che rende tutto possibile, proprio tutto.

37


Nemesi è vendetta lunga trecentosessantacinque perle, di grosso taglio, che non sono solo collana, ornamento, ricchezza, ma l’esito di una sapiente scelta che viene dalla trasformazione della quantità in qualità, che poi si vendica e vuole tornare ai suoi vecchi riti, ai suoi vecchi miti, mentre le luci del mondo toccano l’alto e si riverberano dalla volta di un salone, in cui la maestria dell’arte, del bassorilievo, della pittura, dell’ornamento, facevano la grande cornice alla festa del mondo, a cui il marito Ignazio prende parte da protagonista, senza aver avuto il tempo di mettere insieme il cammino della speranza, ma correndo all’impazzata, lo stesso passo di banchieri, principi e sovrani, che erano tali quando i suoi non erano niente e allora tutto si tiene e tutto tende a tornare a un ordine che già esisteva mentre una flotta ammainava le bandiere e una targa Florio raccoglieva le grida di chi mai aveva visto, e adesso vedeva e intorno Penia, dea della tristezza, sparge il marcio.

38


Omaggio alla bellezza, al fascino, alla capacità di inoculare innamoramento, anche platonico, destinato a rimanere nell'Olimpo degli aromi e dei profumi senza che diventi mai qualche cosa che possa essere preso e lasciato, in una sospensione desiderante, dove basta esserci, basta pronunciare un elogio perché questo diventi un canto secolare in cui tutto lievita e diventa bellezza, sulla via della perfezione, in un’ anabasi senofontiana, dove tutto è mobile, tutto è malleabile, compresa la linea del mare, dove la terra confina e i sogni prendono il loro vento. A diciotto anni e poi a diciannove e poi a venti, fino ai trenta e ancora fino ai quaranta, quando le ombre della sera si fanno sempre più lunghe e i cavalieri e i poeti si fanno più lenti e a volte ripetono il verso, immemori di averlo già cantato, perché poi, il presente diventa imperfetto e l’imperfetto, passato prossimo, ma senza fermarsi, mentre l’omaggio corre e si fondono i colori.

39


Perfezione è la parola che Franca non pronuncia mai, per tema di consumarle l’afflato contatto divino, cullandola nel cuore e nella mente dei particolari del paramento del proprio viso, dell’eleganza dei propri abiti, del profumo distillato da fiori arcani e da mirre lontane, avendo cura del visibile quanto dell’invisibile, della propria biancheria intima, sempre linda e profumata, con una cura del sé che è il principio di ogni amore, il principio di ogni devozione, che poi diventa di paramenti e tendaggi, di tavoli, sedie e specchi e bagni e letti d’amore e di sogno e di sonno pieno, anche quando incombono le amarezze e il segno della perfezione diventa il miraggio dell’impossibile, perché la perfezione non è una poetica, non è un’estetica, ma è un’etica, una morale, una religione costruita intorno alla propria persona, in un’isola che da tanto tempo l’aspettava e finalmente, quando è giunta, in molti l’hanno riconosciuta e ancora oggi la sua fama è incorrotta, perché non appartiene alla morte, ma alla vita eterna.

40


Qualità è la diffusione indefinita degli enigmi del piacere, senza mai fermarsi ad alcun perimetro, allargandosi sempre di più, nella definizione dell’impossibile, perché abbraccia ogni cosa, dall’opera d’arte più alta e fantastica al piccolo oggetto di uso comune, tanto da essere imparentata fermamente con il tempo, con la durata e quindi con uno spirito di artigianalità di factura, che non si lascia mai rapire dal fondo del vaso di Pandora, dove è rimasta la speranza e rimane nel tempo, tanto da farsi accarezzare ancora oggi e nel tempo futuro, quando diventa silenzio e tenebra, la gloria tramontata e allora, una dolcezza diventa la sua linfa vitale ma senza potenza, senza poter far diventare il presente di allora un eterno presente. Perché con essa i colori non scoloriscono, le cuciture non si slargano, gli ornamenti non cedono perché vengono dall'Olimpo, dalla Parigi dell’anima, dai suoi laboratori arcani, dai suoi atelier che profumano di mandorle in fiore e si dirigono tutti verso il suo luogo eletto di Sicilia.

41


Ritmo è umanesimo per eccellenza, la sua “invenzione” nasce un giorno al tempo di Esiodo, quando una donna e un uomo si misero la mano destra sul cuore e chiusero gli occhi e allora… ton ton ton, un battito dopo l’altro a scandire i tempi del cuore, a indicare l’ordine di una musicalità che la natura tutta possiede, in cielo, in terra, in mare, ma solo quando le ragioni della mente lo impongono diventa segno, parola, poesia, prospettiva, visione, pittura, misura delle varie parti del corpo, equilibrio dei pieni e dei vuoti, architettura, inducendo alla concezione classica della vita, che è fatta di profondità, di incisione nella tabula rasa, entro cui si tiene tutta l’appartenenza che fa delle varie cose una cosa, dei vari organismi un organismo. Ritmo è, appunto, tutto questo e altro ancora, ma sempre in una scia che parte stretta e lunga e poi si allarga, si allarga, fino a diventare immagine di universo.

42


Sublimazione è quella che viene fuori dal suo volto ceruleo, tenuto sempre lontano dai raggi del sole, da una penombra solenne che richiama il raccoglimento, la preghiera anche e tutto ciò che rasenta la realtà materiale ma tende ad una santità, ad una metafisica, messa in questione in ogni momento, in tentazione continua, ma pure necessaria per stare in una terra dove le ceneri dei padri vegliano, le nenie delle madri placano le lacrime, in una cascata continua, dove si è figli prima e poi padri e poi madri e poi di nuovo figli, in una circolarità che si fa tempo e si fa spazio, sia nei giorni grigi dell’inverno, quando vige il regno dell’ombra, sia nei giorni della luce, quando ridono le messi e cantano le cicale. Così passano i minuti, le ore, i giorni e gli anni, senza che mai cessi l’inganno, senza che mai avvenga verità.

43


Turbamento è diverso da disappunto, da ira, da rabbia. E’ il luogo dove avvengono i terremoti interiori, si figurano le illusioni e sboccano le tragedie senza che nessuno possa farci niente, specie quando, intorno a tutti, incombono nubi, dove prima c’era il sereno o il rosso del sole, e si avverte che qualche cosa non c’è più e bisogna imparare nuovi miti e nuovi riti e farsi caricare di nuovo furore profetico per generare quello che non c’è, di nuovo furore rituale, per iniziare a un nuovo senso della festa e del lutto, anche le parole con tutta la capacità maieutica e narrativa che esse possiedono. C’era una volta: così comincia il cuntu di li cunti di tutte le epoche e di tutti i luoghi dove una donna ha sognato di diventare amante, moglie e madre e tutto il resto è venuto, ma poi inesorabilmente è andato.

44


Unica non si può dire, ma di certo appartenente a una piccola, piccolissima cerchia, che non replicabile, non imitabile, viene in mente e non necessariamente per assomiglianze ma tanto per assonanze, a cominciare da Circe e Calipso, invano tentatrici di Ulisse, da Poppea, immersa fino al collo del suo latte d’asina, da Francesca, sfortunata e poetica amante di Paolo, da Lucrezia Borgia, immersa e sensuale nel sangue d’incesto, all’elegante gestualità di Maria e Caterina De’ Medici, alla subdola e patriottica Virginia, contessa di Castiglione, ma questo innalza Donna Franca che con la forza di se stessa si è incastonata indelebilmente nel nostro immaginario e con lei una Sicilia dell’anima e una Palermo della regalità, che avverte chiunque, anche se la sfiori, la sua Cappella di Maria di Gesù.

45


Victoria, il segno dell’oggi, dell’affermazione, di quanto tutto sembra volgere al bello e le navi vanno e gli amici vengono e i corteggiatori si moltiplicano e sembra che, come avvenne per Giosuè, il sole si sarebbe dovuto fermare per permettere alla gioia di occupare tutto il campo e per sempre. Ma videmus nunc per speculum et in aenigmate (come scriveva Alano delle Isole) e noi possiamo ripetere che è proprio così, anche se vorremmo che non lo fosse, perché dobbiamo stare nel reale, nella realtà, anche quando sentiamo il richiamo delle cose alte, cristalline, incorruttibili che ci aspirano verso la metafisica, che abbandona il sangue e la carne, la farina e l’orzo, l’alloro e l’asfodelo, l’incenso, senza sapere, oppure per il troppo sapere, che ci ha insegnato l’instancabile Sisifo, che dopo aver scalato la più alta montagna, tutto può rotolare giù, tutto rotola giù e non resta altro che ricominciare da dove si era partiti, dall’origine di tutto, dal peccato originale.

46


Zenith oppure Nekyia, in realtà non sappiamo con certezza nel sogno della realtà oppure nella realtà del sogno, perché entrambi i luoghi sono ambigui e scandiscono la vita, la distribuiscono per contrade e per città, come una grande processione dove è possibile incontrare tutto, le cose che sono già avvenute con quelle che devono ancora avvenire, in una contaminazione in cui tutto si tiene e diventa un grande concerto di accordi e contrappunti, di armonie e diesis, in un vortice che lascia il segno che vuole e diventa, il regno allusivo dell’oracolo, che non dice, che non fa sapere, ma allude, in modo che ognuno costruisca da sé il proprio destino e non si consideri un’appendice della terra o del cielo ma conseguono il regno del desiderio, con le sembianze d'una Flora che viene danzando, come una donna meravigliosa, costruita goccia dopo goccia, frescura dopo frescura, aroma dopo aroma, fino a prendere sembianze complete, fatte per la contemplazione e per la vista e sottratte all'abbraccio.

47


Giovanni Boldini olio su tela di Franca Florio / 1924


Boldini Giovanni Boldini è poeta delle linee morbide, sinuose, sfuggenti, di un universo vaporoso, impalpabile, entro cui sta un corpo, di longilinea sottigliezza, dal volto bianco, che sembra trasparente, compreso in un’ornatezza che sa di dolce luce e nello stesso tempo di una tempra precisa, come intelligenza di un corpo armonico, che ha conosciuto Narciso, ha incontrato Pigmalione, ma si è soffermata sul grande specchio d’amore per sé, per le proprie fattezze, per la propria fisicità che è la fonte di un fascino avvolgente, che prima non si vede, poi si intravede, poi diventa magistrale, come grande spirale che non conosce confini. Boldini guarda Donna Franca, la scruta, la osserva, la scompone, la immagina, la scolpisce, come signo di uno stile che non ammette sospensioni, nebulosità, margini, perché è barocco nell’anima, fatto di tutto quanto, la modernità, nella sua continua morfosi, ha emanato, come tempo, come originalità, come innamoramento. Ed ecco, che dalla pittura di Boldini, una donna diventa un mito, venendo fuori, come una divina femminilità, senza tempo, ayon, senza che nessuna delle sue catastrofi si accanisca, anzi, dettando regole d’eternità.


Abito da Cerimonia


Manto di Corte



Introduzione

5

Ettore De Maria Bergler, Ritratto di Franca Florio, olio su tela, 1893 8 Corpo

10

Pietro Canonica Franca Florio marmo 1900 – 1904

22

Anima

24

Giovanni Boldini, Ritratto di Donna Franca Florio, olio su tela, 1924 46 Abito da Cerimonia

48

Manto di Corte

49


Finito di Stampare in eBook presso edizioni Toth via Giafar n. 6b Palermo




Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.