Treviso Città & Storie / Marzo 2020 / Free Press

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CINZIA MION

Essere genitori oggi NADIA SORATO

Periodico di approfondimento puntuale e trasparente

N.18 ANNO III – Marzo 2020

Nutrizione funzionale

EDOARDO CALVETTI ALVISE DAVANZO

Holos: oltre il fisico


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N.18 – ANNO III Pubblicazione di Marzo 2020 Periodico Reg. Tribunale di Treviso n. 263/18 ROC 32559 Direttore responsabile Mara Pavan marapavan@trevisocittaestorie.it Caporedattore Silvano Focarelli Direttore creativo Andrea Zuccon Special tribute Bruna Graziani In redazione Lorena Mazzariol, Ivana Prior Hanno collaborato Arturo Cardinale, Andrea Cartapatti, Carlo Cecino, Elisa Chironna, Marco Compiano, Lucia De Bonis, Giovanni Di Gregorio, Francesco Doimo, Valentina Facchin, Alessandro Fort, Edoardo Greco, Cinzia Mion, Beppe Mora, Giuseppe Moretto, Cecilia Panto, Elisa Perillo, Aldo Sartoretto, Luca Saugo, Nadia Sorato, Stefania Vecchia

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Beffe di Beppe Mora Product Manager Stefano Realini 366 8248566 Social media manager Gian Marco Scilla Ideazione logo Mauro Tittoto info@mtttt.it Progetto grafico Eleonora Papini papini@mormorcreative.com Redazione redazione@trevisocittaestorie.it Stampatore L'Artegrafica - Casale sul Sile Via Martin Luther King, 68 0422 822754

FREE PRESS

Fotografia Copertina di Marco Compiano FOTOFILM di Nicola Mattiuzzo Editore Treviso città&storie REA TV – 416768 di Mara Pavan pubbliredazionali

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SPAZIO SOLIDARIETÀ SOSTENUTO DA


Le Ore rare & vintage pregiata orologeria da collezione Via Palestro, 46 Treviso T 0422 55186


Sommario 47

IL PORTOLANO Siamo l'animale che racconta storie di Bruna Graziani

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STORIA Il caso Aldo Moro del prof. Aldo Sartoretto

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HAPPINEZ di Mara Pavan

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CAMBIAMENTI Io ti vedo di Edo Hub

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IO ESCO a cura di Silvano Focarelli e Ivana Prior

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EDITORIALE di Mara Pavan

EDITORIALISTA di Andrea Zuccon IMPRENDITORIA Sagola Interiors di Mara Pavan

STARE BENE Holos, oltre il fisico di Mara Pavan

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STARE BENE Fibromialgia e alimentazione della dott.ssa Nadia Sorato

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ISTRUZIONE Genitori adultescenti di Cinzia Mion

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STORIA E AMBIENTE Treviso in Treviso di Arturo Cardinale

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SAPORI Tiziano Bosco, la terza generazione di fornai di Mara Pavan

SAPORI Pastificio Borgoverde di Carlo Cecino

SAPORI Elisa Ulrich e Stefano Dassie, eccellenze trevigiane di Andrea Cartapatti

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TENDENZE Bloom, feed your mind di Giovanni Di Gregorio

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TERRITORIO Tomba Brion, il talento di Scarpa di Valentina Facchin

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ABITO LA VITA Il confine della dott.ssa Lorena Mazzariol

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di Alessandro Fort LE BEFFE di Beppe Mora

LE STORIE DI BEPPE di Beppe Mora

SAPORI In cucina con papà di Elisa Perillo

Sottovoce (parlando di)

NAVIGAMENTE Kevin Systrom di Edoardo e Francesco

Storie di sport

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Il punto di Silvano Focarelli STORIE DI SPORT Denis Marconato di S. F.

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SPORT E SOLIDARIETÀ Insieme

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di Carlo Cecino

CICLISMO Europei di Ciclocross di Luca Saugo


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EDITORIALE

La Costituzione come la bella addormentata nel bosco M DI MARA PAVAN DIRETTORE DI TREVISO CITTÀ & STORIE

auro Scardovelli risveglia l’attenzione sulla Costituzione italiana. Mi è successo recentemente di ascoltarlo nella sua opera di semplice lettura. Niente di più coincidente poteva accadere in questo periodo: il 17 marzo 2020 è l’anniversario del nostro meraviglioso, complesso e contraddittorio Stato, l’unico che in punta di piedi passeggia sul mondo. È sorprendente come questo giurista e psicoterapeuta, con una sola traccia di narcisismo essenziale riesca a portarci in dimensioni tremendamente attuali senza metterci giudizio. Calmo, legge il testo sacro ed apostrofa solo i passaggi che sono andati perduti nel tempo. E mi colpisce proprio quell’articolo 1, quello che più facilmente ci ricordiamo tutti, e ne ridesta i significati: “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Quella sovranità che appartiene al popolo che Enrico De Nicola ha sancito nel 1947 ora è nelle mani dei mercati i quali “dettano la vera legge della nostra convivenza”. Così Scardovelli lucida e disincanta il nostro agire quotidiano e osserva come quel “fondata sul lavoro” non voglia dire fondata sulla schiavitù del lavoro, ma fondata su un’attività umana che consente di realizzare chi siamo e che ci permette di dare il nostro

contributo alla comunità a cui apparteniamo. Il passaggio che lega e collega è oggi al condizionale: dovremmo fare il lavoro che possiamo scegliere perché la scuola - schola, che in origine significava tempo libero - ci ha permesso di comprendere i nostri talenti e le nostre aspirazioni. Ed ecco spiegato perché il popolo da cui nasce la cultura occidentale metteva alla base della conoscenza, tra le 7 codificate intelligenze, proprio la motoria, la musicale, l’artistica e la personale, e solo dopo quella linguistica e logico matematica. È andata sovvertendosi nel tempo, la regola base dell’apprendimento ovvero che la psiche non va governata con la ragione. “La scuola per la costituzione è valida, ovvero non è anti costituzionale, se mette al primo posto l’intelligenza emotiva, la comprensione delle nostre emozioni, senza questo noi siamo guidati da passioni tristi.” Una triste meraviglia che ci dovrebbe coinvolgere attivamente. Qualche artista visionario dovrebbe creare 139 opere, dipinti e sculture Costituzionali, per farle vivere e circolare. Di modo che, più persone possano vederle con altri occhi e altri sensi. A causa nostra si è addormentata. Aspettiamo il bacio.

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EDITORIALISTA

Il problema non è il problema, ma la soluzione T DI ANDREA ZUCCON

reviso è una città oramai tourist friendly, che piace alla gente che piace, che é in vetta alle preferenze di tante persone e di tante classifiche, non più depandance di Venezia, ma dotata di identità propria, marcata, con i suoi brand conclamati, dal radicchio al prosecco fino al tiramisù. Poi se si va ad analizzare più in dettaglio una città sempre più open, si trovano però delle anomalie bizzarre; a partire dall’epidemia che sta colpendo una città sempre più piena di turisti e sempre più vuota di vetrine, Treviso città aperta ma con i negozi vuoti, in una Risiko immobiliare senza precedenti, in una battaglia navale in cui vanno a picco anche le portaerei, ma in cui si individuano solo gli sconfitti e non sono pervenuti i vincitori, in cui la domanda è: siamo all'inizio o siamo alla fine? Perché il cambio quasi schizofrenico di molte vetrine, lo svuotamento dei piccoli come dei grandi negozi, senza che neppure le banche intervengano a ripianare il buco, non parliamo di conto ma di spazio, vetrina, negozio, appare preoccupante. E poi le piste ciclabili, che spesso convergono a raggiera dai comuni limitrofi, talvolta con interruzioni legate a diatribe di confine, ma che poi raggiunto il comune della Marca spesso si trovano di fronte all’ anarchia di un progetto mai e mal gestito, in cui la pista pericolosa e sempre snobbata di viale Vittorio Veneto, e quella a doppio senso ma senza senso di viale Monte Grappa sembrano l'invito agli amanti delle pedalate, più o meno assistite ad intasare il Put con l'auto che però non possiamo più usare ma che non possiamo non usare; fin quando almeno non esisterà una progettualità viaria semplice, lineare, delle piste ciclabili tale da riportarci ai nostri avi,

che la città della Marca la raggiungevano attraverso le strade polverose nei tempi di Bartali e Coppi, quando ancora Pinarello era una bottega e non una leggenda, e la Granfondo era la sfida giornaliera di ognuno che inforcava la 2 ruote. Basterebbe fare un salto ad Amsterdam, dove il problema dei parcheggi non riguarda le auto, che pochi usano, ma le bici, che schizzano, nel vero senso del termine, lungo il fiume Amstel e i numerosi canali ramificati, in una città disegnata su misura per il ciclista, e in cui la bici, proprio per la facilità viaria viene usata da tutti. E Treviso, per la sua conformazione, potrebbe diventare un lungo perimetro ciclistico e sicuro, tale da indurre più di qualcuno a pedalare per girarla, anziché inquinare nel girarla; perché purtroppo se andiamo all’outlet parcheggiamo anche a 1 km, e camminiamo in mezzo al nulla senza lamentarci, mentre se non troviamo parcheggio in centro, e lo dobbiamo raggiungere attraverso delle mura medioevali spesso ce ne lamentiamo... c’é qualcosa che non va... nonostante il gusto del livello visivo non sia neppure paragonabile. Serve forse ridisegnare la spina dorsale del centro cittadino come un outlet, magari di lusso?

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Progettare e Produrre, Navigare e Correre si uniscono in ​​​​​​ SAGOLA ​​​​​​INTERIORS 8

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F O T O A R T I C O L O E C O P E R T I N A : S I LV I O S A LV A D O R

IMPRENDITORIA


DI MARA PAVAN

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e ne torno sui miei passi con una chiavetta USB in mano, sopra c’è scritto “Giro d’Italia in biplano 2018”. Corrisponde alla terza vita salvata di Fausto Pierobon. Un atterraggio di emergenza su un campo vicino a Roma ha interrotto il giro dopo aver sorvolato tutta la costa da Caorle in giù.. Stando alle vite dei gatti, gliene mancano 4, almeno così si dice in Italia, secondo i paesi anglosassoni invece la prospettiva migliora perché pare che siano 9 le vite degli amati felini. In Sagola Interiors si sta bene. Incontro Fausto e Gianluca nei loro studi separati solo da una parete senza porte tra le cocorite - il primo le ama e il secondo ne è terrorizzato - che volano libere nell’open space sulla Noalese venendo da Treviso poco dopo l’Aeroporto Canova Progettare e realizzare arredamenti di interni su misura, è la loro specialità. In 24 anni di attività si sono distinti per aver eseguito lavori ritenuti impossibili. E dopo averli conosciuti un po’ capisco anche perché. Hanno un segreto evidente: la loro naturale predisposizione a realizzarli, deriva non solo dalla cura estrema per tutti gli aspetti che partono dalla progettazione alla produzione e alla messa in opera, ma anche e soprattutto dalle loro intrinseche capacità personali che ben si evincono da tutto ciò che fanno fuori dal loro lavoro. Il team Sagola, cresciuto nel tempo proviene da esperienze professionali in settori diversi ciò ha permesso di collaudare, verificare e mantenere salde le specificità di ognuno che hanno come prodotto un potenziale amplificato e del tutto unico. Tutto parte nel 1996 attorno ad un tavolo 2x2 a casa di Fausto, il quale chiama per la missione che sentiva possibile Gianluca, insieme iniziano il loro viaggio nel Contract retail cavalcando l’onda alzatasi alla fine degli anni ‘90 dell’allestimento di negozi chiavi in mano. Fausto è un appassionato uomo di mare, di volo e di vita. Ambizioso con degli insospettabili lati romantici ed eroici che non ti aspetti. È stato uomo Faram per 20 anni nel settore commerciale e proprio in questa azienda leader nel mondo dell’arredo uffici incontra Gianluca che per essa progettava. Gianluca fin dai primi anni dell’Università fa pratica nei più prestigiosi studi di Treviso: presso Mario Marchetti e Fabio Zampiero Architetti, presso lo studio dell’architetto Gianfranco Trabucco, poi

la lunga collaborazione con lo Studio Paolo Bandiera e Umberto Facchini Architetti gli fa incontrare Fausto. Erano gli anni in cui progettare e realizzare un plastico prevedeva lunghe

nottate di lavoro per consegnare in tempo, non c’erano i computer ma parallelografi e tecnigrafi. In questi anni, un po’ involontariamente come nelle imprese migliori, inizia quindi l’amicizia e la

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IMPRENDITORIA

Conegliano) e al loro progetto “Giocare in Corsia”. Maratoneta e triatleta, trasla nell’ambito professionale la disciplina, la dedizione e il sacrificio che questi sport richiedono.

collaborazione con gli Architetti e Interior Designers trevigiani. relazioni fidelizzate negli anni e che sono alla base di gran parte del lavoro di Sagola Interiors tutt’oggi. Presso lo studio Ubis di Luca Facchini consolida la sua passione per la grafica che oggi tiene in vita per curare l’immagine di un altro progetto che va in parallelo con la sua vita: la Run for Children. È ideatore e motore, insieme ad uno staff di persone incredibili, di questo evento benefico che devolve il 100% dei ricavi a LILT (Lega Italiana Lotta Tumori, Treviso e

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Un matrimonio professionale, quello tra Fausto e Gianluca, consolidato con un collante potentissimo, la passione per lo sport quasi estrema. Su cui ci dilunghiamo per trasmettere quanta disciplina, quanta tenacia, quanto carico di sfida questo team è in grado di gestire. Potere della rigenerazione. “È un lavoro di relazioni, si instaurano forti rapporti con i professionisti che spesso diventano amici. Ascoltare le esigenze dell’architetto e del cliente e realizzarle secondo le loro aspettative è la parte fondamentale del lavoro che non si sottrae alla realizzazione di infinite campionature, studi e revisioni di dettagli anche complessi. Qual è la fase del lavoro che dà maggiore soddisfazione? “Quando senti e capisci che il cliente ti

dà fiducia. A quel punto la squadra parte a 200 all’ora”. Ed ecco che introduciamo il team Sagola al completo: Martina e Chiara, in segreteria e amministrazione, Paolo nella produzione e sviluppo lavori, Luca al commerciale e spesso uomo di fiducia degli architetti più esigenti, Valentina architetto e Sheila, architetto e figlia di Fausto. La loro forza è l’interazione con i progettisti. “L’intera equipe crede nei progetti dei committenti e loro credono nella nostra capacità di realizzarli. Dallo stile barocco al moderno e contemporaneo, al vintage non c’è limite alla bellezza.” Fausto in una parola? “Un apripista, lui non ha rivali nell’approcciarsi ad una nuova realtà”. Passo nello studio di Fausto, una vetrata invade di luce la parete interamente coperta da un’immagine della sua Gran Soleil 39 “Sagola”, un 12 metri a vela con la quale partecipa alle regate in Mediterraneo. Ha vinto due Mondiali di Vela d’altura e in una 200X2 ha rischiato la pelle disperso per l’Adriatico durante una violenta tempesta. Mi guarda senza parole mi sta dicendo: “ti ha detto tutto Gianluca cosa vuoi sapere da me?”.


IMPRENDITORIA

Gianluca in una parola? “Un fuoripista”. Ok, ha origliato, ma il gioco è fatto. Fausto ha saputo creare una realtà imprenditoriale che si fonda su principi morali solidi, dove onestà, serietà e coraggio, da sfoderare nei momenti più difficili, sono prima di tutto uno stile di vita che cementa i rapporti umani e di riflesso con semplicità anche quelli professionali. Mi sento un mozzo fortunato che è salito a piedi scalzi al cospetto del comandante di una solida imbarcazione in cui la legge del mare si fa nel rispetto dei ruoli ma si governa insieme come un affiatato equipaggio. L’episodio più significativo della sua vita? “La prima volta che l’ho rischiata. Diciannove anni, servizio militare artigliere di montagna a Pontebba, pesavo 60 kg ero il piccolo della caserma. Il 6 maggio del 1976 abbiamo vissuto il terremoto a Gemona. Un’esperienza drammatica. Quanti commilitoni abbiamo perso. Ma uno lo abbiamo salvato e lo ricordo bene perché era un’impresa impossibile, una voce sotto le macerie dei tre piani collassati della caserma ci dava speranze di salvezza. Piccolo come ero solo io potevo tentare di introdurmi la’ sotto con il rischio che tutto ci crollasse addosso. Confesso di averci pensato 5 secondi per poi calarmi…e salvare quel militare di leva. Ricordo che di cognome faceva Sottana ed era di Treviso. Mi piacerebbe incontrarlo.” Un vero lupo di mare.

Sagola è quella sottile cima che si trova in tutte le imbarcazioni: serve un po’ a tutto, a legare, a collegare, a stringere e ad assicurare. Il suo uso è limitato solo dalla fantasia! Per secoli ha fatto parte dell’equipaggiamento base di ogni barca ed è ancor oggi un accessorio indispensabile per chi naviga per mare.

I N F OTO : FAU S TO E S H E I L A P I E R O B O N

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PARERI

EDOARDO CALVETTI E ALVISE DAVANZO, L'UNIONE CHE FA IL TUTTO

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STARE BENE

DI MARA PAVAN

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n luogo che poggia sulla storia, un edificio del 500, un’architettura rinascimentale e un’eredità di nomina ottocentesca che ha respirato la cultura del teatro e dello spettacolo, Palazzo Filodrammatici oggi ospita e unisce in un movimento gli opposti. Un anello di congiunzione tra storia e attualità, antiche radici e la freschezza di giovani progetti di valore.

“Volevamo creare un posto magico, che regalasse all’individuo un momento di incontro con se stesso” come aveva saputo creare quella struttura così intima e costruttiva». Alvise è l’amico conosciuto in compagnia, fortemente appassionato di cultura fisica, agonista della Federazione AINBB affiliata all’internazionale ICN, laureato in scienze motorie e laureando in psicologia: è la seconda O di Holos. Quei due cerchi perfetti, complementari per indole, guardano all’esercizio fisico con criterio personale adattato alla vita di ognuno. Braccio nel senso tecnico, mente nel senso gestionale, si alternano unendo le diversità: Edoardo apporta l’esperienza toccata con mano sulle

esigenze del mondo esterno, Alvise dà il suo contributo rispetto alla conoscenza specifica della materia e la conseguente sua applicazione. Questi due giovani uomini sono stati complici nel confrontarsi, sperimentarsi – un rapporto che nasce fuori campo ha sempre una marcia in più. Alvise ha sviluppato in tesi un metodo di allenamento, Edoardo ha voluto essere la sua prima cavia. Dopo la lode teorica, l’intento è di proporlo a chi ha esigenze prestazionali di alto livello. Alvise spiega in cosa consiste: «Si tratta F O T O I N T E R N I D I A N D R E A C A LV E T T I F O T O R I T R AT T O D I S C R I P TA & C O .

Il corpo è la nostra preziosa prima casa e Holos è il centro che lo allena in interezza. «Volevamo creare un posto magico, che regalasse all’individuo un momento di incontro con se stesso, un posto che evocasse domande per avere risposte a partire dal corpo, il sacro involucro che prima di tutto protegge e tiene insieme la mente e gli organi. Conoscerlo, armonizzarlo, allenarlo, nutrirlo è la base di ogni impresa». Così parlano Edoardo Calvetti e Alvise Davanzo, i volti di questo centro olistico fortemente pensato e voluto. Un ritorno al rito, tempio della nostra globalità. Mi sento accolta in casa di amici, il rosso antico su cui spicca il logo a neon Holos* ha un design caldo e moderno, mi sistemo su una Fit Ball e in equilibrio instabile inizio a conoscerli. Pratico ed esperenziale, Edoardo ha cercato nelle relazioni la sua strada. Con una non scontata semplicità mi porta nelle sue contraddizioni, nella sua passione per i viaggi e per le gite anche solitarie in mezzo alla natura, nelle avventure a New York, nella attenzione che dai 20 anni in poi è diventata sempre più costante per l’allenamento fisico. Nel tempo irrobustisce il corpo e i pensieri fino a quando ad Urbino incontra il suo mentore Armando, proprietario della palestra Mad Planet, come mi racconta. «L’atmosfera, il senso di appartenenza… passavo molte ore con lui e in quel ambiente volevo vivere, assorbire, capire

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STARE BENE

di una preparazione basata sul principio della biomeccanica applicata all’allenamento contro resistenza. È un metodo estremamente produttivo che consente di allenarsi per sempre, abbassando il rischio infortunio sia nel breve che nel lungo tempo». Alvise, praticante di Taijiquan stile Chen, propone il riscaldamento con l’arte marziale cinese, la disciplina dell’alternarsi del vuoto e del pieno, applica la filosofia e la meditazione al movimento. «È una magnifica opportunità per sentire i propri pensieri. Senza lasciarli nell’iperuranio» precisa Alvise. «In Holos la persona è al centro continua Edoardo. Ci rivolgiamo ai cultori sani, dagli agonisti agli amatoriali, a chi sa e a chi vuole imparare che l’allenamento è uno stile di vita, che si ingloba con i criteri dello stesso, il quale comprende molti aspetti. È anche per questo che il clima accogliente e amichevole dove si svolgono le attività, in spazi dai soffitti alti e luci calde, riadattando il concetto classico di palestra, va in questa direzione. Nel nostro spazio riceviamo su appuntamento. Ci prepariamo ad accogliervi, a entrare nelle vostre esigenze».

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OLTRE IL FISICO A dispetto di quanto i luoghi comuni lascino intendere, la cultura fisica può e dovrebbe essere uno stile di vita basato sulla conoscenza e il rispetto di se stessi, del movimento nello spazio e di una corretta e sana alimentazione. Essere padroni del proprio corpo e conoscerne le esigenze porta a un benessere della persona che va ben oltre la sola fisicità ma ne ingloba anche la sfera psicologica. Principio cardine in Holos. «Vi accogliamo nella nostra casa, offrendovi esperienza, metodi, strumenti e guide per vivere nel corpo che siamo, un corpo che si può plasmare sulla vostra missione, che sia professionale o vitale lo decidete voi». Allenamenti funzionali, corsi di discipline olistiche, servizi che preparano all’esercizio con criterio personale, dalla nutrizionista al fisioterapista. Un medico dello sport è in grado di rilasciare certificati. A grande richiesta sono aperti i corsi di golf indoor tenuti da Marco Cervellini, maestro e professionista. Un servizio importato dai più moderni paesi europei, darà la possibilità alle neo-mamme di allenarsi mentre i bambini, a seconda dell’età, verranno intrattenuti con esercizi di psicomotricità.


STARE BENE

PERCHÈ "HOLOS"? Nomen omen, il destino nel nome – dicevano i latini. Scegliere il nome di una nuova attività è sempre una grande responsabilità: il nome “giusto” è senza tempo, non stanca, è facile da dire e ricordare, rappresenta l’essenza del brand. Estremizzando, il nome deve funzionare da solo, senza nessun’altra spiegazione. Da essere emotivi e intuitivi quali siamo, in HOLOS sentiamo rievocare la forza della parola e il suo portato di valore. Nella Grecia antica, l’aggettivo holos significava «tutto, intero, completo, totale»: quale altro termine potrebbe, ora, sintetizzare la volontà di considerare il benessere della persona nella sua interezza (corpo-mente)? HOLOS non è una palestra in senso stretto: i servizi di personal training, pilates, yoga, allenamento ad alta intensità, medicina sportiva, fisioterapia ed educazione alimentare sono accomunati da un obiettivo: puntare a un equilibrio perfetto tra stile di vita, nutrizione e salute, a qualsiasi età. La bellezza, perciò, diventa conseguenza di uno stato. Più che l’estetica tout court, sono una certa raffinatezza motoria e il senso di armonia a fare la differenza.

Per questo, dopo una iniziale valutazione medico-sportiva delle cause di eventuali squilibri, dovuti a fattori interni ed esterni, fisici ed emotivi, HOLOS individua il percorso più adatto alle esigenze di ciascuno. Ogni programma personalizzato è un mix unico di attività finalizzate alla riattivazione del potenziale di salute e vitalità. Esso agisce sui meccanismi di rigenerazione cellulare, sul metabolismo e sui livelli energetici, al fine di migliorare la qualità di vita e la salute. E se le due O, perfettamente simmetriche nel segno tipografico del designer Peter Bilak (HISTORY, 2008), si trasformano in due “occhietti” sorridenti, non c’è da stupirci: mens sana in corpore sano! DI FERENA LENZI

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STARE BENE

DELLA DOTT.SSA NADIA SORATO

Nutrizione funzionale e fibromialgia

Come l’alimentazione può aiutarti concretamente

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a fibromialgia (FM) è una sindrome caratterizzata da dolore muscolo-scheletrico cronico e diffuso associato a forte affaticamento, disturbi del sonno, problemi cognitivi (per esempio diminuzione di concentrazione e memoria) e alterazioni del tono dell'umore (come anche l’ansia e la depressione). Colpisce più spesso le donne in età adulta e i sintomi possono comparire in modo graduale oppure possono presentarsi dopo un evento scatenante come un trauma fisico, una infezione o uno stress psicologico. Le cause esatte della FM non sono note, tuttavia si ritiene che ci sia un insieme di fattori scatenanti che comprende fattori genetici, infettivi, ormonali, traumi fisici e psicologici. Quello che è certo è che il paziente affetto da FM ha una ridotta soglia del dolore: a causa infatti di un fenomeno detto sensibilizzazione centrale, si verifica un aumento della sensibilità cerebrale sia a stimoli dolorosi (iperalgesia = risposta amplificata al dolore) sia a sintomi che normalmente non dovrebbero essere dolorosi (allodinia = risposta ad uno stimolo innocuo). Come viene effettuata la diagnosi? “Non vi sono attualmente esami di laboratorio che consentano di fare una diagnosi certa. Nel caso del diabete mellito di tipo II la diagnosi viene effettuata quando dagli esami di laboratorio alcuni parametri, come la glicemia e l’emoglobina glicata, risultano superiori ad un certo livello. Nel caso della FM non vi è alcun test strumentale che consenta di avere una diagnosi immediata. La diagnosi viene effettuata con l’aiuto di criteri classificativi del dolore percepito dal paziente, con esame obiettivo in cui il medico valuta la presenza di dolore in alcuni punti specifici del corpo (detti punti sensibili o tender points) e coni l’esclusione di tutte le altre patologie che potrebbero causare un dolore cronico (per esempio malattie reumatiche, autoimmunitarie, gastrointestinali, ecc.) Tutto ciò rende la diagnosi davvero complessa, tant’è che per molto tempo la FM è stata ritenuta una “malattia immaginaria”.

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Spesso i pazienti vengono rivoltati come calzini, ma dal momento che gli esami di laboratorio risultano nella norma viene loro dotto che non hanno nulla. Per questo motivo medici, familiari e amici possono arrivare a dubitare dell’esistenza della malattia, aumentando l’isolamento, i sensi di colpa, la frustrazione e anche il dolore, l’ansia e la depressione nel paziente affetto da FM. È importante che si sappia invece che questa patologia esiste, che le cause del dolore cronico e della stanchezza sono reali e che deve essere affrontata come una patologia cronica.” Quali possibilità di trattamento ci sono? “Il trattamento della fibromialgia prevede sia l'assunzione di


STARE BENE

farmaci, sia cambiamenti dello stile di vita, ed è sempre mirato alla riduzione dei sintomi e al miglioramento dello stato di salute generale. L’approccio migliore è sempre quello interdisciplinare, con la collaborazione di più figure sanitarie che aiutino il paziente a gestire i sintomi e a migliorarli. Tra i farmaci che possono essere prescritti sono inclusi analgesici, antidepressivi e antiepilettici, con risultati variabili tra i vari pazienti; viene poi consigliata la pratica di una attività fisica moderata e costante ed eventualmente un sostegno psicoterapico per affrontare le situazioni di stress ed evitare che queste possano contribuire al peggioramento del dolore. Nonostante ad oggi siano stati pubblicati centinaia di studi scientifici riguardanti la connessione tra alimentazione e FM, non esistono delle linee guida di indirizzo per un approccio nutrizionale specifico. Ti ho spiegato perché la FM sia una patologia molto complessa: presenta un’ampia varietà di sintomi che il paziente può sperimentare totalmente oppure parzialmente e non è quindi possibile applicare lo stesso protocollo nutrizionale a tutti. L’intervento nutrizionale deve essere cucito come un abito sartoriale sull’effettiva condizione psico-fisica del paziente. Contare le calorie non è la soluzione, l’unico approccio possibile è quello della nutrizione funzionale.” Che cos’è la nutrizione funzionale e come può essere utile nella FM? “La nutrizione funzionale è un approccio che propone una combinazione personalizzata di alimenti che realizza la giusta sinergia di nutrienti capace di condizionare il lavoro degli organi e la produzione di ormoni e molecole che supportino lo stato di salute del paziente. Come ti ho spiegato all’inizio l’ipotesi più accreditata nell’insorgenza e nello sviluppo della FM riguarda il meccanismo di sensibilizzazione centrale che avviene a causa dell’alterata produzione da parte dell’organismo di alcuni neurotrasmettitori importanti come la serotonina. La serotonina viene prodotta a partire da un amminoacido, il triptofano, presente in alcuni alimenti. Il suo assorbimento può essere però impedito da scorrette associazioni alimentari, dalla scelta di alimenti che ne sono poveri o da problematiche gastrointestinali del paziente. La scarsità nella produzione di serotonina è anche correlata con l’alterazione del tono dell’umore, con stati di ansia e di depressione, pertanto una dieta calibrata in senso funzionale può essere un aiuto concreto anche per queste condizioni. La dieta dovrà innanzitutto assicurare al tuo apparato gastrointestinale (stomaco e intestino) tutti i nutrienti utili per: 1) massimizzare la sua efficienza di digestione e di assorbimento 2) agire su eventuali alterazioni della flora intestinale (microbiota) che è fondamentale per permettere l’assorbimento di molte vitamine e micronutrienti. Nel contempo dovranno essere invece eliminati tutti gli stimoli alimentari che nuocciono alla salute di questo apparato e del microbiota. Potranno per esempio essere eliminati dalla dieta i cosiddetti amminoacidi eccitatori (aspartato e glutammato) che sono presenti in moltissimi prodotti confezionati di uso comune (come il dado da cucina, le zuppe pronte, le panature di piatti pronti, l’aspartame nei prodotti dolcificati, ecc.) e che hanno una attività stimolante nei confronti del sistema nervoso. Potrà essere indicata la riduzione o l’eliminazione del glutine dalla dieta, a seconda della storia e delle esigenze salutistiche del paziente, per ridurre lo stimolo infiammatorio a carico dell’intestino. Per aumentare la disponibilità del triptofano, fondamentale per la produzione della serotonina, è possibile applicare un

protocollo specifico che comprenda alimenti ricchi di questo amminoacido (come le uova se di buona qualità, biologiche e da galline allevate a terra, carne di buona qualità, pesce, vongole, patate, carote, sedano, spinaci, barbabietole rosse, biete, zucca, radicchio trevigiano, cioccolato fondente (>80% cacao), riso, miglio, noci, olio extravergine di oliva, olio di vinaccioli, timo, salvia, rosmarino, caffè, tè verde) e che riduca nel contempo gli alimenti che ne riducono l’assorbimento (come miele, frutta per il contenuto in fruttosio, legumi, grano e cereali per il contenuto in fruttani e inulina). L’approccio nutrizionale deve poi essere variato nel tempo a seconda della risposta del paziente, monitorandolo periodicamente per ricucire di volta in volta il piano dietetico mano a mano che l’organismo risponde, in un vero e proprio percorso di accompagnamento alla guarigione. Questo che ti ho illustrato è un approccio semplificato. Infatti, il paziente affetto da FM ha spesso anche altre problematiche di salute concomitanti: può trovarsi in una condizione di sovrappeso o di obesità che ne limita ancora di più la possibilità di movimento e acuisce il dolore, ha un aumento del rischio cardiovascolare e pro-trombotico, è più a rischio nei confronti di patologie infiammatorie croniche. La storia del paziente andrà pertanto valutata attentamente, anche sulla base dell’anamnesi familiare e della presenza di altre patologie in famiglia, e si dovrà valutare con accuratezza anche la presenza di terapie farmacologiche in atto o effettuate in passato (molte terapie possono interferire con il corretto assorbimento gastrointestinale di alcuni nutrienti fondamentali). Se hai la FM, o hai qualche tuo caro che ne soffre, è vuoi aiutarti anche con l’alimentazione, il mio consiglio è di rivolgerti sempre ad un professionista preparato su questa patologia perché, come ti ho spiegato, è molto complessa e l’intervento nutrizionale è tutt’altro che banale. Ricorda che non esiste lo schema dietetico uguale per tutti i pazienti con FM, ma esiste invece l’approccio funzionale e personalizzato che valuta con attenzione il tuo stato di salute psico-fisica e che ti accompagna nel percorso di guarigione.”

Dott.ssa Nadia Sorato La dr.ssa Nadia Sorato è Biotecnologo e Biologo Nutrizionista e da 7 anni svolge la professione a Silea. Ha orientato i suoi studi alla medicina e alla nutrizione funzionale, fondamentali per proporre al paziente le associazioni di cibi corrette per stimolare il processo di guarigione in moltissime patologie. Ricopre incarichi di docenza ed è relatrice in eventi nazionali nei quali insegna ai colleghi come applicare correttamente la nutrizione funzionale per il trattamento di patologie complesse. Contatti Mail: nadia.sorato@dietafunzionale.it Tel 04221740177 cell. 3929923150 Indirizzo: Piazza Europa 17 Silea

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ISTRUZIONE

Gli Adultescenti

La nuova generazione di genitori

L

’intera società italiana esprime oggi un grande bisogno di istruzione e crescita culturale. Bisogno di investire nell’educazione e nella ricerca che sono il motore del cambiamento. Bisogno di competenze di cittadinanza caratterizzata soprattutto dalla capacità di comprendere e interpretare gli eventi. Tra questi impellenti bisogni chi si interessa di scuola desidera estrapolare il bisogno di educazione, visto che da parecchie fonti viene denunciata una vera e propria emergenza educativa. Non si fa qui riferimento a fenomeni estremi e preoccupanti, sia pur presenti non senza apprensione anche da noi, come le baby gang e l’approccio precoce alla droga. Personalmente intendo addentrarmi all’interno della cosiddetta prima “agenzia”formativa che è la famiglia. Noi persone di scuola siamo solite affermare che al giorno d’oggi più che mai sia ineludibile un’alleanza solida tra scuola e famiglia, contrassegnata da vicendevoli rapporti fiduciari, vista la difficoltà di crescere le nuove generazioni in grado di affrontare le difficoltà che si parano davanti. A tale proposito trascrivo un passo delle Indicazioni Nazionali (che hanno sostituito i Programmi nella Scuola dell’Autonomia) “Il primo incontro con la scuola e con gli insegnanti, nonché l’esperienza scolastica dei figli, aiutano i genitori a prendere chiaramente coscienza della responsabilità educativa che è loro affidata. Essi sono stimolati a partecipare a un dialogo intorno alle finalità della scuola e agli orientamenti educativi, per rendere “forti” i bambini ed attrezzarli per un futuro che non è

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DELLA DOTT.SSA CINZIA MION

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facile da prevedere e decifrare”. Il termine forti, usato dal linguaggio ministerile, sta ad indicare la resilienza che la psicologia usa per designare la forza d’animo, indispensabile per affrontare gli ostacoli e le difficoltà, la capacità di rielaborare le inevitabili frustrazioni che la crescita comporta sempre, il saper ricorrere alle proprie risorse interne, spesso nascoste ed addirittura ignorate, se non si viene messi nella situazione di doverle attivare per far fronte alle emergenze. Pietropolli Charmet, noto psicoanalista milanese, a proposito della difficoltà genitoriale, afferma che un tempo nella culla veniva depositato “Edipo”, bambino pulsionale, bisognoso di essere contenuto da regole e divieti; oggi viene depositato “Narciso”, il cucciolo d’oro, adorato da una schiera di adulti che matureranno su di lui aspettative grandiose difficilmente sostenibili nel tempo dall’interessato. Cominciamo insieme a ridare significato a questa importante funzione. Che significa “educare”? Si tratta in parole povere di impostare ed aiutare il passaggio dal massimo evidente della dipendenza, rilevata alla nascita dei figli, al massimo auspicabile dell’autonomia (personale, fisica, affettiva, emotiva, cognitiva ed etica). La prima indispensabile componente della genitorialità si dice debba essere l’adultità, vale a dire avere la sicurezza che per primi i genitori stessi devono essere connotati da autonomia, solida e ovviamente non soltanto in senso biologico ma soprattutto in senso psicologico, anche nei confronti della famiglia di origine. Attualmente questa adultità è messa in discussione da chi afferma che i

genitori oggi sono adultescenti. È questo un neologismo coniato dallo psicoanalista Massimo Ammaniti per identificare le caratteristiche che connotano appunto i genitori, sull’onda della cultura del narcisismo e giovanilismo imperanti. Le madri sono in competizione con le figlie adolescenti per quanto attiene l’abbigliamento e non solo, i padri con i figli maschi per prestazioni sportive ed efficienza fisica. La pedagogia ci avverte però che se il rapporto genitoriale con i figli perde l’a-simmetria, corre il rischio di ridursi ad una relazione alla pari, lasciando evaporare così lo spessore educativo che dovrebbe invece connotarlo. Entrando meglio all’interno di questo rapporto, che stiamo mettendo sotto la lente di ingrandimento, ci rendiamo subito conto che i due pilastri che dovrebbero connotarlo, la cura e la guida, stanno mostrando delle fragilità soprattutto per quanto riguarda l’aspetto della guida. Infatti oltre alle madri, dedite alla cura come sappiamo tutti, anche i giovani padri da un po’ di tempo, per quanto riguarda il primo pilastro, amano dedicarsi alla cura del neonato, traendo da ciò il piacere che trasmette il suo corpo tenero; imparano così nello stesso tempo a mettersi in contatto con la loro tenerezza, prendendone atto con soddisfazione, modificando in questo modo lo stereotipo del maschio ruvido e tutto di un pezzo Un tempo la scuola e la famiglia nell’educazione dei bambini mettevano in pratica il medesimo codice etico contraddistinto da : osservanza delle regole, assunzione dell’impegno e della


ISTRUZIONE

Capitale Sociale In questa società liquida e disancorata, di fronte allo sfaldamento della socialità e all’emergenza educativa non perdiamoci d’animo, cerchiamo dei sani appigli reciproci tra famiglia e scuola, costruendo relazioni fiduciarie che alimentano la capacità di riconoscersi reciprocamente, intendersi, aiutarsi e scambiarsi informazioni per crescere INSIEME. Facciamolo per i nostri bambini e bambine che ci guardano e… trattengono il respiro.

fatica, rispetto dell’altro, capacità di sopportare le rinunce. Non sorgevano conflitti per discordanze sui valori educativi. Oggi tutti sappiamo come le famiglie siano cambiate. Oltre al fenomeno della denatalità, su cui non mi soffermo, ma che potrebbe anche indicare alcune difficoltà pedagogiche non solo economiche, si sta rivelando il fatto inoppugnabile che la genitorialità ha assunto una dimensione meno normativa e molto più affettiva: si è affacciato in modo esorbitante l’atteggiamento dell’iperprotezione. L’intenzione è intrisa di amorevolezza, infatti si desidera “far felici” i figli e si crede che questo possa avvenire soddisfacendo tutte le loro richieste, evitando le frustrazioni, anticipando i desideri, trattenendoli sul principio del piacere ritardando il passaggio a quello di realtà (Freud). Il risultato purtroppo preoccupante è che ci penserà la vita a farlo. Spesso in modo più doloroso perché questa li incontrerà che non sono attrezzati a farle fronte.

Al momento della fase dell’opposizione (ora anticipata verso i12/18 mesi), proprio per la carenza della funzione di guida, manca spesso l’assunzione del “no”, assunzione solida, tranquilla e senza paura di entrare in conflitto con il bambino che, non volendo cedere la sua “onnipotenza” sperimentata fino a quel momento, non vuole satellizzarsi ma vuole essere lui a manipolare l’adulto. Come si intuisce l’esito è piuttosto deludente dal punto di vista del diventare “forti”. Si dice che i “no” aiutino a crescere ed è senz’altro vero che i limiti che l’adulto dà ai suoi piccoli aiutano a sentirsi al sicuro. Come infatti potrebbe sentirsi al sicuro, cioè protetto, se è il bambino che tiranneggia l’adulto, e così si sente più potente di lui? Noi sappiamo che educare è un compito difficile e faticoso, oggi più che mai. Coniugare amorevolezza con autorevolezza richiede impegno ed attenzione. È comprensibile perciò che affiori tra i genitori una fastidiosa e a volte deprimente inadeguatezza, accompagnata sovente da un sottile senso di colpa, insopportabile da rielaborare. Molto più comodo trasformare questa frustrazione in aggressività. Aggressività che qualche

volta, nell’incapacità di autointerrogarsi sulla loro inefficacia o semplice disorientamento, essi veicolano nei confronti dei docenti, identificati come la causa dell’ insuccesso educativo dei figli. C’è un gran bisogno di sostegno alla genitorialità per auspicare che le nuove generazioni siano in grado veramente di affrontare quel futuro che li aspetta. Futuro definito da qualcuno una minaccia, invece che una promessa. Di cui siamo responsabili noi tutti.

Dott.ssa Cinzia Mion Dirigente scolastica in quiescenza ma non quiescente. Continua infatti a fare la formatrice chiamata in tutte le parti d’Italia per l’esperienza accumulata come psicopedagogista e psicologa in tematiche che riguardano la formazione personale corporea e la relazionalità, la psicologia dell’apprendimento scolastico, l’inclusività della scuola odierna, le tematiche dell’educazione precoce 0-6, le Pari Opportunità donna-uomo, l’alfabetizzazione emotiva, la genitorialità.

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STORIA E AMBIENTE

Treviso in Treviso DI ARTURO CARDINALE

de scala, mi ha consentito di o comunale, le quali mi sono che permette di distinguerle mazione urbana e territoriale di

o raggruppare più località che

rrisponde infatti al processo di erra e fluviale (e ricondizionato o originario. ole località, definite dai relativi e individuate dal punto di vista RTI" di città in quanto dotate di nto circoscritte da forti barriere

vigiano (di cui la n. 1 è il centro cerca) le ho considerate il più di identificare all'interno di un

o, relativi rispettivamente alla one ad ogni parte di città, ho antologica, strutturata in modo

restituire l'essenza del luogo, opri dell'analisi urbana: ricerca

ci, cartografici ed iconografici:

ativi. Una raccolta di immagini organizzati in modo tematico,

atto una scheda introduttiva a grafia relativa.

Centro storico

-----Piave S. M. del Rovere S. Artemio Selvana

-----Fiera

-----Ospedale S. Antonino

------Mozzato S. Zeno

--------S. Maria del Sile S. Angelo - Canizzano

-----S. Giuseppe

-----Eden Stiore Castellana Monigo S. Liberale S. Paolo

A MURA 1 Centro storico B LIMBRAGA 2 Piave 3 S. M. del Rovere 4 S. Artemio 5 Selvana C FIERA 6 Fiera D SANT'ANTONIN 7 Ospedale 8 S. Antonino

-------Luzzatti Galletto S. Bona

-----Chiodo Piavesella S. Pelagio

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E S. LAZZARO 9 Mozzato 10 S. Zeno F S. AGNOLO 11 S. Maria del Sile 12 S. Angelo, Canizzano G S. GIUSEPPE 14 S. Giuseppe H MUNIGO 13 Eden 15 Stiore

16 Castellana 17 Monigo 18 S. Liberale 19 S. Paolo I S. BONA 20 Luzzatti 21 Galletto 22 S. Bona L S. PALÈ 23 Chiodo 24 Piavesella 25 S. Pelagio


C

i chiediamo mai la storia dei quartieri che raggiungiamo, attraversiamo, nominiamo? Ci chiediamo mai, magari quando siamo in macchina spesso di fretta, la storia delle arterie che percorriamo e che collegano il centro città con le zone periferiche che lo circondano e viceversa? Quanti sanno che il quartiere di San Liberale è nato come villaggio coordinato con un’idea di autosufficienza, con una viabilità tutta sua? C’è stata una generazione che ha vissuto la viabilità del Calmaggiore a doppio senso di marcia, oppure ancora le ultime generazione per le quali il Put è storia e che per altri è stato un cambiamento epocale. Il cavalcaferrovia della stazione costruito nel 1933, lo affrontiamo spesso in coda immersi nei nostri pensieri più volte al giorno, non c’è sempre stato. Sono solo alcuni esempi per testimoniare che molto è stato fatto quando sembrava per sempre, e molto ancora si può fare per proporre una riqualificazione della nostra città. Perché sì, Treviso è una delle tante città che dal dopoguerra si sviluppa urbanisticamente con precisi criteri di opportunità, ma senza una visione armonica e in particolare senza una struttura adeguata. Ci viene in mente che molti stati esteri quando sviluppano i nuovi quartieri, residenziali e commerciali, preventivamente sviluppano il sistema della nuova struttura da integrare a quella esistente. Ciò significa pensare alla stessa quale elemento portante nella vita della città. Della storia della nostra città, cosa abbiamo ereditato, cosa si può fare per proiettarci al cambiamento, superare così le palesi difficoltà e affrontare le ormai urgenti esigenze di sostenibilità ambientale? E ancora il tema è: modernizzare l’esistente o inserire il moderno all’esistente? "Era arrivata in più tempi questa città in stato di poter gareggiare di bellezza con qualunque altra, ma fu altresì in più tempi così sconvolta che per ravvisarla qual città sì era, sarebbe d'uopo se pure si ritrovasse ricercar Trivigi in Trivigi...." Cima N. Le tre facce di Trevigi, II secolo - faccia prima, 1699

Affronteremo questi argomenti avvalendoci di un lavoro dell’architetto Gianfranco Trabucco di Treviso il cui incipit, per sostanziare la sua idea di città, è “ricercare Treviso in Treviso” indagando i valori storici, culturali ed ambientali del territorio. Sarà nostro compito renderlo fruibile a tutti. Uno studio redatto a partire dagli anni ‘80 in seguito ad una approfondita ricerca multidisciplinare in senso cronologico e tuttora in corSANTA CATERINA INVOCA LA PROTEZIOso come atteggiamento culturale, NE DELLA VERGINE SULLA CITTÀ DI che restituisce un’idea di rigenerazio- TREVISO ne urbana rendendo possibile l’interazione tra il centro e i quartieri attraverso una visione che favorisca l’inclusione e non l’esclusione, una visione in termini di polis platonica, attuabile incentrata sulla sostenibilità ambientale con una visione green e del recupero delle periferie che con largo anticipo coglieva le urgenze odierne. Dimostrando che con i criteri giusti, in un equilibrato rapporto tra uomo e ambiente secondo una visione di effettiva qualità insediativa, si può immaginare il futuro procedendo in sintonia con la natura e le esigenze contemporanee dell’uomo. Con un recupero della “misura” evitando il clamore, l’effimero, il superfluo. Al contempo rispondendo alle dinamiche e ai ritmi contemporanei, risposta che nella ricerca emergono con le parole “caratterizzazione e specificità”, in grado di competere con l’omologazione e la massimizzazione contemporanea nel prefigurare la Treviso del 2050.

VEDUTA DI TREVISO. LITOGRAFIA DI MARCO MORO - 1853

Questa magistrale citazione ci fa comprendere che forse la risposta non è né questo né quello, il tema è più complesso e

si può sintetizzare con un termine che è: rigenerazione. Questa parola porta che con sé tutte le valenze attuative, ovvero la convinzione che la città sia un insieme complesso dove tutti gli “ambiti e le parti” svolgono un ruolo come fosse un “organismo vivente”.

“Il fare umano sia integrativo e non distruttivo della bellezza del mondo” Giovanni Urbani

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ARTE E ARTIGIANATO

Pane, vino e companatico

Tiziano Bosco L’arte di fare il pane da tre generazioni

P

anem. Ha la radice sanscrita pa- che si significa nutrire. Anche pas-sto ha la stessa radice per lo stesso motivo. Tiziano Bosco è un buon incontro. Dietro ad un lavoro semplice come dice lui, c’è tanta storia e tanti significati che con lui andiamo a scoprire. I Bosco sono una dinastia di fornai giunti alla terza generazione. Chissà se Riccardo, il figlio di Tiziano e Roberta penserà ad

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ereditare la quarta e tramandar la a sua volta. Tema caldo come le pagnotte magiche di vita che ogni mattina da oltre 60 anni alle 5 si iniziano a sfornare, che hanno nel cuore della loro bontà tutti gli sguardi stropicciati di chi in piena notte si sveglia, si prepara, percorre le vie di un paese ancora addormentato e si dedica con arte e concentrazione alla creazione dell’alimento più sacro che esista. “Il tempo e le mani - ci dice Tiziano - sono gli ingredienti indispensabili ed eterni, gli unici che non impatteranno mai le mode ma che le attraversano fluide come il fiume che raggiunge il mare”. Le farine, quelle cambiano. Nonno Giulio negli anni ‘40 non conosceva che la farina 0, usata da tutti i fornai dello Stivale. Oggi l’Italia sforna 600 tipologie di pane, ogni campanile ne ha un tipo. Le farine che sembrano le grandi prime donne della panetteria dalla tipo 2, a quella ai multicereali, ai grani duri antichi, ai semi, una danza che si esibisce tut te le mat tine alle 6.30 quando inizia, dal lungo banco trasparente, in viale Montegrappa 66, il profumato e variegato spettacolo. In zona Eden. Siamo nel suo laboratorio nel tardo pomeriggio, circondati dalle sue macchine ora a riposo, la più vecchia risale agli anni ‘90. Non ci sono cimeli in questo laboratorio che ha visto Tiziano bambino, e lo immaginiamo come ci racconta birbante mentre buca gli

DI MARA PAVAN

enormi sacchi di farina aperti da cui papà Giovanni attingeva a piene mani per fare, tra gli altri, la Piava - tipico pane trevigiano, oggi un po’ snobbato che però rimane tra i pani favoriti di Tiziano che ci è cresciuto a Piava e soppressa*. “Un pane destinata a sparire, la “filosofia”dei fast food ha condizionato le generazione al pane morbido”. Questo filoncino croccante che nasce appallottolato si prepara alla cottura grazie ad una incisione, che facilita la tradizionale apertura, come un fiore che sboccia.

Tiziano mi sta di fronte in piedi, forse pensava sarebbe stato una chiacchierata rapida, ci ritroviamo a percorrere mezzo secolo di Guerra e Pane, che è anche il titolo di un libro che ha contribuito a pubblicare. Ci riporta gli aneddoti di nonna Rosa di quando, in tempo di guerra, il pane si faceva a casa, a volte anche solo l’impasto e poi portavano al fornaio del quar tiere il panetto a cuocere. Ogni famiglia incideva sulla superficie morbida e cruda un simbolo che rimaneva distintivo. Tra storia, sociologia, tradizioni, vizi e virtù di un popolo, quello trevigiano, che apprendo essere cambiato tanto...


ARTE E ARTIGIANATO

tantissimo. “Esattamente qui in laboratorio nel 1958, nonno Giovanni impastava insieme ad altri quattro collaboratori, mentre dietro al bancone c’erano nonna e una sola commessa. Oggi in questo stesso spazio ci siamo io e un solo aiutante, mentre al bancone ci stanno Rober ta mia moglie con 4 commesse.” Oggi compriamo, un panino al farro, una fetta di quel pane nero tutto semi, un sacchetto di savoiardi fatti a mano, un pane decorativo dalla forma di un grappolo d’uva per impreziosire le nostre tavole per le occasioni speciali, ognuno diversifica l’acquisto e seguire la clientela richiede un tempo che si è di molto dilatato. Insomma oggi ci vuole quasi più tempo a venderlo il pane che a farlo.” I dati parlano chiaramente, si è passati da 3 quintali di produzione al giorno, dove per famiglia si comprava un chilo, un chilo e mezzo di pane al dì, agli 80 chili di oggi. “Certo è aumentata la proposta per la pasticceria e la salateria, tra biscotti, crostate, colombe, pizzette. Una volta al massimo trovavi le focacce.”

I F R AT E L L I B O S C O : G I O V A N N I , S I LV A N A E D A N T E

Ma entriamo un po’ nella vita di Tiziano Bosco e scopriamo che ci aveva provato a dirottare il suo destino, iscri-

affabilità molte richieste il primogenito della famiglia settimana dopo settimana vedeva il suo tempo distrarsi dall’economia, entrando a piè pari con le mani in pasta. Di fatto l’impresa l’ha portata avanti e lo spirito imprenditoriale che dal recente passato ha gravato per spostare il senso primordiale di un’attività che non può più essere solo pane. Motivo per cui a volte, si perde l’entusiasmo nel portare avanti una realtà tanto significativa. Ma i cambiamenti sono sempre anche positivi. Attraverso un protocollo d’intesa con l’Ulss di Treviso il Panificio Bosco produce pane con minor quantitativo di sale, fino a ridurlo della metà e toglierlo del tutto: “All’inizio ero scettico, poi ho scoperto che il pane con meno sale, profuma di pane”. La Leggera è un tipo di pane per esempio che piace tanto ai clienti Bosco. Ci spiega che ha una alveolatura importante che rende la mollica leggera leggera. L’Ente pubblico ha promosso una campagna che ha coinvolto Tiziano molto più di quanto poteva prevedere: “La merenda Sana” i cui dati preoccupanti, non solo per l’obesità infantile ma per la prima volta nella storia dell’umanità si parla con dati alla mano che si è abbassata l’aspettative di vita delle nuove generazioni a causa della cattiva alimentazione. “Ciò che ho ascoltato e realizzato mi ha colpito, con un lavoro così semplice quasi banale posso contribuire a diffondere la cultura del cibo, rendendolo buono più che posso. Ha aggiunto un nuovo senso a quello che faccio.”

vendosi ad Economia e commercio, tra una partita di basket e un’altra (arbitro, commissario, presidente UISP lega amatoriale Treviso e regionale) stava per laurearsi, ma il richiamo all’indipendenza, alla necessità del panificio che richiamava per qualità, proposta e

Perché c’è da dire che è un lavoro che ti condiziona la vita, nelle scelte, nel modo in cui vivere la famiglia e le amicizie, ti condiziona il tempo, anche se non resisto a dirgli che vede cose che altri non vedono, e non mi riferisco

solo all’alba, ma anche il contatto costante, quasi ipnotico con la nascita e la creazione in tutti i suoi processi. Q ual è il p an e c h e le d à più soddisfazione? “Quello che faccio per ultimo direi. La fantasia scorre sulle mani, si libera nelle forme, ripercorre automaticamente certi movimenti quasi non ti accorgi dove ti porta. Ma ti porta.” Quale è stato il primo insegnamento che le è stato trasmesso? “L’importanza di arrotondare l’impasto. È stato papà ad istruirmi, nonno ha fatto lo stesso con lui. A seconda del risultato che si vuole ottenere l’impasto è morbido, movimento più delicato e attento, o più compatto, che richiede più vigore. Ma il mio lavoro è un esperimento giornaliero è una formazione continua, uno scambio tra colleghi, corsi di aggiornamento.” Nel tempo ha ottenuto una serie di riconoscimenti dall’Eccellenze Italiane dall’Associazione Airec che premia chi si distingue nel proprio lavoro e per l’impegno nel sociale. Del 2017 brilla in bella mostra all’ingresso del panifico la targa dei locali storici di Treviso. Mi sono nutrita in abbondanza, lascio la mia mail a Tiziano e Roberta - che nel frattempo ci aveva raggiunto regalandoci qualche chicca del loro incontro e scopro che per amore ha lasciato la sua carriera di artista del vetro - e salgo in macchina. So che gli ultimi minuti regalano sempre i pensieri più caldi e preziosi, ma questo non era ancora mai successo.

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I N F OTO : Q U E L L I D E L M E R C O L E D Ì

ARTE E ARTIGIANATO

Tiziano mi segue e bussando sul finestrino mi fa cenno di abbassarlo. Mi chiede: “perché ribollanera?”. Così finisco per spiegargli la storia di quella volta che a pranzo con un mio amico più di 20anni fa, ci servirono questo vino friulano, Ribolla Nera, chiamato anche Schiopettino. Il mio palato si era compiaciuto per quel semplice sapor di more e frutti rossi.

“Il mio lavoro è un esperimento giornaliero e una formazione continua fatta di scambio tra colleghi, corsi di aggiornamenti e partecipazione alle fiere di settore” Non l’ho mai più bevuto, né trovato ma senza chiedere, pochi giorni dopo, mi è stata fatta in dono la mail che porta questo nome così identificativo, che tuttora uso. Con questo aggancio, scopro che Tiziano e Roberta sono Sommelier AIS da tre anni e dallo scorso dicembre sono Assaggiatori di Formaggi Onaf. Il companatico è attraente non c’è che dire.

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I preferiti di Tiziano I dolci lievitati sono la passione di Tiziano: Panettone, focacce e soprattutto Colombe, “è una parte del mio lavoro che mi piace e che mi dà tantissime soddisfazioni. Sto collaborando con l'Accademia Italiana della Cucina per la riscoperta del nostro dolce tipico la "Fugassa Trevisana" che è completamente differente da tutti gli altri lievitati come la Focaccia Veneziana, i Panettone, e la Colomba. Ma questa potrebbe essere un'altra storia, che parla dei tempi passati, quando a primavera si faceva con la pasta del pane aggiungendo quello che la natura dava, uova e burro, zucchero poco, un dolce che era nutrimento con il latte per i più piccoli, e gratificazione con il vino nei giorni di festa.” *Affianco al Panificio Bosco nei primi anni ‘60 c’era un “casoin” che teneva dei grandi vasi di crema di nocciola bicolore, e Tiziano con i suoi golosi 7 anni, arrivava accaldato dopo le corse a farsi imbottire il panino della merenda. Con i figli delle vicine attività si giocava nella strada adiacente che certo non era così trafficata, con la bicicletta si percorreva il ciglio della strada dove al posto dell’attuale marciapiede c’era un bel fossato in cui spesso ci si finiva tanta era la foga di

libertà che straripava. “I miei amici venivano a prendersi il pane e io ricordo ancora Amilcare e la sua Pasticceria Pavan: faceva la crema pasticceria più buona che io abbia mai mangiato." Un dentro e fuori che sapeva di scambio e semplicità.


"Nella pizza, come nella vita, l’importante è la leggerezza." GIUSEPPE GIORDANO


SAPORI

al Pastificio Borgoverde

C'è Pasta per Te Qualità, familiarità e innovazione fanno la differenza

U

n mix fra tradizione e innovazione in una bottega familiare? Si può creare e la conferma arriva dal Pastificio Borgoverde, locato in via Don Giovanni Minzoni a Silea, comune alle porte di Treviso. L’ideale “giardino dell’Eden” vuole mantenere forte il legame con il carattere di familiarità tipico del negozio di vicinato, ma allo stesso tempo desidera aprirsi ad un nuovo concetto di bottega “2.0”. Andando alla storia dell’attività commerciale, il Pastificio Borgoverde è diretto da un ragazzo di quasi 35 anni, Nicola Luisetto, che insieme a

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DI CARLO CECINO

mamma Claudia ogni giorno fatica nel piccolo laboratorio alimentare, producendo chili su chili di svariati tipi di pasta fresca – facendo da fornitore anche a diversi ristoranti e osterie della zona – in formati classici e speciali. I clienti del Pastificio hanno poi la possibilità di entrare in negozio, fare due chiacchiere con la signora Claudia e scegliere tanti prodotti freschi, fatti a mano e di ottima qualità, tra cui pasta corta, pasta lunga, pasta ripiena e ravioli di ogni genere. «Ho inaugurato questa realtà nel novembre del 2017. Mi aiutano mia mamma, che è inesauribile, e la mia fidanzata


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Erika, che mi appoggia con tutto il suo sostegno. Devo ammettere che ho sempre avuto l’idea di aprire qualcosa di mio, ma la scintilla si è scatenata circa una decina di anni fa, al ritorno dal mio viaggio di due anni in Australia. Lì ho lavorato nel settore della ristorazione e ho capito l’importanza della cultura culinaria italiana. – racconta Nicola Luisetto – Sono rientrato in Italia e mi sono iscritto ad una scuola di ristorazione, ho fatto uno stage e poi ho avuto la fortuna di fare circa due anni di apprendistato nella cucina di Equilibri (ristorante di Davide Croce in piazzale Burchiellati a Treviso). Da lì ho seguito dei corsi di specializzazione in pasta fresca ed eccomi qua». Nicola Luisetto è uno di quei ragazzi che non ha esitato a mettersi in gioco. Diplomatosi in ragioneria, ha sentito che la sua vera vocazione non è stare seduto davanti ad una scrivania, bensì la sua isola felice è la cucina, e ha deciso di voler inaugurare una sua “creatura” qui in Italia. Per il primo anno e mezzo si è dedicato soprattutto alla realizzazione di prodotti di qualità

e alla gestione della bottega vera e propria. Ma già da diversi mesi sta pensando a progetti futuri. Uno di questi è l’avvio – da febbraio – di una collaborazione con la Diemme Academy di Albignasego (Padova). Nicola infatti sarà docente del centro di formazione professionale – per chi opera nel settore ristorazione – per una volta al mese, fino a dicembre 2020, curando dei corsi di pasta fresca rivolti a tutti. Il titolare del Pastificio Borgoverde sottolinea inoltre come: «Al giorno d’oggi serve un’immagine familiare del concetto di bottega», ma allo stesso tempo: «Non si può non tenere il passo con il nuovo che avanza. Anche per questo il pastificio fa parte del gruppo A.I.C.A.SA (Associazione Imprenditori Commercianti Artigiani Silea), il quale vuole creare una specie di centro commerciale diffuso qui a Silea. Un nuovo concetto qualitativo di bottega, dove il rapporto personale con il cliente fa la differenza» spiega Luisetto. Soffermandosi sui prodotti offerti, le specialità della casa del Pastificio Borgoverde sono le gustosissime tagliatelle e i vari ravioli ripieni fatti artigianalmente. In bottega vengono lavorate anche tutte le verdure stagionali per i ripieni ed oggi quelli più in voga sono i ravioli con carciofi, con radicchio, con robiola e speck o con ricotta e zafferano, oppure con fonduta di Asiago. E verso il periodo di Pasqua, («Il più impegnativo insieme a Natale», dice Nicola, ma pure: «Il più stimolante») verranno proposti i ravioli c o n gl i as p a r a g i verdi e bianchi. Il Pastificio Borgoverde è aperto tutti i giorni, eccetto il lunedì, dalle 8.30 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 19.00. Pure la domenica mattina, nei mesi che vanno da ottobre ad aprile, il negozio di via Don Minzoni è aperto dalle 10.00 alle 13.00. Per una bottega “2.0” che

desidera per quest’annata organizzare le consegne a domicilio, per Silea e dintorni, due mattine a settimana. E Nicola Luisetto ci tiene a ricordare una cosa: «È importante aprirsi a nuove influenze culinarie e soprattutto culturali. Ad esempio, se mi fossi concentrato solamente sulla tradizione non avrei mai conosciuto le tavolette giapponesi Imaikouba – conclude il titolare del pastificio – utili per le lavorazioni innovative di pasta fresca».

La Bottega della Pasta Fresca

via Don Minzoni 2, 31057 Silea tel. 392 2442622 www.pastificioborgoverde.com

Contatti FB Pastificio Borgoverde IG pastificio_borgoverde www.pastificioborgoverde.com

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SAPORI

Primati Trevigiani

Elisa Urdich Stefano Dassie

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DI ANDREA CARTAPATTI

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IN FOTO: ELISA IN GARA AL SIGEP DI RIMINI

ari amici lettori, Era oltre la metà di gennaio quando stavo abbozzando il pezzo per questo numero della rivista. Stavo scrivendo di abbinamenti cibo - vino quando dal Sigep di Rimini arrivavano una dopo l’altra, nel giro di poche ore, le notizie dei successi ottenuti da Elisa Urdich di Taste coffee & more e da Stefano Dassie delle Gelaterie Dassie. Elisa conquista il titolo di barista campionessa italiana nella categoria Brewers Cup, che le permetterà di volare in Australia, unica italiana a rappresentare la nostra Nazione ai campionati mondiali di categoria a Melbourne. Stefano, invece, viene premiato con il maggior riconoscimento che una guida gastronomica dedica alle gelaterie, conquistando i Tre Coni del Gambero Rosso. Visti i risultati di queste giovani eccellenze “made in Treviso” non ho esitato un attimo nel riporre in “bozze” il pezzo dedicato agli abbinamenti e a decidere di dedicare l’articolo di questo numero ai nostri concittadini che di “Sapori”(così denominiamo queste pagine) ne capiscono e ne creano quotidianamente. Veniamo quindi a loro, cominciando, per galanteria, da Elisa.

Elisa Elisa, qual è stato il tuo approccio a questo lavoro? "Ho iniziato, dopo la formazione alberghiera, aiutando mia madre nella gestione di un bar. Poi ho avuto modo di partecipare, quasi per caso, ad un contest di “latte art“ e vincendolo ho avuto la possibilità di frequentare un corso di formazione sul mondo del caffè a 360°. Questa è stata anche l’occasione per fare nuove conoscenze e permettermi un approccio più trasversale nei confronti delle tante realtà che ruotano attorno al caffè come bevanda. Dopo quest’esperienza ho proseguito con un periodo di intensa formazione che mi ha portato a contatto di vari specialisti del settore tra cui i costruttori delle macchine che utilizziamo, vere “formule 1” nel loro genere. Decido quindi di proseguire la formazione anche all’estero e parto per l’Australia dove mi fermo per circa un anno, sempre con Fabio mio socio e compagno di vita. Al nostro rientro a Treviso prendo un periodo tutto mio per la nascita del nostro bimbo, Mattia, e dopo pochi mesi diamo vita anche al “coscritto” di Mattia in quanto apriamo ufficialmente TASTE coffee & more." Elisa, come ti definiresti? "Mi sento un po’ un enologo del caffè (a breve ho in programma un altro viaggio nelle piantagioni), in quanto seguo la sua evoluzione dalla pianta sino alle varie fasi di lavorazione. Cambio poi abito e mi vesto da “sommelier del caffè” quando lo preparo e lo servo, spiegandone le caratteristiche, ai nostri clienti."

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Cos’è TASTE per te? "TASTE, prima ancora che un business, è la grande passione e l’orgoglio mio e di Fabio ed è, nel contempo, ciò che ci genera quotidianamente nuova ed inesauribile energia." Come è stato accolto TASTE dalla città? "Il nostro inizio è stato accolto dal pubblico cittadino con un mix di curiosità e diffidenza. Inizialmente è stato un percorso difficile in quanto la ritualità del caffè è ancorata a dogmi un po’ arcaici, che per alcuni aspetti non premiano la qualità della materia prima ma si focalizzano su caratteristiche quali temperatura, cremosità, intensità e... non da ultimo il prezzo. C’è da capire Elisa, e forse anche un po’ i trevigiani, dal momento che anche la storia ha dimostrato diffidenza nei confronti del caffè: rammento che è l’unica bevanda che prima di essere commercializzata ha dovuto avere nientemeno che la benedizione dell’allora pontefice Clemente VIII, in quanto bevanda calda e scura era considerata la bevanda del diavolo (ndr)."


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Dopo i primi tempi le cose sono cambiate? "Noi, senza demordere, abbiamo continuato con la nostra linea guida. Con pazienza e dedizione abbiamo sempre più allargato la nostra cerchia di clientela e di affezionati al nostro caffè. Abbiamo investito, anche coinvolgendo in diversi assaggi la nostra clientela, giusto per far percepire loro la differenza tra la nostra concezione di caffè ed un caffè classico."

Stefano Stefano, complimenti per il riconoscimento, vorremmo ora conoscerti un po’meglio. Ci racconti i tuoi primi passi in questo mondo? "Io di fatto nasco e cresco in questo settore, in quanto i miei genitori hanno avuto dal 1991 la gelateria a Quinto di Treviso.

E la tua vittoria a Sigep come è stata accolta da Treviso? "Sicuramente con tanto affetto da parte di molti, e direi anche con orgoglio da parte dei nostri clienti più fidelizzati. Poi c’è stata la componente curiosità da parte di chi non era mai stato da TASTE ma che con l’occasione è venuto a provare le nostre specialità. Dopo la vittoria a Sigep per noi di fatto è stato quasi come fare una ”nuova apertura” con la differenza che oggi, a distanza di due anni da quando abbiamo alzato per la prima volta la serranda, abbiamo una maggior consapevolezza che ci viene riconosciuta con la credibilità che all’inizio non tutti ci riconoscevano." Chiesto da uno che fa ristorazione da parecchi anni, come vedi la ristorazione ”a tutto tondo” nella nostra città? A Treviso c’è, senza dubbio, tanto fermento e ci sono molte attività di nuova concezione, spesso proprio perché create da ragazzi ed imprenditori giovani. Di fatto l’offerta è vasta, forse il bacino d’utenza è un po’ troppo legato alla tradizione per cui occorre faticare un po’ di più per emergere, ma una volta riusciti Treviso è una città che ti dà grandi soddisfazioni.

IN FOTO: TASTE COFFEE&MORE

Concludendo, Elisa mi prometti che vincerai a Melbourne? "Guarda Andrea, che io faccia le gare solo per partecipare non è proprio vero, le faccio anche per vincere. Per cui spero di portare a casa un buon piazzamento, sia per me che per tutto il Team che si muove per me in una competizione di questo spessore."

Ho inteso, Elisa: incrociamo le dita ed io, dal canto mio, ti prometto che in caso di podio tornerò qui da TASTE non solo per un caffè, ma con penna e taccuino. Saluto Elisa e percorrendo la nostra magnifica Pescheria arrivo a Sant’Agostino ove incontro Stefano, nella sede principale delle Gelaterie Dassie.

Quand’ero piccolo i miei erano all’inizio dell’attività: non erano anni di baby sitting diffuso e quindi, anche per tenermi un po’ con loro, mi facevano andare in gelateria quasi per gioco. Il gioco è diventato poi passione ed infine lavoro anche grazie a mio padre che considerava una “missione” il trasmettermi il suo entusiasmo ed il suo sapere inerente l’arte della gelatiera. In seguito, dopo le scuole superiori ed un pit stop causato da una bocciatura, ho forzato la mano con i miei genitori interrompendo gli studi ed intraprendendo di fatto la professione che sentivo già essere la mia vocazione. La sfida, ora, era convincere i miei genitori del fatto che avevo in testa obiettivi più ad ampio raggio rispetto a quelli della gelateria tradizionale e che pertanto il mio non voleva essere un sedere sugli allori di un’attività di famiglia già avviata e consolidata." E da Quinto come è stato l’approdare in centro città? "I primi ad arrivare qui a Treviso, e precisamente dove ci troviamo ora, sono stati i miei genitori. Io li ho seguiti poco dopo quando sono riuscito a far comprendere loro che era giunto il momento di cambiare la “filosofia” del gelato. Occorreva abbinare al gusto concetti di vario carattere: nutrizionali, emozionali ed altro ancora, aspetti che avevo appreso grazie ad un intenso periodo di formazione e partecipazione a vari seminari, complice la curiosità figlia della mia giovane età ma che avevo anche subito metabolizzato e fatto miei “principi” con la maturità di un ometto." Non è la prima volta che la guida del Gambero Rosso ti conferisce un riconoscimento (il gelato al cioccolato di Stefano - nel 2018 - era stato riconosciuto come miglior cioccolato d’Italia ndr) ma cosa ha rappresentato per te portare a casa i prestigiosi 3 coni? "Per il mio modo di lavorare il gelato, pregno di dettagli che

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IN FOTO: STEFANO DASSIE E LA MOGLIE ERIKA FOTO DI MAURO MILAN

una a Montebelluna, ma a breve credo di poter rendere nota l’apertura di una nuova gelateria in una città che per me è da sogno."

spero trasmettano sensazioni positive oltre che emozioni e qualche sorpresa, è stato un traguardo importante. Vedo il mio lavoro riconosciuto al pari di come lo può vedere uno Chef insignito dal maggior punteggio da una guida gastronomica. Da un risultato del genere, finito il momento dei festeggiamenti, nasce un nuovo punto di partenza che è quello di preservare la qualità e la salubrità del mio gelato, perché in primis la mia grande responsabilità è quella di soddisfare ed in parte nutrire i miei clienti." E Treviso, per l’appunto, come ha reagito al tuo successo dal momento che avete anche appena riaperto dopo la pausa invernale? "Bene direi. Ho ricevuto tante testimonianze di affetto, dai clienti storici ed anche da persone che magari non erano mai state nelle nostre gelaterie. Mi hanno fatto piacere anche i complimenti di ragazzini, che ho conosciuto quand’erano bimbi perché da sempre vengono a prendere il gelato con la famiglia. D’altronde un buon gelato - aggiungo io - oltre ad essere un alimento salubre è anche un bel momento di condivisione e convivialità sociale e familiare. La famiglia in fondo fa anche da fil rouge nella vita professionale di Stefano che ha iniziato con i genitori ed ora continua la sua avventura affiancato dalla moglie Erika che, oltre al supporto lavorativo, gli ha regalato la gioia di essere papà di due splendidi bimbi." Stefano, come ti definiresti oggi? "Condensandolo in un unico termine mi definirei ”irremovibile” in quanto non scendo mai a compromessi, soprattutto se questi comportano la penalizzazione del gusto e del sapore del gelato. A tutti gli effetti sono uno dei pochi artigiani del gelato che grazie alla passione ed alla condivisione riesce a trasmettere ai giovani che si affacciano a questo lavoro, strumenti di conoscenza validi. Devi sapere che tra i gelatai il famoso “segreto dello Chef” è enfatizzato all’ennesima potenza, motivo per cui molti colleghi sono stanziali in un’unica location. Credo, invece, che il mio non essere avaro nel trasmettere competenze sia l’unico modo che ci permette di continuare a gestire più attività." Ad oggi quante sono le gelaterie Dassie? "Tre al momento: Sant’Agostino e Calmaggiore a Treviso ed

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Stefano, in quanto ricercatore e divulgatore del gelato artigianale, sei anche Accademico del gelato: vogliamo approfondire l’entità di questo aggettivo dal momento che le istituzioni preposte non hanno mai provveduto a far chiarezza ed il concetto di artigianale nel gelato viene, spesso, utilizzato “al bisogno”? "Il gelato artigianale è innanzitutto quello lavorato con ingredienti di prim’ordine e con la consapevolezza, da parte del gelatiere, di rispettare la materia prima. Ed ancora il gelato è artigianale quando non si usano additivi che, per puro business, ne facciano aumentare la massa o il periodo di “shelf life” penalizzando così in primis il gusto, ed in battuta successiva il cliente. Nelle gelaterie Dassie usiamo solo frutta di stagione di prima scelta, latte Veneto, frutta secca italiana ma anche erbe e tuberi italiani dai quali partiamo, per i gusti più innovativi, dalla loro infusione. Certo tutto questo è anche una sorta di responsabilità etica nei confronti dei nostri clienti, ma io altrimenti non riuscirei a fare. Come dicevo prima non scendo a compromessi che penalizzino il gusto." Se non sbaglio di recente hai iniziato a collaborare anche con alcuni Chef inserendo assieme a loro il gelato come ingrediente di vere e proprie ricette? "Sì è un’attività che ho iniziato pian piano due anni or sono e che è in pieno sviluppo: mi arricchisce molto, dandomi la possibilità di allargare i confini e di dare al gelato una ulteriore identità." Concludendo: a 33 anni è ancora lecito sognare, qual è il tuo sogno nel cassetto? "Il mio sogno è quello di arrivare a dedicarmi anche ad un ristorante gastronomico ove proporre un menù che preveda per ogni pietanza la presenza del gelato quale ingrediente che, per contrasto o per simbiosi con gli altri ingredienti, faccia esaltare il gusto finale della ricetta." Ho inteso, caro Stefano, e lascio anche a te - come ad Elisa una promessa: quando aprirai questo ristorante, ti aiuterò nell’abbinare i vini alle tue ricette.

Cari lettori, in questo numero abbiamo incontrato due eccellenze dei sapori della nostra città ove a volte, con l’intento di preservare la fiamma della tradizione provinciale, non ci spingiamo a provare nuove ed innovative realtà di gusto e di sapori. Loro si sono imposti, con pieno merito, sul panorama nazionale delle rispettive categorie sta a noi ora supportarli nel lento scorrere della quotidianità della nostra splendida Treviso. Elisa e Stefano, con il loro creare e custodire sapori, sono testimoni del fatto che c’è uno spiccato fondo di verità nel modo in cui chiudo tutti i mesi questo pezzo, per cui questa volta moltiplichiamola per due la mia frase distintiva: #perdereunsaporeèperdereunsapere @ANDREFOODANDBEVERAGE


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Tutti i giorni nell’elegante struttura business del BHR Treviso Hotel, apre le sue porte il Gioja Lounge Bar, moderno locale che a seconda del momento della giornata si trasforma da accogliente e raffinata caffetteria a stuzzicante cicchetteria, in cui gustare un delizioso e veloce pranzo o incontrare gli amici per l’aperitivo o il dopocena. Ed è proprio alla sera che il Gioja Lounge Bar diventa il locale trendy, non solo per gli ospiti dell’hotel, dove, anche accomodati su comodissimi divani e chaise longue, si può ascoltare musica, gustare un calice di eccellenti bollicine, un cocktail, uno snack o cicchetti gourmet che evidenziano una cucina di qualità fortemente legata ai prodotti del territorio. Fra mosaici e cascate, il luminoso banco in onice retroilluminato non è il solo effetto “wow” del Gioja. Oltre alle classiche proposte evergreen, infatti, si può approfittare del talento dei barman che possono creare al momento il cocktail adatto ad ogni esigenza. E chi lo dice che lo spritz è solo con l’Aperol o il Campari? Al Gioja Lounge Bar si può trovare una vera e propria Carta degli Spritz. Al Prosecco e al selz si può aggiungere quello che si vuole in base all’umore e al gusto del momento. Ecco che i bicchieri del locale si colorano di arancio, verde, viola e rosso.

Sempre lasciando invariata la base, rigorosamente Prosecco, si può sperimentare anche lo speciale Spritz Tiramisù ideato dal barman Gianmarco Zamuner. Un vero dessert da bere che vuole dare risalto al tiramisù, il dolce più famoso di Treviso: cremoso, morbido con Kalhua, panna, cacao e savoiardi sbricciolati sul bordo del bicchiere, adatto non solo come aperitivo, ma anche ottimo dopocena. E se si preferisce un calice di vino? Davide Zanchi, sommelier e wine specialist, è sempre pronto a proporre il calice giusto tra le etichette, tutte eccellenti, della Carta dei Vini. Un vero e proprio viaggio non solo italiano. Dal Collio alle colline del Prosecco, dalla Valpollicella all’Oltrepò pavese, dal Trentino alla Franciacorta, fino ad arrivare alle Langhe, senza scordare la Toscana e le altre regioni. Per gli amanti del prodotto francese la scelta ricade sul classico Champagne, ma anche su Sauternes, Alsazia e Bordeaux. Le birre artigianali, rigorosamente di birrifici locali completano la proposta. Un ricco calendario di rassegne enogastronomiche, musicali, aperitivi e cene a tema anima il locale in tutti i periodi dell’anno e lo rende ideale per organizzare anche feste, eventi privati e compleanni.

FOTO DI MARCO COMPIANO

Tutti i modi per dire aperitivo

FOTO DI MARCO COMPIANO

Gioja Lounge Bar: dallo Spritz-tiramisù allo Champagne

Gioja Lounge Bar c/o Bw Premier BHR Treviso Hotel Via Postumia Castellana, 2 31055 Quinto di Treviso (TV) T 0422 3730 info@bassohotels.it bhrtrevisohotel.com giojaloungebar.it

FOTO DI MARTA COSTANZO

FOTO DI MARTA COSTANZO

Tutti i giorni

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tavola con la a Pe tti

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Tu

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In cucina con papà www.periandthekitchen.com

DI ELISA PERILLO KIDS FOODBLOGGER, PER LA VOGLIA DI VIVERE

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SAPORI

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ccuparsi di cucina vuol dire anche avere a cuore chi sta dentro a questa cucina, dietro, davanti, intorno... perfino lontano. C’è chi cucina, chi se ne sta un po’ in disparte e non si azzarda ad avvicinarsi ai fornelli, chi assaggia, chi ha sempre da dire la sua, chi mangia la qualunque, chi fa fatica a cambiare gusti o a sperimentare qualcosa di nuovo. Comunque si giri la frittata, siamo un po’ tutti coinvolti quando si parla di cibo. Dopo diversi numeri in cui vi siete sorbiti le mie ricette per bambini, in questo vorrei raccontarvi qualcosa di più su quello che la cucina, anzi il cucinare, può rappresentare.

quello di far lavorare il genitore o i genitori in coppia con i propri figli. I bambini e le bambine sono i protagonisti, gli adulti fungono da assistenti. E così si ribaltano un po’ i ruoli che di solito si creano nelle cucine di casa: i piccoli sono attori felici e orgogliosi, i genitori complici e osservatori. Perché è così importante coinvolgere i bambini fin da piccoli nella preparazione del cibo? Se li rendiamo partecipi, affidandogli compiti proporzionati alla loro età, saranno più curiosi di assaggiare ciò che loro stessi hanno contribuito a preparare. Si sentiranno fieri e protagonisti di quello che un po’ alla volta imparano a costruire da soli. La conquista dell'autonomia è infatti una bella avventura che si vive anche a tavola e la possiamo favorire proponendo dei cibi che possono aiutare bambine e bambini a non aver bisogno di noi. Quelle stesse bambine e bambini che saranno adulti, mamme e papà, di domani. Nella cucina di casa nostra ho cercato di coinvolgere mio figlio Matteo fin da piccolino. Non sempre ci riesco: a volte è facile, altre volte faccio più fatica nonostante cucinare con i bambini sia diventato un po’ il mio mestiere. Ma ci provo e ci credo sempre perché attraverso questi piccoli gesti passano dei grandi messaggi. Quello a cui tengo di più è proprio il fatto di educare i nostri figli maschi ad una cultura della condivisione e della partecipazione. Abituarli a considerare il far da mangiare, apparecchiare, riordinare ecc. una mansione della quotidianità che appartiene a tutti e deve essere fatta da tutti.

La Peri a Gourmandia Quest'anno anche la Peri a Gourmandia 2020. Spazio anche ai più piccoli alla quinta edizione di Gourmandia. I piccoli ospiti potranno cucinare delle ricette semplici, veloci e soprattutto nutrienti assieme ai genitori e, alla fine del laboratorio, mangiare ciò che avranno preparato. La Peri vi aspetta a Gourmandia con tanti appuntamenti nelle giornate del 25 e 26 aprile c/o Opendream - Ex Area Pagnossin - via Noalese 94, Treviso. https://gourmandia.gastronauta.it www.facebook.com/periandthekitchen

Noto ad esempio con enorme piacere come ai laboratori di cucina ci siano sempre più maschietti tra i partecipanti. Sono sicura che questo è un piccolo ma importante segnale che ci dice che forse stiamo facendo qualcosa di buono nella direzione della parità. Anche i papà sono sempre più numerosi in queste occasioni, a volte in abbinata alle mogli, ma spesso da soli con i loro figli. Un momento di scambio, di crescita, di confronto, a volte anche di conflitto. E ben venga, se è costruttivo. In che senso? In questi ultimi due anni ho avuto l’opportunità di incontrare davvero tante famiglie grazie ai laboratori di cucina per bambini che tengo nel nostro territorio. Il format che propongo è sempre

Mi piace pensare che la cucina non sia solo il luogo del cibo e della preparazione di un pasto, ma il luogo dell’incontro. A tavola i bambini chiacchierano con la famiglia, sperimentano cose nuove, imparano ad aprirsi a ciò che è diverso dalla loro abitudine. Il cibo è uno dei primi veicoli che ci permette fin da piccoli di entrare in relazione con ciò che ci circonda. Approfittiamone! F O T O T R AT T E D A I L A B O R AT O R I D E L L A P E R I A L L’ A R S E N A L E S H O P P I N G C E N T E R

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DI GIOVANNI DI GREGORIO

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Bloom Feed Your Mind

’idea di BLOOM nasce nel 2017 in un viaggio tra amici nella cosmopolita Amsterdam. Tre giovani imprenditori, Mattia, Davide e Mattia con una grande visione: portare a Treviso un nuovo modo di vedere l’Horeca. Bloom, incarna un nuovo concept retail attraverso una sintesi tra professioni ed esperienze eterogenee che spaziano tra partner autorevoli e riconosciuti in ambito food, design e comunicazione. Il noto studio di architettura “Storage” Milano ha sposato fin da subito il progetto e li ha seguiti passo passo nella realizzazione di questo sogno, studiando insieme ogni singolo dettaglio. Un ambiente curato, tecnologico, ecosostenibile, pensato per essere fruito in diversi momenti della giornata. Gli spazi sono ampi, colorati e luminosi, rallegrati da piante verdi ad ogni angolo e il personale estremamente gentile e preparato. Di grande rilevanza è l’attenzione dedicata al caffè, Benedetta la coffe

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specialist, ha come obbiettivo la costante ricerca e selezione per offrire una serie di attività pensate per far scoprire al pubblico gusti ed esperienze difficilmente reperibili sul mercato, da consumare sia in store che take away.

nuova insegna a led che brilla ai passanti promette di fare la felicità degli amanti di un posto elegante con un’ottima proposta food and beverage. #Imbloom

Bloom e i suoi valori di progresso vogliono essere vetrina di un modello culturale che si apre al mondo rappresentando un punto di incontro culturale e sociale per le persone e per le aziende. Salendo pochi scalini troverete un elegante spazio di coworking e di eventi, con un servizio di event manager sempre pronto ad accontentare le richieste dei clienti. Bloom è una scatola di sorprese che accompagna le persone in ogni momento della giornata. Caffetteria, ristorante, coworking e spazio per eventi, all’interno di un edificio a due passi dal duomo di Treviso. Questa

Contatti Via San Liberale 10, 31100 Treviso (TV) T +39 0422 277130‬ E info@bloom-italia.com IG @bloom-feedyourmind


e T e f r f i o p C

TENDENZE

Se ne parla, se ne beve e ci si professa la patria ma sappiamo ben poco della sua provenienza, quindi partiamo in ordine;
Ci troviamo nella fascia equatoriale, una pianta Arabica o Robusta in fiore, che dopo tre giorni lascia il posto a una ciliegia che deve maturare per otto mesi. Questa ciliegia, al pieno della sua maturazione, ha al suo interno due chicchi che si incastrano e completano come un cuore. I nostri chicchi ancora verdi incominciano la loro trasformazione attraverso processi di lavorazione con o senza acqua per poi essere insacchettati e mandati in viaggio fino alla torrefazione. Qui, grazie all’intervento di macchinari e alla bravura del torrefattore assumono il loro colore che li caratterizza. Al termine del loro viaggio arrivano nelle nostre caffetterie per essere lavorati e degustati nei più svariati modi. Ci sono persone, processi, viaggi, esperimenti e tanta passione nel mezzo di tutto questo meraviglioso percorso pensando sempre a valorizzare ogni singolo chicco. Che sia un espresso, un filter coffee o un cappuccino cerchiamo di assaggiarlo in purezza cosi da assaporarlo nel pieno delle sue potenzialità e a comprendere ogni sfumatura che lo caratterizza. Se lo merita dopo tanta strada.

#Respecthebeans

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TERRITORIO

Tomba Brion: il talento di Scarpa I DI VALENTINA FACCHIN, LOCAL BLOGGER

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n zona non è molto conosciuta, mentre gli appassionati arrivano da lontano e ne spulciano ogni particolare del progetto: Tomba Brion. A San Vito di Altivole nel 1978 fu completata la Tomba Brion. Il complesso funebre fu commissionato dalla vedova Brion per la morte prematura del marito Giuseppe, fondatore e proprietario della gloriosa azienda Brionvega. La realizzazione dell’opera fu commissionata al famosissimo architetto veneziano Carlo Scarpa, il quale purtroppo morendo accidentalmente nel 1978 in Giappone, non vide completata la sua opera. Però, tra le richieste dello stesso Scarpa, vi fu quella di essere sepolto proprio all’interno del monumento funebre, purché in un angolo defilato. La struttura della Tomba, adiacente al

cimitero del paese, è a forma di L ribaltata ed il punto di passaggio tra una zona e l’altra è costituito da due fedi intrecciate, a simboleggiare l’amore eterno. Tra le volontà di Giuseppe Brion c’era quella di essere sepolto vicino alla terra, perché nacque qui. Se andate a visitare quest’opera d’arte, noterete che i coniugi Brion riposano in due sarcofagi leggermente sotto il livello della terra e sovrastati da un arco. Al fine di evitare che l’arco in cemento armato fosse confuso con un ponte, Scarpa decise di decorarlo con mosaici provenienti da Venezia. Il camminamento che porta verso il luogo dedicato alla meditazione con vista sul Monte Grappa è formato da parallelepipedi in cemento armato detti “parlanti”. Intenzionalmente non furono stati


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fissati dall’architetto, perché il rumore prodotto mentre ci si cammina sopra, ci riporta alla vita terrena. Tre sono i punti fondamentali da osservare: lo stagno con un punto di meditazione, l’arcosolium dove giacciono i corpi dei coniugi Brion e la cappella. La struttura in cemento armato nudo ed opprimente è in netta contrapposizione con l’arte e filosofia Zen giapponese, proposta all’esterno con vasche d’acqua e piccoli canali. Sembra quasi un ossimoro tra vita e morte, tra la gravità della condizione cimiteriale e la leggerezza e serenità, che vengono percepite dallo scorrere dell’acqua. L’opera rappresenta un costante intreccio tra cultura occidentale e orientale, a cui l’architetto era particolarmente legato. Luogo ideale per riflettere un po’, ma anche per ammirare il genio di Scarpa espresso in una delle sue maggiori opere monumentali. Un aneddoto però è legato a Scarpa e alla sua attività a San Vito di Altivole durante la realizzazione dell’opera. Un aneddoto “di paese”, che non si trova sui libri. L'Osteria da Wilma a San Vito di Altivole, chiusa ormai dal 2010, divenne la sede di lavoro dell’architetto, tanto che la usò come base per discutere con operai e seguire i lavori dal 1970 al 1978. Dopo un po’ di tempo dall’inizio dei lavori e dalla sua costante presenza presso l’osteria, l’Arch. Scarpa, persona molto alla mano, chiese alla Sig.ra Wilma, l’oste, cosa potesse fare per sdebitarsi di tutto il disturbo arrecato. “Professore non voglio niente” ma a seguito delle insistenze del Professore (così Wilma si rivolgeva a Carlo Scarpa) la Sig.ra Wilma espresse una richiesta. “Professore, mi faccia una firma”, sottintendendo un autografo. La mente brillante di Carlo Scarpa non si limita ad un pezzo di carta con una banale firma. In quel momento erano impegnati nella costruzione dei parallelepipedi di calcestruzzo per il camminamento, che porta alla tomba. Scarpa ne chiese uno in più. Lui vi aggiunse il suo autografo e la data 25/08/1971. La sig.ra Wilma trasformò quel parallelepipedo con la firma del Professore in un tavolo, che lasciò in osteria fino a quando nel 2010 decise di chiudere l’attività. Attualmente la Tomba Brion è in fase di restauro, un restauro sperimentale, diretto da un allievo di Carlo Scarpa, l’Arch. Guido Pietropoli. IG @aroundandabouttreviso FB facebook.com/AroundAboutTreviso www.aroundandabouttreviso.com

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LONGARONE FIERE

AGRIMONT

La Mostra dell’Agricoltura di Montagna

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n oltre 40 edizioni Agrimont è diventata la più completa mostra dell’agricoltura di montagna. È l’appuntamento che segna il risveglio della natura in primavera dove il mondo rurale montano presenta tutto ciò che lo rende unico: dalle macchine e attrezzature per l’agricoltura alle tecniche e ai prodotti per la cura e manutenzione del territorio sino ai prodotti eno-gastronomici tipici. Agrimont è una manifestazione che si è affermata negli anni, sia in termini di visitatori che di qualità e numero di espositori specializzati, con un’ampia rappresentanza delle principali aziende di prodotti, macchine e attrezzature per l’agricoltura e tutto ciò che riguarda il mondo rurale montano. Presenti in esposizione anche aziende legate al settore del giardinaggio e a quello del florovivaismo, con prodotti e piccole attrezzature da utilizzare nella cura dell’orto e del giardino di casa. Completano la rassegna infine gli stand che presentano produzioni agro-alimentari tipiche dell’agricoltura di montagna, come formaggi, miele e insaccati.

Bee Mountain Friendly! Agrimont ospita le Assemblee e i convegni di Apimarca e Apidolomiti

I.P.

Agrimont si conferma l’occasione ideale per presentare in forma professionale le novità del mercato in fatto di macchinari, attrezzature, prodotti e servizi per tutte le attività legate alla coltivazione della terra.


I.P. LONGARONE FIERE Diverse iniziative collaterali accompagnano come sempre la manifestazione, da convegni su temi di attualità a eventi, laboratori e dimostrazioni tecnico-professionali con le Associazioni di categoria. Presente anche il comparto zootecnico che da sempre rappresenta un settore strategico per l’agricoltura di montagna. Agrimont inoltre mette in evidenza anche una crescente sinergia tra Longarone e la Marca Trevigiana, riconosciuto bacino d’utenza sia di espositori che di visitatori.

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MARZO 2020

I NUMERI DI AGRIMONT PERIODICITÀ annuale VISITATORI (edizione 2019) oltre 24.000 ESPOSITORI (edizione 2019) 278 marchi aziendali 141 espositori diretti provenienti da 14 Regioni italiane (Abruzzo, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Trentino Alto Adige, Umbria, Veneto) 13 Paesi esteri rappresentati (Austria, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Norvegia, Slovenia, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Turchia) SUPERFICIE ESPOSITIVA 17.000 mq

www.agrimont.it

agrimont.longaronefiere


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ABITO LA VITA

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Il confine

A CURA DELLA DOTT.SSA LORENA MAZZARIOL, PSICOLOGA UMANISTA E SCRITTRICE

oro ti consentono le radici, l’appartenenza e il rumore caldo di chi le abita. Sono le nostre mura. Il conforto in giorni bui quando le camminiamo di passo deciso e affondiamo nelle pietre antiche i nostri pensieri. Le mura trevigiane progettate da Fra Giocondo furono costruite cinquecento anni fa per difendere la città dagli attacchi nemici e resistettero ad un lungo assedio delle truppe della lega di Cambrai. Infatti, furono costruite per fortificare Treviso, città tra le più importanti della terraferma, dopo la sconfitta della Repubblica di Venezia. Nella storia dei popoli le mura sono sempre state costruite come barriera per proteggersi da possibili invasioni straniere e se noi pensiamo ai rapporti interpersonali ci accorgiamo che, alle volte, aprendo il cuore o confidandoci con qualcuno si possa rivelare un’arma a doppio taglio. Ognuno di noi ha qualcosa da nascondere, qualcosa che non ci appartiene veramente eppure c’è. Ci spaventano, per esempio, la rabbia, il rancore, il risentimento; sono emozioni che ci assalgono anche a nostra insaputa, con una forza tale da non riuscire a controllare l’impeto. Ed è liberatorio parlarne con qualcuno che può utilizzare la confidenza per farci del male. Allora ci chiudiamo e il più delle volte alziamo un muro, una barriera che crediamo possa proteggerci. Certo lo può fare ma temporaneamente, finché l’emozione della delusione ci diventa amica e non uno status da adottare per sempre. Le emozioni forti, siano esse la rabbia, il risentimento o altro, hanno bisogno di essere ascoltate perché tormentano l’uomo con la loro virulenza e spesso tentiamo di soffocarle. Niente di peggio, quando meno te l’aspetti emergono più forti di prima. E allora ascoltiamole, gustiamole e sapranno certamente di acido, teniamole tra le mani come un

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cucciolo ribelle e le vedremo ridursi, diventare più morbide e pronte a integrarsi nel bene di noi stessi. I muri, o meglio le difese psicologiche, andrebbero abbattuti il più possibile ma ciò ci rende vulnerabili, proprio come le città che necessitano di una protezione e allora proviamo a rivisitare le mura non già come protezione ma come confine. Forti, possenti e accoglienti, un confine tra dentro e fuori. Dentro il caldo, fuori il freddo. Dentro la risorsa, fuori il conflitto. Dentro la gioia, fuori la fatica. Dentro l’essere, fuori l’avere. Dove dentro è il cuore, e il fuori è il vivere tra pensieri e ostacoli da scavalcare. Ciò che siamo dentro è prezioso e solo noi sappiamo il nostro valore, abbiamo bisogno di ascoltarci e non è necessario urlare fuori chi siamo. Alle volte si incontrano persone o situazioni pericolose ed allora è necessario stabilire un confine. Per non essere risucchiati dalle negatività, per non doverci giustificare e per non disperdere energie. Costruire un muro può essere negare o fuggire dalle situazioni, creare un confine è rispettare il proprio spazio, inevitabilmente rispettando quello dell’altro e nel discernere se è evolutivo frequentarlo o meno. Montale nelle sue liriche sui muri non si concede di oltrepassare il “muro d’orto” arroventato del meriggio estivo e la” muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia” è insuperabile, perché lui stesso si sente imprigionato da un’esistenza isolata e per lui il dentro è angosciante e il fuori è impossibile da raggiungere. Comunque vive il muro come un limite, non lo trasforma in un confine per abbattere il pessimismo, non lo trasforma in risorsa e non si protegge dalle sue stesse angosce e poi da quelle degli altri. Ripulito lo spazio interno alla giusta distanza dal tormento esterno, protetti da un confine dorato possiamo restringere o allargare nel pieno valore di noi stessi. Dentro come fuori. Alto come basso. Così in cielo come in terra. Un confine dorato per gli umani, un confine di luce per le vette più alte.


ABITO LA VITA

In questa mia rubrica Abito la vita ispirata dalle foto della nostra sorridente città, scrivo di sensazioni, di visuali diverse e aperte alla vita e di simboli. Il mondo parla attraverso di essi, come affermava Jung e apportano un nuovo sapere facendosi tramite tra il mondo interno e quello esterno. Facile dunque farsi catturare dal linguaggio dei tarocchi, simboli che assomigliano ad un cristallo che restituisce la luce a seconda delle sfaccettature che coglie. Così Jung dichiara: C’è una sincronicità fra il nostro stato d’animo e la figura dei tarocchi che appare e, al di là delle parole, ci pone in ascolto totale che tocca il corpo, passa per la pancia, il cuore, la testa divenendo poi pensiero e azione. I tarocchi, e precisamente quelli di Marsiglia ristrutturati da Jodorowsky e Camoin, sono uno strumento di conoscenza del sé, della parte che si nasconde ai nostri occhi e che può rivelare le risorse utili per l’evoluzione dell’essere. E non è di divinazione che argomento, decisamente non mi interessa, ma vi voglio parlare di un viaggio alla ricerca del nostro Sé più profondo. In questa apertura dell’anno 2020 ci siamo messi in cammino verso il nostro sogno, addobbando il nostro albero interiore di qualità utili per il cammino. In viaggio dentro ad una follia creativa e saggia come fa il matto con le sue

scarpette rosse, simbolo di energia, di vigore e in piena libertà, con poche cose da portare nella borsa. Ha lo sguardo rivolto verso le stelle in un tentativo di raggiungere la sua meta celeste. Molti sono gli ostacoli che incontrerà ma gli occhi che desiderano evolvere lo aiuteranno a superare le difficoltà. Un viaggio dell’anima che sapientemente affronterà ogni prova anche con l’aiuto del cane che lo spinge in avanti. E in questo numero della rivista ho dato degli spunti sul confine che ho individuato nell’arcano numero quattro, L’ imperatore, che ha la capacità di pacificare, di regnare, di proteggere. Vi faccio notare come é scritto il numero quattro, non è sbagliato, é segno che la vita avanza, non indietreggia e quindi qualsiasi passo é in avanti, le opportunità sono davanti. Si procede sempre. L’imperatore è solido, radicato nella terra con le sue scarpe rosse, é la forza in riposo. La stabilità materiale della conquista e dell’azione, edulcorata, così per dire, da una nota ricettiva nell’aquila che cova, un nucleo femminile nella propria mascolinità. Sempre il dualismo, nel tentativo di armonizzare l’animo umano in un UNO completo. Per approfondimenti ed informazioni scrivete a: loremazz@hotmail.com

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NAVIGAMENTE.IT

Kevin Systrom e la storia di come è nato Instagram “Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla” diceva Baricco in un suo celebre monologo. Ed è vero. Spesso però ignoriamo le storie delle cose che più usiamo. Questa è una di quelle.

navigamente.it

Fin dall’infanzia Kevin ha sempre avuto un debole per l’Italia. Il fatto di essere nato ad Holliston, un non troppo grande comune in una non troppo piccola contea del Massachusetts non gli ha negato di coltivare la sua passione più grande, la programmazione. Passione sedimentata con il passare del tempo. Negli anni ’90, mentre lui era ragazzo il computer stava diventando un prodotto comune dentro le abitazioni. E cosa può fare di più facile un bambino con un pc se non giocare? Non videogiochi con grafica ultra dettagliata. Scordiamoci la bella definizione. Se adesso possiamo disporre di schermi in cui non si riescono a riconoscere i pixel, nei videogiochi in cui giocava Kevin i pixel si vedevano eccome, anzi il suo preferito, Doom 2, era uno sparattutto in cui i nemici sembravano loro stessi cubetti ingranditi. La passione per qualcosa nasce dall’ambiente circostante in cui cresciamo e dalle esperienze che viviamo, queste ci plasmano più di qualsiasi altro obbligo che ci viene imposto. Così, affascinato dal mondo astratto che vedeva riflesso nelle luci dello schermo gli venne la curiosità di approfondire il linguaggio delle macchine. Si dedicò alla programmazione, tanto che venne addirittura chiamato a partecipare al Mayfield Fellows Program presso l’università di Stanford, u n’ i m p o r t a n t e c o m p e t i z i o n e p e r sviluppatori. Crescendo decide di continuare gli studi. Al terzo anno di università, decide di unire l’amore per l’Italia con le sue materie preferite. Prepara le valigie e si mette nella borsa la sua amata reflex. Desideroso di immortalare i bellissimi paesaggi, le numerose opere d’arte e il cibo migliore del mondo, si traferisce quindi per alcuni mesi a studiare nel Bel Paese. Ci sono diverse tipologie di scelte. Questa è una scelta su vasta scala. Non ha solo cambiato radicalmente la vita di Kevin ma anche quella di tutti noi.

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DI EDOARDO GRECO, FRANCESCO DOIMO

Arrivato a Firenze, Charlie, il suo professore lo nota mentre armeggia con la sua costosa macchina fotografica. “Perché non la metti da parte quella” indicando la Reflex appoggiata al tavolo, “non sei qui per cercare la perfezione nelle foto” e con la convinzione che spesso i docenti sono capaci di indurre, convinse Kevin a non usare più la sua macchina per il resto della sua permanenza italiana. Il docente uscì un attimo dalla stanza e dopo pochi minuti ritornò con in mano un’altra fotocamera, che al ragazzo gli parve una macchina di plastica, un giocattolo, o meglio una toy camera come avrebbe usato dire. Era una Holga. Macchina fotografica semplice, con foto non perfette. La sua particolarità era il tipico formato quadrato, subito riconoscibile, insieme alla colorazione sbiadita. Il risultato finale sembravano le immagini stampate delle ormai lontane diapositive. Una fast camera che aveva anche la particolarità di poter modificare, tramite liquidi e coloranti, la foto in fase di produzione. Cosa lasciò in quel giovane quella macchina fotografica da pochi soldi lo capiamo anni dopo, quando nel 2010 Kevin Systrom fonda Instagram. Social basato unicamente sulla condivisione di foto, con la possibilità di impostare diversi filtri per rendere le fotografie più personalizzabili. Se in passato il nostro paese ispirava poeti e letterati, ecco che nel XI secolo ispira altri generi di visionari. Chi conosce anche poco questo social sa che come logo ha proprio una macchina fotografica. Questa è proprio la fast camera Holga che ha dato l’idea miliardaria a Kevin.


IL PORTOLANO

Siamo l’animale che racconta storie

DI BRUNA GRAZIANI

direzione@ilportolano.org facebook.com/ilportolanoscrittura www.ilportolano.org

L

a nostra tendenza a raccontare e ascoltare storie ha una spiegazione di tipo evolutivo: se abbiamo dedicato tempo ed energie per raccontare storie anziché dedicarci a qualcosa di più utile significa che l’attività ha dei vantaggi concreti, anzi forse decisivi rispetto alle specie concorrenti. Riflettici: basta pensare alla tua vita e non ti apparirà che come un gomitolo arruffato e indistinto senza capo né coda. Ma quando ti chiedono: com’è andata quella volta? in quel momento tu sei chiamato a raccontare una storia scegliendo un inizio uno svolgimento e un finale. È solo un segmento, certo, passibile di cambiamenti e variazioni ma un mattoncino è gettato un mattoncino del monumentale edificio del più grande romanzo immaginabile, quello della tua vita. E puoi raccontare di ogni cosa, basta anche semplicemente partire da uno spunto, addirittura da una parola. Gli esseri umani sono indissolubilmente legati alle storie. Siamo letteralmente inzuppati dalle nostre e anche da quelle degli altri, siano esse autobiografiche o di pura fantasia, quelle che leggiamo nei racconti e nei romanzi. Ogni narrazione è un’antica e potente tecnologia di realtà virtuale che simula i grandi dilemmi della vita umana: consente al nostro cervello di fare

pratica con le reazioni a quei generi di sfide che sono, e sono sempre state le più cruciali per il nostro successo come specie. Può sembrare una cosa incredibile ma è scientificamente provato: gli studi neuroscientifici e la narratologia di nuova generazione hanno dimostrato che la narrazione è una vera e propria esperienza incarnata. Quando in un libro leggiamo di quello che succede al protagonista, si attivano le stesse aree neuronali che si attiverebbero se quell’esperienza la facessimo noi. Di più: pare proprio che le nostre percezioni siano addirittura più intense nella lettura che nella realtà!

Insomma, facciamo esperienza anche attraverso i libri e tutto quello che impariamo modifica la nostra coscienza e arricchisce il nostro mondo. “Le storie sono il collante della vita sociale umana” dice Jonathan Gottschall, “definiscono i gruppi e li tengono saldamente uniti. Viviamo nell’Isola che non c’è perché non possiamo farne a meno. L’Isola che non c’è è la nostra natura. Siamo l’animale che racconta storie”.

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STORIA

Il caso ALDO MORO 16 marzo 1978/2020 Il Caso ALDO MORO si presenta come uno dei più drammatici episodi terroristici che hanno insanguinato l'Italia nel corso degli anni' 70, gli Anni di Piombo. Attorno alla vicenda, già di per sé indicativa di scenari pericolosi per la Vita Democratica della Nazione, si muovono importanti Gruppi di Potere che, coinvolgendo determinati ambienti Politico-Istituzionali in attività formalmente corrette ma sostanzialmente eversive, pongono inquietanti interrogativi sui reali rapporti di forza esistenti all’interno degli stessi Organismi Istituzionali, sia Nazionali che Internazionali.

DEL PROF. ALDO SARTORETTO E DOTT. GIUSEPPE MORETTO

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Caso Aldo Moro 16 marzo 1978 – 16 marzo 2020 = sono passati 42 anni dal rapimento e successiva uccisione del Presidente della Democrazia Cristiana ALDO MORO e dell’omicidio dei 5 uomini della scorta, in Via Mario Fani a Roma. Lo stesso dicasi per il 9 maggio 1978 quando il corpo senza vita di Moro venne ritrovato nel bagagliaio di un’automobile (una Renault rossa) parcheggiata in via Caetani a Roma. L’omicidio di Aldo Moro, per la drammaticità dell’Evento e per i lunghi 55 giorni di agonia, ma anche per la divulgazione che ha avuto grazie ai media, è stato un evento straordinario e unico nella Storia della 1^ Repubblica Italiana. Il Parlamento, dagli anni’80 ai giorni nostri, ha costituito alcune Commissioni d’Inchiesta sulla strage di Via Fani nonchè sui responsabili delle Stragi in Italia nel 2° dopo-Guerra : tuttavia non è ancora emersa la completa Verità né sul Caso Aldo Moro né sull’intera vicenda del Terrorismo in Italia durante gli Anni di Piombo. Anni di Piombo e Brigate Rosse A partire dall'estate 1976 le Brigate-Rosse erano riuscite a costituire una Colonna dell'Organizzazione a Roma, grazie soprattutto all'impegno di 3 Dirigenti discesi nella Capitale dal Nord Italia. Mario Moretti, conosciuto con il nome di battaglia di "Maurizio", Franco Bonisoli "Luigi", entrambi membri del Comitato-Esecutivo - il principale organismo Direttivo delle Brigate Rosse - e Maria Carla Brioschi "Monica" avevano preso contatto con gli elementi estremistici già presenti nella città provenienti principalmente dalla disciolta struttura militare di Potere-Operaio, dal gruppo autonomo di Via dei Volsci e dai resti della struttura dei NAP (Nuclei Armati Proletari). I primi elementi clandestini della nuova Colonna-Romana furono Valerio Morucci "Matteo", personaggio già molto noto negli ambienti dell'estremismo, esperto di armi e organizzatore di precedenti piccoli gruppi di Lotta Armata e la sua compagna Adriana Faranda "Alessandra”. A questi 2 militanti si unirono ben presto, sotto la direzione dei Brigastisti del Nord, altri giovani inizialmente non-clandestini come Bruno Seghetti, Barbara Balzerani, Francesco Piccioni, Alessio Casimirri, Rita Algranati, Germano Maccari, Renato Arreni, Anna Laura Braghetti, Antonio Savasta. Nel settembre ’77 discese a Roma


STORIA

anche un altro importante brigatista del Nord, Prospero Gallinari, evaso in gennaio dal carcere di Treviso dove era detenuto dopo il suo arresto nel 1974, mentre prima la Brioschi e poi Bonisoli tornarono a Milano. Soprattutto grazie alla capacità organizzativa ed all'esperienza di Mario Moretti, brigatista clandestino fin dal 1972 in contatto con gli altri militanti del Comitato-Esecutivo delle Brigate Rosse presenti al Nord, la Colonna Romana crebbe progressivamente in efficienza. Ben presto l'obiettivo delle Brigate-Rosse a Roma, città priva di grandi complessi industriali e di una forte Classe-Operaia come le grandi Città del Nord, divenne il cosiddetto “Attacco al Cuore dello Stato” cioè : L'organizzazione di un attentato clamoroso con il sequestro di un importante Politico della Democrazia-Cristiana, Partito politico dominante da oltre 30 anni in Italia, per incidere direttamente sulla Vita Politica nazionale, minando la solidità della Repubblica Democratica e sviluppare e propagandare la Lotta-Armata. ROMA, Via MARIO FANI, il mattino del 16 marzo ’78

Per organizzare e portare a termine un' operazione così complessa sarebbe stato necessario impegnare l'intera Colonna-Romana; inoltre furono richiamati nella Capitale alcuni Brigatisti esperti delle altre Colonne del Nord. La decisione definitiva del Comitato Esecutivo fu presa una settimana prima del 16 marzo ’78; la coincidenza con la presentazione del nuovo Governo Andreotti, secondo i Brigatisti, fu casuale. Il problema era che ci si trovava ancora ai tempi della Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica, per cui l’America non apprezzava di certo un Aldo Moro Democristiano (cioè del principale Partito di Governo in Italia!) che strizzava l’occhio ai Comunisti del PCI, considerati la longa manus dell’URSS in Europa. Va tenuto presente che gli avversari di Moro sull’arena Internazionale, quanto più erano formalmente suoi nemici, tanto più si sarebbero ritrovati con le mani legate. Invero, qualora le indagini li avessero indicati come “mandanti” di un attentato contro il Presidente DC, il discredito politico che ne sarebbe derivato

sarebbe stato il classico rimedio ben peggiore del male. In compenso, il Leader DC si ritrovava ad avere non pochi nemici nel panorama Politico Italiano. Moro era riconosciuto come il “Grande Mediatore” in seno alle varie “Correnti” democristiane; quello che riusciva ad impedire che il Partito (la DC) restasse bloccato a causa del gioco delle Correnti. La DC era il grande nemico delle BR ed era considerata l’architrave di ciò che esse chiamavano il SIM, cioè lo Stato Imperialista delle Multi-Nazionali. Quindi, qualcuno aveva dato la spinta in più alle Brigate Rosse affinché rapissero e, soprattutto, uccidessero Aldo Moro. Le BR puntavano ad ottenere un riconoscimento politico e l’ostaggio Aldo Moro faceva perfettamente al caso in una sorta di do ut des. In seguito al ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, il 9 maggio 1978 a Roma in Via Caetani, Cossiga si dimise da Ministro dell'Interno, mentre la famiglia Moro rifiutò ogni celebrazione ufficiale con la seguente nota: “Nessuna

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STORIA

manifestazione pubblica o cerimonia o discorso: nessun lutto Nazionale, né funerali di Stato o medaglia alla memoria. La famiglia si chiude nel silenzio e chiede silenzio. Sulla vita e sulla morte di Aldo Moro giudicherà la Storia”. La vicenda del Caso Moro offre la possibilità di effettuare un Collegamento Storico tra le Azioni compiute dalle Brigate Rosse in quegli anni e i recenti Avvenimenti terroristici del sedicente Califfato Islamico, con il corollario della nascita dell’ISIS = Islamic State of Iraq and Siria. Le analogie significative tra gli Anni-di-Piombo e il Terrorismo Islamico sono: L’Italia nel periodo 1968–1982, quale “Paese-chiave” del Mediterraneo ai tempi della Guerra Fredda. La Siria nel periodo 2011–2019, quale “porta d’accesso” al Mediterraneo per i Paesi Arabo-Asiatici del Medio Oriente. Italia e il Caso Moro Già nel 1973 l’Italia era un “Paese di retrovia” per i Movimenti terroristici, in forza del Lodo Moro : un accordo concluso con i Palestinesi di Arafat e Habash e con il Mossad Israeliano, in base al quale “Palestinesi ed Israeliani non si combattevano tra di loro in Italia e, soprattutto, non colpivano Interessi Commerciali e Politici Italiani in Italia e nel Mondo”. Ma il grande Accordo sul quale Aldo Moro stava lavorando da anni era quello di portare i Comunisti di Enrico Berlinguer nell’area di Governo: il famoso Compromesso Storico.

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Se la serie numerosa di azioni terroristiche fu dolorosamente sopportata dall’opinione pubblica, la strage di Via Fani e l’omicidio di Moro provocò una generale avversione contro le Brigate Rosse; non solo, ma anche contro le altre Forze della Sinistra extra-parlamentare. Inoltre, il dramma dell’Operazione FRITZ (nome in codice del Caso Moro) portò all’entrata in scena del Generale dei Carabinieri Dalla Chiesa, che è stato il regista della sconfitta sul campo delle BR. Invero, il Generale Dalla Chiesa dapprima studiò adeguatamente il nemico (le BR), poi con attività di intelligence e azioni mirate di reparti armati riuscì, tra l’altro, a ritrovare il “Memoriale Moro” e ad arrestare numerosi terroristi/brigatisti, alcuni dei quali “pezzi da novanta” delle BR. Potremmo dire che il Caso Moro, con le sue conseguenze, fu una sorta di “copione” che ogni Movimento terroristico avrebbe dovuto studiare bene per sapere quello che si poteva tentar di fare, ma soprattutto quello che non si doveva fare in Italia!


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HAPPINEZ

HappiNez U

no spazio deliberatamente ispirato alla rivista internazionale Happinez Magazine, un trimestrale olandese che sta riempiendo il panorama internazionale di positività, bellezza, fiducia e forza. Arriverà anche da noi, ne siamo certi. In attesa, la onoriamo con questa pagina che si occuperà di mindstyle, lo vogliamo vivere come un portale di dialogo con tutto ciò che gravita attorno alla spiritualità, alla ritualità, alla meditazione e all’olistica visione di una vita che si risveglia che vuole aprire la mente, il cuore e i sensi verso semplicemente chi siamo davvero. Così radicati possiamo ambire a fare molto per noi stessi e per lo spazio che occupiamo, abitanti umani e non.

E ancora si parlerà di meridiani energetici, di canalizzazione, di meditazione nelle quattro direzioni, ma sarà prezioso anche l’approccio psicologico, medico e nutrizionale che esperti professionisti ci illustreranno. Ci auguriamo che in questo spazio approdino nuovi spunti di dialogo con noi stessi e con gli altri. Intanto diamo il benvenuto alla nostra HappiNez italiana, con una meravigliosa accensione su Nez, naso in francese. L’olfatto è ritenuto il più antico tra i sensi e quello che ci avvicina di più al divino. Buona avventura!

Ringrazio Sarah che è stata veicolo di questa spinta, e poi Filippo (@sansonettifilippo) la sua profonda ed appassionata esplorazione dell’essere umano, il suo interesse per la biologia che smitizza, semplifica e risolve molte arrugginite dinamiche mentali. Parlando del progetto ho incontrato Stefania (www.stefaniavecchia.net) con il cui confronto sono nate le proposte di affrontare varie tematiche e discipline che possono aiutare nel viaggio verso la comprensione di come funzioniamo. Ad esempio parleremo di Frequenza, di Numerologa Vedica e di Human Design e di altro ancora.

Cosa vuol dire scegliere?

“...e poi un giorno Filippo mi ha spiegato cosa vuol dire scegliere”.

“È la base per non fare fatica. Scegliere significa pensare che qualsiasi cosa che pensi e fai l’hai scelta liberamente tu.” E se non ti sembra così? “Significa che hai delle paure, per esempio la paura del giudizio. Se fai fatica mentale qualcosa stai sbagliando sicuro. Magari appunto solo il modo in cui vedi le cose.”

DI MARA PAVAN

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EDO HUB

Cambiamenti di Edo Hub

Io ti vedo Secondo Saint Exupery, in ogni bambino vi è un Mozart assassinato, un fiore meraviglioso in potenza che spesso recidiamo senza dar esso l’opportunità di sbocciare. In ogni essere umano, vi è un seme di bellezza e bontà pronto a crescere ad ogni nuovo ritorno al mondo, purché ne ricorrano le condizioni e purché innaffiato con gentilezza ed amore da chi lo circonda e lo ha in cura.

H Emma Gobbo emmagobbo@edohub.it +39 340 2570799 www.edohub.it Società di Consulenza Aziendale e Personale Aiutiamo gli Imprenditori e le Persone a rendere pratica l'abbondante teoria riguardante il miglioramento. Edo s.r.l.s. Tutti i diritti sono riservati P.IVA 04873960266 Via Postumia Castellana, 34 31055 - Quinto di Treviso (TV)

o scoperto una pratica in uso presso una comunità Zulu sudafricana: quando un componente della tribù commette un’azione scorretta od offensiva, viene richiesta la sua presenza al centro del villaggio. La comunità, composta da amici, familiari, vicini, forma un cerchio al centro del quale l’errante (colui che sbaglia ma anche colui che viaggia) è inviato a porsi. Per due giorni, la gente ricorda a questa persona tutte le cose buone da egli fatte in vita, con l’idea che gli sbagli compiuti nel cammino non siano che disperate richieste d’aiuto e con il desiderio di ricondurlo verso la propria natura. Saint Exupery definì l’Amore come “quel processo con il quale, dolcemente, ti riconducono a te stesso”: in questo senso la pratica descritta può esser vista come un atto d’amore. Essa, inoltre, ha assunto importanza anche all’interno della disciplina di ingegneria delle organizzazioni, per la modalità di interagire e gestire i problemi e ha reso non a caso gli Zulu una delle civilizzazioni più potenti del continente africano. Ciò che però mi ha affascinato maggiormente di questa tribù è il loro particolare saluto: utilizzano, infatti, una parola, “Sawubona”, che letteralmente significa “Io ti vedo, sei importante per me”, cui solitamente corrisponde, a risposta, la parola “Shikoba”, “io allora esisto per te”. Tale saluto, tale verbalizzazione di un incontro è un meraviglioso porre tutta la propria attenzione all’altro, vederlo, appunto, intravedere la sua paure, scoprire i suoi bisogni, essere curiosi nel senso di volersene prendere cura, sentire.

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IO ESCO DI SILVANO FOCARELLI

Cinema: Visconti (qualcuno in "Parasite" ha visto riferimenti alla lotta di classe e a "Gruppo di famiglia in un interno"). Altri hanno fatto notare anche che la Sud Corea è uno dei maggiori partner commerciali con gli Stati Uniti, però diciamo semplicemente che ha vinto un ottimo film. Tutto legittimo. Ma attenzione: un po’ d'Italia, altrimenti esclusa da tutto, in “Parasite“ c‘è: In ginocchio da te di Gianni Morandi con l’arrangiamento di Ennio Morricone. Standing ovation anche per il Maestro. Un discorso a parte merita “1917”, il vero sconfitto. È un film di guerra classico, quello che non ne mostra gli orrori, o li mostra solo in parte, ma celebra il coraggio dei soldati, il loro attaccamento al dovere. Un genere di film che storicamente conquista facilmente i cuori americani: storie di coraggio e ardore sul fronte. E invece solo premi tecnici, ad omaggiare un‘opera costruita mirabilmente su un sostanziale piano sequenza. Da segnalare anche il primo Oscar a Brad Pitt come attore non protagonista. Anche quest’anno la cerimonia al Dolby Theatre di Los Angeles non ha avuto un presentatore, ma durante la serata si sono esibiti diversi artisti e sono saliti sul palco grandi attrici e grandi attori: tra loro Tom Hanks, Keanu Reeves, Natalie Portman e Taika Waititi.

a tutto Oscar

Gli Oscar ogni tanto rispettano i pronostici, ma più spesso offrono sorprese

Quelli di quest’anno ne hanno combinata una niente male: il successo di un film sud coreano, peraltro molto bello, come Parasite. Sbaragliato l’agguerrito esercito di pellicole americane pronte a gettarsi famelico sulle statuette: il risultato, a suo modo, del 10 febbraio è stato storico, imprevedibile però fino ad un certo punto. L’Academy ha voluto premiare una pellicola fredda, geometrica ma anche straziante, ferocemente anticapitalistica. Cioè l‘esatto contrario di tutte le altre. Il regista, Bong Joon-ho, s’è portato in Corea quattro Oscar, quelli più importanti, fra i quali miglior film (la prima volta per uno non in lingua inglese) e miglior regia, battendo nientemeno che Martin Scorsese di "The Irishman" (grave sconfitta per Netflix che

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aveva investito parecchio), Quentin Tarantino di "C'era una volta a Hollywood" (e francamente che Tarantino rischi di chiudere la carriera senza l’Oscar è scandaloso), il re del pianosequenza Sam Mendes di "1917" e il superfavorito Todd Phillips col "Joker" (già vincitore del Leone d'oro a Venezia, premi per Joaquin Phoenix come miglior attore e per la miglior colonna sonora.), che aveva racimolato la bellezza di 11 nomination. "Parasite" fra l’altro aveva vinto la Palma d'oro a Cannes 2019, e s’è preso pure la statuetta per il miglior film internazionale e la migliore sceneggiatura originale. Bong Joon-ho comunque ha furbescamente evitato di far prendere alla serata una piega tutta orientale: ha ringraziato anzitutto il maestro che lo ispirava quando studiava cinema, Martin Scorsese (adora "Toro scatenato"), poi Quentin Tarantino, che ha sempre citato tra i suoi registi preferiti. Molto amato da anche


IO ESCO DI SILVANO FOCARELLI

Il film famoso

La donna che visse due volte Scegliere il film migliore di un Maestro assoluto del cinema è fargli un torto: ogni grande regista ne ha almeno una decina che potrebbero essere considerati capolavori. Hitchcock ovviamente non fa eccezione. È più bello Psycho o La finestra sul cortile? Vi piace di più L’uomo che sapeva troppo o Gli uccelli? Ma se proprio dobbiamo sceglierne uno eccolo qua: La donna che visse due volte. Per spiegare il significato di ciò che ci ha volto dire il re del brivido bisogna iniziare dal titolo originale: Vertigo (che doveva essere Illicit Darkening, per fortuna poi cambiato). Cos’è questa vertigine? Non è solo quella di cui soffre fisicamente l’investigatore John “Scottie” Ferguson dopo quel tragico inseguimento sul tetto che è costato la vita ad un suo collega: vertigine, per il cattolico Hitchcock, educato dai Gesuiti, è la donna. Ed è la donna l’ossessione di James Stewart, tradito nella sua razionalità di poliziotto dalla passione “vertiginosa” per una donna che Ha scambiato per un’altra. In teoria il film è la storia di una investigazione, tratta dal racconto di Pierre Boileau e Thomas Narcejac scritto appositamente per lui, ma man mano perde completamente la sua importanza,: Hitchcock lascia

LA DONNA CHE VISSE DUE VOLTE (Vertigo, 1958), Usa, 128’ Regia di Alfred Hitchcock con James Stewart, Kim Novak, Barbara Bel Geddes, Tom Helmore, Henry Jones, Raymond Bailey

che lo spettatore si concentri sulla vertigine amorosa di Scottie, sul sentimento che si stabilisce dopo il primo, e sventato, tentativo di suicidio di Padelline (Kim Novak) nelle acque della baia di San Francisco. Disse il Maestro a Truffaut : “C'è un aspetto che chiamerò sesso psicologico: è l'immagine che spinge quest'uomo a ricreare un'immagine sessuale impossibile: in poche parole quest'uomo vuole andare a letto con una morta: si tratta di necrofilia". Un giallo che diventa un viaggio nella parte oscura della psiche umana: Hitchcock svela infatti la soluzione del mistero a tre quarti della storia. E poi ci parla di altro. Scottie è un ennesimo alter ego del regista che, come tutti sanno, fu ossessionato dalle sue attrici

preferite, che dovevano essere fredde e bionde. Al posto della Novak avrebbe dovuto esserci Vera Miles, che aveva già recitato per lui nel Il ladro con Henry Fonda, che però rimase incinta poco prima dell'inizio delle riprese. Si rifarà due anni dopo con Psycho. Ed il senso di vertigine che ha Ferguson è espresso con il famosissimo zoom in avanti e all'indietro. Questa tecnica fu ideata per il film dal cameraman di seconda unità Irmin Roberts (non accreditato ufficialmente); lo zoom in verticale nella scalinata del campanile di San Juan Batista, in uno dei momenti clou del film, richiese un costo da record di 19.000 dollari per appena due secondi di pellicola.

Curiosità Bruce Lee, l’attore americano di origine cinesi, era così veloce nell’effettuare le sue mosse di kung fu che i registi dei suoi film furono costretti a rallentare le scene dei suoi combattimenti. La celeberrima scritta Hollywood sulla collina fu posta nel 1923 grazie a Mark Sennett, Harry Chandler e il Los Angeles Times. Inizialmente fu collocata la parola Hollywoodland per pubblicizzare un progetto immobiliare. Successivamente venne abbreviata in Hollywood: le lettere sono state restaurate più volte e non sono quelle originali. Le famose spade laser di Star Wars erano steli in fibra di vetro rivestiti con un materiale riflettente. La luce rifletteva sulle aste con gli specchi davanti all’obiettivo

della fotocamera che, per ottenere il colore, fu potenziato durante la fase di animazione. Il titolo di film più lungo nella storia del cinema è Night of the Day of the Dawn of the Son of the Bride of the Return of the Revenge of the Terror of the Attack of the Evil, Mutant, Alien, Flesh Eating, Hellhound, Zombified Living Dead Part 2: In Shocking 2-D (1991), opportunamente abbreviato in Night of the Day of the Dawn of the Son of the Bride of the Return of the Terror.

The Babysitter Murders è diventato Halloween (Halloween: la notte delle streghe, 1978) Watch the Skies e diventato Close Encounters of the Third Kind (Incontri ravvicinati del terzo tipo, 1977) The Greatest Gift e diventato It's a Wonderful Life (La vita è meravigliosa, 1946) #3000 è diventato Pretty Woman (1990) Star Beast è diventato Alien (1979)

A volte alcuni titoli di film sono stati cambiati

A Boy's Life è diventato ET - The Extra Terrestrial (ET-L'extraterrestre, 1982)

Stillness in the Water è diventato Jaws (Lo squalo, 1975)

The Adventures of Luke Skywalker è diventato Star Wars (Guerre stellari, 1977)

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Musica:

Domenica 1 Marzo Organo Pietro Nacchini, 1750 Tobias Lindner Auditorium Chiesa di Santa Croce Domenica 8 Marzo Organo Dell’Orto e Lanzini, 1990 Gilberto Scordari Chiesa di San Giuseppe, Treviso Domenica 15 Marzo Organo Andrea Zeni, 1999 Francesca Ajossa Chiesa Parrocchiale, Salgareda

Pagine d'Organo Festival Internazionale d’Organo La rassegna dei giovani di Antiqua Vox diventa Festival Internazionale. Organi storici in presa diretta. La grande letteratura nell'immediatezza della ripresa dal vivo. Il festival torna a Treviso a febbraio 2020. Wolfgang Zerer, Tobias Lindner, Gilberto Scordari, Massimiliano Raschietti, Francesca Ajossa, Simone della Torre: la scuola organistica di Basilea è protagonista del Festival di Antiqua Vox. Zerer, Lindner, Raschietti, Scordari hanno studiato a Basilea. E Zerer, insieme ad Andea Marcon (che ne è stato allievo) ha creato una cattedra di organo che raccoglie talenti da tutto il mondo. Ecco che la scuola di Basilea si presenta a Treviso. 6 interpreti, 5 organi, due mesi di programmazione. Così Antiqua Vox ha scelto di cambiare pelle al Festival Pagine d'Organo. Dopo dieci edizioni dedicate alla promozione del talento e dei giovani vincitori dei concorsi europei, oggi il Festival si struttura come riferimento internazionale, pronto ad accogliere a Treviso i più importanti interpreti europei. Da vetrina dei professionisti di domani, con la selezione dei vincitori dei concorsi europei di Alkmaar,

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Domenica 22 Marzo Organo Fratelli Serassi, 1858 Simone Della Torre Chiesa di Sant’Agostino, Treviso

Innsbruck, Bruges, oggi Pagine d'Organo si pone come riferimento internazionale per la letteratura organistica. Treviso, il cui centro storico custodisce alcuni dei più importanti organi del Nord Italia, nei mesi di febbraio e marzo ospiterà i concerti del nuovo festival. Gli Strumenti Pagine d'Organo è vetrina di alcuni dei più preziosi strumenti del Nord Italia. Pagine d'organo inaugura a Santa Caterina sull'organo costruito in stile rinascimentale italiano, dalla ditta Francesco Zanin, di Codroipo. Poi proporrà due concerti a San Giuseppe, sede esclusiva, fino allo scorso anno del festival. All'interno della Chiesa di San Giuseppe a Treviso è custodito un organo a trasmissione meccanica, con 3 tastiere, pedaliera, 30 registri e circa 1800 canne, ispirato alla scuola organaria franco alsaziana settecentesca e quindi ideale per eseguire la letteratura barocca francese e tedesca, di J. S. Bach in particolare. L'edizione 2020 valorizzerà anche il Grande organo di Salgareda, modellato sugli stilemi dell'arte organaria francese romantica della seconda metà dell'800, costruito da Andrea Zeni di Trento e inaugurato nel 1999. A Treviso poi in Sant'Agostino si ascolterà l'organo a canne dei Fratelli Serassi op. 650,

costruito nel 1858. Infine il festival propone una data all’Auditorium Chiesa di Santa Croce a Treviso, dove è custodito un prezioso organo Pietro Nacchini del 1750 perfettamente restaurato. Tecnologia E Meccanica Pagine d’Organo® è tecnologia. L'interprete non è più nascosto dalla balustra di una cantoria o da un altare. Il suo suono arriva in maniera diretta allo spettatore. Il maxischermo garantisce al pubblico la possibilità di cogliere ogni particolare dell'esecuzione: la regia offre uno sguardo diretto su tastiere e pedaliera, per mettere a fuoco l'evento musicale nel suo complesso. Pagine d'Organo è, infine, viaggio nella meccanica dello strumento. Al termine del concerto, è possibile partecipare a una visita guidata all’interno dell’organo: un’occasione imperdibile per scoprire una macchina musicale complessa ma poco conosciuta, e quindi ancora più affascinante. Fondazione Antiqua Vox Via E. Majorana, 7 31050 Ponzano Veneto (TV) T 0422/442504 M +39 345 7096696 segreteria@antiquavox.it www.antiquavox.it


IN FOTO: MARCO EMMANUELE ALLA CHITARRA E IL DIRETTORE D'ORCHESTRA CLAUDIO DONI

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IN FOTO: ALESSANDRO PERINI

Tra Rose Sonore

Tra Rose Sonore è un progetto realizzato dall’Associazione Musicale TACTUS associazione.tactus@gmail.com www.associazionetactus.it

Ogni edizione di TRA ROSE SONORE | Una Rassegna sulla Chitarra Storica cammina - dal 2014 ad oggi - sul fil rouge di strumenti e musiche filologici, distinguendosi per amore d'originalità. E l'originalità è, prima di tutto, quella dei liutai del passato. Così sul palco negli anni sono salite una chitarra Parizot (Bordeaux 1835 ca) e una A. Guiot (in Panormo Style, London 1840), una G. Guadagnini (Torino 1846) e una L. D. Pons (Paris 1819), una Stauffer&Co.(Vienna 1827) e una A. Fischer (1839), una Schrammelgitarre a 13 corde e una Jaime Ribot (Barcelona 1910 ca), una Antigua Casa Nunez (1933) e una Nicolas Morlot (Mirecourt 1830 ca), una chitarra spagnola a sei cori e una René Lacôte (Paris 1826), una Lyra–chitarra L. Blaise (Paris 1830 ca)... E altre perle di liuteria, restaurate e suonanti. Le chitarre vengono presentate al pubblico attraverso programmi cuciti con cura su storia e voce di ciascuno strumento, in una fantastica riscoperta dei 'suoni a chilometri zero' tipici delle origini. Esperti e meno esperti si lasciano condurre con piacere su questa via anche grazie ai preziosi racconti del presidente dell'Ass. TACTUS: Marco D'Agostino, che non è solo affermato professionista dei Beni Culturali, ma pure chitarrista classico e appunto conoscitore/collezionista delle sei corde storiche. Così, ogni volta, Tra Rose Sonore offre - tra

concerti e lezioni-concerto, arte e tecnica - momenti d'ascolto speciali, eppure fruibili da tutti. Del resto, la curiosità per gli strumenti originali si diffonde sempre di più. Perciò si può dire che gli organizzatori siano stati dei precursori. A buon diritto - arrivati a programmare la VI edizione - investono ancora su ensemble più allargate e una location raffinata come Palazzo di Francia. Aspettando pubblici curiosi e attenti, per questi ed altri concerti stagionali, non appena sarà rientrata l'emergenza corona virus e i teatri torneranno felicemente a riempirsi. Sursum corda(!). w w w. a s s o c i a z i o n e t a c t u s . i t

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FOTO DI ROBERTA CUZZOLIN E FABIO FUSER

Una rassegna sulla chitarra storica

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UNA RASSEGNA SULLA CHITARRA STORICA con strumenti originali

Treviso | marzo 2020 | Palazzo di Francia | via Roggia, 12 L A R 1 9 T H s a b a

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Locali: Quante storie dentro ad un piatto!? Una porticina sul benessere in forma di cibo lungo un'arteria stradale importante alle porte della città: dalla voce di Michele Mion la storia quotidiana di Caffè in Cucina La località Sant'Artemio a Treviso respira una magia tutta sua, anche se apparentemente si sviluppa intorno all'arteria provinciale della strada Pontebbana. Agli inizi del novecento veniva raggiunta da uno dei tram che attraversavano tutta la città. Oggi è una delle zone residenziali più belle nel comune di Treviso, coccolata da due parchi bellissimi: parco di villa Manfrin (che ospita il Parco degli alberi parlanti) e parco dello Storga, e brulicante di una vitalità che evoca la parte migliore degli stili di vita super attivi del nostro quotidiano. Abbiamo aperto la porta di Caffè in cucina, situato proprio vicino alla fermata dell'autobus, vicinissimo all'Ippodromo che non poco ha segnato l'identità di questa località, e chiacchierato con il proprietario Michele Mion. Il nome, sempre così importante per un locale, sa di tradizione ed offre il senso del calore e della casa. Come è nato? "Esisteva già qui un bar caffetteria; abbiamo voluto mantenere di questa parte della storia del luogo l'amore per il caffè… amiamo valorizzarlo (anche berlo naturalmente-ride ndr) e abbiamo ancora la macchina a leva manuale. Abbiamo aggiunto con la nostra gestione la cucina a cena e pranzo scegliendo nell'arredamento la parete di piastrelle come le cucine tradizionali di un

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tempo e i tavoli di legno delle cucine delle nonne." C'è un'ampia scelta di vini, quindi in questo locale si valorizza anche la tradizione e ricchezza enologica come cultura gastronomica? "I vini li sceglie Luca che è anche sommelier quindi ha una valida formazione e anni di esperienza in questo lavoro. Piace molto anche a me scegliere i vini, amo nel tempo libero visitare cantine, ho lavorato in una enoteca e mi occupo di questo settore dai 18 anni in su." Che selezione di vini proponete? Vini che possano rappresentare un buon abbinamento con alcuni cibi? vini che possano attraversare tutti i sapori? "Offriamo vini nazionali dal Trentino Alto Adige alla Sicilia, attraversiamo tutta la penisola, scegliendo e utilizzando i vini migliori delle varie regioni per poi andare oltre i confini nazionali. Amiamo i vini francesi per esempio. Abbiamo anche una selezione di marche più costose ma abbiamo organizzato la gestione della scelta dei vini attraverso la collaborazione con aziende che ci permettono di offrire un buon rapporto qualità prezzo, nella raffinatezza del gusto che non può mancare. Abbiamo una carta vini con 200 etichette, con un numero di bottiglie in cantina per


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tipologia legato alla richiesta. Oggi molta conoscenza col cliente e del cliente avviene attraverso la multimedialità: si legge su internet e si scopre attraverso i media tutto quello che il turismo può offrire e che è bello ritrovare o scoprire al tavolo del ristorante nella città di provincia. Alle fiere un tempo ci si recavano solo gli operatori del settore, ora può accadere che le visitino maggiormente i clienti che gli operatori del settore, anche per questo siamo sempre così attenti ad ampliare i nostri orizzonti." Il cibo ha rivoluzionato la storia di questo luogo che probabilmente non è mai stato un ristorante prima, che storia d'amore è sbocciata qui? "Caffè in cucina esiste da tre anni e dato che avevamo voglia che fosse anche un ristorante e le dimensioni, e tutte le caratteristiche del luogo erano a norma per realizzarlo, abbiamo creato la nostra offerta con una formula semplice, come può essere quella del pranzo con il menù alla carta. Siamo aperti sempre, a pranzo e cena, tranne la domenica (si può mangiare da mezzogiorno alle due e mezza e dalle sette alle ventidue). Non poniamo la cucina locale e tradizionale come nostra caratteristica portante anche se certamente tutti i piatti

tipici trovano casa da noi e ci sentiamo vicini alla tradizione (dal radicchio, ai salumi della zona, alla pasta e fagioli, al baccalà mantecato), ma riteniamo che anche tutti i piatti esteri buoni siano da considerare. Da noi si possono trovare, il patanegra, il fois gras, le acciughe del mar Cantabrico… tra i primi piatti per esempio abbiamo il Pad Thai, piatto vegano orientale (spaghetti di riso con verdura, mandorle, ecc..) e capita che molti clienti ricordino con piacere un viaggio fatto in Thailandia. Altri primi nostri: gnocchi col sugo d'arrosto, bigoli al ragù d'oca; secondi: pancia di maialino, guancetta, stinco d'agnello, musetto. C'è molta varietà stagionale. Per quanto riguarda i contorni, abbiamo sviluppato una bella collaborazione con Anna che gestisce la Casa della frutta, storico negozio di fruttivendolo sotto i portici che fa un lavoro di ricerca sulla qualità e freschezza molto accurato. A pranzo snelliamo il menu della sera, offriamo meno portate, ma sono portate più abbondanti, per cui risulta comune sceglierne anche solo una. Ci collochiamo comunque in una fascia di prezzo media, non abbiamo il menu a prezzo fisso. Posso affermare che il nostro modo di vivere il territorio in cui siamo è far crescere meglio la realtà con la nostra creatività."

Ma che cosa in tutto ciò potrebbe rappresentare la motivazione per cui un turista, una persona di passaggio, o anche una persona del luogo che non vi conosca potrebbe essere felice di mangiare da voi? "Credo che sia il fatto che si può mangiare in modo fantasioso o classico. Offriamo anche "l'immancabile" tiramisù, e non stiamo a dire che il nostro sia più buono perché sul tiramisù pure c' è una guerra pazzesca (ride ndf). E tra i dolci: crema catalana, panna cotta, tarte tatin (dolce francese) crostata delle sorelle Tatin, servita col gelato alla vaniglia." Il vostro piatto più caratteristico? "Veri e propri piatti caratteristici non ne identifico però… si arrabbiano molti clienti se togliamo dal nostro menu la catalana di scampi e gamberi, la tartare di fassona, la pancia di maialino cotta a bassa temperatura, la guancetta di vitello a bassa temperatura, i gamberi in Kataifi, il Pad thai (gli ultimi due sono piatti orientali a cui appunto nostri clienti abituali sono molto affezionati). Il resto è più stagionale. L'aperitivo, momento importante della nostra giornata e, qui torna in gioco il nostro essere anche bar: il cliente può viverlo in relax per un tempo lungo seduto sugli sgabelloni a cicchettare

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con un accompagnamento di una buona selezione di affettati e formaggi francesi o italiani. " Michele che ci racconti di te, e dell'anima di questo locale? "Ho anche un altro locale, il bar Toniolo all'interno della cooperativa Toniolo a Conscio di Casale sul Sile. L'anima di Caffè in cucina in realtà sono tutte le persone che ci lavorano. Prima di tutto devo ricordare mia moglie Giorgia che è socia e segue la parte amministrativa contabile, ma lavora anche nei locali. Ho appunto delegato a Luca la gestione di sala e vini, mentre Marika segue la cucina con Andri’, ed Alessandro si occupa dell’accoglienza del cliente e della sala. Vengono da esperienze sviluppate in Svizzera, in Francia, dove sono stati formati in tutto da chef affermati; sono giovani ma questi vissuti formativi sono stati importanti. Per rendere efficace la gestione del locale ho capito che è importante fare un bel lavoro di squadra, collaborando insieme allo stesso scopo: il benessere e la soddisfazione del cliente, del maggior numero di clienti possibile. Non amo apparire né essere al centro dell'attenzione ma soprattutto credo davvero che solo il lavoro di tutti renda la comunicazione con il cliente così come è. I clienti sono affezionati a tutti, anche se ovviamente i più visibili sono Alessandro e Luca in sala. La comunicazione col cliente si basa su empatia vicinanza, fiducia e professionalità… senza essere troppo invasivi. "La giusta distanza". Questo è un team di persone con una storia nella ristorazione, con una grande passione per il proprio lavoro. La principale soddisfazione che traggo infatti leggendo le recensioni deriva dal

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fatto che viene sempre lodata la gentilezza ed efficienza dei ragazzi ed è consueto che mi venga riferito che lavorano nei miei locali tutti bravi ragazzi. Questo è frutto di buone scelte, di fortuna, ma la cosa più significativa è potersi fidare della propria squadra di lavoro, sentire che si ha alle spalle una organizzazione solida su cui contare. Questo fa sentire poco la fatica, insieme al piacere e passione per il proprio lavoro che non fanno sembrare così numerose le ore che passiamo qui dentro: la maggior parte della giornata!" Qualche aneddoto? "Un nostro cliente ha scritto su di noi una recensione che così ci descriveva: "lo stare bene senza troppi fronzoli"." Esco dal locale pensandolo anche io di lui: questo ragazzo così giovane, umile e così pieno di entusiasmo per l'accoglienza... quell'accoglienza semplice, che fa star bene, che sa essere raffinata, delicata, ma vera.

Dal lunedì al sabato Domenica chiuso Caffè in Cucina Viale G. G. Felissent, 41 31020 Villorba TV 0422 262525 info@caffecucina.it www.caffecucina.it


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Eventi:

[e]

Dal 6 marzo al 20 settembre [e] Design festival sarà presente in città con talks, esposizioni, workshop che offriranno ai visitatori curiosi ed appassionati originali occasioni di confronto, dibattito e approfondimento. Le sedi storiche più prestigiose e patrimonio artistico della città, grazie alla coorganizzazione del Comune di Treviso, ospiteranno designer, artisti, esperti, studiosi in un evento diffuso e articolato che vuole avere il suo focus su una sfida che ci siamo proposti per l’edizione 2020: pensare e realizzare un design non solo estetico e funzionale, riconosciuto e vincente nel mondo, ma anche un design etico attraverso lo sviluppo di un’economia circolare nel rispetto dell’uomo e del lavoro, d el l ’ a mb i ente e del l a biodiversità. La sfida è coniugare l’estetica e la funzionalità degli oggetti con un approccio etico dove sostenibilità, riuso, qualità e territorialità diventino valori imprescindibili.

Design festival estetica & etica

pensare contemporaneo

2020

L'edizione 2020 del festival del design a Treviso, è alle porte. Dal 6 marzo al 20 settembre un dialogo tra design, artigianato, impresa e innovazione, tra Etica ed Estetica, tra sostenibilità ed economia circolare.

Bruno Morassutti: Architettura industrializzata e design Museo Bailo dal 20 marzo al 19 aprile Parole di Luce Museo Casa Robegan dal 27 marzo al 18 aprile

Per [e]Design festival - [e] sta per Estetica ed Etica- il design è una forma d’arte che, oltre alla presenza continua e spesso silenziosa nel nostro quotidiano, crea sinergie e contaminazioni con altre arti. Ed è proprio questo aspetto che intendiamo proporre e condividere con un pubblico non solo di esperti e di addetti ai lavori, ma anche di curiosi e appassionati di cultura, arte, innovazione, artigianato e impresa. Utenti individuali, famiglie, studenti, imprenditori, turisti culturali. Non solo design comunemente inteso dunque. Visione e progettualità aperta e innovativa sono la nostra linfa vitale. Fin dall’edizione 2019, il festival del design a Treviso è stato pensato come un evento diffuso e dilatato nei tempi e negli spazi per consentire ai visitatori di fruire in modo

lento dell’offerta. Il mordi e fuggi concentrato di molti festival non fa per noi. Ci vuole tempo per fruire, ci vuole tempo per capire. Siamo consapevoli del privilegio quotidiano di vivere immersi nella Bellezza e non vogliamo assuefarci, come spesso accade. Anche gli spazi del festival, quindi, diventano palcoscenico privilegiato per noi, per gli ospiti e per i visitatori in una reciproca e consapevole valorizzazione della nostra città con il suo patrimonio artistico e delle nostre eccellenze intellettuali e manuali: Auditorium e Museo di Santa Caterina, Palazzo dei Trecento, Museo Bailo e Museo Casa Robegan. E proprio perché riteniamo che il tempo sia necessario per scegliere e assimilare, cominciamo ad anticiparvi lentamente alcuni eventi di [e]Design festival in programma nel mese di marzo dedicato a 4 weekend di talks all’Auditorium di Santa Caterina. Il festival, dopo la felice anteprima di settembre/ottobre 2019 con la mostra L’arte di Roberto Pamio, dedicata al celebre architetto e designer, avrà il suo inizio venerdì 6 marzo, alle 18,30, all’Auditorium del Museo di Santa Caterina, alla presenza dell’ideatore e direttore artistico Luciano Setten, delle Istituzioni, autorità, partner culturali e partner sostenitori, grazie ai quali questo festival si può realizzare. All’inaugurazione seguirà il primo talk con un ospite d’eccezione. Non ultimo lo staff organizzativo di [e]Design festival fatto di persone che hanno messo in atto, con le loro competenze, un lavoro di squadra intenso e condiviso, unite dalla passione per la conoscenza e dal piacere di creare occasioni culturali per la città e il territorio. Vi aspettiamo numerosi e pieni di curiosità! Organizzazione [e]Design festival è ideato da Luciano Setten, direttore artistico, e organizzato da Luciano Setten Paola Bellin e Popcom Studio, azienda di comunicazione.

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Incontri:

Tousentout "Tutti in tutto"

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Comitato Tousentout Un gruppo di persone che crede in un modo di vivere più umano, collaborativo, gentile, creativo e di sostegno, rispettoso delle caratteristiche uniche di ogni individuo e luogo. Presidente ed ideatrice del comitato per la Fondazione Tousentout è Stefania Vecchia, fotografa e Counsellor sistemico relazionale, una esploratrice della coscienza che insieme agli altri Fondatori* progetta e organizza conferenze, cicli di incontri, pubblicazioni, eventi, seminari e ogni attività che possa essere di aiuto allo scopo che si propone: quello di agevolare la conoscenza e la comprensione di come funziona l'essere umano dal punto di vista fisico, spirituale ed emozionale. * Francesca Mazzer, Pier Murani, Roberta Mazzer, Cosima Spinelli, Mariachiara Fonda, Maurizio Zardet, Gabriel Sassone, Daniela Zaghis, Ornella Bortolomiol, Yatri Mattia Pizzato, Massimiliano Demurtas, Paola de Noni, Lorena Santin, Ivan de Noni

20 Marzo h. 20:30 Il Femminile Centro Yoga Yoko via Einaudi 4 Dosson di Casier 26 Marzo h. 20:30 "Meditate con Noi?" Meditazione Studio Vinci Fontane di Villorba 27 Marzo h. 16:30 "Il risveglio dei colori" Conferenza di Ilaria Rochira (Luogo da definire)

Tousentout comunicherà attraverso i suoi canali social i luoghi dove si terranno gli incontri. FB facebook.com/Tousentout info@tousentout.org www.tousentout.org

17 Aprile h. 20:30 Il Femminile Ti incontro Mi incontro (Femminile incontra il Maschile) Centro Yoga Yoko via Einaudi 4 Dosson di Casier

Magie dal mondo: La lampada di Aladino

Ognuno di noi ha dei desideri nascosti in fondo al cuore. Talvolta li lasciamo troppo a lungo lì sotto e intanto la polvere li copre, li confonde, li annerisce. Ma appena strofiniamo la "Lampada del genio", togliamo e soffiamo via questa polvere. Esprimere un desiderio è liberare il nostro potere magico, che sa sempre come farci agire per realizzarlo. È scoprire una nuova parte di noi stessi e celebrarla. La lampada di Aladino, ti ricorda che hai dei desideri e che li puoi realizzare! Chiara e Sebastiano vi aspettano in via Canoniche 8 alle spalle del Duomo di Treviso. “Robe Turche” per un tuffo nella calda atmosfera mediorientale e non solo.

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20 Aprile h. 20:30 "La Belle Epoque" Proiezione Film (luogo da definire) 30 Aprile h. 20:30 "Meditate con Noi?" Meditazione Studio Vinci Fontane di Villorba 14 Maggio h. 20:30 Il Femminile Centro Yoga Yoko via Einaudi 4 Dosson di Casier 15 Maggio h. 16:30 "L'uomo e le stelle" Conferenza con l'astrofisica e astroarcheologa Silvia Motta (Luogo da definire)


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Maschere 14 Marzo h. 15:30 NASCONDERSI E DISVELARSI Aspetti psicologici e sociali Saluto musicale di apertura: Quartetto RosaThea Anna, Marcella e Maria Campagnaro, Raffaella Chiarini

Laboratori:

Relatrice: Giovanna BORSETTO Psicoterapeuta, docente IUSVE Ref. clinica Associazione Hikikomori Italia

Attività sensoriali per bambini 6-12

Testimonianza: Laura BESAZZA Ref. per il Veneto dell’Associazione Hikikomori Italia Genitori Onlus

4 Aprile h.15:30 IL GIOCO DEI RUOLI Maschere, persone e personaggi Saluto musicale di apertura: Quartetto Arcadia Mattia Zamperoni, Joseph Ferraro, Antonio Caneve, Cristina Fugazzotto In collaborazione con il Conservatorio A. Steffani di Castelfranco V.to Relatori: Marco SEGATO Regista e Sceneggiatore: Studenti della classe 5ª E Liceo Scientifico L. Da Vinci - TV

Quanto è importare accompagnare i nostri bambini e ragazzi a scaricare le proprie emozioni che facilmente si trasformano in tensioni farle emergere, comprenderle, elaborarle insieme e poi guidarli per lasciarle andare? Almeno quanto è importante per noi adulti. Presi da noi stessi, o da aspetti che riteniamo più importanti nella loro educazione finiamo per non renderci conto che i nostri figli assorbono lo stress di noi genitori, di noi adulti e della società che li circonda. Diventa importante creare spazi di condivisione dove attraverso le arti - la pittura, la musica, la scultura, la decorazione, il movimento del corpo e la meditazione

Breve performance teatrale: Due maschere della commedia dell’arte Attrice: Michelangela BATTISTELLA

ARTWORK originale per l’ADVAR di Renato Casaro

15 febbraio

14 marzo

Sabato, ore 15:30

Sabato, ore 15:30

NASCONDERSI ADVAR TREVISO E DISVELARSI Aspetti psicologici e sociali Incontri Culturali 2020 Aspetti storici e sociologici Museo Santa Caterina www.advar.it MASCHERE: TRA ANTICO E PRESENTE

Saluto musicale di apertura

Saluto musicale di apertura

Alessandro e Federico Daniel Allievi della Scuola Suzuki del Veneto Relatori

Quartetto RosaThea Anna, Marcella e Maria Campagnaro, Raffaella Chiarini Relatrice

Giovanna BORSETTO

Andrea AUGENTI

Prof. di Archeologia medievale Università di Bologna

Marco Cosimo SCARCELLI

Prof. di Antropologia e Sociologia dei digital media - IUSVE e Università di PD

4 aprile

Sabato, ore 15:30

IL GIOCO DEI RUOLI Maschere, persone e personaggi

In collaborazione con il Conservatorio A. Steffani di Castelfranco V.to Relatori

Marco SEGATO

Regista e Sceneggiatore Liceo Scientifico L. Da Vinci - TV

Moderatore: Luciano

Sabato 4 Aprile dalle ore 15:00 Un ciclo di Laboratori dal tema: Un piccolo viaggio nel mondo dei quattro elementi in uno spazio privato nel cuore di Treviso, “al termine del quale fornirò - ci dice Niki - una relazione scritta sui talenti emersi.”

Quartetto Arcadia Mattia Zamperoni, Joseph Ferraro, Antonio Caneve, Cristina Fugazzotto

Testimonianza

Laura BESAZZA

Per informazioni Niki Gobbo 3491372634

Saluto musicale di apertura

Psicoterapeuta, docente IUSVE Ref. clinica Associazione Hikikomori Italia

Ref. per il Veneto dell’Associazione Hikikomori Italia Genitori Onlus

dinamica proposta in modo ludico ma dalla valenza liberatoria - vengono aiutati a liberarsi di pesi che non appartengono loro. Queste giovani creature hanno la capacità di trasformare rapidamente i loro stati d’animo, per dare spazio alla gioia che a loro spetterebbe per diritto e che un tempo veniva più facilmente preservata. I laboratori sono tenuti da Niki, un’operatrice in Kinesiologia, che anni lavora con le tematiche emozionali per adulti e bambini.

Studenti della classe 5ª E Breve performance teatrale Due maschere della commedia dell’arte

Michelangela BATTISTELLA Attrice FRANCHIN Filosofo, Membro del Comitato Scientifico ADVAR

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IO ESCO

Lorena Mazzariol

LORENA MAZZARIOL

L’odore buono della vita Pane burro e zucchero un racconto per tutti noi figli

L’ODORE BUONO DELLA VITA Canova

Canova Edizioni

Libri: Tutti, almeno una volta, ci siamo chiesti che cosa ci facciamo a questo mondo. Il racconto dei problemi generazionali del giovane Donato, che riguardano ognuno di noi nel più profondo, cerca di catturare 15/10/2019 17:33:13il senso di questo interrogarsi.

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IO ESCO

Rubrica: Sottovoce (Parlando di)

La passione vista da lui A

vete mai osservato un artigiano dalle cui mani emerge per magia la sua creatura? Una cassettiera, un candelabro di vetro, un paio di scarpe. Ma quanto è affascinante la trasformazione della materia generica che diventa oggetto? Mi piace immaginare l’idea che sta alla base di una manualità tanto raffinata che a sua volta materializza l’idea. In quei movimenti il tempo scompare, non esiste un prima e un dopo e tantomeno un possibile rinvio perché il bisogno di fare, di realizzare, di concludere al meglio prende il sopravvento. Scompaiono la fatica, gli altri impegni, le voci di chi sta attorno e quelle della città in un immobilismo assoluto che ha il sapore di un film di fantascienza nel momento in cui il viaggiatore spaziale atterra su un pianeta sconosciuto quanto deserto. L’universo si riduce al soggetto che opera e al suo obiettivo, il creatore e la sua creatura. E le creature possono essere infinite come l’apertura di un negozio, la realizzazione di un dipinto o la cura di un paziente. La mente è spinta al massimo senza timore di esagerare, di osare o di rompere col passato perché in quegli istanti non conta niente altro e allora emerge l’essenza di chi trasforma l’incertezza in coraggio, mutando il timore di sbagliare nella voglia di sorprendere e superare se stesso. Non esistono il bravo e l’inetto, ma chi si butta e chi non lo fa in questa o in quell’impresa liberando ciò che ha dentro senza alcun limite, perché è questo il problema principale, insistere a pensare ai propri confini senza dar spazio agli estremi che si nascondono per paura del giudizio o peggio ancora della sconfitta. Si entra nel mondo dei sogni, di quell’ambizione

più o meno assurda e affascinante che giace dentro di noi e vorrebbe uscire per esprimere ciò che siamo e non ciò che insistiamo a far vedere per conformismo e insicurezza. Ecco emergere la forza della volontà che racchiude la passione, quell’intimo bisogno di fare una certa cosa a tutti i costi. La passione è la forza che ha mosso gli scopritori di terre sconosciute, gli inventori di nuove tecnologie e chi ha elaborato le cure delle malattie arrivando a diventare, essere e fare ciò che voleva diventare, essere e fare. È una forza che non ha nulla di artificiale, è dentro l’individuo il quale ha solo l’onere di dirigerla verso la propria direzione così che possa realizzarsi e creare. Non smettiamo mai di alimentare la passione poiché esprime la parte più genuina di noi stessi, facciamolo prima che il tempo a nostra disposizione finisca, poiché il tempo è limitato e ogni secondo che trascorre è un istante perduto. Diamo spazio alla nostra passione, alimentiamola, trasmettiamola alle nuove generazioni in modo che nessuno sprechi se stesso e il proprio tempo. L’intera umanità dipende anche dalla nostra passione cui dobbiamo dare spazio per la costruzione di qualcosa di nuovo, di importante e più ancora per dare valore alla nostra stessa esistenza.

DI ALESSANDRO FORT

Biografia (Mestre 1963, trevigiano di adozione) Psicologo formatore e docente di Scienze Umane, appassionato di cultura cinese ed escursionismo, è autore di pubblicazioni caratterizzate da temi esistenziali fra cui i romanzi “Sul bufalo d’acqua”, “Yuan e Xin Li”, “I silenzi di Fumegai” e “Il mio sentiero”, di collaborazioni con alcune riviste e di numerosi racconti anche in antologie. fortalessandropensiero@virgilio.it fortalessandropensiero.blogspot.com Facebook - Twitter

Soluzione al numero precedente di INDOVINA DOV'È La soluzione al racconto “Dietro l’angolo” è naturalmente la famosa “Fontana delle tette” facilmente raggiungibile, come racconta il protagonista, dalla via Calmaggiore e seguendo poi una breve laterale e subito dopo appunto girando l’angolo. Complimenti ad Andrea Cappellazzo e Simonetta Teston per aver dato la risposta esatta

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DI BEPPE MORA

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LE STORIE DI BEPPE

DI BEPPE MORA

Toe: all'anagrafe Romano Favaretto, personaggio trevigiano che frequentò la piazza tra gli anni '50 e i '70, era un uomo di dimensioni minute, poco incline alla ciacola, tranne quando "nasava" l'affar. Allora diventava un sublime ammaliatore, capace di attirare su di sé l'interesse di qualche sprovveduto a cui rifilare qualcosa. Amava l'arte, Toe, (dal dialetto tavole, in genere dipinte, assieme alle tele che teneva perennemente sotto il braccio) ma era arte purissima della sopravvivenza, la città risorgeva dalle macerie della guerra e dei bombardamenti, non c'era niente. E tutto da inventarsi. Ricordo Toe, sempre vestito con una o due giacche pesanti, una di certo, oggi di gran moda, a quadri rossa e nera, e le indossava in ogni stagione. I suoi quadri, sotto il braccio. Gli occhiali spessi, il volto scavato. A Toe sorrise la sorte dopo un incontro col "paròn", il triestino Nereo Rocco che allenò il Treviso in serie B dal 1950 per 3 stagioni. Si conobbero all'Osteria alla Colonna, Rocco, carattere burbero, eppure pieno di umanità, si bevve un boccale di clinto con Toe, accompagnato da qualche osso da morto, dei tipici grissini che ricordano la forma delle ossa degli arti, in un mix intrigante di dolce e salato. Parlarono a lungo, Toe gli mostrò la mercanzia, alcune tele, un orrendo ritratto su tavola e qualche infelice disegno. Nereo Rocco si portò a casa l'intero bottino, erano opere di pittori locali, niente di importante, e qualche copia fatta male. Fece una promessa a Toe, se fosse andato ad allenare altrove, non si sarebbe scordato di lui. E Rocco sapeva che avrebbe avuto una carriera scintillante. Andò al Padova, poi su di lui mise gli occhi il Milan, dove vinse campionati, coppa delle coppe e coppe dei campioni. Ma non si scordò di Toe, che invitato da Nereo Rocco a Milanello, coprì di croste idoli come Rivera, Trapattoni, Sormani, il portiere Vecchi, e mettiamoci pure tutta la formazione, panchine comprese. Toe si spense a metà degli ann'70, dopo aver portato a casa una vittoria a tappeto, anzi, su tela, in trasferta al Meazza di San Siro.

Treviso batte Milan

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IL PUNTO.

storie di sport

DI SILVANO FOCARELLI

L

a situazione che riguarda le quattro maggiori, o se volete, includendo il Treviso Academy, le più popolari società della Marca non è di molto cambiata rispetto all’ultima volta. Imoco Conegliano, Benetton Rugby e DÈ Longhi Treviso Basket mantengono le posizioni acquisite, anche il Calcio Treviso resta dov’era, cioè molto indietro. Con l’avvicinarsi della primavera i tornei stanno per entrare tutti nella fase più delicata, quella che anticipa i playoff: ogni incontro assume sempre più un’importanza particolare, le partite saranno tutte una battaglia senza esclusione di colpi. Insomma, si entra nel vivo: allacciatevi le cinture e buon divertimento.

De Longhi Treviso Basket

Il miglior modo per superare lo choc di sei fiaschi consecutivi è rispondere con un paio di successi: la DÈ Longhi c’è riuscita inanellando due perle, vincendo a Pistoia nel secondo botto in trasferta dopo Roma, vittoria che avrà sicuramente un’importanza fondamentale nella lotta per la salvezza, visto il 2-0 nei confronti diretti. Dopodichè è arrivata la non meno importante vittoria contro la Fortitudo, battendo la quale ogni volta si dà decisamente un senso diverso a tutta la stagione. Sullo slancio poi non c’è mancato tanto che TVB andasse a sbancare il Taliercio, mettendo per 39 minuti una fifa blu addosso alla Reyer: partita da aggiungere alle ormai troppe che con un pizzico di freddezza ed esperienza in più avrebbero tranquillamente potuto trasformarsi in successi. Ad ogni modo, anche con l’arrivo di Ivan Almeida al posto di un acerbo Charles Cooke, coach Max Menetti sembra aver trovato un maggiore equilibrio tattico, tenuto conto che l’ala di Capo Verde sa giocare anche vicino a canestro dando una mano a rimbalzo, oltre a prendersi quelle responsabilità d’attacco che non erano propriamente nel bagaglio tecnico del predecessore. Ci sarà naturalmente ancora da lottare duramente, ma Treviso Basket ha tutte le carte in regola per raggiungere l’obiettivo tanto

agognato: evitare di tornare immediatamente al piano di sotto.

Imoco Volley

Una sconfitta (3-2 a Perugia) con in campo una mista riserve-juniores perché le titolari erano appena sbarcate dalla Cina dopo aver vinto il titolo mondiale, poi solo successi, in Italia e in Champions, la maggior parte dei quali per 3-0. In bacheca già al sicuro Supercoppa, Mondiale per club e Coppa Italia: mancano scudetto e Champions League e naturalmente potrebbero arrivare anche quelli, tanto per confezionare un inedito Grandissimo Slam. Schiacciasassi. Bulldozer. Rullo compressore. Le definizioni si moltiplicano per questa Imoco che rulla chiunque avversario le si pari contro. Una squadra costruita per vincere tutto sta vincendo tutto, quindi non ci si dovrebbe stupire, ma meglio ricordare che spesso creare un team vincente non è sempre così facile: compri i migliori ed è fatta. No: altre volte schiere di campioni o campionesse messe assieme si sono rivelate solo una raccolta di figurine ed i risultati non sono arrivati. L’Imoco invece è uno squadrone con un’anima sua, una configurazione ben precisa: le Pantere sono forti, fortissime ma la bravura tecnica non basterebbe senza quella “chimica” che le tiene assieme, che le fa andare d’accordo in campo e fuori. L’Imoco quando gioca si diverte, non è un robot programmato solo per il successo ma dà spettacolo, solleva entusiasmi. Difficile trovare negli ultimi decenni formazioni imbattibili come questa: la società la scorsa estate ha volto allestire un gruppo che potesse raggiungere l’obiettivo sfuggito un paio di volte, la Champions: ne è uscita una squadra in grado di razziare tutto. Teniamocela stretta.

Benetton Rugby

Che fosse problematico ripetere la strepitosa stagione scorsa lo sapevano tutti: ed infatti questa sta offrendo più spine che soddisfazioni. Ma, poiché ne manca ancora circa la metà, è lecito credere che i Leoni abbiamo tempo e

modo per risalire la classifica. Problemi assortiti per coach Kieran Crowley: i soliti infortuni, le massicce convocazioni in Nazionale ma anche e soprattutto una certa involuzione tecnica, in particolare in attacco e fra i trequarti (se il metaman è il tallonatore Faiva qualcosa nella manovra offensiva è evidente che non funziona) hanno fatto smarrire punti e partite che un anno fa mai sarebbero stati persi. E così raggiungere i playoff, al momento in cui scriviamo, appare ancora un’impresa di difficile realizzazione. E dire che il gioco spesso è stato anche all’altezza, ma gli sforzi sono stati vanificati da finali sconsiderati, caratterizzati da errori clamorosi e magari anche da un pizzico di sfortuna.

Calcio Treviso Academy

Dalle previsioni generali di un campionato di Promozione che avrebbe dovuto tramutarsi in una cavalcata trionfale ad una specie di calvario ricco di sofferenze e dolori. Già tre allenatori (Trentin, Bellotto, Da Rold) si sono avvicendati sulla panchina biancoceleste: risultati modesti per entrambi, segno evidente che il difetto non stava nel manico. E sinceramente appare clamoroso che dopo aver allestito una società, a quanto pare, affidabile, guidata da un consorzio di soci, non si sia riusciti a fare altrettanto con la squadra, spesso in balia di formazioni che, sia detto con tutto il rispetto possibile, vedere al Tenni è mortificante. I tifosi sono passati naturalmente dalla più sfrenata euforia ad una fiducia controllata ai fischi ed infine alle contestazioni. Pare che il Treviso, per trovare l’Eccellenza, sia deciso a puntare ai playoff, o magari ad un ripescaggio: entrambe le soluzioni appaiono tuttavia alquanto problematiche. Trascorrere un altro anno in Promozione per la squadra del capoluogo di provincia sarebbe tempo sprecato e specialmente un brutto colpo, a conferma che mentre gli altri sport vanno a gonfie vele o in ogni caso vivono con una loro dignità, il calcio non c’è verso che decolli.

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STORIE DI SPORT

Denis Marconato

Il totem della pallacanestro Trevigiana DI SILVANO FOCARELLI

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STORIE DI SPORT

I

ncontri Denis Marconato e ti senti come davanti ad un monumento. Non solo perché è grande e grosso da far spavento (oggi a maggior ragione, visto che a 44 anni ha messo qualche etto in più rispetto a quando giocava), un monumento perchè Denis questo è nella pallacanestro italiana e trevigiana. Un simbolo, un vanto, uno dei più grandi di sempre. Trevigianissimo di San Giuseppe, dei 19 trofei vinti dalla Benetton Basket nella sua storia ne ha mancato solo tre, il primo e l’ultimo scudetto (in compenso ne ha vinto uno a Siena) ed una Supercoppa. In totale: quattro tricolori, otto Coppe Italia (tutte quelle vinte da Treviso, record nazionale assieme alla Virtus Bologna), due Coppe Europa, una Copa del Rey. In più l’argento olimpico ad Atene 2004 e tutte e tre le medaglie agli Europei. Uno così, si pensa, deve avere avuto la pallacanestro nel sangue. Mica vero, c’è mancato poco che il buon Denis finisse per fare il centrale di pallavolo. “Ero ragazzino e il medico dopo una visita mi aveva consigliato di fare sport: mia madre mi porta alla Ghirada e ferma il primo allenatore che incontra, uno del volley: le dice di aspettare. Nel frattempo passa Lele Molin (vice allenatore della Benetton ndr) e mi nota, chiede età ed altezza. Detto fatto: reclutato. Qualche minuto in più e avrei fatto il pallavolista.” Diciamo che tutto sommato non t’è andata malissimo. “Mi ritengo veramente fortunato, anche per il fatto di avere avuto la Ghirada, altrimenti sarei dovuto andare in qualche palestrina e chissà mai come sarebbe andata.”

Dei tuoi 19 fra trofei e medaglie ce n’è uno che ricordi con maggiore piacere? “Direi il primo scudetto, quello del 1997 con Mike D’Antoni: lo vincemmo in casa nostra, da protagonisti (3-2 sulla Fortitudo ndr), che gruppo eravamo, grandi giocatori veramente. Ma non posso dimenticare nemmeno l’argento alle Olimpiadi: non se l’aspettava nessuno e per questo è stato ancora più bello.” Da Treviso nel 2005 te ne andasti a Barcellona: non tutti possono dire di aver fatto altrettanto. “Fu indubbiamente una chiamata importante, doveroso andarci, ero in una fase della carriera dove non potevo rinunciare. Ed è stata una esperienza bellissima: sono stato in un club prestigioso, ho militato nel campionato spagnolo. E là, nel campionato spagnolo, mi sono accorto che utilizzano molto i centri, praticano un basket vecchia maniera, con i pivot grandi e grossi: sarà per quello che mi chiamarono…. Ed allora come adesso noto che danno molta importanza all’asse play-pivot.” Dopo tre anni al Barça restasti in Spagna al San Sebastian, quindi a Milano (finale persa contro Siena), che ti ingaggiò nel 2009, due stagioni a Cantù, uno a Venezia ed infine, a 38 anni tre partite con Treviso Basket: come andò? “Mi stavo allenando per tenermi in forma e cercavo una squadra di serie A. La De Longhi in B aveva avuto una serie di infortuni,

fra cui quello di Ivan Gatto, per cui mi chiesero di sostituirlo. Feci tre presenze prima che Cantù mi offrisse un contratto di sei mesi. Dopodichè Montichi ari e Sassari prima di smettere.”

Tu sei la dimostrazione vivente che il detto Nessuno è profeta in patria non sempre è applicabile. “Ribadisco: io ho avuto tanta fortuna. Alla Benetton avevo compagni di squadra fantastici, una società incredibile, sembrava di essere al Real Madrid. Ancora adesso ricordo con maggiore piacere la Benetton, non tanto il Barcellona, visto che per 20 anni qui hanno sfornato talenti ed hanno vinto tantissimo. Un po’ di merito ce l’ho anch’io però gran parte è dell’organizzazione che ho trovato.” Proprio nessun rimpianto, Denis? Nemmeno della Nba? “No. Un’estate andai a giocare una Summer League in America, avevo 30 anni e

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STORIE DI SPORT

volevo togliermi uno sfizio, vedere cioè come funzionava: capii subito che quella pallacanestro non faceva per me, lì giocano in maniera molto individuale mentre io prediligo la pallacanestro di squadra.” Cos’hai provato quando hai saputo di Kobe Bryant? “Speravo tanto fosse una fake news. Ancora adesso mi piange il cuore a ricordare quello che è stato, morire così giovane e poi con la figlioletta. Non è possibile.” Quale dei tuoi tanti compagni di squadra è stato quello che ti ha impressionato di più? “Quanti ne ho avuti… Ne dico uno, Zeljko Rebraca. Aveva dei movimenti straordinari, ho cercato di copiare tutto ciò che faceva, compreso il metodo di lavoro. Zele l’ho sempre visto come un modello.” Uno come te la pallacanestro non poteva lasciarla da parte. “Infatti faccio l’allenatore ad Istrana con l’under 14, l’under 18 ed il supergruppo che fa la serie D. Soffro, mi arrabbio ma anche mi diverto: ai questi ragazzi voglio trasmettere la voglia di vincere, di migliorarsi, di non accontentarsi mai. Se ce l’ho fatta io è perché ho lavorato tanto, per cui se ci mettono impegno e volontà ce la possono fare anche loro, basta che abbiano passione e amore per la pallacanestro. Qualche risultato lo sto ottenendo ma è dura, è un’epoca difficile questa, altra generazione.”

Nella tua seconda vita, oltre che fare il coach ti sei buttato in politica: consigliere comunale a Preganziol. Ma chi te l’ha fatto fare? “Il sindaco Galeano mi aveva chiesto di dargli una mano, ho sposato la sua idea perché è un amante dello sport, il suo comune ha delle politiche sociali che apprezzo parecchio: consentono di fare sport a ragazzi che altrimenti non ne avrebbero la possibilità. L’anno scorso 70 ragazzi hanno potuto iscriversi gratuitamente a corsi di nuoto, karate, rugby, pallavolo ecc. E più di qualcuno ha conseguito risultati anche a livello nazionale.” Aspiri a diventare almeno assessore? “Io voglio dare solo dei buoni consigli. Del resto non sono consigliere?”

Carriera Squadre di club 1993-2005 Treviso 1995-1996 → Petrarca 2005-2008 Barcellona 2008-2009 San Sebastián 2009 Olimpia Milano 2009-2010 Mens Sana Siena 2010-2012 Pall. Cantù 2012-2013 Reyer Venezia 2013-2014 Treviso Basket 2014 Pall. Cantù 2015 T.B. Montichiari 2015-2016 Dinamo Sassari Nazionale 1996 Italia U-22 1995-2007 Italia

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SPORT E SOLIDARIETÀ

Basket Insieme Treviso: una grande famiglia DI CARLO CECINO

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SPORT E SOLIDARIETÀ

imparare da loro». L’iniziativa prevede che i ragazzi si allenino due volte a settimana (il martedì e il venerdì sera) nella palestra dell’Istituto d’Istruzione Superiore del Palladio a Treviso, in zona Santa Bona, dove saranno anche previsti degli interventi dedicati agli alunni delle classi 4^ e 5^ della scuola - pure all’Istituto Mazzotti - per illustrare agli studenti l’attività di Basket Insieme Treviso. Invitando gli allievi a giocare a pallacanestro insieme ai ragazzi del Basket Insieme che partecipa-

BASKET INSIEME TREVISO 2019-2020

no al campionato del torneo Special Olympics (associazione sportiva internazionale che organizza competizioni riservate a tutte le categorie di disabili), disputando le partite nel fine settimana. Un campionato che comprende circa una ventina di squadre del Nord Italia e che ha preso il via lo scorso ottobre, con il Basket Insieme Treviso che si è già spostato in diverse città, ad esempio a Lissone o Como in Lombardia, per giocare le gare del weekend. Ma soprattutto per creare socializzazione fra i ragazzi: «Il bello è che riescono ad aggregarsi tantissimo e velocemente. Fanno gruppo, sono affettuosi, accoglienti e non solo. In più migliorano a livello fisico, relazionale e cognitivo – ha raccontato Valter Adamo, papà di uno degli

atleti –. Vedere che mio figlio segna, che tutti giocano bene, che si divertono, ti rende felice». L’allenatrice Michela Giacomini ci tiene inoltre ad evidenziare una cosa: «Gli atleti sono sempre puntualissimi, non mancano mai. E gli allenamenti svolti sono uguali a quelli dei giocatori normali, sono educativi per tutti». Così i ragazzi affrontano responsabilità sul campo, ma persino fuori dal parquet. Per esempio, i giorni in cui sono in trasferta restano da soli, se non quando vengono aiutati dai partner normodotati, i quali sono ragazzi sensibili che hanno abbracciato la fantastica causa e che ormai hanno stretto un rapporto forte d’amicizia con gli atleti diversamente abili. Ad allenare con Michela Giacomini anche Matteo Pretotto e Annamaria Smaniotto, lei che da tanti anni è al seguito di questa squadra. La vicepresidente dell’attività è Annamaria Tronchin e la segretaria è Lorena Filippetto. Ma ci sono tante altre persone che lavorano “dietro le quinte” per questo magico progetto di Basket Insieme Treviso, che organizzerà insieme ai Baskettosi, l’altra realtà trevigiana di basket integrato, una giornata di festa in programma il 3 maggio in Ghirada, dove si ritroveranno tutte le squadre del campionato. Sarà un grande evento, una fantastica giornata di sport. Con i ragazzi del Basket Insieme Treviso che festeggeranno ancora tutti uniti, come una grande famiglia quale sono. Ecco il motto del Basket Insieme Treviso, una squadra speciale: “Speciale perché che tu sia uomo o donna, che tu sia normodotato o diversamente abile, la differenza non esiste!”

S X : L ' A L L E N AT R I C E M I C H E L A G I A C O M I N I C O N U N R A G A Z Z O DX: LA SQUADRA CON IL SINDACO DI TREVISO MARIO CONTE

«L’anno scorso ho iniziato ad allenarli e la cosa più difficile era quella di farmi accettare da loro. Perché non sei tu allenatore che devi accettare loro, ma sono loro che devono accettarti. Invece ho trovato un clima bellissimo, da parte sia dei genitori che dei ragazzi, i quali sono educatissimi e vengono con tantissima voglia di giocare». Ecco, queste parole a cura di Michela Giacomini, allenatrice del Basket Insieme Treviso – squadra di basket integrato composta da atleti con disabilità intellettive e relazionali, affiancati da partner normodotati – basterebbero per far capire quanto splendida sia la realtà trevigiana. Un’attività di volontariato lodevole quella che Basket I n s i e m e Tr e v i s o , f i n o all’anno scorso nota come Nessuno Escluso, compie per aiutare circa 15 ragazzi diversamente abili della zona, i quali insieme a dieci ragazzi normodotati – in tutto sono circa 25 – si ritrovano a giocare a pallacanestro. E lo fanno con ottimi risultati: «Siamo primi in classifica, a due punti in più dai secondi» lo dice sorridendo Stefano Adinolfi, il presidente della squadra, che poi entra nel dettaglio del suo ruolo nella società. «Sono stato eletto presidente la scorsa estate, anche perché c’è mio figlio che gioca. Quest’anno stiamo facendo un buonissimo progetto e ci tengo a ringraziare i genitori, i partner, i familiari dei ragazzi e gli sponsor. Poi vincere o perdere interessa relativamente – sottolinea Adinolfi – Quello che conta è che quando sono a vedere i ragazzi mi emoziono. È un gruppo che dialoga non solo in campo, ma soprattutto fuori. Vanno a mangiare la pizza insieme, sono corretti, si danno una mano. Sono io che devo

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CICLISMO

Europei di Ciclocross S DI LUCA SAUGO

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ilvelle di Trebaseleghe è un paesino sperduto al confine tra le province di Padova e Treviso. Al suo interno, però, è presente un circuito di Ciclocross. Ma non uno qualsiasi, bensì uno dei tracciati storici della tradizione italiana. Questo percorso, negli anni ’90, ospitava una tappa del Superprestige, una tra le più ambite competizioni internazionali. E lo scorso 10 novembre è tornato alla ribalta poiché teatro dei Campionati Europei di specialità. Un evento seguito in 50 paesi che ha visto ben 10000 persone accorrere nella piccola Silvelle per poter assistere dal vivo alle gesta dei grandi di questo sport, fra cui era presente anche la star totale delle due ruote, campione del mondo di ciclocross in carica, campione europeo di mountain bike specialità Cross Country, vincitore, su strada, dell’ultima Amstel Gold Race e conquistatore di decine e decine di altre gare, Mathieu Van der Poel. La grande giornata di sport, svoltasi nel cuore del Veneto, è iniziata alle 9.00 con la gara delle donne juniores. Un autentico dominio della neerlandese Puck Pieterse, la quale ha staccato tutte le rivali durante il primo dei tre giri in programma e ha vinto la rassegna continentale con 28” di vantaggio sulla francese Olivia Onesti e 44” sulla connazionale Shirin Van Anrooij. Nella prova degli uomini juniores, invece, non c’è stato un assolo, ma bensì un duello che si è concluso solo sul finire dell’ultima tornata. Protagonisti due fiamminghi: Thibau Nys, figlio di quel Sven Nys, vincitore di due Mondiali, 13 Superprestige, 9 DVV Verzekeringen Trofee e 7 Coppe del Mondo, che a Silvelle si impose nel 1998 e nel 1999, e Jenthe Michels. Alla fine ha trionfato il primo, che è di un anno più vecchio, anche se il secondo, il quale ha un fisico ancora da ragazzino, ha dato l’impressione di essere il più talentuoso tra i due, nonostante l’assenza di sangue blu. Sul podio con loro è giunto un elvetico, Dario Lillo, mentre il veneto Davide De Pretto ha conquistato la sesta piazza, primo degli italiani e secondo dei non belgi. Gli Europei sono, poi, proseguiti con la prova delle donne U23 e anche in questo caso ha vinto una neerlandese, anche si di origine dominicana, ovvero Ceylin del Carmen Alvarado. Sul podio con lei la britannica Anna Kay, con la quale ha dato vita a un appassionante spalla a spalla durato fino al penultimo giro, e la francese Marion Norbert-Riberolle. Tra gli uomini U23, invece, si è imposto il transalpino Mickael Crispin, il quale ha preceduto il belga Timo Kielich e l’altro galletto Antoine Benoist.


CICLISMO

Alle 13.50, invece, sono scese nel circuito le donne Elite, nell’unica gara che ha visto un’azzurra salire sul podio. Si tratta della bolzanina Eva Lechner, la quale è arrivata seconda alle spalle solo della fuoriclasse neerlandese Yara Kastelijn. L’italiana, ad ogni modo, ha conseguito un risultato storico e si è messa alle spalle anche la vincitrice uscente, l’orange Annemarie Worst, terza a Silvelle, e la campionessa del mondo Sanne Cant. Ha chiuso la giornata la prova degli uomini Elite, che ha preso il via alle 15.20. La gara è stata in assoluto la più combattuta delle sei in programma. Il neerlandese Van der Poel si è trovato a battagliare, da solo, contro la nazionale belga al gran completo. In particolare Eli Iserbyt, attuale leader di Coppa del Mondo e DVV Verzekeringen Trofee, nonché già vincitore di sei cross in questo autunno, è stato colui che gli ha dato più filo da torcere. Iserbyt, minuto ed esplosivo crossista fiammingo, ha morso la ruota di Van der Poel dall’inizio della gara e non l’ha più mollata per quasi un’ora. Anzi, ha anche provato ad attaccare l’Olandese Volante, seppur senza mai riuscire a fare realmente la differenza. L’assenza di difficoltà altimetriche sul percorso e il fatto che il fango causato dalle piogge dei giorni precedenti si stesse asciugando, ha reso la gara non particolarmente selettiva e anche i primi attacchi del fenomeno orange non hanno sortito grossi effetti. Sul finire della penultima tornata, però, Mathieu Van der Poel ha premuto il piede sull’acceleratore per davvero e, in un attimo, tutti i belgi che erano con lui, ad eccezione di Iserbyt, hanno dovuto alzare bandiera bianca. Il Folletto di Bavikhove, invece, è rimasto con lui fino al penultimo passaggio sotto la linea del traguardo. Poi, una volta finito il tratto in asfalto e tornati sulla distesa di fango, la sua pedalata si è fatta più pesante e ha perso un paio di metri. Eli ha saputo resistere in modo incredibile al campionissimo neerlandese, ma, alla fine, anche lui è stato costretto a piegarsi di fronte al tulipano. Van der Poel si è involato e ha conquistato, così, il suo terzo Europeo di ciclocross consecutivo, accolto, al traguardo, da un boato di pantaniana memoria proveniente dai 10000 accorsi a Silvelle per assistere alle gesta sue e a quelle degli altri fuoriclasse. Iserbyt si è dovuto accontentare della seconda piazza e dei complimenti del rivale, il quale, dopo aver passato la linea d’arrivo, l’ha aspettato per stringergli la mano. Al terzo posto è giunto un altro belga, Laurens Sweeck, autore di una grandiosa rimonta dopo una brutta partenza. Nel complesso gli Europei di ciclocross di Silvelle sono stati un evento stupendo. L’organizzazione è stata impeccabile e non ha fatto mancare nulla agli atleti e ai tifosi. Quest’ultimi si sono comportati benissimo e hanno fatto sentire il loro appoggio a tutti coloro che hanno gareggiato. I corridori, dal canto loro, hanno dato spettacolo e sono stati disponibilissimi con i fan, tanto che molti, prima e dopo le gare, si sono mischiati senza problemi con la gente comune. Addirittura Yara Kastelijn, dopo il suo successo nella prova riservata alle gare Elite, è andata a seguire quella degli uomini al maxischermo presente poco dopo il traguardo, rendendosi disponibile, oltretutto, per foto e autografi. La presenza di uno dei più grandi sportivi di quest’epoca quale Mathieu Van der Poel, tornato, per l’occasione, a gareggiare in Italia oltre cinque anni dopo l’ultima volta e a sei dal suo successo nei Campionati del Mondo di ciclismo su strada di categoria juniores a Firenze, ha impreziosito ulteriormente una rassegna continentale già di per sé speciale. Mathieu, nonostante la sera dovesse prendere l’aereo per andare in Belgio ove ha vinto il Jaarmarktcross il giorno successivo, ha trovato anche un po’ di tempo da dedicare ai tantissimi ragazzini che lo hanno come idolo e che erano giunti a Silvelle per poterlo vedere.

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