SERGIO BALDIN
L'essenziale è visibile agli occhi
ANTONIO ZUCCON
Segmenti incommensurabili FEDERICO CIAN
Il commitment giusto SPECIALE
N.21 ANNO III – Agosto 2020
"La mia prima casa"
ALBERTO E MARCO STOCCO CA' DEL POGGIO
Dove il prosecco incontra il mare
Casa?
Volksbank! “Io ho realizzato il mio sogno casa con Volksbank!”
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Simone Giannelli Capitano di Trentino Volley e medaglia d’argento a Rio 2016
N.21 – ANNO III Pubblicazione di Agosto 2020 Periodico Reg. Tribunale di Treviso n. 263/18 ROC 32559 Direttore Responsabile Mara Pavan marapavan@trevisocittaestorie.it Caporedattore Silvano Focarelli Direttore Creativo Andrea Zuccon Special tribute Bruna Graziani In redazione Lorena Mazzariol, Ivana Prior, Carlo Cecino Hanno collaborato Arturo Cardinale, Andrea Cartapatti, Elisa Chironna, Marco Compiano, Giovanni Di Gregorio, Francesco Doimo, Valentina Facchin, Giorgio Fantin, Alessandro Fort, Edoardo Greco, Cinzia Mion, Elisa Perillo, Maurizio Pistis, Luca Saugo, Alessandra Scroccaro, Nadia Sorato, Stefania Vecchia Product Manager Stefano Realini Social Media Manager Gian Marco Scilla Ideazione logo Mauro Tittoto info@mtttt.it Art Direction e Grafica Eleonora Papini papini@mormorcreative.com Redazione redazione@trevisocittaestorie.it Stampatore L'Artegrafica - Casale sul Sile Via Martin Luther King, 68 0422 822754 Foto di copertina Alessandro Fingolo Fotografia Marco Compiano FOTOFILM di Nicola Mattiuzzo Editore Treviso città&storie REA TV – 416768 di Mara Pavan FREE PRESS pubbliredazionali
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EDITORIALE di Mara Pavan EDITORIALISTA di Andrea Zuccon IN COPERTINA Ca' del Poggio di Carlo Cecino
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STARE BENE Nutrizione funzionale anche d'estate di Nadia Sorato
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SAPORI Se "siamo", è perchè mangiamo di Andrea Cartapatti
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ARTE Antonio Zuccon di Mara Pavan
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MODA E IMPRENDITORIA Sergio Baldin di M.P.
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STARTUP Federico Cian di Giovanni Di Gregorio
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HAPPINEZ Quello che verrà di Stefania Vecchia
ASTRI E NUMERI Il cielo tra astri e numeri di Paola Marangoni
COMUNICAZIONE Franca Tonello di G.D.G.
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STORIA E AMBIENTE Fiera di A.C.
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TERRITORIO Le Grotte del Caglieron di Valentina Facchin
IO ESCO a cura di Ivana Prior e Silvano Focarelli,
NAVIGAMENTE Il divario tra Abraham Lincoln e Fedez di Edoardo Greco e Francesco Doimo
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LE STORIE DI PISTIS Io me lo vedo Dio... di Maurizio Pistis ABITO LA VITA La Ruota di Lorena Mazzariol
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EDUCAZIONE Il capitale sociale al tempo del coronavirus di Cinzia Mion
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SPECIALE
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SAPORI Tutti a tavola con la Peri di Elisa Perillo
STARE BENE Remedium Medical HUB di A.C.
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IL PUNTO di Silvano Focarelli
STORIE DI SPORT Marcelo Nicola di Si. Foca.
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STORIE DI SPORT Vecio Rugby di A.S.
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Sommario STORIE DI SPORT La butto in vacca di G.D.G.
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EDITORIALE
MARA PAVAN DIRETTORE DI TREVISO CITTÀ & STORIE
I
l prossimo 21 agosto ricorrono i 171 anni dalla sua morte. Riccardo Selvatico era un poeta dalle grandi e radicate visioni. Le sue opere ricche di una rara vocazione drammaturgica fecero rinascere la grande tradizione teatrale veneziana. Nel quinquennio 1890-1895 proprio alla fine del suo mandato di “Sindaco poeta”, all’ombra dei portici del caffè Florian, durante una chiacchierata tra amici, è stata concepita quella che è diventata l'odierna Biennale di Venezia.
Lunedì 20 luglio 2020 a Roncade sotto una luna nuova caldissima nella depandance ottocentesca di Villa Selvatico, fortemente voluta da Sior Riccardo e su cui si chiacchierano di illegittime occupazioni, si è respirata un’aria sospesa tra passato e presente. In questa estate così mediaticamente inquinata, Treviso Città & Storie ha aperto le sue porte per respirare l’aria del cambiamento. Abbiamo pensato che festeggiare fosse una buona cosa. Siamo approdati in questa curva morbida che devia leggermente la rotta verso il mare, questa porzione di terra che occupa la storia, che è stata dimora dei Selvatico e non solo*, e che ha trasformato nei secoli un'ospitalità privata in quella che oggi è definita ospitalità diffusa. Quella sera notizie di nascite, pance che crescono d’amore, scambi di idee e numeri scanditi dai click di una polaroid rispolverata. Racconti a luci soffuse. È scivolata persino l’idea di fare un mini festival di Treviso Città & Storie, così per permettere ad ogni componente della squadra di diffondere il suo essere e il suo fare.
Lupus in fabula Vedremo. Sognare non costa nulla. Questa alleanza che la casa e l’uomo hanno creato, dove il tempo si impasta, dove l’intreccio tra un corpo nudo di mare e una casa aperta di aria e spazio, collega realtà distanti ma seminate per essere avvicinate. E poi, come dice un mio amico esploratore “ci pensa mamma Vita” a fare tutto il resto. *Il nucleo originario di Villa Selvatico risale al Quattrocento, sorge su un territorio anticamente appartenente alla famiglia dei Conti di Collalto, passa per successione alla famiglia del principe d’Este e nell’Ottocento viene acquistata dai Selvatico e successivamente passa di proprietà dei Tonon. E qui, lupus in fabula. Tra gli eventi sincronici di questi mesi c’è stata una conoscenza telefonica da oltreoceano che spero quanto prima di approfondire con il dottor Marco Tonon, professore di museologia, direttore e fondatore di vari musei di scienze naturali, che guarda caso scopro essere stata di proprietà del padre dal 1945 al 1985 e in cui ha vissuto per 30 anni, tanto che gli scritti storici riportano per fedeltà Villa Selvatico-Tonon. To be continued, senz'altro.
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EDITORIALISTA
Ma tutto questo è successo davvero? DI ANDREA ZUCCON
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alla scuola pitagorica in poi nessuno ha mai avuto dubbi che il 3 fosse il numero perfetto, il recente virus di nome Corona ha fatto traballare la convinzione, dato che quasi 3 mesi di chiusi in casa, mascherati in un Carnevale mal festeggiato e protratto oltre il lecito, hanno rivoluzionato come mai prima il tessuto sociale di un mondo intero. Dopo le due guerre mondiali, questa forse è la terza, il tre ricorre con prepotenza, ma è una guerra più subdola, non ci si ammazza solo durante, ma si continua dopo, in una guerra civile da "sangue dei vinti" che ci riporta, in una nemesi storica, a ciò che accadde in Italia alla fine del secondo conflitto mondiale, qui non centrano vinti e vincitori, qui si parla solo di vinti, di gente illusa da promesse che, se non mantenute, porteranno a incrementare il numero di morti nel nostro paese. Ma oltre ai morti, sempre troppi, ma da contare ma non contabilizzare e soprattutto da paragonare agli anni passati, negli stessi periodi e nelle stesse regioni, alle mascherine e ai guanti, mal usati, abusati e mal gettati, cosa ci
resta di questa quarantena forzata? Si è chiuso tutto, si sono stravolti i luoghi comuni, anche le case chiuse sono state chiuse realmente, Roma non è più stata città aperta, le chiese hanno chiuso le porte non per i furti ma per i fedeli, le famiglie si sono unite veramente, spesso "obtorto collo", sotto lo stesso tetto, probabilmente molti per disunirsi dopo, in uno sciogliete le righe imposto da regole mal scritte, gli open day scolastici sono diventati una chimera, gli aerei, costruiti per volare, sono rimasti, mogi, nei vari aeroporti, i virologi sono finiti in televisione, al posto dei politici che sono finiti negli ospedali. Abbiamo riscoperto il gusto della casadolcecasa, di guardarci un film, di fare la spesa ma non la domenica, di fermare quel treno di vita frenetica e di non fare l'impossibile ma di fare l'indispensabile, tralasciando il superfluo, figlio di un consumismo ipertrofico, di tornare ai capelli alla Woodstock, di non andare all'Ikea per riempire il carrello di 150 euro di cose temporali quanto inutili; abbiamo fotografato il cielo, le nostre campagne e le nostre città con colori mai visti, abbiamo visto
camminare le anitre nei centri cittadini vuoti ma belli, in una forma di riconquista territoriale tardiva, abbiamo ritrovato aria buona senza andare in montagna, ci siamo vestiti con quello che avevamo, che era già troppo; abbiamo scoperto cosa è un tampone, dove lo mettiamo e quanto costa. Senza dimenticare che abbiamo iniziato a lavarci le mani ovunque, quando prima tanti, troppi, e maleducati, non lo facevano spesso neppure dopo i principali bisogni corporali, a parlare senza alitare in faccia alle persone e a rispettare le code, belli allineati come in una corsia del telepass. Certo abbiamo pagato dazio, ci siamo dimenticati, anzi si sono dimenticati, offuscati da Sorella Luna, di fratello Sole, la vitamina gratuita che è la nostra forza, e del fatto che camminare non fa male a nessuno ma fa bene a noi, del fatto che dovremmo essere menti pensanti ma che forse siamo state educate male, in una educazione civica mal insegnata e mal applicata, da diventare menti pedanti e forse pesanti...
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LA STORIA DI COPERTINA
Ca’ del Poggio
Un gioiello incastonato tra cielo e terra 6
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LA STORIA DI COPERTINA
Sulle colline del prosecco Unesco, Alberto e Marco Stocco danno continuità ad un patrimonio familiare ereditato che si tramanda da tre generazioni DI CARLO CECINO
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na vista mozzafiato per un panorama indimenticabile che si staglia fra i paesaggi straordinari delle Colline del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore, riconosciuti la scorsa estate patrimonio dell’Umanità Unesco. Quando raggiungi Ca’ del Poggio Ristorante&Resort non puoi che rimanere rapito dagli scenari che circondano questo gioiello luogo di tradizioni. In via dei Pascoli a San Pietro di Feletto, lungo la Strada del Prosecco Superiore Docg, si apre Ca’ del Poggio, 180 gradi di angolo paradisiaco gestito dai fratelli Alberto e Marco Stocco, co-proprietari della struttura. A raccontare la gestazione, la nascita e la crescita della realtà è il fratello maggiore, Alberto che si occupa dell’ospitalità e coadiuva Marco, chef per vocazione, nella conduzione della sala. I luminosi ed intensi occhi azzurri di Alberto esprimono lucidità e determinazione e ci tiene a sottolineare: “Il nostro obiettivo è quello di onorare tutto quello che c’è intorno a noi”. E a prima vista lo scopo sembra centrato. “La nascita di questo luogo risale al 18 ottobre 1994 quando abbiamo aperto il Ristorante Ca’ del Poggio - ci racconta Alberto - è stata una scelta di famiglia dettata da esigenze lavorative. Negli anni la nostra esperienza da ristoratori si è evoluta ed è cresciuta di qualità. Abbiamo implementato il numero di coperti e investito nella struttura. Nel maggio 2013 abbiamo aperto l’Hotel annesso Villa del Poggio”. Un progetto chiaro da sempre per i due fratelli che rappresentano la terza generazione di un ceppo familiare di ristoratori doc.
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LA STORIA DI COPERTINA
M A R C O E A L B E R TO S TO C C O
Prima il nonno materno, poi papà Fortunato e mamma Maria Stella che hanno tenuto le redini di un ristorante a Bibione, dal 1960 al 1998. I due fratelli sono stati svezzati immersi in una sinergia familiare culinaria di carattere “marinara”. Pur essendo cresciuti lungo le coste dell’alto Adriatico, non hanno mai rinnegato le loro origini coneglianesi, origini “collinari” ereditate dalla mamma. Spinti da una forte volontà hanno optato per unire la loro esperienza maturata in campo turistico sulle spiagge adriatiche, rinomate per la loro predisposizione all’accoglienza, con un territorio ricco di attrazioni naturalistiche e di risorse storico-culturali. Questa unione nasce con la trasformazione della vecchia casa di collina dei nonni di San Pietro di Feletto, sfociata oggi in un’offerta unica e completa: «Mi sento un promotore, un ambasciatore delle Colline del Prosecco, mi sono innamorato di questo progetto» aggiunge orgoglioso Alberto. Lo slogan coniato dai fratelli Stocco per la loro realtà è: “Dove il Prosecco incontra il Mare”, frase che si coniuga
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DOVE IL PROSECCO INCONTRA IL MARE
perfettamente con le proposte culinarie di Marco. Proposte che si caratterizzano ogni giorno con l’arrivo del pescato dell’Adriatico che rendono impareggiabili il crudo di pesce e gli antipasti di mare. Nelle proposte comunque non mancano piatti e prodotti del territorio. Ad Alberto preme fare una distinzione fra la loro realtà e il Muro di Ca’ del Poggio. Il Muro si trova a San Pietro di Feletto nelle immediate adiacenze del ristorante Relais, si tratta di un’ascesa lunga 1,3 km interamente asfaltata, con una pendenza media del 15% e punte del 19%. Unica salita di queste zone, istituita nel 2009 e certificata dalla Federazione Ciclistica Italiana. È considerata una delle tappe più iconiche del Giro d’Italia (quest’anno la tappa che prevede l’assalto al Muro si terrà il 17 ottobre, ndr). Inoltre, è divenuto un elemento di promozione del territorio per gli appassionati della bicicletta e per i fruitori del cicloturismo. Per di più nel 2016 l’ascesa di San Pietro di Feletto ha sottoscritto un gemellaggio sportivo con il Muro di Grammont in Belgio. L’attenzione per lo sport è molto alta da
parte della famiglia Stocco, considerando che il cicloturismo è un mercato in forte espansione e il verde strabiliante che avvolge l’Hotel e il Ristorante è un’ulteriore attrattiva da esplorare in bici per gli ospiti della struttura ricettiva, in prevalenza di matrice tedesca. Inoltre lo sport che è un elemento che da sempre unisce Marco e Alberto, appassionati sin da piccoli di calcio. Erano due giocatori dal buon prospetto, però hanno voluto seguire le orme di famiglia e rispettivamente a 23 e a 24 anni hanno abbandonato l’attività calcistica per l’esperienza, oggi trentennale, nel campo della ristorazione: «Io e Marco siamo cresciuti insieme, condividiamo passioni e lavoro. Abbiamo sempre lavorato con i nostri genitori che ci hanno ben guidati e sono ancora molto attivi – sottolinea Alberto – Sicuramente da loro abbiamo avuto degli ottimi modelli a cui ispirarci, sono tuttora per noi ottimi consiglieri». Marco, attraverso studi specifici ha perfezionato la sua vocazione come cuoco, migliorandosi minuziosamente giorno dopo giorno. È un attento
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ricercatore. Se Marco è un innovatore soprattutto tra i fornelli, Alberto è lungimirante dal punto di vista aziendale e in questi mesi caratterizzati dall’esplosione della pandemia come un gran pugile ha retto i colpi sferrati dal Coronavirus e ha subito guardato avanti con ottimismo. Rimanendo fiducioso ha infuso sicurezze di continuità alla squadra che ha sposato il progetto post-Covid. Per prima cosa si è messo alle spalle il brutto periodo dopodiché ha riaperto i battenti del ristorante il 23 maggio e dell’hotel il 4 giugno: «Non sono tempi facili, ma per noi questo periodo corrisponde alla parola acceleratore. Si sono aperte nuove opportunità e speriamo si rivelino vincenti. Ad esempio, per la struttura alberghiera abbiamo confezionato dei pacchetti per una clientela vicina a noi dal punto di vista geografico e ci sono arrivate già dozzine di richieste» dice Alberto . Ad aiutare e favorire questo processo d’accelerazione stanno contribuendo anche i canali social di questa grande famiglia che ha saputo ripartire trasformando le difficoltà in pura energia propulsiva. Gli Stocco, coesi e propositivi, vogliono credere che anche qualcuno delle future generazioni possa proseguire la loro attività, anche se
Alberto afferma consapevolmente: «I nostri figli sono totalmente liberi di fare le loro scelte». E prima di salutarci ci rivela alcuni aspetti del suo infaticabile lavoro: «Ascoltare le persone e le richieste è fondamentale. Mentre ciò che mi piace di più è avere ancora tantissima voglia di imparare e ricercare continuamente nuove sfide. Il mio motto è: “Dopo la tempesta torna sempre il sole”. L’importante è cercarlo e trovarlo». Ed è qui, come accade sempre, sul finire dell’intervista che emerge la consapevolezza di quanta dedizione, amore ed impegno ci vogliano per mantenere l’alto livello qualitativo che perseguono, che seppur appagante in termini di risultati, non concede tregua di sorta: «Vorrei ogni tanto poter staccare per apprezzare e godere maggiormente quello che io e Marco abbiamo fatto e stiamo facendo». Prima di congedarci appaghiamo i nostri sensi sorseggiando tutti assieme un calice del loro frizzante, fresco e profumato prosecco e diamo un ultimo sguardo allo spettacolo celestiale fronte al Ca’ del Poggio Ristorante&Resort, certi che presto lo rivedremo. Ca' del Poggio San Pietro di Feletto Via dei Pascoli, 8 (TV) www.cadelpoggio.it
“Mi sento un promotore, un ambasciatore delle Colline del Prosecco, mi sono innamorato di questo progetto” Alberto
Ca’ del Poggio Ristorante&Resort Come una terrazza naturale sulle Colline del Prosecco Superiore Conegliano Valdobbiadene, la visione esterna del Ca’ del Poggio Ristorante&Resort (4 stelle), in via Pascoli a San Pietro di Feletto, regala un panorama splendido, tanto che all’orizzonte si possono intravedere persino le Alpi Giulie e il golfo di Trieste. All’interno l’Hotel Villa del Poggio, una struttura dotata di ogni comfort che dà la possibilità ai propri ospiti di usufruire di tutti i mezzi più idonei per scoprire il territorio circostante. Dal noleggio delle e-bike alla proposta dei percorsi naturalistici, delle visite alle cantine ai tour guidati. Servizi di alta qualità, senza dimenticare la piscina riscaldata e la Spa garantite quotidianamente dall’hotel, per una vacanza all’insegna del relax e del benessere. Affianco all’hotel il Ristorante Relais Ca’ del Poggio, dalle cui sale si ammirano i meravigliosi colli del Prosecco. Il ristorante – aperto tutti i giorni eccetto il lunedì – dispone di 80 coperti con gli ospiti che restano deliziati dalla cucina marinara, implementata da menù locali, e dalla creatività gourmet degli chef Marco Stocco e Vincenzo Vairo. Ca’ del Poggio è una struttura che offre ospitalità a 360 gradi, modellandosi alle richieste della numerosa clientela nazionale e internazionale, con il focus di far scoprire a tutti gli amanti del vivere bene e dell’enogastronomia un territorio sbalorditivo, divenuto nel 2019 Patrimonio dell’Umanità. Per maggiori informazioni visitare il sito www.cadelpoggio.it, o la pagina Facebook Ca’ del Poggio, o su Instagram l’account @cadelpoggio.it
TREVISO città&storie
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ARTE
Antonio Zuccon
Segmenti incommensurabili La matematica, la fotografia e il canto DI MARA PAVAN
“Fotografo solo quello che piace a me. Non faccio mai una singola foto bella, la fotografia deve far parte di un progetto e raccontare una storia”.
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na mattina d’estate un baritono d’eccezione si è esibito nella calda atmosfera della sua casa davanti ai suoi ricordi che era chiaro sono iniziati in quell’accogliente spazio di mondo. Un’interpretazione d’anima che ha trasmutato sotto i miei occhi l’artista fotografo, il maestro matematico, il lirico poeta che è Antonio Zuccon. La sua fotografia ha fatto il giro del mondo senza che lui abbia mai dormito fuori dal suo letto. Chi ha dubbi su quanto esista all’interno di noi stessi dovrebbe conoscere questo professore che ha dedicato 30 anni della sua vita alla matematica - un vizio di famiglia si potrebbe dire visto che la moglie Annamaria, uno dei due figli, Marco (l’altro figlio, Paolo, è comunque laureato in fisica), i nipoti, il suocero e la suocera ne sono tutti stati portatori - e all’insegnamento, che ha aperto la partita iva a 62 anni e che si è esibito per la prima volta in teatro a 42 con un’opera di inizio Novecento che dolcemente mi fa ascoltare, coprendola con la sua stessa voce, rimasta intatta in quasi 40 anni.
Commovente. “Il canto esprime se stessi, di più traduce il proprio modo di sentire. Quando si canta si diventa ciò che si interpreta”. Un uomo colmo di visioni, una giovinezza palpabile che incarna mentre canta davanti a me assumendo una espressione senza tempo, completamente fuso con quel “...nelle vaghe movenze che hai, un incanto vien forse con te, freme l’aria per dove tu vai, spunta un fiore dove passa il tuo piè...” della romanza “Malìa” di Francesco Paolo Tosti. Sul tavolo sparse davanti a noi, tra fiori, pizzi, foto e libri ne scopro pubblicati una dozzina* - mi scivola l’occhio su una tessera da giornalista datata 1 febbraio 1964, dove un baldo giovane dal sorriso largo mi guarda in bianco e nero. Il professor Antonio è così tremendamente innamorato della prospettiva geometrica da vederla in tutto ciò che lo circonda. Mentre mi sforzo di entrare nella sua dimensione, ricordandomi quanta fatica la mia mente creativa abbia fatto per affrontarla, comprendo come tutto sia un punto di vista. Su un asse cartesiano ha costruito la sua vita e fu proprio la matematica a condurlo alla fotografia e ancor più alla Quadrigrafie, marchio registrato in quanto tecnica innovativa che scompone e ricompone i dettagli di un insieme che lui sa vedere e che restituisce allo spettatore come messaggio che allena una visione oltre l’apparente. “D’altro canto non è forse questo fotografare? Non è forse nell’anima di ogni fotografo scattare lì dove nessuno ha visto così?”. Allo stesso modo la matematica è poesia, in chiave geometrica consente di vedere le cose da un punto di vista artistico. C’è un filo rosso che in questo uomo tiene per mano il
* Una ventina di lavori sui Borghi d’Italia sono in procinto di trovare la luce.
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ARTE
T R AT T O D A L L I B R O “ B O R D A N O , I L PA E S E C H E D I P I N G E L E S U E FA R FA L L E ” C O N L A P R E FA Z I O N E D I G I A N F R A N C O C O LO M B O. U N A F O T O “ R U B ATA” I R R I P E T I B I L E , L A D O N N A C H E FA L E P U L I Z I E , Q U E L G AT T O I N P R I M O P I A N O , ESPRIME RASSICURAZIONE E DOLCEZZA.
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ARTE
“La vera fotografia è quella del reportage che ha come soggetto l’uomo è la condizione umana, in grado di emozionare, formare coscienze e creare solidarietà. Tutto il resto è para fotografia” I N A LT O : S C O R C I O D I U N O S TA B I L E IN STRADA OVEST "CON LE MIE QUADRIGRAFIE HO C E R C AT O U N O S T I L E F OTO G R A F I C O C H E IDENTIFICASSE I M M E D I ATA M E N T E L ' A U T O R E "
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canto, la matematica e la fotografia, i rapporti cromatici parlano di geometrie divine e l’armonia che ne deriva è figlia dell’immensità senza confini delle note che riusciamo a liberale dalle corde che dire vocali è solo una approssimazione. “Il canto è gioia dell’anima”. Antonio Zuccon ben al di là delle definizioni e dei suoi talenti, attraverso un’innata capacità di trasmettere ci ferma su uno degli aspetti più affascinanti del vivere: nel regno dell’espressione, di qualsiasi natura essa sia, esiste tutto il nostro senso, la nostra indefinibile natura umana e divina insieme, che continuamente portano alla luce nuove parti di noi, dove lo sconosciuto che emerge ancora e sempre sa meravigliare.
È terminata il 7 agosto la Pro Biennale di Venezia presentata da Vittorio Sgarbi in cui è stata esposta la figura d’uomo che vi riportiamo, “Bieco l’uomo” sembra un dipinto di Rembrandt. A Milano nei giorni scorsi in un delle più grandi librerie del mondo, Hoepli 6 piani di volumi, è stato presentato il libro “L’alba del volo” Arcari Editore con la presentazione del critico fotografico Roberto Mutti, già esposte a Montecarlo al Siam 2019, arrivato nei principali musei aeronautici del mondo. A settembre nel capoluogo della Carnia, è atteso per la presentazione del volume “Tolmezzo tra presente e passato” Andrea Moro Editore.
ARTE
Antonio Zuccon I N A LT O A D X : “ B I E C O L’ U O M O ”
Antonio Zuccon, laureato in matematica all’Universita di Padova e coautore di due testi di geometria per i licei, ha pubblicato nel 1984, come baritono, il disco “La melodia”, contenente composizioni inedite di Marcello Del Monaco, maestro di canto e fratello del celebre tenore. Nello stesso anno si avvicina alla fotografia, affermandosi subito con “Quadrigrafie”, che ha creato uno stile personale inconfondibile nel panorama fotografico italiano. I suoi lavori, recensiti favorevolmente da numerose riviste specializzate, sono stati esposti in diverse prestigiose gallerie. Nel 1992 la FIAP, Federation Internazionale de L’Art Photographique, gli ha assegnato l’Onorificenza EFIAP per lÈ eccellenza della sua produzione fotografica. Nel 2010 il Museo Nazionale della Fotografia di Brescia gli ha assegnato il premio quale “Miglio fotografo italiano dei Piccoli Borghi” per i suoi 10 volumi pubblicati sui piccoli centri del Veneto e del Friulia Venezia Giulia. Con Arcari Editore ha pubblicato nel 2016 il suo ultimo volume dal titolo: “L’Alba del volo”.
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MODA E IMPRENDITORIA
L’essenziale è visibile agli occhi
Sergio Baldin DI MARA PAVAN
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MODA E IMPRENDITORIA
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n angolo che fa tendenza dal 1988. Ha cambiato vestito, ha cambiato colore, ha cambiato anche il nome, ma solo in apparenza. Ciò che non è cambiato invece è l’anima di questo spazio che da 33 anni ha fatto da richiamo e riferimento prima nel mondo sportivo e poi in chi ama distinguersi. La sua trasformazione è garanzia di quell’essenzialità che solo la storia sa dare. Oggi SO tiene gli estremi uniti di quel superlativo assoluto che è stato Sportissimo. Nella storia di Sergio Baldin il cognome segna quattro generazioni di commercianti nel mondo della calzatura e dell’abbigliamento. Un DNA di quelli che hanno prodotto le fondamenta della ricchezza del nostro Veneto laborioso. Renzo e Gina e una piccola squadra di 5 sorelle e due fratelli, oggi impegnati a tenere alto l’onore dei Baldin. Un’infanzia e una adolescenza rumorosa, gioiosa, giocata a ritmo sostenuto le cui fila venivano tenute da mamma Gina che in casa che manteneva l’ordine e dove l’aiuto reciproco era una regola aurea. Pensiamo che debba avere un senso preciso nascere in una famiglia numerosa, e che questo predisponga rapidamente a comprendere cosa significhi far coesistere più anime in uno stesso corpo che si chiama Casa. Quel genere di predisposizione all’altro che va oltre a quella che impariam o . Pa p à Re n z o p o i h a s e m p r e mescolato le sue forze con quelle della città, Treviso, in cui ha scelto di spostarsi da Vedelago quando Sergio aveva solo 6 mesi. Lo fa sostenendo da appassionato il Calcio Treviso a prescindere dalla categoria in cui militava. Sergio segue le orme paterne e a soli 23 anni decide che il suo corner, scelto senza troppa convinzione affacciato sfacciatamente in strada, doveva diventare il regno dello sport. Che l’originalità fosse la sua parola chiave lo si capì rapidamente. Chi scrive è nata proprio in questo quartiere “di passaggio” senza vanti storici degni di nota, così discostato dalle vie napoleoniche, così poco strutturato da non aver avuto per molti anni nemmeno una farmacia e un’edicola. Quando il 5 marzo 1988 apre Sportissimo abbiamo avuto tutti la sensazione che si andasse ben oltre la bottega e che fosse in corso una sorta di
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rivalutazione del quartiere. Lo spazio di Sergio e dell’allora fidanzata Alessandra era un via vai di appassionati sportivi, di figure professionali legate a questo mondo che richiede divise e accessori specifici, da lui sono arrivati da Toni Kukoc a Mike Dantoni da Enry Williams a Zeljico Rebraca da Marco Boriello e la sua Belen Rodriguenz a Paolo Bianco, da Lorenzo Bernardi a Paolo Toffoli da John Kirwan a Sergio Parisse e per finire Leonardo Bonucci prima della sua esplosione, solo per citarne alcuni. Dal calcio allo skate, dal basket al tennis, dal running al golf dallo ski allo snowboard attraversando tutti gli sport. Sportissimo è stato il primo store in Italia a veder dedicato un’area all’interno del negozio interamente Nike. Anni che Sergio racconta come fossero stati “una bella favola” talmente floridi e abbondanti, dove cavalcare con amore, competenza, coraggio e solida settorialità era tutto ciò serviva per fare bene. Arrivano come Unni gli austriaci ad aprire mostruosi abbattitori di costo, omologanti strutture, gonfiati e abbagliati centri commerciali che hanno fatto piazza pulita di molte piccole realtà. Si potrebbe dire che tutte le cose belle finiscono, noi preferiamo dire che tutti i cicli finiscono e appena se ne termina uno, se ne avvia un altro pronto a toccare altre vette. Sono quelle circostanze che senza mezzi termini fanno comprendere il significato dell’espressione cantata: si cambia per non morire. SOPRA: ALESSANDRA E SERGIO A L AT O : I L N E G O Z I O S TO R I C O A S A N GIUSEPPE
SOPRA: SERGIO CON L O S TA F F D I S O
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“Abbiamo studiato uno switch”, si esprime così Sergio per raccontarmi che dal 2004 al 2008 hanno messo
in atto un possibile restyling del corpo Sportissimo, ricerche sulla tipologia del prodotto, il target di riferimento. “ Le p r o p o s t e d e l m o n d o h a n n o cominciato a chiamare, vedevo ribadito il mio, il nostro desiderio di esclusività, c’era solo da dargli una forma nuova”. Oggi si vedevano transizioni lampo, temporary store che sfuggono le difficoltà, negozi che ci provano facendo i conti con radici precarie. Sergio vuoi per deformazione familiare, vuoi per una particolare forma di testarda ambizione si è dato il tempo di maturare un obiettivo diverso. È la vita gli ha dato ragione. Nel febbraio del 2009, dopo 5 anni di osservazione della bussola e ricerca extraterritoriale nasce la contrazione, l’essenza di quell’assoluto, nasce SO. Una comunicazione forte, metropolitana, contemporanea che sa di oltre confine. Vetrine che attraggono, vetrine in cui soprattutto le donne passando in macchina per la trafficatissima via Noalese spesso rallentano per buttare l’occhio ai capi, ai colori e quegli abbinamenti che non si vedono nemmeno nei giornali. E parte un’altra sfida, SO diventa un contenitore di oggetti che provengono dal mondo, brand contemporanei, materiali che danno emozioni precise per il taglio per un gusto non convenzionale, profumerie artistiche di aziende francesi, inglesi e americane che scelgono di essere rappresentate in questo angolo di quartiere in cui guarda caso sorge un aeroporto che ci collega in poche ore di volo direttamente nel mondo. I sensi sono importanti, la musica va di pari passo con la gentilezza e a questa ci pensa Alessandra, quella fidanzata che poi nel 1994 divenne sua moglie e dalla quale nel 1988 nasce la primogenita Caterina ora alle prese con la tesi in master e comunicazione e nel 2003 Pietro che ora frequenta il Liceo Scientifico Da Vinci. Sergio e Alessandra, assieme a meravigliosi e fondamentali collaboratori, Paola, Chiara e Sara accolgono gli amici clienti accompagnandoli a fare esperienza di tessuti e forme e in qualche modo aiuta ad educare le nostre scelte in un nuovo modo, ricercato, semplice mai banale. There is not finish line.
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Federico Cian il commitment giusto DI GIOVANNI DI GREGORIO
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ra il full-remote, la start-up e lo scoutman la parola che rispecchia di più questo giovane uomo è commitment: atteggiamento, applicazione. Federico Cian, arriva puntuale da Bloom con uno zaino in spalla, una telefonata in corso e un sorriso amichevole rivolto a Davide con il quale scopro corre lunga amicizia consolidata con uno dei primi portali della vita notturna - nightlove.it - nel lontano 2005. Davide ci presenta e ci lascia dicendo: “Questo posto è nato nello spazio di una lunga notte di parole così piene, da essersi materializzate”. Nato a Treviso, ma da 10 anni questa città è il luogo dove tornare per salutare familiari e amici, dove andare a toccare le radici. E poi si riparte. Non sono cervelli in fuga, sono cervelli che cercano una casa che accolga la loro dimensione. Dunque mi accingo ad un confronto con Federico in uno scambio che raccoglie in poco tempo una storia avventurosa, fatta di eccellenza, di ingegno, di amicizia e, se fuga deve essere, è solo contro il tempo. Federico è un ingegnere informatico che la Toshiba si accaparra appena finiti gli studi a
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Spreme l’esperienza come un agrume maturo e allo scadere del quinquennio che consolida la sua professionalità, sente chiaramente che da quel frutto non c’era più modo di dissetarsi. Mentre Federico cova la fine di un ciclo, da una parte del mondo già frequentato c’è uno sconosciuto, Gianluca Segato, che ha una semplice ma illuminate idea: un libretto universitario digitale che raccolga quei voti che la sottoscritta si vedeva scrivere, lentamente, dalle mani nodose o aggraziate dei prof per esteso, dove fino all’ultimo quel venti... non sapevi se diventava ventuno o ventotto. Un libretto profumato che però finiva con me e con tutti gli studenti della mia generazione. Questo brillante 22enne si ritrova tra le mani qualcosa che aveva un appeal concreto che dai primi studenti amici, passa ad avere centinaia di downloads in poco tempo; la faccenda iniziava a funzionare. Persino troppo bene. Una storia che è una pura manifestazione di serendipità, alla faccia di chi non ci crede. Mentre Gianluca capisce che ci vuole “un po’di seniority”, Federico viene contattato da un comune amico, Giovanni Conz, e questa alleanza si porta in pochi anni a concretizzare numeri e espansione da capogiro. Una start-up che oggi è partecipata da 14 investitori Italiani e Internazionali, con mezzo milione di iscritti e che sta per salpare in America. Questo Federico che crea la rete, che sviluppa, che affianca e che lascia spazio diventa il trampolino di lancio di una buona idea, che poteva fermarsi sul nascere ma che Gianluca ha avuto la lungimiranza di condividere, dando vita ad una comune volontà imprenditoriale che sta esplodendo nel mondo. Mentre mi racconta le vicende che lo hanno portato ad abbandonare un posto sicuro e ben retribuito, mentre mi
I L T E A M . D A S X : G I O V A N N I C O N Z , G I A N L U C A S E G ATO E F E D E R I C O C I A N
Padova. Cinque anni in Germania, un lavoro in una corporation che presto lo colloca come Product Manager, responsabile della progettazione e s v i l u p p o d i S m a r T V. Come una tela tessuta a codici che non si vede, ma che regge e potenzia tutto il sistema.
racconta che decide per lasciarlo e dedicarsi totalmente ad Uniwhere questo il nome della App - come quel gancio che stava aspettando per mettersi alla prova in libertà, sono tentata di interromperlo più e più volte per chiedergli di lui. Ma attendo il momento giusto. Mi illustra il sistema dei programmi di accelerazione per le start-up, mi spiega che ci sono degli investitori che soppesano decine potenziali buoni progetti per poi sceglierne alcuni su cui investire. Gli investitori sono arrivati numerosi tanto da poter scegliere quale parte del mondo fosse la migliore. Il gruppo decide di dare la precedenza a Berlino perché è uno dei punti d’Europa più riconosciuto per le start-up. Perché lì potevano contare sulle conoscenze di Federico. “Ad ottobre del 2016 faccio le valige e condivido un appartamento spoglio con i miei compagni di avventura”. Un apparente passo indietro, viene da pensare, dai vertici della programmazione e viaggi oltre-oceanici alla vita quasi da studente. In realtà ne stava facendo due verso la libertà. “Con questa esperienza ho compreso contemporaneamente sia che non si può fare una startup a metà, sia che avevo voglia che la mia vita professionale iniziasse ad avere un impatto nel mondo”. Uniwhere non è solo un’App, vuole connettere il mondo della formazione con il mondo lavoro, regola le scelte. Da Padova l’App si espande a Verona, Milano, Napoli e Roma. Gli studenti italiani realizzano la validità di questo
La app Uniwhere Uniwhere è un'applicazione mobile per studenti universitari che nasce per dare accesso alle informazioni necessarie per gestire al meglio la propria istruzione e carriera. La piattaforma utilizza i dati accademici degli studenti per connetterli tra loro, ed offrire strumenti in grado di migliorare in modo significativo l'efficacia del loro studio e delle loro percorso formativo. Gli studenti possono tenere traccia delle loro prestazioni accademiche, monitorare il loro posizionamento rispetto ai coetanei, ed ottenere approfondimenti personalizzati sul loro futuro professionale. Disponibile per sistemi iOS e Android. strumento che anno dopo anno si perfeziona andando incontro a quella che è realmente una grossa sconnessione tra scuola e lavoro. “Non solo qui in Italia, è un gap esistente in tutto il mondo.” Una disconnessione su cui Uniwhere vuole creare un ponte. È un prodotto per aiutare gli studenti con il piano di studi, con la proiezione del loro domani, accompagna con mano gli studenti misurando le loro abilità, mi dice è un fedele compagno di viaggio, su cui poter contare. “Ho fatto ingegneria a Padova per imparare a sviluppare software, in
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A SX: C A M P I O N AT O E U R O P E O DI VOLLEY 2015, LE FINALI A SOFIA IN BULGARIA S OT TO : IRONMAN 70.3 BUDAPEST NEL 2014
Germania ho gestito prodotti e fornitori, con Uniwhere ho scoperto che mi piace accudire le persone”. In realtà, scopriamo che il management di questa avventura è sul suo tavolo. Federico sta dietro le quinte, non ha i fari puntati ma ha una solidità di vedute del tutto eccezionale. Scavando sul suo passato emergono passaggi che spiegano molte cose. La pallavolo è stato lo sport scelto dai genitori, preferito al calcio, in terza elementare: “Relazionavo con 20 ragazze contro due maschi. Nonostante il mio metro e 73 di altezza, nonostante le mie prestazioni su cui non mi soffermo, dentro di me qualcosa mi continuava a dire che sarei arrivato alle Olimpiadi”. E qui arriva il momento di fargli le domande che tanto attendevo. Gioca fino in seconda superiore a questo sport e poi si mette seduto in un posto molto speciale. Negli anni 2000 iniziano ad affiancare gli allenatori quelli che si chiamano scoutman. Con il suo computer Federico studiava le performance dei giocatori dell’Albatros Treviso prima e poi in seria A nella Pallavolo Padova, così preparando le tattiche, non si è portato alle Olimpiadi ma è arrivato alla Nazionale italiana e ai campionati del mondo. Cosa ti stupisce? “Mi sono accorto nel tempo che tutto
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quello che ci serve è dentro di noi. Tr o v o c h e q u e s t o s i a stupefacente”. Cosa ti fa paura? “Non andare alla velocità necessaria”. Un giovane che dialoga con i giovani cosa ti sta mettendo in evidenza questa esperienza ? “L’immediatezza creata dal web sta creando indolenza in questa generazione. L’App attualmente non è più un semplice libretto universitario digitale contiene una possibilità di interazione più vicino ad un tutor che sa proiettare il futuro lavorativo più idonea alla persona, allo studente che sei. Ma ci stiamo accorgendo che viene utilizzato al 20 % del suo potenziale.” Che rapporto hai con i contrattempi? “Gli italiani eccellono nel problem solving, cresciamo in un ambiente in cui tante piccole cose non funzionano. La società tedesca vive invece in un ambiente coordinato, quando accade un contrattempo sono in difficoltà. Questo per dire che abbiamo culturalmente una risorsa”. Il tratto dominante del tuo carattere?
“L’affidabilità, mi sento realizzato quando porto a termine quello che mi viene chiesto e quello che mi prefiggo”. Alla parola sfida cosa ci dici? “Sono un amante delle sfide e ho scelto di stare in un ambiente sfidante. Ho anche iniziato a correre nel 2014 e poi ho scoperto il Triatholn, quella specialità in cui parti con la muta e arrivi con le scarpe da corsa, dopo aver pedalato su una bicicletta. Voglio sempre vedere dove riesco ad arrivare, sono una persona normale ma credo di avere il commitment giusto.” Molti investitori americani non prendono nemmeno in considerazione una start-up che non abbia alle spalle un fallimento. Fallimento. Per noi italiani parola grigia, ma attenzione: fail ha la stessa radice di faith, fede.
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COMUNICAZIONE
“Sarò Franca: con Maloo faccio tuonare la comunicazione„ DI A.C.
Ha festeggiato il conto tondo lo scorso 13 luglio, Franca Tonello è una sintesi di grinta e dolcezza. Queste righe sono un omaggio al suo intenso, vivace e non sempre semplice percorso di vita, un riconoscimento che prima di tutto Franca fa a se stessa. Ci racconta dei suoi 20 anni di lavoro affianco a due presidenti della Provincia di Treviso dai quali ha scoperto prima i suoi talenti e poi come poteva perfezionarli, ci racconta della malattia, di due anni di buio e ora, della rinascita arrivata puntuale come un compleanno. “Per questa meta mi sono regalata una nuova me, ho unito i puntini come dice Steve Jobs, ho visto chiaramente la mappa del mio percorso professionale e personale. Ora dico: Ne è valsa la pena! L’emergenza sanitaria, gestita così magistralmente da Luca Zaia, mi ha ridato nuovo entusiasmo e linfa vitale per il lancio di nuovi progetti e, come un ponte tra passato e presente segneranno la strada del mio futuro”. E ci racconta il suo lockdown che ha utilizzato al massimo, dedicato alle lunghe passeggiate, quel tempo regalato ha fatto mettere a fuoco passaggi, scelte, ostacoli, punti di forza, la ripetitività di certe dinamiche di cui spesso non ci accorgiamo, tutto ciò l’ha fatta riemergere come una Fenice.
Franca Tonello
Sembrerebbe una storia di una donna speciale in quanto donna, in realtà Franca ha anche alle spalle 20 anni di Comunicazione e almeno 30 di esperienze lavorative dal basso verso l’alto come dice lei, che l’anno portata fin qua con un orgoglio riconquistato. Dalla laurea in Scienze Politiche conseguita con una certa spassionalità, si porta a Milano a dialogare con la camera di commercio lombarda per progetti europei. Sì ritrova a piè pari dentro al complesso mondo della politica dalla parte di chi per lei rappresenta al meglio la sua amata terra. “Ho avuto la fortuna di aver lavorato con due grandi Presidenti. Con l’allora Presidente della Provincia Luca Zaia, oggi Governatore della Regione Veneto, che mi ha visto nascere, intuendo in me capacità comunicative e strategiche ricoprendo la carica di Responsabile della Comunicazione. A dimostrazione di ciò al termine del mandato di Zaia la riconferma con il nuovo Presidente Leonardo Muraro che l’ha nominata Capo di Gabinetto e Dirigente della Comunicazione e del Piano Strategico. “Non ho nostalgia del mio passato perché è mia consuetudine guardare sempre al futuro, mettendomi alla prova con nuove e avvincenti sfide”. Ha fatto l’Assessore alla Cultura e alle Politiche Giovanili nel
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DI G.D.G.
suo paese natale ma alla fine ha scelto di puntare sulla sua professionalità e lasciare la politica attiva. A tutto ciò segue una breve dolorosa, acuta, spaventosa parentesi legata alla salute che come sempre accade l’ha aiutata a collocarsi in una dimensione più vicina a se stessa a quella parte forse sconosciuta che apre sempre a nuove esperienze. Da piccina voleva fare la psichiatra infantile, oggi le sue qualità empatiche le ha messe a frutto per una nuova lettura di se. Oggi Franca è Maloo*. Con questa parola dolce, che si legge malù, dal significato potente, tuono in aborigeno, sta strutturando la sua nuova realtà di comunicazione. Vent’anni fa la propria velocità era determinante per intraprendere e farsi conoscere, non si disponeva di mezzi acceleranti. Oggi, nel bel mezzo del suo cammino, la naturale saggezza che subentra con l’esperienza, trova Franca tenere il passo grazie ad un esperto utilizzo dei mezzi sempre più rapidi con i quali si può comunicare in tempo reale. E si ritrova più completa di prima. Tutto si sta formando, tutto si sta rinnovando. Teniamoci pronti. Non c’è niente di meglio di una donna che accetta e ama le vicende della sua vita sempre e comunque, che si ferma, fa il punto e riparte, tuonante del suo senso. *MALOO con la forza dirompente della sua comunicazione strategica, ha l’obiettivo di provocare sempre una reazione in un mercato che ha bisogno, oggi più che mai, di ritrovarsi reattivo, ricettivo e comunicativo, alla conquista di una posizione di vantaggio per il presente e per il futuro. Maloo è la liaison tra azienda e il cliente, proponendo nuovi mood comunicativi rivolti ai consumatori per promuovere e rafforzare la brand reputation delle aziende. Maloo nella sua proposta di piani di comunicazione aziendali e a progetti creati ad personam punta su messaggi sì emozionali, ma soprattutto chiari, veri e di immediata comprensione. Strategie per gestire il cambiamento aziendale per una maggiore collaborazione fra le funzioni organizzative in una veste più tecnologica accompagnando le aziende a ripensare la loro comunicazione interna ed esterna, consapevoli delle skill della propria organizzazione interna e delle potenzialità del prodotto preparati ad un mercato che cambia velocemente e dove l’imprevisto è all’ordine del giorno con creatività, intuizione, colpo d'occhio e velocità di esecuzione.
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Treviso in Treviso
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’ambito deve il suo nome a nome "fiera": mercato annuale, ormai scomparso, un tempo corollario di quell'attività mercantile, risalente con ogni probabilità al X-XI secolo, che aveva il fiume come arteria terminale di smistamento. La parte delimitata a nord dalla linea ferroviaria per Oderzo/Motta e a sud dal corso del Sile, si estende radialmente dalle mura fino al confine sud-est del territorio comunale. Origini - Medioevo Il Sile, navigabile dalle sorgenti alle foci, costituiva la naturale via di comunicazione e di commercio dapprima fra Treviso e Altino e successivamente, in seguito al declino di questa fiorente città romana, fra Treviso e le isole della laguna veneta. Lo stesso Burchiellati, poeta e figlio di un mugnaio, ci offre, nell' "Elogio al Sile", una magnifica descrizione in versi latini delle barche che veleggiavano nel 1575 per Venezia, delle Galere a due remi, dei burchielli, dei brigantini, dei battelli pescherecci. Le imbarcazioni all'altezza di Fiera risalivano il fiume trainate da cavalli o da altri animali che correvano sull'argine (alzaia), lungo un viottolo ben battuto, detto anche Restera: il nome, in uso fin dal medioevo, deriva dalla grossa fune (resta) che univa l'animale al barcone rimorchiato. Della trazione dei natanti mediante l'attiraglio dei cavalli peraltro, come ci conferma lo stesso Brevedan, si faceva uso ancora nel 1911. Risalgono al medioevo alcune disposizioni del Podestà di Treviso, dal titolo De Restera Syleris, le quali riguardavano appunto la manutenzione della Restera e che riportiamo di seguito estrapolato dal passaggio integrale contenuto nella ricerca storico ambientale, sopra indicata: “La detta restera sarà sempre libera e nessuno potrà occuparla o asportarvi terra o
Fiera
DI ARTURO CARDINALE
pietre ed il contravventore pagherà 100 soldi e dovrà restituire ciò che avrà occupato. I marinai, i mercanti ed i restarolli e chiunque userà il fiume in nave o in barca, non dovranno danneggiare alcuno nelle biade, frutta, uve o nelle altre produzioni agricole, nelle siepi chiusure, nelle terre adiacenti la restera. Che il danneggiatore di giorno paghi 100 soldi e di notte 10 lire sempre con l'obbligo di riparare il danno; sarà sufficiente un solo testimone, di buona fama ed opinione e gli si darà piena fede. (G. NETTO, 1978). Altro fattore che contribuì alla formazione di un porto molto attivo sul Sile, allo sviluppo del mercato e del primo nucleo abitato, fu la vicinanza a quella strada, la Callalta, che esisteva fin dall'epoca romana, e che nel medioevo fu fra le più importanti e trafficate della regione, collegando Treviso ad Oderzo. Il primo accenno al porto e al mercato è contenuto nientemeno che in un diploma di Berengario I re d'Italia, scritto nel lontanissimo 905 e conservato nell'Archivio Vescovile di Treviso. La denominazione della più antica, solenne e chiassosa fiera trevigiana originariamente era di S. Michele di Melma, che più tardi fu detta Fiera di S. Luca perché trasferita nel giorno della festa di questo santo (18 ottobre) dal Comune Trevigiano, in occasione dell'elevazione a pontefice del cittadino Niccolò Boccasini il 22 ottobre 1303. Un momento fondamentale per lo sviluppo e la storia di quest'area é rappresentato dalla comparsa della chiesa come elemento dominante, il quale assieme agli elementi naturali del prato, del porto e del fiume, seguendo un modello di formazione tipico, doveva accentrare e organizzare l'intera struttura del futuro borgo. Veneziano Pesanti furono per Fiera le conseguenze
causate dagli eventi del 1509, quando la Spianata eliminò gran parte degli edifici e si ridussero a tre (San Tommaso, Santi Quaranta, e Altinia) le numerose porte medievali murando porta S.Maria Maggiore dalla quale usciva la Callalta. La più vicina apertura che permetteva agli abitanti di entrare in città si ridusse a uno stretto passaggio lasciato sulla riva sinistra del Sile presso la Tolpada, ossia quella palizzata che sbarrava parzialmente il corso del Sile per controllare il passaggio delle imbarcazioni che entravano o uscivano dalla città e che era fatta da pali di rovere (tolpi); nel punto ora denominato Barriera Garibaldi, a quella piccola porta (Portello) adibita al solo transito dei pedoni, si giungeva da Fiera percorrendo la Restera. L’improvviso isolamento in cui venne a trovarsi la località di Fiera determinò l'abbandono della chiesa da parte dei Cavalieri di San Giovanni del Tempio; tuttavia, a seguito della richiesta dei cittadini al priore Ludovico Marcello, si ottenne la sua riapertura.
PORTO DI FIERA
Nel 500 inoltre, presso la chiesa di S.Ambrogio, avevano probabilmente residenza le Monache Agostiniane. Il loro ordine esisteva a Treviso almeno dal 1223 ma è nel 1520 che fecero la loro comparsa a Fiera. Osservando le mappe degli estimi e una mappa a colori della seconda metà del seicento che riproduce il Prato della Fiera, si nota come la chiesa attuale, iniziata nel 1710, sia sorta sullo stesso luogo di quella più antica. Troviamo inoltre rappresentate le proprietà della Commenda di S. Giovanni del Tempio, che in quell'epoca appartenevano alla potente famiglia Cornaro di Venezia. Oltre alla chiesa, primo punto di riferimento per le pratiche religiose, alcuni oratori assolvevano alle funzioni più semplici e immediate. Altre testimonianze della profonda e radicata tradizione religiosa della popolazione di Fiera ad inizio '600 le troviamo in una modesta casa a due piani in viale IV novembre. Conosciuta un tempo come l'osteria Tre Santi per la facciata decorata da tre affreschi dei quali quello centrale raffigurava S. Rocco assieme alla Madonna e a S. Sebastiano, ce ne parla lo stesso Luigi Coletti nel suo "Catalogo delle cose d'arte" pubblicato nel 1935; gli affreschi ora purtroppo sono irrimediabilmente perduti.
Contenuti e dati estrapolati dall’analisi storico ambientale dell’architetto Gianfranco Trabucco.
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STORIA E AMBIENTE
Nel periodo felice del governo della Serenissima Treviso divenne un importante punto di riferimento per i veneziani desiderosi di stabilire una loro residenza estiva in "luoghi ameni" di campagna. Delle numerose ville lambite dal Sile e fatte costruire tra il '400 al '700 dai patrizi veneti rimangono, in quest'area, villa Viola e villa Ninni Carisi e Villa Silvano Fenoglio, che si trova invece presso lo sbocco dello Storga. La vita semplice di quel tempo, con intenso e armonico lavorio, si sviluppava attorno alle macine, circa una quarantina, alle cartiere, alle filande, ai follatoi per la lavorazione della lana, a quegli opifici che con le loro caratteristiche ruote esterne, fatte girare dalle acque dello Storga e del Sile, si vedono nella bella mappa della villa di Porto. Napoleonico Si può dire che Fiera si sviluppò pienamente in periodo napoleonico: fu nell'800 infatti, a seguito del rapido processo di industrializzazione, che vi si registrò un forte aumento demografico. Forse anche per questo motivo le autorità comunali scelsero Fiera come luogo opportuno per trasferirvi il cimitero comunale: nel 1846 lo si inaugurò nel colmello di Porto sulla Callalta attiguo alla Villa Fenoglio. Si ha notizia di un progetto del 1895 che prevedeva l'allungamento della chiesa, che però non venne mai realizzato, vennero invece aggiunti due nuovi elementi: il retrocoro e la cappella laterale, costruiti nel 1903. L'altare della Vergine interno alla chiesa, detto anche "della concordia", simboleggiava l'unione dei tre colmelli che formavano e formano la parrocchia: Fiera, Porto e Villapendola. Fiera indica particolarmente il luogo della chiesa e del Prato; Porto la borgata attraversata dal fiumicello Storga (di Porto si parla già nel 1098); Villapendola (Villa Pendula compare fin dal 1170) la località compresa tra il vecchio ramo del Sile e il Comune di Silea. Austriaco Nella seconda metà dell'800 Fiera assunse un diverso aspetto, respingendo gli insediamenti agricoli verso le campagne comprese tra Limbraga e Storga, facendo invece spazio alle industrie di vario tipo. Oltre alla tipica attività
portuale, erano sorti infatti in momenti diversi parecchi opifici: uno stabilimento per la concia delle pelli, tre cartiere, tre brillatoi da risone, una birreria (ditta Prete), una distilleria, due pastifici, un acetificio, numerosi mulini e un saponificio. La maggior parte di queste fabbriche attingeva dai corsi d'acqua la forza motrice necessaria per il funzionamento delle macchine. Grazie alla sua posizione favorevole in riva al fiume, Fiera si avviava ad assumere le caratteristiche di un vero e proprio villaggio industriale, pienamente rispondente al canone illuminista che giudicava la floridezza di una città dalla quantità di neri fumaioli che sporgevano dai fabbricati e dalla forza dell'odore del carbon fossile che si fiutava. Per l'area di Fiera quindi, che si identifica sempre di più, nel complesso dell'area urbana, come uno dei poli industriali della città, il passaggio della linea ferroviaria per Udine (1855) e posteriormente la localizzazione del nuovo scalo merci si rivelava strategico. Dopoguerra - Attuale Agli inizi del novecento, quando iniziava la crisi del settore produttivo, l'apertura del varco di Porta Carlo Alberto sulle mura consentì di collegare Fiera alla città, tramite un nuovo sottopassaggio. Nel frattempo l'area del prato continuava ad ospitare l'ormai pluricentenaria fiera, manifestazione che assumeva sempre più un carattere di festa popolare piuttosto che di scambio commerciale ma destinata a rimanere un fulcro nella vita sociale di Treviso. Le attività industriali si trasferirono in luoghi meglio serviti dalla rete infrastrutturale anche a causa dell'obsolescenza fisica e funzionale degli impianti produttivi insediati: ciò portò al progressivo abbandono delle caratteristiche ottocentesche di area industriale. A riequilibrare lo spegnersi progressivo del settore industriale si verificò in questa zona un veloce sviluppo della residenza: tra gli anni '30 e '70 infatti sorsero alcuni agglomerati urbani a carattere popolare, primo fra essi il complesso edilizio costituito dalle case di Via Zanchi (INA), nel 1939, fra la linea ferroviaria Treviso-Portogruaro e la rettifica della Callalta realizzata alcuni anni prima; essa deviando il traffico, nello stesso tempo modificò l'assetto
urbanistico di Fiera. Lo sviluppo più recente si è avuto a nord della Strada Callalta: è in quest’area che si trovano concentrati i servizi alla residenza che riguardano in particolare il settore dell'istruzione. Via IV Novembre assolve la funzione di connessione col centro storico di Treviso e ai suoi lati cominciano a localizzarsi interventi di carattere terziario. Il prato con le case prospicenti e la chiesa costituiscono il "centro storico" di Fiera che è rimasto integro; il Porto esiste ancora con le attrezzature che servivano da ormeggio dei barconi e per lo scarico delle merci, ma è scomparsa la caratteristica attività portuaria. L’idea del Porto fluviale era destinata a cadere sotto la spinta innovatrice del trasporto su gomma; inoltre la centrale idroelettrica della "Cartiera Burgo", costruita intorno al 1953, ha provocato una strozzatura del fiume che ostacola il libero passaggio di imbarcazioni grandi e piccole. Non molto ha giovato alla circolazione delle acque il taglio tra Fiera e Silea, realizzato nel 1950 dando origine ad un'isola fluviale di circa un centinaio di ettari che, nelle previsioni del piano regolatore, doveva essere occupata quasi interamente da un'estesa zona industriale. Inoltre una serie di scavi in alveo e fuori sconvolto il percorso originario portando alla formazione di un vasto bacino ora suddiviso in laghetti per pesca sportiva e allevamento di trote. Era destinata inoltre a costituire una ulteriore barriera urbana e a imprimere un indirizzo decisivo nel futuro del quartiere l'avvenuta costruzione della strada statale 53 sopraelevata e con limitati innesti e attraversamenti rispetto alla rete viaria precedente. Il piano regolatore del 1964 ha previsto per quest'area una ridefinizione urbanistica, condizione che rimane ancora oggi anche se con interventi che hanno fatto molto discutere, destinando l'area a un ruolo abitativo piuttosto che produttivo con dotazione di alcuni servizi. Tuttavia non trascurava la potenzialità del prato Fiera e la sistemazione del lungo Sile ancorché tali previsioni siano rimaste sulla carta, nonostante la forte spinta d’uso ludica da parte dei residenti e tutti i trevigiani.
VISIONI DI PROGETTO E REALIZZAZIONI DELL’ARCHITETTO GIANFRANCO TRABUCCO
“Il fare umano sia integrativo e non distruttivo della bellezza del mondo” Giovanni Urbani
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TERRITORIO
La magia delle Grotte del Caglieron Le Grotte del Caglieron si trovano a Breda, una frazione di Fregona, ai piedi del Cansiglio e a pochi minuti da Vittorio Veneto. Modellate dall’uomo e dalla natura sono molto suggestive e affascinanti, tra piccole insenature, cascate d’acqua che s’infrangono sulle rocce sottostanti ed una vegetazione rigogliosa a incorniciare lo spettacolo.
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TERRITORIO
case nei dintorni di Vittorio Veneto. Le grotte artificiali si riconoscono dalle colonne inclinate di 45° a sostegno della volta. Un tipo di tecnica che aveva il preciso scopo di evitare qualsiasi cedimento sovrastante. DI VALENTINA FACCHIN, SOCIAL MEDIA MANAGER
Come arrivare e cosa vedere Arrivare alle Grotte del Caglieron è facile, basta impostate il navigatore e ci si arriva senza difficoltà. In ogni caso raggiungete Fregona e da lì seguite le indicazioni verso le Grotte. Il parcheggio non è ampio, ma si libera velocemente, per cui pazientate un po’ finché qualcuno se ne va. Ricordate di portare con voi delle monetine, costa 1€ l’ora. Nei pressi del parcheggio c’è la casetta della Info-Point dove, se desiderate, potete prenotare una visita guidata a pochi euro. Se non avete mai visitato le Grotte del Caglieron, io suggerisco di chiedere una guida così da scoprirle nel dettaglio. Tanto più che l’ingresso alle Grotte è gratuito. La Visita Le grotte si possono visitare dall’alba al tramonto e presso l’Info-Point potete prendere una cartina del percorso. Il giro dura circa un’ora e non è troppo impegnativo. È adatto anche a bambini, ma non con il passeggino e si possono portare i cani a guinzaglio. La visita si sviluppa tra un sentiero e passerelle in legno, alcuni tratti sono particolarmente scivolosi, per cui usate scarpe da ginnastica e abbigliamento comodo. Un’area particolarmente suggestiva da visitare d’estate per trovare del sollievo al caldo estivo, mentre d’inverno sono estremamente affascinanti le cascate ghiacciate. Da vistare tutto l’anno. Il sito è il risultato di una giusta combinazione tra azione dell’acqua e dell’uomo che ne sfruttò consapevolmente le risorse: •GROTTA NATURALE è una forra solcata dal torrente Caglieron, che ne ha modellato i vari strati di roccia e sedimenti; •GROTTA ARTIFICIALE dal 1500 l’attività di estrazione della pietra arenaria, la pietra “dolza”, fu un’importante fonte di lavoro per la zona. La pietra qui estratta la si trova tuttora sugli infissi di
Proseguendo il percorso s’incontrano delle casette completamente ristrutturate, che un tempo fungevano da abitazioni degli scalpellini. Una curiosità, la grotta di S. Lucio è adibita alla stagionatura dei formaggi dell’Agri-Cansiglio e li potete acquistare presso l’Info Point. Dove mangiare Superate le grotte dopo le passerelle in legno, si arriva ad un mulino ad acqua ristrutturato ed adibito a ristorante. Potete fermarvi qui per rifocillarvi (o per una sosta in bagno) oppure se riuscite a resistere, io vi consiglio di andare a Serravalle (Vittorio Veneto), stupendo borgo medievale, e fermarvi alla Trattoria La Cerva, Piazza Flaminio 8, Vittorio Veneto, tel. +39 0438 1849259, una trattoria in centro in cui viene proposto cibo locale estremamente gustoso. Meglio se prenotate, è molto gettonata. Nei dintorni delle Grotte Una volta terminata la visita alle Grotte potete prevedere un giro al Pian del Cansiglio oppure dedicare del tempo alla scoperta di Vittorio Veneto tra Serravalle e Ceneda, una città molto bella e carica di storia. Altra ottima alternativa può essere la visita alle Colline del Prosecco, che si trovano poco distanti da qui. Altrimenti proseguite verso il Lago di Santa Croce.
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ABITO LA VITA
La Ruota “
Eh cea, a vita a xe na roda” “Eh piccola, la vita è una ruota”. La saggezza dei nonni, così insignificante nel momento in cui proferiscono il loro scrigno di vita. Così preziosa quando sei salito in quella ruota e ne riconosci la verità. Le cose hanno un inizio, proseguono e hanno una fine per ricominciare. Quali cose? Tutto, in primis la vita. Ma la mia nonna, quella nonna che mi prometteva di starmi sempre accanto, non si riferiva alla vita terrena che inevitabilmente finisce, ma alla Vita con la V maiuscola. Mi spiego meglio. Noi vorremmo che i nostri cari non se ne andassero mai e loro in effetti non se ne sono andati veramente; sono nel mondo invisibile che proprio perché invisibile non li possiamo vedere, ma sentire sì, possiamo percepirli nel silenzio della natura che ci rassicura nel suo incessante movimento ciclico. Proprio oggi il mio collega mi parla di una scritta in cimitero che recita più o meno così: io sono nella stanza accanto. Meraviglioso. Stiamo vivendo da tempo, troppo tempo, in un mondo spaventato e che con
gli ultimi eventi lo è ancora di più, e oltretutto non si sa quale sia il nemico. La paura della morte ti impedisce di vivere, è piuttosto paura di vivere e allora dobbiamo salire consapevolmente in quella ruota ed esserne il capitano! PANTA REI cantava un ritornello a Sanremo, lo abbiamo sentito tutti e poi ce ne siamo dimenticati. È tempo di riCORdare: il cuore è il nostro alleato che ci conduce nella memoria che non possiamo bagnarci due volte nello stesso fiume. Questo vuol dire che ogni cosa muta in continuazione. Non è mai lo stesso, il fiume in cui ci immergiamo. Le cose mutano improvvisamente, al nostro tempo ancora più velocemente. Questa è la vita umana. Come viverla al meglio? Riprendendo tra le nostre mani il cuore, la sacralità del cuore. Il grande Socrate ci diceva che lui sapeva di non sapere. Ho riflettuto molte volte nei banchi di scuola su questa affermazione e mai come oggi mi sembra così attuale. Osservo con stupore i miei nipoti e abbandono la mia tentazione di insegnare loro a nominare le cose. Il cucchiaio, l’orsetto, la casetta… loro vedono ciò che sta intorno, ciò che
La ruota della fortuna La gestione del proprio destino attraverso un esplicarsi e rivelarsi della forza interiore. Questo movimento fa girare la ruota ed evita i blocchi. La ruota viene dopo l’eremita, l’arcano VIIII che preannuncia la crisi positiva verso l’evoluzione, simboleggiata dall’arcano X, La ruota della fortuna. Il centro della ruota è il punto di partenza per il cambiamento. Un cerchio rosso e uno giallo: l’unione della doppia natura
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dell’uomo, il cuore che unisce lo spirito alla materia, il visibile al l’invisibile, la vita alla morte, il conscio all’inconscio. Gli animali nel movimento e nella staticità ci insegnano che tutto quello che comincia finisce e tutto quello che finisce comincia. Tutto quello che si eleva ridiscende e tutto quello che ridiscende si eleva. In un processo continuo che solo il cuore comprende per innalzarsi fino alla Coscienza Cosmica.
DELLA DOTT.SSA LORENA MAZZARIOL, PSICOLOGA UMANISTA E SCRITTRICE
anima ogni cosa e ogni esperienza. Meraviglia e magia si sposano e creano l’essenza del vivere. Se ci lasciamo trasportare dall’incanto di questi bambini troviamo anche noi la strada: ogni piccola cosa ha un’anima, uno spirito ed è preziosa. Tornare alle cose semplici della natura e del dire spontaneo, autentico è il segreto che porta con sé ogni esperienza. La nostra mente è troppo piena di teorie, di informazioni, di dubbi e bisogna acquietarla. Gli occhi di un bambino che incontrate fugacemente per strada, sono la via per percepire l’essenza, il moto perpetuo della vita, della morte, della vita, della morte. Lasciare un nostro pensiero bello in questa vita è per ritrovarlo nella vita successiva, tra luoghi e persone diverse ma tutte unite nel ciclo evolutivo. Panta rei, tutto cambia e tutto si trasforma, così l’uomo non potrà mai rivivere la stessa identica situazione anche se si trova nello stesso luogo e nello stesso contesto. La quarantena ci ha sottolineato, a suo modo, che il cambiamento è insito nell’uomo e che deve essere epocale. Pratichiamolo, soprattutto dentro di noi e con la spada della luce.
EDUCAZIONE
L
a Scuola sta vivendo in questo frangente, caratterizzato dagli esiti della pandemia non ancora risolta, un momento molto difficile e problematico. Mai come ora infatti ci siamo resi conto di quanto sia importante questa istituzione non solo per la crescita culturale e civica delle nuove generazioni ma anche per il loro benessere psicologico. Le aspettative nei suoi confronti sono perciò altissime ma la sua riapertura sta mettendo a dura prova le forze del Paese che si muovono nella sua orbita. La Scuola, caratterizzata da vent’anni di Autonomia, avrebbe dovuto, nel tempo, depotenziare i legami gerarchici e verticali che la facevano dipendere direttamente in tutto e per tutto dal Ministero, ed avrebbe dovuto richiedere invece l’attivazione di una "responsabilità circolare" riferita al territorio di riferimento. L’enfasi oggi allora dovrebbe essere posta sulla comunità di appartenenza, all’interno della quale invitare a coltivare appunto la corresponsabilità educativa tra tutti gli attori che gravitano intorno alla comunità. Assistiamo invece ad una Scuola autonoma che oggi è in una estrema difficoltà e non riesce a rappresentarsi ancora, per il prossimo anno scolastico, un modo accettabile di ripartire. La difficoltà si concentra soprattutto dal punto di vista della sicurezza sanitaria. Rimane sullo sfondo la necessità di aprirsi ai suoi naturali abitanti che sono i ragazzi, sfrattati un brutto giorno senza preavviso. Il prossimo futuro appare ancora infatti confuso, sfocato e per qualche verso improponibile, alla luce di ventilate soluzioni centrali o regionali, a volte in contrasto fra loro ed invocate a gran voce come salvifiche. I bambini e i ragazzi dimenticati, spariti, evaporati, chiusi in casa a settembre però dovrebbero ri-materializzarsi nelle aule…. Con quali dispositivi? È tutto un pullulare di indicazioni, piani e “ripartenze”regionali e ministeriali. La Scuola è chiamata ad attrezzarsi per tempo e i Dirigenti Scolastici, che si ritrovano ad essere ridotti oggi a “geometri”, che misurano, calcolano e poi rimisurano, sono in fibrillazione… Da sola però la scuola non ce la fa. Ci viene allora in aiuto James Coleman con il suo concetto di Capitale sociale. Il
“capitale sociale” è per Coleman l’insieme delle risorse contenute nelle relazioni fiduciarie, all’interno di una comunità territoriale, che risultano essere appunto una "ricchezza", utile per lo sviluppo cognitivo e sociale dei soggetti in evoluzione. Le relazioni fiduciarie tra le forze del territorio favoriscono infatti i partecipanti alle relazioni stesse, alimentando la capacità di riconoscersi, di intendersi, di scambiarsi informazioni, di aiutarsi reciprocamente, di COOPERARE ai fini comuni, di creare PATTI PEDAGOGICI ma anche di veri e propri PATTI TERRITORIALI. Il tutto oggi per affrontare l’emergenza dettata dalla pandemia. Il problema sarà di mantenere la bussola del "primato pedagogico" per tutte le soluzioni che saranno prese e ciò potrebbe risultare difficile o problematico se, come sta succedendo, il livello di ansia sarà spostato tutto sugli aspetti organizzativi. La diffusione del capitale sociale esercita effetti positivi sul tenore della vita sociale e promuove "l’inclusività", attraverso la creazione di “legami” (bonding) e "l’integrazione" attraverso la creazione di “ponti”(bridging). Deve esserci qualcuno però che si attiva per COORDINARE queste forze del territorio, per mantenere la rotta e la VISION.. In questo modo si può intervenire correttamente sul rischio di sbandamento di chi brancola e fa fatica ad organizzare, a livello centrale, soluzioni che sappiano coniugare sia i bisogni, a lungo trascurati e dimenticati di bambini e adolescenti, sia la sicurezza sanitaria. Sembra che questa ultima preoccupazione stia assorbendo in modo ossessivo tutte le energie degli attori coinvolti svelando, implicitamente, la soggiacente preoccupazione di AUTOTUTELA piuttosto che il desiderio di riattivare il cuore pulsante di una Istituzione troppo a lungo mortificata e imbavagliata. Non intendo dire che questa preoccupazione non sia sacrosanta ma che non deve diventare totalmente assorbente e paralizzante sull’altro versante. Ritornando a Coleman è compito dei Dirigenti scolastici allora assumere il mandato di COORDINARE il gruppo per mantenere il primato PEDAGOGICO, intessere le reti collaborative tra la Scuola
(attraverso tutto il suo personale) e tutte le forze del territorio, in primis le Fa m i g l i e , p o i g l i E n t i Locali, (Comuni e Province),l’Azienda sanitaria,le aziende responsabili dei trasporti locali, le parrocchie, le DELLA DOTT.SSA forze del terzo settore. CINZIA MION In questo modo si agevola l ’ i n t e s a e l a co-responsabilità delle Istituzioni e della forze sane del territorio, attraverso la fiducia reciproca, la condivisione delle aspettative e i valori, il rispetto delle norme e si ridà autorevolezza e credibilità a tutte le Istituzioni e le Associazioni che in un certo modo si occupano dell’educazione e dello sviluppo delle giovani generazioni. Oggi, a fronte del gravoso ed impellente problema di ripartire con le attività didattiche in presenza, devono avvenire INCONTRI RAVVICINATI frequenti, all’interno dei quali suddividere i compiti diversificati a seconda delle competenze riconosciute. Intendo dire che non sono i Dirigenti o i loro collaboratori che dovranno fare i geometri. Esiste un Ufficio tecnico del Comune o della Provincia, utile a reperire gli spazi necessari (scuole dismesse, spazi non utilizzati e lasciati deperire che devono essere subito individuati e riattivati, reperimento nelle parrocchie di aule usate per il catechismo ed utilizzabili provvisoriamente per attività scolastiche, ecc) Prima dell’esplodere del coronavirus stavamo assistendo ad un impoverimento della vita associativa, ad una diminuzione dell’impegno civico dei cittadini per un pericoloso radicarsi di forme individualistiche. Da più parti si sta auspicando oggi che, dopo la pandemia che ha scosso i corpi e le coscienze, si possa provare a ritrovare la bussola con l’aiuto di tutti e la regia delle Istituzioni scolastiche, deputate all’orientamento e alla co-costruzione, SISTEMATICA E INTENZIONALE, della crescita culturale e della maturazione educativa di tutte le nuove generazioni del Paese.
Il capitale sociale al tempo del coronavirus TREVISO città&storie
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SPECIALE LA MIA PRIMA CASA
la mia prima casa SPECIALE
Un’idea nata da menti sinergiche dove scrittura, immagini e progetti si uniscono in un unico concetto: la casa. Pubblichiamo otto racconti tra i cinquanta ricevuti da Il Portolano che verranno raccolti in un’antologia.
"Farsi casa per conoscere se stessi, fare case per conoscere gli altri" Margherita Benintendi
I
l recente passato sta fortemente contribuendo a modificare la visione e di conseguenza il rapporto che ognuno di noi ha con la propria casa. L’uomo ne è tornato al centro. Ancora di più, è tornato al centro di uno spazio che dovrà contenere non solo i suoi pensieri, ma anche suoi movimenti. “Casa è lo spazio che immediatamente riconosci come tuo - ci dice Margherita Benintendi. È come un abito su misura che ripara il corpo e nutre l’anima. Lo indossi e ti ci senti a meraviglia come nessun altro, perché è fatto per te. È il tuo rifugio quando scappi dal mondo per ricaricarti nella natura. Non è certo solo un edificio, ma il luogo in cui custodisci i ricordi più cari per attingervi ogni volta che vuoi. È dove sogni, sperimenti, realizzi. In pratica, è dove cresci.”
IMMAGINE FRANCESCAZANETTE.COM
Margherita Benintendi è la fondatrice di Sunflower Life Projects, una design-build company [un’azienda che progetta e costruisce case, ndr] che ha sede a Treviso e a San Diego, in California. “Partiamo dall’idea di casa che ci viene dal cliente: ognuna diversa, ognuna parte di una storia unica. La discutiamo insieme per delinearne chiaramente i contorni, capendo e registrando ogni esigenza e dando logica ad ogni scelta. Poi, la
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SPECIALE LA MIA PRIMA CASA
progettiamo, la costruiamo o la ristrutturiamo, prendendoci cura di ogni singolo dettaglio.” Sunflower è un’azienda, ma è prima ancora il risultato di un insieme di riflessioni ed esperienze personali. Anche di scelte guidate da puro istinto, quel sesto senso che ti spinge a cimentarti in imprese mai provate prima e a prendere strade non battute. Ben oltre la professione e i piccoli interessi materiali del piano contingente. Il prodotto di un percorso non convenzionale ma ormai ben collaudato e sempre in evoluzione. Sunflower progetta e costruisce case ecosostenibili a basso consumo alimentate da fonti rinnovabili secondo i più rigorosi standard di certificazione. Il team di progettisti e l’impresa lavorano in dialogo continuo per dare alla luce ogni nuova casa. Viene curato l’aspetto architettonico esterno e lo stile degli interni per rendere unico e speciale ogni nido: un vero e proprio progetto chiavi in mano. “Farsi casa è un viaggio molto importante nella vita di una persona. Tanti si
Vi presentiamo un connubio di forze. Vi presentiamo lo yin e lo yang della complessa ma affascinante arte di costruire case sartoriali. Margherita Benintendi e Luigino Bassetto. La coesione di attitudini, il rispetto delle differenze, il riconoscimento delle competenze, l’alternanza partecipata di due mondi apparentemente lontani, seduti al tavolo definito “tavolo delle interviste” sono davvero rare di questi tempi. Lei è una curandera del marketing, emana chiarezza e apertura; lui è un uomo solido, di poche parole, di grande presenza, lascia spazio nel silenzio che concede compiaciuto e ammirato. Una complicità professionale che si può toccare. Margherita e Luigino sono i protagonisti di questo spazio che sarebbe bello non definire. Ma la scrittura ha questo delicato compito di raccontare, di rendere fruibile un pensiero o un ideale. La GSE costruisce case da 3 generazioni, Margherita con Sunflower è nel
lanciano da molto alto... senza paracadute. Sottovalutano un’impresa che in realtà è estremamente complessa e richiede grande competenza. È un errore che ho vissuto sulla mia pelle quando feci la mia prima casa, e se potessi mandare un messaggio alla me di allora, le consiglierei di cercare il giusto aiuto. Ma non posso e forse è anche per questo che mi piace così tanto affiancare i miei clienti nelle mille scelte che si trovano davanti. Adoro accompagnarli lungo tutto il viaggio che va dal sogno iniziale al progetto alla costruzione e all’allestimento, fino ai più piccoli grandi dettagli. Ogni volta è un viaggio pieno di scoperte e ispirazioni anche per noi, e tutti insieme cresciamo e passiamo momenti che non potremo mai dimenticare. È un’esperienza tutta da vivere, qualcosa che non si riesce nemmeno a raccontare, tanto è speciale.” È un’esperienza così formativa e importante che, una volta nata ogni casa, l’amicizia non si ferma di certo, per cui Sunflower è anche quel che si dice una community. Chiunque si sia fatto una casa Sunflower e ci abiti, non importa da quanto, ha qualcosa di molto
marketing fin dall’inizio della sua carriera professionale. Ha imparato sul campo e dalla filosofia americana cosa significa trasmettere il valore e le qualità di un prodotto e i 12 anni di cantieri che ha voluto vivere per sapere, vedere e toccare davvero come si fa, hanno plasmato il suo forte intuito con una pragmaticità inusuale. Ancora i 12 traslochi, che presto diventeranno 13, l’hanno fatta conoscere nel nostro territorio come la donna che abita le sue case e poi le vende così come stanno, abitate e arricchite. L’incontro tra le due realtà avviene nel 2012 quando Sunflower esisteva indipendente già da alcuni anni e la GSE da decenni, un incontro favorito dall’amico, “un tecnico preparatissimo”, ci dice Luigino, Carlo Pizzolon con il famoso “ti devo presentare una persona” ha innescato un sistema virtuoso insospettabile. Dopo un mese dalla loro conoscenza, Margherita nel bel mezzo di un affare che si stava ingarbugliando alla presenza di clienti e mediatore si apparta e chiama il signor GSE : “ Bassetto, ho bisogno del maschio Alfa!”.
speciale che lo accomuna agli altri. Un modo di concepire l’abitare in cui la casa riveste un ruolo fondamentale: il luogo di benessere per eccellenza dove rigenerarsi. La community festeggia ogni nuova casa. È un momento importante, un’occasione per fermarci ad apprezzare tutto ciò che abbiamo costruito assieme e condividerlo con i nostri amici. Abbiamo subito colto l’occasione di sostenere l’antologia “La mia prima casa”, la raccolta di racconti scritti durante i mesi del COVID su iniziativa di Treviso Città & Storie e il Portolano, la scuola di scrittura narrativa e autobiografica che opera a Treviso da dodici anni. Risuona bene col mondo in cui noi di Sunflower operiamo ogni giorno. Ci è piaciuta da subito l’idea di storie così diverse ma con cui riusciamo sempre in qualche modo a identificarci. È proprio nello spirito Sunflower questa idea di tante persone con tante storie e altrettante case. Storie di vita vera, idealmente in dialogo fra loro per formare nuove reti sulle quali comunicare, sperimentare, condividere e viaggiare in modi sempre nuovi.
Luigino con determinazione, abilità, tempestività e capacità di risoluzione ha sistemato l’affare. Si sono affermati, conosciuti, misurati e rispettati nel campo. Da quel momento in poi si è innescata una sorta di effetto domino: “abbiamo cominciato costruendo le nostre case, poi quelle dei nostri amici e dei nostri clienti, concretizzando nel tempo lo stile Sunflower.” Hanno affinato via via un processo di avvicinamento ad ottenere il risultato ideale tra quello che il cliente desidera, quello che Sunflower propone e quello che realmente verrà realizzato.
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SPECIALE LA MIA PRIMA CASA
RACCONTO #01
Semplicemente Sognando DI PEDRO AVERSA
Se ripenso alla mia prima casa non posso non ricordare il ticchettio dell’acqua piovana. Las escobas, el moncho e i tanti, tanti secchi d’acqua sporca che la mattina i miei scolavano direttamente in strada. Quella casa aveva giusto qualche problemino con la pioggia. Probabilmente erano gli infissi delle finestre; avevano un’inclinazione particolare. Fuori misura direbbero alcuni; ingeniería argentina, direbbero altri. Situata nella periferia di La Plata; ci ho vissuto fino all’età di sette anni. Sette anni indelebili nella mia mente. Il mio primo ricordo è tra quelle quattro mura. Avevo quattro anni e mi trovavo di fronte a un vecchio tavolo di compensato. Circondato da muri di un ciano sbiadito guardavo mia madre chiedendole un qualcosa ormai perduto negli angoli più nascosti della mente. Gli odori caldi e tropicali de las jerbas para el mate li conservo ancora per le notti insonni. Quel tavolo mi arrivava al mento. Era d’un rosso granata spesso cinque o sette centimetri. Sembrava enorme, ma forse perché lo guardavo con gli occhi di un bimbo. La casa, a dirla tutta, era poco più di metà di quella in cui abito attualmente. Due stanze da letto, una cucina-soggiorno-sala da pranzo, un bagno senza porta e un patio di collegamento tra la mia casa e quella della nonna, grigio e senza un solo albero; abbellito solamente dalla parrilla para l’asado e da Puci, il nostro gattino tigrato, che mio padre odiava (non chiedetemi il perché). Purtroppo ero piccolo, per cui non ricordo bene tutti i particolari: le macchie d’umidità, i topi che vivevano sotto le tubature del lavabo, las cucarachas che mia mamma ammazzava ogni giorno. Tutti questi dettagli non hanno lasciato traccia dentro di me. Anche se non faccio fatica a credere a mio padre quando mi racconta che una volta ho dormito con una tarantola vicino ai piedi. Quello che ricordo, però, è la cucina abbassata rispetto a tutto il resto della casa, con uno scalino che ti trasportava dal caldo parquet da due euro (ehm pesos, scusate) al freddo cemento granulato, eseguito da mani poco esperte, giacché le mie macchinine si bloccavano spesso sulle irregolarità del pavimento. Poi c’era, sulla
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destra, rispetto alla porta principale, la “sala da pranzo/soggiorno” con il tavolo di cui parlavo prima e un televisore a tubo catodico probabilmente di 20 pollici. Ricordo piacevolmente le serate trascorse a guardare la serie tv di Batman (non il cartone animato, ma quella bellissima trashata degli anni ‘60 con Adam West). Andando avanti ci si trovava di fronte a una porta doppia (il perché non l’ho mai capito) che portava alla camera dei miei e subito prima, un corridoio stretto verso sinistra portava al bagno. La mia camera (in condivisione con mia sorella) era situata dall’entrata tutta a destra. Forse l’unica stanza che pareva una stanza. Il bagno, completamente piastrellato d’un bianco indaco, era senza bidet, con la doccia attaccata al cesso, come su quei camper da 9 metri quadri che si vedono nelle serie tv su Real-time. Al posto della porta c’era una tenda per interni con binari, fatta di dodici, tredici striature, color nulla; ottime per garantire la privacy. Per finire in bellezza gli optional della casa consistevano in: finestre ingabbiate, con una gabbia interna ed una esterna, per evitare che los villeros entrassero a rubare; una porta d’ingresso antiproiettile di una tonnellata abbondante, composta da cinque o sei lastre d’acciaio e, dulcis in fundo, la pistola d’ordinanza di mio padre, deposta ogni giorno in cima al frigo, pallottole recuperate al mercato nero incluse. Vedete, in fondo quella casa non era così male. Nonostante fosse progettata da un orbo, grande come una casa delle Barbie e comoda come i sedili posteriori di una Panda dell’86 aveva un qualcosa di speciale. Un qualcosa che ancora oggi non sono riuscito a trovare in nessun’altra casa in cui ho vissuto. Vita. Aveva vita. In quella casa, che ormai non so più che fine abbia fatto, ho lasciato la mia infanzia, i miei amici; ho lasciato sette anni, forse i più importanti della mia vita. Quel che sono ora è fiorito da quelle fondamenta malconce e piene di infiltrazioni. Quella sera, la sera in cui l’acqua ha allagato la mia vecchia casa, sono rimasto per ore sdraiato sul letto a specchiarmi su quel mare misto fogna, sognando. Semplicemente Sognando.
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SPECIALE LA MIA PRIMA CASA
RACCONTO #02
Cannaregio 3693/a DI ANNALISA BRUNI
Venezia. Calle del Traghetto a San Felice, ultimo portone a destra (arrivando dal Campo) prima del pontile in legno, con le gondole attraccate. Una breve scala fino a un piccolo ballatoio, prima dello scalone nobile che porta agli appartamenti. Sulla sinistra il portone di casa nostra. Dove stavamo noi credo abitasse, in origine, il custode del palazzo. Un lungo corridoio, una porta a metà, sulla sinistra, sempre chiusa, sulla destra quasi di fronte una finestra che si affacciava su uno stretto cortile, una porta in fondo era l’ingresso alla porzione destinata a noi tre, mia mamma, mio papà e io (Casa Bruni). Il corridoio svoltava poi a destra e si apriva subito sulla sinistra in un grande salone (a me sembrava così, allora, ma me ne sono andata quando avevo sei anni, non l’ho più rivista la casa della mia infanzia, quindi sono sicura che le dimensioni reali siano nettamente ridotte rispetto all’immagine che mi è rimasta, piccola com’ero). Lì abitavano i miei nonni con due zii (Casa Torma, parola che in ungherese vuol dire “cren”). Li chiamavo così ma non erano veramente i miei nonni né i miei zii. Itala, la “nonna”, era la sorella di mia mamma, 25 anni di differenza, quindi lei sì era mia zia. Ferry, suo marito, di conseguenza era mio zio acquisito. Quelli che chiamavo, o meglio, che in famiglia mi avevano indotto a chiamare “zii”, Tullio e Gisanna (in rigoroso ordine di apparizione, cioè di nascita) erano pertanto i miei cugini. Tutti i miei nonni veri erano già morti: certe bugie si inventano per amore, alle volte. Il corridoio a “elle”, dunque, si concludeva in una stanza cieca che a destra immetteva nella cucina e a sinistra dava sulla camera dei “nonni”, con balconcino sul Canal Grande, di fronte a Ca’ Pesaro, stanza che includeva l’unico bagno della casa (anche della nostra: noi tre avevamo solo un water, ma di questo dirò dopo, finiamo intanto questo giro in Casa Torma). Da questa stanza, una porta sulla parete di sinistra metteva in comunicazione con il salone (trifora sotto il portico del Traghetto di San Felice; tavolo e mobili in radica, divano e due poltrone con un tessuto fantasia a grosse rose rosa) sulla cui parete di sinistra a sua volta si apriva la porta della stanza “dei ragazzi” (divisa da un tramezzo in legno dotato di porta; prima si entrava nella “camera” di Tullio, poi si accedeva in quella di Gisanna e da lì un’altra porta metteva in comunicazione le due abitazioni: Casa Torma e Casa Bruni). Il tramezzo non
arrivava fino al soffitto, si fermava a una certa altezza per cui, stando in piedi sul letto di ciascuno dei due (erano entrambi appoggiati alla parete per il lato lungo) ci si poteva agevolmente affacciare sull’altra stanza. Fu per questa abitudine che Gisanna, la volta che si ubriacò, riuscì a vomitare in testa a suo fratello. Torniamo nel corridoio d’ingresso. Apriamo la porta in fondo, prima di girare a destra per entrare dai Torma. Casa Bruni. Un salottino con divano/letto (dove dormivo io) di finta pelle rossa, appoggiato alla parete di destra, di fronte, due poltrone di finta pelle gialla. Luogo di ritrovo degli amici dei miei per ascoltare dischi jazz, discutere di politica, di sindacato/scuola e di letteratura (io venivo messa a dormire nel lettone, altra stanza di cui dirò, e poi, finita la serata, traslocata nel mio). Oltre al salottino, nella prima stanza era stato ricavata una zona pranzo, con tavolo e quattro (o sei?) sedie e una credenza in legno di abete, credo (era chiaro) stile tirolese, forse: sulle ante del mobile erano intagliati animali, cervi o qualcosa di simile. Da qui due porte: quella di destra (quasi sempre chiusa) immetteva nella camera da letto di Gisanna di cui ho detto (quando se ne andò, una volta sposata, per pochi mesi divenne la mia, prima che ci trasferissimo a Mestre, nel 1962, il giorno che Marylin Monroe fu suicidata); quella di sinistra, in realtà non c’era, era stata tolta per lasciare più spazio a uno stanzino di passaggio, la “cucina”, su cui si apriva “il gabinetto” sulla sinistra, con funzioni di acquaio anche per lavare i piatti oltre che per le nostre quotidiane abluzioni (il bagno si faceva dai “nonni”, una volta la settimana: solo lì c’era l’acqua calda). La camera da letto dei miei era l’ultima stanza di Casa Bruni e il lettone era appoggiato, di testa, a quella porta sempre chiusa del corridoio d’ingresso. Un percorso circolare. Finito. C’era una sola stufa per tutti, sistemata a metà di quello che in realtà era un appartamento unico, adattato alle esigenze di due famiglie, di fronte alla sala. Una stufa a carbone che scaldava soprattutto la sala da pranzo/salotto dei nonni. Per questo la porta di casa nostra d’inverno era sempre aperta. Maglioni a strati, borsa dell’acqua calda prima di infilarsi sotto le lenzuola. E berretto di lana, nei giorni più freddi.
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SPECIALE LA MIA PRIMA CASA
RACCONTO #03
Sono diventata grande DI LAURA GIACOMEL
La mia prima casa si chiama Mia con la emme maiuscola e sta dentro un’altra casa che si chiama Sua. Con la esse spietata. Mia me l’ha regalata papà: è fatta di cartone con disegnati i fiori rossi, il sole giallo con i raggi e le nuvole bianche dappertutto; ha la porta come quella dei saloon, ci passiamo io e il mio bassotto Lucky, e una finestra sul tetto sempre aperta. Quando d’estate lascio Mia nell’orto ci entrano i grilli e le lucciole, le foglie arancioni dell’olmo in autunno, il profumo di grandiflora in primavera e, se potessi lasciarla anche in inverno, ci entrerebbero i fiocchi di neve e la luce di gennaio color latte. Ci sto bene dentro a Mia. Come nella tasca interna della giacca, sopra il petto, come sul cuscino di piume o nell’abbraccio di papà o nella pancia prima di nascere. O come nei sogni. Al sicuro. Dentro alla mia prima casa non arriva la puzza di broccoli lessati e uova sode sbucciate e nemmeno le urla di mamma: chiudo per bene la porta, copro la finestra con i rami secchi e le urla restano fuori da me. Una sera fa freddo, è novembre, dopo i morti. La mamma accende il fuoco del camino, poi si mette a preparare la cena e inizia a chiamarmi con la ruggine in gola. Io ho paura, conosco quella voce, corro a nascondermi dentro Mia e non rispondo. “Esci da quella scatola!” Ma io non esco. “È ora che butti quel coso di cartone!” Strilla talmente forte che nonostante abbia tappato tutto, le sue urla mi graffiano il cuore. “Sei diventata grande!” Ma io sono ancora piccola. Poi minaccia che se non esco entro dieci minuti verrà a prendermi e distruggerà la mia prima casa. Io ho ancora paura, non mi fido di lei, sto raggomitolata nel mio maglione di lana blu, recito l’Ave Maria, prometto a Gesù di essere brava, non dire bugie e non rubare. E gli chiedo di non farmi
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diventare grande, per favore. Dopo un po’ arrivano papà e la quiete. Lui mi chiama e io esco dalla mia prima casa ed entro nella casa di mamma. Sua. A tavola il silenzio parla con la voce di Mike Bongiorno alla TV, gli occhi guardano i piatti sporchi e il mio maglione blu puzza di minestra di broccoli e uova sode. Papà si è riempito quattro volte il bicchiere di Barbera. Io ho ingurgitato quattro volte bocconi schifosi. Il camino brucia legna secca e sputa fiamme alte e solide. Finito di cenare papà beve l’ultimo bicchiere di rosso, si alza, è ubriaco, e per poco non cade a terra. La mamma, che è seduta a guardare Mike Bongiorno, lo accompagna a letto. Io intanto lavo i piatti, come ogni sera. Stare dentro Sua, la casa di mamma, non mi piace. È buia e fredda, anche ad agosto. Ogni stanza ha un cattivo odore: la cucina sa di sedano e manzo bollito a dicembre, di cipolle e asparagi lessati ad aprile e di vomito gli altri mesi dell’anno; il bagno sa di varechina in ammollo mista a urina di papà che non tira mai l’acqua e piscia in piedi; il salotto, con il cellophane e due dita di polvere sopra sedie e divano, sa di muffa che ricopre il muro a nord; e la camera da letto matrimoniale ha l’odore del sesso. La mamma arriva in cucina. Lucky guaisce, sotto il tavolo. La mamma tiene Mia tra le mani. E la butta a terra. Ci mette sopra i piedi. Schiaccia. Calpesta. Sfonda le pareti. Trancia i fiori rossi. Spegne il sole con i raggi. Cancella le nuvole bianche dappertutto. Abbatte la porta del saloon. Deforma la finestra sul tetto. Frantuma le foglie dell’olmo. Afferra pezzi di Mia. E li getta sul fuoco.
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SPECIALE LA MIA PRIMA CASA
RACCONTO #04
Quando toglievano la luce DI PAOLO LEIBANTI
Nella mia prima casa tolgono la luce a ogni temporale. E non sto parlando di ogni temporale che venga a imperversare proprio sopra di noi: bastano una nuvoletta scura all’orizzonte, un fiacco refolo di vento scappato da una burrasca lontana, un fulmine a chilometri di distanza - un chilometro per ogni tre secondi di ritardo del tuono rispetto al lampo, mi ha insegnato a misurare il maestro - e manca la corrente per ore. Se capita di sera, mia nonna provvede accendendo delle vecchie candele votive incrostate di gocciolature di cera. Le conficca dentro a dei bicchieri pieni di cenere piazzati in mezzo alla tavola, e noi, seduti intorno alle fiammelle tremolanti, ci incantiamo a guardare le nostre ombre ballonzolare sui muri. Quando torna la luce spegniamo le candele non soffiando, perché così lo stoppino esalerebbe un grigio fantasmino di fumo puzzolente, ma soffocando la fiamma tra il pollice e l’indice inumiditi di saliva. A me, che forse non sono abbastanza rapido, resta sempre l’impronta nera dello stoppino sulle punte delle dita, e la pelle lisciata dall’ustione. Nella mia prima casa c’è la camera mia e di mia sorella. Non mi disturba più di tanto la condivisione della stanza, del resto sono io che parlo nel sonno. “Vai! Corri! Passa! Goool!” Sopra la scrivania abbiamo una piccola televisione in bianco e nero senza telecomando, per cui quando serve cambiare canale scendiamo dal letto a turno - ma di solito non serve. Guardiamo Goldrake e Heidi. Un anno vediamo anche la serie giapponese di fantascienza Guerra fra Galassie, nella quale i protagonisti hanno delle spade con la lama laser che spunta al bisogno da un’impugnatura senza elsa. Io me ne costruisco una uguale conficcando in un rametto di sambuco lungo dieci centimetri l’antenna telescopica di una vecchia radio rotta. Nella mia prima casa non c’è riscaldamento. In inverno è caldo solo in cucina, dove c’è il fuoco e ci sono una quindicina di gradi in più rispetto al resto della casa. Le camere da letto sono lontane dalla cucina. Per andare a dormire ci mettiamo pigiama, calzini di lana e sciarpa, e poi ci infiliamo sotto alla còlsara, che sopra ha una coperta rimboccata stretta sotto al materasso per impedire che ci scopriamo rigirandoci nel sonno. Un sarcofago. Un mio cugino si porta un pugnale a letto, come Sandokan quando veniva gettato in mare dentro un sacco in stato di morte apparente. Siccome dormendo scivola sotto anche con la testa, teme di svegliarsi e non saper riemergere, rischiando di morire soffocato.
Per avere un’isoletta di calore in mezzo alle lenzuola gelide usiamo il boccione dell’acqua calda. A volte la guarnizione del tappo del boccione non fa il suo dovere, e così, se per caso lo rovescio, l’acqua pian piano defluisce e impregna il materasso. Quando succede mi sveglio di soprassalto tutto bagnato, e per qualche istante di semi-coscienza tasto il lenzuolo alla ricerca di un pugnale. Nella mia prima casa c’è mio nonno Isidoro, classe 1912, bersagliere prigioniero in Albania, che la mattina si alza cantando. “E adesso che si canta giovinessa, si muore dalla fame e dalla stanchessa.” È un po’ sordo, soprattutto quando mia nonna lo chiama dentro perché fuori farebbe freddo. Parla un dialetto arcaico che integra con un vocabolario personale incomprensibile per i non familiari. Non è che inventi parole nuove, soltanto usa uno stesso termine per indicare due oggetti diversi, senza una logica univoca che possa elevarne la creatività a figura retorica. Rospo è l’anfibio e pure il soprannome con cui chiama mia nonna, sugatoio è l’asciugamano e il pigiama, congeatore è il congelatore a pozzo e il cassone dell’immondizia in strada. Questa ambiguità lessicale porta ogni tanto a qualche inconveniente, come quando abbiamo rinvenuto dei sacchetti pieni di penne di gallina vicino ai polli congelati. Nella mia prima casa c’è mia nonna Giovannina, quella delle candele, che la domenica mattina - ogni domenica mattina - prepara il brodo di carne, perché a pranzo si mangiano il risotto e il lesso. Quando prendo la bronchite, è lei che mi fa le punture. Entra in camera mia portando in mano la scatola di latta contenente il siringone di vetro come fosse una pisside. Poi aspira la penicillina, ne fa uscire una goccia dalla punta dell’ago, mi strofina la culatta con un batuffolo di cotone imbevuto di alcol, e zac. “Ahiaaaa! Bruciaaaaa!” Per favorire la guarigione mi prepara anche degli impacchi con semi di lino che odorano di latte rancido e mi scottano lo sterno. “Rospo, i ga tolto a luce, impissa e candee.” “No e cato altro, me toca stare al scuro.” “Nonni, nonni, dove siete?” Mi sveglio di colpo, e cerco l’interruttore. La lampada sul comodino si accende. Non c’è la còlsara sopra il letto e non c’è una televisione sopra la scrivania. Non c’è nemmeno la scrivania. Mancano un sacco di cose. E io sono asciutto. Tutto asciutto. A parte, adesso, gli occhi.
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SPECIALE LA MIA PRIMA CASA
RACCONTO #05
È solo il tempo che passa DI ENZO TATARANNI
La prima casa di cui ho memoria è la casa dei miei nonni, dove ho vissuto da bambino, dopo che i miei si erano separati. Era una casa con un cortile sul retro, per una buona parte il nonno l'aveva occupato con un piccolo pollaio. Oltre alle galline, appesi al muro c'erano sempre due canarini che cantavano, e c'erano anche un gatto siamese e un cane lupo a fare la guardia. Girava libera per il giardino anche un'oca, doveva essere il pranzo di Natale ma nessuno aveva avuto il coraggio di ucciderla, la chiamavano Renata, perché ricordava nel modo di fare non so che parente lontana. La casa era grande e aveva tre camere, ma stavamo stretti, perché i fratelli di mia madre vivevano ancora tutti insieme, all'epoca. In una camera dormivamo io e mia madre con la zia Anna e sua figlia Beatrice, che aveva qualche anno più di me. Anche Anna aveva divorziato ed era tornata nella casa natia con un bambino in più. Nella seconda camera dormivano tutte le altre donne della casa, la nonna e le altre zie non sposate: Maddalena, che faceva l'infermiera ed era sempre indaffarata con le pulizie appena tornava a casa, e Lia, la più giovane, che aveva appena preso il diploma e ascoltava musica tutto il tempo. La terza camera, la più grande, era la camera degli uomini: il nonno, il signore assoluto delle sue galline, gran bestemmiatore; lo zio Ermanno, che fumava, fumava sempre, qualsiasi cosa facesse la faceva fumando; lo zio Aldo, che invece beveva, beveva tanto e dormiva quasi tutto il giorno, ufficialmente perché era stanco per via del lavoro; e poi c'era lo zio Rolando, che invece rideva sempre di tutto e senza motivo e sembrava scherzare e prenderti in giro anche quando era serissimo. Il resto della casa era costituito da due bagni, un locale lavanderia dove a turno Anna e mia mamma lavavano e stendevano i panni di tutti, un grande soggiorno, dove la sera andavamo a guardare la tv, e una cucina ancora più grande, dove mangiavamo tutti insieme. Quando cucinava, mia nonna cantava sempre delle strane canzoni in dialetto stretto, che purtroppo non ricordo più, e che forse non ricorda più nessuno al mondo, ormai: cantava con una voce calda e vellutata, che sembrava venire direttamente dal suo grembo fertilissimo, da profondità dell'anima insondabili; mi pareva che quelle melodie nascondessero saggezze precluse al bambino che ero. Fra tutta quella gente, io giocavo per lo più da solo.
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C'era un lungo corridoio che univa la zona giorno alla zona notte, con un pavimento di marmo grigio, freddo e meraviglioso, e io giocavo sempre lì, accovacciato in terra a tutte le ore, con tutti i miei giocattoli intorno, che quasi ostruivano il passaggio alle camere. Alle volte mi si sdraiava vicino il cane lupo. Tutti mi dicevano di non giocare con il cane, perché era pazzo e aveva morso il nonno, una volta. In effetti abbaiava ai vicini in un modo furioso che non ho più rivisto, schiumava letteralmente rabbia ogni volta che vedeva un passante. Ma quando lo accarezzavo, piano, timidamente, lui era capace di restare fermo e buono per ore intere. Avevo appena finito la prima elementare, quindi avevo quasi sette anni, quando mio padre si è rifatto vivo e si è riconciliato con mia madre. Tanto che poi mia madre è rimasta incinta di mia sorella. Allora io e mia madre siamo andati a vivere con lui, in un appartamento di un quartiere popolare. Mia madre era contenta, diceva che eravamo finalmente in una casa normale, rispettabile, ma a me non piaceva. Non c'era giardino, non c'erano animali, né cani né oche, ed eravamo solo in tre, tre e mezzo contando la sorellina che doveva ancora nascere, c'era troppo silenzio, mi mancavano gli zii e i nonni. Non vedevo l'ora di andarli a trovare, pregavo mia madre di andarci non appena possibile. Ma anche lì, proprio mentre stavamo traslocando, qualcosa era cambiato. Allo zio Ermanno, che aveva solo trentanove anni, avevano diagnosticato un brutto cancro. Io ancora non capivo che significato e che ripercussioni questa cosa potesse avere. Ma lo zio Rolando non rideva più, e la nonna non cantava, e Lia non ascoltava più musica, e tutta la casa era molto più silenziosa del normale; e il nonno aveva deciso di smetterla con le galline e aveva cominciato ad ammazzarle tutte, una alla volta. Lo zio Ermanno non mi sembrava poi così diverso, fumava solo un po' di meno, tossiva appena un po' di più, ed era un po' dimagrito, ma non così tanto, secondo me. Lo scrutavo per capirne di più. Una volta se ne è accorto, mi ha guardato anche lui, con degli occhi molto tristi, mi ha sorriso e mi ha dato un buffetto sulla guancia. Non ti preoccupare per me, mi ha detto, va tutto bene, è solo il tempo che passa, prima o poi passa per tutti. Mi pare che la mia infanzia sia finita in quel preciso momento.
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SPECIALE LA MIA PRIMA CASA
RACCONTO #06
La casa alla torre DI MAURO VACCA
Alla fine della salita che dal porto arriva alla Torre c'era la mia prima casa. La facciata irregolare con porte e finestre che a fatica dialogavano tra loro, nascondeva un labirinto. I visitatori della prima volta come in un gioco dovevano indovinare quale delle quattro porte fosse l'ingresso di quella bizzarra abitazione cresciuta insieme a tre generazioni. C'erano la sala e la saletta, il bagno e il bagnetto, la cucina rustica e la cucina nuova, la dispensa, la Camera Grande e le camerette nuove, la terrazza e il terrazzo, i balconi e il poggiolo, poi la casetta dei bagnanti e infine il cortile, teatro permanente e cuore pulsante della famiglia. Una specie di Macondo con tanto di patriarca, mio bisnonno Raffaele, che per variate condizioni geopolitiche non godeva di alcuna autorità. Eclissato da un feroce matriarcato passava le sue giornate seduto sullo sgabello in strada all'ombra della torre. Di prima mattina o di sera tardi chi entrava in casa dalla saletta poteva trovarsi in compagnia di una corpulenta signora in sottoveste e abiti imbastiti che cercava la sua immagine allo specchio troppo in alto per vedere l'orlo della gonna e troppo in basso per giudicarne le spalline, mia zia Graziella fiera nella sua Singer a pedale faceva la sarta a ore perse. Nell'ingresso plebeo c'erano una lugubre pendola e un divano comodo come una bara, imbottito con molle di ferro tenute a bada dalle borchie del vellutino verde pronto a esplodere. Anche la sala aveva un ingresso in strada ma, come fosse Santa, riservata al prete per le benedizioni di Pasqua, e a pochi eletti, l'enologo o il postino Gildo se consegnava un telegramma. La sala austera e proibita nascondeva interrata la più mirabolante delle stanze segrete, la cisterna dell'acqua piovana. Sotto il tappeto al centro del pavimento, quattro piastrelle che formavano un giglio celavano una botola che una volta vidi aprire da nonno Pietro per essere pulita. Ci calarono dentro lo zio Antonio adolescente con un cesto di limoni tagliati e una torcia. Nel cortile, ombelico del mondo, inizio e fine delle mie giornate, due nonni, due bisnonni, due zie e uno zio in perpetuo movimento smontavano il mondo mentre i miei genitori lavoravano. Luogo magico, la dispensa, presidiato tranne di lunedì quando potevo rubare le mandorle nascoste dietro i sacchi della cicerchia senza far cadere i vasoni con i pomodori secchi sfidando in apnea l'odore acre del formaggio e delle acciughe. Il brivido di essere colto in
fragrante dalla nonna Maria che aveva il potere, entrando in una stanza, di capire quello che era successo appena prima. Al suo arrivo i fatti ancora freschi si trasformavano in odori e attraverso le narici raggiungevano la sua mente raccontando l'accaduto, una minaccia per i miei traffici. Nella dispensa recuperavo i soldini lasciati dalla Pantegana in cambio dei primi denti, e non formichina da Milanesi! Dove si mette i soldi una formica? E cosa ne fa di un dente più grande di lei? Che ingenui! Nel cortile lungo il muro delle due cucine una scala di ferro portava al terrazzo, le zie prevenivano la ruggine verniciandola di verde e spesso ci rimanevo incollato. Da un invisibile aiuola emergeva un corteccioso ceppo di vite che in cerca di luce era salito al terrazzo e in agosto regalava ombra a gialli grappoloni di dolcissimo moscato, merce preziosa da vino per preti. Per quella scala viaggiavano su precarie tavole di legno pomodori tagliati a metà coperti di sale da seccare al sole, fichi bianchi e neri, cesti di uva destinata a diventare zibibbo, e catini in legno sbordanti sale marino da spurgare. Il lunedì il cortile da emporio alimentare diventava lavatoio. Lo spettacolo iniziava alle sette di mattina, nonna Maria, la regina madre, apriva gli scuri della Camera e dava inizio ai lavori. Vasconi di coccio smaltato verde, enormi bacinelle di alluminio e secchi di ferro e di zinco con catini di legno e di rame invadevano quel piccolo spazio aperto. Le zie riversavano sugli scogli sotto casa voluminosi fagotti annodati con vecchie lenzuola con gli abiti da lavoro degli uomini per sgrossarli con l'acqua di mare. Le mie nonne, che ho impiegato anni a capire che erano mamma e figlia e si davano del Voi, dirigevano il traffico. Lenzuola reggiseni fazzoletti mutande tovaglioli e calzini, nulla sfuggiva al sapone blu di Marsiglia, l'acqua, anche se centellinata, schizzava ovunque in un turbine di passaggi tra un secchio e l'altro cambiando colore e densità. Le lenzuola stese sulle corde del terrazzo frustate dal vento a 15 nodi sembravano pezzi di nuvole. Il trasferimento nella casa nuova coincise con due fatti: l'acquisto della lavatrice e l'invenzione della privacy. Non potevo accettare che non fossimo collegati al cortile della mia prima casa, come una succursale alla casa madre, sarebbe bastato un corridoio. Stanchi di andare a riprendermi in casa vecchia, i miei genitori per anni mi hanno permesso di trasferirmi il sabato. Senza quel circo mi sentivo perso.
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SPECIALE LA MIA PRIMA CASA
RACCONTO #07
Sole e luna DI FRANCESCA ZANETTE
Penso alla questione che divide la mia famiglia da trent’anni: se sia più buona la polenta bianca o quella gialla. Il lettore sorride, ma s’accorgerà di avere anch’egli un’idea in merito. Il bianco: territorio della nonna paterna. Bianche le tende, bianche le tovaglie, bianca la credenza in legno laccato che riempiva metà parete in sala da pranzo. Bianca la polenta. Mia nonna alzava la fiamma, girava la carne, abbassava la fiamma. Rimestava il caliero con girate veloci alle quali alternava colpetti di mestolo sul fondo. Prendeva il pane, posava sul pane, disponeva i bicchieri, accendeva la radio, abbassava la radio, tornava in cucina. La rivedo mentre si affaccia alla finestra per un rapido saluto alla strada; non riesco a ricordarmela seduta. Di domenica, la famiglia si riuniva al dodicesimo rintocco, a ciascuno la solita sedia. Io, di quasi sette anni, osservavo la semi-luna in centro tavola, candida, elegante attorno alla quale c’era un brulicare da formicaio. Il nonno paterno recuperava il filo nel cassetto mentre la nonna intimava: «Sbrigati, che la polenta fredda è un castigo.» Il giallo, regno della nonna materna. La stufa a legna in cucina scoppiettava persino in certe giornate d’agosto. Guardavo dalla finestrella quei glifi dorati e giocavo a riconoscere volti. In televisione andava “Il pranzo è servito”: le battute di Corrado e il risolino di mia nonna. Camminava ancheggiando a passi misurati. Le mani avevano il dono della vista e mai sbagliavano la sequenza: i piatti gialli per primi, poi tovaglioli, posate e bicchieri; infine acqua, vino, terrine e i vassoi del contorno. Buttava un occhio sulla carne che rosolava, mentre mescolava il caliero con ampi e profondi movimenti circolari. Aspettavo il momento in cui rifaceva il nodo al grembiule: allora lievitava in avanti il seno formoso, diventando una teiera. Chiamati tutti a raccolta, tac! Ribaltava la polenta sul tagliere con una singola mossa; compiaciuta, si adagiava sulla sedia. Osservavo il semi-sole in centro alla tavola, imponente, saldo, finché il nonno affondava la spatola per elargire abbondanti porzioni. Nell’equa alternanza di pranzi domenicali, la vita familiare scivolava regolare, le polente troneggiavano e tra i ghirigori di fumo serpeggiava qualcosa di non detto. La nonna gialla scambiava occhiate con il nonno giallo; la nonna bianca, in piedi dietro al nonno bianco, gli appoggiava una mano sulla spalla. Un ronzio di chiacchiere e stoviglie e mosche silenziose a fare da aureola. Fino al giorno in cui, nell’ora della scarpetta, dissi: «La polenta gialla è più buona.» Ancora adesso, pensandoci, riconosco la sensazione di
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quando si fa cadere un vaso. Silenzio. La stanza divenne una foto in bianco e nero; i miei familiari, figurine staccate dallo sfondo. «Non credo tu sia abbastanza grande da sapere cosa sia migliore» intervenne mia madre. Senza staccare lo sguardo dal piatto precisai: «La gialla ha più gusto.» Una nonna si accomodò sullo schienale, l’altra cominciò a strofinare i fornelli. «Prima di prendere una decisione, vanno soppesati tutti gli elementi;» spiegò mio padre lisciandosi i baffi «bisogna prendere un foglio, dividerlo a metà: su un lato elencare i pro, sull’altra i contro.» «La polenta bianca» replicai «è più liquida e cola dalla forchetta.» «Apposta per prendere bene il sugo, no?» La voce magra della nonna paterna giunse da un angolo e rivolta al marito aggiunse: «Dì anche tu che ho ragione!» I nonni si riempirono il bicchiere a vicenda senza dire una parola. Nei minuti di silenzio che seguirono, nessuno portò alla bocca un solo boccone di polenta. La nonna materna mi porse un piatto: una polpetta adagiata sopra un cuscino d’oro. Strizzatina d’occhio e un invito ammiccante con la testa. «Eh no! Questa no!» la nonna bianca gettò il canovaccio nel lavabo. «Si era deciso di non influenzare la bambina.» «Pare proprio che abbia scelto da sola» ribatté l’altra nonna. «Chissà. Passa più pomeriggi da voi che con noi. L’occasione di infilarle in testa idee strane l’avete, eccome.» «Cosa mi tocca sentire. Voi invece? Non perdete occasione di portarla a Messa voialtri; e in primo banco, ad annasare incensi.» «Fa il pari con l’aria socialista che si respira in questa casa.» Si mise in punta di piedi, l’altra gonfiò il petto, l’una serrò le labbra, l’altra alzò il sopracciglio. «Mamma, calmati» intervenne mio padre «ragioniamo se quest’argomento sia pertinente. Prendiamo un foglio, soppesiamo bene le parole e…» «Come no. È chiaro quello che si vuol fare: prima la polenta gialla, poi le lodi a Craxi; il passo è breve.» «Bacia banchi.» «Semina eresie.» La polpetta di fronte a me pareva l’immagine di Saturno a pagina cento del sussidiario. Allungai la mano; mia madre mi fulminò con lo sguardo. In fondo alla tavola, i nonni discutevano della potatura delle viti: un tale Mario, cognato del compare di mio nonno materno, sosteneva infatti che bisognava aspettare altri quindici giorni.
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SPECIALE LA MIA PRIMA CASA
RACCONTO #08
Uva agostina DI ELIA ZORDAN
Io sono il più grande dei miei fratelli e fino a una certa soglia della vita sarò anche il primo a fare le cose. Il primo ad andare a scuola, per primo a dormire a casa di un amico, a mettere l’apparecchio ai denti a nove anni. Ora, di anni, ne ho solo otto, “solo” si fa per dire perché per fare otto ci vogliono due mani, non ne basta una soltanto, come per i miei fratelli. Da grande mamma mi dirà che forse è proprio perché mi è capitato di fare le cose per primo che ho dimostrato sempre un po’ meno coraggio di Daniele e di Michele… Come ogni giorno d’estate, anche oggi abbiamo pregato mamma fin tanto che ha apparecchiato per cena sotto il portico, ci sentiamo così tristi a doverci separare da Garibaldi, il nostro cagnone un po’ bianco e un po’ nero, e mamma non lo vuole proprio dentro casa, dice che è troppo grande e grosso. Garibaldi si è steso sotto il tavolo zampe all’aria, tra le nostre gambe nude penzoloni, ha la lingua rosa tutta di fuori: va matto per i bocconi che non piacciono ai bambini. E a noi piace sentire il morbido del suo pelo sotto le piante dei piedi, è come un tappeto. Io e Daniele cantiamo in coro: “Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una zampa”. Senza che me ne accorgessi è finita l’acqua. Bisogna andare a prenderne di fresca e visto che sono io il più grande tocca a me, ma rimando più che posso. La cantina è un posto dietro la casa, così buio che non si vede il fondo, dove accanto alle vecchie botti con i ragni ci sono le bottiglie in fresco. Le mette mamma laggiù, quando torniamo dal paese delle fontane. Papà mi ha richiamato per la seconda volta: non posso più far finta di niente, e nemmeno fare la faccia triste serve a qualcosa. Prendo la bottiglia vuota, mi alzo tenendo ben stretto il broncio, giro attorno al tavolo e giro l’angolo della casa, mi incammino pian piano verso la cantina. Ed eccomi, immobile sull’uscio, con i chicchi dell’uva agostina ancora da un lato della bocca. Non resisto più: tra poco masticherò e ingoierò e sarà il momento di entrare. La frescura della sera mi accarezza la pelle nuda della schiena e l’odore bruno della cantina pizzica nel naso a ogni respiro. Ma se trattengo il fiato so venire la vocina del buio. Mi vengono i brividi solo a pensarci: sbatto con le ciabatte sul marciapiede e respiro liscio, per non sentirla, anche se so che sotto sotto c’è. Nemmeno Garibaldi vuole mai entrare e farmi compagnia,
rimane fuori a guaire aspettando che io esca, e appena qualcuno lo chiama dal portico, “Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una zampa”, corre via lasciandomi solo. Credo sia per questo che in futuro mi gongolerò a dire che preferisco di gran lunga l’infedeltà dichiarata dei gatti. Intorno alla nostra casa la campagna già dorme, cullata dal frinire sottile dei grilli, riesco a distinguere le voci che vengono dal portico: le urla di Daniele, il piangere di Michele, i richiami di mamma e di papà. E aspetto. Che gridino: “Lele sbrigati”, se mi sento chiamare ho un po’ più coraggio. E se rispondo a voce alta con delle parole strambe che non esistono, dal portico domandano forte: “Che cosa Lele?”, “Che cosa?”, così faccio capire a tutti se mi trovo ancora sull’uscio o vicino le bici o già in fondo, dove ci sono le bottiglie. E la paura si rimpicciolisce quel tanto che basta per farmi arrivare fino a dove devo prendere l’acqua e correre fuori e tornare a sedermi sotto il portico, pieno di sollievo. Da più grande battezzerò questa mia invenzione… ponte radio. Ma questa sera nessuno mi chiama. Mi sembra di essere qui da un secolo e non ho più uva in bocca, la brezza sulla schiena mi fa venire i brividi come la vocina del buio che sento quando trattengo il respiro. Tra un momento entrerò, di corsa, e correndo fuori veloce a più non posso con la bottiglia in mano inciamperò per colpa delle ciabatte e mi romperò i denti davanti. Strillerò. Piangerò. Verranno tutti a vedere masticando la braciola, anche Garibaldi, un osso, e Michele mi offrirà un pezzo di mollica umida della sua saliva. Mamma mi dirà: “Non è niente”. Di stare tranquillo. Che passa subito. Un giorno mi racconterà di oggi dicendo che appena sentito il rumore di me che cadevo aveva già capito, capito tutto ancora prima di vedermi per terra… Domani, invece, con un sorriso estivo sulle labbra, forse perché starà credendo ciecamente alle parole di papà, mi prometterà che a settembre, prima che inizi la scuola, andremo ad abitare in una casa tutta nuova, vicino al mare. Ma da quelle finestre si vedrà ancora solamente solo campagna, come ora. E il prossimo anno, a luglio, mi manderanno in colonia in montagna e mentre sarò via, Daniele cadrà e si romperà i denti. Ma lui non piangerà, perché sono stato io il primo a rompermeli. Mamma ripete sempre che con le ciabatte da mare non si corre…
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SPECIALE LA MIA PRIMA CASA
“Vengo a vedere da dove parti, per ascoltare dove vuoi andare e dove posso guidarti” questo è solo il primo passo che viene mosso, attraverso una sorta di intervista/scambio a tutti i componenti della famiglia, compresi i bambini, che porta ad evoluzione l’antico modo di fare casa. Dal realistico ma tragicamente attuale esempio del film del 1948 “La casa dei nostri sogni” all’innovativo esempio proposto da Sunflower, che viene bene sintetizzato nella rappresentazione dell’ultimo passo: a casa o complesso di case ultimate, il cliente ora divenuto inevitabilmente amico, condivide la gioia della sua casa in un evento (“open-house”), aprendo per un giorno l’intimità del proprio spazio ad amici, ospiti e conoscenti in un'atmosfera di festa che si trasformerà ben presto in community.
Ti invitiamo a partire con noi
Un’esperienza unica 1. Ascoltiamo Partiamo con l’ascoltare i tuoi desideri e analizziamo assieme le tue esigenze abitative. Budget e tempistica sono alla base del successo del progetto. Ti aiutiamo a comprendere cosa ti serve per stare bene in uno spazio che ti rappresenta. Intorno ai tuoi desideri, costruiamo il tuo lifestyle. 2. Progettiamo Ci piace curare ogni dettaglio, rendere unico il tuo ambiente progettando gli esterni e tutto quello che succede all’interno: finiture, materiali, tessuti, arredi, illuminazione… Scegliamo assieme le soluzioni tecniche legate all’impiantistica per creare il comfort che desideri. 3. Costruiamo Amiamo costruire, ce l’abbiamo nel sangue. Seguiamo ogni fase costruttiva e ci assicuriamo che tutto sia eseguito a regola d’arte. Vieni a trovarci in cantiere e guarda il tuo sogno diventare il tuo quotidiano di domani!
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4. Festeggiamo Farti casa con Sunflower sarà un’esperienza indimenticabile che cambierà il tuo senso dell’abitare. Costruire casa assieme sarà un viaggio straordinario che ci legherà per sempre… perché i rapporti nascono nello scambio, nella condivisione di momenti belli e meno belli, che però una volta superati ti riempiono di soddisfazione per il risultato ottenuto. Perché accontentarsi di un viaggio ordinario, quando si ha la possibilità di farne uno straordinario? È solo questione di scelta.
SPECIALE LA MIA PRIMA CASA
Un processo di avvicinamento fatto di pochi ma solidi passi per ottenere il risultato ideale tra quello che il cliente desidera, quello che Sunflower propone e quello che realmente verrĂ realizzato.
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SPECIALE LA MIA PRIMA CASA
QUESTIONARIO
La casa giusta per te 1. Quale tra i racconti ti è piaciuto di più? 1
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2. Una stanza vuota: ti stimola l’immaginazione o te la inibisce? stimola inibisce
8. Potere all’essenziale o saggia combinazione di stili sovrapposti? essenziale combinazione di stili 9. La libreria fa arredamento o è una cornice che contiene una passione? fa arredamento
3. A cosa rinunceresti: ad un paesaggio bucolico o alla comodità dei negozi sotto casa? paesaggio bucolico
contiene una passione 10. Qual è la stanza che senti più vicina alla tua indole?
negozi sotto casa 4. Il tuo hobby richiede strumenti ingombranti? si
11. Tra queste case, quale sceglieresti?
no
5. Ami organizzare cene con i tuoi amici in ogni buona occasione? si
no
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6. Piante e fiori, un impegno o un piacere? impegno piacere 7. Qual è la casa della quale conservi i più bei ricordi?
Richiedi la tua consulenza Inviateci una foto del questionario compilato per darci modo di conoscervi meglio ed offrirvi una consulenza gratuita sulla casa giusta per voi. info@sunflowerworlds.com
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STARE BENE
Remedium Medical HUB DI A.C.
Ambulatori Specialistici
Prevenzione, diagnosi e cura Il centro medico Remedium offre molteplici prestazioni sanitarie in regime privato, dalle visite mediche specialistiche alla fisioterapia, dalla medicina sportiva alla diagnostica di laboratorio. L’obiettivo di Remedium è quello di mettere al centro della propria attività le esigenze del paziente e la sua salute, ponendo attenzione all’approccio umano. Il tutto contornato dalla competenza professionale e dalla preparazione degli specialisti del centro, che contribuiscono a soddisfare ogni bisogno di diagnosi e cura.
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I medici e gli specialisti del centro sono altamente qualificati e sono costantemente aggiornati sull’evoluzione della ricerca e sulle ultime tecnologie adottate nella sfera della propria specializzazione. Rivolgersi al centro Remedium significa usufruire di tecnologie mediche e diagnostiche di ultima generazione. Questo permette di migliorare l’esperienza del paziente in ogni aspetto, riducendo i tempi di ogni trattamento e mettendo a punto un piano clinico personalizzato. L’offerta del centro medico è ampia e copre molte branche specialistiche. Dermatologia Allergologia Cardiologia Diabetologia Otorinolaringoiatria Angiologia e linfodranaggi Ortopedia Fisiatria Medicina sportiva
Senologia Ginecologia Ecografia Neurologia Oculistica Endocrinologia Chirurgia plastica Agopuntura Reumatologia
STARE BENE
Fisioterapia
L’equipe riabilitativa concilia diverse figure sanitarie. I nostri fisioterapisti sono motivati e addestrati per accompagnare i pazienti nei loro percorsi di recupero. Le terapie possono essere svolte sia su base individuale che in gruppo, il tutto sempre sotto l’attenta sorveglianza degli ortopedici e dei fisiatri, che prescrivono programmi di cura su misura.
Rinnovo della patente di guida In Remedium è possibile richiedere la visita per il rinnovo della patente di guida di tutte le categorie (A, B, C, D). Le visite si svolgono in ambulatori appropriati e funzionali, dotati di tutti gli strumenti necessari alla valutazione dell’idoneità alla guida. Le visite vengono effettuate regolarmente ogni settimana, previo appuntamento. Remedium ha anche allestito un percorso ad hoc per il rinnovo della patente dei pazienti diabetici, comprensivo di esami del sangue, visita cardiologica, oculistica e diabetologica necessarie a ottenere il rinnovo. Tutte le visite in un unico posto, con tempi di attesa ridotti e rilascio diretto della patente. Per chi lo richiedesse è anche possibile ottenere il rilascio del porto d’arma (per difesa personale, attività sportiva o licenza di caccia).
Laboratorio di analisi cliniche
Medicina Sportiva
Il laboratorio esegue sia analisi di routine (esami su sangue e su altri materiali biologici) che esami specialistici come dosaggi ormonali, tamponi, test delle intolleranze ed esami in biologia molecolare. Per tutti coloro che ne hanno necessità Remedium mette a disposizione il servizio di prelievi del sangue direttamente a domicilio, con la possibilità concordare il giorno e l’orario del prelievo.
Dove Siamo L’allenamento regolare non ha un valore esclusivamente estetico ma è considerato una vera e propria terapia preventiva. I vantaggi offerti dallo sport sono innumerevoli: lo sport irrobustisce il cuore, aumenta l’irrorazione dei tessuti, rinforza le articolazioni, migliora l’efficienza del sistema immunitario e aiuta a scongiurare condizioni pericolose come il diabete, l’ansia e lo stress. In Remedium le visite per il rilascio dei certificati sportivi vengono svolte da medici meticolosi e premurosi, che dedicano a ciascuno sportivo il tempo necessario alla valutazione del suo stato di salute e propongono consigli per migliorare lo status fisico e i traguardi sportivi.
Remedium Medical HUB ha sede a Quinto di Treviso (TV), sulla Statale Postumia 12, di fronte all’ultima uscita della tangenziale di Paese (direzione Castelfranco V.to). La facile accessibilità dalla città e dai paesi limitrofi, unitamente al comodo e ampio parcheggio, rendono la struttura comoda per chiunque.
Visite agonistiche / Visite non agonistiche
TREVISO città&storie
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Medical Noalese
Armonia è Salute e Bellezza
Odontoiatria avanzata Restaurativa estetica Pedodonzia Ortodonzia mobile, fissa e invisibile Protesi fissa e mobile Gnatologia Parodontologia Implantologia Chirurgia maxillofacciale
Medicina estetica Ringiovanimento viso e corpo Chirurgia dermatologica AdipositĂ localizzate e cellulite Cicatrici - Esiti cicatriziali Smagliature Patologie Vascolari Inestetismi viso e corpo ObesitĂ Neoformazioni cutanee Lifting non chirurgico Blefaroplastica non chirurgica
Medical Noalese Via Noalese, 51/a 31100 Treviso tel. 0422 430205 cell. 338 5217312 studioteschioni@gmail.com studioteschioni.it
Nutrizione funzionale: anche d'estate puoi!
STARE BENE
N DELLA DOTT.SSA NADIA SORATO
egli anni ho potuto constatare che nel periodo estivo - complice il caldo, la voglia di qualcosa di fresco, la tendenza a cucinare meno per non accendere fuoco e forno, la dieta si tramuta in una vera e propria “sagra del conservato”
Molto spesso infatti estate e giornate calde significano grandi insalatone con scatolette (tonno, sgombro, mais, legumi…), affettati, formaggi freschi e voglia di qualcosa di fresco come il gelato in tutte le sue forme! Quando utilizzi alimenti variamente conservati devi sapere che la tua dieta: 1. si arricchisce di grassi 2. si arricchisce di sale 3. si impoverisce di micronutrienti (come vitamine e sali minerali) Ricorda che per ogni pasto che fai con un alimento conservato/confezionato togli dalla tua dieta un alimento fresco. Ci sono 14 pasti principali (tra pranzi e cene) nella tua dieta, di cui almeno uno è in genere un pasto libero non proprio dietetico. Te ne restano 13 in cui utilizzare alimenti freschi. Quando, oltre all’uscita libera, fai 2-3 pasti con alimenti conservati significa che un quarto dei tuoi pasti principali si allontana da ciò che vuoi ottenere! Ho quindi pensato di raccogliere un po’ idee affinché tu possa comprendere come in realtà sia semplice seguire una alimentazione equilibrata anche durante la stagione più calda: oggi ti parlerò di insalatone e di prosciutto e melone.
Le Insalatone
L’insalatona è un piatto unico comodo e veloce da preparare. Purtroppo però viene spesso composta con alimenti variamente conservati: tonno, sgombro, mozzarella, mais o piselli in scatola, olive, gamberetti in salamoia, affettati, formaggi stagionati, ecc. Fai attenzione: è la frequenza che fa il danno! Questo significa che occasionalmente, quando proprio non sei riuscito ad organizzarti altrimenti, è possibile utilizzare un alimento conservato, tuttavia l’uso dei prodotti confezionati/conservati deve essere il più possibile occasionale. Come posso comporre delle insalatone che siano fresche ma che rispettino anche delle corrette regole nutrizionali? Ecco alcuni consigli. 1. Comporre insalatone con il pesce Non arrenderti ad utilizzare la classica scatoletta di tonno o sgombro e cerca di usare con parsimonia anche il pesce affumicato (salmone e pesce spada). Puoi preparare l’insalatona usando pesce fresco: gamberi, gamberetti, polpo, seppie, ecc. si prestano molto bene a questo fine.
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Possono essere semplicemente bolliti o saltati velocemente in padella (richiedono giusto qualche minuto di cottura) e conditi con un filo d’olio, prezzemolo o erba cipollina e magari qualche goccia di limone e conservati in frigo per essere aggiunti alle verdure miste della tua insalatona. Puoi anche grigliare del salmone o del tonno o del pesce spada la sera prima, ma anche dei medaglioni di palombo o di coda di rospo. Lasciali raffreddare e poi conservali in frigo fino al giorno dopo per aggiungerlo alle verdure miste. 2. Comporre insalatone con la carne Puoi optare per la Cesar Salad tanto amata dal popolo anglosassone e rivisitata in versione light senza salse. Basta preparare del pollo grigliato, tagliarlo a listarelle e aggiungerlo ad una buona lattuga o indivia belga. Invece di utilizzare affettati puoi optare per il roastbeef (se hai una pentola a pressione è anche molto semplice preparalo in casa). Se ti piace la carne cruda puoi anche usare una tartare di manzo condita con del semplice succo di limone e dell’olio extravergine di oliva o un carpaccio di manzo Non dimenticarti del bollito! Ormai è una preparazione in disuso, ma in realtà può dare un bel po’ di varietà alla dieta. Puoi usare tagli di carne anche abbastanza economici come il biancostato, la punta di petto o il reale. Fai raffreddare il bollito, riducilo a sfilacci il giorno dopo ed usalo con della salsa verde accompagnato da verdure croccanti. 3. Comporre insalatone con i legumi I legumi contengono degli antinutrienti importanti (le lectine e le saponine) che interferiscono con il corretto assorbimento di vitamine e minerali. Una corretta modalità di cottura è fondamentale per migliorarne la digeribilità ed eliminare gli antinutrienti. Ecco come li puoi cuocere. Lava sempre accuratamente i legumi secchi, mettili in ammollo in acqua per almeno 12 ore prima di cucinarli e cambia frequentemente l'acqua. Aggiungi poco bicarbonato di sodio in ammollo per meglio neutralizzare le lectine e un pezzetto di alga kombu per diminuire il potere gasogeno Elimina l'acqua di ammollo e sciacqua. Cuoci per almeno 25 minuti in pentola a pressione (per la quantità di acqua e il tempo preciso segui le istruzioni della tua pentola a pressione) Elimina l’acqua di cottura. Se proprio non hai tempo puoi utilizzare legumi in vaso di vetro, sciacquandoli bene e possibilmente ricuocendoli velocemente. Evita l’utilizzo di legumi in barattolo di latta: la latta rilascia sostanze nell’acqua di immersione e può risultare nociva in caso di allergie (al nichel o ad alcuni metalli) o in caso di problematiche intestinali. Ricorda che il mais non è un legume né una verdura, ma un cereale e pertanto non rientra in questa categoria. Una volta che hai lessato i legumi li puoi ripassare in padella o al forno con delle spezie per insaporirli e renderli anche più croccanti, così da dare un gusto diverso alla tua insalatona.
STARE BENE
4. Comporre insalatone con le uova Non dimenticare le uova. Sono un alimento molto pratico: puoi preparare il classico uovo sodo, ma puoi anche strapazzarlo velocemente in padella oppure cuocerlo al microonde in apposito contenitore. 5. L’insalatona fuori casa Se ti trovi a consumare una insalatona fuori casa abbi l’accortezza di: - farla preparare con una unica parte proteica (quindi carne o pesce o uova o formaggio) - evitare l’aggiunta di mais o piselli o altri legumi/cereali conservati in scatola - chiedere che non sia già condita in modo da poterla condire in autonomia. Ovviamente nel caso tu ti ritrovi a consumare l’insalatona fuori casa è molto probabile che vengano utilizzati alimenti conservati. Cerca di prediligere le uova, se invece le uova non sono disponibili o per qualche motivo non le puoi mangiare (allergie, ecc) puoi optare per una parte proteica conservata tenendo nota che poi, quando mangerai a casa, cercherai di utilizzare il più possibile ingredienti freschi.
Prosciutto e Melone
Dopo qualche ricetta passiamo ad un altro piatto prettamente estivo, il Prosciutto e Melone. Questo è proprio un piatto che richiama l’estate, il caldo e anche la poca voglia di cucinare. Tuttavia è un piatto che nasconde delle insidie e ci sono delle regole da rispettare per far sì che il suo consumo con interferisca con il tuo percorso di consapevolezza alimentare e di ricerca dell’equilibrio nutrizionale. Il prosciutto crudo, che peraltro io consiglio spesso e volentieri nelle diete, è un alimento conservato e che apporta un bel po’ di sale. In genere lo introduco a colazione o occasionalmente al pasto in quantità moderata indicando sempre che il prosciutto crudo deve essere di ottima qualità, preferibilmente un prodotto DOP. L’apporto di sale, che diventa eccessivo quando il prosciutto o i prodotti conservati vengono consumati con elevata frequenza, non è collegato solo al peggioramento del rischio cardiovascolare e di ipertensione, ma anche con la diminuzione dell’assorbimento del calcio. Nelle donne in menopausa, come anche in tutte le persone sopra i 50 anni, è opportuno evitare pasti troppo ricchi di sale per prevenire osteopenia e osteporosi. Il melone è invece un frutto, ricco di acqua e di zucchero della frutta. Ogni 100 g di melone apportano 7,4 g di zucchero, l’equivalente di una bustina e mezza. Questo significa che se fai cena con mezzo melone potresti arrivare a consumare l’equivalente di 5-6 bustine di zucchero in un solo pasto. Uno zucchero che è peraltro molto disponibile perché il melone è un frutto acquoso e povero di fibre, molecole che aiutano a controllare il carico glicemico del pasto.
Quali accorgimenti puoi quindi adottare? 1. Consuma questo piatto non più di 1 volta alla settimana 2. Utilizza solo prosciutto crudo di ottima qualità 3. Non esagerare con il prosciutto, in media la porzione per la donna è di 60 g, per l’uomo anche 80-90 g 4. Non esagerare con il melone, mangiane solo 2-3 fette piccole 5. Abbina sempre una buona quantità di verdura cruda o cotta secondo il tuo gusto: la fibra della verdura intrappola gli zuccheri, abbassando il carico glicemico del pasto e la disponibilità degli zuccheri, oltre ad aiutare a saziarti Quali alternative ho a disposizione? Comprendo che possano capitare più giorni in cui non hai voglia di cucinare, ecco quindi alcune idee per un pasto fresco con proteine animali che si prepara senza accendere i fornelli. 1. Puoi usare del carpaccio crudo di vitello o di manzo, accompagnato da una insalata di valeriana, rucola e carote grattugiate o cetrioli. Condisci il tutto con una emulsione di olio EVO, sale, pepe e aceto balsamico senza zuccheri o succo di limone 2. Puoi farti preparare una tartare di manzo o di vitello dal tuo macellaio di fiducia. Provala condita con un po’ di olio EVO, qualche goccia di succo di limone, qualche goccia di tabasco, una punta di senape e qualche cappero 3. Puoi utilizzare del roastbeef, anche in questo caso abbinato ad una bella insalata Per i miei pazienti ho preparato una intera guida ai pasti estivi con anche tante ricette! Se desideri riceverla, puoi scrivere a info@studionutrizionefunzionale.it, sarò felice di condividerla anche con te!
Dott.ssa Nadia Sorato La dr.ssa Nadia Sorato è Biotecnologo e Biologo Nutrizionista e da 7 anni svolge la professione a Silea. Ha orientato i suoi studi alla medicina e alla nutrizione funzionale, fondamentali per proporre al paziente le associazioni di cibi corrette per stimolare il processo di guarigione in moltissime patologie. Ricopre incarichi di docenza ed è relatrice in eventi nazionali nei quali insegna ai colleghi come applicare correttamente la nutrizione funzionale per il trattamento di patologie complesse.
Memory Bowl Un'insalatona per migliorare memoria e concentrazione, con pesce ricco di omega 3. Ingredienti Trancio di salmone selvaggio o trancio di tonno (fresco o superfrost), valeriana, rucola, broccoli, 10g di pistacchi tostati non salati o 10g di semi di zucca/girasole, pane integrale Cuoci in padella antiaderente il trancio di pesce a fuoco vivace, un paio di minuti per lato (l’interno non deve essere cotto). Taglia a fettine. Cuoci a vapore le teste del broccolo (puoi farlo anche il giorno prima per averle fredde). Taglia il pane a crostini e saltalo in padella con rosmarino, timo e giusto un filo d’olio. Componi l’insalatona mettendo in una terrina la valeriana e la rucola, aggiungi i broccoli cotti e le fettine di pesce. Decora con i pistacchi (o i semi) tritati grossolanamente e con i crostini di pane. Condisci con una emulsione di olio extravergine di oliva, sale, pepe, aceto balsamico senza zuccheri e senza coloranti.
Bowl con melanzane e ceci Ingredienti ceci, valeriana, rucola, melanzane, zucchine, 10 g di mandorle affettate o noci, riso venere Lessa i ceci come precedentemente indicato. Saltali in padella con un filo di olio extravergine di oliva, rosmarino e paprika o curcuma se ti piacciono. Lessa anche il riso venere, non condirlo. Taglia a rondelle le zucchine e le melanzane e grigliale. Componi l’insalatona mettendo in una terrina la valeriana e la rucola, aggiungi le zucchine e le melanzane grigliate, i ceci saltati, il riso e decora con le mandorle affettate o con le noci tritate. Condisci con una emulsione di olio extravergine di oliva, sale, pepe, aceto balsamico senza zuccheri e senza coloranti.
Contatti Piazza Europa 17 Silea info@studionutrizionefunzionale.it 0422 1740177 392 9923150
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SAPORI
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gni volta che prendo in mano la penna per abbozzare questa pagina è una volta nuova, e questa volta lo spunto me l’hanno dato le tante letture che mi hanno aiutato ad ammazzare il tempo durante la quarantena governativa. Una piccola premessa: in cucina i giovani chef prendono ispirazione dai piatti dei grandi Maestri e ne traggono spunto: i più discreti non lo fanno per copiare ma perché una ricetta particolarmente ben riuscita è, spesso, anche una sorta di unità di misura gastronomica. Anch’io per questo pezzo ho preso spunto da alcune pubblicazioni di grandi maestri ed uno in particolare lo voglio citare, perché oltre alla sua affermata attività ed ai suoi ristoranti stellati presenti in diversi Paesi del mondo, si è preso la briga di dar vita a parecchie iniziative di carattere umanitario e di scrivere un libro, ove non sono contenute ricette ma un’analisi etica del cibo e dei processi agroalimentari. Sto parlando di monsieur Alain Ducasse. Questo per introdurvi al fatto che oggi leggerete di cibo ovviamente, ma analizzato da una prospettiva diversa rispetto a quella da cui solitamente ne parlo: per una volta abbandono il gusto ed il palato e lo tratto dal punto di vista etico e di impatto ambientale. Il cibo, in fin dei conti, nella nostra vita non è solo piacere, né tantomeno solo piatti da postare nei social network ma è anche qualcosa di storico e per certi versi sacro. Non si tratta solo di nutrizione, proteine e calorie. Si tratta di tradizione e condivisione; si tratta di onestà e di identità. L’antropologia alimentare andrebbe davvero studiata alla scuola elementare (la rima non è cercata ma casuale). La ristorazione dal suo canto non parte più, oramai da anni e per fortuna aggiungo, dall’arrivo delle materie prime al ristorante ma parte dalle campagne, dagli allevamenti, dai pescatori oltre che dai vignaioli e dagli oleifici, e avanti di questo passo interessando una lunga filiera. Perché dietro ad un piatto o ad un ingrediente ci sono la
storia di interi territori ed il lavoro, l’impegno ed il sacrificio di uomini e donne che credono nella terra e nella sana alimentazione. Il cibo vissuto con abbondanza è spesso, dopo le guerre e le carestie patite dai nostri nonni, segnale di benessere: ben venga il “ben esseDI ANDREA CARTAPATTI re” ma attenzione perché la linea di confine verso l’eccesso è sottile, e non mi riferisco al mangiare troppo (lungi da me il mettervi a dieta) ma allo spreco. Già nel 1891 Pellegrino Artusi, in quello che è ancora ad oggi il testo più famoso sulla cucina italiana, il suo “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, riportava che “Lo spreco è un peccato ed è altrettanto volgare - se non peggio - dell’ostentazione”. Personalmente posso privarmi di un paio jeans che non mi vanno più bene, piuttosto che di un oggetto divenuto obsoleto e mal funzionante, ma se vedo scene di spreco alimentare o cibi gettati perché dimenticati, e quindi avariati, do letteralmente di testa! Uno degli obblighi morali della nostra generazione è lottare per limitare lo spreco alimentare, grande mostro che sta mettendo in crisi molte risorse del pianeta e che cresce a dismisura, spesso alimentato da una parvenza di falso “ben essere” e da tanto marketing spicciolo. Riflettiamoci quando siamo in giro a fare la spesa, ma anche quando siamo al ristorante. La fame è, ahimè, ancora oggi uno dei flagelli dell’umanità: e pensare che il cibo dovrebbe essere, innanzitutto, un diritto di tutti gli uomini e di tutte le donne! Il terzo diritto, dopo il diritto alla vita ed alla libertà. Fino a quando non saremo convinti di voler “giocare questa partita” sarà inutile parlare di qualità, provenienza, cibo genuino, chilometro “zero-uno-nessuno-centomila” e quant’altro oggi impera sui media in modo asettico e fine a se stesso, o con lo solo scopo del post acchiappa likes... L'atto di mangiare comporta la responsabilità di tutti e di ciascuno, attraverso una grande filiera che va dalla terra sino al piatto passando per il prossimo, è pertanto un comportamento che richiede attenzione e rispetto. Scegliendo di mangiare un certo prodotto, invece di un altro, abbiamo il potere di distruggere lentamente la nostra salute e quella del pianeta. Ecco perché mangiare e rispettare il cibo costituisce un vero “atto civico”.
Se siamo, è perché mangiamo 54
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Avrei dovuto concludere il pezzo, come al solito, con la mia frase distintiva che è diventata anche un hashtag e che è “perdere un sapore è perdere un sapere” ma questa volta preferisco evitare perché invece del sapore stiamo perdendo solo il sapere, ma soprattutto stiamo perdendo tutti assieme la partita più importante per la quale siamo al mondo: vivere per traghettare alle future generazioni un mondo, anche alimentare, migliore. Buone riflessioni e buona estate! @ANDREFOODANDBEVERAGE
SAPORI
C o c e k e f tail f o C
Sole, caldo e aperitivi, queste sono le tre cose che in un estate non mancheranno mai. Ritrovarsi con gli amici dopo una giornata di lavoro o studio a sorseggiare un buon cocktail, ci fa rilassare e staccare dalla routine lavorativa per qualche istante. D’inverno ci facciamo coccolare dalla dolcezza e dal tepore di un espresso, d’estate la voglia di freschezza e di leggerezza ci fa amare un buon cocktail ghiacciato. Perché non unire il gusto del nostro amato caffe con un classico dei cocktail per l’aperitivo? Per molti potrebbe sembrare anomalo, invece per noi di Bloom la declinazione del caffè in tutte le sue sfaccettature è la normalità, la nostra passione per il caffè è una delle basi su cui si fonda il nostro locale. Con il caffe ci si può sbizzarrire e divertire anche nella creazione di cocktail o nella rivisitazione dei classici che vanno sempre di moda. Nulla nei nostri menu è lasciato al caso, ogni proposta è studiata e calibrata per proporre un’esperienza fuori dall’ordinario. Ogni giorno pensiamo insieme a una proposta che possa divertire e stupire, da qui sono nati i nostri coffee cocktail; vogliamo poter far vivere al nostro cliente un’esperienza diversa dall’ordinario.
PH. LUIGI BONAVENTURA
Benedetta Bloom coffee specialist
Via San Liberale 10, 31100 TV @bloom_feedyourmind #Imbloom
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tavola con la a Pe tti
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Tu
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Smoothiamo l'anguria DI ELISA PERILLO KIDS FOODBLOGGER, PER LA VOGLIA DI VIVERE
Delicato, rinfrescante, va giù che è un piacere ed è velocissimo da fare. Questo smoothie all’anguria è l’ideale per una merenda estiva o per iniziare la giornata in modo diverso dal solito.
Ingredienti (per 2 bicchieri)
Procedimento
200 gr di anguria 150 gr di yogurt bianco intero 3 o 4 cubetti di ghiaccio menta per decorare
Tagliate l’anguria in pezzi e privatela dei semi (per praticità potete prendere quelle piccole che ne hanno molto pochi). Frullatela in un frullatore alla massima velocità con lo yogurt e 3 o 4 cubetti di ghiaccio fino ad ottenere una bevanda un po’ cremosa. Servite con una fogliolina di menta. Se lo yogurt non è tanto dolce, potete aggiungere mezzo cucchiaino di zucchero di canna.
R I C E T TA D I S P O N I B I L E S U L S I T O W W W. P E R I A N D T H E K I T C H E N . C O M
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A,
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RIST OR
Scansionami
TE, PIZZER N A I
UN VIAGGIO ALLA SCOPERTA DEI SAPORI MEDITERRANEI Tel: +39 0422 912197 Via Solferino, 1 31020 Carità di Villorba
Siamo tornati
con le nostre specialità Á VIT O N
PIZZA Le nostre pizze sono preparate con impasti ottenuti esclusivamente dalle migliori miscele di grani italiani e con una lunga lievitazione (di almeno 48h). Tra i nostri ingredienti spiccano il nobile pomodoro San Marzano, l’inconfondibile mozzarella di bufala campana D.O.P. e le migliori verdure fresche di stagione e a “km zero”.
PAELLA Proponiamo una squisita Paella in 2 versioni: l’autentica ed originale Valenciana con pesce, carne e verdure ed una versione mediterranea di solo pesce e verdure. Le nostre Paellas sono preparate al momento con ingredienti freschi e genuini.
happy our! Uno spriz o un calice di un buon vino e “ciccheti” a volontà! Vi aspettiamo per trascorrere insieme l’orario dell’aperitivo e per brindare in compagnia!
È POSSIBILE ORDINARE IL VOSTRO PIATTO O PIZZA PREFERITA ANCHE PER L’ASPORTO!
Pane, amore e caffè Arianna e Mirco non sono figli d'arte. “Ci siamo creati e fatti da soli.” Mirco ha cominciato prestissimo all'età di 14 anni come garzone in un panificio molto noto e da allora ha sempre continuato a fare il panettiere con molto impegno e dedizione. “Sedici anni fa ci siamo conosciuti, - ci racconta Arianna - io facevo tutt'altro lavoro, ma vista la passione per il suo di lavoro ho deciso di lasciare il mio e seguirlo.” Nel 2007 rilevarono un piccolo panificio a Selva del Montello, partirono da soli sorretti dalla grande passione di Mirco che via via è divenuta la passione anche di Arianna. Nel 2010 nonostante i momenti di crisi economica hanno deciso di aprire un panificio più grande aggiungendo anche la caffetteria. Mossa azzeccata la loro! Una formula che per la piazza fu una novità assoluta accolta dai clienti con grande entusiasmo. Dieci anni di grande impegno, molti sacrifici e continui aggiornamenti e formazione sia di panificazione per Mirco e di caffetteria per Arianna che da una decina di anni fa parte dell'accademia Vergnano: “Questo mi ha permesso di fare il mio lavoro di barista in modo serio ed efficiente. Ho imparato in modo corretto come fare un buon caffè". Il 2020 è l’anno della nuova apertura a Spresiano, il secondo panificio caffetteria che coniuga le due esperienze, il gusto di un buon caffè fatto ad arte e la creazione di impasti di qualità: “Un paese che ci sta dando tante tante soddisfazioni.” Insieme ad una super squadra composta da 13 collaboratori, Arianna e Mirco portano avanti il mestiere di panificatori, un mestiere che nessuno vuole più fare, visti i concreti sacrifici di cui necessita quest’arte. Ma è evidente che loro ci credono. L’aria profumata dalle prelibatezze appena sfornate si diffonde nei locali esprimendo tutta la devozione del loro lavoro. “Produciamo tutto con le nostre mani, dai croissant al pane, dai dolci ai grissini alle fette biscottate, dalle pizze a qualsiasi tipo di biscotto. Tutto con materie prime di qualità." Tutto fatto nel silenzio della notte che attende l’alba e poi il risveglio delle persone, pronte per nutrirsi dell’amore, la costanza e la professionalità di Arianna e Mirco che tengono alto il valore delle cose semplici ed essenziali. Panificio Caffetteria Visentin Piazza Luciano Rigo 47, 31027 Spresiano (TV) - 0422 1490314 Via Schiavonesca Nuova 361/A, 31040 Selva del Montello (TV) - 0423 871550 lun–ven: 7–18 / sabato: 7–14 domenica chiuso
HAPPINEZ
HappiNez
Quello che verrà DI STEFANIA MARIA AIDA VECCHIA
FB Stefania Vecchia IG stefania_e_brie
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l cambio di casa è un evento travolgente oltre ad essere stravolgente. Non ci avevo fatto caso, queste due parole raccontano di un momento e di un modo che indica una direzione.
Ho cambiato casa e con questa eclissi di luna mi è arrivata chiara la visione della chiusura di un lungo ciclo e il momento di volgermi verso ciò che verrà.
Il mio primo insegnante di Meditazione, Satyam Umberto Bidinotto (fondatore nel 1990 del centro OMC a Ponzano, che da settembre si sposterà a Santa Maria del Rovere) mi ha aperto le porte al Diamond Logos, originato da Faisal Muqaddam che con A.H. Almaas ha creato il “Diamond Approach” e che Satyam ha tradotto come Percorso dell’Essenza. Una mappa, una trasmissione che riattiva qualcosa che abbiamo tutti dentro di noi per riportare alla luce la meraviglia che siamo. Il DL è un percorso, un insegnamento e un metodo per la consapevolezza di sé. Descrivere questo lavoro, che contempla in sé anche insegnamenti Sufi, necessita di spazio e vi invito a ricercare se vi incuriosisce. Racconta dell’essere umano in maniera molto approfondita, dando senso e significato attraverso colori archetipi e molto altro, a gran parte di ciò che facciamo.
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“Diamonds are the girl’s best friend” cantava Marilyn Monroe e probabilmente non si riferiva ai Diamanti come Guida interiore, ma come i Diamanti nella sua canzone anche la nostra Guida di Diamante rimane splendida e intatta per tutta la Vita. DEL D IAM
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La sospensione temporale vissuta con il Covid ci ha portati un po’ tutti in questa situazione di travolgimento e stravolgimento e O LO MB la domanda che sento porre da varie persone è: “e SI L I adesso cosa accadrà?” Ho imparato, con prove ed errori, e sto ancora praticando l’apprendimento, che indipendentemente da ciò che accade intorno a me la differenza la posso fare io, nel modo in cui guardo a ciò che accade e come agisco.
Quello su cui desidero posare l’attenzione sono due strumenti che troviamo nel percorso Diamond Logos e sono la Guida di Diamante, una Guida che abbiamo all’interno di noi e il Punto di Luce, la nostra specificità.
La Guida di Diamante è sempre disponibile e come ripeteva il mio insegnante, ha una voce delicata e per averne accesso è necessario mettersi in ascolto di noi stessi, un ascolto attento, aperto e curioso. La Guida ci mostra sempre ciò che va bene per noi e cosa no, anche se alle volte è sorprendente ciò che ci indica.
Il Punto di Luce si manifesta attraverso un percorso, fatto anche di meditazione, e per me è stata un’esperienza commovente: l’ho visto come una piccola stella super brillante che racchiudeva i miei talenti. Un’esperienza curiosa, leggera e divertente. Imparare ad utilizzare queste nostre capacità ci aiuta a vivere con Fiducia ciò che c’è e soprattutto ciò che verrà. E qualunque situazione si presenterà, la sapremo accogliere e passarci attraverso, come fece Alice con lo specchio, godendoci il viaggio e quando è difficile facendo tesoro degli insegnamenti che questo avventuroso viaggio ci sta offrendo. Come spesso mi sentirete dire, insieme è più semplice, per cui pronti ad attraversare lo Specchio?
AperiRelais Otto appuntamenti enogastronomici geografici per viandanti curiosi 9 AGOSTO UMBRIA Panzanella /Torta al formaggio/ Pasta alla norcina
17 AGOSTO ISOLA D’ELBA Gurguglione/ Schiacciunta/ Castagnaccio
30 AGOSTO FRANCIA Vichyssoise / Gratin al Munster / Quiche Lorraine
10 AGOSTO CALABRIA Pasta ca’ muddica/ Vrasciuli/ Crostino con ‘nduja
23 AGOSTO GRECIA Pita con salse/ Kolokithokeftedes / Moussaka
31 AGOSTO SPAGNA Tapas miste secondo la fantasia dello chef
16 AGOSTO PUGLIA Focaccia barese/ Orecchiette con le cime di rapa/ Scapece gallipolina
7 o 21 SETTEMBRE SERATA SPECIALE “OSTRICHE E CHAMPAGNE” 50 posti disponibili con prenotazione entro il 20/08 confermando ai nostri contatti.
24 AGOSTO IRLANDA Seafood chowder / Fish & chips/ Cottage pie
Via Ca' Morelli. 25 | 31056 Roncade (TV) | T 0422 841111 | C 346 5765517 | www.relaisvillaselvatico.com
ASTRONUMEROLOGANDO
Il cielo tra astri e numeri
DI PAOLA MARANGONI
Il 2020... oltre il velo
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al punto di vista numerologico il 2020 è un anno con energia 4 (2+0+2+0), ma ad uno sguardo più approfondito è possibile svelare ulteriori energie numeriche vedendolo sia come due 20 affiancati, che ne amplificano l’energia, sia come 22 (20 + 2 + 0). Il numero infatti non è semplicemente un segno utilizzato per contare o esprimere valori, è l’energia che si trova dietro al simbolo, il quale contiene le informazioni codificate con cui la coscienza infinita, alias Dio, sta creando la Vita da Oltre il velo (il simbolo deriva dal greco symbàllò “metto assieme” quindi permette di collegare ad ogni noumeno il corrispondente fenomeno, fa da ponte tra il visibile e l’invisibile. Analizzando allora i significati di tali numeri attraverso la Numerologia Esoterica, quella Sacra, l’I-Ching e le Lettere ebraiche (perché a ciascuna è associato un valore numerico), è possibile estrarre una serie di informazioni che possono fornirci un’idea di cosa stia accadendo e quali forze siano in campo in questo anno davvero “bizzarro”. Nel 2020 stiamo vivendo una prova che consiste nell’osservare e nel sentire gli effetti di tutto ciò che abbiamo creato/manifestato, singolarmente e collettivamente, nelle nostre vite in modo autoreferenziale, cioè senza la consapevolezza del “divino” in noi e del suo sostegno, credendo di poter dominare le leggi dell’Universo. Questa prova è finalizzata ad estrarre
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un potenziale, quello per cui sempre più esseri umani possano rendersi conto del livello di “sconnessione” dalla loro dimensione divina e dalla Sorgente Creativa, che li ha portati a vivere credendo che “tutto dipende da me o da qualcun altro”, mettendo di fatto fuori dalla PORTA la dimensione trascendente, che fa sentire di essere parte di Qualcosa di ben più grande e che sa esattamente “cosa è bene per me”, come tasselli di un puzzle in cui ciascuno contribuisce con la sua unicità a creare il disegno globale. Un processo di gestazione da chi credo di essere a chi sono veramente, da un vecchio ad un nuovo paradigma (di cui si sente parlare almeno dal 2012). Allora per far vedere questo, per estrarre il potenziale, tutto ciò che funzionava fino ad un po’ di tempo fa non può più funzionare, vengono chiuse le porte quando si cerca di fare/risolvere qualcosa pensando di dover portare tutto il peso da soli. È un processo educativo, del resto educare deriva da exducere, tirare fuori e appunto quello che si sta tirando fuori è il potenziale. Poiché il 2020 ci introduce ad un decennio con la ventina, si intuisce che il processo di gestazione verso il parto di chi siamo veramente, nonché di osservazione, durerà per una decina di anni, ma anche che questo è un anno cruciale in quanto apripista che ingloba in sé doppiamente questa energia 20-20. Ciò che sta accadendo all’umanità è
che sta vivendo un passaggio di coscienza epocale di cui si può trovare traccia nelle Sacre Scritture, e precisamente al Capitolo 14 dei versetti 19-20-21 del libro dell’Esodo, dove essotericamente si racconta del passaggio del Mar Rosso da parte degli Ebrei dopo la prigionia in Egitto, mentre esotericamente si parla di altro. L’Egitto simboleggia lo stato di coscienza separativo in cui viviamo prigionieri dell’illusione dell’esteriorità (faccio tutto da me), Israele la terra di latte e miele, cioè lo stato di pace interiore indipendente da ciò che accade all’esterno (mi sento sorretto), vale a dire la realtà oltre le forme (in inglese si scrive Israel, anagramma di Is-real “è reale”). Il mare è la maya, l’illusione della materia (l’acqua deforma la percezione visiva), le nostre emozioni, tutto ciò che ci tiene lontani dalla pace interiore. In altre parole quei 3 versetti parlano della possibilità per ognuno di noi di passare da una vita di separazione interiore ad una di maggiore unità e pace, oltre a contenere “I settantadue Nomi di Dio” o nome Santo e
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Ineffabile dal quale si ricavano i nomi dei 72 Angeli della Kabbalah. Un segno indubbiamente potente. Ma un indizio davvero interessante emerge osservando lo schema seguente, nel quale il numero 21 rappresenta il secolo attuale: 21 2019 2020 Tra il 2019 ed il 2020 si è creata una risonanza con i codici 19-20-21 dei versetti biblici, un passaggio di testimone in una sorta di staffetta traducibile con queste parole “capovolgi la tua prospettiva di visione per lasciar andare il modo di vedere il mondo che hai avuto finora e far spazio dentro di te per ricevere le leggi del governo divino e manifestare quindi nella tua vita in allineamento e armonia con esse”. Anche analizzando le mappe astrologiche si possono estrarre informazioni interessanti su quanto sta accadendo nel 2020, mappe peraltro inestricabilmente collegate coi numeri 4, 20 e 22 (e non solo) che appaiono come indizi lasciati apparentemente qua e là, come in una danza armonica davvero affascinante. A livello astrologico la parte preponderante che sta agendo in linea con quanto sopra esposto è il transito dei saturno (suo governatore), Plutone, Giove, Marte, Mercurio (nelle prime fasi dell’anno) ma soprattutto il nodo sud (alias il karma collettivo) nel segno del Capricorno, archetipicamente associato al modo in cui si utilizzano le risorse nella creazione di strutture, e infatti la sua frase archetipica è “io faccio”. Nella sua ottava più bassa questo segno esprime il massimo attaccamento al piano fisico per cui esiste solo ciò che si vede. Solo la materia sembra dare senso alla vita, ne conseguono ambizione, sete di successo e di potere, controllo, abuso delle risorse, in poche parole il paradigma su cui è stato impostato il mondo che conosciamo. L’energia del Capricorno si evolve alla sua ottava superiore attraverso il meccanismo dell’arresto periodico, che fa crollare sulle ginocchia, affinché vedendo cosa si è prodotto, si possa maturare e ripartire da un livello di coscienza più evoluto. Tutti quei pianeti stanno creando situazioni che possano far crollare sulle ginocchia ciò che non è in linea con le Leggi Cosmiche e chiudere le porte ogni qual volta si cerchi di agire ancora da quella prospettiva. E in particolare un impulso potente a quanto sopra è stato impresso dalla congiunzione
epocale (non si verificava in Capricorno da circa 500 anni) tra Saturno e Plutone del 12 gennaio 2020 al grado “22-esimo” del segno. Un’interessante staffetta tra 2019 e 2020 è quella creata da 6 Noviluni a 4°, equamente divisi, 3 nel 2019 e 3 nel 2020. Numeri che parlano dell’importanza di riconoscersi per esprimersi creativamente all’interno di un progetto da manifestare, e quindi hanno attivato una serie di circostanze per far sì che sempre più persone possano chiedersi “chi sono io davvero?” Perché altrimenti è ben difficile realizzare che non sono ciò che credo di essere e fare spazio alla dimensione trascendente. Nel 3° Novilunio al grado 4, quello del 26 dicembre 2019 proprio in Capricorno, Saturno si trovava al grado 20 del segno il cui simbolo sabiano (i simboli sabiani sono immagini canalizzate da una medium nel secolo scorso associate a ciascuno dei 360° dello zodiaco) parla appunto di “una staffetta” nella partecipazione ad una esperienza collettiva di resurrezione. Coinvolti Marte, Plutone, Nettuno. Nel 6° e ultimo Novilunio al grado 4, del 24 marzo in Ariete, è poi iniziata una successione di NUMERI, estratti dalle rispettive date, che ci stanno accompagnando per 7 cicli lunari fino ad agosto, e raccontano di Luce e Rivelazione, di Visione chiara oltre il fumo del glamour (alias illusioni) di Guarigione, di Nuovo Mondo, e soprattutto di decisioni da prendere in una tensione conflittuale interiore tra passato e futuro. Tutte cose sotto gli occhi di tutti. Giunti ora a metà anno, simbolicamente un picco, uno spartiacque per poter concretizzare nei mesi a seguire le energie in campo, 3 eclissi consecutive dal 5 giugno al 5 luglio, hanno dato un’accelerazione ai processi in atto, come in una sorta di rebooting del PC. E proprio in occasione del Plenilunio in Capricorno del 5 luglio, collegato al corrispondente Novilunio di dicembre 2019 (cioè la raccolta di quella semina), si è avuto un importante passaggio di testimone a marte che stava al grado 4 dell’Ariete, il medesimo di Sole e Luna nel Novilunio del 24 marzo in cui è stato messo il seme di volontà per un nuovo inizio non solo per il 2020 ma per tutto il decennio, con l’energia di impulso dell’Ariete la cui frase è “io sono”. E questa semina ha impulsato il “desiderio di raggiungere un livello di
esistenza più elevato, una nuova dimensione dell’Essere immaginata attraverso un’impresa creativa” corrispondente al simbolo sabiano di quel grado 4 in Ariete, guarda caso proprio ciò a cui ci invita la combinazione 20-4 dell’anno 2020. Impulso che quindi Marte, governatore dell’Ariete ha preso in carico il 5 luglio affinché la sua energia assertiva, quella che alimenta il coraggio, possa accompagnarci per i prossimi 6 mesi, dato che per via della retrogradazione (dalla prospettiva terrestre le diverse velocità di rotazione tra i pianeti, creano talvolta l’illusione ottica che il loro moto si inverta) resterà nel segno ben di più delle usuali 6 settimane, a conferma dell’importanza del suo impulso. 6 mesi a casa propria, l’Ariete, da dove potrà esprimere al top la sua energia assertiva incontrando lungo il suo tragitto altri pianeti forti (Kirone, Lilith ed Eris) creando un fuoco incrociato con i pianeti tutt’ora presenti in Capricorno che continuano l’opera di smantellamento del vecchio paradigma. Tutto ciò fa presagire una seconda metà del 2020 piuttosto calda (Ariete è un segno di fuoco) e movimentata per stimolare la volontà di fare questo passaggio epocale, affinché la gestazione in atto abbia più chance possibili perché emerga da noi stessi la nuova dimensione dell’Essere. Ma di questo racconterò nella prossima puntata.
"Sono Paola Marangoni, da sempre in me è presente la percezione che la Vita non può essere solo ciò che si vede esteriormente. Alcuni anni fa, lungo il mio percorso di ricerca interiore, ho incontrato la numerologia, l’astrologia, le lettere ebraiche, i tarocchi, conoscenze antiche tramandateci per decodificare la danza cosmica di cui ognuno è una componente, e si è risvegliata una passione. Grazie allo studio, alla sperimentazione e appunto alla passione, questi antichi linguaggi simbolici sono divenuti fondamento della mia quotidianità e professionalità, che condivido come letture dei transiti planetari attraverso il nickname OLTRE IL VELO (Facebook, Yo u t u b e , Po d c a s t ) c h e c o m e consulenze individuali per ispirare in ciascuno la visione di questa danza all’interno della propria vita."
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Cinema: Venezia DI SILVANO FOCARELLI
Cannes è saltato ma Venezia no. La 77. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica organizzata dalla Biennale di Venezia e diretta da Alberto Barbera ha battuto anche il Covid e si terrà regolarmente al Lido di Venezia dal 2 al 12 settembre. Ovviamente qualche precauzione bisognerà tenerla, nella prima edizione guidata dal neo presidente della Biennale Roberto Cicutto: per far svolgere la Mostra in sicurezza si seguiranno tutti protocolli anti Covid-19 sulle procedure sanitarie, nel pieno rispetto della salute del pubblico. E proprio per questo il primo evento internazionale post Coronavirus va tradotto in un preciso segnale di ottimismo per l’intero mondo della settima arte, anch’esso duramente colpito dalla pandemia. Una delle conseguenze il numero dei film della selezione ufficiale sarà ridotto, anche se di poco, alla fine i film ufficiali saranno 55, ai quali si aggiunge il calendario della Settimana della Critica e delle Giornate degli Autori. Di contro la sezione Sconfini è stata cancellata per assicurare il maggior numero di posti alle repliche dei film delle sezioni principali. La maggior parte dei film del programma ufficiale sarà replicata ai Cinema Rossini di Venezia e al Centro Culturale Candiani di Mestre, nell’ambito del programma Esterno Notte organizzato dal Circuito Cinema del Comune di Venezia. Nessuna variazione per la sezione Fuori Concorso e Biennale College Cinema. Sarà l’attrice Anna Foglietta la madrina che aprirà la Mostra nella serata di mercoledì 2 settembre, sul palco della Sala Grande (Palazzo del Cinema al Lido), la stessa Foglietta guiderà la cerimonia di chiusura il 12 settembre, durante la quale saranno annunciati i Leoni e gli altri premi ufficiali della 77. Mostra. E poi i Leoni alla carrierea, che quest’anno andranno ad una delle più affermate registe del continente asiatico, Ann Hui, figura cardine della Hong Kong New Wave, e ad un'attrice iconica, la britannica Tilda Swinton, la cui versatilità interpretativa, unita all'androgina bellezza, ne fa un simbolo del cinema contemporaneo. A presiedere la Giuria sarà la nota ed apprezzata attrice australiana Cate Blanchett. Come
Curiosità Bruce Lee era così veloce nell’effettuare le sue mosse di kung fu che i registi dei suoi film erano costretti a rallentare le scene dei suoi combattimenti. La celeberrima scritta Hollywood fu collocata nel 1923 grazie a Mark Sennett, Harry Chandler e il Los Angeles Times. Inizialmente la parola era Hollywoodland per pubblicizzare un progetto immobiliare, poi venne abbreviata in Hollywood. Le lettere sono state restaurate più volte e non sono quelle originali. Il primo film di Hollywood è del 1910: In Old California di D.W. Griffith. È un melodramma biografico su una donna spagnola che ha avuto un figlio illegittimo con un uomo che poi diventerà il governatore della California. La pellicola fu girata in due giorni.
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ogni anno non mancherà il tradizionale red carpet con le sfilate di attori, registi e ospiti da ogni parte del mondo. Si riteneva che quella post Covid potesse diventare un’edizione improntata soprattutto al cinema europeo, non sarà così: ci sono produzioni che arrivano dall’America Latina, dall’India, dalla Cina, dall’Australia e anche dall’Africa. Dice il direttore artistico Alberto Barbera: “La Selezione Ufficiale di Venezia 77, con i suoi 50-55 film provenienti da tutto il mondo, offrirà la consueta panoramica di quanto di meglio l’industria cinematografica ha prodotto negli ultimi mesi, grazie alla risposta straordinaria che registi e produttori hanno saputo dare, pur nelle difficili condizioni di lavoro di questi ultimi mesi. Una nutrita presenza di autori e attori accompagnerà i film al Lido, mentre collegamenti via internet consentiranno la realizzazione di conferenze stampa per tutti coloro che non potranno partecipare di persona, a seguito delle restrizioni di viaggio tuttora attive“. Sono due le novità rilevanti. Dal punto di vista logistico una riguarda le proiezioni: oltre alle sale tradizionalmente allestite al Lido, saranno disponibili anche due arene all’aperto, una ai Giardini della Biennale e una al pattinodromo del Lido. Per quanto concerne la sezione Venezia Classici, sarà ospitata all’interno del programma del Festival “Il Cinema Ritrovato”, lodevole iniziativa promossa dalla Cineteca di Bologna che si svolgerà dal 25 al 31 agosto nella città emiliana. Ed ecco la classifica dei continenti a cui sono andati finora i Leoni d’oro, il riconoscimento più prestigioso. Europa: 11 nazioni hanno vinto 40 Leoni d’oro; Asia: 10 nazioni per 19 Leoni d’oro; America del Nord: una sola nazione, naturalmente gli Usa, ha raccolto da sola 9 Leoni d’oro; America del Sud: una sola nazione ha portato a casa un Leone d’oro: accadde nel 2015 con il film Desde allà del venezuelano Lorenzo Vigas.
Negli Uccelli di Hitchcock del 1963 molti dei volatili erano vivi e vennero legati con fili di nylon all’attrice Tippi Hedren per evitare di farli volare. Alla fine lei, beccata ripetutamente dai volatili, fu ricoverata in ospedale sull’orlo di un esaurimento nervoso. Il film più rifatto in assoluto è “A Christmas Carol”, racconto di Charles Dickens: 9 volte. La prima risale al 1901 ed è quella originale, poi le versioni del 1935, del 1938, del 1952, del 1970, del 1984, del 1988, del 1992 ed infine del 2009. Il film che ha avuto la maggior resa economica nella storia è l’ horror Paranormal attività: costi di produzione di 15.000 $, incasso di oltre 193.000.000 $. Invece Corsari del 1995 ha avuto la maggior perdita: costi di produzione di 115 milioni, incasso di 11 milioni. La parte di Adriana nel film Rocky inizialmente doveva essere assegnata a Susan Sarandon, ma venne considerata troppo carina e
fu scartata. Poi la scelta ricadde su la cantante Cher, infine fu preferita Talia Shire. In Casinò di Scorsese la maggior parte dei dialoghi tra Robert De Niro e Joe Pesci sono improvvisati. Il regista comunicava ai due attori il punto da cui partire e quello a cui arrivare. Il resto era a loro discrezione. Sempre in Casinò, tutti gli interni sono state girati al Riviera tra l’una e le quattro del mattino, in modo che la troupe non s’imbattesse nei veri giocatori d’azzardo. Ugualmente la direzione non voleva essere costretta a fermare il proprio giro di affari per colpa delle riprese. Il film italiano dal titolo più lungo è “Un fatto di sangue nel comune di Siculiana fra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi politici. Amore-Morte-Shimmy. Lugano belle. Tarantelle. Tarallucci e vino”. In America molto opportunamente l’hanno ribattezzato “Revenge”.
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Il film storico:
Giù la testa DI S.F.
Tre anni dopo C’era una volta il West Sergio Leone girò il secondo capitolo della Trilogia del Tempo, che finirà con C’era una volta in America. Film quest’ultimo, una sorta di testamento, che lo assorbì a tal punto da voler affidare la regia di Giù la testa (che avrebbe dovuto chiamarsi C’era una volta la rivoluzione e poi Giù la testa coglione) a Sam Peckimpah: ci ripensò per le insistenze di Rod Steiger e James Coburn, che volevano lavorare solo con lui. A sua volta Coburn era riluttante ad accettare il ruolo del dinamitardo irlandese John Mallory: fu convinto da Henry Fonda, che aveva definito Leone il miglior regista con cui avesse mai lavorato. Ma anche Fonda a suo tempo era stato convinto ad accettare il ruolo in C'era una volta il West da Eli Wallach. Proprio Wallach inizialmente aveva rifiutato il ruolo di Juan Miranda, in seguito lo accettò ma scoprì che era stato già assegnato a Rod Steiger. Film monumentale, soprattutto fortemente politico, al punto da aprirsi con una citazione di Mao (con riferimenti successivi a Bakunin e Marx): “La rivoluzione non è un pranzo di gala, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo, non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia. La rivoluzione è un atto di violenza.” Leone reinventa il west sostituendo i pistoleri con i rivoluzionari, i villaggi disabitati con grandi città, i cavalli con le motociclette, il classico e mitico duello con una giustizia veloce e, appunto, "politica". Ed è una grande e profonda riflessione sull’uomo, sulla civiltà: teniamo presente che fu girato durante gli anni di piombo, John e Juan (stesso nome in due lingue diverse, non è un caso) a loro modo fanno i conti con la conservazione e lo status quo, e con l’illusoria convinzione di poter davvero cambiare con passione ed eroismo le fondamenta della società, nella fattispecie quella messicana. Quello di Leone è un paesaggio dell’anima, il pensiero tradotto in forma cinematografica, che spesso sfiora il confine fra cinema e arte e vita. Il suo stile lo si nota subito, nella straordinaria (ed ironica) sequenza iniziale nella carrozza che mostra, con primissimi piani di bocche e occhi di signore e signori che mangiano con voluttà, le differenze sociali e culturali tra gli affamati peones rivoluzionari e i ricchi con la pancia piena. Atteggiamenti tipici del cinema muto ed in particolare a Francesca Bertini (che Scorsese sostiene essere la madre di Leone), che come tutte le attrici dei suoi tempi recitava con gli occhi e con una forte carica espressiva. Da ammirare, soprattutto per gli appassionati, anche le scelte del montaggio di Nino Baragli e l’impatto emotivo che la sublime colonna sonora di Ennio Morricone origina. E qui naturalmente ci piace ricordare il grande Maestro scomparso il 6 luglio, che compose una delle sue più grandi colonne sonore: soltanto lui poteva riuscire a dare ai continui flash-back di Sean/John l'intensità e la commozione necessarie.
GIÙ LA TESTA 1971, Italia, regia di Sergio Leone con Rod Steiger, James Coburn, Romolo Valli, Maria Monti, Rik Battaglia, Franco Graziosi, Antoine Saint-John.
Musica e teatro: Novità assoluta tra gli eventi organizzati dal comune di Treviso il mini festival “Treviso Retrò” che con la direzione artistica di Luisa Trevisi, Valeria Bruniera e Carlo Colombo, si ispira in un delizioso mix artistico tra musica teatro e danze, al periodo che va dagli anni 20 agli anni 50. Carlo Colombo lo ha definito: "Un sogno a ritroso nel tempo per ritrovarsi con musica e teatro in Piazza Santa Maria dei Battuti come se fossimo nella prima metà del secolo scorso". Così racconta la genesi di questo viaggio nel tempo la cantante Valeria Bruniera: "Siamo entusiasti del nuovo festival proposto; la nostra volontà era stimolare un messaggio metaforico per la ripresa della città dopo il lockdown attraverso la rivisitazione degli anni della prima metà del novecento con cui abbiamo trovato equivalenze. Anche in quegli anni difficili dopo la guerra si era manifestato un bisogno di rinascente leggerezza anche attraverso la cultura americana, attraverso il swing che in Italia si chiamava Musica sincopata, attraverso i costumi. Infatti nei nostri spettacoli “Sopravvivere agli anni 20” e “Enciclopedia della donna perfetta” che ironicamente vogliono ricreare quelle atmosfere, così come nei concerti, in cui il ritmo avrà un ruolo focale, vorremmo donare una vitale effervescenza al pubblico anche se non sarà ancora possibile usufruire di ballerini. Io canto swing italiano, le canzoni dei nostri nonni e Carlo Colombo invece spazia tra canzoni americane e italiane." Treviso Retrò dal 25 al 28 agosto Piazza Santa Maria dei Battuti. Importante la prenotazione: ► 25/08 Sopravvivere agli anni ’20 ► 26/08 Enciclopedia della donna perfetta ► 27/08 Swing Italiano Giazzati 4et ► 28/08 Swing d'autore Carlo Colombo 7et Orchestra www.eventbrite.it
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Appuntamenti: Estate incantata, alla ricerca della felicità DI IVANA IVAN
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’è un filo rosso che unisce la nutrita serie di eventi estivi in città. Le visite guidate che si svolgeranno nei giorni 22 agosto e 5 settembre (per info IAT Treviso centro tel. 0422.595780 - email info@turismotreviso.it) sono state denominate Treviso gioiosa in sintonia con il denominatore comune della rassegna estiva di eventi gratuiti organizzata dal comune di Treviso grazie anche al generoso contributo di vari sponsor, “Estate incantata, alla ricerca della felicità". Nello snodarsi della rassegna tra teatro, magia, spettacoli di burattini, cinema d'epoca all'aperto nei quartieri (e anche una rassegna di teatro nei quartieri) traspare l'intento dell'amministrazione e della rete di soggetti coinvolti (tra cui la Camera di Commercio di Treviso e Belluno, le principali associazioni di categoria del territorio, SAVE AerTre e Consorzio del Prosecco DOC) di propagare un’idea di cultura come emozione e benessere. La volontà di creare nuovi scenari più interattivi tra cittadino e museo (si sono svolte anche interessanti rassegne di yoga e arteterapia nei musei, tra molto altro), piazze e che gli stupendi scenari urbanistici cittadini possano essere animati da una vitalità che crei attrazione attraverso un concept di comunicazione vivace e moderno sia verso i cittadini che i turisti, oltre che da eventi di qualità realizzati attraverso valide collaborazioni, è intrisa dal fervore creativo dell’assessore Lavinia Colonna Preti ma sposata anche dagli sponsor (“Da sempre abbiamo attenzione al territorio e operiamo per realizzare sogni e bisogni delle persone “ha affermato il presidente del Centro Marca Banca sostenitore del progetto, Tiziano Cenedese). Il fil rouge in questa estate non solo “rianimata”,dopo i lunghi mesi di chiusura, da eventi di qualità ma anche da formule di marketing culturale che hanno acceso Treviso di "primati", attraversa tutti gli eventi improntati ad una idea “rigenerante” dell’esistenza e non manca mai appunto il legame con la vocazione turistico economica che ha messo a fuoco fino a settembre anche una originale e vivace rassegna di teatro nei luoghi di ristorazione (per info www.temacultura.it). Treviso è stata la prima città in Italia dopo il lockdown a realizzare un concerto dal vivo all'aperto, in Piazza dei Signori, per Red Canzian e la prima ad aprire un nuovo polo museale in Europa, sempre nel periodo successivo all' isolamento, con Ca’ Robegan divenuto a giugno nuovo polo
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museale dell’arte contemporanea ed applicata grazie alla collaborazione con Treviso Ricerca arte e l’università Ca Foscari, in una coniugazione efficace di cultura, formazione ed economia. Treviso ha regalato un’anteprima assoluta multimediale anche all’interno del “Festival della magia” (format ideato dal geniale Walter Rolfo, esperto di processi percettivi legati alla ricerca della felicità, direttore artistico, autore, conduttore e produttore televisivo per Rai, Mediaset e Sky) quest’anno configurato anche come turismo esperienziale e tra vari tour nei luoghi misteriosi della città condotti dagli illusionisti visibili anche su maxischermo alla loggia dei cavalieri o su piattaforma zoom di “Masters of Magic”. Riguardo al grande evento spettacolo della felicità primo coaching show interattivo al mondo dedicato alla creazione della felicità, grazie agli sponsor sono stati messi a disposizione gratuitamente 100 kit interattivi per gli spettatori da casa che hanno visto materializzarsi davanti agli occhi sorprese impossibili, le "scatole della felicità”, a dimostrazione dell’efficacia nel fare sinergia nel coinvolgimento del maggior numero di persone possibili. Fare sinergia è stato anche un efficace risultato nel “Festival dei festival” che ha unito tanti linguaggi artistici diversi negli scenari di Piazza Rinaldi. Il teatro stabile del Veneto ha ripreso con più di 20 spettacoli e 30 serate nell’arco dell’estate la sua nutriente offerta tra sperimentazione e tradizione tra cui spicca per esempio una divertente e geniale rivisitazione del teatro dell’arte e dell’attore con Don Chisciotte a cura di Stivalaccio Teatro (28 e 29 agosto ore 19). Più vicini allo studio e alla sperimentazione sono anche lo spettacolo “Franca, come te solo la Valeri” (1 Settembre, ore 19), un omaggio alla grande artista Franca Valeri interpretata dall’attrice padovana Lucia Schierano in un immaginario dialogo. Dopo il debutto in prima regionale al Castello Carrarese, approda al Del Monaco, Pane o libertà Su la testa (2 e 3 settembre, ore 19) di e con Paolo Rossi, co-produzione con lo Stabile di Bolzano, in cui stand up comedy, commedia dell’arte e commedia greca si mescolano in un solo spettacolo attraverso le voci e storie di grandi autori come Jannacci, Gaber, De Andrè, Fo e persino al fantasma della Callas. Segnaliamo per gli amanti della narrazione anche “Pomo pero dime ‘el vero” (26 e 27 Agosto, ore 19), gioco scenico a cura di
Giorgio Sangati liberamente tratto dai testi di Luigi Meneghello con Laura Cavinato e Valerio Mazzucato, prodotto dall’Associazione Culturale Terracrea, Il camminante. Racconto di un cammino lungo il fiume Piave (09 e 10 settembre, ore 19). In scena Mirko Artuso, autore e interprete trevigiano, narra il suo cammino durato nove giorni lungo il Piave con l’accompagnamento musicale della band rock/blues degli Hanky Panky. L’estate al Del Monaco ha anche una sfumatura jazz. Nell’ambito del Treviso Suona Jazz Festival (4 settembre, ore 20.45), la formazione dell’icona del jazz italiano ed internazionale recentemente premiato “Musicista Italiano dell’anno”, Enrico Rava Quartet sale sul palco del teatro cittadino per una serata di pura energia. Per quanto riguarda i cinema all'aperto, il necessario distanziamento sociale non ha impedito l'affluenza per tutta l'estate ai numerosi cineforum cittadini tra il Drive in dietro la Chiesa votiva, il Cine retro organizzato dal comune nei vari quartieri (fino al 2 settembre alle ore 21) e le belle proposte di Cineforum Labirinto in prato Fiera. Segnaliamo la eccezionale proiezione di Roma di Federico Fellini, seconda rivisitazione affidata ad una vecchia macchina a carboni Victoria del ’59 alla Chiesa Votiva in occasione del centenario dalla nascita del regista. La “pizza” cinematografica originale sarà fornita dalla cineteca nazionale di Roma che la conserva negli archivi di Cinecittà.Negli ultimi anni grazie al premio di sceneggiatura dedicato a Vincenzoni, ad una mostra realizzata presso gli spazi del cinema Aurora due anni fa e all'impegno dell'associazione Cineforum Labirinto, Treviso sta divulgando il suo straordinario connubio con la storia del cinema, ignoto ai più e reso emblematico non solo dai natali trevigiani di Vincenzoni e del grande illustratore Renato Casaro, ma anche dalla presenza così numerosa, negli anni d'oro, di cinema nel centro storico,ora quasi tutti scomparsi. Ma l'impegno della Treviso film commission ha riportato da qualche anno fermento nella produzione cinematografica in città e nella provincia. Tutti gli eventi di Estate incantata sono gratuiti. Il programma completo di Estate incantata 2020 su www.comune.treviso.it/ estate-incantata-2020-alla-ricerca-della-felicita
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Il divario tra Abraham Lincoln e Fedez
DI EDOARDO GRECO E FRANCESCO DOIMO
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uriosando tra la Rete è interessante provare questo esperimento: digitate Abraham Lincoln e date un’occhiata alle rispettive immagini; poi cercate Fedez e soffermatevi sulle foto. Passare dall’uno all’altro non si sa bene che effetti possa avere, per questo è consigliabile essere rilassati, possibilmente seduti. Vi accorgete subito la differenza sostanziale tra le due epoche: l’unicità. Nel caso del celebre presidente avremmo una foto identificativa sua, scelta anche per essere stampata sui cinque dollari americani, mentre spostandosi nel presente avremo un quantitativo innumerevole di immagini per una sola persona. Siamo ben lontani dall’unicità delle immagini del passato. In noi si è radicata la conoscenza di Abraham Lincoln con le guance infossate, l’imponente barba e lo sguardo autorevole contornato da folte sopracciglia. Al presente invece riserviamomene nitidezza, abbiamo più difficoltà infatti a creare un’immagine nella nostra mente. Massimo Mantellini, uno dei maggiori esperti di Internet in Italia, si è soffermato molto su quest’aspetto. Sua infatti l’analisi dell’unicità delle immagini tra passato e presente e riferendosi alla modernità afferma proprio come “nessuna delle nostre immagini autobiografiche, nessuno dei nostri selfie da persone normali ha, da
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solo, un valore descrittivo e identificativo analogo (riferendosi alle foto dei grandi del passato). La tecnologia ha assottigliato la differenza tra alcune élite. Alcuni mestieri erano servizi offerti per cui serviva oltre a un’elevata conoscenza anche un capitale non accessibile alla maggior parte delle persone. Una di quelle è infatti la fotografia. Grazie al progresso tecnico e alla diminuzione dei prezzi, le macchine fotografiche sono entrate piano piano nelle famiglie. Con l’avvento dello smartphone ma soprattutto con i social (in particolare Instagram che non a caso ha come simbolo proprio la macchina fotografica Holga) il ruolo delle immagini nella nostra vita si è aperto, diventando così tutti dilettanti - fotografi. Recentemente addirittura la tendenza è quella di spostarsi verso brevi video. Il mantra del media più emozionale rispetto al precedente ritorna. Che le immagini abbiamo da sempre un ruolo importante nell’uomo non è da mettere in dubbio. Vetrate e affreschi erano usati secoli fa per raccontare storie sacre all’interno dei luoghi di culto, in virtù della loro immediata comprensione di fronte al popolo scarsamente alfabetizzato. Le immagini sono nate ben prima della scrittura, nelle Grotte di Lascaux i nostri antenati incisero non certamente canti in endecasillabi. Marshall McLuhan affermava come, rispetto alla parola Italia, se vediamo l’immagine della nostra bandiera in noi vengono alimentate emozioni che la scrittura non può far nascere: senso di patriottismo e ricordi vividi affiorano puntando lo sguardo su una fotografia, facendoci venire in mente la bandiera cucita nelle maglie della nazionale e la gioia nel momento in cui quella coppa veniva alzata al cielo. Nessun testo potrà mai far giungere così immediatamente emozioni. Questa riflessione è in parte associabile al pensiero di Daniel Kahneman, premio Nobel per l’economia, secondo cui abbiamo due sistemi mentali: il sistema 1 che opera in fretta e con poco sforzo e il
sistema 2 che invece richiede un impegno maggiore che necessita di focalizzazione. Lo si attiva ad esempio svolgendo calcoli complessi oppure sviluppando capacità critica. Le immagini quindi sono un chiaro esempio di sistema 1 mentre il testo di sistema 2, più impegnativo sicuramente ma capace di creare una propria identità e giudizio critico a un livello irraggiungibile per le immagini. Ma allora se fin da sempre l’uomo ha creato immagini quali sono le peculiarità di questo periodo? La differenza sta nelle possibilità che ciascuno di noi ha nel creare immagini in grado di diventare virali e del loro aumento di importanza nel settore delle informazioni. L’uomo ormai per pigrizia tra un testo e un’immagine predilige quest’ultima, facendo lavorare molto il sistema 1 e lasciando a riposo invece il sistema 2, questo ha ripercussioni sul nostro modo di pensare. Ogni due minuti vengono scattate più foto di quante l’umanità ne abbia prodotte in tutto il 1800. Non c’è da stupirsi quindi se Fedez ha un numero considerevole più alto di immagini rispetto ad Abraham Lincoln, ciò però comporta dei cambiamenti. Immediatezza e sistema 1 vengono preferite sempre di più nella nostra epoca a discapito del pensiero lento e profondo. Ma per la fotografia tutta questa quantità è un bene? Un ottimistico dubbio ce lo offre il celebre fotografo Stefano de Luigi: “Vengono prodotte talmente tante foto in più rispetto al passato che, anche solo per una questione statistica, credo che più gente sarà incuriosita dalla fotografia rispetto a dieci anni fa, e di conseguenza, più gente potrà scegliere di conoscere questo linguaggio in maniera strutturata. La verità è che in questo momento siamo sulla cresta di un'onda, difficile dire se continueremo a surfare o se la tavola si ribalterà”.
IO ESCO
Rubrica: Sottovoce (Parlando di)
Lezione Estiva L
’estate racconta del blu del mare, della sabbia ardente e degli ombrelloni da sotto i quali si osserva l’orizzonte sognando di salpare e di perdersi lì, da quella parte per raggiungere porti lontani e sconosciuti. Racconta dell’azzurro del cielo che circonda le montagne, del gorgoglio dei ruscelli e delle sfumature di verde dei boschi fra i quali si ritrova la parte più intima della nostra anima diventando esploratori di un mondo magico. Racconta di serate con gli amici ignorando finalmente l’orologio, di visite ad altre città e di tramonti da immortalare e ricordare il più possibile. La natura attorno è vitale in ogni sua forma e pure gli insetti, alcuni dei quali sicuramente fastidiosi, dimostrano come tutto stia vibrando. L’estate non è semplicemente una stagione, è la Stagione con la s maiuscola, è quella attorno alla quale vorticano le altre che nel loro essere meno intense, la rendono ancora più bella. È la nebbia d’autunno, il freddo dell’inverno e il graduale risveglio primaverile che la rendono preziosa e unica. Proprio perché particolare rispetto al resto dell’anno non lasciamola scappare via inquietandoci per i suoi aspetti meno apprezzabili, non è il caldo a volte eccessivo che ci deve preoccupare o qualche sudata in più. Conserviamo lo spirito dello studente che prima dell’esame di maturità si consola e prende coraggio sognando viaggi, avventure romantiche e
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dolci ore in panciolle nei pomeriggi assolati fra i concerti delle cicale che di lì a poco si potrà permettere. Sfruttiamo quella che non a caso è chiamata bella stagione per materializzare ciò che non abbiamo mai fatto, per rivoluzionare un aspetto della nostra vita dal guardaroba alla pettinatura sino alla nostra interiorità, altrimenti che estate è se non viene arricchita da un nuovo amore, da un viaggio in una località da sempre agognata o da un qualcosa che rimandiamo da decenni per il problema tempo? Impariamo a respirare passeggiando di sera nella nostra città apprezzando il non aver fretta, lasciamoci estasiare dalla volta stellata ricordando quanto è infinito l’universo e quanto belle sono quelle luci così lontane che narrano del loro messaggio partito milioni di anni fa. Ascoltiamo e ammiriamo il lento scorrere del Sile presso il quale si agitano mille forme di vita che nell’arco di pochi mesi concentrano intere esistenze delle quali non avremo mai alcuna consapevolezza. Assorbiamo ll’energia del sole così che ci rimanga dentro assieme a quel senso di libertà e di serenità di cui abbiamo bisogno visto ciò che abbiamo sopportato in primavera e ciò che potremmo dover affrontare nei prossimi mesi. Saremo più forti, nel corpo e nello spirito, e sicuramente resisteremo a qualunque maledetto virus si ripresenti con brutte intenzioni nei nostri confronti.
DI ALESSANDRO FORT
Biografia (Mestre 1963, trevigiano di adozione) Psicologo formatore e docente di Scienze Umane, appassionato di cultura cinese ed escursionismo, è autore di pubblicazioni caratterizzate da temi esistenziali fra cui i romanzi “Sul bufalo d’acqua”, “Yuan e Xin Li”, “I silenzi di Fumegai” e “Il mio sentiero”, di collaborazioni con alcune riviste e di numerosi racconti anche in antologie. fortalessandropensiero@virgilio.it fortalessandropensiero.blogspot.com Facebook - Twitter
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LE STORIE DI PISTIS
Io me lo vedo Dio... I
DI MAURIZIO PISTIS
Ce ne vuole perché mi salti la mosca al naso, preferisco dare o me lo vedo Dio, che reduce da uno dei suoi innumerevoli dei messaggi, magari fastidiosi, per dare il modo di rimediare viaggi nell'infinito Creato, si affaccia alla balconata per e poi, col passare degli anni, son diventato dare un'occhiata alla sua amata meno permaloso e ce ne vuole prima di Te r r a . . . B e h , m a c o s a s t a n n o facendo? Stanno tutti per conto loro, portarmi a scatenare un Diluvio Universale, camminano distanti... ma che sta anche se qualche volta, guardando gli succedendo veh? (quando riflette a voce americani, mi verrebbe quasi la voglia... alta, Dio ha il vezzo di usare un Vabbè, ora li lascio spaventare ancora un intercalare dialettale italiano, perché pochino e poi mi toccherà sistemare questa forse non lo sapete, ma a lui gli Italiani faccenda, anche se qualcosa di positivo lo sono simpatici, così semplici ed allegri, "Ho conosciuto un rapitore che v e d o , l a Te r r a v i s t a d a q u a s s ù è mica come i francesi! A volte, quando è faceva i sequestri di persona decisamente più pulita, meno traffico, molto sorpreso esclama Ostia! E in casi meno inquinamento e la gente poi, trova il perché degli altri non si fidava." estremi, Sticazzi! No, Soccia no, quello tempo per guardarsi dentro, di vedere non gli è scappato mai...). Guarda "In india ci sono le caste, ma come sta buttando via la propria vita guarda... Pure i Cinesi stanno per conto anche quelle che la danno." rincorrendo sogni che altri hanno creato... loro e vanno tutti in giro con delle Adesso arrivano pensieri dolci nei confronti mutandine bianche sulla bocca... Tutti "Un giorno, al luna park, entrai delle persone care, ci si preoccupa per loro sono davvero straniti, niente più nella sala degli specchi, così, per e si risentono vecchi amici... Sì, penso che assembramenti per guardare ventidue riflettere." ancora per un po' vi lascerò immersi nella scalmanati correre dietro una palla e per riflessione e poi porrò un freno alla giunta giudicati da un piccolo dio, e "Il medico dice che dovrei andare questione, anche perché vedo nella strada scusate se lo scrivo in minuscolo, vestito in montagna ad ossigenarmi. Io che porta a me un po' troppi vecchietti in nero e con un fischietto in mano. Eh, non credo che biondo, starei incamminarsi, ma loro rappresentano ma guarda là, niente più gente nei teatri bene." l'esperienza e la saggezza e devono e negli stadi ad ascoltare i cantanti... rimanere a lungo lì, anche per trasmettere "Se la notte di san lorenzo vedo Adesso cantano tutti, pure quelli stonati e quel qualcosa che i genitori di oggi non ognuno sul balcone di casa. Sono due tette cadenti, posso sono più capaci di donare ai figli e parlo di sempre più strani, dev'essere qualcosa di esprimere lo stesso un desiderio?" sacrificio e rispetto. Devo proprio sistemare grosso e pericoloso. Qualcosa che le cose, anche perché quegli Italiani mi son hanno combinato loro, quei quattro troppo simpatici ed è da un bel po' che imbecilli che governano, magari stanno a soffrire! Ho un'unica, da quell'imbecille patentato col ciuffetto appassionato della canzone italiana, finto e arancione... Basta che non incolpino me, perché io preoccupazione. Non è che dopo aver massacrato Mia Martini quando mi incazzo mi muovo diversamente... Prima gli avvisi, e tacciato di essere un portatore sfiga Marco Masini, mi una frana dove disboscano, un terremotino dove costruicono andate ad aggiungere alla lista Diodato quello che canta male, al massimo sacrifico una chiesa dei francesi dandole Andrà tutto bene? Fate i bravi, mi raccomando! fuoco, perché quelli, lo ripeto, mi stanno troppo sulle palle (lo ammetto, fui io a spingere Zidane a dare quella famosa testata).
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Le battute di Sitsip
DI BEPPE MORA
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IL PUNTO. DI SILVANO FOCARELLI
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Basket
Volley
VILLAGGIO SAN FRANCESCO DI CAORLE, LUOGO DEL RITIRO
C O A C H D A N I E L E S A N TA R E L L I
Il raduno del primo agosto, la settimana al Villaggio San Francesco di Caorle, la Supercoppa a fine mese: l’estate della DÈ Longhi, dopo mesi di inattività forzata e di tanti rimpianti, ha iniziato a riempirsi di qualcosa di concreto. Qualche problema, causa visti e quarantena, dei quattro americani (Logan, Russell, Cheese e Carroll) per raggiungere in tempo Treviso, ma era una difficoltà che si sapeva in partenza, ora coach Menetti ha già iniziato a plasmare la sua creatura rifatta per sette decimi: come si sa, dalla stagione scorsa sono rimasti Logan, Chillo e capitan Imbrò, il resto è nuovo e, proprio per questo, tutto da scoprire. Tra i nuovi solo Nicola Akele ha esperienza di serie A italiana: lui, montebellunese di nascita anche se di famiglia congolese, così descrive Treviso Basket. “Credo sia già chiara la sua identità: squadra giovane ed atletica, un po’ come quelle che ho avuto a Roseto e Cremona, per cui sono certo che per me sarà facile inserirmi. Fondamentale sarà la leadership di Logan, un po’ come Travis Diener alla Vanoli: è importante che ci sia uno che metta in riga la squadra. Un mix di gioventù ed esperienza davvero intrigante, sono molto carico, il modo con cui hanno costruito TvB mi eccita molto.” Dei nuovi solo tu hai giocato nella serie A italiana. “Beh, quello di quest’anno è stato il primo per me, che è andato bene ma non significa niente, dovrò fare uno stop in più. I nuovo poi certamente avranno voglia di crescere, conosco Vildera, so qual è la sua mentalità, lo stesso per gli stranieri: sono affamati, vogliono emergere per affermarsi. E saremo tutti motivati: a parte Logan non abbiamo leader, cioè uno più importante degli altri.” Potresti diventarlo tu, sei pure nazionale… “Assolutamente sì, è il mio obiettivo, mi sento un giovane emergente. Ma aggiungo che bisogna lavorare piedi per terra e testa bassa, anche per questo ho scelto Treviso, qui potrò migliorare ed esprimermi al massimo. E coach Menetti mi ha fatto una impressione super, è lui che mi ha convinto. E‘ uno che si fa sentire ma che è anche molto alla mano, il feeling con lui c‘è già.” -Vedere Cremona fare quella fine per te cosa ha significato? “Un grande dispiacere per una piazza così importante, che un anno fa aveva vinto la Coppa Italia e con un presidente che è un uomo d’onore.”
La preparazione dell’Imoco Volley è iniziata il 13 luglio e continua dividendosi in due, anche egoisticamente: la parte atletica mattutina a San Vendemiano e la parte tecnica del pomeriggio al Palaverde. Tantissima la voglia, a cominciare da coach Santarelli, del preparatore atletico Da Lozzo e da tutto lo staff gialloblu, di prendersi la rivincita su una stagione, l’ultima, che sembrava avviata a raggiungere il Grandissimo Slam: in bacheca c’erano già Supercoppa, Mondiale per club e Coppa Italia, si stava puntando decisamente a conquistare anche scudetto e, soprattutto, la Champions League, invece anche la più forte formazione di volley femminile al mondo è stata murata dal Covid 19. Dispiace, è naturale, ma si guarda già avanti, chiaramente per ritentare a portarsi a casa tutto: l’Imoco, già fortissima, è stata opportunamente potenziata ed ora si presenta come squadra da battere sia in Italia che in Europa. Dice la formidabile capitana, Asia Wolosz, la palleggiatrice: “Mi piace molto la nuova formazione, non era facile fare una squadra così quest’anno con tutti i problemi imprevisti che ci sono stati, e i nostri presidenti sono stati bravissimi anche nell’emergenza. È bellissimo che ci sia il gruppo storico dell’anno scorso, ma penso che la voglia di continuare quello che lo scorso anno non abbiamo finito sia stata la motivazione che ha spinto tutto il gruppo a restare unito, nessuno ha avuto dubbi, adesso siamo pronte a riprendere a remare tutte nella stessa direzione lavorando sodo. Ci sono anche alcune ragazze nuove, dovremo essere brave a integrarle presto nel nostro sistema, conoscerci reciprocamente e creare la chimica giusta per ottenere i grandi risultati che vogliamo.” La concorrenza comunque non è stata a guardare. “Molte squadre si sono mosse bene e sarà una stagione interessante nelle tante competizioni che ci aspettano, le avversarie non mancheranno e mi sembrano ancor più agguerrite del passato. In Champions mi piace il Vakifbank, anche loro hanno tenuto la base della scorsa stagione e sono sempre fortissime, poi da tenere d’occhio certamente il Fenerbahce e le altre turche oltre ovviamente alle tre italiane. In Italia mi sembra su tutte che Novara abbia costruito una bella squadra, giovane e di talento, con un nuovo coach che potrà farle giocare bene, ma anche le altre squadre si sono attrezzate, insomma ci sarà da divertirsi fin dal primo impegno, la Supercoppa a settembre.”
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IL PUNTO
Rugby
Calcio
R I C O N D I Z I O N A M E N TO
M A R C O R OV E R E TO
L’estate del Benetton Rugby si sta dividendo fra il verde della Ghirada e l’azzurro del raduno della Nazionale, l’ultimo dei quali è stato a Parma dal 6 al 9 luglio. 14 erano i Leoni convocati da Franco Smith, il nuovo CT azzurro ed ex allenatore dei Leoni per tre anni, più gli invitati Garbisi, Lamaro e Lucchesi. “È bello avere degli impegni anche con la Nazionale-fa il terza linea Braam Steyn-possiamo allenarci per vedere quale strada prendere e per creare il gruppo, che è giovane con leader altrettanto giovani. E c’è un nuovo allenatore, che tratta tutti allo stesso modo e ci insegna a lavorare duro. Non basta fare ciò che ci viene chiesto, bisogna fare di più per crescere come singoli e come squadra ed essere il più professionali possibile, anche come uomini non solo come atleti.” 25 sconfitte di fila: riuscirà Franco Smith nell’impresa? “Direi che la cosa migliore è girar pagina ed aprire un nuovo capitolo senza pensare troppo al passato. E puntare sui giovani, che con Franco e il suo staff hanno le qualità per diventare degli ottimi giocatori. Per fare carriera non basta essere i migliori in Italia, occorre essere i migliori nel mondo.” La preparazione col Benetton come sta andando? “Molto bene, nelle regole da rispettare c’è anche un po’ più di libertà: niente contatti ma stiamo seguendo un piano elaborato dal nostro staff per riprendere gradualmente la forma fisica ed evitare infortuni. Di certo dopo le vacanze potremo avere anche i contatti, in vista delle due partite contro le Zebre il 22 e 29 agosto (che tuttavia non varranno per la classifica ndr).” Da uno esperto, a Treviso dal 2015, ad un permit player, ragazzi che già il potersi allenare col Benetton sembra un sogno. Manuel Zuliani, 20enne terza linea, da Castelfranco Veneto, cresciuto nelle giovanili biancoverdi: “Due anni fa, prima di entrare nell’Accademia Nazionale Ivan Francescato, ho giocato con l’Under 18 del Benetton Rugby di cui ero il capitano. Mi affascina molto la possibilità di indossare la maglia della Prima Squadra, però c’è molto da lavorare e soprattutto devo imparare da questi giocatori che hanno molta esperienza e caps con la Nazionale. È un onore essere qui. Per me è molto importante allenarmi con questi giocatori, hanno molta esperienza, spero di imparare molto da loro professionalmente e di affinare le mie qualità tecniche. Sicuramente allenarmi con uno staff tecnico di altissimo livello come questo mi aiuterà a crescere sia fuori dal campo, che soprattutto dentro il campo.”
Sembrava tutto pronto per celebrare il ripescaggio del Treviso Academy in Eccellenza ed invece a quanto pare la squadra biancoceleste dovrà sorbirsi almeno un altro anno in Promozione. Dopo la delusione della passata stagione, stoppata dal Covid con la squadra a -16 dall’Opitergina, anche stavolta la società ha cercato di allestire una rosa molto competitiva regalando a mister Cunico un gruppo che, dovesse restare in Promozione, partirà tanto per cambiare strafavorito. Vediamo quali sono stati gli ultimi acquisti e conferme. Il colpo più eclatante sembra essere quello di DAVIDE GRANZIERA, classe 1998, a1,88, centrale difensivo. Granziera lasciò il Nervesa a 14 anni per andare alla Liventina e l’anno dopo all’Inter, dove ha giocato nelle giovanili anche con la fascia di capitano fino al 2016, anno nel quale si trasferì alla Primavera della Spal. Negli ultimi tre anni è stato a Chioggia in serie D. Vanta anche alcune convocazioni nelle nazionali giovanili, in particolare ha partecipato con la Nazionale alle universiadi che a Taipei in Taiwan nel 2017. MARCO ROVERETTO, classe 1987, ala destra, ultima stagione alla Manzanese in Eccellenza, vinta segnando 15 gol. SALIFU ALIMEYAW classe 95, centrocampista ghanese. Proviene anche lui dal campionato di Eccellenza, dove militava con il Portomansuè. Ha detto Cunico: “È un giocatore tonico e di grande fisicità, ma anche di qualità. Sono contento del suo arrivo come di tutti i ragazzi in rosa. Salifu è in grado di ricoprire tutti i ruoli di centrocampo”. Confermati inoltre il difensore Marco Guzzo e l’attaccante Andrea Morbioli. ALBERTO DE POLI, classe 95, centrocampista, proviene dal Noale. PIERO MASI, difensore centrale, classe 2001, settore giovanile a Venezia, passata stagione a Montebelluna in D. MOUSTAFA DIOMANDE, centrocampista, classe 1997, proveniente dall’Union QDP, l’anno scorso in Eccellenza. MOMO ABCHA, difensore centrale, classe 1991, ex Clodiense serie D, ultima stagione a Favaro Veneto in Promozione. DAMIANO MILAN, classe 83, portiere con trascorsi proprio con il Treviso nelle giovanili e anche in categorie professionistiche. L’anno scorso ha disputato il campionato di Eccellenza, due anni fa era in serie D. Le conferme riguardano il difensore Marco Guzzo e l’attaccante Andrea Morbioli. Confermato anche l’allenatore dei portieri Glen Furlan.
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STORIE DI SPORT
Marcelo
Nicola DI SILVANO FOCARELLI
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STORIE DI SPORT
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ici Marcelo Nicola e pensi al gaucho dei bei tempi della Benetton, il cecchino che non saltava un foglio di giornale ma che metteva in campo una “garra” spaventosa. Oggi ha 49 anni, vive a Treviso ed è rientrato dopo un’esperienza da coach iniziata alla grande e finita non altrettanto bene col Delteco San Sebastian, A2 spagnola. “Poteva essere una stagione splendida - racconta Marcelo - abbiamo vinto la Coppa della Principessa, l’equivalente della Coppa Italia che vinse la De Longhi l‘anno scorso; inoltre eravamo primi in classifica con un buon calendario ed insomma speravamo di andare in Liga ACB ma il Covid ha fermato tutto. Per la Federazione noi e l’altra squadra in testa saremmo promossi ma la ACB ha deciso di bloccare promozioni e retrocessioni. Adesso forse si andrà per vie legali, c’è di mezzo anche il Ministero dello Sport: il 15 luglio è l’ultimo giorno utile per iscriversi, attendiamo notizie. Se siamo promossi resto, no problem, ma anche se restiamo in A2: lì sto bene.” A Treviso per fortuna non abbiamo di questi problemi, anzi la squadra è stata completata ben in anticipo. Che ne pensi di questa DÈ Longhi che ne ha cambiati 7? “Lo dite a me? Io l’anno scorso ne avevo cambiato 12... Niente, bisogna lavorare per metterli assieme, sperando che tutti abbiamo la disponibilità di seguire il coach e di affiatarsi velocemente con i compagni lasciando da parte le ambizioni personali. Essere positivi verso la squadra.” Conosci qualcuno dei nuovi? “Conosco Vildera, che affrontai quando ero a Forlì, credo che dalla panchina darà un buon contributo di atletismo, stazza ed energia. La partenza di Fotu e Tessitori non è da poco, vedremo come reggeranno la pressione Mekowulu e Akele. Conosco anche Russell, bel giocatore.” Logan sarà sfruttato dalla panchina, l’ideale per lui. “Certo, David darà esperienza nei momenti critici, lui è uno che sa stare in campo e sarà ancora in grado di fare cose importanti. Imbrò da parte sua dovrà fare un passo avanti a livello di maturità e protagonismo. Io credo che Treviso Basket abbia fatto delle scommesse e quindi dovrà essere una squadra di lavoratori, di gente umile. In ogni caso arrivare dalla A2 non significa non essere all’altezza” Lo scenario post Covid sarà tutto da scoprire. “In Spagna ci sono società che non hanno cambiato una virgola, ci sono tante incertezze legate al budget, gli
sponsor, gli abbonamenti. Non si sa se si giocherà a porte chiuse o aperte; e se aperte quanta gente sarà ammessa? Le incognite sono tante.” TvB non ha problemi di questo tipo: è già un successo. “I tifosi questo non se lo devono mai dimenticare, devono essere solo soddisfatti e felici e ringraziare la dirigenza. Potersi iscrivere o meno per un club è qualcosa di fondamentale, se poi si scelgono giocatori dalla A2 credo sia normale, di questi tempi è dura: Cremona, società che è in serie A da anni, ha rinunciato, Roma, la squadra della Capitale, è in difficoltà, Pistoia si è autoretrocessa, Pesaro ce l’ha fatta per un pelo, Reggio Emilia ha ridimensionato il budget. Chi non ha questi problemi è solo da elogiare.” Vedremo due campionati: le prime 4 poi tutte le altre. “Lo credo anch’io ma aggiungo che non è mai detto. Ovvio che avere alle spalle Armani o Segafredo ti dà tanta stabilità e sicurezza, e ci aggiungo anche la Reyer e probabilmente Sassari. Difficile per le altre stare al loro passo, inutile fare la corsa su questi, meglio continuare a crescere senza fare passi più lunghi della gamba, cercando i playoff e magari una Coppa europea fra uno o due anni. Bisogna essere umili, realisti ma senza perdere le proprie ambizioni: forse sarà un campionato con delle sorprese, tanti giocatori da scoprire: vedremo chi vincerà il maggior numero di scommesse.”
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STORIE DI SPORT
Vecio Rugby
Quei bravi ragazzi DI GIORGIO FANTIN
I N A LT O D A S I N I S T R A : P I E R O P E R O N, G I L D O M E S T R I N E R , L O L L O L E V O R AT O , G I O R G I O PA N I Z O N , G I O R G I O F A N T I N , G I G I F E L E T TO, F R A N C O FRELICH,ALDO MILANI ACCOSCIATI: GIGI CARNIATO, PAOLO PAVIN, ARTURO ZUCCHELLO, ALBERTO FOGLIA, FERDY SARTORATO, GIORGIO BALDAN E GIANFRANCO BIGGI
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alla scuola arrivai al rugby nel 1953 (“colpevole” Toni Pin) con una prima partita scolastica perduta contro il Collegio, “odiato”, Pio X di Treviso. L’anno successivo, col campionato 53/54, partecipando all’ultimo allenamento del Garbuio Treviso, allenato dal grande “Maci” Battaglini, mi portarono, per premio, sul pullman dei giocatori a Padova e in tribuna, ad assistere al famoso spareggio contro il Rovigo che finì ad oltranza dopo 125 minuti a favore dei “rovigoti”. Quell’anno giocai per l’intera stagione nelle riserve, con mio fratello ed altri studenti dell’Istituto Riccati. L’anno dopo con il campionato 55/56, la squadra fu sponsorizzata dalla ditta milanese del caffè Faema, tramite il loro agente Giovanni Carniato che ci “coccolò”, venne ingaggiato un allenatore/giocatore di Rovigo, Aldo “Topa” Milani. Ci si allenava allo stadio comunale dall’una
alle tre, sparsi e mai tutti insieme, sempre malvisti da quelli del calcio perché le mischie provocavano buche. Mancava, soprattutto, l’erba! Durante un allenamento, Milani si avvicinò a noi più giovani, fece saltare in alto Locatelli, e successivamente buttò alto il pallone dicendomi di prenderlo, lo presi al volo e mi cacciò nel terreno con un pugno sullo stomaco. La seconda volta mi prese per la spalla strattonandomi a terra, la terza volta aprii i gomiti e pure le gambe per difendermi. Mi convocò per l’amichevole in Francia a Grenoble, ove esordii nel secondo tempo, ma senza preparazione perdemmo malamente. Sulla strada del ritorno, al Passo San Bernardo ci facemmo una foto di squadra tutti col sedere scoperto! Berto Foglia ed io eravamo i più giovani, classe ’37, con “Gildo” Mestriner, “mia” seconda linea di 37 anni.
STORIE DI SPORT
La prima partita del campionato ad ottobre, contro l’A.S.Roma, un intercetto di Simonelli (che troverò alle FF.OO.) provocò la meta della sconfitta, ma i giornali scrissero del bel gioco della nostra squadra. Il girone di andata non ci vide protagonisti a Parma rubarono il pareggio fuori tempo e pure a L’Aquila giocarono sul campo ricavato dalla montagna - c’era il Petrarca Padova, il Parma campione, il Rovigo e l’A.S. Roma davanti a noi. L’ultima giornata del girone d’andata in trasferta contro il Rugby Roma (con tre giocatori irlandesi) vincemmo anche con una mia meta. Da quel momento non perdemmo più alcuna partita e senza subire un solo punto in un meraviglioso girone di ritorno, dove a Milano ritornammo più volte causa rinvii dovuti a fango e neve. Pur di non tornare nuovamente al campo Giuriati di Milano che si distingueva per l’acqua fredda delle docce, rimediammo noi stessi la situazione contornando i lati, la mezzeria e le linee di meta col colore rosso. A Treviso la tribuna a gradini dei popolari era sempre strapiena perché anche i calciofili accettavano e godevano del nostro sport, classificato dalla “brava” gente di Treviso (anche di casa mia calciofili accaniti) come sport di facchini e di lazzaroni. Lo stadio comunale, che poi fu intestato a Omobono Tenni grande campione di motociclismo, divenne la nostra roccaforte e in occasione della nostra vittoria contro l’A.S. Roma, i giocatori alzarono la mano tesa verso la tribuna dei popolari ricevendo gesti di scherno e invettive. Arrivammo a fine campionato con l’ultima partita di recupero a Rovigo mercoledì 25 aprile del 1956. Nel primo tempo eravamo in svantaggio, causato dal nostro allenatore/giocatore ma rodigino. Con l’intervallo dei soli 5 minuti in campo, per un sorso di the, ci guardammo per un attimo di pensiero e di intesa. Il secondo tempo fu da favola e vincemmo 17 a 10. Tornati a Treviso, andammo da “Mascherino” Perini in piazza cantando a squarciagola, e ci presero per ubriachi, noi campioni d’Italia. Quell’anno andò male a scuola, perché eravamo fuoriusciti dall’Istituto che ci aveva negato di assistere agli studenteschi di atletica. Tutti ad ottobre e bocciati i due più giovani, De Vidi ed io. L’anno successivo, papà mi proibì di giocare, feci solo qualche partita in casa nel campionato a gironi, e fui promosso a giugno. Assolsi all’obbligo di leva con l’ingaggio alle Fiamme Oro di Padova nel II Reparto Celere, ove coltivai amicizie con nazionali di rugby e di atletica leggera tra i quali Livio Beruti, campione olimpico a Roma nel 1960. Quell’anno conquistai il mio secondo titolo italiano. Arrivò come nuovo sponsor, tramite Renato
Sbrisolin, negoziante di elettrodomestici in piazza “Hesperia” Crispi, l’Ignis di Varese del mecenate commendator Giovanni Borghi, che tra le file della squadra di ciclismo, sponsorizzata Ignis, che annoverava l’indimenticato campione del mondo della velocità su pista, Antonio Maspes. Quell’avvento ci tirò fuori dal fango dei campi, insegnandoci oltre lo sport, una buona parte di cultura. Furono tre anni di bel gioco e di amicizie fummo introdotti al Teatro Comunale, alla Fenice, da Lino a Solighetto con Toti Dal Monte, a Portorose in Yugoslavia, al Posta di Cortina, all’Harry’s Bar di Venezia e al Bagni Miramare del Lido con Miss Universo, con Alfredo Beltrame, con Mario Del Monaco, soprattutto con la nostra piazza trevigiana sotto la Loggia dei Trecento, con tutti i suoi “Signori”. Poi venne l’era Metalcrom di Zanetti, e fu da Giorgio Troncon che udii pronunciare per la prima volta il nome “strano” del nuovo sponsor. Quell’arrivo fu per me fautore anche di un’importante esperienza professionale in quanto aiutai l’ingegner Gentili a redarre il progetto della nuova fabbrica Metalcrom sul Terraglio, contributo che estesi anche all’impresa Massarotto (vecchio rugbista) seguendo la contabilità dei lavori. Inoltre come rappresentante dei giocatori gestivo un conto bancario, di “piccolo risparmio” n.12192 per la squadra, nel quale confluivano i premi partita: cinquantamila lire vittoria esterna, trentamila lire pareggio esterno, ventimila lire vittoria in casa. Una prima parte della somma venne spesa per due amichevoli in Francia, a Salon vicino a Marsiglia (con il Natale in treno!), dove Armellin perse un dente che ritrovammo nel fango, e glielo attaccammo con l’UHU per non sfigurare nel corso del capodanno che trascorremmo tutti assieme in Austria. Nel 1965 arrivò il nuovo allenatore Campice col quale non condivisi la sua visione del rugby, e a causa di ciò mi defilai. Avendo ancora in gestione il conto bancario, scrissi ai giocatori nel marzo del 1967 che avremmo dovuto impegnare i soldi giacenti. Ma del nostro gruppo storico alcuni non giocavano più, Casellato era militare e altri sparsi qua e là. Quella somma accumulata in virtù delle varie vittorie conquistate in campo, fu causa dell’inizio di una disputa con la Società. Tant’è che mi giunse l’invito di versare i soldi alla stessa, ingiunzione accompagnata da formali scuse tramite l’avvocato del presiden-
FAEMA VS A.S. ROMA
te Zanetti. A seguito di ciò scrissi alla F.I.R. e in seguito alla mia missiva intervenne il tesoriere Valchierotti che messo a conoscenza della situazione creatasi, si preoccupò di buttar via tutta la corrispondenza, poiché quella somma avrebbe potuto costituire professionismo non ammesso a quel tempo e la squadra avrebbe corso il rischio di essere esclusa dal campionato. La vicenda si concluse quando consegnai a Paludetto l’assegno di lire 426.000, mentre con le residue 565 lire, era stato programmato un evento tra tutti noi rugbisti. Ma purtroppo, mi arrivò notizia dalla banca che la somma era stata ritirata da Martinelli, un consigliere della Metalcrom. Così sfumò anche quell’occasione di godere con i miei compagni il frutto delle nostre mete. Su questo episodio tutti tacquero e credo perché la sponsorizzazione della Metalcrom proseguì per molti anni fino al 1978, anno della conquista del secondo titolo italiano. Nello stesso anno, iniziò l’era Benetton che tuttora sostiene con il suo marchio la squadra, che negli ultimi anni si è costruita a suon di risultati una posizione di prestigio nel panorama del rugby internazionale. Per tutto ciò va a Luciano Benetton e alla famiglia, il mio più grande ringraziamento.
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