Palazzo Orsato a Casalserugo Conoscenza e restauro
Palazzo Orsato a Casalserugo Conoscenza e restauro
Palazzo Orsato a Casalserugo Conoscenza e restauro
ISBN 88-88785-01-9
ISBN 88-88785-01-9
Palazzo Orsato a Casalserugo Conoscenza e restauro
Palazzo Orsato a Casalserugo Conoscenza e restauro
Parrocchia della Purificazione della Beata Vergine Maria di Casalserugo
Palazzo Orsato a Casalserugo Conoscenza e restauro
contributi di
Maria Cristina Babolin, Fiorella Carraro, Giuliana Ericani, Viviana Ferrario, Stefano Tuzzato
a cura di
Viviana Ferrario
La presente pubblicazione è stata realizzata con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
Referenze fotografiche Vittorio Guida, pp. 12, 130, 132, 133 Massimo Sandron, pp. 128, 129, 131 Lorenzo Bareato, p. 122 Andrea Turato, pp. 8, 126, 127 La riproduzione dei documenti alle pagine 26, 35, 136, 140 è stata eseguita dalla Sezione di Fotoriproduzione dell’Archivio di Stato di Padova su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali n. 15 del 6.9.2002, prot. 4024/X.1 IV di copertina: particolare da un disegno del prof. Dionisio Gardini Editore Proget Type Studio snc - Largo Obizzi, 2-11 - 35020 Albignasego (PD) Elaborazioni grafiche Andrea Turato Impaginazione e stampa Proget Studio - Nuova Grafotecnica © 2002 - Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta in alcuna forma senza specifico consenso degli autori ISBN 88-88785-01-9 Si ringraziano: il prof. Sante Bortolami, il prof. Luigi Fantelli, il prof. Giorgio Ronconi per l’interesse dimostrato, la disponibilità, i preziosi consigli; la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Veneto Orientale; l’Archivio di Stato di Padova, in modo particolare la dott. Anna Maria Vomiero e il fotografo signor Gino Giraldo che ci hanno sempre incoraggiato durante le ricerche; la Biblioteca Civica di Padova; tutte le persone che a vario titolo hanno contribuito a questa raccolta: i fotografi e gli autori dei saggi; la dott. Daniela Sacco; il sig. Francesco Carraretto, il sig. Antonio Cavallini e tutti quelli che hanno gentilmente fornito preziosi ricordi e materiale iconografico; Andrea Turato, Davide Longhi, Andrea Sardena, Patchwork studiArchitettura; Mario Spinelli, IUAV Servizi e Progetti - ISP srl; Giancarlo Barison, Massimo Rigato, Lorenzo Lazzarin, Giuseppe Manfrin e Giancarlo Nequinio di Proget Studio - Nuova Grafotecnica.
Rilievo geometrico Silvano Babolin, Fiorella Carraro, Viviana Ferrario Progetto di restauro Maria Cristina Babolin, Fiorella Carraro, Viviana Ferrario Direzione lavori Maria Cristina Babolin Progetto degli impianti Piergiorgio Toffan Responsabile per la sicurezza Stefano Meneghin Progetto di conservazione dei materiali lapidei Roberta Prandoni Ricerche storico archivistiche Fiorella Carraro, Viviana Ferrario Indagini stratigrafiche Viviana Ferrario Analisi del quadro fessurativo Fiorella Carraro Consulenza archeologica Stefano Tuzzato Rilievi archeologici Marco Lotto
Don Pietro Cervaro parroco pro tempore
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Presentazioni
P
Per chi è di passaggio a Casalserugo, forse non è così immediato riconoscere che negli ultimi anni sono stati eseguiti dei lavori impegnativi negli ambienti parrocchiali. La facciata di Palazzo Orsato, ossia della cosiddetta “Villa Veneziana” attigua alla chiesa, probabilmente non risulta così diversa dal passato. Tutto è ancora molto essenziale e spoglio. Chi però si ferma e guarda da vicino il palazzo restaurato scopre che molte cose sono cambiate: un pezzo di storia del paese ha ritrovato luce e colori, ha ripreso a vivere e a destare meraviglia. Gli intonaci ripuliti e consolidati, gli affreschi restaurati, i muri e le travature resi più solidi, rivelano una bellezza nuova e antica, una bellezza che ci è stata consegnata e abbiamo provveduto a custodire. Palazzo Orsato è stato restaurato grazie alla generosità di molti, grazie alla dedizione competente di chi si è impegnato nel portare avanti i progetti e i lavori. E tutto questo è stato compiuto perché la cittadinanza potesse recuperare un pezzo della sua storia, una parte del suo passato, un bene prezioso che caratterizza gli abitanti della nostra comunità civile e religiosa. Possiamo dire allora che i lavori portati a compimento parlano della nostra Parrocchia, una comunità che desidera mantenere vive le proprie origini e la propria storia, nel desiderio non solo e non tanto di diventare museo, ma Chiesa viva che riconosce di avere in mano una storia che non è solo propria ma anche frutto del passato, delle persone che l’hanno preceduta. Custodire una casa antica può essere anche questo: un segno per tutti che il presente e il futuro non partono mai da zero ma hanno sempre bisogno di riscoprire le radici, radici che, se sono robuste, sprigionano solidità. Questa casa restaurata dall’impegno della comunità ritorna ad essere della comunità. I sacerdoti che vi risiederanno e avranno l’onore di abitarla non ne faranno una torre di guardia o una fortezza da difesa, ma una casa, una casa di paese, una casa di famiglia, aperta a chiunque e accogliente verso gli altri. Gli ambienti messi a disposizione di tutti per occasioni di incontro e di formazione saranno la garanzia che le pietre importanti di una comunità non sono i mattoni da costruzione ma le persone, pietre vive che formano la Chiesa di Gesù. L’invito rivolto a ciascuno allora è quello di fermarsi e di guardare da vicino i lavori eseguiti, un guardare da vicino che fermi gli occhi e il cuore non solo sugli intonaci o sulle belle pietre ma sulla costruzione ben più importante e ricca di bellezza della nostra comunità cristiana, una comunità in cui vivere e abitare.
Guglielmo Monti Soprintendente per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Veneto Orientale
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Presentazioni
I
Il restauro di Palazzo Orsato a Casalserugo può considerarsi un’opera non solo necessaria, dato il grande prestigio del monumento tardo gotico e il degrado a cui lo aveva portato il lungo abbandono, ma anche accompagnata da una determinazione e da uno stato di grazia del tutto particolare. Né la morte di uno dei promotori dell’iniziativa, il geom. Babolin, né il trasferimento dell’altro, il parroco don Francesco Calore, fermano il primo intervento alle coperture, evidentemente sentito da tutta la comunità parrocchiale. Il secondo lavoro di consolidamento e finitura, progettato dagli architetti Babolin, Carraro e Ferrario, dopo alcune vicissitudini, prende il via e si conclude nell’aprile di quest’anno, sotto la direzione delle stesse progettiste. Il fatto che l’intera operazione sia stata finanziata per la maggior parte dalla stessa parrocchia e seguita fino in fondo dalle giovani menti che l’avevano concepita sta ad indicare il clima di dedizione ed entusiasmo che ha accompagnato tutto il lavoro. In un’epoca che si affida spesso a prestigiosi ma lontani studi professionali per portare a termine le sue opere più impegnative, un risultato così pregevole ottenuto con la continuità delle cure personali e il sostegno morale di una collettività residente è particolarmente prezioso. Indica infatti la seria volontà di recuperare i propri tesori con le forze presenti sul posto, in modo da trasformare il processo in un’occasione di crescita. In un certo senso il restauro rappresenta quindi non solo un successo compiuto, ma anche la premessa per un lavoro più vasto ancora in gran parte da fare. I manufatti di maggior spicco, come Palazzo Orsato, possono, quando la loro rinascita avviene in condizioni favorevoli come queste, assumere il ruolo di battistrada per l’intero territorio. La loro eccezionale bellezza stimola in questo caso una sensibilità che può diffondersi a valori storici meno immediatamente percepibili, ma ugualmente importanti. L’augurio è quindi che lo sforzo appena terminato e la gestione del nuovo bene acquisito diano nuovo slancio al recupero di un patrimonio che vive non di grandi emergenze, ma di un diffuso contesto di alta qualità. Le ville, i casali, le piazze e gli antichi percorsi chiedono solo di essere riscoperti per offrire nuovamente il loro servizio alla comunità.
V
Verso gli anni trenta del Trecento il giudice e cronista padovano Giovanni Da Nono delineava una sorta di galleria delle più illustri famiglie della città, mostrando come un elemento essenziale della loro visibilità nello scenario locale consistesse nel possesso di una o più dimore qualificate di volta in volta come domus magna, domus magna de muro, pulchra et magna domus, domus merlata, domus alta cum solario, domus a turre o cum magna turri, o anche palacium magnum, pulchrum palacium: insomma una gamma variegata di espressioni che alludono a edifici imponenti e spesso sontuosi, svettanti sul tessuto più uniforme delle modeste e basse case del popolo minuto. Prestigio e ricchezza di un casato erano a quei tempi riconoscibili e in qualche modo ‘misurabili’ pubblicamente anche e non poco per la possenza e la bellezza della sua attuale abitazione. Specie dal Duecento in poi, con l’articolarsi della società in ceti più dinamici e variegati e l’affermarsi di uomini nuovi e nuovi aggregati familiari di estrazione borghese accanto alla vecchia aristocrazia di tradizione militare, il ruolo della dimora privata come simbolo vistoso di eccellenza economica e di influenza politico-sociale andò decisamente aumentando. Non esistono praticamente centri storici urbani o semiurbani nel nostro paese che non siano contrassegnati dalla presenza più o meno diffusa di una simile edilizia di spicco di ascendenza medievale, che ricerca la forza non meno dell’agio e della gradevolezza. Palazzi che talvolta serbano anche nel loro aspetto un non so che di arnese guerresco, anche se spesso sono stati fagocitati da strutture architettoniche posteriori, per lo più di stampo rinascimentale e barocco, consone alle ambizioni e ai gusti del patriziato di età moderna. Se questo ricco patrimonio architettonico concentrato essenzialmente all’interno delle cinte urbiche è ben noto, assai meno lo è quel più rado reticolo di case forti e di palazzotti padronali che andarono sviluppandosi un po’ dovunque nelle campagne del tardo medioevo. Pur presentando elementi fortificatori residuali, queste strutture erano in senso proprio lontane dai castelli tipici dell’età feudale, e preannunciavano sia strutturalmente sia nella loro funzionalità la imminente civiltà ‘di villa’. Nelle diverse aree d’Europa in cui ebbero modo di diffondersi, queste dimore rurali di riguardo presentano una estrema varietà di tipologie e di denominazioni, sia latine (domus fortis, turris vel domus, fortilitium, palatium, casa murata et merlata, bastia), sia volgari (casa da signore, casa forte, maison forte, manor, moated side, motta, tomba). Pur tuttavia esse presentano una serie di requisiti comuni che corrispondono a tendenze ben evidenti della riorganizzazione economica agraria e dei processi di selezione sociale tardomedievali. Normalmente le cosiddette case forti si configurano ad un tempo come case di temporanea residenza per famiglie altolocate di redditieri con un piede in città e uno in campagna; come centri attrezzati di gestione di una più o meno consistente produzione agricola; e infine come veri siti muniti non tanto per la difesa militare e l’esercizio di un potere signorile, quanto per stabilire anche in ambito rurale un principio di distinzione sociale e di supremazia economica. Insomma, come si è scritto efficacemente, erano una realtà a metà strada tra “la fortezza e l’azienda agricola”, ed ebbero una loro stagione d’oro soprattutto fra il Tre e il Quattrocento.
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Sante Bortolami Università di Padova 11
Presentazioni
Il Palazzo Orsato di Casalserugo, cui è dedicato il presente volume, appartiene indubbiamente a questa categoria ancora poco indagata di manufatti signorili. Articolati con broli, pozzi, tezze, stalle, e magazzini per gli attrezzi, incutevano rispetto e suscitavano ammirazione nei ristretti orizzonti paesani disseminati per lo più di miseri casoni. Ma anche in città potevano essere ostentati quali comodi pied à terre dove trascorrere serene giornate di otium nel verde della campagna. Specialmente in tutta la vasta fascia rurale che avvolgeva per alcuni chilometri la città di Padova, si sa che ne esistevano parecchi. Francesco da Carrara, ad esempio, nel 1381 ne possedeva uno a Bibano, a ovest di Padova, che le fonti definiscono come ‘casa grande con torre murata’ (domus magna cum turri de muro) al centro di un gruppo di altri fabbricati. Purtroppo non sono numerosi gli esemplari oggi in qualche modo conservati, non solo nel Padovano ma nell’intero Veneto, di queste preziose testimonianze di cultura materiale. In questo quadro Casalserugo può dirsi eccezionalmente fortunata. Anche quello che gli abitanti del paese conoscono come ‘il Castello’ era infatti secondo una descrizione del 1410, un complesso non molto dissimile da Palazzo Orsato, cioè una “casa e torre di muro e fossati tutt’intorno con un ponte levatoio”, nonché un “cortivo per il gastaldo”, costituito da “un’altra casa e due tezze di paglia, da un’altra casuccia di legno col tetto di paglia nell’angolo”: un vero quartier generale dal quale il proprietario, un professore dell’Università di Padova oriundo da Forlì, scrutava con orgoglio vigile una tenuta agricola di ben 111 campi. Come si diceva, dalle vicende materiali di questo raro esemplare di casa padronale-palazzo-fortezza di cui cominciamo ad avere notizia solo dal 1343, e la cui storia si distende fino ai giorni nostri, si offre qui un essenziale ma succoso resoconto. Si rievocano i vari passaggi di proprietà e di possesso, a partire dalla colta e doviziosa famiglia degli Orsato, alla parrocchia del paese, con la quale il palazzo era ed è idealmente e fisicamente integrato, fino ai suoi più recenti detentori. Si individuano le scansioni costruttive, dove si alternano ampliamenti e modifiche che investono sia il corpo centrale, conferendogli l’attuale caratteristico aspetto di palazzetto gotico, sia le parti accessorie. Si tracciano rilievi che assecondano felicemente una illuminante lettura storico-stratigrafica del manufatto. Si documentano le rispettose attività di restauro. Si analizzano in modo penetrante, collocandole nel mutevole fluire dei gusti, le tracce decorative interne del portico verso il cortile del brolo. Si dà conto degli esiti di sommari ma eloquenti controlli archeologici. È un volume che si attendeva da tempo, di cui siamo grati agli autori e che è giusto salutare con gioia. Non solo per le novità apportate alla conoscenza di una perla del nostro patrimonio architettonico, che come ribadisce Viviana Ferrario, è “di grande rarità e valore”, ma anche per le nuove domande che solleva sulla storia, ancora in gran parte da fare, dell’intero paese di Casalserugo.
Sommario
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Presentazioni
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Sommario
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Introduzione
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Il rilievo geometrico di Palazzo Orsato (1997-1998)
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La domus magna degli Orsato a Casalserugo: vicenda storica, stratificazione, fasi costruttive (Viviana Ferrario)
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Caratteri della casa forte
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La decorazione ad affresco del palazzo (Giuliana Ericani)
67
Due applicazioni dell’indagine stratigrafica (Viviana Ferrario e Andrea Turato)
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Il controllo archeologico degli scavi (Stefano Tuzzato)
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L’analisi del dissesto per il ripristino strutturale (Fiorella Carraro)
100
Cronologia degli interventi
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Il progetto di restauro di Palazzo Orsato (1998-1999)
115
L’esperienza del cantiere (Maria Cristina Babolin)
134
Bibliografia Appendice documentaria
137
Pergamena di acquisto 1343
141
Perizia di Angelo Squarcina 1717
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Viviana Ferrario
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Introduzione
Q
Questa pubblicazione, voluta dalla Parrocchia di Santa Maria Purificata di Casalserugo in occasione dei restauri di Palazzo Orsato, intende raccogliere parte degli esiti delle ricerche condotte durante le indagini preliminari alla stesura del progetto di restauro. Fin dal 1997, quando ebbe inizio il rilievo del complesso e l’avvio della ricerca storica, le azioni di tutti si sono ispirate alla coscienza di trovarsi di fronte ad un esemplare di edilizia medievale di grande rarità e valore. Un accurato rilievo geometrico, in gran parte manuale, ha obbligato ad una assidua frequentazione del manufatto, generatrice di conoscenza e rispetto. Sul rilievo geometrico si è elaborato il rilievo critico, approfondito poi con indagini stratigrafiche, che si sono protratte durante i successivi cantieri, arricchendo il quadro storico verificato con la ricerca archivistica. I dati derivanti dalle fonti storiche e archivistiche, i risultati delle indagini stratigrafiche degli alzati e archeologiche e l’analisi delle caratteristiche architettoniche e delle decorazioni pittoriche, convergono in una prima parte del volume. La seconda parte raccoglie i documenti del progetto di restauro, che sugli esiti delle ricerche precedenti si fonda, e documenta le attività di cantiere che a quel progetto sono seguite, nel più ampio quadro dell’importanza del recupero dell’edilizia storica in un territorio come quello veneto, ancora ricco delle fragili tracce di un passato remoto, troppo spesso misconosciute, trascurate, mistificate. Prima di lasciare il lettore alle vicende di Palazzo Orsato una precisazione è necessaria. La denominazione prescelta è da preferire a quella popolare di “villa veneziana”, che l’edificio si è meritato per l’aspetto tardogotico della facciata. Nel passato per “villa” si è sempre inteso l’abitato rurale e solo in epoca molto avanzata il termine passa a designare anche l’edificio nobiliare di campagna. Casalserugo stessa viene indicata fino a tutto il Settecento come villa di Casale di Ser Ugo o, in latino, villa Casalis Domini Ugonis. La denominazione di Palazzo Orsato nei documenti che lo riguardano muta nel tempo: domus magna de muro (atto d’acquisto, 1343); domus undique murata (estimo di Giovanni il vecchio, 1452); cassa supra la strà (estimo di Enea Orsato, 1506); domus de muro (estimo di Orsato Orsati, 1553); casa di muro (elenco dei beni di Sertorio Orsato, 1671); palazzo (perizia Squarcina, 1717); palazzo o sia casa dominicale (1751), casa canonica (Soprintendenza, 1979). Palazzo Orsato non è mai stato considerato “villa”, certamente per le sue stesse caratteristiche architettoniche, ma soprattutto per la sua posizione spiccatamente urbana, in prossimità della platea burgi, la piazza del paese, che formava un tutt’uno con il sagrato della chiesa.
Il rilievo geometrico di Palazzo Orsato 1997-1998
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U
Un rilievo geometrico accurato è la premessa indispensabile ad ogni intervento di restauro. Esso permette una conoscenza analitica del manufatto, che garantisce una consapevolezza altrimenti non attingibile, preziosa durante l’elaborazione del successivo progetto. Il rilievo degli edifici storici in particolare deve tener conto di tutte le decorazioni presenti, delle anomalie geometriche, degli spanciamenti, dei fuori piombo; questi oggetti del rilievo, lungi dall’essere trascurabili, hanno spesso una rilevanza che va al di là dell’importanza di registrare lo stato di fatto: può trattarsi infatti di particolarità costruttive capaci di offrire indicazioni cronologiche o di fenomeni deformativi che portano a riconoscere processi di degrado in atto; o ancora ben precise scelte progettuali, da rispettare in un intervento di restauro. Questo è lo spirito con il quale è stato affrontato il rilievo geometrico di Palazzo Orsato. Le operazioni sono cominciate il 15 aprile 1997 e si sono protratte per alcuni mesi. Con il solo ausilio di una base planimetrica battuta con strumento elettronico, tutto il rilievo degli interni è stato condotto manualmente. La restituzione è avvenuta parallelamente, su supporto informatico (Autocad 12). Il rilievo dei fronti, condotto in maniera diretta ove possibile, ha potuto usufruire di alcuni fotoraddrizzamenti. Il rilievo geometrico ha potuto essere aggiornato anche durante i successivi cantieri, che hanno permesso di raggiungere parti dell’edificio prima non rilevabili, come gli spazi sopra le controsoffittature del piano terra, o il sottotetto dell’annesso sud. Gli elaborati grafici che seguono – una sintesi del materiale prodotto – rappresentano quindi una situazione ideale che, pur collocandosi prima dell’intervento di restauro, registra alcune informazioni attinte durante il cantiere.
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Pianta del piano terra
Pianta del piano nobile
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Pianta del granaio
Scala 1:200
Orditure dei coperti
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Sezione A-A sulla scala
Sezione est, attraverso il portico e la loggia
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Sezione C-C
Sezione sud
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Prospetto est
Prospetto nord, verso la chiesa
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Prospetto ovest, fronte principale
Prospetto sud, verso la cortesella
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La domus magna degli Orsato a Casalserugo: vicenda storica, stratificazioni, fasi costruttive Viviana Ferrario
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L
L’ipotesi che Palazzo Orsato nascondesse dietro l’aspetto tardogotico della facciata ovest le antiche vestigia di un edificio romanico fortificato, avanzata fin dal 1979 dall’allora Soprintendenza ai Monumenti 1 e poi riproposta da alcune tesi di laurea 2, ha trovato ampia conferma nei rilievi critici e nelle analisi stratigrafiche murarie condotte in occasione del recente restauro; la ricerca archivistica che lo ha preceduto, d’altra parte, ha permesso di porre un terminus ante quem abbastanza arretrato nel tempo: data alla prima metà del Trecento il contratto d’acquisto della casa e dei terreni ad essa connessi da parte della famiglia Orsato, che li tenne poi fino alla fine del diciottesimo secolo. Le vicende della famiglia Orsato (oggetto di studi storici che si sono concentrati soprattutto sulla personalità più in vista del casato, lo storico Sertorio, vissuto nel XVII secolo) verificate sulla base dei documenti d’archivio 3, hanno fatto da sfondo alla ricostruzione delle fasi costruttive attraversate dal palazzo di Casalserugo.
La famiglia Orsato “Li Orsati, che furono già detti Rosati, vennero da Casale di ser Ugo et discendono da gente rusticana ricca e grassa però. Anticamente furono in Padova lanari e con ciò fatti molto più ricchi. Al presente sono tutti assai dovitiosi Nobili et segnalati Cittadini fatti nobili di Padova dai Carraresi” 4. “Sono già duecento anni in circa divenuti cittadini. Dicesi che la loro primitiva origine fu de Casale dove non Orsati ma Rosati appellavansi et per ricchezze et per valore per possessi a’ più antichi pareggiare. Sono divisi in due rami principali. Altri hanno casa al Duomo, altri a san Francesco (…)” 5. Non nobile casato legato al potere feudale quindi, né di antica origine comunale, la famiglia Orsato è rappresentante di quel ceto borghese e mercantile che trova prima nel periodo comunale e poi nella signoria dei da Carrara l’ambiente adatto ad affermarsi non solo economicamente. Il primo personaggio che esce dall’ombra intorno alla metà del Trecento è Giovanni del fu Ansedisio, abitante in Padova ma originario di Casale, che sta costruendo in città la propria fortuna con il commercio e il cambio di valuta, approfittando del 28
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Soprintendenza ai Beni Architettonici e Ambientali del Veneto Orientale, catalogo generale 05/00139857.
2
Tre tesi di laurea aventi per oggetto Palazzo Orsato, discusse presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, si sono succedute dal 1983 al 1990, proponendo una lettura tesa a dimostrare la presenza delle vestigia romaniche (v. bibliografia).
3 L’archivio di Stato di Padova ha acquisito nel 1997 l’archivio privato della famiglia Orsato (d’ora in avanti ASP Orsato), che consta di più di un centinaio di volumi, gran parte dei quali dotato di sommario settecentesco, e di un consistente numero di pergamene sciolte, probabilmente tutte originariamente inserite nei volumi. L’analisi paziente di parte di questo fondo ha permesso di dirimere alcune questioni genealogiche che si trascinavano da tempo.
4
Istoria Cronologica del qm Sig Benedetto Bertoldi Cittadino Nobile padovano, 1600, Biblioteca Civica PD, BP153 X (Ms. 169).
5 Copia de Manuscritti del qm Sig Antonio Sforza essistenti in casa del qm Nob Sig K Sartorio Orsati, 1626, Biblioteca Civica PD, BP 253 XII (Ms 171).
6
Rappresentanti di questo ramo furono Antonio e Gaspare, famosi giuristi. Di Antonio, canonico della Cattedrale, si conserva una congratulatio per l’insediamento di Pietro Barozzi al seggio vescovile patavino.
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Il ramo del Duomo abiterà il bel complesso cinquecentesco della villa sulla strada Sperona, indicata come la casa ai campi diese nei documenti, come risulta dai numerosi estimi conservati in ASP Orsato. Il ramo di San Francesco, proprietario della nostra casa alla chiesa, possedeva tra le altre la casa di Rialto, che apparteneva nel Quattrocento ad un Antonio Orsato (da non confondersi con l’omonimo cugino canonico della Cattedrale) fratello di Giovanni junior, che aveva sposato una Elena Savonarola.
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La questione sull’origine della casa merlata è ancora aperta: si attendono gli esiti di ulteriori studi ancora in corso, per avanzare ipotesi più precise sulla fondazione, la funzione e l’epoca di costruzione. 9 ASP Orsato, b. 154, pergamene sciolte, n.1. La trascrizione completa del documento citato è riportata in appendice. L’emptor è qui detto semplicemente Giovanni figlio del fu Ansedisio da Casale, ma la sua identità sembra sufficientemente chiarita dalla presenza di altri documenti dell’Archivio Orsato che riportano il nome completo Giovanni Rossato da Casale: ASP Orsato, b. 154, nn. 2 (1366), 2 bis (1368), 4 (1371). L’alternanza Orsato\Ro(s)sato compare in documenti dei primi anni del Quattrocento e perdura per tutto il secolo.
clima propizio successivo alla salita al potere della signoria Carrarese, da poco insediata in città. Da Giovanni discendono i due rami della famiglia: l’uno, abitante presso il Duomo, era legato fortemente all’ambiente della Curia 6; l’altro, gravitante invece intorno al convento di sant’Antonio Confessore, aveva abitazione nel centenaro di San Lorenzo. Non è difficile pensare che, appena avutane la possibilità economica, Giovanni abbia desiderato comprare un edificio rappresentativo nel villaggio natale: ed eccolo stipulare il 6 agosto 1343, il contratto di compravendita con cui acquista la domus magna presso la chiesa di Casale di Ser Ugo. Entrambi i rami della famiglia Orsato seguiranno questo esempio acquistando campi e costruendo dimore a Casale di Ser Ugo e nelle ville vicine 7.
Una casa forte nel contado Come si presenta la domus magna il 6 agosto 1343 quando Aicarda da Terrarsa figlia del fu Domenico notaio ed il marito Marino Zacco figlio del fu Pietro, abitanti in Padova in contrada Sant’Urbano, la vendono a Giovanni? La casa aveva certamente già una sua personale storia, che purtroppo non è dato conoscere allo stato attuale delle ricerche 8; per noi essa comincia con il contratto, che la descrive come già inserita in un complesso articolato di edifici e spazi aperti per la conduzione del fondo: “(…) unum sedimen trium camporum vel circa, partim aratorium cum arboribus et vitibus, cum una domo magna de muro, cum uno curtivo et una alata de lignamine et pairanis cohoperta de cupis, cum furno et putheo et curtivo in ipso sedimine et duabus portis magnis ad domum predictam cuius confinii hii fore dicuntur, ab una parte via publica, ab alia Antonius de Flumine, ab alia iura ecclesie Sancte Marie de Casali, ab alia partim dictus emptor et partim fratres Alemmani et forte alie sunt coherencie veriores” 9. Nel 1343 la domus magna de muro doveva avere le proporzioni massicce del nucleo originario del palazzo, un cubo di tredici metri per lato, individuabile tutt’ora 29
per il maggior spessore delle murature e per le angolate rinforzate a livello del suolo da grandi massi squadrati di trachite 10. Il nucleo originario era dotato un tempo di un coronamento merlato, completato da una teoria di arcatelle sottostanti, poggianti sul gocciolatoio lapideo, che è rimasto sempre visibile sui lati sud e nord e che oggi, a restauro avvenuto, è possibile leggere interamente anche sul fronte ovest, verso la strada. I muri sono caratterizzati da una composizione a nucleo interno di calcestruzzo non apparecchiato11, tra due paramenti di spessore variabile, composti di mattoni di provenienza non omogenea, probabilmente in parte di recupero 12. Le aperture romaniche hanno archi a tutto sesto, composti da due ghiere di mattoni disposti di coltello e di una di piatto; i muri della domus merlata reggevano un sistema di barbacani in trachite (alcuni sono ancora in loco, altri, rimossi, hanno lasciato vistose tracce) che potevano sostenere strutture lignee a completamento della funzione difensiva del palazzo. La alata poteva essere una semplice tettoia, o un ballatoio coperto addossato sui lati sud ed est, sostenuto dai barbacani 13. Altre aperture sguinciate all’interno, alte e strette verso l’esterno, distribuite a diversi livelli sui quattro muri perimetrali del nucleo originario, più che fori da luce sembrano poter essere riconosciute come feritorie. Tutte queste caratteristiche fanno pensare ad un edificio munito, adatto alla difesa, una casa forte o casa torre, così come ne erano sorte nelle città durante i secoli precedenti14. Il coronamento composto da merli, arcatelle e fascia in pietra, è paragonabile a quello di numerosi edifici duecenteschi conservati nella città di Padova, dove rappresentava una soluzione piuttosto comune: valga ad esempio per tutte la cosiddetta Casa di Ezzelino in via Santa Lucia, che presenta sul fronte ovest elementi del tutto analoghi a Palazzo Orsato. Altri edifici simili si incontrano sulla stessa via Santa Lucia, su via Boccalerie, su via San Martino e Solferino15. Nell’immagine tramandaci da Giusto dei Menabuoi, nella cappella Luca Belludi al Santo, la città appare quasi interamente composta di edifici merlati, dotati di coronamento superiore come quello di Palazzo Orsato. La tipologia era del resto comune ad un’ampia area geografica: la ritroviamo con poche varianti nel palazzo dei Trecento a Treviso, così come nella rocca Tempesta a Noale, a Monselice, in tanti altri esempi nel territorio dove la presenza di dimore fortificate fuori dai centri cittadini 30
10 Alla casa forte è dedicata una scheda specifica in questo stesso volume, alla quale si rimanda per un approfondimento. 11
F. DOGLIONI, R. PARENTI, Murature a sacco e a nucleo di calcestruzzo, “L’edilizia”, 4 (1994), p. 51.
12 I laterizi del gruppo maggiormente rappresentato tra quelli impiegati per la costruzione, sono caratterizzati da una certa costanza delle proporzioni, che si aggirano intorno alla terna 4,5 x 12 x 24,5. Il letto di malta è piuttosto alto – arriva a 2 cm – e la malta è di colore rosato, dovuto alla presenza di cocciopesto nell’impasto. Le fughe dovevano essere state accuratamente stilate e portano tracce di una scialbatura a calce. Gli spessori dei muri si aggirano intorno ai 60 cm per il piano terra, ai 48 per il piano nobile, ai 38 cm per il sottotetto. Le fondazioni presentano risega solamente verso l’interno e scendono sotto il piano di campagna attuale per circa centocinquanta centimetri. 13 Il Du Cange riporta s.v. ALATA: (...) chemin de ronde, corridor, galerie (C. DU CANGE, Glossarium mediae et infimae latinitatis, Graz 1954). 14 Una ricca messe di studi è fiorita sul fenomeno delle case fortificate cittadine, in parte riportata nella bibliografia, a cui si rimanda. Sullo sviluppo delle fortificazioni nel contado l’esiguità dei resti pervenutici fatica a dare conto della complessità e della vastità del fenomeno, testimoniata comunque dai documenti. 15
F. ZULIANI, Edilizia privata del duecento e trecento, in Padova. Case e Palazzi, Padova 1983, pp. 21-27.
16 A. SETTIA, L’esportazione di un modello urbano: torri e case-forti nelle campagne del nord Italia, “Società e storia”, 12 (1981), pp. 273-297.
si diffonde a partire dal XII secolo. In particolare sembra che la casa forte di campagna sia stata esportata a partire dal modello urbano, dove è presente fin dal secolo XI, simbolo di un potere che dalle mura della città esce per controllare l’entroterra, in un epoca di forti contese territoriali 16. In ogni caso, fosse il nostro edificio veramente una casa forte, o più semplicemente una casa dominicale dotata di qualche apparecchiatura difensiva, non cambia il fatto che la sua origine è ascrivibile almeno agli inizi del XIV secolo ed è preziosa come testimonianza storica e della cultura materiale di quel periodo. Le poche notizie conservate dalla tradizione sulla famiglia da Terrarsa, cui forse apparteneva Ajcarda, che secondo quanto dicono le cronache, si estinse già nel Quattrocento, non aiutano a immaginare un passato più circostanziato per la domus. Ajcarda era però figlia di un notaio e andava in sposa ad un esponente di una nobile e famosa famiglia patavina, gli Zacco, appartenente alla classe dirigente della città, confortandoci nell’ipotesi che Palazzo Orsato dovesse essere ben più che una casa colonica.
Il primo cantiere globale
17 F. DOGLIONI, Stratigrafia e restauro, Trieste 1997, pp. 53-64.
La vita degli edifici è scandita dal susseguirsi di cicli d’uso, intervallati da trasformazioni rese necessarie dal bisogno di manutenzione, di aggiornamento stilistico, di rifunzionalizzazione. I cicli d’uso, teatro della vita ordinaria degli abitanti, sfociano necessariamente in momenti straordinari, in cui un cantiere globale ospita attività distruttive e costruttive che investono consistentemente l’aspetto e la materia dell’edificio17. La ricostruzione della sequenza dei cantieri globali costituisce l’ossatura della storia costruttiva del manufatto e permette di ordinare la lettura delle stratificazioni che lo caratterizzano in una griglia cronologica ponderata. Il primo cantiere globale che ha interessato la domus magna può ragionevolmente essere collocato intorno alla metà del quattordicesimo secolo. Non è improbabile che Giovanni, dopo l’acquisto del 1343, abbia desiderato adattare l’edificio alle sue necessità. Ad una fase intermedia tra la casa romanica e il palazzetto gotico debbono infatti essere ascritte le aperture precedenti a quelle gotiche, ma successive alla costruzione dei muri perimetrali, inserite in breccia nella muratura: tra es31
se il portone ad arco a tutto sesto di una sola ghiera, di piccola taglia, di cui resta traccia sul muro ovest a sinistra dell’attuale ingresso, e probabilmente la bifora aperta sul muro sud del nucleo originario, oggi non visibile perché coperta dal tetto dell’annesso sud. Sembra di poter leggere l’intenzione di aprire la domus, di metterla maggiormente in comunicazione con l’esterno, mentre certamente le aperture originarie rimanevano in uso. A una stessa fase intermedia risale anche la costruzione del portico sul lato est verso la corte. Il portico, nelle forme attuali, nasconde una più antica configurazione a quattro alti fornici, i cui archi a tutto sesto sono ancora leggibili verso l’interno grazie alla ricca decorazione a fresco fitomorfa superstite18. L’alto portico nella sua forma primitiva non è dissimile dai molti esemplari cittadini, che, anche in edifici pesantemente rimaneggiati, sono segno inequivocabile di medievalità19. Lo stesso cantiere globale deve aver interessato in modo radicale anche la copertura dell’edificio: a partire dalla merlatura opportunamente ridotta, veniva realizzata la sopraelevazione dell’intero perimetro dell’edificio, completata con una copertura bifalde, mediante l’impiego di quattro imponenti capriate di rovere.
18 Per confronti si vedano gli studi sulle dimore di Corte del Duca a Verona, raccolti in F. DOGLIONI, Ambienti di dimore medievali a Verona, Venezia 1987. Per l’antica configurazione del portico e della loggia si veda la scheda sulle indagini stratigrafiche, in questo stesso volume.
19 Molti sono gli esempi ancora leggibili nelle vie del centro storico di Padova, dalle case di via Boccalerie, alla Dogana in Riviera San Benedetto; spesso ai portici medievali sono associati ritrovamenti di tracce di arcatelle, merlature e finestre romaniche sotto i rimaneggiamenti successivi.
La fase tardogotica La prima metà del Quattrocento segna il completamento dell’ascesa sociale della famiglia Orsato ed il consolidamento della sua fortuna. Giovanni, figlio di Reprandino speziale, pronipote del Giovanni fu Ansedisio che aveva acquistato la casa, esercita con profitto a Padova la professione di cambiavalute ed è personaggio piuttosto in vista nella società padovana del tempo, dove cura gli interessi di personaggi illustri e di monasteri, tra cui quello di Sant’Antonio, del quale era procuratore 20. Egli accumula una grande quantità di denaro che investe in terreni, proprietà e privilegi. Ottiene il titolo di cavaliere nel 1452 dall’Imperatore Federico III, lo juspatronato di una cappella al Santo, e si dedica all’acquisto di una considerevole quantità di immobili a Padova e in parecchie ville del contado; le sue preferenze vanno però ancora a Casalserugo, dove proprio nella contrata ecclesie sancte Marie de Casali Domini Ugonis passa la stagione estiva e qualche volta anche i mesi invernali: lo sappiamo dal libro dei beni di Giovanni, dove al 32
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È lui a liquidare i pagamenti fatti a Donatello per la statua equestre del Gattamelata (A. Sartori, Il donatelliano monumento equestre a Erasmo Gattamelata, “Il Santo”, I (1961), pp. 327-331).
21 Liber immobilium mei Johannis Ursati, ASP Orsato, n. 141, c. 2. Si ringrazia di cuore il dott. Giannino Carraro per l’aiuto nella trascrizione. Lo stesso estimo, pur senza la pittoresca dichiarazione sull’uso stagionale del bene, viene presentato da Giovanni cavalier, presso il centenaro di San Lorenzo; ASP Estimi 1418, tomo 178°, polizza 47.
22 F. ZULIANI, Edilizia privata… cit., 1983. Nel 1405 Venezia aveva annesso l’entroterra padovano; in questa fase si assiste ad una venezianizzazione del linguaggio architettonico e costruttivo. Si possono ancora riconoscere a Padova molti esempi di costruzione di case gotiche e anche di riadattamenti di case precedenti soprattutto mediante l’inserimento di aperture gotiche, che per la loro forte caratterizzazione formale bastavano a rinnovare la facies delle antiche case patavine.
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O forse anche solo un frettoloso adattamento di facciata, animato da un chiaro intento rappresentativo. 24 Sembra che la casa rientrasse nella legittima di Enea, se la cassa supra la strà, per la quale si paga livello ai cugini del Duomo, è veramente Palazzo Orsato, come indica la scheda della Soprintendenza, che ha visto probabilmente ASP Estimi 1418, tomo 178°, polizza di Enea Orsato, 7 gennaio 1506.
25 Polizza d’estimo delle nostre case presentata l’anno 1671 in cancelleria dal signor capitanio, partita 55: ASP Orsato, n. 120, c 9.
primo posto tra le proprietà extraurbane, ritroviamo la domus di Casalserugo, coi caratteri della casa dominicale, con le strutture legate alle pratiche agricole, e l’accenno ad una sorta di villeggiatura ante litteram: “extra Civitatem, in villa Casallis domini Ugonis, una domus undique murata, cum duobus brodulis, duobus furnis, duobus putheis, cum tegetibus de cupis chopertis, cum stabullis pro equis, pro habitatione mea estiviis temporibus, et quandoque hyemallibus, in contrata ecclesie ipsius villae Casalis iuxta ecclesiam et cum duobus lavelis de lapide apud putheos suprascriptos pro comoditate domus ac pro comoditate viniatorum ad potandum ea et cum tinaziis quoque magnis, vecturo et torchullarum pro vindemiis” 21. Intorno alla metà del Quattrocento gli effetti del cruciale passaggio della città di Padova sotto il dominio della Serenissima cominciano ad essere leggibili anche nell’architettura. Numerosi palazzi nuovi e molti riadattamenti di edifici più antichi adottano il modello architettonico più diffuso in laguna: un gotico tardo che viene declinato senza troppe varianti in Padova e in tutti i territori passati sotto la Serenissima 22. Non è difficile immaginare che in occasione della nobilitazione di Giovanni venga impostato il secondo cantiere globale23, che prevede l’inserimento in rottura sul fronte ovest della polifora, delle monofore gotiche in pietra di Nanto e dello stemma di famiglia, uno scudo con orso rampante. L’ascesa della famiglia non si arresta: il figlio di Giovanni ottiene il titolo di conte palatino e combina un importante matrimonio tra suo figlio Reprandino e Montanina Tolomei, nipote di Enea Silvio Piccolomini, il futuro papa Pio II. Da questa unione, di breve durata per la repentina morte di Reprandino, nasce Enea (così chiamato in onore del prozio papa) che, ritornando la madre a Siena, viene presto lasciato alle cure di una zia. Nei primi anni del Cinquecento le disavventure finanziarie di Enea aprono per tutto il patrimonio accumulato dai due Giovanni un periodo di ripetute alienazioni, e per il Palazzo Orsato una fase oscura in cui esso passa probabilmente agli Orsato del ramo del Duomo24. Grazie ad un fideicommisso trasversale che Giovanni aveva posto sull’eredità, il palazzo potrà essere recuperato da Orsato Orsati, padre di Sertorio, anche se lo si ritrova con sicurezza solo negli estimi del figlio 25. 33
Lavori seicenteschi In questo estimo, che è diviso in partite, è facile fare un po’ di ordine tra le proprietà degli Orsato in contrà della Chiesa 26. Gli estensori della scheda della Soprintendenza potevano probabilmente vedere ancora nel 1979 una lapide posta sul muro della casa, che sembra recitasse “Questa parte di casa che cadeva a beneficio dei posteri in miglior forma restituì Sertorio Orsato dott. e cav. l’anno MDCLXII” 27. Essi indicano infatti nella persona di Sertorio Orsato, il noto erudito padovano, già impegnato nel restauro del palazzo di famiglia di via san Francesco a Padova, l’artefice dei lavori seicenteschi 28. La data 1674, incisa sulle malte fresche del camino, è visibile ancor oggi nel sottotetto dell’annesso sud. I lavori seicenteschi, originati come sembra da questioni statiche, aprono un vero e proprio cantiere di aggiornamento stilistico e funzionale che comprende interventi consistenti, tra cui quasi certamente la chiusura dei saloni “a crozzola” al piano terra e al piano nobile, una nuova configurazione della scala e delle aperture che la mettono in comunicazione con i saloni, la rivisitazione completa delle pareti interne della loggia. Le tracce di decorazioni classicheggianti in ocra gialla emerse durante i restauri, che sottolineano con paraste e timpani le porte architravate del salone al piano nobile e le finestre sulla loggia, confermano questa ipotesi e sono all’origine dell’attribuzione del tamponamento del salone “a crozzola” del piano nobile a questa fase (e per analogia anche la riduzione del salone al piano terra) 29. Non sembra insensato attribuire allo stesso intervento anche i pesanti lavori di trasformazione che hanno riconfigurato l’assetto del portico. Le quattro arcate non andavano più d’accordo con il nuovo portale e furono ridotte a tre, eliminando il pilastro centrale e inglobando nella nuova struttura quelli laterali, facendoli divenire parte di una configurazione del tipo a serliana, rinforzata da architravi in pietra tenera di Vicenza.
Il Settecento Verso la fine del Seicento, morto Sertorio Orsato nel 1678, i destini di Palazzo Orsato mutano nuovamente. Il nipote di Sertorio, il conte e cavalier Sertorio Orsato de34
26 Palazzo Orsato occupa la partita 55 ed è descritto come circondato di molti annessi di tipo agricolo: tesa, stalla, tinazzara, colombara, corte chiusa di muro, brolo, orto. La casa è parte di una possessione di campi tre di cui si riportano i confini con estrema precisione: “una casa di muro copperta di coppi con caneva Teza Stalla luoghi per Tinazzo Colombara Corte chiusa di muro, brolo, et orto, et questi passati di canna in tutto possono essere alla quantità di campi tre in circa, qual casa è situata vicino alla Chiesa di detta villa, gli confina a Tramontana il segrà della Chiesa, parte una viazzolla Consortiva, et parte il signor Antonio Maria Orsati cavaliere, a levante l’istesso signor cavaliere, a mezzo giorno, et a ponente la strada comune, qual casa, orto, et brollo tengo per mia habitazione et uso”.
27 La trascrizione è riportata in un manoscritto senza nome né data conservato nell’archivio parrocchiale, che dice la lapide essere “caduta solo di recente”.
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“Verso la fine del 600 (1670) un Sertorio Orsati (1617-1678) di Orsato Orsati pone mano alla ristrutturazione dell’edificio. Di tale epoca possono essere la adiacenze di destra e di sinistra
ed il porticato retrostante. La fine decorazione monocroma che si intravvede sottocalce è tipicamente seicentesca”, S.B.A.A. Veneto Orientale, catalogo generale 05/00139857. 29
Mentre un salone a L poteva coesistere, per questioni geometriche, con il portale originario, che affaccia sul portico, il muro di tamponamento con porta ad architrave a voltina, che dà la forma rettangolare al salone, deve necessariamente essere successivo o coevo all’apertura del portone attuale sul portico (a tutto sesto con chiave di volta e imposte dell’arco in cotto intonacato) e per analogia formale a quello corrispondente sul lato ovest. 30
Dal 1711 al 1717 Sertorio Orsato Orsati fa costruire la nuova casa e il giardino di delizie che la circondava, ancora visibile nella mappa di impianto del catasto austriaco, che riporta anche la casa trecentesca, poi demolita (ASP Censo stabile, Casalserugo). Oggi rimane la villa settecentesca (ora Pizzo) col giardino mutilo e il toponimo Rialto è testimoniato ancora dal nome di una via attigua. 31
Il contratto di affitto fu steso il 2 luglio 1717, dal notaio Giovanni Cusinato; ad esso venivano allegati la perizia e il disegno datati 30 Aprile 1717 (ASP Notarile, tomo 5776, Giovanni Cusinato nod., liber XVIII).
gli Orsati figlio di Sertorio Antonio, quando ormai la famiglia è imparentata con la miglior aristocrazia padovana e abita lussuose case in centro a Padova, entrato in possesso dell’eredità paterna, prende la decisione di darsi una degna residenza a Casalserugo, che continua ad essere, insieme ai possedimenti di Arquà, la meta favorita della villeggiatura di famiglia. È nei primi anni del nuovo secolo (1711) che Sertorio Orsato Orsati pone mano a questa che egli considererà l’opera della sua vita e di cui fino agli ultimi anni andrà fiero. La scelta cade sulla casa di Rialto, che versava probabilmente allora in stato di decadenza e che offriva le migliori caratteristiche di spazio e tranquillità. Mentre si conserva, restaurandola, la vecchia casa dominicale, le si costruisce a fianco una dimora più confacente al grado sociale degli Orsato, dove Sertorio Orsato Orsati stabilisce la sua sede in villa 30. Nel 1717 la casa alla chiesa viene concessa in affitto al parroco di Casalserugo, Don Antonio Giuriati, amante delle antichità, e artefice dell’ingrandimento settecentesco della chiesa di Casale. In previsione di questa affittanza Antonio Squarcina, pubblico perito, viene incaricato di stendere una perizia della proprietà. Alla perizia, che descrive con una certa accuratezza la consistenza e lo stato di conservazione dell’edificio e degli annessi, è allegato un disegno che offre la prima rappresentazione grafica di Palazzo Orsato a noi pervenuta, una planimetria dell’intero complesso che ce ne consegna una preziosa visione sintetica 31. Osservando la mappa non è difficile riconoscere le modificazioni subite dalla contrada, ma anche le molte tracce ancora esistenti, come la stradella consortiva citata negli estimi (che si ritrova ancora nel catasto austriaco ma non nell’austroitaliano) di cui resta tuttora, dietro la chiesa, la roggia che la accompagnava e un filare di alberi che si allontana in direzione est. A oriente la proprietà confina con gli Orsati del Duomo, che abitavano la possessione de campi diese che comprendeva casa Orsato sull’attuale via Sperona. Il terreno che oggi ospita la palestra era allora parte della proprietà alla chiesa e conteneva una casetta di muro. Sul fronte ovest, rispetto allo stato attuale, il confine con la strada che va a Bovolenta era spostato più in avanti e non vi era soluzione di continuità sul perimetro della proprietà, che era circondata da un alto muro di cinta, testimoniato nelle fotografie d’epoca. Molti abitanti di Casalserugo conservano 35
tuttora il preciso ricordo della barchessa ad un solo piano che si allungava in direzione est-ovest, delimitando la corte a sud. Dal documento e dalla mappa si traggono preziose informazioni sullo stesso palazzo, sulla configurazione planimetrica, sui materiali, sulle finiture, sullo stato di conservazione di ciascuna stanza, tanto che è possibile in qualche caso riconoscere perfino gli esiti dei lavori fatti fare proprio in ossequio ai suggerimenti dello Squarcina 32. Dal contratto di locazione cui era allegata la perizia si evince la volontà del Parroco Antonio Maria Giuriati di aprire una porta sul lato nord che migliorasse la comunicazione con cimitero e chiesa, operazione che gli fu per contratto stesso esplicitamente proibita. Questa porta, che infine fu aperta e poi richiusa, fu oggetto di lunghe controversie tra locatore e affittuario. Essa è facilmente individuabile sul lato nord del nucleo originario, parzialmente sovrapposta ad una precedente romanica, oggi nella cappella invernale. Il restauro appena concluso l’ha riaperta, per stabilire una connessione diretta tra la casa e la cappella. Sertorio Orsato Orsati tenne durante i suoi ultimi anni di vita un libro dei beni seguendo le orme del suo antenato Giovanni. Alla partita che riguarda Palazzo Orsato si legge: “Casa Dominicale in Villa di Casal di Ser Ugo attaccata al Cimiterio della Chiesa, si crede sia l’acquisto fatto da Ansedisio Orsato li 6 agosto 1343, Nodaro Zuanne Clemente dalla casa Zacca per il prezzo di lire 239. Questa con Caneva, Tinazzara Colombara, & altre Fabriche adiacenti e Terreno in quantità di C. 5 q. 1.2 tt. 57 l’ho datta a livello Vitalizio al Signor Don Antonio Maria Giuriati Paroco di Casale come da stromento 2 luglio 1717 Nodaro Giovanni Cusinato e con que patti in esso registratti unito col Disegno e Perizia del Perito Angelo Squarcina de li 30 Aprile 1717 e come tutto apparisce dalli quaderni antedenti del mentovato anno”. In quegli anni egli finiva di riordinare le carte di famiglia in tomi incontrando probabilmente la pergamena del 1343.
Tra Otto e Novecento Sertorio Orsato Orsati non aveva avuto figli, né dal primo matrimonio con Chiara Dondi Orologio, né quando aveva sposato in seconde nozze Laura Lolli Brancaleoni, vedova di un Negri e madre di due figli. Una sorella di Sertorio Orsato aveva spo36
32 È il caso di tre travi del coperto dell’annesso sud, di cui lo Squarcina consiglia la sostituzione, che, prima dell’attuale restauro, erano chiaramente riconoscibili come posteriori.
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Al sommarione del Catasto Napoleonico, in data 1830, la situazione degli ex possedimenti della famiglia Orsato (i rami della famiglia si sono intanto estinti) è la seguente: la casa al segrà o casa dell’osteria che si incontra al lotto 507 e 508 è in possesso dei fratelli Negri; la casa di Rialto con giardino ai lotti 537, 538, 539 risulta posseduta dai fratelli Polcastro; la proprietà della casa alla chiesa contraddistinta dai numeri di mappale 509, 510, 512 è attribuita a Mazzuccati Giobatta, che risulta proprietario anche della possessione di campi diese degli Orsato del Duomo, ai mappali 635, 636, 637, 638, sulla strada Sperona per Piove di Sacco.
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Il manoscritto anonimo conservato nell’archivio parrocchiale raccoglie alcune interessanti informazioni sugli ultimi passaggi di proprietà.
sato un Polcastro, avendone due figli maschi. Sertorio Orsato muore nel 1766 lasciando l’usufrutto dei suoi beni a Laura, alla morte della quale si scatena una contesa per eredità che vede contrapporsi i fratelli Negri e i fratelli Polcastro, nipoti ex sorore di Sertorio Orsato Orsati. All’inizio del secolo successivo la campagna napoleonica con le conseguenti rivoluzioni amministrative, produce il primo catasto fiscale cui sia associata una mappa completa e facilmente aggiornabile. Il catasto napoleonico sancisce la definitiva separazione del destino del palazzo da quello della famiglia Orsato, aprendo una serie di passaggi di proprietà, che, con l’instabilità che ne deriva, segneranno a poco a poco la sua decadenza33. A partire dai sommarioni del catasto austriaco troviamo il palazzo abitato da Giuseppe Cappellari, usufruttuario dei suoi nipoti Pietro e Luigi 34. In uno degli specchi tra i “merli” nel granaio si legge una scritta a pittura rossa che riporta: “1844 Gussepe Capellari padrone del locho”. La casa viene venduta da Luigi fu Silvestro Cappellari nel 1850 a Polazzo Francesco fu Marco. Nel 1853 Sonzogno Pietro fu Teobaldo, cognato dei Cappellari, acquista la casa dal Polazzo. La casa venne ceduta in permuta nel 1875 a Cappellari Luigi fu Silvestro e ospita Rosa Gattolin come usufruttuaria. Nel 1921 Carraretto Sante acquista l’edificio dalle eredi del Cappellari. Tra la seconda metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento si collocano probabilmente gli interventi più recenti, che agiscono soprattutto sulla distribuzione interna e sulle finiture; tuttavia nell’insieme le modifiche avvenute nel corso degli ultimi due secoli non sono di poca importanza: di relativamente facile lettura nel loro insieme (la perizia Squarcina è un riferimento preciso), risulta più complessa la loro attribuzione certa a una o l’altra delle microfasi che devono essersi succedute a non molti anni di distanza. Non sono sicuramente tutti ascrivibili alla stessa fase di cantiere, per materiali, tecniche e intenti estetici, le intonacature decorate dell’attuale ufficio del parroco e della camera padronale, i serramenti di porte e finestre (in particolare quelli delle polifora e monofore dotati di avvolgibili) i numerosi frazionamenti delle stanze, la dotazione di piccoli annessi per gli impianti sanitari sul lato est dell’annesso sud, l’abbattimento della scala a bovolo della perizia Squarcina, la creazione della sca37
la di servizio al piano primo dell’annesso sud e poi la sua chiusura, la costruzione nella stanza sopra il canevin del recesso sottoscala in mattoni crudi, il cambiamento di forma, da poligonale a retta, a causa di una demolizione (o di un crollo) dell’angolo sud-ovest dell’annesso sud35, i pavimenti non elencati nella perizia Squarcina. Un discorso a parte merita la scala che viene descritta in legno: “La scala in due rami che sono fra le soddette due camere et e di legno vecchia de scalini n° 26, il suo luminalle senza scuro con ferrada de peso de libre 12, il qual luminalle hà impedimento e non può luminare detta scala cosiché resta oscura”. Pur occupando la stessa zona dell’edificio, essa è ora composta di gradini in pietra calcarea porosa, così come la balaustra, di recupero 36. Probabilmente in questa fase si è proceduto anche ad alcuni interventi statici che hanno interessato in particolare il muro sud del nucleo originario, compromesso dai molti rimaneggiamenti e il coperto della loggia, perdendo le colonne di legno e Nanto ricordate dallo Squarcina, sostituite da pilastri in muratura. Anche il portico ha subito alcuni interventi statici che sono consistiti nella rifodera dei pilastri angolari con mattoni pieni. Visto sotto questo aspetto l’intervento otto-novecentesco si configura come un vero e proprio ripristino complessivo, che, benché condotto con mezzi limitati e non sempre appropriati, intendeva riportare in uso l’edificio. Già all’inizio del Novecento Palazzo Orsato viene incluso negli elenchi dei beni artistici da salvaguardare 37, ma ciò non basta a tutelarne l’integrità. Dopo che l’edificio, a seguito di un lascito da parte di Dionisio Carraretto, erede di Sante, diventa proprietà della Parrocchia, nel secondo dopoguerra si assiste all’ampliamento della Parrocchiale, che compromette buona parte degli annessi nord del palazzo: essi infatti vengono demoliti per far posto alla nuova abside. Si perde così la tinazzara della perizia Squarcina, testimoniata anche dalla sequenza dei catasti, e buona parte della caneva, di cui oggi restano gli spazi recuperati a cappella invernale. In seguito poi alla cessione al Comune di parte del terreno antistante la casa e dei terreni laterali su cui oggi insiste la palestra, il perimetro della proprietà viene modificato, così come il muro di recinzione, a suo tempo così accuratamente descritto dallo Squarcina. 38
35 Gli scavi hanno portato alla luce la fondazione del muro poligonale: si veda la scheda curata dal dott. Tuzzato in questo stesso volume.
36 I gradini sono stati montati lasciando uno spazio di circa cm 1,5 tra l’uno e l’altro, per coprire la maggior altezza dell’interpiano; del resto anche la balaustra risulta chiaramente adattata ad una maggior ripidezza della rampa tramite cunei intonacati interposti tra colonnine e corrimano. Ad un’analisi a vista il calcare di cui la scala è composta è lo stesso del camino della stanza T7, inserito del resto in rottura, e forse proveniente dallo stesso recupero. La ricostruzione della scala deve aver costretto ad allargare il pianerottolo a spese del muro perimetrale, asportandone il nucleo centrale e riducendolo allo spessore di una sola testa.
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Il vincolo delle “Belle Arti”, ai sensi dell’art. 5 della legge 20 giugno 1909, n. 364, viene notificato a Sante Carraretto il 28 novembre 1930.
38 Non si sa se ascrivere a questo momento anche la sparizione della colombara o poca camera, che probabilmente corrisponde all’edificio dal grosso muro perimetrale dotato di scale, che compare addossata al muro della corte, che lo Squarcina disegna ma non fa rientrare nella perizia.
La casa rimane abitata fino agli anni Settanta e gli interventi più recenti sono essenzialmente di tipo manutentivo o di adeguamento tecnologico: imbiancature, tramezzature e controsoffittature, impianto elettrico, alcuni apparecchi sanitari, l’acqua corrente. Più dannosa per le conseguenze sulla conservazione del palazzo, la stesura di un corso di pseudo-bugnato in malta cementizia lungo i lati sud est e ovest dell’edificio responsabile del ristagno di umidità di risalita sulle murature, con compromissione degli intonaci storici e della superficie stessa dei laterizi. Altre modifiche recenti riguardano i terreni circostanti la proprietà, dove sorgeva fino agli anni Sessanta la barchessa illustrata nella perizia Squarcina, abbattuta per far posto alla modesta casetta adibita fino a ieri a canonica, e la trasformazione della corte in seminativo 38.
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Caratteri della casa forte
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Il nucleo originario Palazzo Orsato nella forma attuale è un edificio complesso, edificato per successive aggiunte e modificato durante numerose fasi di trasformazione, che nasconde però un nucleo più antico. Analizzando la pianta del palazzo si percepisce facilmente la consistenza del nucleo originario, riconoscibile a causa del maggiore spessore murario (in rosso nell’immagine a lato). Esso si presenta di forma pressoché quadrata, col lato di lunghezza pari a circa tredici metri. Le quattro angolate sono rinforzate a livello del suolo da alcuni grandi massi squadrati di trachite, che si fanno più frequenti nelle murature di fondazione, profonde fino a un metro e cinquanta circa sotto il piano campagna attuale.
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La muratura M1 Le murature del nucleo originario si distinguono da quelle degli annessi non solo per lo spessore, ma anche per le caratteristiche costruttive. Si tratta di un tipo particolare di muro a sacco di buona qualità, che gli specialisti definiscono “muro a nucleo interno di calcestruzzo non apparecchiato”, racchiuso tra due paramenti di spessore pari ad una testa (circa 12 cm), composto di mattoni misti, probabilmente in parte di recupero, e caratterizzato da corsi di malta piuttosto alti, che in alcuni punti superano i due centimetri. La dimensione ridotta dei laterizi e al contrario quella consistente della malta fanno pensare ad un periodo storico caratterizzato da penuria di materiali da costruzione, o a disponibilità finanziarie limitate da parte del costruttore. La malta di alletto delle fughe tra i corsi di mattoni porta ancora le tracce della stilatura, ottenuta con il passaggio di un ferro, che ne rendeva compatta la superficie, per aumentarne la resistenza agli attacchi della pioggia e dell’umidità.
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Le apparecchiature difensive Ma ciò che spinge a parlare di casa forte sono soprattutto alcune apparecchiature difensive di cui restano le tracce in filigrana sulle murature perimetrali del corpo del palazzo. Una vera e propria merlatura, girava tutto intorno all’edificio. Se ne leggeva bene il profilo sul lato sud ancora prima dei lavori di restauro; oggi la merlatura è ben visibile anche sul lato ovest, nonostante essa risulti inglobata in una sopraelevazione eretta allo scopo di guadagnare un piano, modificando probabilmente la configurazione spaziale e strutturale dell’intera copertura. La merlatura poggia su un doppio corso di mattoni in aggetto, sporgenti sia verso l’esterno che verso l’interno. All’interno e sul lato ovest ed est la sporgenza è stata scalpellata a filo del muro, e se ne leggono i segni sulla superficie stessa dei mattoni. A sud e a nord la sporgenza è invece ancora ben leggibile.
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Nella zona sottostante una lunga teoria di arcatelle, impostate su un corso di pietra calcarea tenera rosata, corre anch’essa sui quattro lati del corpo del palazzo. Si tratta di un tipo di coronamento molto diffuso nell’edilizia veneta del Due e Trecento, come testimoniano non solo esempi analoghi nelle città maggiori, ma anche nella stessa Casalserugo sulle pareti del “Castello”. Le arcatelle della nostra domus merlata erano quasi certamente intonacate, come dimostrerebbe l’irregolarità geometrica con la quale sono stati messi in opera i mattoni, corretta con il successivo intonaco, le cui tracce sono presenti ancora in situ.
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Palazzo Orsato, lato nord
Villa Ferri detta “Castel ser Ugo�, lato nord
Casa in via Santa Lucia a Padova
Palazzo Zabarella a Padova
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Aperture romaniche Non solo la presenza del coronamento merlato fa pensare di trovarci di fronte ad un edificio munito: il limitato numero di aperture su tutti i lati sembra rimandare ad una volontà di difesa dall’esterno che è difficile non notare. Al piano terra solo due porte sono attribuibili con certezza alla prima fase: il grande arco verso est e la porta verso nord, che presumibilmente conducevano la prima alla corte (se si considera probabile la permanenza della funzione che ritroviamo nel Settecento) e la seconda al muro che doveva circondare gli spazi sacri intorno alla chiesa parrocchiale. Tra le aperture certamente attribuibili alla fase di costruzione del corpo del palazzo si possono annoverare alcune fessure alte e strette, strombate verso l’interno, che potrebbero essere semplici fori da luce, ma piÚ probabilmente feritoie. Se ne sono riconosciute certamente tre sul lato sud a differenti altezze, una sul lato est, probabilmente due sul lato ovest.
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Altre aperture appartengono con certezza alla fase di fondazione dell’edificio. Già si è detto del grande arco verso l’attuale loggia, cui va aggiunto, sempre sul lato est in corrispondenza del piano soprastante, un altro arco di più ridotte dimensioni con funzione di porta, accompagnato da due finestre della medesima foggia. Tutte queste aperture sono state tagliate e tamponate dalle modificazioni successive subite dall’edificio, in particolare dalla introduzione della tripartizione in pianta. Sul lato sud un’altra porta trovava posto tra le due feritoie di cui si è detto. Tutte queste aperture sono caratterizzate da un tipo particolare di disposizione dei laterizi di coltello in due ghiere, alle quali è sovrapposta una terza di piatto.
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Un’altra serie, che comprende finestre più piccole, presenta invece un solo giro di mattoni di coltello sotto al giro di piatto. La particolarità di queste ultime è quella di trovarsi in posizione non sempre coerente con gli attuali orizzontamenti, come invece accade per le aperture precedenti. Ciò significa che mentre possiamo dire con buona dose di approssimazione che all’attuale solaio tra piano terra e piano superiore corrispondeva anche in passato un piano di calpestio, è necessario immaginare un ulteriore livello intermedio, almeno in corrispondenza di queste aperture a mezza altezza, una sul lato est, una sul lato nord, ed una sul lato sud.
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La decorazione ad affresco del palazzo Giuliana Ericani
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G
Gli studi degli ultimi vent’anni hanno definitivamente dimostrato che le strutture murarie degli edifici medievali e rinascimentali erano interamente coperte da intonaci e che tali intonaci venivano protetti con il colore. Le trasformazioni subite nel corso dei secoli hanno spesse volte occultato tali testimonianze pittoriche restituendoci edifici privi delle finiture originali e pertanto depauperati di quel rapporto di luce e di ombre che si crea tra l’atmosfera e la finitura colorata degli edifici. Giusto de’ Menabuoi nella cappella Belludi al Santo documenta una Padova colorata, sulla quale spicca il castello carrarese a grandi scacchi araldici rossi e bianchi. Affreschi anche meno importanti in tutte le città che furono della Repubblica di Venezia, tra le quali si segnalano quelle della Pedemontana, Castelfranco, Cittadella, Bassano, Feltre, Oderzo, Treviso, Pordenone, ma anche e soprattutto Verona e poi Bergamo, documentano la grande civiltà della urbs picta, di cui le trasformazioni urbanistiche, i cambiamenti di gusto ed il più recente inquinamento atmosferico hanno sensibilmente ridotto la quantità e l’incidenza visiva. Per gli addetti ai lavori il rinvenimento di decorazioni pittoriche in un edificio medievale e rinascimentale oggetto di restauro costituisce pertanto solo la conferma di una storia nota, che tuttavia aggiunge un tassello a questa storia, con la speranza che sempre migliori restauri, tassello su tassello, formino un quadro meno lacunoso possibile. Le complesse vicende costruttive di Palazzo Orsato, evidenziate dalle ricerche archivistiche e dall’analisi delle murature nel corso dell’intervento di restauro, vicende già ripercorse in altra sede in questo volume e alla quale si rimanda per i riferimenti cronologici e documentari, consentono di scalare tra il XIII e la seconda metà del XV secolo le fasi della decorazione murale dell’edificio. Alla casa forte medievale, la domus magna ricordata nel documento di cessione del 1343 tra Aicarda da Terrarsa e Giovanni da Casale, capostipite degli Orsato, risalgono le tracce di colore, stese con ocra rossa su fondo bianco, di cui non è possibile ricostruire il disegno, ad andamento regolare, geometrico, di piccolo formato, che sottolineano le arcatelle trecentesche esterne della torre. La poca attenzione attribuita alla salvaguardia della decorazione non figurata negli edifici profani del Tre e Quattrocento ci priva di confronti per questa decorazione. Di certo, i toni del rosso su fondo bianco, di probabile richiamo araldico, rimandano allo stemma cro-
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1
Per la decorazione del Palazzo della Ragione si veda ora, con la bibliografia precedente, Il palazzo della Ragione di Padova. Indagini preliminari per il restauro. Studi e ricerche, a cura di A.M. SPIAZZI, Soprintendenza per i Beni artistici e Storici del Veneto, Treviso 1998
2
Per il namework cfr. R. LONGHI, Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, ripubblicato in Riedizioni delle opere complete di Roberto Longhi. Ricerche sulla pittura veneta 19461969, Firenze 1978, pp. 3-63 (44) 3
Il rinvenimento del documento di allogazione al maestro Antonio di Pietro da Verona della Madonna con il Bambino della Colleggiata di Santa Giustina di Monselice ed il rapporto stilistico che lega quella tavola con il corpus del “Maestro di Roncaiette” ha indotto la scrivente a riunire sotto il nome del maestro di origine veronese, attivo a Padova nei primi tre decenni del Quattrocento, tale corpus. Se ne veda il profilo con bibliografia anteriore in G.ERICANI, in Pisanello. I luoghi del gotico internazionale, a cura di F.M. ALIBERTI GAUDIOSO, Soprintendenza per il patrimonio storico artistico del Veneto, Milano 1996, pp. 216-218, 355-356.
ciato della città di Padova e si ritrovano nella decorazione esterna di molti edifici della città, primo tra tutti il Palazzo della Ragione 1. Ad un momento successivo della costruzione dell’edificio risale la decorazione del grande portico verso il cortile del brolo, purtroppo depauperata nel colore, tanto da potervi individuare ora tracce di figurazione molto dilavata e residui di sinopia rossa. Vi si riconoscono una fascia superiore a tralci vegetali rossi con una resa fortemente naturalistica, che è più evidente nelle ghiere laterali degli archi, due grandi stemmi entro una cartella mistilinea con un dragone rampante, tre filatteri arrotolati ed una figura femminile di tre quarti, probabilmente una Vergine stante. L’andamento dei filatteri ed i caratteri stilistici della figura riconducono alla cultura figurativa padovana dei primi decenni del Quattrocento, quando i residui neogiotteschi della lezione veronese di Altichiero da Zevio si stemperano nella temperie del naturalismo padano, influenzato dai ferraresi. Iconograficamente riferibile al periodo considerato è la Vergine a figura intera di derivazione bizantina che persiste per tutta la prima metà del secolo. In particolare, nella semplificazione del profilo della Vergine si coglie la vicinanza con i tratti del maestro attivo nel Palazzo della Ragione, responsabile del riquadro con l’Incoronazione della Vergine della parete nord, ma anche della Vergine Annunciata del registro superiore del polittico della Vergine del Maestro di Roncaiette, ancora conservato nella chiesa dedicata a San Fidenzio della località che ha dato il nome all’autore 2. La recente ipotesi di identificare tale autore in Antonio di Pietro, un allievo di Altichiero attivo a Padova per i primi tre decenni del Quattrocento 3, fa nuovamente ruotare intorno alla lezione del grande veronese anche tale settore della cultura artistica padovana della prima epoca veneziana e di conseguenza la decorazione del palazzetto Orsato di Casalserugo. I cartigli arrotolati ai lati confermano una datazione entro il primo quarto del XV secolo. Meno comprensibili appaiono ai lati i due biscioni viscontei entro cartella mistilinea; se è vero che la breve dominazione viscontea nel Veneto a cavallo dei due secoli fu accolta con molto calore da alcune famiglie patrizie, ci mancano dati storici per annoverare gli Orsato tra i familiares dei duchi milanesi, tanto da fregiarsi, anche dopo la conquista veneziana, dello stemma della casata. 55
L’assetto della decorazione interna della casa si deve probabilmente all’ampliamento (“casa grande”) dovuto a Giovanni nipote di Reprandino speziale, conte a partire dal 1460. Gli affreschi correvano in una fascia sotto le travi lungo i saloni centrali del piano terra e del piano nobile, assecondando la singolare pianta “ad L” dell’edificio, che costituisce uno dei suoi aspetti architettonici più interessanti, emersi dalla indagine delle murature e dal successivo restauro. Consueta nei lotti medievali veneziani, tale tipologia planimetrica consentiva lì un allargamento della facciata verso il rio e la conseguente presenza di una bifora centrale. Rinvenuta, nel Padovano, esclusivamente nel tardo-quattrocentesco palazzo Pretorio a Cittadella 4 e qui, in palazzetto Orsato, tale pianta consente di individuare nella facciata verso il brolo il fronte principale dell’edificio, anticipando analoghe situazioni della villa quattrocentesca. La fascia decorativa appare semplificata nel prontuario decorativo costituito dagli stemmi della casata, l’orso rampante, intervallati a triglifi e foglie entro ovuli tra loro legati, realizzati in bianco ed ocra gialla con evidenti contorni neri, su fondo rosso. Il modulo, già di impianto naturalistico quattrocentesco, non trova confronti in area in altra pittura realizzata ma per la sua schematicità ed iconicità sembra costituire lo sviluppo di analoga decorazione tardo-trecentesca. Affine nei modi ma non nel modulo sono le decorazioni esterne della chiesa di San Nicolò, della facciata di una casa già in via Gigantessa 209 a Padova e di un frammento della parte destra della facciata sud di palazzo Pretorio a Cittadella, databile, come la Madonna con il Bambino squarcionesca interna, al quarto-quinto decennio del XV secolo 5. Ancora al sec. XV è riferibile la decorazione interna dell’ambiente a destra del portico posteriore, ove la porta laterale è contornata da una fascia decorativa vegetale, naturalistica, costituita da un ramo ad andamento sinusoidale entro il quale si apre una grande corolla con pistillo, leggibile anche tridimensionalmente come una melograna con il tromboncino superiore. Il motivo costituisce una costante della decorazione padovana della seconda metà del sec. XV e compare, ridipinto, nel Chiostro del Noviziato del convento del Santo a Padova, decorato a partire dal settimo decennio del secolo 6 e, recentemente emer56
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G.ERICANI, I cicli pittorici, in Palazzo Pretorio, a cura di G. Ericani, Cittadella 2002, pp. 99-131, part. p. 105.
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Per i confronti si rimanda a P.L. FANPittura murale esterna nel Veneto. Padova e provincia, Giunta Regionale del Veneto, Bassano 1989, pp. 38-42. TELLI,
6 Cfr. A. SARTORI, Archivio Sartori. Documenti di storia e arte francescana, III, Evoluzione del francescanesimo nelle Tre Venezie. La Basilica del Santo, a cura di P.G. LUISETTO, Padova 1988, pp. 959-963.
7 Cfr. FANTELLI, Pittura murale… cit., 1989, pp. 44-45.
so dallo scialbo, nel sottoportico di palazzo Enselmini in via San Pietro. È documentato, inoltre, in edifici del medesimo periodo ora non più esistenti, dai disegni primo novecenteschi dell’Istituto “P. Selvatico” di Padova, in un palazzo tra via Zabarella e via Cesare Battisti, in un’altra facciata in via Battisti 99-101, nella fascia sottogronda di Riviera Tiso Camposampiero già 2278 e, particolarmente interessante per il riferimento di committenza, di palazzo Osellatore già Orsato in via San Francesco 22, sempre a Padova 7. Altre tracce di sinopie e di graffiti in varie parti dell’edificio documentano una continuità decorativa che era tipica degli edifici in area padovana almeno fino alla fine del Cinquecento. Nel complesso ci troviamo dinnanzi ad un palinsesto purtroppo depauperato nei toni, ma che mantiene con evidenza la sua importanza nel recupero della complessità figurativa della cultura artistica padovana nel corso del XV secolo. Le immagini che seguono illustrano ciò che resta dell’apparato decorativo del palazzo, recuperato con il recente restauro.
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Decorazioni romaniche Le arcatelle trecentesche esterne della torre sono sottolineate da tracce di colore, stese con ocra rossa su fondo bianco, di cui non è possibile ricostruire il disegno, ad andamento regolare, geometrico, di piccolo formato. La poca attenzione attribuita alla salvaguardia della decorazione non figurata negli edifici profani del Tre e Quattrocento ci priva di confronti per questa decorazione. Di certo, i toni del rosso su fondo bianco, di probabile richiamo araldico, rimandando allo stemma crociato della città di Padova ed alla sfragistica carrarese, si ritrovano nella decorazione esterna di molti edifici della città , primo tra tutti il Palazzo della Ragione.
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La decorazione del portico Ad un momento successivo della costruzione dell’edificio risale la decorazione del grande portico verso il cortile del brolo, purtroppo depauperata nel colore, tanto da potervi individuare ora tracce di figurazione molto dilavata e residui di sinopia rossa. Vi si riconoscono una fascia superiore a tralci vegetali rossi con una resa fortemente naturalistica, che è piÚ evidente nelle ghiere laterali degli archi, due grandi stemmi entro una cartella mistilinea con un dragone rampante, tre filatteri arrotolati ed una figura femminile di tre quarti, probabilmente una Vergine stante. L’andamento dei filatteri ed i caratteri stilistici della figura riconducono alla cultura figurativa padovana dei primi decenni del Quattrocento.
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L’arco dei melograni Al piano terra, nei locali ora adibiti a cappella invernale, il grande arco di accesso al portico è contornato internamente da una fascia decorativa vegetale, naturalistica, costituita da un ramo ad andamento sinusoidale entro il quale si apre una grande corolla con pistillo, leggibile anche tridimensionalmente come una melograna con il tromboncino superiore. Il motivo costituisce una costante della decorazione padovana della seconda metà del sec. XV.
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Il fregio naturalistico e le decorazioni quattrocentesche La fascia decorativa corre sotto le travi dei soffitti, semplificata nel prontuario decorativo costituito dagli stemmi della casata, intervallati a triglifi e foglie entro ovuli tra loro legati, realizzati in bianco ed ocra gialla con evidenti contorni neri, su fondo rosso. Il modulo, giĂ di impianto naturalistico quattrocentesco, non trova confronti in area in altra pittura realizzata ma per la sua schematicitĂ ed iconicitĂ sembra costituire lo sviluppo di analoga decorazione tardo-trecentesca. A destra un saggio sotto il quale compare il fregio prima del restauro.
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Due applicazioni dell’indagine stratigrafica Viviana Ferrario e Andrea Turato
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Ciascuna delle azioni umane che nel corso dei numerosi cantieri (da quello di costruzione a tutti quelli di manutenzione e di trasformazione) hanno interessato il manufatto storico nel tempo, lascia una traccia fisica sul manufatto stesso. Queste tracce sono diverse se ad originarle sono state azioni diverse, per esempio azioni positive, consistite cioè in un apporto di materiale (come un’intonacatura o la costruzione stessa) o negative, cioè di asportazione di materiale (come una demolizione, una scalpellatura). L’osservazione di queste tracce permette di risalire con una considerevole approssimazione alle azioni che le hanno generate, che nel loro insieme tracciano la storia costruttiva del manufatto. Ciò costituisce l’oggetto dell’analisi stratigrafica che da qualche decennio viene applicata nel restauro architettonico, al fine di approfondire la conoscenza del manufatto e verificare la portata e l’efficacia degli interventi. Essa ha dunque due scopi principali: il primo, che deriva dalla sua matrice archeologica, è quello squisitamente teorico di registrare tutte le informazioni possibili leggibili sul manufatto che concorrano a ricostruirne le vicende costruttive. Esiste però un secondo significato, proprio della stratigrafia applicata al restauro, che purtroppo la pratica corrente fatica a comprendere e interiorizzare. L’analisi stratigrafica deve non solo e non tanto – si badi bene – stabilire una semplice gerarchia tra parti più o meno trasformabili in base alla loro presunta “antichità”, ma soprattutto segnalare le caratteristiche e le parti del manufatto che conservano le informazioni che sono servite a tracciarla, concorrendo così a stabilire i principi per l’intervento di restauro; divenendo anzi un vero e proprio modo di intendere il restauro architettonico. Condividere questa idea di restauro significa intendere la costruzione come un testo, anzi un ricco palinsesto, una fonte stratificata, di cui ogni parte ha una dignità che non dipende da questioni architettoniche o estetiche, ma di testimonianza della storia della cultura materiale di cui sono parte la costruzione e le sue tecniche. Questo palinsesto costruito dovrebbe essere considerato a tutti gli effetti una fonte per la storia e per la storia della tecnica, e come tale conservato e tutelato, per quanto possibile, nella sua complessità. L’analisi stratigrafica su Palazzo Orsato ha dovuto essere limitata a pochi ma gustosi “assaggi” di cui offriamo qui una selezione succinta, che lascia però intuire l’enorme ricchezza che un manufatto che ha attraversato sette secoli di storia porta con sé. Il primo passo è stato quello di procedere ad una numerazione complessiva degli elementi che compongono il Palazzo, dividendo gli ambiti di studio, con l’intenzione di creare così una griglia capace di accogliere futuri eventuali approfondimenti stratigrafici. Ogni vano, ogni muro, ogni apertura ha un nome univoco. Gli ambiti di analisi erano tutti originariamente estesi alle intere sezioni del rilievo; solo il muro sud (2000), interessato da consistenti interventi di consolidamento, ha potuto essere indagato complessivamente. 69
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La finestra romanica del vano N2 All’inizio della campagna di studi il vano N2 presentava sul muro 1000, che si affaccia sul giardino a ovest, un grande saggio che aveva messo in luce (benché un po’ violentemente) l’interfaccia interna, intonacata, dell’apertura romanica poi tamponata visibile all’esterno tra monofora sinistra e polifora. L’analisi stratigrafica dell’area del saggio ha potuto verificare la presenza di una fase intermedia tra l’edificio di prima fase (la domus merlata) e l’inserimento quattrocentesco delle aperture tardogotiche: si tratta probabilmente di una modifica “stilistica” che si limita a rettificare il profilo interno dell’apertura romanica, che potrebbe corrispondere all’entrata in scena del nuovo proprietario, Giovanni Rossato da Casale.
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Intonaco parlante Il tamponamento dell’apertura romanica è rifinito verso l’interno con una superficie di intonaco finita, alla quale si deve addossare in un secondo momento il muro di spina 8000. Dobbiamo ammettere quindi la presenza di un ulteriore ciclo d’uso in cui, essendo già stata tamponata la finestra romanica, le aperture sul prospetto ovest si aprivano su uno spazio ampio, che poteva misurare anche l’intera larghezza del palazzo. Il diagramma stratigrafico a lato rende conto di questa complessa sequenza costruttiva. I muri di spina avevano un particolare significato in quanto definivano per la prima volta la pianta tripartita che caratterizzerà il palazzo in seguito.
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Le porte a sesto acuto La presenza sui muri 8000 e 9000 di elementi formalmente ben definiti quali le tre porte ad arco acuto tamponate (due integre, di una resta una traccia, altre potrebbero essere state cancellate da un’apertura più grande) pone qualche dubbio sulla collocazione in fase delle monofore e polifora in pietra di Nanto, che potrebbero essere posteriori all’elevazione dei muri di spina 8000 e 9000, come suggerirebbero semplici considerazioni stilistiche. In questo caso si deve ammettere, tra la fase della casa forte e l’intervento quattrocentesco, l’esistenza di altre aperture sul muro 1000 verso ovest, con la medesima giacitura delle finestre in pietra che possono averle poi sostituite. Una porta analoga è presente sul muro che delimita la loggia verso nord: ciò fa supporre l’esistenza di un legame tra apposizione della loggia e innalzamento dei muri di spina.
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Portico e loggia Il portico addossato al nucleo originario della casa merlata, che oggi vediamo a tre fornici principali, aveva un tempo una configurazione ben diversa, che si coglie osservando la superficie dell’intonaco e le lacune provocate dalla presenza delle discontinuità sottostanti. Quattro alti archi romanici a tutto sesto, sostenuti da tre pilastri in muratura, che si collocano in una fase intermedia tra la costruzione della casa forte e la sistemazione quattrocentesca, hanno subito consistenti modifiche per forma e dimensione. Ciò è avvenuto sfruttando i due pilastri laterali, e ponendo un vuoto (il fornice centrale attuale) al posto del pilastro intermedio, intervento reso necessario probabilmente dalla necessità formale e funzionale di far corrispondere un passaggio alla attuale porta di ingresso a tutto sesto. I tre archi ribassati che ne sono derivati sono alternati a due spazi quadrangolari.
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Degli antichi alti fornici romanici si legge ancora perfettamente la forma soprattutto all’interno del portico, dove una decorazione monocroma a ramages rosso-bruni ne ripercorre l’andamento con una bordura liscia. In una terza fase, piÚ recente, forse in occasione delle modificazioni della loggia soprastante (che in origine era sostenuta da quattro colonne, due di legno e due di pietra di Nanto, come risulta dalla perizia settecentesca) sono stati rinforzati i supporti d’angolo, mutando ancora il profilo degli archi, e sono state aggiunte le balaustre che chiudono il portico verso la corte.
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Il controllo archeologico degli scavi Stefano Tuzzato
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Anche se per gli scavi in Palazzo Orsato non si può parlare di vera e propria indagine archeologica (si è trattato più semplicemente dell’assistenza allo scavo per i lavori di ripavimentazione, senza quindi un programma di ricerca con strategie e obiettivi), ciò che è emerso contribuisce a ricostruire la storia di questo importante complesso, assieme all’analisi delle trasformazioni edilizie e alle altre ricerche compiute e in corso. Le indagini si sono svolte, a più tappe, nel 2000, sotto la direzione scientifica del dott. Sandro Salvatori (archeologo della Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici del Veneto). I risultati e i reperti, in corso di studio, sono conservati presso la Soprintendenza Archeologica del Veneto.
Pianta complessiva del palazzetto e dei suoi annessi, con i principali resti di strutture scoperti durante gli scavi
Nucleo dei palazzetto, attomo al quale si svilupperanno gli annessi. Portico attuale, addossato nel Quattrocento alla facciata originaria. “Caneva” e “Ingresso alla Caneva”, documentati nella planimetria allegata alla perizia del 1717, modificati più volte. Ingombro del fabbricato aggiunto a sud, esistente nel 1717, poi trasformato. Muro perimetrale del fabbricato a sud, ristrutturato e conservato fino ad oggi. Parte demolita del muro perimetrale suddetto, sostituita dall’angolo oggi esistente. Zoccolature di rinforzo delle fondazioni, in alcuni punti del fabbricato sud. Due piccole fosse biologiche in muratura, con volta in mattoni, vicine all’angolo nord ovest e a quello sud ovest del palazzetto. Quest’ultima si trovò, in seguito compresa entro un vano della costruzione aggiunta a sud. Resti di fondazioni relative a murature di varie epoche, poi demolite. Porzione di un’ampia vasca interrata (caneva interrata, cisterna o fossa biologica), a nord est della “caneva”. Resti della volta in mattoni e dei muri est e ovest della vasca interrata. Piccola vasca che raccoglieva gli scarichi nella vasca interrata, che quindi è da interpretare in questa fase (se non nacque con questa funzione) come fossa di scarico.
Si ringraziano il dott. S. Salvatori e la dott. S. Bonomi, della Soprintendenza Archeologica del Veneto, per aver permesso e favorito la pubblicazione di questa breve nota.
Fondazioni di una struttura non identificata, all’angolo nord est del palazzetto, e demolita sicuramente prima del 1717. Porte tamponate, di fasi diverse, le cui soglie sono state portate alla luce con gli scavi.
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Facciata Attorno al perimetro dell’edificio, lo scavo per la posa in opera di alcuni servizi ha offerto l’occasione per la verifica delle fondazioni esterne e per alcune scoperte di un certo interesse. In particolare, sulla facciata attuale, verso la strada, è venuta alla luce una piccola vasca voltata in muratura, danneggiata da precedenti lavori. Anche in questo caso sembra trattarsi di una fossa biologica che dovette servire per un certo periodo agli abitanti del palazzetto. A pochi centimetri di profondità, inoltre, sono state viste e documentate le soglie in mattoni di due porte precedenti al portale attuale. Queste soglie, così come altre tracce individuate in diversi punti dell’edificio, mostrano come il livello delle pavimentazioni, dal medioevo ad oggi, sia rimasto sostanzialmente costante (vi fu un momento nel quale addirittura il livello di calpestio venne abbassato di qualche centimetro), a differenza di quanto accade per esempio a Padova, dove le pavimentazioni del XIIXIII secolo sono di parecchie decine di cm più profonde rispetto al piano attuale.
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Area nord est Anche a nord est del palazzetto sono venute alla luce diverse testimonianze delle trasformazioni avvenute nel corso dei secoli. In un angolo della caneva si trovavano i resti di una piccola vasca che raccoglieva gli scarichi provenienti da una specie di lavello, le cui tracce si trovavano nella muratura interna del palazzetto. Dalla vasca, l’acqua e i liquidi scaricati, attraverso una canaletta in mattoni, venivano convogliati entro una grande vasca voltata in mattoni, di cui si è scavata soltanto una piccolissima porzione. Questa vasca (forse in origine una cantina al di sotto di un corpo di fabbrica visibile anche nella pianta del 1717) fu colmata di terra e macerie, e sui suoi resti si edificò il muro nord dell’attuale ambiente che nel 1717 era chiamato Ingreso alla Caneva. Una fondazione “ad U”, all’angolo nord est del palazzetto originario, dovrebbe appartenere a qualche struttura medievale, ma purtroppo i suoi resti sono troppo miseri per essere interpretati. Infine, più recenti sono le fondazioni di un muro divisorio che per un certo periodo separò l’Ingreso alla Caneva in due locali.
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Area sud ovest In questo ambiente, al di sotto del pavimento, sono emersi i resti di diverse fasi costruttive. La forma poligonale del fabbricato addossato a sud del palazzetto, col suo angolo sud ovest mozzato a 45°, era ben leggibile nella planimetria allegata alla perizia dello Squarcina nel 1717, come si vede nell’immagine a lato. Lo scavo ha portato alla luce una parte del muro d’angolo diagonale, mentre gli altri lati erano stati non solo demoliti, ma completamente asportati anche in fondazione, per riutilizzarne i mattoni, pratica comunissima in ogni luogo e in ogni epoca, fino all’avvento dei laterizi costruiti a macchina.
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Questa parte dell’edificio, prima della sua trasformazione ottocentesca, era suddivisa in due stanze da un sottile muro tramezzo. Quella settentrionale, probabilmente una cucina (spazzacusina nella perizia Squarcina), era stata pavimentata con terra battuta, e conservava alcuni mattoni di una pavimentazione successiva, quasi scomparsa. Il vano meridionale, stretto e irregolare, conservava ancora tutto il suo pavimento, costituito da mattoni disposti a 45°, molti dei quali anneriti, usurati o frammentati. Ăˆ stata scoperta anche una piccola struttura voltata, quasi certamente una fossa biologica, di epoca non precisata, ma precedente alla costruzione del fabbricato sud di cui si è appena fatto cenno.
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L’analisi del dissesto per il ripristino strutturale Fiorella Carraro
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Il ripristino della firmitas – il recupero della stabilità delle strutture che formano l’edificio – costituisce condizione necessaria alla possibilità di utilizzare un manufatto, e condizione sufficiente al perpetuare nel tempo la sua presenza e la sua immagine all’interno dell’abitato cittadino. La necessità oggettiva di raggiungere un grado di stabilità adeguato agli standard correnti e di rimuovere quello che viene percepito indistintamente a colpo d’occhio come stato di degrado, rovina, abbandono, senza compromettere l’immagine e il carattere dell’edificio, richiedono la predisposizione di alcuni strumenti di analisi dei fenomeni visibili di dissesto e degrado (fessurazioni, distacchi, aggressione da parte di microorganismi, depositi e concrezioni saline) al fine di comprendere quando si siano generati, da quali meccanismi dipendano e il loro grado di pericolosità per la stabilità attuale e futura dell’edificio. Su Palazzo Orsato è stata condotta una analisi dello stato di dissesto concentrata principalmente sul muro sud del nucleo originario. È stata predisposta una mappatura delle fessurazioni nella consapevolezza di dover limitare alla sfera del necessario gli interventi sulle strutture, senza forzarle a schemi strutturali non originari e senza compiere rimozioni di elementi non strettamente indispensabili, per preservare la testimonianza materiale 1 dell’edificio. Prima di procedere a descrivere il percorso compiuto per l’acquisizione dei dati e compiere le scelte progettuali di intervento, precisiamo che per “schema strutturale” si intende l’insieme delle strutture portanti (murature, elementi in legno e membrature in genere), la loro consistenza (materiali con cui sono state realizzate, modalità di posa, dimensioni) e il modo in cui le strutture sono collegate tra loro a dare la struttura completa così come appare ai nostri occhi.
Riconoscimento dello schema strutturale originario dell’edificio Le murature del nucleo originario di Palazzo Orsato sono del tipo “a sacco”, tecnica che può essere fatta risalire a modalità costruttive romane 2. Lo schema strutturale dell’edificio assegna all’involucro perimetrale la funzione primaria di sostegno e alle strutture in legno la funzione secondaria di organizzare internamente l’edi92
1
Per le definizioni di “carattere” e “testimonianza materiale” si veda F. DOGLIONI, La costruzione del progetto di restauro. Lezioni del corso di restauro architettonico “B” a.a. 19911992. 1ª parte. Caratteri del costruire in area veneta, Trieste 1992, p. 7.
2
Il modo di costruire murature presso i romani prevedeva la preparazione di paramenti esterni (in mattoni o pietra apparecchiati variamente “a opera listata”, “a reticolo”, “di testa”) e la costituzione di un nocciolo interno realizzato con getti a bancate successive di malta di calce mista a grandi supporti (cocci in laterizio, pietre) a formare un insieme strutturale in cui al nocciolo viene affidata funzione strutturale vera e propria. L’evoluzione della tecnica in epoca post-classica e medievale ha condotto a volte alla costruzione di forme “a sacco” in cui si osserva la perdita di funzione strutturale del nocciolo murario (e della qualità costruttiva con cui veniva realizzato) che diviene vero e proprio riempimento, e l’affidamento del ruolo strutturale ai paramenti esterni. cfr F. DOGLIONI, La costruzione del progetto di restauro... cit., pp. 9-13.
ficio secondo i vari livelli (solai, tetto) e partizioni interne (tramezze divisorie). Mensole in trachite, riconoscibili ancor oggi sui muri perimetrali interni di Palazzo Orsato e poste in opera a formare un tutt’uno con la muratura durante la costruzione dell’edificio, costituivano punto di ancoraggio alla struttura muraria dei solai e del tetto originari.
Analisi su supporto fotografico e metrico dello stato attuale Accurati rilievi metrici e fotografici sono stati strumenti indispensabili per l’analisi dello stato di efficienza strutturale dell’edificio. “Spanciamenti” (deformazioni dell’assetto verticale o orizzontale della muratura) e “fuori piombo” (spostamento della muratura rispetto all’assetto verticale) sono stati evidenziati e quantificati mediante le misurazioni in sito. La campionatura fotografica, opportunamente riversata in formato digitale e “montata” su prospetti e sezioni, ha permesso la visione simultanea delle murature perimetrali sul lato interno ed esterno consentendo di riconoscere le fessurazioni che interessavano la muratura per l’intero spessore e di mettere in relazione fenomeni di degrado tra interno ed esterno. Le analisi non distruttive (termografia) in prima battuta non hanno reso tutte le informazioni necessarie a comprendere quali processi avevano innescato la notevole deformazione della muratura sud; procedendo parallelamente con prelievo di saggi sugli intonaci che rivestivano la parete, è risultato evidente che il muro era già stato oggetto di precedenti interventi di ripristino, probabilmente tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, con asportazione completa degli intonaci e loro ripristino mediante riporto di intonacatura di spessore variabile da uno a quattro centimetri, nel tentativo di compensare le deformazioni della parete e ridurne l’impatto percettivo, senza però rimuovere i cinematismi che le avevano determinate.
Ricostruzione degli interventi che hanno alterato lo schema strutturale originario Dall’incrocio con l’analisi stratigrafica delle conoscenze sulle tecniche costruttive e schemi strutturali delle costruzioni di età medievale, sono stati ricostruiti i “cantie93
ri globali” ovvero quegli interventi di ristrutturazione e restauro che hanno determinato significative modifiche strutturali su Palazzo Orsato. La monolitica struttura medievale, con le murature a sacco integre e interrotte da rare finestrature, è stata nei secoli “alleggerita” per adeguarla alle esigenze abitative e di rappresentanza della famiglia proprietaria. Lo schema strutturale delle origini è risultato profondamente mutato: le murature perimetrali, che assolvevano in via primaria la funzione strutturale, sono state indebolite3 a spese degli orizzontamenti in legno (solai e copertura) che hanno visto crescere via via l’importanza e il peso del loro ruolo strutturale di collegamento e controventamento delle murature.
3
Gli interventi che hanno portato all’indebolimento delle murature perimetrali sono consistiti principalmente nell’inserimento dell’insieme poliforamonofore gotiche sul prospetto principale a conferire l’aspetto “veneziano”, e nell’apertura di brecce per ricavare canne fumarie all’interno dei muri.
Determinazione dei fenomeni responsabili delle alterazioni e loro grado di incidenza sulla stabilità delle strutture Con l’analisi degli interventi che hanno modificato lo schema strutturale originario, si è giunti a concludere che i fenomeni di degrado dell’edificio sono legati prevalentemente all’intervento umano, non a cause intrinseche di vetustà, o a mutazioni delle caratteristiche meccaniche del terreno su cui è stato innalzato l’edificio. In particolare, la realizzazione dei camini entro i muri a sacco ha avuto l’impatto peggiore sulla stabilità dell’edificio, in quanto le demolizioni in breccia della muratura e l’infiltrazione dei fumi hanno causato la decoesione del materiale di riempimento e demandato l’assolvimento della funzione strutturale a tratti di muro in mattoni di spessore corrispondente ad una testa (circa tredici centimetri) con fenomeni di instabilità verticale.
Scelta delle modalità di intervento per risolvere o rimuovere le cause di dissesto La consapevolezza delle trasformazioni strutturali subite dall’edificio ha indotto a preservare lo status quo e limitare gli interventi al rafforzamento delle strutture con operazioni di apporto di materiale analogo4. È il caso dei solai in legno per i quali si è deciso di ricorrere alla sovrapposizione di un doppio strato di tavole in legno di94
4 Per una descrizione puntuale degli interventi si rimanda alla parte curata dall’arch. Babolin, in questo stesso volume.
sposte ad incrocio e semplicemente avvitate a quello esistente: la tecnica ha consentito di irrobustire il solaio gravando in maniera minima sulle murature con contenuto aumento del peso proprio. Per le murature fortemente decoese si è optato parimenti per l’apporto di mattoni lavorati in malta di calce con ricostruzione dei tratti mancanti e riempimento delle cavità generate dalla disgregazione del nocciolo murario.
Il muro sud del nucleo primitivo Per ottenere una visione unitaria dell’intera superficie delle murature perimetrali, le più antiche dell’edificio, e collegare i fenomeni fessurativi o le lesioni osservabili su di essi, sono state sovrapposte le immagini fotografiche al rilievo metrico. Dal montaggio fotografico sono risultate evidenti due lesioni principali, che si estendevano per tutta l’altezza dei fronti – segnate in rosso nelle immagini che seguono – l’una in prossimità dell’angolata ovest, l’altra a fianco del camino della futura foresteria, accompagnate da fenomeni di degrado minori. Sono stati individuati quindi il “bacino di dissesto A”, vicino all’angolata ovest dell’edificio e il “bacino di dissesto B”, prossimo al camino. La muratura consiste in una struttura a sacco, realizzata in un paramento interno ed uno esterno in mattoni e la parte centrale di riempimento in cotto non apparecchiato, legato con malta di calce. È probabile che fenomeni di deformazione progressiva si siano manifestati già durante la costruzione del nucleo primitivo, leggibili nella curvatura della deformata rispetto alla verticale del muro sud, che testimonia probabilmente una correzione a cantiere aperto. Sono contestuali alla costruzione primitiva la porta con arco a tutto sesto, la cui ghiera è visibile nel sottotetto, la finestra sotto la bifora, che ricadendo nel bacino di dissesto “A” è stata interessata da fessurazioni, le tre feritoie; ad esse si aggiunge il camino primitivo nell’attuale cucina, molto probabilmente del tipo a bocca di flauto, che non interferiva però con le murature strutturali, essendo prevalentemente esterno alla superficie; le altre porte, le nicchie, i camini sono stati realizzati in epoche successive, finendo per compromettere l’integrità della struttura muraria. 95
Il quadro fessurativo della sezione sud.
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Il quadro fessurativo della sezione C-C.
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Bacino di dissesto “A” La lesione risaliva a datazione lontana nel tempo poiché si presentava nascosta e colmata da pitture e malta di calce a più riprese, ma puntualmente era riaffiorata. La lesione è stata misurata con un calibro nel punto in cui i due lembi di rottura avevano maggiore distacco, ed è stata messa in relazione anche con la fessurazione che si poteva osservare sulla parte opposta del muro (riportata con un tratto rosso puntinato). Il montaggio fotografico ha reso evidente la relazione della lesione con i due frammenti d’arco rinvenuti nel sottotetto; la realizzazione di una bifora in epoca successiva alla costruzione, costruita aprendo un varco nella muratura in posizione prossima all’angolata aveva indebolito notevolmente la struttura.
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Bacino di dissesto “B” Si riscontra in questo tratto murario la maggior presenza di umidità di risalita, unita alla presenza di una lesione estesa ad incontrare la canna fumaria. Risulta con evidenza la grave disgregazione del paramento in mattoni nella parte priva di intonaco a fianco della cappa del camino e se ne intuisce la causa nella realizzazione del camino medesimo, la cui canna fumaria è stata immessa in posizione disassata sulla canna preesistente e coeva all’edificio originario.
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D
Dopo anni di abbandono e di decadenza nel 1997 due amici di vecchia data, don Francesco Calore, allora parroco di Casalserugo, ed il geom. Silvano Babolin decidono di dare finalmente il via al recupero di Palazzo Orsato, proprietà parrocchiale, da tempo bisognoso di intervento. Il geom. Babolin viene formalmente incaricato e, avvalendosi della collaborazione degli architetti Carraro e Ferrario, inizia il lavoro di rilievo geometrico dell’edificio e l’indagine storica che necessariamente precede ed affianca ogni progetto di questa caratura ed entità. Il 26 marzo 1998 il geom. Silvano Babolin muore improvvisamente, con grave costernazione e smarrimento di tutti. Negli stessi giorni sta per scadere il termine per la richiesta di finanziamento da parte della Regione Veneto in base alla Legge Regionale n. 6/97: nonostante il momento di sconforto, si decide di redigere un progetto di massima con cui concorrere al finanziamento, che verrà accordato di lì a poco. La Parrocchia, con una certa dose di coraggio, visto che il professionista di riferimento è appena scomparso, decide di proseguire il lavoro a partire dall’intervento sulle coperture, in pessimo stato di conservazione. Intanto, mentre le indagini preliminari volgono al termine, Don Francesco Calore viene trasferito ad altra sede e al suo posto viene inviato l’attuale parroco Don Pietro Cervaro. Dopo l’acquisizione di tutte le autorizzazioni necessarie, si interpellano alcune ditte ed infine il lavoro viene affidato all’impresa Bido Costruzioni di Piove di Sacco, che apre il cantiere il 24 agosto 1998, per un importo lavori di lire 160.845.620. Durante i lavori sulla copertura emerge la necessità di intervenire con operazioni di consolidamento su uno dei muri perimetrali del nucleo originario del complesso, la cui stabilità è in parte compromessa dai numerosi e ripetuti interventi di modificazione dell’edificio avvenuti nel tempo. Ciò richiede la redazione di un progetto apposito e una specifica autorizzazione da parte della Soprintendenza, che, grazie alla sollecitudine del funzionario allora preposto, l’arch. Maria Paola Rossignoli, permette di riprendere i lavori nel gennaio 1999, lavori che verranno ufficialmente chiusi il 12 novembre 1999. Intanto la Parrocchia affida agli architetti Babolin, Carraro e Ferrario l’incarico della redazione del progetto definitivo di restauro, completato e presentato alla Soprintendenza ed al Comune di Casalserugo nei mesi di giugno-luglio 1999. Il parere favorevole della Soprintendenza viene emesso in data 31.12.2000; la piccola vertenza con la Commissione Edilizia Comunale, che sostiene per ragioni estetiche l’abbattimento del corpo adiacente all’annesso sud oggi ospitante la centrale termica, si risolve con la riconferma del parere di conservazione rapidamente emessa dalla Soprintendenza grazie all’interessamento del tecnico preposto, il geom. Parisen.
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Maria Cristina Babolin
Colgo l’occasione per porgere un caloroso ringraziamento al geom. Pietro Luigi Trentin della Bido Costruzioni, all’arch. Mariano Fumian della Fumian Restauri e al sig. Lorenzo Bareato della Bareato Restauri. Un grazie particolare al sig. Danilo Ramon e al sig. Aronne Spolaore, insostituibili capocantieri che ricorderò sempre con affetto e stima.
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Cronologia degli interventi
Intanto la Parrocchia ha indetto una nuova gara per il secondo cantiere (alla quale sono state invitate cinque imprese, tre delle quali hanno risposto inviando un’offerta) vinta dall’impresa Bareato Restauri di Mira, che inizia i lavori di manutenzione straordinaria delle strutture ed i consolidamenti sulla base di una autorizzazione comunale parziale. Il giorno 8 marzo 2000 si dà il via al nuovo cantiere per un importo lavori di £ 644.734.395. Il Comune di Casalserugo rilascia l’Autorizzazione definitiva il 7 agosto 2000. I lavori terminano il 30 aprile 2002. Il restauro di Palazzo Orsati è stato possibile anche grazie ad alcuni finanziamenti ottenuti nell’arco di tempo dal 1998 al 2001. Il primo di essi, contributo regionale di cui alla L.R. n. 6/97, fu stanziato per il primo stralcio di lavori – la manutenzione straordinaria delle coperture – ed ammontava a £ 65.000.000; in seguito, fu ottenuto un finanziamento a fondo perduto della Fondazione della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo di £ 105.000.000 che andava a coprire i lavori di restauro delle murature d’ambito della casa torre e la saletta espositiva a piano terra compresa di arredi; infine, è stato ottenuto un contributo regionale di £ 100.000.000, relativo alla L.R. n. 44/87, a copertura parziale dei lavori relativi alla autorizzazione comunale per manutenzione straordinaria delle strutture. Complessivamente quindi, il restauro ha fruito fino ad oggi di £ 270.000.000 in contributi a fondo perduto, pari a circa 1/5 del valore delle opere appaltate (compresi impianti tecnologici, scavo archeologico, spese tecniche, ecc.) A copertura dell’intero importo la Parrocchia di Casalserugo ha provveduto con fondi propri ed anche grazie all’offerta di tante persone generose che hanno di volta in volta contribuito secondo le proprie possibilità. Fondamentale, dall’inizio alla fine, è stato l’apporto di Don Pietro, che con il suo entusiasmo e la sua energia positiva ha saputo affrontare con consapevolezza un’impresa che avrebbe intimidito non poche persone.
Il progetto di restauro di Palazzo Orsato 1998-1999
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L
Lo studio dei cantieri globali, oltre a costituire la cornice per la ricostruzione delle vicende dell’edificio, ha un’altra funzione, non meno importante. Esso permette di comprendere la relatività del nostro intervento di restauro, se lo immaginiamo come l’ultimo cantiere globale in ordine di tempo, rientrante in un processo complesso, che non comincia e non termina con il restauro stesso e che mette a disposizione del restauratore una tradizione consolidata di tecniche di intervento. Ma anche nel restauro tra noi e la tradizione esiste una frattura incolmabile, generata non solo dalla riflessione teorica, ma anche e forse soprattutto semplicemente dal progresso tecnologico, che ha messo a disposizione mezzi tecnicamente più avanzati di quelli di un tempo, ma anche molto più pericolosi perché generatori di impatti ben più invasivi, vasti e duraturi. Con la consapevolezza di questa incolmabile contraddizione come bagaglio, il progetto di restauro di Palazzo Orsato ha obbligato i progettisti ad alcune non facili scelte di fondo. Tra queste particolarmente significativa è stata la scelta del trattamento delle superfici del nucleo originario del palazzo, i cui esiti sarebbero stati particolarmente visibili. Non sarà inutile riassumere in questa sede, a titolo esemplificativo dell’intero progetto, le considerazioni che hanno guidato la decisione. Nessuno dei precedenti cantieri globali che, a distanza di circa duecento anni l’uno dall’altro, hanno interessato l’edificio, è riuscito ad imporre uno stile unitario alla costruzione, che resta un coacervo spesso disordinato di fasi e di stili. Non è sembrato corretto privilegiare una in particolare tra queste fasi, la scelta della quale avrebbe dovuto essere necessariamente arbitraria. Si è preferito perciò rinunciare ad una presunta omogeneità estetica, per proporre invece la lettura della stratificazione stessa, con l’accortezza di suggerire per quanto possibile, ambiente per ambiente, un carattere predominante, che limitasse le confusioni di interpretazione. La sistemazione della facciata ovest sulla strada principale, la più significativa per la percezione pubblica dell’edificio, rende esplicita questa scelta: si è optato per non rivestire di intonaco la parte corrispondente al nucleo originario della casa forte, per permetterne la lettura in filigrana. La scelta è stata dettata da una serie di considerazioni: la fase tardogotica, rappresentata da polifora e monofore in pietra di Nan-
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1
Il tema dell’autenticità, è stato affrontato nel 1995 nella Conferenza Internazionale di Nara, che ha avuto tra l’altro il merito di metterne in evidenza la relatività del valore nelle diverse culture del mondo. Sul tema si veda “Restauro: quaderni di restauro dei monumenti e di urbanistica dei centri antichi”, 136-137 (1996).
2
Tra i contributi più recenti sulla teoria e la tecnica della conservazione delle superfici storiche si veda C. FEIFFER, La conservazione delle superfici intonacate. Il metodo e le tecniche, Milano 1997.
3
“…gli intonaci storici significativi, in quanto tali, costituiscono la miglior conferma dell’efficacia delle tecniche impiegate in passato”, la conoscenza delle quali “può contribuire a modificare, compatibilmente con le esigenze di carattere tecnologico ed economico, l’attuale modo di operare, spingendo verso l’adozione di quegli accorgimenti, nel reperimento dei materiali e nel loro impiego, che rendano gli intonaci di nuova fattura più resistenti all’aggressione degli agenti esterni e più accettabili da un punto di vista estetico” E. ARMANI, M. PIANA, Primo inventario degli intonaci e delle decorazioni esterne dell’architettura veneziana, in “Ricerche di Storia dell’Arte”, 24 (1984), p. 49.
to, ha caratteri formali talmente decisi da non necessitare, per essere riconoscibile, della superficie intonacata che certamente circondava le aperture in passato. Il marmorino quattrocentesco, di cui resta una traccia sotto la trifora, quasi certamente anch’esso corrispondente alla fase tardogotica, ricopriva la facciata ovest, dove la trifora era stata inserita, ma non i due lati sud e nord dove meglio si vedono le tracce della preesistente casa forte. L’altro intonaco, ben più recente, presente sulla facciata ovest, magro, steso in forte spessore, fortemente lacunoso e in cattivo stato di conservazione, avrebbe dovuto comunque essere sostituito. Ora sotto la “villa veneziana” traspare l’edificio romanico, i cui caratteri di casa forte si rincorrono sui quattro lati e permettono anche all’osservatore non esercitato di immaginare quale doveva essere l’aspetto dell’edilizia murata nelle campagne del Padovano tra Due e Trecento. Il desiderio di conservazione nel restauro, lungi dal rappresentare una trita eredità del “fascino della rovina” di sapore romantico, è frutto della consapevolezza del valore rappresentato dall’autenticità della materia storica 1. L’autenticità materiale, non solo formale, che viene riconosciuta e pagata a caro prezzo in altri ambiti (si pensi al mobile d’epoca), purtroppo fatica ad essere apprezzata nell’ambito del restauro architettonico, col risultato, a volte scoraggiante, di trasformare gli edifici storici nella maquette di se stessi. Il restauro condotto su Palazzo Orsato a Casalserugo permette, a chi si avvicini sufficientemente ai muri esterni, di cogliere il dispiegarsi di un intero mondo materiale, con le sue tecniche costruttive, la consuetudine e gli accidenti, le tracce dei processi rapidi o lentissimi che lo hanno trasformato 2. La prima malta di alletto rosea di cocciopesto, ciò che resta della stilatura tra i corsi di laterizi, le tracce di scialbatura a latte di calce, i labirinti concentrici lasciati dal dilavamento sugli intonaci, sono autentiche fonti storiche per la conoscenza delle tecniche costruttive del passato, che troppo spesso si rivelano, al passare del tempo, più sapienti di quelle attuali 3.
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Pianta del piano terra
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Pianta del piano nobile
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Prospetto est
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Prospetto ovest
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Prospetto sud
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Sezione trasversale sull’annesso sud
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Sezione trasversale sugli annessi nord
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Sezione trasversale su portico e loggia
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L’esperienza del cantiere Maria Cristina Babolin
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L
L’importanza storica di Palazzo Orsato, il vincolo che gravava sull’edificio, l’obiettivo valore dell’intero complesso, hanno spinto committenza e progettisti a scegliere per il restauro di Palazzo Orsato il criterio informatore della conservazione, sia pure non fine a se stessa, ma orientata a restituire al manufatto la dignità che esso aveva perduto negli anni dell’abbandono. Limitatissimi sono stati, quindi, gli interventi ablativi, determinati esclusivamente da necessità di tipo statico o impiantistico; costante è rimasta la necessità di mantenere il più possibile gli stessi materiali, di recuperare quanto possibile dell’esistente, in modo da non alterare la fisionomia propria dell’edificio, caratterizzata da uno stile sobrio ed elegante ad un tempo. Gli ultimi anni di abbandono, più ancora che l’uso non del tutto appropriato fattone in un recente passato (deposito, scuola di catechismo, ecc.), hanno condotto Palazzo Orsato alle condizioni in cui lo abbiamo trovato all’inizio di questa avventura. L’abbandono, con la conseguente mancanza di manutenzione, con gli interventi estemporanei che ne derivano, con la svalutazione crescente del manufatto nell’opinione di chi lo giudica, è il maggiore responsabile delle situazioni che rendono l’intervento di restauro pericoloso per la conservazione della materia storica, che lo obbligano ad essere massiccio, invasivo, costoso. Questa considerazione ci spinge a sottolineare, tra tutte le considerazioni che si potrebbero fare sull’esperienza del cantiere di Palazzo Orsato, quella dell’importanza dell’utilizzo del manufatto architettonico storico, ed in particolare della questione della conciliazione tra conservazione e uso. In uno scritto datato 1903 Alois Riegl, uno dei padri della teoria del restauro contemporanea, individua con sorprendente chiarezza il nodo centrale del dibattito: “la legge estetica fondamentale del nostro tempo, che consiste nel valore dell’antico, si può definire nel modo seguente: dalla mano dell’uomo esigiamo la produzione di opere concluse come simbolo del divenire necessario e regolare; dalla natura, che agisce nel tempo esigiamo invece il degrado di quel carattere concluso come simbolo dell’altrettanto necessario e regolare trascorrere. Nelle opere umane recenti disturbano i segni del trascorrere del tempo (di una decadenza prematura) nello stesso modo in cui nelle opere umane antiche ci disturbano i segni di un nuovo divenire (restauri vistosi). È piuttosto dalla limpida percezione del corso circolare e
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1 A. RIEGL, Der Moderne Denkmalkultus - sein Wesen und seine Entstehung, Wien und Leipzig, 1903, tr. it. Il culto moderno dei monumenti - il suo carattere ed i suoi inizi, in Chiesa Città Campagna, rapporto alla mostra documentaria in Bologna, Palazzo Pepoli Campogrande, giugnoluglio 1981, Bologna 1981, pp. 160, 170-173.
regolare del divenire e del trascorrere del tempo secondo la legge di natura che l’uomo moderno si rallegra a cominciare dall’inizio del Novecento. In questo caso, ogni opera umana viene intesa come un organismo naturale, nel cui sviluppo nessuno deve ingerirsi: l’organismo deve vivere liberamente e, tuttalpiù, l’uomo ha il dovere di proteggerlo da un’estinzione prematura”. Ma “una parte essenziale di quel gioco vivente delle forze della natura, la cui percezione presuppone il valore dell’antico, andrebbe perduta in modo insostituibile con la cessazione dell’utilizzazione dei monumenti”: emerge quindi che la perdita del cosiddetto valore d’uso determina “l’impressione di una distruzione violenta, che risulta intollerabile anche al valore dell’antico”. E ancora “Solo le opere non utilizzabili sono contemplate e godute puramente dal punto di vista del valore dell’antico indipendentemente dal valore d’uso”, riferendosi all’archeologia 1. Ne emerge senza ombra di dubbio la necessità di intervenire per ridare, con un nuovo uso, una nuova vita al monumento fatiscente. Intervenire presto, perché l’abbandono accelera il degrado con una velocità quasi esponenziale: quanto si sarebbe potuto conservare delle decorazioni ad affresco di Palazzo Orsato di cui oggi rimangono solo tracce, intervenendo vent’anni fa? Ormai nessuno può saperlo. Se abbiamo capito che è giusto e necessario l’intervento, la questione diventa: come? Quanto sacrificare in nome dell’uso, o meglio, come operare in modo da agire col rispetto che un edificio storico richiede ed esige? Ecco, questa è la domanda che accompagna il progettista prima, il direttore dei lavori poi, sino alla fine e spesso anche dopo, nel valutare i risultati, necessariamente imperfetti, del cantiere. Sebbene il settore del restauro, negli ultimi dieci anni, sia enormemente cresciuto in esperienza e scientificità, ci sono, al momento attuale, ancora troppo poche certezze metodologiche: tutto (o quasi) viene demandato alla preparazione culturale, alla sensibilità e, in un certo senso, all’umiltà del singolo professionista, che in questo lavoro non deve, e non può, emergere per creatività, ma limitare il suo intervento al far nuovamente risplendere una cosa che già esiste, che ha già un suo valore, senza volerla caricare di significati estranei ed esterni ad essa. Bisogna assorbire la lezione che dà l’edificio storico giorno per giorno, tutte le informazioni, gli spunti: bisogna saper ascoltare con pazienza, senza fretta. Poi, quando si è raggiunto un buon grado di convinzione sulla metodologia da seguire, 117
bisogna saper trasmettere agli altri con chiarezza, a volte con fermezza, le scelte fatte e convincere la committenza, che già si è assunta l’onere economico non indifferente di appaltare i lavori, della bontà delle scelte, della loro coerenza intrinseca. In un lavoro di recupero come questo, se si ha la pazienza necessaria si impara moltissimo, ed è forse il fascino più grande, la cosa che ripaga da tutti gli innumerevoli problemi che sorgono in un cantiere lento, fuori tempo rispetto ai ritmi contemporanei. Si impara soprattutto (e già Viollet Le Duc lo metteva in evidenza) a ben costruire, perché se un manufatto vive per così tanto tempo, ciò significa che esso è molto ben costruito. Il cantiere di recupero insegna che nella costruzione preindustriale quasi ogni materiale messo in opera poteva essere rimosso, per qualsiasi motivo, e poi riposizionato al suo posto o dovunque esso servisse: mattoni, coppi, legno, pietra. È sorprendente scoprire che ancora oggi mattoni anche molto antichi possano essere ripuliti e riutilizzati. Recupero è minore sfruttamento delle risorse, è educazione al rispetto dell’ambiente, è sviluppo sostenibile, è utilizzo di materiali naturalmente ecologici, al di là delle mode e delle tendenze effimere. Bisogna perciò imparare a recuperare, non sostituire; affinare le tecniche del recupero, oggi in gran parte riservate agli edifici monumentali, in modo da poterle estendere alla generalità degli edifici storici, cercando contemporaneamente di rendere il recupero veramente alla portata di tutti, sia economicamente che culturalmente. È veramente ora di abbandonare una certa mentalità, una mancanza di informazione che porta ancora a sostituire mattoni vecchi fatti a mano e cotti lentamente con blocchi UNI industriali, o travi centenarie ed in perfetto stato di conservazione con legno nuovo, spesso non sufficientemente stagionato, o a mettere in opera materiali tradizionali preziosi come il cotto o la trachite con leganti cementizi. Interventi che non solo rovinano esteticamente il risultato del recupero, ma compromettono il sistema complessivo dell’edificio, introducendo elementi estranei, dal comportamento strutturale non coerente con l’insieme dell’opera: rigidità dove la costruzione storica è elastica, rapidità dove la costruzione storica è lenta, fragilità dove la costruzione storica è resistente all’usura, deterioramento rapido dove la costruzione storica sa invecchiare con dignità. 118
Imparare a riconoscere le grandi competenze costruttive del passato, che oggi tendiamo a sottovalutare, e guardare loro come maestre di intervento, è compito non solo dei tecnici, ma dei committenti, delle amministrazioni, di tutti. Si descrivono di seguito i principali interventi condotti nel corso del cantiere di restauro di Palazzo Orsato.
Intervento sulle coperture L’intervento sulla copertura del nucleo originario, il primo in ordine cronologico ed il più problematico e delicato, sia per questioni legate alla sicurezza sia per le condizioni critiche in cui versava l’edificio all’epoca, si è protratto per circa un anno ed ha interessato per intero il manto e l’orditura secondaria e solo parzialmente la struttura. I coppi d’epoca e le tavelle sono stati puliti e rimessi in opera integrandoli con materiale analogo, di recupero. Durante i lavori di manutenzione del manto di copertura del nucleo centrale è stato eliminato il riempimento con materiale di riporto tra le tavelle ed i coppi, messo in opera in passato per dare un andamento costante alla falda, che appesantiva inutilmente ed in modo considerevole la struttura lignea quattrocentesca. Si è proceduto alla verifica dello stato di salute di capriate e terzere: si è resa necessaria la sostituzione, effettuata con travi di rovere, soltanto del trave di colmo e del dormiente ovest, in condizioni talmente precarie da rendere impossibile un loro recupero. Tutta l’orditura primaria è stata interamente pulita e trattata con biocida. Le teste delle terzere in condizione più critica hanno visto consolidato l’appoggio tramite l’inserimento di mensole realizzate con legname di recupero; solamente una testa particolarmente deteriorata è stata ricostruita con resina epossidica e segatura di legno. Per una delle capriate, spezzata a metà, si è reso necessario il posizionamento di una cerchiatura in ferro. Tutta la struttura portante è stata infine protetta con cera d’api stesa a pennello. L’orditura secondaria, in pessime condizioni di conservazione a causa delle continue infiltrazioni d’acqua succedutesi nel tempo, è stata interamente sostituita con moraletti mordenzati, trattati con biocida, protetti con olio di lino. Sopra le tavelle 119
è stato steso sughero quale isolante termico e successivamente il “pacchetto di ventilazione” che crea un’intercapedine d’aria comunicante con l’esterno, assicurando un raffrescamento del tetto d’estate e proteggendo d’inverno la struttura portante da fenomeni di condensa. A completamento dell’intervento è stato posto in opera un foglio di tessuto protettivo traspirante su cui sono stati posati i coppi con ganci fermacoppo in rame. Sono stati sistemati i tetti degli annessi nord e sud, sempre seguendo il principio di sostituire soltanto i materiali ormai inutilizzabili a causa del degrado. Sono stati smontati e rimontati i comignoli esistenti, pericolanti.
Consolidamento muro sud del nucleo centrale Il muro sud del nucleo centrale di Palazzo Orsato versava in condizioni precarie 2. Per completezza d’indagine, sono stati effettuati tre sondaggi sulle fondazioni dei muri perimetrali, che presentavano uno stato di conservazione molto buono: le cause delle fessurazioni presenti erano quindi imputabili esclusivamente ai molti interventi di apertura e tamponamento di finestre e porte e di apertura e chiusura di canne fumarie e di camini cui questo lato dell’edificio originario era stato soggetto nel tempo, accentuate dalla composizione interna del muro stesso, non apparecchiata in modo regolare. L’intervento di scuci-cuci caldeggiato dal consulente strutturale, con riempimento delle canne fumarie aperte in rottura e dei camini, è stato condotto contemporaneamente sul lato destro e sul lato sinistro, limitando per quanto possibile l’area di intervento: il grande squarcio sul lato sinistro è stato interamente ricucito con muratura di mattoni nuovi allettati con un’ottima malta di calce idraulica naturale pura e sabbia del Brenta. Le numerose fessurazioni sul lato destro sono state ricucite ed è stata chiusa una delle due porte di comunicazione con l’annesso sud: ne è risultato un rinforzo notevole, costituito da una muratura in mattoni pieni dello spessore di 60 centimetri ammorsata al muro esistente, dopo averlo pulito da terriccio, paglia, rimasugli di granoturco e altri materiali organici, tracce degli ospiti che l’avevano usato come tana. Il camino da questo lato è stato mantenuto previo inserimento al suo interno 120
2
Si veda in proposito l’intervento dell’arch. Carraro in questo stesso volume, che ne illustra lo stato di dissesto.
di una canna in acciaio. Al piano del granaio il timpano sud, che raggiunge i cinque metri alla sommità, era costituito da una muratura ad una sola testa approssimativamente irrigidita dai pilastri che sostenevano le teste delle terzere. Il consolidamento è avvenuto tramite rifodera interna, ammorsata alla muratura esistente, effettuata con mattoni nuovi uso mano, lasciati a vista, con lo stesso metodo usato in passato dagli abitanti del palazzo per rinforzare il timpano nord.
Strutture orizzontali Il consolidamento delle strutture lignee dei solai è stato realizzato tramite posa sul tavolato antico di un doppio tavolato incrociato ed avvitato alle travi portanti, con una tecnica ormai diffusa che comporta il doppio vantaggio di non appesantire i carichi e di utilizzare materiale compatibile, ecologico ed analogo all’esistente. L’intervento di consolidamento strutturale ha interessato sia il piano nobile sia il sottotetto, dove tuttora si vede il tavolato grezzo usato come rinforzo dei solai, che è stato lasciato a vista. Tutte le travature della casa torre sono state conservate, pulite, trattate con biocida e poi protette con cera naturale. Il cattivo stato della soffittatura dell’androne, macchiata indelebilmente di fuliggine, ha reso necessario l’uso di cera pigmentata scura per uniformare il colore e raggiungere un risultato esteticamente gradevole. Nel tratto di solaio tra l’attuale cucina e la stanza sottostante è stato inserito un elemento ligneo rompitratta, in quanto l’interasse delle travi si dimostrava troppo ampio per sopportare i carichi di progetto. Nella zona dell’ex stalla, ora cappella invernale, si è resa necessaria la completa sostituzione delle travi, mancanti nella porzione più bassa e completamente marcescenti nella porzione più alta. La travatura è stata sostituita con travi di recupero opportunamente trattate con biocida e ripassate con cera naturale. Le travature ed il tavolato sono stati sostituiti con materiale nuovo anche nella stanza minore dell’attuale sala espositiva, dove il solaio aveva ceduto. La stanza maggiore della sala espositiva conserva il solaio originale; la stanza corrispondente a piano primo conserva travi originali mentre il tavolato è di recupero. 121
I soffitti del piano nobile, integralmente originali, sono stati puliti, trattati con biocida e protetti con cera. Alcune delle tavolette coprifilo conservano ancora una debole traccia della elegante delicata decorazione che doveva ornare tutte le stanze del piano, purtroppo oggi quasi scomparsa; nel salone passante – zona verso la loggia – è stato messo in luce uno splendido architrave gotico con mensola sagomata, inglobato in una muratura successiva. Anche le travature del portico e della loggia sono originali e sono state trattate in maniera analoga.
Trattamento delle superfici Al consolidamento strutturale è seguito il consolidamento o il rifacimento degli intonaci: la destinazione abitativa dell’edificio rendeva difficile il mantenimento della muratura a vista, esito della rimozione degli intonaci dovuta agli interventi strutturali sul muro sud; le aree di muratura di consolidamento, del resto, richiedevano anch’esse di essere ricoperte. La considerazione che l’edificio era comunque intonacato internamente almeno dal Quattrocento ha fatto propendere per la soluzione dell’intonacatura, laddove gli intonaci del secolo XV erano già da tempo stati asportati e sostituiti con materiali meno pregevoli. Dove è stato possibile anche questi ultimi sono stati conservati, mentre ovunque è stato recuperato e protetto l’intonaco a marmorino presente. Dove sono state realizzate superfici nuove, esse sono riconoscibili per il trattamento superficiale, la consistenza e il colore; una ulteriore differenziazione cromatica, volutamente poco appariscente per non risultare di disturbo all’osservatore, è stata realizzata tra le murature preesistenti e le tramezzature in cartongesso, inserite ex novo a delimitazione di servizi igienici e disimpegni, caratterizzate anche dalla presenza di porte interne dichiaratamente moderne, laccate nel colore assegnato alla superficie muraria.
Impianti Come operazione preliminare all’installazione degli impianti tecnologici, al piano terra si è effettuato il lievo delle pavimentazioni esistenti, con recupero di tutto il 122
3 Lo scavo è stato presidiato dall’archeologo dott. Stefano Tuzzato: si veda in proposito la scheda curata dallo stesso dott. Tuzzato, nella prima parte di questo volume.
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All’inizio delle analisi il Palazzo si presentava sofferente per un consistente fenomeno di umidità di risalita che martoriava le murature del piano terra. La rimozione di un falso bugnato in malta cementizia che le ricopriva, soffocandole, all’esterno e la semplice apertura all’aria e al sole dell’edificio per un’intera estate, hanno fatto sì che il problema si ridimensionasse, permettendo di evitare costosi quanto invasivi interventi di risanamento come il taglio dei muri o la creazione di una barriera chimica. 5
Un interessante commento sul problema reversibilità/irreversibilità si trova in B.P. TORSELLO, La materia del restauro: tecniche e teorie analitiche, Venezia 1988, p. 110.
materiale riutilizzabile, seguito da uno scavo, per una profondità di circa 40 cm su tutta la superficie dell’edificio 3. Terminata la fase preparatoria, si è provveduto a realizzare un vespaio in ghiaione, accompagnato da una canalizzazione perimetrale che permette l’areazione continua della muratura ed il suo presidio contro l’umidità di risalita 4. In seguito sono stati posati su apposito massetto l’impianto di riscaldamento a pavimento e le canalizzazioni degli altri impianti tecnologici. Problemi di spessore limitato hanno impedito di compiere la stessa operazione a piano primo, dove invece si è optato per un riscaldamento di tipo tradizionale a radiatori; nel sottotetto invece, locale usato molto saltuariamente, sono stati predisposti ventilconvettori. Tutti gli impianti tecnologici sono guidati da una centrale termica posta in un apposito locale a norma di legge, dislocato strategicamente in posizione periferica ed accessibile solo dall’esterno, al piano terra del corpo addossato a est dell’annesso sud. Le principali direttrici di risalita degli impianti idrotermosanitari sono state predisposte esternamente alle murature e rivestite in cartongesso, sempre rammentando il principio della reversibilità dell’intervento5 che raccomanda che ogni elemento estraneo introdotto in un edificio storico possa essere eventualmente rimosso, limitando al minimo gli interventi distruttivi; con lo stesso principio i muretti destinati ad alloggiare gli scarichi dei bagni sono stati realizzati in appoggio alle murature esistenti. In base al principio della reversibilità è stato progettato un impianto elettrico interamente esterno, alloggiato in apposite canaline attrezzate o all’interno di contropareti in cartongesso, dotato di torrette ospitanti interruttori, luci di emergenza, prese, rilevatori antifurto e termostato ambientale. L’uso del cavo ad isolamento minerale ricoperto di rame per raggiungere esternamente parti visibili è risultato soddisfacente anche dal punto di vista estetico, in quanto ben si armonizza nel contesto. Piuttosto difficile è risultata la decisione relativa ai corpi illuminanti: l’ambiente si prestava infatti all’uso delle più disparate forme artistiche, ma il criterio che ha guidato la scelta alla fine è stato l’uso di apparecchi dichiaratamente moderni ove possibile: in fondo, la luce artificiale è prerogativa dell’epoca contemporanea. 123
Finiture La forte connotazione medievale dell’edificio e la destinazione d’uso finale hanno condotto a scelte improntate alla ricerca di un risultato estetico non scevro di eleganza, ma nel contempo sobrio ai limiti dell’austero. Al piano nobile la pavimentazione lignea esistente ha potuto essere conservata solo nella stanza del parroco. I pavimenti delle altre stanze sono state realizzati in tavoloni di legno di larice. Al piano terra poco rimaneva integro del magnifico cotto che ornava il salone passante: i quadroni che è stato possibile recuperare sono stati utilizzati nei due uffici principali nella fascia perimetrale, che circonda i quadrelli di cotto nuovo. Gli stessi quadrelli di cotto simili per impasto e colore a quelli antichi sono stati messi in opera nell’androne. Nelle altre zone del piano terra è stato usato materiale di recupero, consistente in gran parte in tavelle, posate con disegno tradizionale, e quadrelli usati nel sottoscala e nella stanza minore della sala espositiva. Tutti i pavimenti del piano terra sono stati levigati e trattati con apposito protettivo. Eccezionale, specie ricordando lo stato di degrado in cui versavano in particolare le porte del piano nobile, è stato il restauro dei serramenti del piano nobile e dei portoni d’ingresso del palazzo e della sala espositiva, lavoro eseguito da un valente artigiano locale. Le porte e le finestre a piano terra sono state eseguite invece ex novo mantenendo il disegno delle porte e delle finestre preesistenti. I serramenti nuovi, siano essi porte o finestre, sono facilmente identificabili, anche dai meno esperti, dalla maniglia in ottone naturale non verniciato e dalle cerniere di tipo moderno; per i serramenti restaurati è stata scelta invece una maniglia in ferro simile a quelle preesistenti. Per gli annessi sono state scelte finestre di foggia più semplice, anche se materiale (legno di larice) e finiture rimangono invariati; il legno di larice già utilizzato in passato per la realizzazione del serramento della trifora, è stato scelto anche per gli scuri e per le scale della foresteria e del sottotetto. 124
Esterni
6 Termine usato impropriamente per definire il periodo in cui il palazzo appartenne alla famiglia Orsato, ma molto caro agli abitanti del luogo per cui l’edificio è spesso identificato come “la villa veneziana”.
A lungo si è discusso prima di arrivare alla decisione di dare a Palazzo Orsato l’aspetto attuale. Se la pulizia e l’integrazione delle lacune di intonaco antico su prospetto est era scelta pressoché ovvia, così come il semplice intervento di pulizia e protezione della muratura su prospetto nord e timpano sud, molto meno ovvio risultava il metodo di intervento relativo al prospetto ovest, cioè la facciata principale del palazzo, in cui coesistono testimonianze delle tre fasi principali dell’edificio. L’intonacatura avrebbe fatto perdere la testimonianza della prima fase, ed avrebbe inoltre indotto l’osservatore a prediligere la fase “veneziana” 6 mentre il nostro intento era tutt’altro, e cioè dare modo all’osservatore di leggere per quanto possibile tutte le fasi costruttive dell’edificio, sin dall’epoca romanica. Si è scelto quindi di mantenere a vista la muratura della casa torre su tutti i lati per dare maggior evidenza al fatto che essa costituisce il nucleo primario, più antico. È stata ripristinata la pavimentazione in mattoni a coltello del porticato sottostante la loggia, come pure la pavimentazione della cosiddetta “cortesella selesata”, con la ricostruzione del muro di cinta della cortesella stessa, crollato non molti anni or sono, e dei relativi pilastri e passaggi pedonali. Contestualmente, è stata fatta manutenzione al pozzo sostituendo i coppi ed i mattoni rotti e chiudendo le fessurazioni. I marciapiedi delle zone ovest ed est sono di nuova concezione, così come il viale d’ingresso in trachite ed acciottolato. Il muro di cinta della zona ovest del palazzo, ricostruito nel secolo scorso con mattoni nuovi industriali, è stato intonacato e finito a marmorino, con un coronamento in tavelle e mezzelune di cotto, secondo la tradizione degli antichi muri di cinta della zona. Le immagini che seguono illustrano lo stato del palazzo al completamento del restauro.
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L’arco dei melograni nella cappella invernale
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La cappella invernale
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Particolare della loggia al piano nobile
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La scala di pietra che conduce al piano nobile
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Appendice documentaria Pergamena di acquisto 1343
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Giovanni del fu Ansedisio da Casale acquista la domus di Casalserugo da Ajcarda figlia di Domenico notaio da Terrarsa, moglie di Pietro Zacco (ASP Orsato, b. 154, pergamene sciolte, n. 1)
1343 agosto 6, Padova. In Christi nomine. Amen. Anno nativitatis eiusdem millesimo trecentessimo quadragessimo tertio, indicione undecima, diei mercurei sexto mensis augusti, actum Padue in contrata sancti Thomaxii in domo abitacionis domine Constancie de Çachis, presentibus ser Marino notario quondam domini Petri de Marino de contrata sancti Petri, Andrea quondam domini Antonii de Comittibus de contrata Turiselarum, Tysone quondam Pinamontis de Flumine et ser Petro notario quondam Iohannis de contrata Pontis Curvi, testibus rogatis et aliis. Pro precio et nomine precii librarum ducentarum et tregintanovem denariorum venetorum parvorum quos denarios et precium domina Aycarda filia quondam domini Dominici notarii de Terrarsa et uxor Marini quondam fili domini Petri de Çachis de contrata Sancti Urbani de Padua verbo, consensu, licencia et mandato dicti mariti sui ibi presentis et consencientis et ad infrascripta se obligandi parabolam ei dantis et ipse Marinus quondam domini Petri de Zachis guarentaverunt, contenti et confessi fuerunt se manualiter habuisse et recepisse in peccunia numerata, conventa et in denariis de argento bone et usualis monete a domino Iohanne quondam domini Ansedixi de Casali de contrata Prati Vallis de Padua, de quibus denariis et quo precio clamaverunt sibi plene fore solutum et plenam solucionem in se habere dixerunt facientes per se et suos heredes eidem domino Iohanni pro se et suis heredibus stipullanti et recipienti finem et remissionem, pactum et promissionem de amplius non pettende et renunciantes exceptioni et probationi non habite, recepte, numerate, tradite ac consignate sibi dicte peccunie tempore contractus et exceptioni doli mali, condicioni sine causa vel ex non iusta causa, in factum actioni, remedio appellationis, suplicacionis et nulitatis et restitucionis in integrum benefficio, spei future numerationis et traditionis omnique alii suo iuri, iure proprii inperpetuum per se et suos heredes dederunt, cesserunt, vendiderunt, tradiderunt et mandaverunt eidem domino Iohanni pro se et suis heredibus stipullanti, ementi et recipienti unum sedimen trium camporum vel circa, partim aratorium cum arboribus et vitibus, cum una domo magna de muro, cum uno curtivo et una alata de lignamine et pairanis cohoperta de cupis, cum furno et putheo et curtivo in ipso sedimine et duabus portis magnis ad domum predictam cuius confinii hii fore dicuntur, ab una parte via publica, ab alia Antonius de Flumine, ab alia iura ecclesie Sancte Marie de Casali, ab alia partim dictus emptor et partim fratres Alemmani et forte alie sunt coherencie veriores. Ea namque forma ut amodo dictus emptor et sui heredes et habentes causam ab eo et cui dederint iura sua dicti sediminis cum domo et omnibus pertinentibus eidem debeat habere, tenere, possidere et usufructuare iure proprii ut dictum est et de eo omnem suam utilitatem et voluntatem facere sine contraditione alicuius persone cum omnibus et singulis que infra predictos continetur confines vel alios si qui forent cum accessibus, ingressibus et egressibus suis usque in vias publicas et cum omnibus et singulis que dictum sedimen cum domo habent super se vel infra se seu intra se in integrum omnique iure et actione, usu seu requisitione et omnibus iuris et actionibus realibus et personalibus, utilibus et directis, hypotecariis, mixtis, tacitis et expressis ad dictum sedimen cum domo vel aliquid ex eis spectantibus et pertinentibus iure dominii vel quasi. Quam rem venditam dicti venditores se dicti emptoris nomine constituerunt precario possidere donec de ea corporalem possessionem fuerit adeptus, quam accipiendi et sua auctoritate retinendi deinceps eidem licenciam omnimodam contulerunt, et si dictum sedimen cum domo et pertinencia eisdem plus iamdicto precio valuerint, id quod est ultra precium nomine pure ac irrevocabilis donationis titullo que dicitur inter vivos que amplius non valeat revocari aliqua ingratitudine vel offensa magna vel parva vel ob hoc quod non foret actis coram preside legiptime insinuata per pactum expresse donaverunt et remiserunt. Et si de dicto sedimine cum domo aut pertinentibus sive adiacenciis eisdem, eidem emptori lix, questio vel controversia aliqua movetur, ipsam questionem vel litem prefati venditores in se suscipere promiserunt, remittentes eidem per pactum omnem denunciationem necessariam fieri ipsis venditoribus occaxione predicta promittentes dicti venditores per se et suos heredes emptori presenti pro se suisque heredibus stipullanti et recipienti de dicta re vendita aut aliquid ex ea litem vel questionem aut controversiam aliquam non inferre neque inferenti consentire, set ipsam rem venditam tam in proprietate quam in possessione legiptime guarentare, deffendere et auctoriçare et disbrigare ab omni homine, persona, parte, colegio et universitate et ipsum in vacuam, liberam et expeditam possessionem inducere et ipsum inductum manutenere, sub pena dupli extimationis dicte rei vendite et habite terre melioracione tempore quo melior fuerit, solempni stipulatione in singulis capitulis huius contractus in solidum premissa sub obbligacione omnium suorum bonorum presencium et futurorum que se precario nomine constituerunt possidere. Item refficare et re-
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stituere promiserunt emptori superius nominato omnia et singula dampna, interesse et expensas que vel quas idem emptor fecerit vel substinuerit pro dicta re vendita non guarentata seu defensata ut superius dictum est. Pro quibus omnibus et singulis firmiter observandis et plenius actendendis, obligaverunt se sponte et speciali pacto dicti venditores penes prenominatum emptorem ad forbaniendum et in libris forbanitorum comunis Padue scribi faciendum et tenutam de suis bonis hic et ubique accipiendum et auferri faciendum semel et pluries usque ad satisfacionem plenam et integram predictorum, renunciantes expresse feriis, diebus feriatis, statutis reformacionibus, ordinamentis consciliorum comunis Padue, factis et fiendis et omni legum auxilio quo possit contra predicta vel aliquod predictorum, de iure vel de facto, modo aliquo facere vel venire. Prepterea dicti domina Aycarda et Marinus venditores, dicentes et aserentes se fore annorum viginti et facientes se maiores annis vigintiquinque et nullum habere curatorem generalem vel specialem, iuraverunt corporaliter ad sancta Dei evangelia, tactis scripturis, dictam venditcionem et omnia et singula suprascripta perpetuo firma rata et grata habere, tenere et observare et non contrafacere vel venire per se vel per alium ratione minori etatis nec aliqua alia ratione vel causa, de iure vel de facto, sub pena superius adiecta, cum obligacione omnium suorum bonorum presentium et futurorum renunciantes minoris etatis benefficio restitucioni in integrum. Omnique alii suo iuri sibi compettenti et competituro.
(S N) Et ego Iohannes Clemens filius domini Milani notarii qui habito Padue in quarterio et contrata Turissellarum et centenario Sancti Danielis, sacri palacii imperiali auctoritate notarius predictis omnibus interfui et rogatus predicta fideliter scripssii.
Trascrizione a cura delle allieve del corso di paleografia tenuto dal prof. Paolo Sambin (1998).
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Appendice documentaria Perizia di Angelo Squarcina 1717
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Perizia eseguita da Angelo Squarcina pubblico perito, in vista della livellazione di Palazzo Orsati al parroco della chiesa di Casalserugo Don Antonio Maria Giuriati (ASP Notarile, tomo 5776 Giovanni Cusinato nod., Liber XVIII) Adì 30 ottobre 1717 Essendo statto elleto io Angelo Squarcina, perito Publico della Magnifica Città di Padova, dalle parti infrascritte cioè dal Nobiluomo Signor Conte Sertorio Orsato Orsati da una, et dal Molto Reverendo Signor Don Antonio Maria Giuriati Dottor Parocho della Chiesa di Santa Maria di Casale di ser Ugo dall’altra, per vedere hosservare, e descrivere le fabriche e terrenno poste in detta Vila di Casale in confin della chiesa, hora tenute in parte ad affitto da Don Pasqualin prelato, et altri come qui sotto serà dichiarito, il tutto come dall’infrascritta dichiarazione delle soddette fabriche e terrenno, nel statto et essere che di presente s’attrovano, quali fabriche e terrenno sarano anco poste in pianta in un dissegno a parte al quale. Si che li giorni passati mi son portatto sopra locco d’esse fabriche, et quelle con ogni diligenza osservate a parte per parte, che per ciò dichiaro come segue. Prima, portatomi nella fabricha granda ov’abbita il suddetto prelato cioè nella cusina, la quale il pavimento è selesato in parte de tocchi, val L 1 e 10 il pezo, una feriada ala finestra può pesar libre 48, solaro a detta tavelato con travi grezzi buoni, v’è il suo camino, napa, e tola in buona perfezione, li scuri di finestra e porte sono vecchi, secchiaro di cotto. Secundo, spaza cusina continguo verso sera, confin ov’era il giardino, è selesato come la cusina, con travadura del solaro simile a quello della detta cusina, finestra di detta con una feriada di peso de libre 50 con suo scuro. 3. Camera al di sopra di detta cusina, v’è un camin ala fratesca, selesata di tavele buone; in detta v’è una comodità. Sopra il spaza cusina continguo a detta camera v’è un camarino selesato simile a quello della medesima camera, non v’essendo alle finestre vetrade tanto alla finestra di detto quanto alle due della suddetta camera, ma solo vi è li suoi scuri buoni; sopra all’uno e l’altra vi sono il secondo solaro con travi, e tolle sopra, di buona perfecione, e sopra esso solaro v’è la soffitta; il copperto di questi locchi descriti sono a brazi con cantieri, intavelato, de quali brazi di detto copperto ha bisogno esserne rimessi tre essendo in pericolo e minaciano ruina; a detti locchi v’è una scala tolla fatta a bovolo di buona perfecione, la qual porta nelli soddetti locchi. 4. A pe’ piano nel corpo del palazzo camera contingua alla cusina verso il portico con una finestra con suo scuro con ferada di peso de libre ottanta; altra camera contingua fuori a il canevin in confin del spaza cusina. Finestra simile alla detta con ferada di detto peso, la qual finestra è senza scuri, scuri alle porte di dette camere vecchie, pavimento di dette con seleri buoni, travadura delli solari d’esse di buona perfecione; in una delle dette comodità [sic] una comodità con suo sentare e clouacha. 5. La sala selesata la magior parte de tocchi, val L 1 e 4 il pezzo; nella detta alli due archi delli portoni vi sono li loro ferri in arco e cadena, può pesar in tutti libre 9. 6. Dall’altra parte di detta sala vi sono due camere divise mediante la scala di legno ch’è fra l’una e l’altra, quella verso il giardino è soffitata con un solo requadro, vetriada alla finestra e scuro d’alteza piedi 6, largeza piedi 3, val L 1 e 4 il piede, con sua ferada di peso de libre 80, selese a pe piano buone; l’altra camera verso il porticho v’è altra finestra con ferada di poco simile alla detta con il solo scuro. Sotto a detta v’è il cannevino a volto e di sopra selesato buono, scala di coto de gradi nove con porta a rebalta verso il porticho con suo rostelo; li solari di dette camere sono di buona perfezione. 7. La scala in due rami che sono fra le soddette due camere et è di legno vecchia de scalini n° 26, il suo luminalle senza scuro con ferada de peso de libre 12, il qual luminalle hà impedimento e non può luminare detta scala cosiché resta oscura. 8. Il porticho verso la corte la metà selesato de tocchi, val L 1 il pezzo; a due archi di detto porticho v’è due cadene di ferro, la travadura del detto sustentata da due porfile che sono sopra dieci modiglioni de piera masegna. 9. Sopra le soddette camare e sala ch’è l’istesa pianta di quella a pe piano, manca la tramezata di mezo che divideva le due camere verso mezodì, in altra camera v’è un camino alla fratesca con canna tutta di coto; il soddetto locco è selesato di tavelle la magior parte spezate e rovinose, tutte le porte sono vecchie, le finestre di detti lochi vuole riparate con farne anco da novo, essendovi però alli scuri vecchi la loro feramenta; vetriade ne sono solo due alle due finestre verso il giardino, vecchie, val L una il piede; la travadura del solaro sopra esse camere e sala è di buona perfezione e sopra esso solaro vi è il granaro con scala di legno vecchia pocco buona de scalini n° 20; il granaro sono in tavelato buono, il copperto con cadene n° 4 di rovere e così l’altro legname con sole tolle vecchie e coppi sopra esso legname; la porta alla scala va in granaro vecchia con sua ferramenta e saradura. 10. Sopra il porticho verso la corte v’è la loggia selesata, con quatro colone due di nanto e due di legno con profilo sopra, sotto la gronda che sustenta il copperto; il solaro sopra la detta loggia è di buona perfezione, sopra esso solaro vi è la soffita selesata com’è il granaro continguo soddetto, il copperto di detta loggia a bracci con cantieri grisole e coppi sopra; in detto, ov’è il baverale [?], vi è un brazo merita esser rimeso con un cantero appresso. 11. Nel ingresso della canneva, il pavimento non selesato, vi sono la porta dell’ingresso di detta canneva con sua feramenta cadenazo e saradura; il solaro sopra è buono, canneva pavimento non selesato con soe soggie piera cruda di longheza della detta canneva, il copperto sopra ad un sol piovere incantierato tavelato e copperto de coppi, una finestra ferata scuro vecchio, quatro finestrini pur ferati senza scuri; continguo al detto ingresso verso tramontana vi è il locco della tinazara sel[es]ato de quarelli buoni, il solaro di detta la travadura è grezza con quatro bordenalli buoni, porta con sua fera-
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menta e saradura; sopra al deto ingresso camera selesata di tavelle ruinose, con porta buona con saradura, li scuri delle due finestre pocco poccho buoni, senza veri, copperto con cadene quatro, legni di ponalo [?] morali e tole sopra, con coppi; granaro sopra la tinazara selesato di tavelle buone, due finestre verso tramontana alte piedi 3 e 1/2 larghe piedi 3, con sue ferade di libre 50, due altre con ferade con righere brocate de libre 20, il copperto sopra a brazi con due cadene vecchie, legname nuovo di ponalo [?], non tavelato, ad una cadena li vuolle il letto e brazo; telareti con varnade alle finestre n° 3 et due senza scuri, una porta senza scuro, et è quella pasa in detto granaro, scaleta legno gradi quatro, vecchia. 12. Muri del circondario ov’era il giardino, cioè il muro verso mezodì, è senza cresta, di longheza de piedi 65, alto piedi 5 e 1/2, d’una testa con sue pinelle; quello verso la strada con sua cresta alto piedi 7, longho piedi 47, con due pilastri a bugne con vasi sopra di cotto, il rostelo fra detti di legno vecchio con sua feramenta. L’altro verso il cimiterio, quello che si ritrova di presente è di lungheza de piedi 51, altro pocco di muro verso il portello vicino alla canneva di longheza de piedi 8, alteza delli soddetti due pezzi di muro sono piedi 7 e sono senza cresta, nella porzione del muro caduto v’è la fondamenta di longheza de piedi 29; dall’altra parte di detto giardino verso matina ov’è il pozzo, di longheza de piedi 26, in questo locco di presente non v’è che una pasaglia di fasine. 13. Nella corticela ov’è il soddetto pozzo, il qual pozzo a di diametro piedi quatro e mezo con verara di cotto rovinosa, a detta corticela verso mezodì non v’è muro, solo una pasaglia di cane di longheza dal principio del muro sino alle casete de piedi 52 e 1/2; quanto è descrito dimostrerà il disegno e pianta di detti locchi che devo fare. 14. Segnato in dissegno sive pianta A, B, C, sono tre locchi hove di presente abbita il Signor Capelan. Segnato A, camera selesata de quarei buoni, vi sono il suo camino con canna e napa, una porta buona all’ingreso et altra va nella cusina con sua feramenta et una sola saradura, due finestre con solo scuro. Segnato B, cusina con camino, napa e tola, pavimento selesato in parte tocchi, con porta alla detta buona, con feramenta e saradura; il copperto di detti locchi sono con perfili e cantieri soprani di buona perfezione, tavelato; in detta cusina v’è una finestra con il solo scuro. Segnato C, cannevetta con porta rovinosa, finestra senza scuro, pavimento senza selese; copperto di detto locco tavelato con due cadene. Alteza delli muri di detti tre locchi de piedi 9 in gronda; la detta canneveta è separata con una tramezara di piere crude. 15. Segnato D, loccho hov’è la canneva dei prelati, detto locco non è selesato, porta dell’ingresso pocco buona con sua feramenta e saradura, finestra con ferada di peso de libre 20, copperto con due cadene, tavelato buono. 16. Segnato E, loccho del forno con ponaro e stala sotto a detto forno, e volto porta al ponaro con sue lame e saradura, fenestra a detto ponaro ferada de peso de libre 12, scuro al portelo con cadenazo e saltarelo. 17. Segnato F, G, locco hov’abbita Pietro di Franceschi, deto Scartozo. Segnato F, canneva con due porte, scuri vecchii con sua feramenta et una seradura; G, cusina, il camino con napa, canna e tola, scuro alla porta dell’ingreso di detta con sua feramenta e seradura, una finestra con il solo scuro, un secchiaro di cotto, il copperto di detti due locchi, a cadene, con cantieri, tavelato di buona perfecione. Detti locchi alteza de muri simille agli altri descriti essendo uguali a quelli. 18. Segnato H, I, locco hov’abbita Giacomo Masiero detto Morato. H, cucina con camino, cana, napa e tola, il secchiaro, volto sora, tutto di cotto, due finestre con li soli scuri, porta va in canneva con scuro buono. I, canneva, il scuro della porta dell’ingreso vecchio con sua feramenta e saradura, scaleta vecchia va in solaro, il solaro con travi e tole, val L 5; al di sopra di detto finestre n° 3 con li soli scuri, il copperto di detti due locchi sono a brazi con cantieri, tavelato buono, alteza di detti muri piedi 13 e 1/2 in gronda; il copperto de tutti detti locchi merita essere revisto, cioè rimesso li suoi coppi et sgombrarli da letame et altro. 19. Locco hov’era brolo, di presente prativo, piantà videghà con frutari n° 8, qual è tenuto ad affito dal soddetto Morato et è segnato K, de campi 1, quarteri 2, tavole 67. 20. Locco sive chiesura, A. P. V. tiene affitto il sopradetto Scartozo, segnato N, et è campi 1, quarteri 3 e 1/2, tavole 2. 21. Locco segnato M, con caseta sopra con sette pilastri, campi 3, quarteri 1 e 1/2, tavole 69. Sotto alli predetti sette qualli pilastri sono di tre teste in quadro con copperto a brazi, con colmegna sopra alli detti tre pilastri; il detto copperto è di coppi con tole sotto, scuri alle porte, con sua feramenta; longheza di deta caseta de piedi 24, larga piedi18; a tramontana della detta un pezzo di muro alto come li pilastri, largo piedi 12 con il camino, cana e tola; attacato a detta caseta vi è un cason di paglia di valle, verso la strada di legname di campagna, di longheza de piedi 12, largo piedi 13; sopra esso terrenno vi sono quatro perari et un pomaro, detto loco è piantà e videgà all’intorno de campi --, quarteri 2, tavole 49. 22. Locco hov’è il capelano, segnato L, et è di quantità de campi -- quarteri 1 e 1/2, tavole 18, il quale all’intorno è videgà con albori e pergole atorno per quanto tiene il muro di pasaglia del giardino, con due perari dietro il fosso di mezodì. 23. La corte il giardino e fondi delle fabriche è di campi 1, quarteri --, tavole 25. Summà tutto il terrenno campi 5, quarteri 1 e 1/2, tavole 57. 24. Sopra la strada davanti al giardino, dal principio del cimiterio sino al capitelo, vi sono morari n° 16; et dietro al cimiterio verso tramontana ne sono n° 4; et dietro la chiesura haveva Adriano Squarcina ve ne sono n° 4. In tutti summà n° 24. Quali tutti morari dovevano essere di questa ragione. Io Angelo Squarcina sopra deto perito con giuramento.
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Finito di stampare novembre 2002 Nuova Grafotecnica Via L. Da Vinci, 8 Casalserugo (PD)
Palazzo Orsato a Casalserugo Conoscenza e restauro
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ISBN 88-88785-01-9
ISBN 88-88785-01-9
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