Turismo del Gusto Magazine - Novembre 2022

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Questo magazine è un allegato del sito www.turismodelgusto.com Direttore Responsabile Roberto Rabachino Editore e Amministrazione ADV SRLS – Torino – Italia Rivista bimestrale Novembre/Dicembre 2022 N°16 Gran Canaria Vini eroici Prosecco DOC Barcolana 2022 SIMEI 2022 chiede sostenibilità Amorim Cork Italia risponde Mamete Prevostini Viticoltura eroica in Valtellina Puglia autentica Tra Murgia e Terra di Bari

Direttore Responsabile

Roberto Rabachino direttore@turismodelgusto.com

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Gladys Torres Urday Paolo Alciati redazione@turismodelgusto.com

Editore e Amministrazione

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Grafica e Impaginazione

Martina Rabachino m.rabachino@turismodelgusto.com

Hanno collaborato a questo numero:

Paolo Alciati, Franca Dell’Arciprete Scotti, Jimmy Pessina, Gladys Torres Urday, Silvia Donatiello, Terra Madre Salone del Gusto 2022 – Slow Food e Redazione Centrale

Immagini:

Paolo Alciati, Franca Dell’Arciprete Scotti, Redazione Centrale, Silvia Donatiello, Jimmy Pessina, Gladys Torres Urday, pixabay. com, Consorzio Tutela Prosecco DOC, Terra Madre Salone del Gusto 2022 – Slow Food e Turismo Gran Canaria.

Credit Cover Foto da Pixabay

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Contenuti #TuttoDrink #TuttoFood 8 Mamete Prevostini, viticoltura eroica in Valtellina all’insegna della qualità 14 Rhum Barbancourt torna in Italia con una nuova veste grafica 20 Vini eroici di Gran Canaria 30 Chiude Terra Madre: oltre 350 mila passaggi a Parco Dora 36 Puglia autentica, tra Murgia e Terra di Bari
#TuttoOk #TuttoTravel 48 Prosecco DOC alla Barcolana 2022 56 SIMEI 2022 chiede sostenibilità: Amorim Cork Italia risponde 60 Monferace 2018 – Il Grignolino en primeur 70 Un viaggio con il Bernina-Express 76 Nell’ultra millenaria e fiabesca Cina: Shanghai, la metropoli delle meraviglie
#TuttoDrink # 8 Mamete Prevostini, viticoltura eroica in Valtellina all’insegna della qualità 14 Rhum Barbancourt torna in Italia con una nuova veste grafica 20 Vini eroici di Gran Canaria

Mamete Prevostini, viticoltura eroica in Valtellina all’insegna della qualità

Circondata dalle Alpi, la regione viticola della Valtellina, al confine con la Svizzera, con i suoi 900 ettari di vigne vede l’uva nebbiolo come unica, indiscussa protagonista all’intero parco vitato in cui l’unica via per coltivare la vite sono i muretti a secco costruiti nei secoli

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A cura di Redazione Centrale Tdg

Siraggiungono, e in molti casi di superano, gli 800 metri s.l.m, la viticoltura eroica si sviluppa per quasi 2.500 chilometri. In questa che, numeri alla mano, è la più ampia zona terrazzata d’Europa, l’alzamento delle temperature degli ultimi anni, anche nelle zone generalmente più fredde e meno vocate come quelle del fondovalle, la maturazione lenta e completa consente l’ottenimento di uve concentrate e perfettamente mature. In qualche vallata si raggiunge un’insolazione pari a quella dell’isola di Pantelleria.

Sabbioso per la quasi totalità, il suolo si è formato dallo sfaldamento delle rocce granitiche durante il periodo del ritiro dei ghiacciai che coprivano tutta la Valtellina e le zone delle Langhe, Alto e Basso Monferrato e Oltrepò Pavese.

La caratteristica principale è la quasi assenza di ristagno d’acqua, le radici delle vigne si inseriscono nella roccia arrivando anche a per 5/6 metri di profondità. Se a cavallo tra il settecento e ottocento si dice ci fossero oltre 100 cloni di Nebbiolo, oggi si è gradualmente attivati a selezionarne tre, il 12, 21 e 34 sono omologati dal Mipaaf, autorizzati dal disciplinare di produzione dal gennaio del 2003.

In questo contesto Mamete Prevostini, dopo gli studi di enologia a Conegliano è riuscito a dare un nuovo volto all’attività di famiglia, affiancando all’attività di ristoro quella vitivinicola.

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“Era l’inizio del secolo scorso, esattamente il 1928, quando i miei nonni diedero vita a quello che oggi potremmo chiamare un agriturismo. Si occupavano dell’orto, della lavorazione artigianale di salumi e formaggi e della produzione del vino.

Avevano la fortuna di possedere un frigorifero naturale: il crotto, una cavità naturale tra le rocce della montagna dove soffia costantemente un vento naturale, chiamato localmente Sorèl, che mantiene temperatura e umidità costanti tutto l’anno. Le persone di passaggio, in viaggio verso la Svizzera, iniziarono a fermarsi sempre più spesso per assaporare i prodotti stagionati nel crotto e così iniziò l’attività di famiglia legata alla ristorazione.

Io sono cresciuto ammirando mio padre che ripeteva le gestualità del nonno e mi chiedeva di aiutarlo: tra i ricordi olfattivi dell’infanzia quello che non mi ha mai abbandonato è il profumo del mosto che riempiva l’aria nei mesi autunnali.”

Sostenibilità e approccio parcellare in vigneto

Obiettivi chiari e capacità imprenditoriali, Mamete ha scelto di operare in una cantina certificata CasaClima: una struttura, a bassissimo consumo energetico, inaugurata nel 2013. Si tratta della prima in Lombardia e la terza in Italia. L’energia rinnovabile è prodotta in loco: il 60% del fabbisogno è coperto dagli impianti fotovoltaici e l’impiantistica è molto efficiente.

“Il lavoro in vigna segue il ritmo e gli umori della natura, i frutti maturano lentamente. L’ispirazione mi è venuta da qui: mi piaceva l’idea che i grappoli di Nebbiolo, di cui ci eravamo presi cura quando erano sulla pianta, continuassero la loro evoluzione in un ambiente non troppo contaminato e nella maniera più naturale possibile.”

La tecnologia oggi permette di raggiungere elevati livelli di qualità e di rispettare la materia prima, chi ci lavora e l’ambiente. All’esterno la cantina si presenta come un parallelepipedo di colore bordeaux, all’interno è invece molto complessa: è stata progettata per lavorare l’uva a caduta naturale su tre piani, per una superficie totale di 3000 mq. Al piano superiore avvengono l’appassimento e la pigiatura dell’uva, al piano intermedio la fermentazione mentre il piano interrato è destinato all’affinamento dei vini.

“Non è una cosa che si spiega facilmente ma posso dire che si percepisce e fa vivere meglio. Inoltre posso dire che la nuova cantina, a tutti gli effetti, è la versione moderna del crotto di famiglia, da cui tutto è partito” – afferma Mamete.

Il terreno in Valtellina, composto prevalentemente da roccia sfaldata: sabbioso (80%) e limoso (20%), con assenza di calcare e rarità di argilla, si trova in percentuali diverse nelle cinque diverse sottozone di produzione ammesse nel disciplinare di produzione del Valtellina Superiore: Maroggia, Sassella, Grumello, Inferno e Valgella. Mamete Prevostini, tra

i suoi 26 ettari di vigneti terrazzati, riesce a vinificare nella quasi totalità delle sottozone andando ancora in più in profondità proponendo versioni parcellari nelle stesse, è il caso del cru La Cruus all’interno dell’Inferno e del cru Sommarovina in località Triasso, all’interno della zona del Sassella.

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Distribuito in Italia
da SAGNA
– www.sagna.it

Rhum Barbancourt torna in Italia con una nuova veste grafica

Torna in Italia Barbancourt, il Rhum di Haiti, con una nuova veste grafica, festeggiando alla Milano Fashion Week e a ShowRUM di Roma

A cura di Redazione Centrale TdG

Rhum Barbancourt è stato orgoglioso di supportare la designer italo-haitiana Stella Jean alla sua presentazione durante la settimana della moda di Milano. Con questa apparizione il brand segna il ritorno in Italia, Paese dove è sempre rappresentato da Rinaldi 1957, una delle realtà più dinamiche degli storici distributori di vini e spirits in Italia.

I premiati Rhum Barbancourt sono stati protagonisti nell’esclusivo cocktail bar nel backstage, dove gli ospiti potranno incontrare la CEO Delphine Gardere, una paladina dell’emancipazione femminile e della produzione sostenibile.

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L’attenzione è infatti rivolta alla produzione fin dai campi di canna da zucchero. La nostra unicità è l’aver scelto una canna da zucchero haitiana ibrida. Grazie alla collaborazione di più di tremila coltivatori, abbiamo coltivato la varietà “Madame Mevs” per il suo potenziale aromatico.

Il nostro Mastro Distillatore, Vladimir de Delva, mantiene viva la tradizione e allo stesso tempo garantisce innovazione al Rhum Barbancourt. Il nostro processo di creazione è rimasto lo stesso sin dal principio; solo l’attrezzatura si è evoluta. Come il nostro fondatore, Dupré Barbancourt, siamo stati ispirati dalla tecnica della doppia distillazione della regione di Charente per produrre Rum di alta qualità, utilizzando colonne di distillazione come per i rhum agricole dei “domini francesi” d’oltremare.

Dalla sua riconfigurazione industriale avvenuta nel 1990, l’intero processo di produzione è stato rivisto e ottimizzato per assicurare una qualità costante. Progettata attraverso la cogenerazione, la distilleria è autosufficiente per quanto riguarda acqua ed elettricità. Una proprietà moderna, autonoma ed ecologica. I Rum Barbancourt sono gli unici a maturare sull’isola in botti di rovere francese, di Limousine, nelle cantine situate nel cuore della Plaine du Cul-de-Sac.

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Il marchio della Tradizione

haitiana: Rhum Barbancourt

Nel 1862, Dupré Barbancourt cominciò ad applicare il metodo di produzione tradizionale nativo del Cognac, regione da cui proveniva – che include la doppia distillazione e l’invecchiamento in rovere francese – per distillare la canna da zucchero della casa che lo aveva adottato: Haiti.

Esattamente 160 anni e cinque generazioni dopo, questi metodi sono ancora utilizzati per produrre un rum straordinario nella distilleria di famiglia fondata da Dupré, oggi considerata un’istituzione sull’Isola. (In effetti, il metodo tradizionale di produzione del Rhum Barbancourt dal 2021 è nel Registro Haitiano dell’Eredità Culturale).

Con 120 ettari piantati a zucchero di canna in cui lavorano più di 3.000 coltivatori, Barbancourt oggi dà vita a una varietà ibrida aromatica che distingue il suo portfolio di espressioni che includono il 5 Star Reserve Speciale. Sviluppato dallo stesso fondatore, veniva chiamato “La Goutte d’Or” (La Goccia d’Oro).

“Leggendo un libro il 7 agosto 2019 ho percepito che il brand era d’interesse di un altro player del mercato e ho subito scritto a Delphine Gardere, nonostante quel giorno fosse nato mio figlio” ricorda il Direttore Marketing e PR di Rinaldi 1957, Gabriele Rondani.

Rhum Réserve

Il Rhum Barbancourt è prodotto ad Haiti dal 1862 secondo una tradizione familiare centenaria e un savoir-faire unico che si trasmettono di generazione in generazione. Originariamente riservata al consumo familiare, la Reserve du Domaine è stata progressivamente aperta alla distribuzione negli anni ’60 in quantità limitata. Prodotta a partire da puro succo di canna da zucchero, distillata e invecchiata in botti di quercia, la Reserve du Domaine si presenta di colore ambrato con riflessi bronzei e si esprime al naso con frutta esotica. In bocca, le note speziate si uniscono al percepito del naso per un finale rotondo e lungo.

Rhum 3 Etoiles 4 anni

Il Rhum Barbancourt è prodotto ad Haiti dal 1862 secondo una tradizione familiare centenaria e un savoir-faire unico che si trasmettono di generazione in generazione. Prodotto a partire da puro succo di zucchero di canna, distillato e invecchiato in botti di quercia, il Rhum Barbancourt 3 étoiles si presenta di colore brillante. Al naso, note di vaniglia e spezie si mescolano tra loro e in bocca arriva una freschezza aromatica notevole che si rivela con note di pepe.

Rhum Blanc –Haitian Proof

Il Rhum Barbancourt è prodotto ad Haiti dal 1862 secondo una tradizione familiare centenaria e un savoir-faire unico che si trasmettono di generazione in generazione. Prodotta a partire da puro succo di canna da zucchero, distillata e invecchiata in botti di quercia, la Reserve Speciale si presenta di colore brillante con riflessi giallo pallido. Al naso, la vaniglia si mescola alle note grigliate di bosco e in bocca la vaniglia è nuovamente intensa in tutta la sua rotondità per un finale ampio.

Il Rhum Barbancourt è prodotto ad Haiti dal 1862 secondo una tradizione familiare centenaria e un savoir-faire unico che si trasmettono di generazione in generazione. Prodotto a partire da puro succo di zucchero di canna, il Rhum Barbancourt Blanc Haitian Proof viene distillato secondo i metodi tradizionali del Rhum agricolo in un piccolo alambicco di rame. Si presenta di colore traslucido, il naso rivela un rum molto floreale con note acidule di agrumi. La bocca è speziata con note di canna fresca che conduce a un finale lungo con note pepate.

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du Domaine 15 anni
Rhum Reserve Spéciale 5 Etoiles 8 anni
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Vini eroici di Gran Canaria

Difficilmente associamo una meta turistica caratterizzata da sole e mare a una preziosa cultura enogastronomica. E sbagliamo. La varietà e la cultura enogastronomica delle Isole, in particolar modo di Gran Canaria, sono un valore aggiunto capace di sorprendere a ogni viaggio.

Gran Canaria custodisce da sempre una grande cultura del vino, una cultura legata all’isola fin dal XV secolo e che oggi viene tramandata da viticoltori, enologi, vignaioli, aziende del settore e istituzioni pubbliche. Un’impresa di successo che ha portato i vini di Gran Canaria nei luoghi più importanti del mondo.

La zona di produzione dei vini di Gran Canaria copre tutta l’isola. Microclimi e livelli altitudinali diversi, uniti alla particolare composizione del terreno e a inusuali modalità di coltivazione, conferiscono ai vini qualità uniche in tutte le loro varietà.

Peculiarità e qualità, che insieme all’ammodernamento della produzione e al miglioramento della promozione dei prodotti locali, hanno reso i vini di Gran Canaria sempre più protagonisti in alcune delle più importanti fiere a livello nazionale. È il caso della Fiera Nazionale del Vino (Fenavin), a cui ha partecipato il Consiglio Regolatore della Denominazione di Origine Gran Canaria insieme all’Istituto delle Canarie di Qualità Agroalimentare (ICCA) con le cantine La Higuera Mayor, Las Tirajanas e Frontón de Oro.

A Fenavin, la più grande fiera del vino in Spagna, che si tiene ogni due anni a Ciudad Real, partecipano le migliori cantine spagnole e si confrontano diversi operatori del settore vinicolo, come importatori e distributori, consentendo alle aziende vinicole di crescere e aprire nuovi mercati in un contesto spiccatamente professionale.

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Quando si pensa alle Canarie, la prima immagine che sovviene è quella di spiagge dorate, tempo bello tutto l’anno e turismo, tanto turismo.

La Strada del Vino di Gran Canaria

Vini senza la presenza di fillossera, vitigni unici riconosciuti in tutto il mondo e una cultura radicata nella terra da secoli. Sono il valore di un settore molto ben rappresentato a Gran Canaria, con vini che mutano radicalmente tra costa, entroterra e le vette dell’isola, dando vita a un prodotto unico, innovativo e caratteristico. L’enoturismo ha attirato più di tre milioni di visite nel 2019, generando un volume di affari di 85,5 milioni di euro. Nel 2020, con l’arrivo della pandemia, le visite sono scese a 814.323, ma il settore ha comunque reagito molto meglio di altri.

A valorizzare l’enoturismo dell’isola è soprattutto la Strada del Vino di Gran Canaria, che ha le sue cantine associate come irrinunciabili punti di riferimento. Lungo il percorso si potranno trovare degustazioni nelle varie cantine, ma anche sotto le stelle, serate in spazi naturali, aperitivi tra i vigneti, escursioni nei boschi magici, concerti di vino, gite in bicicletta nei vigneti… un’esperienza unica un cui il vero protagonista sono i vini di Gran Canaria, a Denominazione di Origine Protetta Canaria.

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Vini Eroici

Ma il fiore all’occhiello di quest’ampia offerta, per sapore, colore, e composizione, sono sicuramente i vini eroici. Tra questi vale la pena citare gli Agala, delle cantine Bentayga, che vantano i vitigni più alti – per altitudine – d’Europa e portano il nome dei metri d’altezza a cui è cresciuto il vitigno da cui sono stati prodotti.

AGALA è una parola aborigena di origine berbera che si riferisce a un’alta montagna. E proprio su un’alta montagna, in vetta a Gran Canaria, si coltivano le vigne e si producono e imbottigliano i vini, ad 1.318 metri sul livello del mare. I vitigni crescono nella regione centrale dell’Isola.

Circa quattordici milioni di anni fa, l’età dell’isola di Gran Canaria, dopo un ciclo di eruzioni durato cinque milioni di anni, il centro dell’isola affondò, dando origine a un’imponente caldera, la Caldera di Tejeda. Il famoso scrittore del primo Novecento, Miguel de Unamuno, nella sua visita a Tejeda del 1910 descrisse questo tormentato paesaggio nel cuore dell’isola come “la tempesta pietrificata”.

Come risultato dell’erosione di quest’area vulcanica, emersero alcuni monoliti basaltici, simboli geologici dell’isola, tra cui il Roque Bentayga, cui si rifà il nome delle cantine; il Roque Nublo, simbolo di Gran Canaria, con 1.813 m di altitudine e 70 metri di altezza; Il Fraile, la cui sagoma ricorda un frate con le sue mani in posizione di preghiera; e la Rana. Il Roque Bentayga, che raggiunge i 1.404 m, sovrasta i vigneti e l’omonima cantina.

Si ritiene che per gli antichi canari abbia rappresentato un luogo di culto, anche se fonti differenti ipotizzano che fosse una fortezza militare da cui era controllata l’intera caldera di Tejeda e uno degli ultimi luoghi di resistenza durante le battaglie che si tennero per la conquista dell’isola, durata cinque anni (1478-1483), da parte della Corona di Castiglia (I Re Cattolici).

Nelle grotte del Roque Bentayga sono stati ritrovati alcuni petroglifi, incisioni sulla roccia, realizzati dagli aborigeni delle Canarie. Sebbene il loro significato non sia noto, alcuni di essi sono stati adottati come immagine di questi vini. Ad esempio, le croci che compaiono sulle etichette, sulle capsule e sui tappi dei vini AGALA.

L’area di Tejeda è situata al centro, sulla vetta dell’isola di Gran Canaria, sul versante sud-ovest, protetta dalle nuvole che sono trasportate dai venti Alisei e che sono intrappolate sul versante nord. Ciò garantisce la presenza di nitidi cieli blu in ogni periodo dell’anno. La temperatura media annuale è di circa 19°C e le precipitazioni medie annuali sono di 700 mm. A nord confina con il comune di Artenara, che gode di identico clima e presenta aree di elevato interesse archeologico, come la Mesa de Acusa.

Entrambi le località sono state dichiarate dall’UNESCO nel 2005 Riserva Mondiale della Biosfera, riconoscendo, così, il loro alto valore paesaggistico e culturale. La cantina si trova accanto al vigneto più alto. Parte delle sue strutture è scavata nella pietra naturale. Proprio in una delle grotte troviamo la sala di maturazione e invecchiamento, che gode di condizioni naturali di temperatura e umidità stabili in ogni stagione.

Qui i vini rossi riposano in barriques con meno di cinque anni, di rovere americano, ungherese e francese delle foreste di Allier. La scelta del tipo di botte per ogni tipologia di uva risponde a un’attenta volontà dell’enologo. Attualmente, la capacità produttiva della cantina è di 55.000 litri e i vini sono imbottigliati direttamente nella proprietà.

Un ottimo esempio dei suoi vini è il 1175.

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Scheda del vino Nota di degustazione

Il suo vitigno è formato da Baboso nero, Vijariego nero e Tintilla. Vanta 11 ettari di vigneti che si estendono in una posizione eccezionale nel Parco Rurale del Nublo, a un’altitudine di 1.000-1.100 metri, quindi lontano da ogni contaminazione. È irrigato solo con acqua della sorgente della miniera di Tejeda, la cui canalizzazione è stata realizzata negli anni 1500-1501. Il sistema di irrigazione è a goccia computerizzato. Il terreno, tipico delle Isole Canarie, è vulcanico e l’età media del vigneto è di quindici anni.

La densità è di quattromila viti per ettaro con tralicci di 2×1.5 m. L’orientamento dei filari è NESO, il clima è subtropicale. Le precipitazioni medie annue di 700 mm: abbondante pioggia in inverno, primavera dolce ed estate calda e secca. Orientate a sud-ovest, le viti ricevono in media undici ore di sole al giorno.

Ci troviamo, quindi, a cospetto di condizioni ideali per coltivare uve di alta qualità. La vendemmia è manuale e si tiene nei primi quindici giorni di settembre. L’invecchiamento è di quattro mesi in botti di rovere francese e se ne producono circa dodicimila bottiglie l’anno.

Vino dall’aspetto brillante e vivace, caratterizzato da bordi porpora e viola che incorniciano un attraente colore rosso ciliegia. Mentre ci avviciniamo al bicchiere, spicca la sua intensità aromatica, in cui i frutti rossi maturi cedono a poco a poco il passo, dopo aver riposato, a una complessa sinfonia di note floreali e speziate con sottili ricordi di rovere, che non nascondono la personalità della miscela varietale che dà vita a questo vino.

Dopo un inizio potente, il palato si evolve in modo avvolgente, con un buon equilibrio tra acidità e tannini maturi, lasciando un ricco ricordo dal retrogusto leggermente amaro, insieme agli aromi che avvolgono il palato. Viene servito a una temperatura di 16-18° C e ha un grado alcolico di 14% vol. Ogni sapore, che sia un vino o un piatto tipico di Gran Canaria, è carico di storia e delle sue origini vulcaniche, del suo clima unico, della sua terra fertile e del suo prezioso oceano Atlantico.

E come diceva il poeta di Gran Canaria, Tomás Morales, nella sua ODE ALL’ATLANTICO, Canto XXIV:

“¡Atlántico infinito, tú que mi canto ordenas! Cada vez que mis pasos me llevan a tu parte, siento que nueva sangre palpita por mis venas y, a la vez que mi cuerpo, cobra salud mi arte…” (Atlantico infinito, tu che ordini la mia canzone! Ogni volta che i miei passi mi portano a te, Sento nuovo sangue pulsare nelle vene e, allo stesso tempo che il mio corpo, anche la mia arte recupera la salute…).

Un consiglio o, meglio, un suggerimento del poeta, che ci invita a scoprire questa terra vulcanica che non solo ci farà stare bene ma stimolerà anche la nostra vena artistica.

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Cantine Bentayga • C/ El Alberconcillo, s/n – 35360 Tejeda • Telf: (34) 928 426 047 • Responsabile: Sandra Armas • e-mail: info@bodegasbentayga.com Per altre informazioni: • www.grancanaria.com • https://vinosdegrancanaria.es/ • www.bodegasbentayga.com
TuttoFood 30 Chiude Terra Madre: oltre 350 mila passaggi a Parco Dora 36 Puglia autentica, tra Murgia e Terra di Bari # #
CHIUDE TERRA MADRE: OLTRE 350 MILA PASSAGGI A PARCO DORA Una scommessa vinta, una grande festa popolare, gioiosa e all’insegna della pace, intorno al cibo buono, pulito e giusto A cura di Paolo Alciati

Terra Madre Salone del Gusto 2022 chiude, il lavoro di Slow Food continua. Da martedì gli oltre 3.000 delegati arrivati da 130 Paesi, che per cinque giorni hanno portato a Torino uno spirito di festa, l’entusiasmo per essersi ritrovati in presenza quattro anni dopo l’ultima volta e il desiderio di cambiare il sistema alimentare, torneranno a casa. Rigenerati da un appuntamento che per Torino e l’intero Piemonte è storia, e rafforzati nella convinzione che il mondo possa essere salvato a tavola, con gusto.

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«Per cinque giorni, a Terra Madre si è fatta politica: alimentare, economica, climatica, sociale» ha dichiarato la presidente di Slow Food Italia, Barbara Nappini. «Terra Madre è una festa popolare, la dimostrazione che il cibo buono, pulito e giusto è un elemento di gioia e un ponte di pace tra i popoli. Ma questa edizione riafferma con forza la consapevolezza che la produzione alimentare è anche uno straordinario strumento di contrasto alla crisi climatica e alle ineguaglianze sociali».

Una Terra Madre giovane ed entusiasta

La 14esima edizione di Terra Madre, organizzata da Città di Torino, Slow Food e Regione Piemonte, è stato un successo di pubblico. In cinque giorni, l’evento ha registrato oltre 350 mila passaggi di visitatori: un pubblico che ha accolto con entusiasmo la scelta di Parco Dora, dando ragione agli organizzatori che hanno voluto parlare di rigenerazione a partire dall’ex area industriale, oggetto di un processo di riqualificazione ancora in atto.

Marnati, assessore all’Ambiente della Regione Piemonte –. Vedere così tanti giovani e studenti è importante perché qui non si promuove soltanto il cibo, ma un approccio sistemico a tutte le tematiche che ne derivano, come la crisi climatica che ci troviamo ad affrontare. Il nostro augurio è che la prossima edizione accolga un pubblico ancora più vasto e interessato».

«Sono stati giorni di crescita – ha affermato Marta Messa, segretaria generale di Slow Food – frutto dello scambio di esperienze, buone pratiche e idee. Le comunità arrivate a Terra Madre hanno raccontato la biodiversità del mondo, dimostrando che offre soluzioni immediate e sostenibili. Abbiamo incontrato tanti produttori e agricoltori che ci hanno detto che, prima di conoscere Slow Food avevano perso la speranza: grazie all’evento sono tornati a crederci».

L’esperienza acquisita in questa prima volta a Parco Dora rappresenta un prezioso bagaglio che consentirà di mettere a punto, in futuro, un evento ancor più rispondente alle esigenze di pubblico, espositori, partner e organizzatori.

«Ringrazio Slow Food per aver creduto alla scommessa di organizzare questa edizione a Parco Dora che non nasce con la vocazione di ospitare grandi eventi – ha commentato il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo –. Come amministrazione, crediamo all’opportunità di rendere luoghi della città come questo capaci di ospitare manifestazioni importanti. Il bilancio di questi cinque giorni è più che positivo, ma come ogni prima edizione sarà preziosa per correggere quelle pochissime cose che possono essere migliorate: penso, ad esempio, agli allacci elettrici e agli scarichi, e alla segnaletica dei parcheggi».

«I giorni di Terra Madre sono rilevanti dal punto di vista culturale ed educativo – ha aggiunto Matteo

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Puglia autentica, tra Murgia e Terra di Bari

I
riti
della terra e della tradizione: paesaggio, cultura, gusto A cura di Franca Dell’Arciprete Scotti

Distese di ulivi, tronchi centenari contorti, fogliame argenteo, muretti a secco, masserie rosse e gialle perse nelle campagne o vista mare. E poco oltre il costone inconfondibile della Murgia. Siamo nel barese, in quella terra ricca, fertile e stratificata che offre nuovi itinerari al nuovo turista. Un turista che ama i cammini lenti, i panorami rilassanti, le soste in mezzo a vigne e uliveti, i piccoli borghi, i ristoranti autentici. Segno dei tempi che ci portano a riscoprire le zone meno battute e meno celebri.

La Puglia, che già si è conquistata allori e successi, ha ancora tante mete insolite da scoprire. Sono ad esempio i piccoli centri che punteggiano l’entroterra barese. Piccoli centri che hanno però una collocazione strategica tra la Murgia e il mare, spesso inseriti nei famosi “cammini”, il Cammino Micaelico il Cammino Materano, la Via Appia, la Via Peuceta, il Cammino dei Templari, il Regio Tratturo della transumanza.

Da Sannicandro a Corato, da Sammichele di Bari a Bitetto a Santeramo in Colle, l’itinerario si snoda facilmente e ad ogni sosta consente belle passeggiate a piedi nei piccoli centri. Piazza raccolta intorno al municipio, case bianche, la chiesa madre imponente che sembra stringere in un abbraccio protettivo la comunità come in tanti episodi del passato, attacchi stranieri, distruzioni, la peste.

In qualche caso le chiese sono tante e stupiscono in un piccolo borgo, come a Bitetto, ad esempio, dove la chiesa madre dedicata al patrono San Michele rivela uno splendido romanico nel portale e nel rosone traforato, mentre la “Veterana”, purtroppo non sempre aperta, é tutta coperta da sorprendenti affreschi, forse di epoca bizantina.

Qualche volta il monumento dominante nel piccolo borgo é il Castello. A Sannicandro tutto si concentra intorno all’imponente Castello Normanno ben restaurato che accoglie tutte le manifestazioni di rilievo, da quelle gastronomiche a quelle rievocative

in costume. Perché la storia di questa terra barese é stratificata nei secoli. E ci si perde a sentir raccontare dagli ospiti sul posto, sempre accoglienti e cordiali, gli episodi del passato, dagli attacchi corsari sulle coste, alle favolose eredità, dalle esecuzioni capitali alle guarigioni miracolose. Su tutto splendono di solito l’epopea normanna degli Altavilla e quella del grande Federico II che poco lontano da questi luoghi aveva fatto erigere il simbolico e un po’ esoterico Castel del Monte.

Anche a Sammichele il castello imponente racconta la storia del borgo con il suo Museo della Civiltà contadina Dino Bianco. Nelle sale si sviluppa un ricco repertorio di oggetti, utensili, abiti, raccolti con tanta curiosità e passione dai cittadini stessi nel corso degli anni.

Così si ricostruisce la storia di una comunità con le sue usanze, i mestieri, le ritualità. Ad esempio chi sospetterebbe che un piccolo centro come Sammichele ha ottenuto il riconoscimento di “carnevale storico” con una ritualità di maschere, balli, mosse, contrappunti in rima?

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Si scoprono così anche tante forme di vita quotidiana, come le cerimonie di benedizione del cibo, la devozione popolare, l’abitudine di decorare i portoni con maschere apotropaiche contro il malocchio, il culto del santo patrono accanto al culto dell’Arcangelo Michele, tanto presente in questa terra, forse perché arcangelo guerriero legato ai Longobardi e poi ai Normanni.

La tradizione non rinuncia tuttavia a nuove forme di cultura: a Corato si passeggia nel centro storico tra forme di street art, murales che decorano intere facciate, installazioni modernissime. Ma su tutto domina l’importanza della terra.

In questi piccoli centri si respira l’amore per la terra che, come una creatura viva, vuole attenzione e rispetto. La terra dona e nutre, insegna e organizza i tempi dell’anno. E la terra che sembra a una prima occhiata così uniforme, assume a un occhio più esperto tante variazioni: lame, gravine, doline, quote, matine, inghiottito.

Una forma di turismo esperienziale ed ecosostenibile è oggi proprio la visita in campagna, in masseria, in oliveto, in frantoio. Ecco allora il nuovo oleoturismo che porta a conoscere direttamente i segreti della produzione. A Sannicandro davvero esemplare il Frantoio Mossa Domenica, produttore della linea Natyoure da agricoltura biologica, vincitore del primo premio come EVO più salutare al mondo (www.natyoure.it).

Proprio così, sentendo raccontare le operazioni del raccolto e della molitura, e gli accorgimenti per ottenere la massima qualità, si impara ad apprezzare un prodotto puro e semplice come l’olio, che deve essere scelto e degustato con consapevolezza. Si apprezzano anche i sacrifici che richiedono la moderna agricoltura e l’allevamento, scoprendo con piacere che molti giovani pugliesi tornano alla terra e a una vita più genuina e salutare. È il caso del bravissimo Nicola Di Santo che a Santeramo si dedica con passione all’azienda zootecnica di famiglia.

La terra vuol dire anche costruzioni particolari, in cui ogni elemento è funzionale. Sono le famose masserie pugliesi, delle cittadelle autosufficienti ora diventate celebri anche come luoghi di ospitalità.

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È il caso di Masseria Contursi a Santeramo in Colle, con la antica neviera, o della splendida Masseria Spina di Monopoli del 1700: colore rosso mattone, coronamento a volute nella cappella adiacente, scalone scenografico, distese di ulivi e fichi d’India, un parco rurale dove si visitano le grotte che un tempo erano addirittura utilizzate come abitazioni e poi come frantoio ipogeo (www.donnacamilla.it – www.masseriaspina.it).

La visita in campo e in frantoio fa venire appetito. E la terra barese non delude certo i buongustai. Qui, dalla trattoria casalinga ai ristoranti di pregio, si gustano ovunque piatti saporiti e autentici, ovviamente a km 0.

Unico problema la linea! Si comincia con una serie di antipasti spettacolari, olive dolci fritte e sott’olio, friggitelli, capocollo e soppresse, burratine, ricottine di pecora, funghi cardoncelli, panzerotti. Poi c’è la festa dei primi piatti, orecchiette e cavatelli conditi con tutti i sughi immaginabili. Una cucina di terra forte e gustosa che trova il completamento nelle carni alla griglia, bombette, spiedini, involtini, braciole.

Da non perdere, tra tutte le proposte, la famosa “zampina” di Sammichele, una salsiccia artigianale che mescola carne trita di vitello, agnello e maiale con salsa di pomodoro, spezie, parmigiano, basilico, oppure il rito delle “bracerie” di carne di cavallo diffusissime a Santeramo.

Consigli di viaggio:

• Per alloggiare tra Murgia e Terra di Bari sono consigliabili i B&B diffusi in tutta la zona: a Sannicandro ottimo “I Princìpi” (Recapito telefonico: 3342231414)

• Per soste gustose e piatti tipici: a Sannicandro Pizzeria Il Nascondiglio, www.pizzeriailnascondiglio. it, Il Mulino tel 080632366, a Bitetto Rocco trattoria moderna cell 3471983558, a Sammichele Al Borgo Antico con carni locali di produzione propria tel 0808917227, a Corato agriturismo Ai Pilieri di Bagnoli www.addario.it.

E ovviamente bruschette e taralli ovunque. Un itinerario nell’entroterra barese é ancora più intrigante se ci si imbatte nelle sagre. Legate anche queste ai ritmi delle stagioni e ai frutti della terra, celebrano il raccolto e la pigiatura, l’olio nuovo e la vendemmia. Splendide occasioni per scoprire i costumi contadini, giacche di fustagno, panciotti, berretti, i carri di legno, gli attacchi d’epoca, il traino di muli e cavalli, il trasporto di tini e botticelle. Mentre in dicembre è il momento dei falò di Santa Lucia che introducono a tutte le feste invernali (www. parcoaltamurgia.it – prolocosannicandro@gmail.com – www.viaggiareinpuglia.it).

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A LATO DI TRE VERMOUTH DI TORINO (ROSSO, BIANCO E DRY) E DELL’AMARO DELLA SACRA, PRODOTTI SECONDO UNO SPECIFICO DISCIPLINARE CHE PREVEDE L’IMPIEGO DI SOLE MATERIE PRIME DEL PIEMONTE, ANTICA TORINO HA SCELTO DI PUNTARE SULL’UVA NEBBIOLO PER REALIZZARE IL PRIMO VINO CHINATO. PRODOTTO CON IL LANGHE NEBBIOLO DOP 2018, ZUCCHERO, ALCOOL, SOSTANZE AROMATIZZANTI (INFUSIONE DI ERBE E SPEZIE), PROFUMA DI ROSA, NOCE MOSCATA ED ERBE AROMATICHE, PUÒ ESSERE DEGUSTATO COME VINO DA MEDITAZIONE O IN ACCOMPAGNAMENTO A DOLCI A BASE DI CIOCCOLATO FONDENTE.

VINO CHINATO

AVVOLGENTE, LEGGERMENTE AMARICANTE, LA DOLCE PRESA TANNICA AL PALATO COINVOLGE AL PRIMO SORSO. UN PRODOTTO, IL VINO CHINATO, CHE HA ORIGINI ANTICHE: È DIVENUTO CELEBRE GRAZIE ALLA DIFFUSIONE NEL SECOLO SCORSO DEL BAROLO CHINATO, REALIZZATO PARTENDO DA VINO BAROLO DOCG (DA UVE NEBBIOLO) A CUI VENGONO AGGIUNTI ZUCCHERO E ALCOL, SOTTO FORMA DI UN INFUSO, A FREDDO, SPEZIE ED ERBE OFFICINALI COME LA CHINA.

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TuttoOk 48 Prosecco DOC alla Barcolana 2022 56 SIMEI 2022 chiede sostenibilità: Amorim Cork Italia risponde 60 Monferace 2018 – Il Grignolino en primeur # #

Prosecco DOC alla Barcolana 2022

Tra appuntamenti gourmet in mare e a terra, spiccano il 2° posto assoluto per PORTOPICCOLOPROSECCO DOC e l’importante risvolto -sportivo ma soprattutto umano- della ORYX X50 battente bandiera Prosecco DOC

A cura di Redazione Centrale TdG

Un’unione perfetta tra forme naturali e bellezza id Con un programma di grande respiro, il Consorzio PROSECCO DOC, per l’11^ volta in scena alla Barcolana di Trieste, quest’anno ha registrato entusiastici risultati.

Tra questi, certamente il successo ottenuto con il Maxi 90 PORTOPICCOLO-PROSECCO DOC, imbarcazione condotta da Mitja Kosmìna e un team internazionale coordinato da Claudio Demartis e da Riccardo Bonetti che, a conferma del carattere cosmopolita del Prosecco, vantava un equipaggio di 23 velisti di 4 diverse nazionalità.

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“Oggi, qui nell’alto Adriatico, convivono diverse tradizioni veliche ma in mare si parla tutti la stessa lingua – aveva raccontato Riccardo Bonetti, al primo anno da team manager e skipper, appena sceso a terra – Abbiamo ottenuto il massimo dei risultati possibili in quest’edizione della Barcolana. Davanti al Team PORTOPICCOLO-PROSECCO DOC sono arrivate infatti due barche che, data la loro grande velocità, sapevamo essere irraggiungibili per noi, salvo imprevisti”.

Ma, due giorni dopo la regata, la classifica viene aggiornata. La seconda arrivata, l’imbarcazione condotta da Furio Benassi, è stata squalificata rimettendo in gioco il podio. La PORTOPICCOLO-PROSECCO DOC avanza dal terzo al secondo posto, e l’armatore Claudio De Martis commenta “eravamo già pienamente soddisfatti del risultato ottenuto.

Specialmente considerando le condizioni di vento forte, meno adatte al nostro Super Maxi che dà il suo meglio in situazioni di vento medio-leggero. Abbiamo condotto una gara perfetta, sia tecnicamente che tatticamente, e questo ci ha garantito l’ottimo posizionamento, frutto del buon lavoro fatto con una squadra che ha funzionato bene sia dal punto di vista sportivo che umano”.

“Al di là della grande soddisfazione per il miglior piazzamento di sempre della nostra barca –commenta il Direttore del Consorzio di tutela della DOC Prosecco Luca Giavi- è stato un grande piacere vedere il Prosecco DOC salire sul primo gradino del podio per accompagnare il team vincitore della Deep Blue, guidato dall’americana Wendy Schmidt, che poi ha brindato con le nostre bollicine veneto friulane”.

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L’equipaggio della PORTOPICCOLO-PROSECCO

DOC, si è conquistato così il 2° posto assoluto appena dietro alla vincitrice Deep Blue di Wendy Schmidt. A bordo sono stati notati anche due ospiti speciali del Consorzio: il rinomato fotografo Simone Bramante, in arte Brahmino, e l’atleta Robin de Kruijf, campionessa della Prosecco DOC – Imoco Volley.

Oltre alla regata vera e propria di domenica 9 ottobre, nell’arco dell’intera settimana precedente la gara, il Consorzio di Tutela della DOC Prosecco ha presenziato a Trieste con una serie di iniziative che hanno toccato vari ambiti.

Il sociale

Importante anche il risultato ottenuto dalla seconda barca che ha preso parte alla Barcolana con i colori del Consorzio Prosecco DOC: l’ORYX PROSECCO DOC si è guadagnata un 52° posto assoluto, uno X Yacht 50 che si è meritato anche il 3° posto della sua categoria. Straordinario il risultato soprattutto sotto il profilo

umano perché per il sesto anno consecutivo il Prosecco DOC, di concerto con la IYRF del Rotary International, ha sostenuto un’iniziativa mirata a portare due atleti paraolimpici italiani a regatare all’isola di White nel Regno Unito e due paratleti inglesi in Barcolana.

Non essendo stato possibile essere presenti all’isola di White, per ragioni determinate dal protrarsi della pandemia in primavera, in Barcolana quest’anno hanno regatato Kirsten Pollock, una delle più famose veliste inglesi, prima che un incidente la costringesse su una sedia a rotelle, e i paratleti italiani, Fabrizio Sollazzo, paraolimpionico a Rio, e il giovanissimo Davide Di Maria, fresco vincitore di un titolo mondiale.

Il resto dell’equipaggio ha visto al timone un altro giovanissimo, Michele Meotto con tre coetanei, Alberto Cassandro e Gaia e Allegra De Martin rispettivamente all’albero, in prua e alle drizze e alcuni velisti di grande esperienza.

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Le degustazioni: momenti conviviali e formativi

Nella settimana dal 2 al 9 ottobre, l’apprezzatissima Lounge Prosecco DOC allestita in posizione primaria in Piazza Unità con eleganti arredi firmati Calligaris, ha animato visitatori, ospiti istituzionali e membri degli equipaggi con grandi momenti di convivialità e aperitivi all’insegna di 25 diverse etichette di Prosecco DOC e Prosecco DOC Rosé fornite dalle aziende aderenti alla manifestazione: Botter, Cabert, Cantine Riondo, Enoitalia, La Delizia, La Marca, Maschio dei Cavalieri, Masottina, V8+, Villa Sandi e Zardetto.

Il Consorzio ha inoltre organizzato svariati happy hours a Portopiccolo (Sistiana) nella Terrazza Prosecco allestita negli spazi del Ristorante Bris, punto di riferimento esclusivo per valorizzare il marchio Prosecco DOC in un contesto unico e speciale. Grazie alla presenza dell’imbarcazione ORYX PROSECCO DOC, ormeggiata proprio di fronte, è stato creato un fil rouge tra il momento conviviale e la parte più specificamente sportiva della Barcolana. Un arricchimento dell’offerta teso a valorizzare le differenze delle varie tipologie di Prosecco DOC in degustazione.

L’enogastronomia

Alla 54^ edizione della Barcolana, il Consorzio è stato main sponsor anche dell’evento spin-off della regata: la Barcolana Sea Chef presented by Prosecco DOC, giunto con successo alla sua 7° edizione. E sempre in tema di chef di rango, martedì 4 ottobre, nel Golfo di Trieste, 8 chef stellati si sono sfidati in una competizione velica accompagnati da skipper professionisti: Peter Brunel, Andrea Canton, Iside De Cesare, Alessandro Gavagna, Matteo Metullio & Davide De Pra, Tomas Kavcic, Graziano Prest ed Emanuele Scarello. Una volta a terra gli chefs hanno realizzato i piatti per la cena charity in programma la sera stessa al Portopiccolo Pavillion.

Tra le imbarcazioni partecipanti alla regata vi era il Super Maxi 90 PORTOPICCOLO-PROSECCO DOC con a bordo la chef Iside De Cesare del Ristorante stellato

La Parolina. Il Prosecco DOC ha avviato la serata con un brindisi perfetto per accompagnare il baccalà preparato dallo special guest Franco Favaretto del Baccalàdivino.

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SIMEI 2022 chiede sostenibilità:

Amorim Cork Italia risponde

Forte del suo percorso da sempre rispettoso del tema, la leader del sughero è pronta all’edizione della fiera tecnica, quest’anno a tema sostenibilità

A cura di Redazione Centrale Tdg

Simei,

il Salone Internazionale delle macchine per enologia e imbottigliamento di Unione italiana vini (Uiv), in programma a Fiera Milano (Rho) dal 15 al 18 novembre 2022, promette un’edizione all’insegna della sostenibilità e Amorim Cork Italia, grande protagonista della manifestazione, si fa trovare più pronta che mai.

La leader nella produzione e vendita di tappi in sughero infatti, può contare su un percorso di oltre dieci anni tra sostenibilità ambientale, sociale, economica e culturale, forte di essere tra le prime aziende in Italia ad aver perfettamente concluso un percorso di economia circolare. Al Padiglione 2, Stand C09-D10 del SIMEI, quindi, potrà celebrare il percorso che permette di sigillare i vini d’Italia con una tecnologia avanguardistica e con il suo sguardo orientato, da sempre, a lasciare alle future generazioni un mondo migliore di quello ricevuto.

Una grande occasione per Amorim Cork Italia per raccontare la visione aziendale e, soprattutto, per farla toccare con mano, grazie a uno stand in cui il dialogo su un futuro positivo e possibile sarà il cuore pulsante. Protagonisti, infatti, oltre ai celebri tappi tecnici, anche gli interventi di alcune tra le più autorevoli firme del mondo wine. L’ordine degli interventi, comunque tutti orientati al macro tema della sostenibilità, vedrà il 16 novembre alle ore 11.00, Nicola Tinto Prudente parlare della comunicazione del settore, dall’alto della sua esperienza radiofonica e professionale.

Al pomeriggio dello stesso giorno, alle ore 15.00, sarà protagonista Kerin O’Keefe tra le firme più autorevoli e influenti del giornalismo enologico internazionale, che dedicherà il suo speech al panorama dei vini italiani sul mercato USA, per definire qual è la percezione attuale e quale la direzione futura. Il giorno successivo, il 17 novembre alle ore 11.00, interverranno Lavinia Furlani e Fabio Piccoli di Wine Meridian, per un confronto sulla strategia e la pianificazione necessaria alla narrazione del vino da parte di cantine che sono sempre più brand.

Infine, si chiuderà in gran stile la rosa di speech con quello del 17 novembre alle ore 14.00, con Veronika Crecelius e la sua prospettiva europea, da

giornalista esperta di vino e corrispondente per l’Italia dell’importante testata tedesca Weinwirtschaft. Amorim Cork Italia intende così, essere protagonista di un dialogo multidisciplinare con ospiti di rilievo, che tratteranno il tema del rispetto del vino in ogni sua accezione, compresa quella del contesto ambientale, sociale, economico e culturale di riferimento per il settore. Gli incontri verranno ospitati in uno stand accogliente, arredato rigorosamente con i complementi SUBER, marchio di oggetti di design generati dal sughero riciclato da Amorim Cork Italia nel suo percorso di economia circolare.

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Il Gruppo Amorim è la prima azienda al mondo nella produzione di tappi in sughero, in grado di coprire da sola il 40% del mercato mondiale di questo comparto, e il 28% del mercato globale di chiusure per vino; conta 22 filiali distribuite nei principali paesi produttori di vino dei cinque continenti.

Amorim Cork Italia, con sede a Conegliano (Treviso), filiale italiana del Gruppo Amorim, si è confermata nel 2021 azienda leader del mercato del Paese. Con i suoi 70 dipendenti e una forza commerciale composta da 35 agenti, nel 2021 ha registrato oltre 665.000.000 di tappi venduti per un fatturato di 70,5 milioni di euro. La crescita complessiva rispetto all’anno precedente è stata del +14,6% in volume e del +14,4% in valore

La leadership di Amorim è dovuta ad una solida rete tecnico-commerciale distribuita su tutto il territorio della penisola, ad un efficace servizio di assistenza pre e post vendita ma anche all’avanguardia dei suoi sistemi

produttivi e gestionali e soprattutto del suo reparto Ricerca&Sviluppo, al quale si associa una spiccata sensibilità per la tutela dell’ambiente e in particolare per la salvaguardia delle foreste da sughero. Accento vigoroso anche quello sulle risorse umane, con oltre 14 iniziative di work-life balance per una migliore armonia tra vita personale e lavorativa della grande famiglia Amorim.

Tra gli ultimi grandi traguardi raggiunti, infine, il compimento perfetto dell’economia circolare grazie alla linea SUBER, arredo di design nato dalla granina dei tappi raccolti dalle onlus del progetto ETICO (di Amorim stessa) e riciclati. Un’opera di sostenibilità divenuta anche culturale grazie alla Mostra “SUG_HERO –Metaforme – Le mille vite di uno straordinario dono della natura, il sughero”, esposizione nata per valorizzare e testimoniare i valori che animano l’azienda.

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SIDECAR COCKTAIL

a base di Cognac, triple sec e succo di limone

DELAMAIN PALE&DRY

Ottenuto dal terroir di Bellevigne, Grande Champagne, la tecnica Delamain prevede l’aggiunta di acqua e del 15% in volume di vecchie acquaviti, chiamate “les faibles”.

Affina in vecchi fusti di legno, senza zucchero e colore aggiunti.

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Monferace 2018 –Il Grignolino en primeur

A cura di Paolo Alciati

Una trentina di giornalisti provenienti da tutta Italia sono stati coinvolti lo scorso ottobre al Castello di Ponzano, sede dell’Associazione Monferace costituita nel 2016, dai dodici produttori e soci fondatori in una degustazione di presentazione della nuova annata in commercio di questo grande Grignolino di struttura ed eleganza.

In una Masterclass condotta da una grande professionista americana del settore – la Master of Wine Robin Kick – il folto gruppo giornalisti ha degustato l’annata 2018 valutandone, insieme ai produttori, le caratteristiche e le varie sfaccettature gusto-olfattive dovute ai differenti territori e suoli dei vari vigneti illustrati con grande competenza dal geologo Alfredo Frixa.

“Si è trattata di una giornata di lavori molto importante per noi ma soprattutto per la promozione del territorio, che deve passare dal racconto della storia di questo nobile vitigno piemontese. È stata un’importante occasione per mettere in luce gli elementi che hanno contribuito nel 2014 a fare rientrare il Monferrato nel Patrimonio dell’Umanità” – ha affermato Guido Carlo Alleva, Presidente dell’Associazione Monferace.

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Al Convegno “Il Monferace di oggi e di ieri” sono inoltre intervenuti Mario Ronco, Vicepresidente dell’Associazione Monferace ed enologo, Roberto Cerrato, Direttore del Sito UNESCO e Marco DeVecchi, Professore dell’Università degli Studi di Torino (DISAFA).

I relatori hanno affrontato diversi temi, dagli aspetti geologici che caratterizzano le colline in cui crescono le viti di Grignolino al valore del paesaggio nel basso Monferrato come opportunità di sviluppo economico, al fondamentale ruolo degli agricoltori stessi nella creazione di “buon paesaggio” per mantenere e rafforzare i caratteri di qualità formale e di identità storica.

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Spirito ribelle, selvatico, libero.

Il Grignolino è un vitigno autoctono da sempre coltivato sulle colline del Monferrato. Dallo spirito nobile e ribelle, da giovane ha tannini spiccati che evolvono negli anni; di un bel colore rosso rubino brillante, al naso ha profumi di frutta rossa e geranio.

Il nome deriverebbe proprio dai suoi tannini marcati anche se l’origine è discussa: secondo alcuni deriverebbe da “grignole”, termine dialettale astigiano che indicava anticamente i vinaccioli, più numerosi rispetto a altri vitigni e responsabili della sua decisa tannicità, per altri sarebbe legato all’espressione “grigné”, in piemontese sorridere, perché a un sorriso assomiglierebbe l’espressione che, causa tannini, si disegna sul volto di chi lo beve.

Il primo documento scritto in cui si cita il Grignolino, come Berbexinius, è un atto d’affitto datato 1249, trascritto dai monaci del Capitolo di Sant’Evasio di Casale Monferrato. E ancora nel 1337, nell’inventario dei vini dell’Abbazia di San Giusto di Susa, si citava la presenza di vino “Grignolerii”. La prima citazione in un libro ampelografico è del 1798, nell’”Istruzione” del conte Nuvolone che lo chiamò “Nebieul rosé”.

Da giugno 2014, il Monferrato è entrato nel Patrimonio dell’Umanità Unesco. È la sesta componente del sito dei Paesaggi vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato. Un riconoscimento ottenuto per la bellezza dei suoi «infernot», antiche cantine sotterranee scavate nell’arenaria o Pietra da Cantoni – eredità del fondale marino che caratterizzava il Monferrato tra 5,5 e 3 milioni di anni – materiali che hanno la peculiarità di garantire una temperatura costante di 15-16 gradi, perfetta per la conservazione del vino e degli alimenti. Questi cunicoli, a volte profondi molti metri sottoterra, sono opere d’arte straordinarie e funzionali.

Il Monferace è un sogno che nasce tra colline e castelli del Monferrato. Un Grignolino d’eccellenza, che nasce custodito dagli “infernot” riconosciuti Patrimonio dell’Unesco. La prima vendemmia è il 2015. Riposa in botte per molto tempo: il Monferace ha un suo disciplinare di produzione ancora più restrittivo di quello del Grignolino Riserva. Prodotto solo in purezza, questo Grignolino al 100% potrà essere immesso sul mercato soltanto dopo un periodo minimo di affinamento di 40 mesi invece dei 30 stabiliti, di cui almeno 24 mesi in botte di legno invece dei canonici 18.

È il progetto di un gruppo di vignaioli coraggiosi che da anni amano, credono e investono in quel saliscendi di vigneti tra Casale Monferrato, Alessandria e Asti, che vogliono ridare dignità a un vino per secoli amato e ricercato in tutte le corti italiane ed europee, da re e personaggi illustri. Così la filosofia di vinificazione s’ispira al passato: occorre aspettare con pazienza lunghi anni e un passaggio in botte prima che questo vitigno esprima al meglio la sua nobiltà ed eleganza. È stato scelto il nome Monferace perché è l’antico nome del Monferrato aleramico, ma Monferace non è solo un vino: è un progetto ambizioso.

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Il Monferrato, Patrimonio dell’Unesco Monferace, un sogno, un progetto, un vino

L’Associazione Monferace

Per sostenere, promuovere e diffondere il Progetto Monferace si è costituita nel febbraio 2016 l’Associazione Monferace. I soci fondatori sono dodici e gli obiettivi principali sono la comunicazione e divulgazione del Monferace e la creazione di una rete imprenditoriale nel Monferrato, territorio di produzione, che consenta un rilancio di queste colline. L’Associazione si occupa dell’organizzazione di eventi, seminari, convegni e di partecipare a iniziative per la promozione delle attività legate al Monferace anche attraverso la partecipazione a fiere, mostre, workshop e ogni altra manifestazione a carattere scientifico, culturale, enogastronomico.

È prevista la possibilità di associarsi per imprenditori vinicoli che producono Grignolino (Doc d’Asti, del Monferrato Casalese, Piemonte) nell’area del Monferrato aleramico, associazioni di produttori agricoli, enologi e altri soggetti individuati dall’Assemblea, che abbiano le caratteristiche consone al raggiungimento degli scopi sociali. Inoltre è stata istituita la categoria «Amici del Monferace», alla quale possono aderire anche aziende e/o associazioni fuori dal Monferrato aleramico.

I terreni del Monferrato si sono formati per sedimentazione di detriti nel fondale marino, quando tra 5,5 e 3 milioni di anni fa queste terre erano ricoperte dal mare. L’eredità del Pliocene Inferiore è ancora oggi una grande ricchezza geologica e minerale, oltre che di conchiglie e resti fossili di balenottere, animali marini e coralli. I terreni di produzione del Monferace sono calcarei-argillosi, compatti, ricchi di limo caratteristiche che conferiscono al vino un maggiore potenziale di struttura e di invecchiamento.

Ogni collina ha il suo terreno e il suo equilibrio di suolo; ogni collina dà il suo vino unico e irripetibile. È il concetto di cru, di una diversità che si ritrova dentro ogni bottiglia e che per i produttori del Monferace è un valore da difendere e comunicare. Il Monferace verrà prodotto esclusivamente nelle annate migliori.

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La degustazione

Dei dodici produttori presenti solamente di sei di questi –Liedholm, Accornero, Sulin, Tenuta Santa Caterina, Angelini Paolo e Vicara – si è potuta degustare l’annata 2018; Fratelli Natta ha presentato la 2016, Alemat e Tenuta Tenaglia la 2017, Cascina Faletta l’annata 2020, così come Hic et Nunc, ma con campione da vasca, e sempre un campione da vasca per l’annata 2021 di Cinque Quinti. Se da un lato ciò ha portato ad una valutazione solo parziale, dall’altro ha permesso di valutare l’evoluzione di annate precedenti.

La produzione 2018 – quella per cui siamo stati chiamati a degustare – si è ulteriormente suddivisa in due filosofie di vinificazione: macerazioni brevi (15-30 giorni) e affinamento in tonneaux da 500 litri col risultato di avere vini più scarichi di colore, granato chiaro e brillante con una leggera unghia aranciata, immediati al palato e con sentori più floreali e di frutti rossi di sottobosco e solo una leggera speziatura, buona acidità e tannini non perfettamente maturi; macerazioni più lunghe (60-90 giorni sulle bucce), affinamento in barriques da 225 litri e successivo tonneaux per un produttore (Liedholm), solo tonneaux per tutti gli altri e con Tenuta Santa Caterina che ha utilizzato in aggiunta botti grandi in rovere di Slavonia da 10 ettolitri.

In questo caso il vino assume un color granato più intenso con bordi aranciati, un naso di frutti rossi maturi, speziatura evidente e discreta balsamicità, al palato c’è ottima acidità e il sorso è ampio, vellutato e elegante, spiccano la frutta rossa matura, ciliegia e prugna su tutte, mentre i tannini, vero ostacolo da domare in questo splendido vino rosso, risultano più morbidi, fini, pur se ancora evidenti, e la chiusura è per quasi tutti persistente, aromatica, intensa e lunghissima.

Non volendo fare classifiche, la stessa valutazione la si può ribaltare con i vini delle annate precedenti, il tonneaux e la botte grande sono vincenti nei confronti dei passaggi in barriques, donando maggior equilibrio, meno sentori vanigliati e più eleganza. Infine, le annate 2020 e 2021 sono ancora troppo giovani per valutare quali potranno essere le evoluzioni…il potenziale c’è tutto, ma bisognerà attendere.

Associazione Monferace

• Castello di Ponzano Monferrato

• Piazza Vittorio Veneto, 1

• Ponzano Monferrato (AL)

• www.monferace.it

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TuttoTravel 70 Un viaggio con il BerninaExpress 76 Nell’ultra millenaria e fiabesca Cina: Shanghai, la metropoli delle meraviglie # #

Un viaggio con il Bernina-Express

per qualche ora, in una dimensione quasi d’altri tempi, quando le prime macchine a vapore apparivano inarrestabili simboli del progresso, strumenti che avrebbero permesso di abbattere le distanze e valicare le montagne senza fatica.

Entriamo

Ma la velocità dell’evoluzione tecnologica è stata superiore a quella dei primi sbuffanti treni, che sono stati presto sostituiti da locomotive futuristiche. Qua e là, tuttavia, permangono isole di “resistenza”, soprattutto dove non è stato possibile cambiare le cose o dove la sopravvivenza del trasporto è stata mantenuta anche grazie ad un suo utilizzo turistico.

È il caso della celebre tratta della Ferrovia Retica che collega Tirano, in Valtellina, con St. Moritz, in Engadina. Causa l’altitudine del Passo del Bernina, unico verso Nord, questo piccolo lembo di Svizzera italiana, nelle cattive stagioni, sarebbe spesso isolato a causa delle abbondanti nevicate. Costruita col massimo rispetto dell’ambiente, la Ferrovia del Bernina è, oggi, uno dei maggiori motivi d’attrazione di questa fascia di territorio italo-svizzero e il “Trenino Rosso” che la percorre è diventato, esso stesso, parte integrante del fantastico paesaggio alpino che gravita attorno ai quattromila metri del Pizzo Bernina.

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Una volta tanto lasciamo a casa l’auto e dimentichiamo scarponi e zaino: prendiamo il treno e passiamo una giornata fra boschi, ghiacciai eterni, cime altissime e villaggi da favola
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Il tracciato collega i più importanti centri turistici del Cantone dei Grigioni: Arosa, Thusis, Landquart, Disentis, Davos, Kloster, Samaden-St. Moritz, alla capitale Coira. Inoltre, un “braccio ferrato” esce dai confini cantonali per proseguire verso Ovest per arrivare a Zermatt, nel Vallese, ai piedi del mitico Cervino. Si tratta insomma di un piccolo treno delle Alpi che può prestarsi magnificamente ad un viaggio di grande relax, liberi dal pensiero della guida.

La tratta che unisce Tirano a St. Moritz attraverso il Passo del Bernina fu realizzato fra il 1906 ed il 1910, anno in cui fu inaugurata. Alcuni anni più tardi fu resa possibile anche la percorrenza invernale, grazie all’adozione di particolari spartineve che ancora oggi vengono collocati davanti alla locomotiva.

La progettazione dell’opera fu alquanto difficile e laboriosa in quanto occorreva superare tratti di notevole pendenza, senza ricorrere all’avanzamento tramite cremagliera. Per questo fu utilizzato un binario a scartamento ridotto e, in alcuni punti, furono create opere che consentivano una più dolce “distribuzione della pendenza, aumentando artificialmente lo sviluppo del percorso: Con una lunghezza di 60,6 km, la linea supera pendenze massime del 7% e raggiunge i 2353 metri del Passo del Bernina, record assoluto d’altezza europeo per un treno senza cremagliera.

Sul percorso ci sono 13 gallerie, per un totale di 4,072 km, e numerosi tornanti: quello più stretto ha un raggio di curva di 45 metri. Questo spettacolare ed indimenticabile percorso ferroviario inizia a Tirano, stazione terminale della linea delle FS proveniente da Milano.

nuova salita che ci porterà a Brusio. In questo tratto s’incontra la principale delle opere costruite per ridurre la pendenza del tragitto: una magnifica rampa elicoidale mediante la quale il trenino può facilmente prendere quota e superare un dislivello di ben 30 metri.

La valle nel frattempo si è allargata: non potrà sfuggire al viaggiatore l’ordine urbanistico dei piccoli centri abitati, la cura con cui sono tenuti prati ed i boschi; sembra di essere finiti dentro uno di quei plastici con trenino tanto cari a grandi e piccini. Lasciata Brusio la salita riprende e il treno valica lo sbarramento naturale che, secoli or sono, creò il Lago di Poschiavo. Al termine della salita ecco infatti apparire il lago, mentre la valle si allarga ulteriormente e nelle acque cristalline si specchiano i giganti ghiacciati del Bernina.

Dalla Stazione di Miralago si può partire per effettuare il giro del lago. Dall’altro capo del lago si trova la fermata di Le Prese oltre la quale si percorrono vaste praterie del fondovalle, punteggiate da lindi paesini e, infine, si entra nel capoluogo della valle: Poschiavo. Anche in questo bellissimo paese alpino, il vostro sguardo sarà attratto dalle rocce biancheggianti della vetta del Sassalbo. Poco dopo Poschiavo, la ferrovia entra e risale nella Val di Pila. Il treno inizia così la sua faticosa marcia attraverso magnifici boschi e, arrancando prende quota con numerosi tornanti. Fitte abetaie punteggiate da verdi radure, roccioni e i primi biancori dei ghiacciai fanno somigliare questo tratto ad un paesaggio delle Montagne Rocciose.

La cittadina offre numerosi spunti d’interesse turistico, fra i quali spicca il Santuario della Madonna di Tirano. Il trenino sfila nel cuore dell’abitato e passa alle spalle il Santuario, per iniziare subito la salita della Val Poschiavo. Poco dopo il confine italo-elvetico siamo a Campocologno, prima fermata. Il binario si porta sul versante opposto della valle attraversando il torrente Poschiavo e transita per Campascio, attaccando una

La lunga salita ha una sua prima pausa nella stazione di Cavaglia, riposante conca prativa fra boschi e punto di partenza per numerose gite. Poco sopra Cavaglia si trova la stazione dell’Alpe Grum, uno dei punti panoramici di maggior interesse del percorso. D’inverno da qui si parte per alcune delle più belle gite scialpinistiche del gruppo del Bernina, mete privilegiate il Piz Veruna e, soprattutto, il Piz Palù 3905 m.

La nostra salita sta per finire. Ancora una serie di tornanti e poi, attraverso un valloncello, il treno rosso s’avvia verso il Passo del Bernina. Raggiunto il Lago

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Bianco, il trenino ne lambisce le sponde e, poco dopo, si ferma alla stazione dell’Ospizio del Bernina, punto più elevato del percorso. D’inverno da qui si parte per alcune delle più belle gite scialpinistiche del gruppo del Bernina, mete privilegiate il Piz Veruna e, soprattutto, il Piz Palù 3905 m. La nostra salita sta per finire.

Ancora una serie di tornanti e poi, attraverso un valloncello, il treno rosso s’avvia verso il Passo del Bernina. Raggiunto il Lago Bianco, il trenino ne lambisce le sponde e, poco dopo, si ferma alla stazione dell’Ospizio del Bernina, punto più elevato del percorso. Sulla sinistra dominano i ghiacciai e le vette brizzolate di neve del Cambrena, del Piz d’Arlas e del Sassal Mason. Lasciato il valico e l’Ospizio s’inizi la discesa della Val Bernina che confluisce nell’Engadina all’altezza di Celerina e Samedan.

Dopo un breve tragitto ecco le successive stazioni di Lagalb, Diavolezza. Pochi chilometri ancora attraverso il paesaggio incantato della alta Engadina e si raggiunge St. Moritz. Questa stagione offre al viaggiatore qualcosa ancora più affascinante, una sensazione quasi magica: il trenino rosso scalando un paesaggio da fiaba nel cuore delle Alpi ammantate la neve ed il vento che soffia e le montagne ghiacciate e abbaglianti fanno vivere un viaggio indimenticabile.

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76 TuttoTravel NELL’ULTRA MILLENARIA E FIABESCA CINA: SHANGHAI, LA METROPOLI DELLE MERAVIGLIE La straordinaria affermazione della civiltà cinese, fondata sulla sacralità del culto della memoria, si deve alla capacità di sviluppo delle nuove tecnologie determinate dalla rivoluzione industriale e sociale nella prima metà del secolo scorso A cura di Jimmy Pessina

Quando si parla della Cina affiorano nella memoria le reminiscenze scolastiche, particolarmente quelle legate al “Milione ” di Marco Polo, autore di un eccezionale diario di viaggio, del 1.373, corredato da carte geografiche, etnografiche, con minuziose descrizioni di usi costumi, tradizioni, arte, cultura, lingua e religioni dell’immenso territorio asiatico, allora conosciuto come Khatai.

Un esempio eloquente, per certi aspetti stupefacente, è rappresentato da Shanghai, la più popolata città del pianeta, con oltre 27 milioni di abitanti: (erano 13 milioni e 300 mila nel censimento del 1990) e li vedi e li senti. Nonostante l’efficienza del trasporti sotterranei e di superficie, il mezzo privilegiato da milioni di cittadini è la bicicletta. È un autentico spettacolo l’enorme, ininterrotto sciame, lento e persino armonioso per il fruscio delle ruote e il tintinnio dei campanelli.

Nel fiume di bici e di pedoni di Shanghai galleggiano molti bus (tutti con la pubblicità sulle fiancate), molti taxi e, cosa impensabile nella Cina Popolare di qualche anno fa, moltissime auto private, addirittura Ferrari e Maserati, che suscitano capannelli di stupore. Anche questo è un segnale del grande balzo in avanti spiccato da Shanghai, forse non in sintonia con quello indicato dal “Grande Timoniere, che per lo sviluppo economico della “sua” Cina Popolare.

Secondo i progetti governativi, Shanghai, entro la terza decade del Duemila, sarà il maggior centro finanziario, bancario e commerciale del mondo, come la “Grande Mela” degli USA. Utopia? Intanto la città si è aperta al consumismo e al grande capitale internazionale. Stanno avendo fortuna altri simboli del lusso o semplicemente del modo di vivere all’occidentale. Lungo Nanjing Lu, la strada più trafficata, ma anche la più elegante, si trovano prodotti occidentali e giapponesi accanto a quelli tipici locali, in particolare la splendida seta.

di animali domestici, attività, fino a qualche anno fa, severamente proibita e pesantemente sanzionata, così come il semplice possesso da parte di chiunque.

Nei grandi magazzini, super affollati, hanno fatto la loro inevitabile comparsa anche i telefoni cellulari. Da segnalare, tra le curiosità, la ricomparsa dei rivenditori

Le origini del miracolo economico.

Chi conosce la storia degli anni ’30, afferma che la Shanghai di oggi ricorda molto quella d’allora, quando era un “Porto franco” per le cosiddette “Concessioni internazionali”, vere e proprie enclave straniere (di Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti. Anche l’Italia ne ebbe una, dal 1902 al 1945: non a Shanghai, ma a Tientsin, che la traslitterazione d’oggi, il sistema pinyin, vuole sia Tianjin). Le “concessioni” erano in pratica quartieri che godevano d’una extraterritorialità non formale, bensì di fatto, costituendo il polo attorno al quale ruotava sia il ricchissimo asse commerciale, sia la vita mondana, che le cronache dipingevano frivola e corrotta.

Oggi a Shanghai ci sono, come allora, animazione e vita e si vedono i segni, ancora erratici, ma inconfondibili, di ricchezza. Non c’è più il senso di “colonia”, status al quale le “concessioni” fatalmente condannavano la città. La riva sinistra del fiume Huangpu è costeggiata dallo Zhongshan, cioè dal Bund, il viale dove si affacciano i palazzi dell’epoca coloniale, forse l’arteria più famosa dell’Estremo Oriente. Bund vuol dire argine, terrapieno, è una parola hindi, probabilmente importata dai britannici. Le vaste terrazze che danno sul fiume e i palazzi di stile eterogeneo, ma tutti trasudanti di capitalismo ottocentesco, mantengono al Bund un volto occidentale.

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Di fronte al Bund, sulla riva destra dello Huangpu, sorge Pudong. È il nuovo quartiere finanziarioindustriale, parchi tecnologici, grandi spazi verdi, complessi di abitazioni e uffici. Sovrasta Pudong la Shanghai Tower, alta 632 metri, è il grattacielo più alto della Cina e il secondo al mondo. Lo Shanghai World Financial Center, alto 492, è il secondo grattacielo più alto della Cina e il sesto al mondo, segue la Jin Mao Tower, alta 421, è il terzo grattacielo più alto della città.

Infine, la Oriental Pearl Tower, alta 468 metri, è un altro simbolo della metropoli ed è la quarta torre più alta al mondo. Lo Huangpu finisce col gettarsi nel canale più meridionale, l’unico navigabile da bastimenti di grande pescaggio dalla foce del Chang Jiang, il fiume forse più noto col vecchio nome Yangtze (Fiume Azzurro). E per questa via che, ancora oggi, le navi raggiungono Shanghai.

Ancora oggi arrivare via mare nelle ore dell’alba è uno spettacolo. Ma ormai esiste solo l’aereo e gli orari non sono trattabili. Non rimane che spendere circa 5 euro, per prendere un battello all’imbarcadero del Bund e farsi una minicrociera sullo Huangpu. Le acque sono irrimediabilmente giallastre, ma il resto vale senza dubbio l’alzataccia mattutina.

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La City della finanza: la scalata al cielo.
Il fascino di un immenso mare.

L’incanto dell’arte.

Da non perdere, oltre al Bund, il Giardino del Mandarino, risalente alla metà del XVI secolo è stato restaurato negli anni 60. Di notevole interesse il Museo di Shanghai: bronzi, ceramiche, porcellane e pitture. Sosta obbligata anche allo YufoSi, o tempio di Buddha di giada, dal curioso colore, una via di mezzo tra il giallo e il rossastro.

La Venezia sulle orme di Marco Polo.

A 85 chilometri di distanza c’è Suzhou: per i numerosi canali che l’attraversano e per i suoi ponti, Marco Polo la definì la “Venezia d’Oriente”, ma è anche conosciuta come la città giardino, ben 150 quelli aperti al pubblico.

Una rete di trasporti da primato.

Il sistema di trasporto rapido di Shanghai, costituito dalla metropolitana, incorpora le linee ferroviarie di superficie e si estende ad ogni distretto urbano così come ai limitrofi quartieri periferici. Al 2020 vi erano 16 linee della metropolitana, 393 stazioni e più di 673 km di binari in esercizio, (la seconda rete più lunga al mondo). Da ricordare il viaggio sul treno Maglev (Transrapid) che raggiunge una velocità massima di 431 km in uscita dal Shanghai Pudong International Airport per la città.

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La tecnologia più ecologica e più e cace al mondo contro il TCA per i tappi in sughero naturale.

Ispirato dallo straordinario lavoro che la Natura ha fatto con il sughero, abbiamo creato Naturity®, un processo interamente naturale che rimuove il TCA e altri composti di deviazioni sensoriali dai nostri tappi in sughero naturale. Sviluppato dall’Università NOVA di Lisbona e da Amorim Cork, Naturity® è una tecnologia rivoluzionaria progettata per massimizzare la performance dei nostri tappi senza comprometterne la natura. Grazie ad un processo avanzato che combina tempi, pressione, temperatura e acqua purificata, siamo ora in grado di separare le molecole del TCA e altre molecole volatili dalla struttura cellulare dei tappi in sughero naturale, attraverso un metodo non invasivo che mantiene intatte le caratteristiche cruciali di questo materiale unico.

scelta naturale

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La
amorimcorkitalia

IL NEGRONI PERFETTO

ruot a tutt o su l bila nc ia ment o, a liv e llo sens orial e più che al c oli co

anche a costo di variare le proporzioni degli ingredienti. Fermo restando il bitter, se si usa un gin di ultima generazione a 40 botaniche molto strutturato, con grossa personalità, non si può usare un vermouth complesso. Allo stesso modo, se si utilizza un vermouth importante, non si aggiungerà un gin strutturato.

Vermouth Antica Torino, Bitter Gran Milano e Panarea Island Gin è una delle ricette che Luca Picchi ama di più realizzare.

VERMOUTH DI TORINO

“Il Negroni fatto con questi 3 prodotti lo vedo diviso in decimi, quindi 4 parti di gin, 3 di bitter e 3 di vermouth. Se si sceglie il gin Island si otterrà un Negroni ultra bilanciato, più netto, pulito, deciso e lungo. Se si sceglie il Sunset (perfetto per il gin&tonic), invece, le sue note aromatiche di basilico e pompelmo, avremo un gin più fresco e mediterraneo». A noi la scelta.”

Le 18 erano diventate l’ora del vermouth anche nel capoluogo fiorentino, abitudine acquisita dai torinesi nel periodo in cui Firenze era diventata tempraneamente capitale d’Italia.

Il vermouth non era una novità, già dal 1700 era una ricetta diffusa utilizzata

nelle campagne per recuperare i vini difettosi conciandoli con assenzio e altre erbe, ma quello di Torino era di qualità nettamente superiore e, anche per via del suo costo, era un vero e proprio status symbol.

85 BEVI RESPONSABILMENTE |DISTRIBUITO DA SAGNA S.P.A. DAL 1928 - WWW SAGNA IT - @SAGNADAL1928 3 parti di VERMOUTH ROSSO ANTICA TORINO SUMMER VIBES 3 parti di BITTER GRAN MILANO 4 parti di PANAREA GIN SUNSET
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3 LA RICETTA DI SAGNA S PA
1. Vermouth di Torino Antica Torino; 2. Bitter Gran Millano; 3. Panarea Gin Sunset; 4. Panarea Gin Island.

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