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Salvatore Lattanzi Dicembre 2015 / 2
Non di facile o men che meno ordinario soliloquio, potrei anche solo aver disdegno di ascoltare, se di pertinente ascolto volessi degnare, indegna conclusione. Se di violenta prevaricazione in nome di volenterosa compassione volessi ricompensare, chi di anche più semplice e sciatto rinfrancarsi di propria cognizione, si arroga diritto, da profonda mancanza di verità, vuol di se far energumeno, in virtù di tronfia presunzione. Non avrei pace di mio rispetto, perché di abitudine forse odiosa mi riempio giornalmente, ossia inverecondo ripudio di ominide rappresentazione. Di me rispetto non avrei, e come disprezzo sgorgante da universale giustezza, più non avrei ritegno, perché se di assoluta macabra o meglio indegna considerazione individuo, si macchia per me peggiore qualifica non esiste di rinnegare propria libertà. Consapevole di mia tale inadeguatezza preferisco aver quasi misericordia, di chi in sua forse codardia, rifugio trova in appassite massime che di popolare credenza mi vuole propinare. Tutto avrei a sopportare e molto potrei sostenere, se da illuminate e benedette conclusioni venissero da libero intelletto, ma mai potrei anche solo ascoltare indotte riflessioni che di pigre o vantaggiose dottrine vengono dinanzi a me proposte, come soluzione per mio giudizio. Ciò che di vero e di più elevato volli caparbiamente rendere senza fini oscurati che compresi o derisi siano essi, poi assimilati mai nascosi che di mezzo, per amalgamare dovessi profondere in consenzienti corpi nettare che solo chi emulando Dei può dire di conoscere. Io ebbi e non riesco ancora a giudicare se fortuna o nefasta occasione di vedere ciò che bevanda lenitiva ha potere di modellare; le più sincere consistenze di chi essa ebbe ad inebriarsi. Da tanta leccornia a noi donata come altri ingegnosi assetti, che per noi non furono creati ma infine a noi donati nettare che per noi indigesto potrebbe apparire, nuova cosa fummo capaci di inventare, e come ago di bilancia decidemmo di porlo a baluardo di lecito od illecito a nostro arbitrio personale. Ed io mai vorrei porre mio giudizio, come quello di moltitudine su tale nettare a noi donato, ma anzi degustarlo, e conoscerne utilizzo, che se di suo mi faccio spirito, solo nuove consapevoli conclusioni posso porre a mio servizio. Nettare che per sostentamento solo per eletti fu creato, come molte e molte cose date in dono e non comprese, si tramuta in meschina giustificazione. Come colui che di facoltà superiore è fornito, e poi nulla se né fa, giustificando propria accidia, con ripudio di straordinaria elezione. Se di canto o elogio dovessi decantare sue virtù, in scomposti o disdicevoli raggiri, dovrei calarmi, e se di rispetto voglia premiare simile invenzione, solo metodo mi sovviene: mordere e delicatamente far scivolare sua forma più perfetta, che se anche assurda pare, sua primitiva forma più s’avvicina a quel che Dei ci vollero donare.
Il perchè di una copertina
NETTARE V
incere la morte. Diventare immortale. Nettare ed Ambrosia, quasi sinonimi. Questi i loro rispettivi significati. Parole scelte ad indicare cibo e bevanda degli Dei, poi entrambe. E continuamente ricercate dall’uomo. Metafora del nutrimento che, con il tempo, si associa al piacere. Se il nostro palato è estasiato da un cibo o una bevanda, queste diventano un NETTARE. Prezioso perché, appunto, nel suo significato recondito ed originario sconfigge la morte. E anche il piacere (non solo quello del palato) è continuamente ricercato dall’uomo, nascondendo questo arcaico potere. Nelle intricate radici delle lingue si trova altro. C’è chi fa risalire Ambrosia non al greco “non mortale” ma ad un antico etimo arabo, forse “fragrante”, con cui si indicava una resina o un unguento dai poteri miracolosi: l’ambra. Che oggi indica la resina fossile dentro la quale non è raro trovare custodito il simulacro di vite che hanno percorso millenni, se non milioni di anni. Piccoli insetti perfettamente conservati. Un altro modo di vincere la morte, o forse di illudersi a farlo. Che sia solo un sogno, un’utopia, una speranza, non ha importanza: è continuamente ricercata dall’uomo.
EDITORE Tyche magazine
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DIRETTORE RESPONSABILE Kruger Agostinelli
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Dicembre 2015 / 3
INTERVISTA IN ESCLUSIVA
TYCHE FRIDAY DA “LIBIDINE” AL DONOMA ARRIVA JERRY CALÀ Kruger Agostinelli
J
erry Calà, il simpatico “Pierino” degli anni Ottanta, continua la sua attività di cantante, attore ed intrattenitore, con la capacità di attrarre sempre nuovo pubblico. E’ di pochissimo tempo fa il video virale di “Ocio”, per un rap in cui Jerry Calà cita se stesso attraverso i suoi tormentoni. Da “libidine” a “non son bello, piaccio”, non omettendo i personali riferimenti a Umberto Smaila, Mara Venier e Vita Smeralda. E le visualizzazioni sono salite subito alle stelle. In attesa di vederlo il 15 gennaio sul palcoscenico del Tyche Friday, il venerdì live del Donoma di Civitanova, ecco la simpatica intervista che ci ha rilasciato. Jerry Calà cantante, attore ed ora rapper a “Sorci Verdi”, il programma tv dove sembri sfidare pubblicamente J-Ax. Allora non sei solo il simbolo degli anni Ottanta! «Direi proprio di no. Continuo la mia attività abbastanza freneticamente. A volte c’è chi crede che uno non sta lavorando se non è tutti i giorni in televisione. Io invece sono uno di quei rari casi di artista che pur non passando fisicamente tanto tempo in Tv mantiene un grande pubblico. E il grande successo di questo video,
presentato con J-Ax, è la dimostrazione di quanto la gente mi segua e di quanto io sia vicino ai giovani. Ragazzi che negli anni Ottanta non erano neanche nati. Cavalco il presente. Poi ho avuto una grande fortuna, perché i miei film sono diventati dei “classici”, con i papà che fanno vedere certe pellicole ai figli. Piacciono ancora oggi. Sono storie che con leggerezza consegnano una fotografia abbastanza precisa di quegli anni lì». Bisogna essere seri per fare del buon umorismo? «Assolutamente, come in tutti i lavori del resto. Quando si vuole far ridere bisogna farlo seriamente. E’ un ossimoro, ma è così». In questi anni pensi che sia cambiato il modo di divertirsi nel mondo della notte? «Mah, su per giù il mondo della notte è sempre quello. Forse dando uno sguardo in giro nei locali che frequento in tutta Italia, noto che una volta si beveva
meno e meglio. Si consumava per la compagnia, per divertirsi. Oggi in alcuni casi, specialmente tra i più giovani, non è così. Si beve per farsi vedere nell’atto di stappare la bottiglia con il fuoco d’artificio, e per stordirsi senza gustarsi nulla. Prima si andava nei locali soprattutto per socializzare e per trovare compagnia».
Con le tantissime visualizzazioni del video “Ocio” su YouTube e Facebook dimostri di piacere al popolo del web. Avresti mai creduto di diventare un personaggio molto gradito sui social? Non è poi così facile. «Da anni lavoro con i social. Questo lo devo soprattutto alla presenza in casa di un ragazzino di 13 anni, mio figlio, che mi ha insegnato tutti i trucchi del mestiere. E’ da un po’ quindi che gestisco Facebook, Instagram, Twitter e mi ci diverto molto. Chiaramente ho scoperto che è anche un importante strumento promozionale. Per cui il successo di questo video è frutto di anni di frequentazioni dei social. Devo dare merito a J-Ax e ai suoi collaboratori, che hanno avuto l’idea di cucirmi addosso questo pezzo, con un testo ironico e un bel video. Comunque non è che sono diventato rapper: sono un attore che si è divertito a ironizzare sul mondo rapper». Hai ricordi o episodi legati alle Marche? «I Ricordi di bambino, quando da Milano andavamo in vacanza a Marotta, in una pensioncina di una famiglia carinissima, che aveva al piano terra un bar e una salumeria. Ci siamo stati tanti anni. Lavoro poi tantissimo nelle Marche e sulla riviera. Il mio mestiere è bello perché ti porta a diventare… un esperto di geografia! Ti fa conoscere bene l’Italia». Ultima domanda dedicata alla parola chiave. Mensilmente cerchiamo di filosofeggiare su un termine. Ti è capitato NETTARE. Cosa ti viene in mente? «Mi viene in mente subito il vino. Sono un grande estimatore del “Nettare degli dei”. L’associo alla compagnia, al cibo e quindi alla grande allegria. Vivo tanto nello stare insieme».
Dicembre 2015 / 4
LORETTA GRACE CANTA CON PASSIONE L’INNO DI MAMELI: “SONO ITALIA ANCHE IO” CITTADINANZA? “BISOGNA CREARE UNA LEGGE CHE TUTELI IL BAMBINO, L’ITALIA ORMAI DEVE ADEGUARSI A QUELLO CHE È IL RESTO DEL MONDO” Kruger Agostinelli
C’
era una simpatica ragazzina di colore che girava nel mio storico negozio falconarese, Disco Fantasia. Amava la musica Loretta Grace bambina, quando arrivava con le sue amiche per comprare o ascoltare le ultime novità. «Ero un venditore prevenuto nei tuoi confronti?», gli chiedo e lei sorridendo mi promuove. Ho rivisto dopo diverso tempo Loretta in veste di star di importanti musical e ultimamente su La7 con la sua interpretazione di grande effetto, hashtag #litaliasonoanchio, dell’Inno di Mameli. Loretta mi confermi che l’italiano è meno razzista quando ha a che fare con un artista o uno sportivo? «Penso che l’italiano, discorso generico, abbia paura della diversità e che solo quando si tratta di calcio, di arte o di spettacolo tende sempre a non vedere più differenze di colore o di provenienza». Come combattere allora questa paura? «Mah, più che combattere per me bisognerebbe sensibilizzare i bambini,
fin dalle scuole elementari, sul fatto che la diversità non è brutta, non è da temere. E’ invece qualcosa che può dare un valore aggiunto. La possibilità di confrontarsi, di avere uno scambio culturale con chi è diverso, ci arricchisce». Non deve dividerci. «Esatto. Siamo ormai nel 2016 e non più negli anni Ottanta, quando mio padre o mia madre sono venuti in Italia. Oggi però non è giusto dare per scontato che una persona scura o comunque con tratti somatici non caucasici venga per forza considerata straniera. Esistono ragazzi italiani di seconda generazione come me, mio fratello, o come tantissimi altri. Ecco vorrei una maggiore apertura. Bisogna accettare che questa è l’Italia di oggi. Sono Italia anche io». Com’è nata l’idea di fare il video con l’Inno di Mameli? «In realtà volevo farlo già lo scorso anno ma per impegni di lavoro non mi è stato possibile lanciarlo prima. E’ però sempre rimasto nei miei desideri. In questo momento si parla di Ius Soli e tutto ciò mi ha colpita in prima persona: quando ho compiuto 18 anni non mi fu data la cittadinanza perché avevo sei mesi di residenza anagrafica che non mi erano stati riconosciuti. Di fatto in quel periodo non risultavo residente da nessuna parte, nonostante mio padre studiasse
Architettura a Pescara e avesse una casa a Silvi Marina con mia madre. Parlando con gli avvocati mi hanno spiegato che ci sarà stato qualche problema burocratico negli enti, durante il passaggio dall’archivio cartaceo al digitale. Mi sembra comunque assurdo: ho una formazione e una cultura italiana, non sono mai stata in Africa o in America, non conosco altro fuorché l’Italia. Bisogna creare una legge che tuteli il bambino, l’Italia ormai deve adeguarsi a quello che è il resto del mondo. Sono nata in Italia, conosco la storia italiana, ho studiato in Italia. Quindi se ho una cultura italiana mi sembra giusto che mi venga riconosciuta la cittadinanza». Pregi e difetti allora della nostra Italia? «Pregi? Ho girato parecchio per lavoro e devo dire che l’Italia mi manca sempre per una questione di cibo, di odori, di arte. Mi piace l’italianità e il senso d’ospitalità che è ammirevole. Per me il difetto è invece che c’è poco spirito di patriottismo. Quando si tratta di calcio siamo tutti davanti alla tv, ma per il resto… Se non ci sono problemi che ci toccano violentemente nel privato restiamo dentro casa a fare post su Facebook scrivendo cosa non ci va bene». Se avessi una bacchetta magica come ripareresti questa società sempre più attratta dalla violenza? «Più amore, più comprensione e più
tolleranza. Oggi, anche nei rapporti interpersonali, si tende ad essere poco tolleranti e pazienti. E bisogna riscoprire i valori». Cosa stai facendo e soprattutto cosa farai? Insomma hai qualche anticipazione della tua attività artistica per noi di Tyche Magazine? «In questo momento sono in tournée con uno spettacolo, The Blues Legend, che sta andando particolarmente bene. Purtroppo nelle Marche, non so perché, ma non ho mai avuto possibilità di venire con gli spettacoli. Come per Sister Act. Questo musical sarà quest’anno di nuovo prodotto dalla Compagnia della Rancia: mi avevano chiamato ma purtroppo non abbiamo trovato l’accordo e a malincuore ho dovuto rifiutare la proposta». Per scaramanzia non ci dici nient’altro? «A livello musicale e teatrale sì, non dico nulla per scaramanzia. Come blogger ho collaborazioni con brand importanti. Grazie a loro sto riuscendo a sensibilizzare un po’ di più le case di prodotti cosmetici per far uscire negli store fondotinta e altro per chi come me ha la pelle scura. Quando ero piccola a Falconara non c’era nulla e dovevo farmi inviare tutto da mia zia dall’America».
Dicembre 2015 / 5
“LA STESSA ESPRESSIONE “GUERRA SANTA” NON ESISTE IN LINGUA ARABA. È UN ERRORE STORICO E LINGUISTICO”
ASMAE DACHAN: “I TERRORISTI NON APPARTENGONO ALL’ISLAM” Emanuele Pagnanini
D
onna, di origine siriana, musulmana. Asmae Dachan vive ad Ancona. E’ giornalista professionista, attivista per i diritti umani e da anni è impegnata nel dialogo interreligioso. Ma, di questi tempi, l’attenzione rimane concentrata sulle prime tre parole: donna, siriana, musulmana. Insieme al velo che le copre i capelli, rappresenta la descrizione di chi non vorremmo avere al nostro fianco, in un aereo o come vicina di casa. Anche se Asmae Dachan è italiana; anche se dopo il 13 novembre era ad Ancona, la città dove è nata, a urlare “assassini” e “bestemmiatori” contro gli autori degli attentati di Parigi; anche se nei giorni successivi è stata ospite a Pisa e a Roma in occasione di iniziative durante la Giornata contro la violenza sulle donne;
anche se dal 2013 è stata nominata a vita Ambasciatrice di Pace della University of Peace della Svizzera. Ma, per saperlo, bisognerebbe avere almeno un po’ di voglia di conoscerla. Lo stesso vale per la sua terra e per la sua religione. Noi di Tyche ce l’abbiamo. Asmae, nella manifestazione che si è tenuta ad Ancona ha detto che è una bestemmia affermare che si uccide nel nome di Dio. Ma nell’Islam non si propugna la lotta contro gli infedeli? Non vi sono scritte parole che incitano alla Guerra Santa? «Io sono laureata anche in teologia musulmana perché ho voluto scoprire tutti gli aspetti della mia religione. La stessa espressione “guerra santa” non esiste in lingua araba. È un errore storico
e linguistico. Ed è una definizione usata da criminali scellerati per cercare di dare una giustificazione religiosa, che non esiste, ad atti che sono quelli di una guerriglia terroristica. Islam deriva dalla parola “salam” che significa pace. Inoltre per l’Islam la vita è un dono del Signore, appartiene solo a Dio, non agli uomini. Per cui nessuno ha il diritto di togliere la vita all’altro. Chi lo fa compie il più grande dei peccati. E chi lo fa nel nome di Dio compie un doppio peccato. Voglio proprio vedere gli autori degli attentati quando si troveranno davanti a Dio». Eppure nel mondo occidentale sta passando l’idea che ci troviamo di fronte, se non ad una guerra di religione, ad una guerra di civiltà. «Questo è un ossimoro. Diverse civiltà, in quanto tali, non possono essere in guerra. Tra loro può esserci solo confronto. A maggior ragione se parliamo delle religioni monoteiste abramitiche. Ribadiamo che i terroristi non appartengono alla nostra religione. Ma non ci appartengono neanche come esseri umani. Di fronte a fatti tragici come quelli di Parigi, ci siamo stretti al dolore delle famiglie delle vittime. In piazza ad Ancona, come a Jesi, Civitanova, Macerata e Pesaro, abbiamo espresso il dolore delle mamme francesi ma anche di quelle siriane. Il loro dolore è anche il mio. É importante non avere paura per non rompere i ponti del dialogo. Oggi più che mai serve il richiamo alla legalità. E ribadire la fedeltà alla Costituzione italiana, perché io sono italiana». Parliamo della donna. Nell’Islam non è considerata poco più che un oggetto? «Oggetto a chi? Questo è un altro pregiudizio. É l’essere umano che ha dignità. E la donna è onorata come bambina e come madre. Anzi, le donne musulmane sono quelle che, più di altre, studiano, cercano l’emancipazione e lottano per la libertà. Penso alle sorelle curde e siriane. Ma questa non è una lotta di liberazione dall’Islam ma una lotta per i diritti della donna che avviene in tutto il mondo. Il pregiudizio nasce perché si confonde l’Islam con alcune realtà dove ancora vige un rigido patriarcato. Sarebbe come se si considerasse l’Italia un Paese che non rispetta le donne perché ci sono femminicidi ogni giorno. La lotta per i diritti delle donne è uguale in tutto il
mondo ed è una lotta culturale». Qual’è la situazione in Siria? Lei ha effettuato diversi reportage vincendo anche il premio “A passo di notizia” dell’ordine dei giornalisti delle Marche. Cosa può dirci di quanto sta avvenendo? «Sono in contatto con giornalisti siriani e associazioni di volontariato. Purtroppo da un anno non sono potuta tornare in Siria. Ed oggi, dopo i fatti di Parigi, tutti considerano giusto bombardare la Siria. Ma si lanciano bombe in una terra già devastata. Diversi giorni fa, nella città di Daraia, i bombardamenti hanno causato una strage. Quella notte ho dormito tenendo in mano la foto di una bimba di sette mesi, uccisa insieme alla mamma. Purtroppo oggi il destino della Siria non è deciso dai siriani. Troppi interessi in gioco. La stessa Comunità internazionale è stata per troppi anni assente. Doveva essere istituita una no-fly zone. Così, invece, si sta cancellando anni di storia e di convivenza tra diverse culture. La distruzione dell’identità di una nazione». Torniamo in Italia. Le è mai capitato di essere vittima di pregiudizi o di razzismo dopo i fatti di Parigi? «Le Marche sono una regione dove ancora si vive in armonia e ciò fa sì che non si siano registrati episodi di intolleranza. Però si vive nella paura. Sento su di me sguardi indagatori. Ma le persone che mi conoscono si sono strette intorno a me. A chi punta il dito dico di non avere paura. Perché nessuna comunità di terroristi può definirsi islamica, perché bisogna sapere chi è il nemico. In Italia esiste la mafia, la corruzione, la pedofilia. Ma nessuno condanna il popolo. Si deve combattere contro queste piaghe. Lo stesso vale per il terrorismo. E’ un covo di serpenti a sonagli. Spesso siamo accusati di non denunciare i terroristi. Ma credete che si svelino a tutti i mussulmani? No, sono anche i nostri nemici e agiscono come serpenti. Dobbiamo avere coraggio e non cedere alla paura». Per chi vuole saperne di più, Asmae Dachan tiene un blog che si chiama “Diario di Siria”.
Dicembre 2015 / 6
CRISTIANO GODANO A PARLARE FUTURO: NUOVO ALBUM NICK CAVE SPOTIFY E WOODSTOCK Michele Mastrangelo
A
ppunti (sparsi) di una serata con Cristiano Godano. Il leader dei Marlene Kuntz è stato ospite d’onore a Parlare Futuro, Festival di Porto Sant’Elpidio e contenitore che gioca sulla
IL PUBBLICO IDEALE? “ENTRA NEL CERCHIO CHE L’ARTISTA CREA E APPONE IL SUGGELLO DEFINITIVO ALL’OPERA STESSA. ECCO, IL PUBBLICO IDEALE ENTRA IN QUESTA CERCHIA”
parola. In questa sua quarta edizione, la rassegna si è snodata sul pensiero eretico e la felicità. Intervistato da Oriana Salvucci, direttrice artistica della manifestazione, Godano ha spaziato sul tutto e sul di più, alternando le risposte alla sua musica.
Ecco alcuni spunti di un reportage “volante” e “scollegato”. Come nasce un album. «Quando una band ha capacità e fortuna di durare (e vivere di musica) ha la favolosa opportunità di ragionare su quello che sta facendo. I Marlene avevano nei suoi primi album un approccio meno contemperato dalla consapevolezza. C’era più una specie di attitudine arrembante, una voglia dirompente di spaccare. Questo è rimasto ma, come in qualsiasi ambito, dopo un po’ di anni si cresce e l’entusiasmo viene temperato con consapevolezza. Ora sappiamo gestirci da soli». Il pubblico. «I Marlene non sono una band che scappa finito un concerto, ma è lecito scappare se si è stanchi e non si ha voglia del rito delle foto. Il pubblico ideale? E’ quello che dopo il concerto fa un certo tipo di complimento che mi fa percepire che è voluto entrare dentro ciò che noi volevamo esprimere.
C’è chi vuole entrare nel cerchio di quello che l’artista crea. Vuole entrare nel suo mondo, decidono di interagire con lui. Il fruitore appone il suo suggello definitivo all’opera stessa. Il pubblico ideale entra in questa cerchia». Arte e musica, fondamenti di un pensiero differente. «Se è vero l’artista penso di sì, perché il fine dell’artista è la creazione di un mondo che equivale al pensiero altro. Ma non mi piace lo strano per strano. Mi piace chi ha idea di ciò che sta facendo. Neil Young è un mio idolo, con la sua cocciuta individualità. Altro mito è Nick Cave, imparagonabile per la personale visione delle cose. Quanto all’impronta sociale, non penso che la musica sia così decisiva. Lo dimostra il fallimento hippie. Con Woodstock si pensava che la musica fosse capace di cambiare il mondo. Ma non c’è riuscita. Comunque l’arte rende migliori e fa bene anche se non arriva a
tanta gente». Musica. «Sicuramente la musica sta vivendo un momento tristemente negativo. Non sono retrogrado ma ce l’ho con Internet. Il progresso è positivo ma la musica ne è uscita malconcia. Non ci stiamo affezionando a nessun disco. Non difendo l’acquisto, ma un tempo, anche solo per il fatto di aver speso soldi, prima di decidere se un album faceva schifo o meno lo si ascoltava attentamente. Spotify azzera la musica fatta di persone. Si perde la connessione con chi ha scritto i brani, i titoli. Andiamo verso una direzione diversa, succederà quindi qualcosa ma ora come ora non si sa cosa. Questo interim tra vecchio regno e nuovo però non mi piace».
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Dicembre 2015 / 7
LE SERIE TV: “QUANDO SONO BEN SCRITTE, VEDI BREAKING BAD, RIESCONO AD AVERE LO STESSO FASCINO E LA STESSA ROTONDITÀ NARRATIVA DI UN BEL FILM”
IL REGISTA PAOLO DOPPIERI RACCONTA IL “MESTIERE” NELL’ERA DEGLI SMARTPHONE Michele Mastrangelo
C’
è un’importante pellicola di Truffaut, “Effetto notte” (la propinano ad ogni esame di Storia del Cinema all’Università italiana), che racconta la produzione e i retroscena nella lavorazione di un ipotetico film. Il lavoro sul set si intreccia con la vita degli attori e dei membri della troupe. Dietro a tutto quello che vediamo c’è un mondo fatto di azioni, inquadrature, emozioni. Tyche oggi sente il bisogno di parlare dei linguaggi audiovisivi. Abbiamo così intercettato Paolo Doppieri, che è venuto a trovarci in redazione. Civitanovese, ha studiato cinema e letteratura americana con Franco La Polla, storia del teatro e dello spettacolo con Franco De Marinis (Università di Lingue, Bologna). Ha iniziato come film maker e documentarista indipendente, ottenendo numerosi riconoscimenti nei festival di settore italiani e stranieri. Si è affermato in seguito come regista e autore di video musicali (su Mtv), filmati per la Tv (su Rai / Mediaset) e spot per noti brand internazionali. Negli ultimi tre anni ha diretto e a volte ideato oltre cento
spot Tv di grandissimi marchi e brand internazionali. Noto che nei linguaggi audiovisivi i contenitori sono in costante cambiamento. Prima una storia veniva raccontata principalmente al cinema e i film duravano massimo 3 ore. Ultimamente, trascinate anche da nuovi veicoli come Netflix, le storie si allungano. Diventano serie a puntate. Come vede questa trasformazione? «Credo che le serie siano un fenomeno assolutamente interessante. Quando sono ben scritte, vedi Breaking Bad, riescono ad avere lo stesso fascino e la stessa rotondità narrativa di un bel film. Come hanno scritto molti, anche più preparati di me, in certe serie, soprattutto quelle di qualità, trovi quella completezza e bellezza che non c’è in altri film. E poi le serie, per motivi che in parte capisco in parte no, sono più spudorate. Ci sono sperimentazioni di linguaggio e di contenuti che ultimamente al cinema non si stanno quasi mai vedendo. Queste serie ti restituiscono il fascino di un
certo cinema indipendente che in questo periodo è un po’ soffocato dalle grandi produzioni». Ha lavorato molto nel promuovere per immagini importanti brand, con all’attivo oltre cento spot nazionali e internazionali. Quanto è difficile dare la propria impronta nel reclamizzare un prodotto? «Quando non sei tu stesso l’autore dei tuoi spot è importante il rapporto con le agenzie e con i creativi. Comunque sia hai sempre un committente, e quanto più questo ha le idee chiare, tanto più riesci ad essergli d’aiuto, inserendo la tua creatività nel processo. Se le idee sono poco chiare sul prodotto e sul come venderlo, si possono creare delle situazioni un po’ spiacevoli. Poi ci sono prodotti e prodotti. In alcuni spot mi riconosco pienamente, in altri ritrovo solo la mia mano tecnica». Ha anche creato il promo turistico di Civitanova. Come ti sei mosso? Come far risaltare le bellezze di una città in modo da incuriosire? «Mi interessa raccontare storie e creare
emozioni e per fare questo in “Wonderful Life” (il titolo del promo) ho privilegiato uno sguardo partecipe, molto vicino agli abitanti. Passeggiando per Civitanova mi sono focalizzato sulle persone e sugli sguardi, oltre che sui luoghi. Ha creato interesse non solo nei civitanovesi ma anche in altre parti d’Italia». Come filmerebbe le Marche? «Le Marche sono piene di risorse che meriterebbero di essere valorizzate. Credo che il modo migliore sarebbe quello di partire dall’interno, scoprire le peculiarità non solo paesaggistiche. Come la creatività. Io lavorerei molto valorizzando quelle caratteristiche e quei caratteri che danno lustro a questa regione». YouTube, Facebook, smartphone che filmano in 4K. Tantissimi, con il proliferare della tecnologia, si improvvisano film maker. Ma tutto ciò non rischia di snaturare la professionalità del mestiere? «Il dibattito è molto attivo. Secondo me tutto è bene: di base le nuove tecnologie danno la possibilità di esprimersi riducendo i costi di produzione. Ciò è positivo, non solo per chi è alle prime armi: permette anche a noi del mestiere di ottenere determinati risultati. Il fatto che ci sia un’iperproduzione anche di spazzatura fa parte del gioco. Molte più persone sono messe nella condizione di potersi esprimere. Se hanno qualcosa veramente importante da dire è giusto che la dicano». Parliamo un secondo di lei. Come si diventa regista? Da dove nasce la sua passione? «Ho cominciato a raccontare con le immagini quando ero bambino. Mi piacevano all’inizio i fumetti, poi l’illustrazione l’ho mantenuta solo da lettore. Alle elementari facevo piccoli corti. Non avendo padronanza della tecnologia, costringevo mio padre a filmarmi con i miei compagni di classe, con i quali mettevo in scena piccole storie scritte da me e ispirate a film che mi piacevano. Fin da subito ho sentito l’esigenza di raccontare per immagini. Così ho iniziato ad usare la telecamera per le mie storie, facendo dei corti e partecipando a diversi festival. Fino a quando non ho poi sentito il bisogno, nel periodo universitario, di dare un profilo professionale a questa passione». Intervista video completa su tychemagazine.it
Dicembre 2015 / 8
“L’ESTATE DEL CANE BAMBINO” UN’ESTASI SPIAZZANTE FIRMATA TYCHE FACTORY Peppe Barbera
S
crivere un libro a quattro mani non dimezza le difficoltà, probabilmente le raddoppia. Certo, ci si aiuta meglio nelle ricerche, nelle correzioni, nel sostenersi, nel parto delle idee. Ma creare, spingere un romanzo all’unisono, sfogando contemporaneamente i propri bagliori poetici, è un caos perfetto non immediatamente generabile. E’ un incredibile viaggio in parallelo di sentimenti ed arti a confronto che, se portato alla meta, inneva di bellezza tutta l’opera. Questi percorsi, queste strade intrise di magnetici avvolgimenti, li hanno percorsi Laura Toffanello e Mario Pistacchio. Con l’esorbitante risultato di un libro in prosa il quale si fa poesia, cioè che si plasma in lirica mentre viene letto. Perché è stato forgiato, a monte, da questi
autori. Il romanzo si intitola “L’estate del cane bambino”. Laura e Mario li ho incontrati a Tyche Factory. Perché questo è il senso del format, della rubrica che state leggendo. Ovvero invitare artisti in redazione (e poi al bar) per confrontarsi col sottoscritto e scambiare le voci dell’anima, le nostre ricerche di senso, il nostro dipanare la nebbia dell’esistenza esigendone una traduzione poetica. E così è stato, appunto, fra me, Laura e Mario; abbiamo parlato di Bukowski, Jack Hirschman, Neruda, di cinema, di libri e del loro sapore. Di ambizioni e proponimenti, di ricordi da ricordare e sogni da pennellarci il cielo. Ed abbiamo respirato a fondo i molti significati de “L’estate del cane bambino”: la perdita dell’innocenza, le tradizioni e le fiabe,
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la sofferenza che incrina le vite, la sopraffazione, il passato, i giorni onirici, l’amicizia, i segreti, la vita che bussa prepotente ad incrudire i cuori. E tanto, tanto altro, troppo. Laura e Mario hanno scritto un romanzo irripetibile, fatto di stagioni e sangue, di abbracci spezzati e nostalgie, ardori e giochi felici. E’ impossibile recensirlo. Leggendolo, nella sua epopea di storie, nei suoi momenti ironici e negli interventi del dolore, ho patito la stessa estasi spiazzante che ebbi quando vidi “Nuovo cinema Paradiso”, il capolavoro di Tornatore. Ho sentito gli stessi strappi, gli stessi sgambetti del tempo e, se vogliamo, del destino che accelerano fino a cancellare il cammino di un’età spensierata. Ho voracemente goduto della scrittura, della trama,
sentendo scandirsi in me una varietà di sensazioni, un susseguirsi emozionante di vibrazioni sempre intense e mai banali. Il libro inizia da una lettera ricevuta da uno dei protagonisti. A causa di questa lettera egli partirà per tornare, dopo molti anni, nel suo paese di origine. E farà i conti con la sottrazione della letizia di cui furono vittime lui ed i suoi amici d’infanzia. E ritornando, perciò, a quella estate in cui uno di questi compagni di giochi scomparve misteriosamente e ricomparve trasformato in cane. Accadde d’estate. L’estate che cambiò la vita di questi bambini. Per sempre.
Video intervista completa su tychemagazine.it
Dicembre 2015 / 9
“IL PROVINCIALOTTO SI MUOVE SU UN ORIZZONTE CHE È COMUNE A TUTTA LA PENISOLA. DIREI CHE È L’ITALIA, SOTTO DIVERSI ASPETTI E NON ASSOLUTAMENTE NEGATIVI, AD ESSERE PROVINCIALE”
ORA IL “PROVINCIALOTTO” SI METTE PURE A SCRIVERE! IL PRIMO LIBRO DI MACCHINI
Emanuele Pagnanini
«I
l mio è un contributo alla cultura media, quella che arriva fino alle scuole medie. Perché le Superiori e, peggio ancora, l’Università, possono non servire. Anzi. Ci sono laureati che hanno fatto più danni con una penna che un contadino con una zappa». Così Piero Massimo Macchini ha presentato il suo libro “Piacere, Provincialotto” (casa editrice Giaconi di Recanati) nell’appuntamento al Caffè del Teatro Cerolini di Civitanova Alta. Una delle tappe con cui l’attoreautore promuove il suo primo lavoro con la penna. Non sappiamo se farà più danni di una zappa, ma di sicuro ha scatenato molte più risate. È l’esaltazione del “radical-grezzo” contro il “radicalchic”. Pagine in cui il Provincialotto si confronta con grandi temi, anche molto attuali. Come il crack di Banca Marche: «Ma non potevano scegliere un altro nome? Siamo già abbastanza bistrattati noi marchigiani. Anche nei film. Hanno fatto “Benvenuti al Sud”, “Bentornato al Nord” e a noi del Centro manco un “va a murì mmazzato”». Il Provincialotto si occupa anche di cinema, con recensioni a grandi film come “Il giovane favoloso”, “La grande bellezza” e “50 sfumature di grigio”. Però dovete comprare il libro, se volete conoscerle. Anche perché i proventi andranno in beneficenza. «Voglio risolvere il problema dell’acqua – spiega l’autore – sì, l’acqua della piscina che voglio costruirmi». Dopo la presentazione, abbiamo intervistato l’autore che poco più di un mese fa ha prodotto il suo “lavoro” più straordinario, diventando papà della piccola Olivia.
Attore, mimo, comico tv, ora anche autore: non è che il “Provincialotto” Piero Massimo Macchini si è montato la testa? «(risata) Diciamo che questo libro è nato come un gioco. Da due anni sono autore di una rubrica sul Resto del Carlino. Ho deciso di raccogliere tutti gli articoli che credo costituiscano un ottimo materiale per i miei spettacoli. Poi Fabio Damiani, un “copy” che cura il programma Marche Tube, mi ha aiutato sistemando i testi. Quindi Paolo Figri ha aggiunto le illustrazioni. Un suo disegno che rappresenta l’Infinito si trova a casa Leopardi. É nato così un libro “grezzo”, cioè non radical-chic. Contiene una comicità fine e dolce che permette di entrare nella mentalità del Provincialotto ma anche una comunicazione più efficace per quella che è una maschera individuale. In due settimane abbiamo già superato le 350 copie vendute». Lei è abituato al rapporto diretto con il pubblico da un palco. Ora la “battuta”, con il testo scritto, non ha quel feedback immediato. É cambiato qualcosa nel modo di far esprimere il suo personaggio? «Devi ragionare da un altro punto di vista. Il linguaggio scritto è chiaramente meno diretto ma più capzioso. E credo possa essere anche più divertente. Cambiare registro per scrivere questo libro mi è stato molto utile anche per preparare il mio nuovo spettacolo. Si chiama “Radical grezzo – Provincialotto a km 0”. C’è stata un’evoluzione anche nel personaggio». Ma il Provincialotto può essere un
personaggio che viene capito anche da un milanese o un bolognese o rimane ancorato alla realtà marchigiana? «Si muove su un orizzonte che è comune a tutta la Penisola. Direi che è l’Italia, sotto diversi aspetti e non assolutamente negativi, ad essere “provinciale”. Per cui la realtà, ad esempio, della provincia di Piacenza non è diversa da quella di Fermo». C’è sempre un personaggio che emerge nei monologhi del Provincialotto, quello della mamma. Cosa ne pensa ora ha scritto anche un libro? «(altra risata) Il personaggio della mamma nasce da un mio eterno complesso di Edipo. Sono l’ultimo di sette fratelli, porto il nome di un fratello che è morto, quindi credo sia naturale. Per mia madre (quella vera, non il personaggio, ndr) sono ancora quello “che fa spettacolini per i teatri”. Qualche volta, quando ascolta i
miei spettacoli, dissente da quello che le faccio dire. Ad esempio, quando dico che per lei il sesso va consumato solo dopo il matrimonio, mi dice, “ma come ti viene in mente di farmi dire certe cose?”. Poverina». Il libro è una raccolta di materiale che ha già proposto oppure c’è qualcosa di nuovo? «Non è una riproposizione di mie battute. Si tratta di una selezione della mia rubrica sul Resto del Carlino, una sessantina di articoli su circa 200 che ho scritto, ma sono rivisitati in una chiave nuova. Alcuni erano troppo datati». E per quanto riguarda la Tv? Ci sono novità? «Stanno maturando. Intanto sta andando onzline sul canale Marche Tube una webseries: probabilmente non diventerà virale perché è un lavoro quasi cinematografico, molto curato anche se realizzato con un budget di 6mila euro. Qui emerge la figura di un Provincialotto cosmopolita. Per la qualità, quasi un film». Parola quindi all’editore Simone Giaconi che ha creduto nelle qualità di scrittore di Macchini. «La mia è una casa editrice indipendente che ha come obiettivo il lancio di autori emergenti e spesso esordienti. Vuole raccontare le Marche e credo che la pubblicazione di questo libro sia la ciliegina sulla torta del nostro lavoro. Non dimentichiamo che contiene le prefazioni di Max Giusti e Cesare Catà che, nei loro rispettivi ambiti, sono delle autorità. É un progetto divertente ma che al tempo stesso vuole avvicinare alla lettura quella fetta che non fa parte dei lettori abituali». Intervista completa su tychemagazine.it
UN SUCCESSO LA PISTA DI PATTINAGGIO SUL GHIACCIO DI CIVITANOVA L’
aria di Natale ha investito Civitanova. Da metà dicembre i pattinatori hanno incominciato a volteggiare al ritmo di musica sulla moderna pista di pattinaggio al Lido Cluana, una delle attrazioni scelte per impreziosire il villaggio natalizio. Tra casette e stand con prodotti enogastronomici e regali per le feste, giochi e animazione fino all’Epifania. Per un mese infatti, fino al 6 gennaio 2016, la piazzetta si animerà per far trascorrere piacevoli momenti a tutti. Collaborano all’iniziativa in modo sinergico l’amministrazione comunale di Civitanova e due società, la Tyche Eventi e la Simbiosi Marketing. A loro è stato affidato l’incarico di realizzare questo “villaggio”. La pista di pattinaggio si estende su una superficie di 250 metri quadri (20 di lunghezza per 12,50 di larghezza). L’ingresso alla pista, comprensivo di affitto dei pattini, è stato fissato in 7 euro all’ora. L’impianto sarà aperto tutti i giorni dalle 10 alle 24.
Foto su tychemagazine.it
Dicembre 2015 / 11
MAGICO, AGGREGATIVO E SEDUCENTE: QUESTI GLI AGGETTIVI SCELTI DAI RESIDENTI PER DESCRIVERE IL PAESE
CANDELARA TRA STORIA E MAGIA IL BORGO CHE A NATALE SI ILLUMINA Luca Guerini
N
on serve allontanarsi troppo da Pesaro per immergersi in una realtà fuori dal tempo, ricca di magia e storia che, nei giorni scorsi, è diventata meta di molti turisti e visitatori da ogni parte d’Italia. Parliamo di Candelara e del suo famoso evento “Candele a Candelara”, quando il borgo medievale viene illuminato per l’occasione da tante piccole fiammelle. La zona, abitata probabilmente dall’epoca preistorica e sicuramente in quella romana, trova le proprie origini in una leggenda ricordata dallo stemma: tre colline sormontate da tre candele. Si racconta che, per individuare il luogo su cui costruire il paese, siano state accese tre candele e nel punto meno ventoso, dove non si spense la candela, venne edificato il borgo. In non poche occasioni i 1.200
residenti si offrono di fare da guide in un percorso che dalla piazzetta di Santa Lucia porta al castello, dove merita di essere visitata la chiesa realizzata su progetto di Vanvitelli. Interessante, sulla facciata del castello, è il bellissimo quadrante dell’orologio settecentesco, particolare per avere un’unica lancetta. È uno dei pochi orologi di quest’epoca ancora funzionante nelle Marche. E’ possibile visitarne il meccanismo interno accedendo dalla Sala del Capitano, in antichità luogo di residenza della guarnigione di controllo del paese e oggi restaurata dal Comune e trasformata in uno spazio espositivo. Non dobbiamo stupirci se i tre aggettivi scelti dai residenti per descrivere Candelara sono magica, aggregativa e seducente. Candelara è conosciuta a livello nazionale
per il mercatino delle candele e nel restante periodo dell’anno è un paesino tranquillo, costruito nel Quattrocento e ancora con un impianto medievale, immerso in un meraviglioso paesaggio collinare. L’attività lavorativa prevalente del territorio è l’agricoltura, anche se recentemente Candelara sta scoprendo le proprie potenzialità turistiche. «Non possiamo nascondere la verità – spiega il consigliere Lorenzo Fattori – le possibilità lavorative a Candelara sono scarse, soprattutto per i giovani che cercano una carriera brillante. La maggioranza degli abitanti che vivono nel nostro paese lavorano fuori. Alcuni parlerebbero di paese dormitorio, ma non credo che Candelara sia tale: i servizi essenziali sono tutti presenti e la Pro Loco ha
promosso una serie di incontri culturali». Per gli appassionati di enogastronomia a Candelara le prelibatezze non mancano: tra le numerose specialità culinarie spicca la carne pasticciata con le erbe di campagna, una variante del brasato di cui ne ricalca la ricetta e si avvicina molto anche nel gusto. Si tratta di una carne di pregio di vitellone cotta in un guazzetto a base di pomodoro e altri odori. Tra i piatti più noti ci sono le famose tagliatelle e fagioli e il baccalà con le patate, mentre il dolce tipico è il ciambellone, sia arricchito con uvetta o nella variante con cacao. Naturalmente non mancano i buoni insaccati, i funghi e il tartufo della vicina Acqualagna. Articolo completo su tychemagazine.it
Dicembre 2015 / 12
BOCASALINA L’INNOVAZIONE INCOMINCIA DALLA MATERIA PRIMA
Il locale di Numana, in provincia di Ancona, è stato promosso a pieni voti da TripAdvisor
Kruger Agostinelli Michele Mastrangelo
I
l vertiginoso successo del Bocasalina, l’emergente, anzi vincente, ristorante di Numana, sembra smentire tutti coloro che parlano di crisi del settore enogastronomico. Nessuna operazione di marketing per Andrea Iachini, Eugenio Gallo e Jacopo Ascani, gestori del limitrofo Sottovento. I tre puntano sulla cucina dello chef Simone Stacco e si affidano all’abilità in sala di Ronnie: nomi noti del settore a cui affiancano la loro capacità di saper intrattenere e coccolare la propria clientela. I risultati sono già formidabili a neanche un anno dall’apertura: quel terzo posto a TripAdvisor nella classifica dei migliori ristoranti della provincia di Ancona è sorprendente. Proprio dietro ai guru marchigiani e nazionali Mauro Uliassi e Moreno Cedroni: non si poteva chiedere di più. La nostra esperienza culinaria inizia con una serie di crudità. Servite senza timore, grazie alla consapevolezza della qualità del prodotto. I piatti li accompagniamo con il Verdicchio, come è piacevolmente ovvio che sia! C’è un’ostrica della Normandia con sedano e mela verde. E’ proprio la mela “rinfrescante” che fa la differenza e ci apre al carpaccio di ricciola con olio al miele, sale Maldon affumicato e semi di girasole. Arriva poi
IL VERTIGINOSO SUCCESSO DEL BOCASALINA, L’EMERGENTE, ANZI VINCENTE, RISTORANTE DI NUMANA, SEMBRA SMENTIRE TUTTI COLORO CHE PARLANO DI CRISI DEL SETTORE ENOGASTRONOMICO uno dei piatti più richiesti al Bocasalina: sandwich di baccalà mantecato al latte, con cipolla rossa di Tropea caramellata, rucola e riduzione di aceto balsamico. Quando il baccalà è così spumoso diventa un piacere, con la cipolla che insaporisce tutto con un bel contrasto. Quindi eccoci di fronte ad una tartare di tonno e scalogno al Martini, pistacchi tostati e salsa di panna acida e yogurt. Merito della qualità del taglio, il tonno si scioglie subito in bocca. Il pistacchio è un sapore che è entrato con forza in cucina e in questo piatto ci sta di
un bene… I cibi iniziano ad avvicinarsi al fuoco. Calamari scottati con puntarelle, mandorle tostate e salsa di mandarino. L’odore è di verdure, si sente il calore. I calamari combinati con l’agro ricordano a qualcuno di noi gusti asiatici raffinati. Ci portano le capesante appoggiate su di un letto di crema di topinambur e tapioca, amaranto e quinoa. I legami sono perfetti, con l’amaro del topinambur che si smarca. Bella sensazione. Torniamo subito al pesce e verdure. Le mazzancolle vengono adagiate su un letto di bietola con pasta brick, chips di carciofi e fumetto di crostacei. Anche qui, tutto è assolutamente ben legato in un’armonia dosata. E per chiudere, raviolo di broccoli, con crema di patate al profumo di acciughe. Ogni volta che incontriamo l’acciuga c’è un sussulto. Arriviamo ad un tris di dolci, davvero elaborati. Semifreddo al caffè con croccante, nocciole e mandorle, con gelato al cioccolato, caramello e biscotto alle mandorle (c’è il VERO caffè, sentiamo il chicco); crema catalana di agrumi (un ottimo sapore “celato”); lemon tart con meringa, gelato al lampone e frutti rossi (un gelato freschissimo, che freme). Articolo completo, foto e video su tychemagazine.it
Dicembre 2015 / 13
ALESSANDRO MORICHETTI SCRIVE DI VINO, VENDE VINO, LEGGE DI VINO. DICE CHE NEL TEMPO LIBERO LO BENE ANCHE Carla Latini
BERE BENE SOTTO I 15 EURO? L’ESPERTO VI “SVELA” TRUCCHI E CONSIGLI
Federico De Marco
E’
giunta l’ora di levarci alcuni dubbi esistenziali sul bere vino nelle Marche. Molti si sentiranno competenti in materia ma noi oggi vogliamo andare sul sicuro e abbiamo intercettato uno che col vino ci lavora: Alessandro Morichetti, civitanovese doc. Scrive di vino, vende vino, legge di vino. Dice che nel tempo libero lo beve anche. Laureato, master(izzato), sommelier. Poi un anno da contadino ignorante nell’azienda bio Fiorano, a Cossignano, e due anni tra i tavoli da Ars Vivendi a Civitanova. Il 22 giugno 2009 ha fondato Intravino, un bel blog del quale dice: «Non si guadagna niente ma ci divertiamo molto, siamo liberi». Conosce Mauro Mattei, sommelier creativo romano, lo va a trovare nelle Langhe e gira 3 settimane per cantine come un invasato solitario. Tramite Mauro conosce i Ceretto – storici produttori di Langa – che con dei soci avevano aperto un e-commerce del vino. Adesso lavora con loro a Doyouwine. com. Quindi se avete bisogno di buon vino sapete dove comprarlo. Esclamare «E’ buono, mi piace!» è sufficiente a giudicare un vino? Ormai tutti i media e social-media sono letteralmente impazziti per l’enogastronomia, ma l’italiano medio è in grado di riconoscere un buon vino o è necessario avere competenze da sommelier? «Mi sono appassionato di vino guardando il sommelier Paolo Lauciani all’ora di pranzo, durante TG5 Gusto. La passione va poi formata e coltivata, come in tutti i settori. Sono stato fortunato ad avere Francesco Annibali, docente di tecnica della degustazione e giornalista enogastronomico, a 200 metri da casa.
Mi ha portato a spasso, fatto assaggiare cose buone, spiegato perché alcune delle domande che gli ponevo preparandomi all’esame Ais (Associazione Italiana Sommelier) fossero delle fregnacce (del tipo: questo vino è abbastanza o poco tannico?). Per tornare alla domanda: il gusto si educa. Si inizia preferendo cose dolci poi si arriva anche ad adorare, come nella birra, prodotti amari e acidi. Il gusto è soggettivo, non ne esiste uno uguale per tutti. Possiamo educarci quanto vogliamo ma è sacrosanto che tu magari preferisca un vino bianco robusto e corposo mentre io uno leggiadro ed affilato. Non muore nessuno. In conclusione: quando porto i miei vini del cuore in famiglia, impossibile prevedere se sarà trionfo o insuccesso bestiale. Accadde una volta con il famosissimo Trebbiano d’Abruzzo di Valentini: al tavolo si alternarono “E’ davvero buonissimo” e “Sa di fogna”. Ma vorrei vedere quanti preferirebbero la proiezione di Quarto Potere (film monumentale di Orson Welles, ndr) all’ultimo dei cinepanettoni. L’immediatezza non sempre è sinonimo di profondità: a volte invece sì. E’ un mondo difficile però bellissimo». Con la crisi stringiamo la cinghia su tutto ma non sul cibo. In Italia non si può proprio fare per definizione. E’ possibile bere bene spendendo poco? «Sotto i 15 euro si può bere benissimo. Il prezzo è solo relativamente in funzione della qualità: contano molto il brand, la denominazione di origine e l’ambizione del produttore. Spendendo tanto puoi bere delle emerite ciofeche, fidati. Di certo non è nel supermarket sotto casa che trovi le piccole cantine laboriose, è una questione che riguarda la rete distributiva. Io ormai
compro vino al 90% online. Mi diverto molto e ammetto di aver iniziato a farlo solo dopo esser diventato l’enotecario su Doyouwine: mi sono fatto cliente, insomma. Nelle Marche impossibile non parlare del Verdicchio di Matelica di Fabio Marchionni (Collestefano), una specie di case study nazionale. Penso poi a un Nebbiolo valdostano che adoro, il Donnas della Caves Cooperatives de Donnas, o a un vino che voglio assaggiare quanto prima perché ne ho letto robe fantastiche: il Moscato Secco Maccone 2014 di Donato Angiuli (a Gioia del Colle, Puglia). Vuoi altri grandi vini che costano un cavolo? I Greco di Tufo e Fiano di Avellino di Pietracupa, azienda campana guidata dall’imbronciato e chirurgico Sabino Loffredo, e il Cesanese di Olevano Romano Cirscium 2013 di Damiano Ciolli, dal Lazio». Gli ipermercati hanno reparti ampissimi per il vino, molti li dividono addirittura per regioni. La scelta è oggettivamente vasta. Ma si può trovare qualcosa di buono lì in mezzo? «Nella Gdo arriva chi è strutturato commercialmente per arrivarci. Ciò significa che si deve molto scremare la tipologia di aziende reperibili: produttrici di vini onesti e corretti tecnicamente ma forse privi di quel qualcosa che accende le lampadine di un appassionato. Occhio, al supermercato puoi trovare Dom Perignon, che è un grandissimo Champagne (prodotto in non si sa esattamente quanti milioni di bottiglie), ma non i produttori di Prosecco da 50mila o 100mila bottiglie, che solitamente sono quelli che mi interessano di più. Di enoteche fisiche in alcune zone non ce ne sono proprio (Civitanova, ad esempio), però è ormai
completamente cambiato il concetto di reperibilità. Esempio di un vino che vendo, il Tauma di Giuliano Pettinella, un rosato abruzzese monumentale ma prodotto in 1.500 bottiglie: bene, se lo trovo disponibile su già due siti di e-commerce, per me è reperibilissimo». Ci troviamo nelle Marche, terra di tantissimi rinomati vitigni e dalle caratteristiche più diverse. Quali sono quelli che proprio dobbiamo conoscere alla perfezione prima di mettere il naso fuori dalla nostra regione? «Ottima domanda, la risposta sarà banalissima e in quanto tale non scontata. Verdicchio. Verdicchio. Verdicchio. Poi se ancora c’è tempo, Verdicchio. Mentre invece il 90% di noi marchigiani tra Passerina, Pecorino e Verdicchio sceglie i primi due: pessima eredità di certi Verdicchio che vengono associati a gusto amaro (che entro certi limiti è una caratteristica del vitigno) e mal di testa. E’ ora di cambiare registro e aggiornarci tutti quanti: il Verdicchio è un grande vitigno italiano e i grandi Verdicchio sono vini di assoluto livello internazionale». Rimanendo nelle Marche, esiste una realtà per le bollicine? «La spumantizzazione del Verdicchio ha un’origine nobilissima, con Ubaldo Rosi che è anche il nome dello spumante marchigiano più rilevante: lo produce Colonnara, una cooperativa di Cupramontana. Poi hanno spumantizzato la Passerina, i vitigni internazionali, insomma di tutto un po’: però lasciamo che a fare le bolle sia chi è specializzato».
Approfondimento su tychemagazine.it
Dicembre 2015 / 14
PINKTROTTERS: IL NETWORK DI EVENTI E VIAGGI AL FEMMINILE Fabiana Pellegrino
È
il sogno di ognuna di noi: girovagare per il mondo in compagnia di amiche e condividere questa esperienza il più possibile. Un progetto pensato tutto al femminile da una pink lady Dop. Eliana Salvi ha 31 anni, vive tra Milano e Londra ed è ascolana di nascita. Un paio di anni fa decide di cambiare vita: molla un posto da manager in una multinazionale americana
PROGETTI A STRETTO GIRO? “PRINCIPALMENTE DUE: IL SITO IN VERSIONE ITALIANA E MOBILE APP” di tabacco per investire tutti i suoi risparmi in un’idea folle chiamata Pinktrotters (www.pinktrotters.com), un portale web da 200mila iscritti e 50mila fan sui social, praticamente una community di donne contemporanee che condividono eventi e viaggi. «Ho lavorato come finance
manager per delle grandi multinazionali – racconta – e in questo mio percorso lavorativo ho sperimentato cosa vuol dire viaggiare da sola per una donna. Con le mie amiche abbiamo iniziato a pensare di metter su una piattaforma che potesse connettere le ragazze di oggi da tutto il mondo mentre viaggiano e si spostano per motivi personali o per lavoro. E da questo è nato Pinktrotters». Eliana, tre parole per definire Pinktrotters: cos’era, cos’è e cosa vorresti che fosse un domani? «Cos’era: un’idea che è iniziata vendendo pacchetti viaggio per sole donne. Cos’è: un social network globale legato al tempo libero al femminile. Eventi, viaggi e privilegi esclusivi per donne. Cosa vorrei che fosse un domani: un brand lifestyle che comprenda anche una nostra linea di abbigliamento e accessori da viaggio». Come nasce l’idea? «Pinktrotters nasce dall’aver vissuto
molto all’estero, viaggiato spesso da sola per lavoro e non, e dall’aver sentito spesso le mie amiche lamentarsi nel non avere compagne o compagni di viaggio nel momento giusto al tempo giusto». Di cosa si tratta e a chi si rivolge? «Pinktrotters è un portale web dedicato al tempo libero al femminile, da trascorrere tra amiche o con altre donne che si conoscono di città in città durante gli eventi, i viaggi e i momenti di condivisione che proponiamo. Esperienze di vario tipo legate a moda, cibo, bellezza, benessere, arte e cultura, sempre con un tocco glamour». A che punto imprenditoriale è la tua start up? «La mia esperienza sta procedendo bene. Stiamo crescendo, la partecipazione al programma televisivo Shark Tank ci ha dato una bellissima visibilità e vediamo il futuro in rosa! C’è ancora tanta strada da fare ma la salita è meno salita di quanto lo
fosse un anno fa… sono molto ottimista per Pinktrotters, il mercato e il potenziale c’è, lo stiamo passo dopo passo facendo diventare una realtà. Recentemente sono entrate nuove figure nel team, il sito è stato e continua ad essere migliorato, abbiamo introdotto le offerte settimanali grazie ai nostri partners e siamo pronte ad un super 2016». Cosa ti resta di Ascoli mentre sei in giro per il mondo? «Di Ascoli mi restano tante cose: la mia famiglia, i miei amici più cari che sono tutti di Ascoli, la cucina di mia madre, la mia cameretta con il mio pianoforte, il mio rifugio. Della città porto con me la tranquillità e il chiarore del travertino che amo molto».
intervista completa su tychemagazine.it
DIS fa il giro d’Italia e sbarca in America L’originale campagna si chiama DIScoverUS
Giorgia Giustozzi
D
is, ovvero Design Italian Shoes, la startup che a dispetto del nome anglofono è una realtà tutta italiana, torna
a far parlare di sé sia in Italia che all’estero dopo il successo di Shark Tank, iniziativa che abbiamo già riportato qui. Stavolta
si tratta del progetto DIScoverUS, una campagna di crowdfunding attraverso Kickstarter, la famosa piattaforma americana che consente di finanziare iniziative di qualsiasi genere, purché brillanti. «Abbiamo scelto Kickstarter per il lancio di Dis sul mercato americano – spiega Andrea Carpineti, funder e Ceo della Dis – uno strumento utile per amplificare l’attività mediatica di marketing e veicolare il brand. Attualmente i nostri mercati principali sono Italia, Russia e Svizzera, ma riceviamo richieste anche da Francia, Regno Unito, Germania e Svezia». In cambio di un piccolo contributo si potranno ricevere premi che vanno dai segreti della “ricetta della nonna” ad una cena preparata a domicilio da uno dei fondatori, solo per i più generosi. Shoemakers on Tour. La DIS non tralascia però il mercato italiano proponendo un vero e proprio tour di eventi in giro per
l’Italia. Ogni appuntamento rappresenterà un’occasione utile e imperdibile per vivere un’esperienza reale di ciò che il “configuratore” permette online, ovvero una serata in cui provare scarpe, progettare una calzatura completamente personalizzata e accedere all’aiuto di un personal shopper. Partner d’eccellenza quali Distilleria Varnelli, Cantina Velenosi e Birra Kukà sponsorizzano questo fiore all’occhiello della ricerca e dell’artigianato marchigiani offrendo durante la serata una degustazione dei loro prodotti. La tappa zero ha avuto luogo al Deep Blue Cafè di Porto Recanati; le prossime già confermate sono a Firenze (Pitti Uomo) il 13 gennaio 2016 e Milano a fine gennaio. Be Different, Be Yourself and… Save the date!
www.ty c hema ga z in e. it L’APPUNTAMENTO LIVE DEL VENERDÌ NOTTE AL DONOMA DI CIVITANOVA
8
VENERDÌ
GENNAIO
CIVITANOVA MARCHE PALASPORT EUROSUOLE FORUM
ore 21.30
ENJOY THE DOLCE VITA
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